n. 35 - maggio-agosto 2011 n. 35 - maggio-agosto 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN MUSICA RESERVATA RIFLESSIONI SULLA POLIFONIA RINASCIMENTALE INCONTRO CON GIOVANNI BONATO ILDEBRANDO PIZZETTI QUESTO (S)CONOSCIUTO UN TORRENTE RICCO D’ACQUA REPORTAGE DAI CONCORSI Feniarco www.ectorino2012.it Trovate i dettagli del programma all’interno della rivista PRONTI A CANTARE! ASPETTANDO TORINO 2012 Anno XII n. 35 - maggio-agosto 2011 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Dario Tabbia, Alvaro Vatri, Giovanni Bonato, Mauro Marchetti, Luca Ricci, Alessandro Zucchetti, Mattia Culmone, Fabrizio Vestri, Silvia Danielis, Dario Piumatti, Rossana Paliaga, Ermanno Testi musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera (foto Renato Bianchini) cori dada tuttatutta Italia Ital 7070cori oltre 40 concerti oltre 40 concerti con diversi repertori re con diversi 2000 partecipanti 2000 partecipant Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn aiutaci a sostenere la cultura corale abbonati a CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] Info su www.feniarco.it n. 35 - maggio-agosto 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR La polifonia rinascimentale 2 il rivelare nascondendo alcuni buoni motivi per eseguire la musica antica 6 LA VOCE DAVVERO PERDUTA? Dario Tabbia Walter Marzilli Dossier compositore Giovanni Bonato 16 un padre e la sua creatura incontro con giovanni bonato Alvaro Vatri 21 Un’esperienza sonora avvolgente e coinvolgente Breve commento ad Audi, filia Attività dell’Associazione 34 confronto e scoperta al festival di primavera Alessandro Zucchetti 37 CHORAL MANAGEMENT TODAY Esperienze a confronto Fabrizio Vestri e Silvia Danielis 39 Ricchezza, varietà, diversità a Roma la Giornata Nazionale della Musica Popolare 40 cantare è giovane! cantare con i giovani Dario Piumatti 42 ready to… sing! si aprono le iscrizioni a torino 2012 Giovanni Bonato cronacA Nova et veterA 46 un torrente ricco d’acqua 48 il valore di mezzo secolo di tradizione 22 pizzetti: questo (s)conosciuto? Mauro Marchetti Giorgio Morandi Rossana Paliaga 52 l’europa nello specchio del mondo Rossana Paliaga 54 1911-2011 cento anni del pontificio istituto di musica sacra portrait 25 quando la musica ti viene addosso gianni malatesta si racconta Ermanno Testi 58 voci bianche e malcesine: un binomio nazionale 59 sconfinatamente, umanamente corale Rossana Paliaga 60 Notizie dalle regioni Rubriche Sandro Bergamo fragmentA INDICE 28 la documentazione audio “fai da te” dei concerti di musica corale Walter Marzilli 56 cantate domino canticum novum Luca Ricci 62 Discografia&Scaffale 66 Mondocoro il rivelare nascondendo rivela alcuni buoni motivi per eseguire la musica antica di Dario Tabbia direttore di coro e docente di esercitazioni corali al conservatorio di torino Il fatto che la musica rinascimentale sia sempre meno presente nei programmi dei cori non soltanto italiani è un dato tanto indiscutibile quanto negativo. Sebbene da qualche tempo ci si interroghi sulle cause che hanno portato a questa situazione, non è tuttavia facile individuarle. È curioso constatare come negli anni ’70-’80 i programmi corali contenessero molta più musica antica di quanta non se ne esegua oggi. Eppure, paradossalmente, proprio in quegli anni non esisteva ancora una adeguata preparazione interpretativa comune alla maggior parte dei direttori. Per fortuna in quel periodo valenti musicologi italiani riuscirono grazie al loro impegno in tal senso a “inculcare” nei maestri, soprattutto in quelli di nuova generazione, la cultura della conoscenza della notazione musicale antica come strumento imprescindibile per una corretta esecuzione della stessa. Ora la situazione è incredibilmente migliorata. Al giorno d’oggi infatti un giovane direttore alle prime armi o uno studente di direzione al conservatorio sanno bene che l’antica mensura non va battuta in quattro tempi, posseggono informazioni magari non approfondite ma perlomeno dossIER corrette sul tactus, sullo stile e sulla prassi esecutiva. Tutto questo dovrebbe avere come diretta conseguenza un aumento delle esecuzioni di brani rinascimentali o, perlomeno, delle migliori interpretazioni degli stessi senza ridurne la quantità. Eppure si sta verificando l’opposto. Paradossalmente una delle possibili cause potrebbe essere proprio la maggior consapevolezza delle caratteristiche peculiari di questa musica che ne ha scoraggiato l’esecuzione. Facciamo un esempio: se il direttore ignora l’indipendenza melodica e ritmica che le varie parti di una composizione polifonica richiedono e sottomette il coordinamento del brano a una rigida scansione metrica della battuta musicale, il mottetto in questione non richiederà molto tempo di studio. Se, al contrario, egli è invece consapevole delle cure che ogni singola parte richiede, per ottenere quella meravigliosa sovrapposizione di linee indipendenti e al tempo stesso complementari le une alle altre, allora sarà costretto ad aumentare la quantità di prove in maniera considerevole. Per quanto riguarda invece il repertorio profano, anche qui la conoscenza che esso vada eseguito a parti reali o con piccoli ensemble ne ha sicuramente scoraggiato l’esecuzione da parte delle formazioni corali. Se si aggiunge inoltre il fatto che la differente sensibilità moderna viene più facilmente soddisfatta da forti contrasti dinamici a discapito di un significato espressivo meno appariscente ma più profondo, allora si arriva alla conclusione: “non ne vale la pena”. La musica rinascimentale, in un periodo storico caratterizzato da ignoranza e superficialità, sembra tornare a essere musica reservata mentre le attuali conoscenze storiche e musicologiche dovrebbero renderla accessibile ai più. È indubbio il fascino che certe composizioni moderne esercitino su tutti noi: grande complessità armonica, dinamiche spinte ai massimi e minimi livelli, forti contrasti. Ma queste non è musica “più bella”, è semplicemente “diversa”. La musica rinascimentale richiede, anzi esige grande attenzione dal punto di vista esecutivo. L’apparente semplicità della sua scrittura non deve trarci in inganno. Le singole linee melodiche possono sembrare a prima vista elementari, non complicate, di facile lettura: non hanno mai una grande estensione, non troviamo intervalli difficili da intonare. Il primo errore infatti è quello di considerarle a prescindere dal loro rapporto con il testo. Soltanto questo tipo di analisi potrà svelarci non “cosa” cantare ma “come” cantarlo. Ogni particolare del contrappunto lineare va allora contestualizzato: una serie di valori musicali brevi può indurci a considerare la necessità di non appesantire la frase, di renderla scorrevole facilitando così l’arrivo alla parola-chiave del testo, un melisma sopra una singola sillaba può suggerire l’importanza della parola che la contiene, ne rafforza il significato, costringendo l’esecutore a “meditarla” più a lungo, così come un’alterazione può aiutare a conferire 3 un colore, un’espressione particolare a un’altra parte del testo. Certamente tutto questo richiede attenzione, sensibilità, pazienza: una vera e propria “caccia al tesoro”! E naturalmente tempo. Tempo che il direttore deve dedicare allo studio della partitura prima di arrivare a presentarla al coro. Certamente questo è un compito che egli deve svolgere con qualsiasi musica di qualsiasi epoca ma il repertorio antico è di lettura meno immediata rispetto ad altri più vicini alla nostra cultura attuale. Questo può spiegare in parte il motivo per cui questi brani vengono sempre meno eseguiti. Se il direttore non possiede gli adeguati strumenti culturali e, mi permetto di aggiungere, una certa sensibilità o intuizione musicale nei confronti della musica antica, ecco che quest’ultima non riesce a esprimere la sua bellezza e il suo fascino se eseguita con criteri a lei stilisticamente estranei. Cantare un mottetto di Victoria o Morales senza curare la flessibilità delle singole linee melodiche, il fraseggio naturale della composizione, l’articolazione metrica che rispetta la are La musica rinascimentale richiede, anzi esige grande attenzione dal punto di vista esecutivo. naturale accentuazione delle parole che compongono il testo a dispetto della regolare accentuazione che si ha invece nel repertorio più moderno, non curare una vocalità che deve essere coerente con le caratteristiche esposte, tale insomma da non compromettere gli aspetti stilistici di cui si è parlato significa non cantare un mottetto rinascimentale. In parole molto più semplici: senza tutte queste attenzioni il brano in 4 questione suona veramente male, inespressivo, vuoto, tale insomma da non incoraggiarne lo studio per l’inserimento nel repertorio del coro. Il problema veramente grave è che si definisce musica brutta o insignificante quella che invece è una interpretazione brutta e insignificante: a farne le spese non è il direttore incompetente ma il compositore! Un altro aspetto credo non abbia giocato a favore della musica antica e anche questo è un controsenso. Si tratta dell’indubbia crescita qualitativa dei nostri cori, soprattutto per quanto riguarda la vocalità. Se trent’anni fa i gruppi italiani di livello stavano sulle dita di una mano ora sono decine. Molti complessi sono dotati di voci ben curate, impostate, giustamente vibrate. L’impressione è che questa qualità vocale sia maggiormente valorizzata da un repertorio moderno e contemporaneo rispetto a quello dei secoli precedenti. Naturalmente non stiamo a considerare le ovvie eccezioni: non sono nemmeno pochi i cori di qualità che eseguono composizioni che spaziano dal XVI al XX secolo. Si tratta invece di un problema che riguarda la tendenza generale e, in particolare, le scelte che in tal senso operano i direttori. Forse una volta i cori eseguivano più musica rinascimentale perché “non potevano” cantare con risultati accettabili altri repertori. Adesso, se questa ipotesi fosse corretta, si tratterebbe solo più di scelte e non di necessità. Non dobbiamo dimenticare che una delle recenti conquiste culturali è stata proprio quella di capire che la musica vocale antica necessita di voci educate e di buona qualità al pari di quella di epoche più recenti. Se in questo momento storico abbiamo la fortuna di avere voci più importanti è bene che le si indirizzi anche su altri repertori la cui ricchezza espressiva e il cui valore artistico sono semplicemente insostituibili. Si tratta quindi di lavorare sulla duttilità interpretativa, senza privilegiare nulla. Le ragioni fin qui esposte potrebbero sembrare un elenco di buoni motivi per non eseguire musica antica. Sono invece dell’avviso che le stesse argomentazioni possano rappresentare una serie di stimoli verso l’esecuzione della stessa. Lo studio corretto del repertorio rinascimentale può infatti contribuire a migliorare il livello tecnico del coro sotto molti punti di vista. Basti pensare alla maggiore qualità che deriverebbe dallo studio attendo sulla cura e sulla flessibilità del fraseggio, al rapporto testo-musica affidato al singolo esecutore che deve restituirne il significato stimolato dal segno grafico che il compositore usa come suggerimento per l’interprete. Quest’ultimo aspetto è per me di fondamentale importanza. Sono profondamente convinto che nessun cantore possa esprimere il giusto suono di una partitura senza comprenderne ogni suggerimento che il compositore fornisce attraverso la decodificazione del simbolo musicale. Sappiamo che la notazione musicale rappresenta uno dei sistemi più imprecisi e approssimativi di codificazione del linguaggio. Basta riflettere un attimo per accorgersi di quanto sia infinitamente più profonda ed espressiva la resa musicale di un brano corale rispetto alla sua notazione. Già un famoso teorico rinascimentale osservava che «esiste un modo di cantare et sonare che non si può scrivere». È indispensabile, per arrivare a una esecuzione pienamente consapevole, che Lo studio corretto del repertorio rinascimentale può contribuire a migliorare il livello tecnico del coro. ogni cantore sappia cosa il segno grafico rappresenti, cosa sta dietro la semplice indicazione dell’altezza e della durata di ogni singolo suono. La straordinaria ricchezza espressiva cui la notazione allude e rimanda è un traguardo cui ognuno di noi deve continuamente tendere e la strada per raggiungerlo passa necessariamente attraverso un’analisi puntuale e intelligente della partitura. Il repertorio rinascimentale, figlio di un’estetica e di una filosofia che considerano il “rivelare nascondendo” una delle caratteristiche stesse di questa dossIER 5 epoca, si propone come terreno privilegiato per l’affinamento di questa pratica. L’apparente mancanza di indicazioni dinamiche e agogiche ha fatto sì che molti siano convinti di poter operare qualsiasi scelta interpretativa o, comunque, lontana dalla più elementare e filologica prassi esecutiva. In realtà questa musica fornisce un numero incredibile di suggerimenti su come debba essere eseguita. I nostri comodi e semplici “forte”, “crescendo” e così via devono essere dedotti dall’analisi di una armonia particolare, dall’andamento del contrappunto, dal rapporto suono-testo. Lo studio del repertorio antico non può che far crescere dal punto di vista della consapevolezza ogni singolo esecutore e tale apertura mentale rimarrà come strumento efficace nell’esecuzione di qualsiasi musica di qualsiasi epoca. Si tratta di una straordinaria possibilità di crescita artistica che darà i suoi frutti a prescindere dal repertorio scelto. Mi piace ricordare come alcuni coristi particolarmente abituati nell’esecuzione di musica rinascimentale, trovassero addirittura superflue le indicazioni dinamiche segnate in un brano del periodo romantico, trovandole talmente ovvie nel rapporto testo-musica da eseguirle senza accorgersi che erano previste in partitura! Mi rendo conto che le ragioni fin qui esposte potrebbero giustificare la scarsa presenza di musica rinascimentale nei nostri programmi da concerto, tuttavia le stesse potrebbero essere invece un elenco di buoni motivi per riprenderne l’esecuzione. Non regge nemmeno l’affermazione secondo la quale questo non sia un repertorio accattivante per i giovani che invece sono da sempre interessati dalle proposte culturali serie e ricche di significati. La mia recente esperienza con il Coro Giovanile Italiano ne è stata una conferma. Cosa poter fare per stimolare un rinnovato interesse da parte dei cori? Forse si potrebbe sfruttare la propensione dei gruppi di buon livello a partecipare ai concorsi per indirne uno interamente riservato alla musica antica le cui categorie potrebbero essere gregoriano, musica sacra dal XV al XVII secolo, musica profana per gruppi madrigalistici, musica barocca… È altrettanto importante riprendere la diffusione di corsi di interpretazione sulla prassi esecutiva che, ultimamente, mi sembrano diminuiti rispetto a generici corsi di direzione di coro. Mi auguro che si tratti di un fenomeno temporaneo e che i cori che in questo momento sono diventati punti di riferimento della coralità italiana si impegnino in questo senso dedicando parte del loro lavoro alla riproposta di un repertorio i cui valori sono indispensabili al raggiungimento di quella ricchezza espressiva e umana di cui ogni musicista deve essere dotato. La straordinaria ricchezza espressiva cui la notazione allude e rimanda è un traguardo cui ognuno di noi deve continuamente tendere. 6 LA VOCE DAVVERO PERDUTA? di Walter Marzilli Attraverso la parafrasi del titolo di un noto testo sui castrati1 ci vogliamo domandare: dobbiamo allargare il panorama delle voci perdute fino a comprendere, oltre alla vocalità degli evirati cantori, anche quella più generale del coro rinascimentale? In altre parole: sarà mai possibile ottenere una ricostruzione del suono di un coro del Rinascimento che sia sufficientemente attendibile? L’asportazione degli intonaci sovrapposti a un affresco del Rinascimento ci ridona i colori originali e le pennellate autentiche; ma la polvere di un antico manoscritto musicale nasconde solo alcune tracce di inchiostro immerse in un silenzio abissale. Come ricostruire quelle voci perdute? Sono davvero rimaste sepolte con i loro possessori e irrimediabilmente decomposte? O hanno lasciato una qualche traccia attraverso la quale poterle ricostruire? Costituisce ovviamente una necessità ineluttabile continuare a perseguire la strada della ricerca, della frequentazione del repertorio e dello studio dei trattati dell’epoca. È soprattutto in questo ultimo ambito che vogliamo cercare alcune opportunità per tentare di ricostruire il suono antico, anche se esiste una difficoltà che non dobbiamo sottovalutare. Dobbiamo infatti ammettere, riflettendo serenamente, che cercare di ricostruire un suono perduto 2 leggendo una sua descrizione sulla carta può suscitare le stesse nebulose perplessità di chi volesse studiare canto per corrispondenza. Inoltre gli estensori dei trattati rinascimentali non potevano avere il minimo sospetto che tra la loro estetica musicale e la nostra si sarebbe interposto quel ciclone che è stato il passaggio della musica romantica, con i conseguenti enormi cambiamenti dell’estetica musicale, della tecnica vocale e di quella strumentale.3 Forse per questo si accontentavano di dire «Haveranno etiandio li Cantori questo avertimento, che ad altro modo si canta nelle Chiese, e nelle Capelle publiche, e ad altro modo nelle private Camere: Imperoche ivi si canta a piena voce […]», 4 senza sapere che nel frattempo la loro idea di voce piena sarebbe stata completamente alterata dalla tecnica del passaggio di registro e dalla copertura dei suoni, intervenuti appunto in epoca romantica.5 Parlando di voci e di timbri vocali aggiungiamo inoltre che – al di là degli stili da Chiesa o da Camera, apparentemente distinti fra loro più dalla diversità dello spessore sonoro che da specifiche caratterizzazioni di tipo timbrico – l’epoca rinascimentale poteva contare su una coesa univocità, che rendeva improbabile qualsiasi possibilità di fraintendimento. Possiamo quindi immaginare i trattatisti dell’epoca intenti a descrivere i caratteri delle voci del loro tempo senza avere una specifica intenzione esplicativo-applicativa, ma soprattutto senza avvertire la necessità di puntualizzare in modo univoco e inequivocabile le caratteristiche del suono di allora. Questo ci complica enormemente il compito. Nonostante questa doverosa premessa, che ci conferma di confrontarci con i testi antichi mantenendo un atteggiamento prudente e riflessivo, vogliamo osservare quali aiuti possiamo trarre dalla loro consultazione. Con l’atteggiamento or ora suggerito possiamo commentare un passaggio molto importante di Biagio Rossetti (detto Rossetto), nel quale il teorico veronese definisce con quattro aggettivi quali siano i parametri timbrici che costituiscono l’ideale di una bella voce del suo tempo: «Perfecta vox est alta, suavis, fortis et clara. Alta ut in sublime sufficiat, clara ut aures impleat, fortis ne trepidet, aut deficiat. Suavis, ut auditum non deterreat, sed potius, ut aures demulceat et ad audiendum [=audientium. Cfr. Is., E., III, 20] animos blandiendo ad se alliciat et confortet. Si ex his aliquid defuerit, vox perfecta (ut dicit Ysidorus) nequiquam erit».6 Alta. Come ben sappiamo la particolare conformazione del coro rinascimentale, legata all’impossibilità per le donne di entrare in cantoria, imponeva l’utilizzo delle voci maschili e/o di fanciullo anche nelle parti superiori. Per questo motivo l’impianto intonativo non poteva superare all’acuto certi limiti della tessitura. Il risultato è che quando adesso un coro moderno – che affida alle donne le due parti superiori – esegue un brano del periodo rinascimentale, lo intona una terza o una quarta sopra rispetto alla prassi di cinquecento anni fa. Per meglio figurare la situazione, nel nostro caso dovremmo dire che un coro rinascimentale intonava i brani una quarta sotto rispetto a quanto facciamo adesso. Il concetto di voce alta assume quindi una connotazione notevolmente diversa rispetto a quella alla quale facciamo comunemente riferimento. Non solo. L’assenza della tecnica del passaggio di registro impediva di fatto che avvenisse una trasformazione timbrica all’interno delle sezioni, limitando l’emissione entro la propria tessitura caratterizzante: le voci gravi al grave e quelle acute all’acuto, con risonanza sempre di petto le une, sempre dossIER di testa-falsetto le altre.7 Nel coro moderno, invece, quando le voci sono chiamate a emettere i suoni collocati nella regione acuta della loro tessitura, essi sembrano comparire da una nuova sezione aggiunta alla compagine corale, essendo così diversi il timbro e il colore rispetto all’emissione delle note centrali, che appaiono di tutt’altra generica natura sonora. Altra questione, questa volta di ordine strettamente fisico-acustico. Come possiamo mettere in relazione l’aggettivo alta con la settima regola suggerita da Camillo Maffei di tenere «la bocca aperta e giusta, non più di quello che si tiene quando si ragiona con gli amici»?8 Apparentemente scollegata dalle nostre riflessioni, questa affermazione si rivela invece quanto mai pregnante se collocata in seno alla legge di Helmholtz,9 che mette in relazione la frequenza dei suoni con le casse di risonanza e la sezione della loro apertura. Non ci interessa di calcolare i reali valori numerici; ci basterà osservare le relazioni tra i fattori. Per questo motivo possiamo semplificare notevolmente l’equazione matematica, privandola della radice quadrata e delle costanti,10 e definire la frequenza f dei suoni con l’equazione f = s/v, avente al numeratore la sezione del risonatore e al denominatore il suo volume interno. Considerando il caso della voce umana e attribuendole di conseguenza i parametri confacenti, dovremo considerare schematicamente il volume v dei risonatori 7 Note 1. Sandro Cappelletto, La voce perduta. Vita di Farinelli, evirato cantore, Torino, edt, 1995. 2. Dobbiamo ancora attendere per definirlo tale, per questo l’aggettivo figura in corsivo. Appare comunque più ragionevole parlare di “tentativo di avvicinarsi il più possibile a esso”, piuttosto che di ricostruzione vera e propria. 3. Le due tecniche non sono separabili. Le orchestre si ingigantirono, e gli archi passarono definitivamente dal suono vellutato delle morbide corde di budello a quello potente delle corde di metallo. Il ponticello fu costretto a sopportare pressioni molto maggiori, e questo obbligava i liutai a rinforzare l’intera struttura dello strumento, a discapito della leggerezza del suono e del suo colore. Nel frattempo anche il suono degli ottoni conosceva notevoli incrementi, ma soprattutto un maggiore utilizzo nelle partiture a causa delle migliorie ottenute attraverso l’adozione dei cilindri e soprattutto dei pistoni. Lo stesso avvenne ai legni con l’introduzione di un numero maggiore di chiavi. Tutto questo non ha cambiato solo il suono degli strumenti, come si può ben immaginare: la necessità imprescindibile dell’equilibrio tra le voci e gli strumenti ha fatto il resto. 4. Gioseffo Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, Venezia, s.n., 1558, terza parte, cap. 45, p. 204 (ristampa anastatica New York, Broude Brothers, 1965 (Monuments of Music and Music Literature in Facsimile. Second Series: Music Literature; 1)). 5. I primi bagliori del passaggio di registro e della copertura dei suoni risalgono al XVIII secolo, ma l’episodio più evidente sembra essere il cosiddetto Do di petto adottato dal tenore Gilbert Duprez nella parte di Arnold del Guglielmo Tell di Rossini. Non è tanto l’episodio in sé, quanto lo scalpore che sappiamo aver suscitato quel suono quando esplose e divampò in un mondo ancora acconcio alle volate degli evirati cantori e ai suoni in falsetto degli uomini. Il famigerato do4 è un suono che può tranquillamente essere emesso in falsetto da qualunque cantore maschio di qualsiasi coro amatoriale. In questo caso non suscita certo la stessa ammirazione di popolo come quando è emesso in voce piena, e assume i contorni di uno straripante e poderoso Do di petto. 6. Biagio Rossetti, Libellus de rudimentis musices, Verona, Stefano Nicolini di Sabio e fratelli, 1529, [4]: «La voce perfetta è alta, soave, forte e chiara; alta perché sia sufficiente all’acuto, chiara per riempire le orecchie, forte perché non tremi né manchi, soave perché non spaventi l’udito, ma piuttosto perché accarezzi le orecchie, e con il blandire gli animi degli ascoltatori li attragga a sé e li conforti. Se manca qualcuno di questi elementi la voce non potrà essere in alcun modo perfetta, come afferma Isidoro». Si fa notare che in Pietro A aron, Thoscanello in musica [...] nuovamente stampato con l’aggiunta da lui fatta et con diligentia corretto, Venezia, Bernardino e Matteo de Vitali, 1529, Libro I, cap. V, p. Bii, è presente un passo dal contenuto pressoché identico: «Voce perfetta, alta, suave e chiara: alta accio che in soblime sia sofficiente; suave accio che gli animi degli audienti accarezzi; chiara accio che empia gli orecchi. Se di queste alcun mancherà, non sarà detta perfetta voce». In verità la paternità del passo, come accenna Rossetti, deve essere attribuita a Isidoro di Siviglia (560-636): «Perfecta autem vox est alta, suavis et clara: alta, ut in sublime sufficiat; clara, ut aures adimpleat; suavis, ut animos audientium blandiat. Si ex his aliquid defuerit, vox perfecta non est.» (Cfr. Isidoro, Etymologiarum sive originum libri, Libro III, cap. 20). Si noterà come la versione di Aaron sia perfettamente speculare all’originale di Isidoro, mentre quella di Rossetti appare più elaborata, e con l’aggiunta dell’aggettivo forte. 7. Si voglia comprendere l’adozione di questa limitativa e per certi versi inesatta catalogazione semplicistica delle voci antiche. Sarebbe opportuna una loro collocazione più pertinente rispetto alle risonanze, ma ciò occuperebbe uno spazio notevole all’interno di questo scritto, e questo non rende possibile una congrua trattazione dell’argomento in questa occasione. 8. Giovanni Camillo Maffei, Delle lettere del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri due […], Napoli, Raymundo Amato, 1562, p. 34. Il suggerimento che Maffei dà ai cantori perché mantengano la bocca socchiusa – che egli definisce categoricamente come una regola – sembra isolato, ma la quasi totalità dei trattatisti si dimostra notoriamente unita e compatta nel criticare la posizione troppo aperta della bocca. In questo senso possiamo affermare che tutti concordano, Maffei direttamente e tutti gli altri indirettamente, sull’opportunità di cantare senza aprire troppo la bocca. 9. Fisiologo e fisico tedesco vissuto tra il 1821 e il 1894, che ha scritto un interessante trattato sulla fisiologia della musica: Hermann von Helmholtz, Die Lehre von den Tonem-pfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik, Braunnschweig, Vieweg, 1863. 10. Per completezza riportiamo integralmente la legge: fHz = v×s / 2π√U×√u, dove v = velocità del suono; s = sezione del sonatore; 2π = 6,28; U = volume del 8 rinforzar la voce quando bisogna…».16 Particolarmente interessante è la risposta dell’altro protagonista del dialogo, che afferma «A’ questo modo non ve ne piacerebbe alcuno»,17 sentenziando che nessun cantore è esente da almeno una delle colpe; oppure che il suo interlocutore è troppo perfezionista, e che bisogna accontentarsi… Possiamo immaginare che qualunque soavità dovesse ragionevolmente essere disturbata dalle inesattezze, le mancanze e gli errori-orrori dei cantori. come costituito – in ordine decrescente – dalla cassa toracica, la cavità buccale e i seni presenti nella zona della cosiddetta maschera.11 Considereremo invece la sezione s come l’apertura che mette in comunicazione il risonatore con l’ambiente esterno, cioè la bocca. Ne deriva che, per ottenere le frequenze alte dei suoni acuti, il fattore posto al numeratore (sezione = bocca) deve essere grande, mentre quello al denominatore (volume delle cavità di risonanza) deve essere piccolo.12 A questo punto, fatte salve le doverose caratterizzazioni timbriche ed espressive della vocalità rinascimentale, possiamo affermare che la citata postura del cantore dell’epoca, descritto a «bocca aperta e giusta, non più di quello che si tiene quando si ragiona con gli amici» avrà impedito l’emissione di suoni più acuti di quelli che sono possibili nella tessitura media o al massimo medio-alta. Concludiamo ammettendo che la nostra concezione di voce alta ci può portare in un’altra direzione rispetto alla realtà del Rinascimento. Forte. Per quanto riguarda la musica profana sappiamo come fosse eseguita da pochissimi cantori e che, come diceva il già citato Zarlino, «nelle Camere si canta con voce più sommessa, e soave, senza fare alcun strepito».18 Di contro le cappelle musicali erano formate da poco più di una decina di persone il cui suono, evidentemente, era destinato a diluirsi e a perdersi all’interno delle grandi basiliche. Per quanto riguarda ancora la musica sacra occorre sottolineare che lo spessore sonoro delle voci era anche attenuato dal fatto che le cappelle cantavano rivolte verso l’altare, conformi a un impianto teologico della liturgia fortemente teocentrico. Il fulcro dell’azione sacra era l’altare e lì, oltretutto, troneggiava chi sosteneva e pagava la cappella musicale. Come si nota nella numerosa iconografia musicale che ci è pervenuta, i cantori voltavano le spalle all’assemblea-pubblico e il loro suono si concentrava nel presbiterio. Bisognerà attendere la nascita della policoralità per vedere riconosciuta la valenza percettiva dell’assemblea come elemento fruente e attrattivo Costituisce una necessità ineluttabile continuare a perseguire la strada della ricerca. Soave. Dobbiamo subito domandarci quanto lo saranno state le voci dei bassi (bassus) e dei baritoni (tenor), che immaginiamo dotate di una struttura intensa e risolutiva, qualora intonate una quarta al grave rispetto alle omologhe sezioni di un coro moderno. Uno sguardo alle frequentissime critiche dei teorici e alle loro aspre condanne nei confronti del suono dei cantori ci aiuterà a capire meglio la situazione e a immaginare che l’ideale della voce soave era in molti casi ben lungi dall’essere raggiunto. Le voci mostravano numerosi difetti il cui elenco, lungo e vario, è facilmente riscontrabile quasi in ogni trattato antico. Si va dai suoni nasali a quelli emessi «con impeto et furore a guisa di bestia», 13 dai «suoni rauchi, simili a quelli di un calabrone chiuso in una borsa di cuoio»14 alle «grida barbariche»,15 fino a quelli emessi con intonazione imprecisa. Secondo quanto afferma Luigi Dentice per bocca di uno dei due personaggi dei suoi Duo dialoghi della musica, certi Paolo Soardo e Giovanni Antonio Serone, «tutti errano in qualche cosa, o nella intonazione, o nella pronuntiatione, o nel sonare, o nel fare passaggi, ovvero nel rimettere e per gli esecutori. Anche in questo caso, però, si può ben immaginare quale potesse essere stato l’impatto sonoro di un esiguo gruppo di cantori innalzato su un piccolo palco all’interno di una grande basilica,19 o magari fatto salire fino all’altissima balaustra della lanterna della cupola di San Pietro a Roma.20 Inoltre la voce emessa in falsetto dai cantori rinascimentali, per sua caratteristica fisiologica, si alimenta solo attraverso una vibrazione parziale delle corde vocali, le quali entrano in movimento o solo sul bordo esterno, senza compartecipazione dell’intero conus elasticus, oppure soltanto con la porzione longitudinale anteriore. In entrambi i casi lo spessore sonoro, soprattutto per quanto riguarda i suoni centrali della tessitura, sarà molto minore rispetto a quello ottenuto attraverso la vibrazione completa delle corde, ciò che regolarmente avveniva nell’emissione dei suoni da parte del bassus e del tenor. Ne consegue inoltre che all’interno dell’impianto fonico generale il suono della voce in falsetto dossIER non soltanto sarà stato poco presente, ma a esso si saranno dovuti conformare gli altri cantori per far sentire le diverse linee polifoniche, regolando e bilanciando i livelli sonori. Tale ricerca di equilibrio appariva tra le necessità e i doveri più importanti che spettavano ai cantori, attribuiti loro dai teorici del tempo. Per lo stesso motivo, infine, le raffinatissime capacità improvvisative dei cantori e i loro ricercati abbellimenti non avranno certo dovuto subire l’opposizione del corpo sonoro delle altre voci, che si saranno assottigliate e alleggerite per lasciare spazio alle loro preziose e apprezzate evoluzioni. Chiara. Su questo non sembrano esistere troppi dubbi. L’ipotesi che il suono rinascimentale fosse tendenzialmente chiaro è confortata da alcune situazioni di natura acustica e fisiologica, che vogliamo analizzare. La prassi di cantare davanti al librone obbligava i cantori a mantenere la fronte alzata, con il collo alquanto piegato e tirato verso l’alto, come ci mostrano le numerose stampe che raffigurano le antiche cappelle durante una esecuzione. In questa posizione l’osso ioide, 21 e in particolare il muscolo tiro-ioideo che lo collega alla laringe, impongono a quest’ultima una posizione alta, con il risultato di ridurre la distanza della sorgente del suono dal risonatore buccale. La conseguenza immediata è l’emissione di un suono piuttosto chiaro, che non ha nessuna 9 risonatore; u = volume del beccuccio del risonatore. Come si vedrà sono state omesse le costanti v, 2π, le radici quadrate (che ai fini dei calcoli effettivi andranno invece ovviamente considerate) e unificati i due fattori ‘U’ e ‘u’ in un unico valore v. 11. Si tratta di otto piccole cavità sopra-palatali: i due seni frontali, due mascellari, due sfenoidali e due etmoidali. Svolgono due sole funzioni legate alla fonazione: quella di riscaldare-umidificare l’aria e quella di permettere l’emissione dei suoni acuti. L’attribuzione di altri ruoli quali la coibentazione della scatola cranica e l’ammortizzazione del cervello non appaiono sufficientemente giustificabili. 12. Questa seconda condizione è assicurata dall’abbassamento del velo del palato, conseguente all’avanzamento-innalzamento della lingua dovuto alla postura di quest’ultima, che i cantori antichi tenevano a contatto con gli alveoli dell’arcata dentaria inferiore (cfr. il paragrafo contenente la nota 23). 13. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204. 14. Hermann Finck, Practica musica, Wittembreg, G. Rhau Erben 1556, p. Ss iij, (ristampa anastatica Bologna, Forni, 1969). 15. Ibidem. 16. Luigi Dentice, Duo dialoghi della musica […], Roma, Vincenzo Lucrino, 1553, dialogo secondo, p. [2] (ristampa anastatica a cura di Patrizio Barbieri, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1988 (Musurgiana; 3)). 17. Ibidem. 18. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204. 19. Si può inoltre immaginare come in questi grandi luoghi non riscaldati la presenza di un pubblico numeroso potesse creare una corrente aerea ascensionale e che questa contribuisse a disperdere il suono verso l’alto. 20. Wolfgang Witzenmann, Otto tesi per la policoralità, in La policoralità in Italia nei secoli XVI e XVII. Testi della giornata internazionale di studi, Messina 27 dicembre 1980, a cura di Giuseppe Donato, Roma, Torre d’Orfeo, 1987 (Miscellanea musicologica; 3), p. 8; cfr. anche Arnaldo Morelli, “La vista dell’apparato superbo, l’udito della musica eccellente a più cori”. Spazio chiesastico e dimensione sonora, in Roma barocca. Bernini, Borromini, Pietro da Cortona, a cura di Marcello Fagiolo e Paolo Portoghesi, Milano, Electa, 2006, pp. 294-301. 21. Si tratta di un piccolo ma importantissimo legamento osseo a forma di ‘U’, che sovrasta la laringe attraverso la connessione con la membrana tiro-ioidea e si innesta all’interno della base della lingua. 22. Si potrebbe ottenere un certo scurimento utilizzando l’arretramento della parete oro-faringea, ma il suono si colorerebbe inesorabilmente di una inopportuna componente gutturale. 23. Giovanni Camillo Maffei, Delle lettere del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, cit., p. 34. 24. Alcuni procedimenti di natura logopedica, volti a migliorare l’emissione gutturale e spostare in avanti le risonanze eventualmente retroflesse, prevedono l’adozione di particolari esercizi nei quali il paziente deve seguire con la punta della lingua gli spostamenti di una matita mossa dall’operatore. Questi, compiendo dei movimenti su un piano perpendicolare posto fuori dalle labbra del paziente, lo aiuta a estroflettere la lingua, abituandolo a accendere le risonanze lontane dalla cavità retro-faringea, che altrimenti sono la causa dei suoni gutturali, e anche di quelli che non risultano sufficientemente proiettati verso l’esterno. 25. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204. Maiuscole e arcaismi conformi all’originale; la punteggiatura è stata attualizzata. Corsivo aggiunto dall’estensore. 26. Ricordiamo come anche Vincenzo Galilei, dovendo argomentare intorno ai madrigalismi usati dai compositori per sottolineare alcune durezze espresse nel testo, come Zarlino ricorra proprio allo stesso titolo del madrigale: «[…] i nostri prattici Contrapuntisti […] Aspro core e selvaggio, e cruda voglia […] haveranno fatto tra le parti nel cantarlo di molte settime, quarte, seconde e seste maggiori; e cagionato con questi mezzi negli orecchi degli ascoltatori un suono rozzo, aspro e poco grato». Cfr. Vincenzo Galilei, Dialogo […] della musica antica e della moderna, Firenze, Giorgio Marescotti, 1581, p. 88. Nel caso specifico di Zarlino, tuttavia, non sembra sufficiente immaginare che la sostituzione delle vocali con la A possa essere stata usata dai cantori solo con lo scopo di sottolineare il significato stridente del testo. Seppure in questo caso perfettamente plausibile, tale pratica infatti, come vedremo più avanti, era spesso applicata anche ai testi sacri senza nessun intento trasfigurativo sulle parole, ma puramente per esigenze fonico-timbriche. 27. Un interrogativo provocatorio: la prassi vocale del Rinascimento non avrà per caso prediletto i suoni chiari semplicemente perché gli antichi erano particolarmente assuefatti a questo colore, obbligati dall’uso vincolante e consolidato del librone? E questa predilezione può essersi spinta fino a voler perseguire la tendenza estetica 10 possibilità di arrotondarsi e di scurirsi.22 Inoltre l’impossibilità di utilizzare verso il basso l’elasticità motoria del muscolo crico-tiroideo (poiché tirato in direzione opposta per l’allungamento del collo), che diversamente avrebbe potuto far ottenere un allungamento delle corde vocali, impedisce di fatto qualunque eventuale ipotetico meccanismo di copertura dei suoni, lasciandoli definitivamente di colore chiaro. Può essere molto interessante in questo senso occuparsi del suggerimento fornito da Giovanni Camillo Maffei a proposito della posizione della lingua. Nella sua sesta regola egli afferma che essa deve essere mantenuta distesa e in avanti «in modo che la punta arrivi e tocchi le radici dei denti di sotto».23 Tale posizione risulta perfettamente in linea con la prassi vocale del Rinascimento che, come abbiamo visto, non prevedeva nessun meccanismo di copertura dei suoni, e persegue coerentemente lo stesso obiettivo del paragrafo precedente. Quello di mantenere la lingua distesa fino a toccare gli alveoli dell’arcata dentale inferiore è infatti un consiglio che si dà ai cantori moderni nel caso in cui li si voglia aiutare a ottenere velocemente un timbro più chiaro, senza correre il rischio di schiacciare i suoni. Per maggiorare l’effetto correttivo si può anche far precedere i suoni dalla consonante L se si tratta di un vocalizzo, oppure sostituire la L a tutte le consonanti del brano. In questo caso si costringe la lingua a toccare gli alveoli dell’arcata superiore, causandole un ulteriore allungamento: l’effetto schiarente è straordinariamente apprezzabile.24 Un’altra interessante considerazione da fare è legata ancora una volta ad alcune importanti raccomandazioni che i teorici rivolgevano ai cantori. Si trattava di veri e aspri rimproveri, ma noi possiamo trarne interessanti motivi di riflessione. Ripetutamente si legge la ferma condanna dell’abitudine di cambiare le vocali, sostituendo quelle chiare a quelle scure. Citiamo a titolo esemplificativo un passo di Zarlino che riguarda espressamente questo argomento, ma gli esempi simili nella trattatistica coeva sono molto numerosi, e tutti esprimono coerentemente lo stesso concetto: «[…] Ma sopra il tutto (acciocche le parole della cantilena siano intese) debbono guardarsi da uno errore che si ritrova appresso molti, cioè di non mutar le Lettere vocali delle parole come sarebbe dire, proferire A in luogo di E, ne I in luogo di O, overo U in luogo di una delle nominate: Ma debbono proferirle secondo la loro vera pronuntia. […] udimo alle volte alcuni sgridacchiare (non dirò cantare) con voci molto sgarbate, e co atti e modi tanto contraffatti che veramente parino Simie, alcuna canzone, e dire come sarebbe Aspra cara, e salvaggia e croda vaglia, quando doverebbero dire: Aspro core, e selvaggio, e cruda voglia: chi non riderebbe? anzi (per dir meglio) chi non andrebbe in colera udendo una cosa così contraffatta, tanto brutta, e tanto horrida?»25 Nonostante la gravità della cattiva prassi, che Zarlino definisce «contraffatta, brutta e horrida», i cantori preferivano continuare ostinatamente a prendersi queste critiche feroci piuttosto che abbandonare il vizio di cambiare le vocali scure e rotonde con quelle chiare, in particolare con la A, che di tutte è la più chiara.26 Evidentemente possiamo concludere che, più che di un vezzo o di una moda diffusa, doveva trattarsi di una necessità di tipo fisiologico-fonatorio legata ai fattori di cui abbiamo appena parlato. Il bisogno di cantare con timbro chiaro doveva essere così irrinunciabile per i cantori da rendere loro inevitabile il subire simili umilianti condanne; ma soprattutto da portarli al punto di tradire le parole e il significato dei testi che proferivano (e sappiamo bene quanto la Retorica, la Dialettica e l’ars oratoria in genere fossero preziosamente legate all’arte musicale polifonica).27 Vista la particolare citazione madrigalistica usata da Zarlino per il suo esempio, si potrebbe pensare che tutto questo potesse avvenire solo nell’ambiente musicale profano, dove sarebbe ragionevole immaginare una maggiore libertà espressiva e di comportamento. Invece ciò che già dal 1474 L’epoca rinascimentale poteva contare su una coesa univocità. esplicitamente si poteva leggere in un interessante trattato di Conrad von Zabern vanifica questo consolante pensiero.28 Egli afferma di aver sentito alcuni cantare «Dominos vabiscum, aremus», poi commenta schernendosi dell’immagine di arare i campi.29 Aggiunge nello stesso passo che da Francoforte a Coblenza e da lì fino a Treviri ha udito spessissimo la stessa cosa, soprattutto dagli scolari. Questo significa che l’abitudine di falsificare i suoni schiarendoli è ben radicata dal secolo prima, e non sembra nemmeno confinata entro il territorio italiano. Forse può essere interessante notare come le cose non siano affatto cambiate nel corso dei secoli. Dopo il passaggio storico del Romanticismo alcuni cantanti d’opera non esitano tuttora a trasformare le vocali, scurendole notevolmente attraverso l’attivazione di un processo accentuato di copertura dei suoni. Ciò si è reso necessario per ottenere un particolare incremento energetico della risonanza di alcuni suoni armonici, che si attesta intorno ai 2500 Hertz, ed è detto formante. Con ciò al cantante diventa immediatamente possibile superare il muro dell’orchestra e arrivare al pubblico, da solo contro 80-120 professori d’orchestra.30 La situazione, come si sa, è spinta così avanti fino a rendere incomprensibile il testo. Adesso come allora, e di nuovo in nome della tecnica vocale e per causa sua. La configurazione sonora del coro rinascimentale anch’essa contribuisce a confermare la tendenza di perseguire l’ideale di chiarezza del suono da parte dei nostri predecessori. Se infatti da una parte abbiamo detto che il coro antico intonava i brani molto più al grave rispetto all’attuale coro moderno, dossIER dall’altra dobbiamo rilevare che lo sviluppo timbrico delle voci del coro rinascimentale si muoveva senza interruzione dal grave all’acuto attraverso un incremento timbrico costante, caratterizzato proprio da una sempre maggiore chiarezza. Dal colore scuro del bassus fino a quello chiaro del cantus, il coro antico mostrava chiaramente quale fosse la sua tendenza verso il timbro chiaro. Il tenor era una voce maschile di timbro baritonale,31 e sopra di essa, particolarmente caratterizzante in questo senso, la voce dell’altus proseguiva la tendenza verso il chiaro. Essa era affidata non alle voci scure del contralto moderno, ma a quelle chiare e squillanti dei falsettisti e delle voci acute.32 La linea del cantus, ovviamente, completava l’ascesa timbrica, affidata ai bambini, ai falsettisti acuti oppure ai castrati. Questo particolare avanzamento timbrico verso il chiaro è invece completamente distrutto dalla disposizione fonica del coro moderno. Come accennato, la presenza delle voci scure dei contralti successive al timbro chiaro dei moderni tenori rappresenta una inevitabile inversione di colore. Esso assume un andamento instabile, passando dal suono scuro dei bassi a quello chiaro dei tenori, per tornare scuro con l’arrivo dei contralti prima di schiarirsi di nuovo con i soprani. Il compositore rinascimentale aveva bene in mente quale fosse il suono delle voci del suo tempo. È il timbro rotondo e avvolgente dei contralti a essere il maggior responsabile (nel bene e nel male) del suono di un coro moderno. Ottimo e imprescindibile eseguendo musica moderna e contemporanea, meno opportuno per il periodo rinascimentale. È ben noto come l’esecuzione di un mottetto in formazione antica sia in grado di suscitare sensazioni di brillantezza e di lucidità timbrica notevolmente maggiori rispetto a una sua realizzazione in formazione moderna. E questo nonostante quest’ultima abbia potuto intonare il brano anche una quarta sopra rispetto alla formazione in coro antico. 11 verso il chiaro a tal punto da creare il desiderio della figura dell’evirato cantore, che può essere considerato come l’estremizzazione assoluta di questa tendenza all’acuto? 28. Conrad Von Zabern, De modo bene cantandi choralem cantum in multitudine personarum, Mainz, Peter Schöffer, 1474, p. 61. 29. Ibidem: «[…] ita ut audiverim aliquos cantantes: dominus vabiscum, aremus, ut ego dicerem ad mihi proximiores: Absit a nobis arare. Et revera a Francofordia usque ad Confluentiam et ab inde usque ad Treverim notavi hoc praecipue in scolaribus saepissime». 30. Ciò è divenuto necessario con l’aumento del fronte sonoro legato all’avvento dell’orchestra romantica, come già detto. 31. Anticamente il tenor manteneva la melodia gregoriana al cantus firmus; di qui l’opportunità di affidarlo a una voce dalla tessitura centrale, in modo tale che la sua riproduzione non si allontanasse dai canoni estetici e timbrico-vocali caratteristici delle melodie gregoriane. 32. L’etimologia della parola parla chiaro. Si trattava di una voce alta, acuta, derivata dall’uso arcaico di contrappuntare la melodia del cantus firmus affidata al tenor con una seconda melodia originale: il contratenor altus (se posto sopra al tenor) e il contratenor bassus (se posto sotto al tenor). Da qui probabilmente derivano i nomi odierni. 33. Ipotizziamo una dissonanza distribuita tra i tenori e i contralti: i primi impegnati nell’emissione acuta del sol3 (suono reale), e i secondi comodamente distesi sul fa3 prima di risolvere l’urto scendendo al mi4. In questo caso la diversità timbrica affievolisce notevolmente la portata della dissonanza. La stessa situazione affidata alla coppia tenor-altus del coro antico avrebbe sortito un effetto molto più efficace. 34. D’altra parte siamo ben certi che tali geni della composizione avrebbero saputo partorire altrettanti capolavori se avessero avuto a disposizione il nostro coro moderno. 35. Ne sono testimonianza le dimensioni delle tombe, l’altezza delle porte dei palazzi del Cinquecento, la grandezza delle armature, le descrizioni e le testimonianze dei contemporanei… 36. Si può ritenere che l’aumento dell’altezza possa avere avuto una qualche ripercussione anche sulla pressione sanguigna e quindi sulla frequenza cardiaca. Tant’è che il valore di 60 battiti al minuto del polso umano, identificato nei trattati antichi come la 12 A proposito della conformazione del coro antico sembra utile riflettere su un aspetto che potrebbe rivelarsi significativo. Probabilmente può esserci qualcosa di più rispetto alle problematiche legate alla questione parallela se sia opportuno eseguire la musica antica con i moderni strumenti oppure no. Il compositore rinascimentale ha infatti adottato certe soluzioni compositive, o ha preferito certe figurazioni contrappuntistiche rispetto ad altre, perché aveva bene in mente quale fosse il suono delle voci del suo tempo, e soprattutto quale sarebbe stato l’effetto fonico che esse avrebbero sortito in quella particolare situazione. Sappiamo che la resa sonora di una dissonanza di tipo armonico è tanto più efficace quanto più è affine il timbro delle parti alle quali essa è affidata. Partendo da questo presupposto, ad esempio, sarebbe interessante affrontare un lavoro di tipo statistico e verificare quante volte il compositore rinascimentale abbia voluto affidare le dissonanze, i ritardi e gli urti armonici al tenor insieme all’altus, e quante altre invece li avrà voluti distribuire tra tenor e cantus. In altre parole ci si può interrogare su quali siano le due sezioni del coro antico sulle quali sia caduta la maggiore quantità di dissonanze di tipo armonico, per tentare di dedurre che il loro timbro doveva presumibilmente risultare piuttosto simile. In particolare sarà interessante verificare il risultato nelle due situazioni ipotizzate: a rigore di logica dovrebbe essere la combinazione tenor-altus ad assicurarsi il maggior numero di occasioni dissonanti, piuttosto che quella tenor-cantus, che appare più funzionale nel caso di un coro moderno. Come abbiamo accennato in precedenza, la particolare configurazione timbrica del coro antico determinava una interessante assonanza di colore tra il tenor e l’altus. Le ricordiamo entrambe affidate a voci maschili, l’una contigua all’altra rispetto al timbro, la seconda costituita come uno sviluppo all’acuto dell’altra. Sotto questo aspetto esse appaiono completamente diverse dalla coppia tenore-contralto dell’attuale coro moderno, nel quale rappresentano due universi timbrici estremamente lontani l’uno dall’altro: una dissonanza tra di loro non avrebbe nessun effetto apprezzabile. 33 Possiamo anche supporre che la coppia altus-cantus possa aver dato risultati discutibili sul piano della resa delle dissonanze e anche su quello dell’amalgama, nel caso in cui volessimo ipotizzare una aggregazione tra un castrato contralto e di un bambino soprano, a causa della potenza di suono del primo rispetto a quella del secondo. È chiaro che possiamo andare avanti quanto si vuole ad analizzare le molteplici possibilità di intreccio polifonicotimbrico che si offrivano alla penna dell’antico compositore, ma non è questo il nostro intendimento. Piuttosto, in conseguenza di queste premesse, vogliamo ipotizzare una conclusione: l’utilizzazione di voci moderne con un timbro diverso da quello del Rinascimento può falsare l’intera costruzione dell’opera musicale, perché mina alla base la costruzione contrappuntistica, il movimento delle parti, la distribuzione delle dissonanze, l’entrata delle sezioni, insomma, l’intero costrutto compositivo. In altre parole possiamo ragionevolmente chiederci: se Giovanni Pierluigi da Palestrina avesse avuto a disposizione il quadro fonico che sprigiona da un moderno coro a voci miste, le sue scelte contrappuntistiche all’atto della creazione dei suoi tanti capolavori sarebbero state diverse? Avremmo adesso un’altra Sarà mai possibile ottenere una ricostruzione del suono di un coro del Rinascimento? Missa Papae Marcelli molto diversa da quella che è giunta fino a noi? Dobbiamo ammettere di sì,e possiamo (scherzosamente) dire che abbiamo corso il rischio di perdere tanti capolavori…34 Ma c’è il rovescio della medaglia. Per sentire l’effetto reale che il compositore aveva cercato utilizzando i suoni delle voci del Rinascimento, dovremmo usare le stesse voci del Cinquecento? Al di là delle menzionate distorsioni e delle (umane) esagerazioni dei cantori rinascimentali, e sopravanzando il quesito se si possa sostituire la voce perduta dell’evirato cantore con quella dei falsettisti e degli attuali controtenori, dal punto di vista strettamente vocale dobbiamo forse ritenere che la distanza tra le esecuzioni moderne e quelle autentiche rinascimentali dovrebbe essere notevole a causa di dossIER alcune trasformazioni fisiologiche, intervenute ad alterare i parametri vocali durante i cinque secoli che ci separano dal Rinascimento. È ragionevole supporre che l’altezza media dell’uomo moderno, aumentata di così tanto rispetto a quella di un uomo del Rinascimento,35 possa avere avuto conseguenze non trascurabili sul timbro della voce. Le corde vocali si sono evidentemente anch’esse allungate a causa della maggiore incidenza dell’ipofisi – e soprattutto degli ormoni da essa comandati – sulle ossa e sulle cartilagini laringee che ne determinano le dimensioni. Di conseguenza si può immaginare che il timbro possa avere subìto un certo scurimento, collegato a un abbassamento della frequenza media dei suoni.36 Per non parlare delle voci dei pueri. Al contrario di quelli rinascimentali, i nostri bambini sono involontariamente sottoposti a un bombardamento ormonale causato dall’ingestione di cibi particolarmente ricchi di tali sostanze. Questo fatto incide profondamente sullo sviluppo scheletrico oltre che su quello linfatico-metabolico. Siamo infatti a conoscenza di un processo di trasformazione delle voci umane, le quali sembrano subire una sorta di crescente mascolinizzazione delle frequenze e dei timbri, per cui possiamo affermare che il suono cristallino delle voci bianche del Rinascimento possa essersi trasformato attualmente in qualcosa di diverso. Le voci dei bambini adesso sono infatti alquanto corpose e di una pasta piuttosto lanosa, avendo perso la consistenza brillante, leggera e setosa che caratterizzava le loro voci anche solo pochi decenni fa. Oltretutto la muta sessuo-vocale interviene molto in anticipo rispetto alla norma, e il periodo efficiente di attività della voce bianca si è molto contratto, rendendo poco fruttuosa tutta la gran massa di sforzi che occorre fare per portare a efficace maturazione l’emissione di un bambino. Abbiamo velocemente accennato alla possibilità di sostituire i castrati con le voci dei falsettisti. Non vogliamo liquidare la complicata questione con pochi pensieri, ma dobbiamo ammettere che la laringe di un castrato doveva essere completamente diversa da quella di un falsettista, che nella maggioranza dei casi appartiene a un baritono. A causa delle rivoluzionarie trasformazioni ormonali coincidenti con la pubertà, che invece venivano quasi totalmente impedite 37 all’atto della castrazione, la laringe di un cantore evirato si conservava di dimensioni ridotte, simile a quella di un bambino in età prepuberale. Inoltre essa si manteneva a una distanza minore dal risonatore buccale rispetto a quella di un cantore non castrato (anche solo a causa 13 tipica velocità del tactus, adesso sembra essersi attestato sopra ai 70 battiti. Sarebbe interessante interrogarsi sulla possibilità che questo fatto possa avere avuto una sua influenza anche sul timbro vocale: per esempio collegandolo al probabile maggiore afflusso di sangue alle corde vocali, che potrà verosimilmente aver causato una loro maggiore tonicità e uno spessore maggiore. 37. Era di fatto impedita la produzione del testosterone da parte dei testicoli, ma una minima parte della sostanza ormonale era comunque secreta dalle ghiandole surrenali, che ovviamente non venivano asportate. 38. Alcune delle leggende che aleggiano intorno ai castrati, però, possono essere in qualche modo ridimensionate. I fiati di lunghezza stupefacente di cui si sente a volte parlare erano solo in parte causati dal disequilibrio tra le corde vocali piccole come quelle di un bambino e la gabbia toracica grande come quella di un uomo (ma più elastica, a causa della mancata ossificazione delle cartilagini che collegano le costole allo sterno). Il resto era determinato dall’enorme quantità di esercizi e di allenamenti vocali ai quali un castrato si sottoponeva per mantenersi ai livelli artistici altissimi che gli erano richiesti. Anche l’abilità nelle acrobazie vocali può essere collegata con questo fatto. Infine possono essere messi in discussione pure l’intensa e licenziosa vita amorosa, e il fascino che erano loro attribuiti: lo squilibrio ormonale, l’assenza di testosterone (ormone preposto allo sviluppo generale dell’organismo e al metabolismo delle proteine) e la conseguente quasi totale eliminazione della inibina dal loro corpo (altro ormone preposto a equilibrare la crescita attraverso l’opposizione alle gonadotropine dell’ipofisi) dotavano i castrati di un corpo alquanto sproporzionato, dall’aspetto a pera (disfunzioni ipofisariche), praticamente glabro e sofferente di numerosi disturbi linfatico-ormonali. 39. La loro voce asessuata doveva proprio per questo essere inconfondibile. L’ascolto della famosa registrazione della voce di Alessandro Moreschi, evirato cantore della Cappella Sistina, avvenuta tra il 1902 e il 1904, al di là delle inaccettabili aberrazioni estetiche, mostra in alcuni brevi episodi acuti (e solo in quella tessitura) una pasta e un colore particolarmente fascinosi, non riconducibili a nessuno dei canoni estetici esistenti. 14 del minore peso), cosa che attribuiva al suo proprietario un timbro molto particolare, in grado di mandare letteralmente in visibilio il pubblico degli ascoltatori.38 Le corde vocali più corte e sottili di quelle di un uomo permettevano delle agilità non solo di fraseggio ma anche di suono vero e proprio che ponevano i castrati nell’Olimpo del teatro musicale e non solo. Il fatto sostanziale era che le loro corde vocali si muovevano in tutta la loro lunghezza e soprattutto in tutta la loro larghezza, coinvolgendo nella vibrazione anche l’intera mucosa del conus elasticus. Sotto una spinta aerea notevolissima, sostenuta da una capacità polmonare particolarmente rilevante a causa dell’intenso allenamento vocale-muscolare, ma soprattutto – proprio per questo – spinta da una elasticità diaframmatica notevole, la voce doveva uscire piena, lunga, penetrante, fascinosa, inquietante.39 rumori esterni. Può farlo solo indurendo le sue fibre e irrigidendo i suoi muscoli tensori per diminuire l’ampiezza delle sue vibrazioni. Risultato: siamo dotati di una capacità uditiva molto meno raffinata di quella dei nostri antichi predecessori. E questo spiega il numero esorbitante di scale e di accordature che esistevano nell’antichità, mentre noi siamo in grado di apprezzarne e riconoscerne solo due: la scala maggiore e quella minore. 42 Se poi siamo potuti diventare così tanto connaturati e assenzienti con quell’insieme di suoni stonati rappresentato dalla scala temperata vuol proprio dire che la nostra sensibilità uditiva si è molto indebolita. Ma allora come possiamo godere delle raffinatezze di cui si nutriva la musica antica, anche solo dal punto di vista dell’intonazione?43 E come possiamo cogliere tutta la suadenza espressiva di un deuterus, senza limitarci a dire che «serve a musicare i testi malinconici»? Si tratta di un condizionamento molto grave se si pone a confronto questa situazione musicale con quella pittorica, come all’inizio di questo scritto.44 La limitazione di usare solo i sette suoni della scala, senza poter adottare nessuna sfumatura intonativa, è una cosa alla quale adesso siamo perfettamente abituati dall’uso della nominata scala temperata; anzi, ci sembrerebbe strano il contrario. Ma la drammaticità della costrizione balzerebbe subito agli occhi se pensassimo a un pittore che fosse obbligato a dipingere i suoi quadri usando solo i sette colori puri dell’arcobaleno La particolare configurazione timbrica del coro antico determinava un’interessante assonanza di colore tra il tenor e l’altus. Torniamo a leggere i trattati antichi, e ci stancheremo di contare la gran quantità di volte in cui il verbo offendere appare in riferimento alla percezione (offendere l’udito; recare offesa all’ascoltatore). Cerchiamo di superare la facile occasione di pensare a un semplice arcaismo, e proviamo a chiederci se l’uso tanto ripetuto di questo verbo dal significato così forte e specifico non possa avere una giustificazione di natura puramente percettiva. Pensiamo al nostro orecchio ed entriamo al suo interno, osserviamo il timpano, i tre ossicini della staffa, l’incudine e il martello (i più piccoli e delicati del nostro corpo) che trasmettono le vibrazioni alla finestra ovale, vediamo la preziosa coclea, l’organo del Corti… e riflettiamo su un fatto molto significativo: il nostro organo dell’udito, così importante da svilupparsi per primo durante la vita prenatale, tra tutti gli organi dei sensi è l’unico privo della possibilità di chiudersi per proteggersi dal mondo esterno. 40 Insomma non ha le palpebre come l’occhio, e in caso di forte rumore non può difendersi. Facciamo un altro passo in avanti, e riconosciamo che il mondo in cui viviamo è estremamente rumoroso, o almeno lo è assai di più di quello di cinquecento anni fa.41 Possiamo dunque immaginare il nostro delicatissimo timpano mentre cerca di preservarsi e proteggersi dai tanti senza poterli miscelare, impedendogli quindi quelle miracolose sfumature di cui si nutrono i capolavori della pittura. 45 Nessun pittore, di nessuna epoca storica, accetterebbe di sottostare a questo malvagio e penalizzante condizionamento. Quindi, mentre da una parte abbiamo Rossini, che è riuscito a scrivere i suoi capolavori usando proprio e soltanto le sette note-colori (ci troviamo in piena epoca temperata), dall’altra ci sono i compositori rinascimentali, che invece hanno scritto tutte le loro opere avendo davanti agli occhi-orecchi una tavolozza ricca di una grandissima varietà di note-colori, ma che noi abbiamo purtroppo completamente perduto. 46 La questione, quindi, non sembra dover rimanere circoscritta intorno ad argomenti isolati, come il dibattito sulla presenza delle donne contrapposta all’uso dei falsettisti, o la ricerca dell’intonazione antica contrapposta a quella moderna dossIER temperata. Nel dibattito tra coro antico e coro moderno, tra voci perdute e suoni da riconquistare, vogliamo concludere con un’ultima provocatoria riflessione. Immaginiamo che una qualche radiazione cosmica, o un fenomeno termico estremo, o ancora una trasformazione dell’atmosfera abbiano potuto alterare le cellule del legno e indurito le sue fibre, rendendolo inutilizzabile per la costruzione degli strumenti musicali. Cosa faremmo allora di tutta la musica strumentale? Abbandoneremo tutte le orchestre, rimaste senza tutta la famiglia degli archi, dei legni, senza le arpe; faremo tacere tutti i trii, i quartetti; getteremo nel silenzio tutti i pianoforti del mondo… Saremo disposti a distruggere per sempre un così grande tesoro della cultura? Oppure decideremo di ricostruire gli strumenti con un ottimo legno sintetico, ottenuto facilmente magari con i polimeri di alcune leghe particolari, cercando di abituarci al nuovo suono che questi emetteranno? È proprio quello che abbiamo fatto quando abbiamo perduto per sempre i cantori del Rinascimento. Ed è quello che dobbiamo continuare a fare. 15 L’articolo è pubblicato per gentile concessione della rivista “Polifonie”, edita dalla Fondazione Guido d’Arezzo. 40. In caso di pericolo proveniente dall’esterno gli occhi possono difendersi chiudendo le palpebre, la lingua può proteggersi chiudendo le labbra, le mani possono chiudersi a pugno e il naso può smettere di respirare, almeno per un po’. L’orecchio no: è condannato a sentire incessantemente. Sarà per questo che abbiamo un campo di udibilità estremamente ristretto rispetto alla maggioranza degli animali? Tanto non dobbiamo difenderci dai predatori, noi… 41. Per dovere riportiamo un divertente passo dal Contrasto musico di Grazioso Uberti, che descrive i rumori della città e sembra contraddire quanto scritto sopra: «Discordanti sono le Campane, offendono l’orecchie li martelli dei Bottegari, fanno tremare le viscere gli stridi delle Seghe, noiosi sono i tumulti che si fanno per le strade e per le piazze; Introna il capo il corso delle Carrozze e dei Carri». Ma quando parla della vita in campagna si lamenta ugualmente dei minimi rumori, al punto che si capisce trattarsi di una specie di scherzo poco attendibile: «[…] si sentono li cani che abbaiano; altri animali che strepitano; gli Operarij che gridano; le Contadine che cantano; le Cicale che assordano; li Guffi che inquietano; li Grilli che annoiano; le Rane che molestano». Ma oltre alla risibile presenza dei gufi, delle rane e dei grilli, è poco dopo che si rivela la riuscitissima burla, quando afferma che «anche gli Amici della solitudine ne gli eremi e nelle caverne soffrono l’importunità dell’Echo». D’altra parte chi parla è uno dei due personaggi protagonisti del dialogo, e si chiama Giocondo. L’altro è Severo. Cfr. Grazioso Uberti, Contrasto musico, opera dilettevole, Roma, Lodouico Grignani, 1630, parte prima, pp. 5-6, (ristampa anastatica a cura di Giancarlo Rostirolla, Lucca, Libreria Musicale Italiana Editrice, 1991 (Musurgiana; 5)). 42. Impressiona la sbalorditiva quantità di accordature diverse che venivano utilizzate nel passato. A scopo dimostrativo si veda Patrizio Barbieri, Acustica accordatura e temperamento nell’Illuminismo veneto. Con scritti inediti di Alessandro Barca, Giordano Riccati e altri autori, Roma, Torre d’Orfeo, 1987 (Istituto di Paleografia musicale. Serie I: Studi e testi; 5). 43. I musicisti orientali e anche mediorientali non lontani da noi, sono in grado di eseguire e apprezzare raffinatissime variazioni dell’intonazione dell’ordine di pochi cents. Queste delicate modificazioni sono applicate anche alla “tonica”, che si mostra con diverse angolature intonative a seconda del punto in cui si trova nella composizione. 44. Ho già avuto modo in passato di esprimere questa riflessione, ma in questa occasione ritengo opportuno riprendere brevemente un concetto. Cfr. Walter Marzilli, Musica, pittura e cinema: interazioni, «Lo spettacolo», XLVII, n. 3, luglio-settembre 1997, pp. 285-299. 45. E già questo sarebbe un vantaggio del pittore sul musicista: tra i sette colori dell’arcobaleno, infatti, alcuni sono il frutto della fusione di altri due, quindi già ben amalgamati. 46. In questo senso vogliamo aggiungere un’ulteriore considerazione. Dopo l’affermazione del temperamento sulle scale antiche abbiamo testimonianza di numerose critiche rivolte ai compositori, che li accusavano di spregiudicato modernismo, di atteggiamenti audaci riguardo all’uso delle dissonanze, di asprezza delle armonie… Non potremmo addebitare ciò anche allo scontro di due fattori incompatibili? Da una parte i compositori, che potevano adottare alcune nuove soluzioni armonico-melodiche permesse loro dall’adozione dei gradi equiparati ed equivalenti della scala temperata (modulazioni, transizioni, accordi dissonanti ecc.); dall’altra gli strumenti e gli strumentisti, che continuavano a intonare gli intervalli ancora secondo le scale precedenti… 16 dossIER un padre e la sua creatura incontro con giovanni bonato a cura di Alvaro Vatri Come hai scoperto la tua “vocazione” per la scrittura? È difficile da spiegare. Da bambino ero attratto dalla creazione musicale, ma questa passione è rimasta nascosta nel mio intimo forse per pudore, sebbene in famiglia si vivesse nella passione per la musica e per il canto corale (il papà era direttore e organista del coro parrocchiale e fondatore di un noto coro maschile popolare). Dopo la sua scomparsa (quando avevo quattordici anni) ho trascorso alcuni anni di “sbandamento” esistenziale e ho cominciato a prendere le prime lezioni di composizione da un musicista amico di famiglia. Costui mi ha “rotto gli argini” e, assieme alla mia volontà di onorare i desideri di mio padre, a diciassette anni ho deciso che avrei fatto il compositore. formato e forgiato nel periodo giovanile: Fabio Vacchi, Adriano Guarnieri e soprattutto Giacomo Manzoni, che più di chiunque altro mi ha aperto gli occhi verso la composizione contemporanea. Non bisogna dimenticare che in quegli anni ’80 frequentavo il conservatorio di Milano e proprio la Milano di quel periodo abbondava di vita musicale significativa e di taglio internazionale sotto tutti i punti di vista, soprattutto nella musica contemporanea. Milano, devo ammetterlo, mi ha insegnato molto. In seguito ho avuto frequenti contatti con Luciano Berio, del quale ho sempre ammirato la sua molteplicità di interessi, la sua curiosità intellettuale e le sue infinite capacità tecnico-compositive. È ovvio che potrei citare molti altri nomi di musicisti e compositori del passato e del presente che per molti aspetti mi hanno attratto e dai quali ho cercato di cogliere lati a tratti anche estremamente diversi tra loro. Ma la lista sarebbe lunghissima e rischierei di annoiare. Fra i personaggi di riferimento, estranei al mondo musicale, che mi hanno insegnato molto e ai quali sono molto legato (oramai ahimè solo nel ricordo, data la sua recente scomparsa) in modo particolare ricordo Mario Rigoni Stern. Un autentico maestro che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare per parecchi anni. giovanni La tua formazione: chi sono (se li hai) “maestri” (in senso lato e/o più strettamente musicali), o comunque ci sono delle personalità che hanno rappresentato un riferimento nel tuo percorso di formazione? Al di là di mio padre, mio primo maestro e colui che con il suo esempio mi ha fatto vivere momenti irripetibili dal punto di vista musicale/ emozionale/educativo, dopo la mia introduzione al conservatorio ho avuto modo di apprezzare diverse personalità che a loro modo mi hanno compositorE Tu sei autore di musica sia vocale che strumentale: qual è il tuo rapporto con questi ambiti musicali, hai preferenze, quale ti dà maggior gusto, quale ti “sfida” di più? Direi che l’aspetto che mi stimola di più, generalmente, è la complessità, è il “gioco di squadra”, sia in ambito strumentale sia in quello vocale. Scrivere per orchestra mi attrae da sempre, così come per coro. Va da sé che combinare questi due elementi mi stimoli moltissimo… anzi, quando capita l’occasione di metterli insieme all’inizio del lavoro vivo in una sorta di agitazione dovuta alla frenesia con cui vorrei adottare certe soluzioni e combinazioni timbriche. In definitiva, in fase di concepimento del pezzo devo contenere… le mie pulsioni! “Ispirazione” e “Committenza”: come si equilibrano nel tuo lavoro? Scrivere sotto l’impulso dell’ispirazione è possibile, scrivere solo perché qualcuno ce lo ha commissionato ma senza una vera “pulsione” interiore è possibile? E comunque non si corre il rischio di produrre qualcosa di freddo, di routine, frutto di sapienza tecnica ma senza il “soffio dell’arte” (e poi esiste “il soffio dell’arte”)? Chiaro che si equilibrano nel momento in cui queste si combinano. Chiaro anche che l’esperienza, la pratica, il cosiddetto “mestiere”, ti sorreggono nel momento in cui la committenza ti impone dei parametri a te poco consoni. Avendo scelto questo tipo di attività professionale è un aspetto che può capitare, ma non ne faccio un dramma. Anzi… a volte esso si può trasformare in uno stimolo che ti riserva belle sorprese e ti arricchisce artisticamente. E poi, diciamolo pure. Già il fatto che qualcuno ti offra una commissione è di per sé, a mio parere, un fatto stimolante e che mette in moto una serie di motivi di interesse che, se vogliamo, possono “ispirarti”. L’importante è capire che la cosiddetta “ispirazione”, quello che definisci “il soffio dell’arte” può scaturire da una molteplicità di fattori, di elementi. Essenziale è saperli indirizzare secondo una tua estetica e una linea ben definita. 17 Qual è il rapporto con le tue opere: una volta “messe al mondo” ritieni che non appartengano più a te ma a chi le esegue (e se ne assume le responsabilità) oppure vuoi che le esecuzioni rispondano sempre a una tua precisa idea? Hai degli “esecutori di riferimento” (ovviamente dal tuo punto di vista, cioè persone a cui tu affidi l’esecuzione delle tue opere)? Ti fa piacere se un interprete, eseguendo prevalentemente musica tua, poi “si fregi” del ruolo di esecutore di riferimento? È ovvio che un interprete, che “si fregi” del ruolo di tuo esecutore di riferimento, ti faccia piacere. Spesso è per me stesso un onore. Preferisco comunque che, una volta “messa al mondo”, una mia opera sia in grado di vivere una vita propria e serena. È ciò che un “padre” augura, in fin dei conti, a una propria creatura, a un proprio figlio. È auspicabile che appena se ne esce di casa sia in grado di condurre una sua esistenza autonomamente. Perché questo accada è doveroso La cosiddetta “ispirazione” può scaturire da una molteplicità di fattori. nni Tu hai avuto esperienza di cantore, sei un didatta, sei stato (tra i tanti prestigiosi impegni da te ricoperti) docente al Seminario di Aosta, conosci quindi l’intero percorso e lo hai vissuto su tutti i fronti: quali consigli ti senti di dare a chi volesse scrivere per coro? Direi che, nello specifico, è determinante aver cantato in un coro, ed eventualmente diretto, per lungo tempo. L’esperienza “sul campo” fin dalla più tenera età è quanto di più auspicabile, non solo per chi si volesse cimentare nella composizione corale, ma anche per chi, più semplicemente, desidera vivere un “rito collettivo” estremamente utile alla comprensione delle dinamiche di gruppo finalizzate alla produzione di un “oggetto” artistico. Questa esperienza, se sommata alle innumerevoli possibilità che un testo offre e al desiderio di esprimere le capacità vocali di un coro, può dare infinite combinazioni, non di rado di grande interesse e fascino. che venga “accettato” esattamente con la sua personalità dalla “comunità corale” che lo ha accolto. Nella mia produzione ci sono “figli” (pochi) che per loro natura si possono discostare da una certa linea originale tramite piccole modifiche altrui, altri invece che necessitano di un certo rigore e precisione. Se un complesso amatoriale “strapazza” un po’ la tua musica sei indulgente oppure… Di situazioni come queste ne ricordo solo una, forse due, molti anni fa. E mi sono infuriato di brutto. Ma in genere i gruppi amatoriali prima di affrontare qualcosa di mio ci pensano un po’ su. Il rapporto di un coro con la tua scrittura: sembra che “intimidisca”, almeno a un primo approccio. Qual è la tua posizione e quanto, a tuo parere, un compositore può “concedere”, fino a che punto può accettare “compromessi”? Gli eventuali compromessi vanno il più possibile limitati e resi “inoffensivi”. Sono solitamente il frutto di inconvenienti dell’ultimo momento. Fortunatamente mi capita di rado. Merito innanzitutto di quegli interpreti che mi onorano del loro interesse, della loro professionalità, del loro talento e della loro passione. Tra i numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali quale (o quali) è stato il più gratificante (ovviamente fino a ora, perché altri ne arriveranno, ne siamo sicuri)? Non c’è dubbio che il Premio Reina Sofia sia stato il 18 Giovanni Bonato_______ Nato a Schio, si è diplomato al conservatorio G. Verdi di Milano sotto la guida di Giacomo Manzoni. È autore di numerosi brani di musica cameristica, corale e sinfonica con i quali si è distinto sia in campo nazionale sia in quello internazionale. Ha ricevuto diversi riconoscimenti in premi e concorsi internazionali di prestigio (A. Casella, G. d’Arezzo, Città di Trieste, G. Contilli, I.C.O.N.S., 2 Agosto, Rhein-Ruhr, G. Petrassi, 50th Tokyo Met. Go., Wiener Int. Kw., Schiedmayer Preis, F. Evangelisti, Uuno Klami Competition, Prix Reine Marie José, Premio Reina Sofia per citarne alcuni). Fra gli interpreti dei suoi lavori ricordiamo il Quartetto Arditti, K. Ono, A. Tamayo, G. Neuhold, Ex Novo Ensemble, H. Starreveld, D. Callegari, M. Brunello, F.M. Bressan, Athestis Chorus, D. Nordio, S. Tasca, L. Slatkin, Neue Vocalsolisten Stuttgart, F. Erle, Duo Alterno, Estonian National Male Choir, A. Soots, J. Nikkola, E. Ericson, World Youth Choir, F. Sjöberg, Ensemble vocal Séquence, L. Gay, Coro e Orchestra dell’Acc. N. di S. Cecilia, M. Buchberger, L. Segerstam, Tower Voices New Zealand, Kymi Sinfonietta, Y. Shinozaki, Coenobium Vocale, J. Berger, S. Kuret, J.L. Temes, Coro e Orchestra della RTVE. Designato quale “compositore in residence” dall’Orchestra di Padova e del Veneto per la stagione concertistica 2002-2003, le sue composizioni sono trasmesse dalle maggiori emittenti radiofoniche europee e sono state pubblicate da Ricordi, Rugginenti, Agenda, Salabert, A Coeur Joie, Edition Ferrimontana, Ed. Fondazione G. d’Arezzo, Suvini-Zerboni, Feniarco Edizioni Musicali, Astrum. Ha iniziato la sua attività di docente di Armonia, Contrappunto, Fuga e Composizione nel 1987 al conservatorio J. Tomadini di Udine; dal 1992 ricopre la stessa cattedra al conservatorio C. Pollini di Padova. riconoscimento più gratificante fra quelli da me ottenuti di recente. Al di là della vittoria in sé, mi ha dato l’opportunità di vivere dei momenti indimenticabili assieme a mia moglie, alla mia famiglia, per la soddisfazione professionale e per tutti gli attestati di stima e ammirazione ricevuti da numerosissime persone di ogni estrazione. Non posso però non menzionare anche il Premio Uuno Klami 2004 in Finlandia (composizione per orchestra sinfonica), nel quale, oltre al primo premio, mi è stato assegnato anche quello della Società dei compositori finlandesi, molti dei quali ammiro molto e verso i quali sento di avere molte affinità. Una grande soddisfazione ed emozione davvero! In quell’occasione ho avuto modo di capire che la mia estetica andava nella giusta direzione. La tua poetica è molto legata alla natura e alla “civiltà” dell’Altopiano di Asiago. Ce ne vuoi parlare? All’Altopiano di Asiago sono legato da sempre, anche da un punto di vista ancestrale. Nei limiti che il tempo, la famiglia e il lavoro mi concedono cerco di partecipare alle sue manifestazioni più significative e di trascorrere lunghi momenti immerso nella sua natura di rara bellezza e varietà. Ricollegandomi al discorso sull’ispirazione fatto prima, posso senza dubbio dire che questi luoghi sono per me una fonte inesauribile di stimoli e di richiami sonori. Da qualche anno poi ho la fortuna di venire coinvolto con produzioni originali e commissioni nell’ambito di Asiagofestival, un festival estivo che di anno in anno acquisisce sempre più i connotati e il prestigio internazionali, grazie al suo direttore artistico, il famoso violoncellista tedesco Julius Berger. È per me l’occasione di dare “sfogo” e corpo a idee musicali in omaggio a una “civiltà” umile e antica, ricca e orgogliosa delle proprie tradizioni plurisecolari. Fra gli appuntamenti più significativi della prossima stagione concertistica di Asiagofestival (per fare un esempio) avrò a disposizione un’intera serata in cui verranno presentati tre miei lavori per coro, orchestra e solisti, ispirati alla cosiddetta “Grande Rogazione”, manifestazione popolare di carattere sacro che coinvolge in un lungo pellegrinaggio della durata di un intero giorno la popolazione di Asiago, ogni anno fin dal 1600! Uno dei tre pezzi presentati sarà Dar Gaist ist heüte kemmet, brano vincitore del Premio Reina Sofia 2009. La tua presenza in Feniarco, nella commissione artistica, ha coinciso con gli anni del consolidamento e dell’espansione della nostra federazione fino alla gratificante presidenza di Europa Cantat affidata al presidente Fornasier. Come hai vissuto questo progresso e come lo vedi in prospettiva? Effettivamente la coincidenza c’è, ma sono convinto che il mio ruolo in seno alla commissione artistica di Feniarco non sia stato così determinante. Ben altri sono coloro cui si deve questo crescente salto di qualità (e di quantità). In questi anni di mandato ho avuto modo di notare l’impressionante determinazione del presidente Fornasier e l’efficienza del suo staff nel voler portare la coralità italiana in una posizione di rilievo e di prestigio in campo internazionale, senza tralasciare la spinta qualitativa nei confronti delle realtà corali italiane. Va dato loro atto di essersi incaricati di un ruolo di impegno estremo, così come di grande capacità manageriale e onestà professionale, sapendo coinvolgere e stimolare al meglio le più qualificate personalità del mondo corale italiano e straniero in progetti di grande spessore e originalità. Sono certo che sviluppi ed esiti fortemente positivi non si faranno attendere. L’appuntamento più ghiotto sarà Torino 2012. compositorE 19 Composizioni vocali di Giovanni Bonato Erinnerung (1986) per 16 voci soliste, segnalata al XII Conc. Intern. Comp. Polif. “G. d’Arezzo”, Arezzo 1986. Phonemphasis (1987) per coro femminile, 1° Premio Conc. Intern. Comp. Polifonica “G. d’Arezzo”, Arezzo 1987. Hör...lass uns lauschen (1988) per flauto e coro misto da camera, testo tratto da Clemens Brentano, 1° Premio al Conc. Intern. Comp. Polif. “G. d’Arezzo” 1989, Arezzo. Testo tratto da Clemens Brentano. 1° Premio al Prix International de Composition Musicale “Reine Marie José” 2004 di Ginevra. Es. dell’Ensemble Vocal Séquence (dir. L. Gay) presso la sala Ernest Ansermet della Radio Suisse Romande a Ginevra, il 26 novembre 2005. Blason II (1989) per voce femminile, flauto in sol, clarinetto basso, percussioni e pianoforte preparato. Sirens (1992) per coro femminile, segnalata al Conc. Intern. di Composizione Polifonica “G. d’Arezzo”, 1992. Dilexi (Psalmus 114) (1995) per coro misto e percussioni ad libitum, commissione dell’Arciconfraternita della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, in occasione del 700° anniversario della nascita di San Rocco; esec. I Cantori di San Tomio presso la Sala Grande della Scuola di San Rocco e presso la Basilica di San Marco Venezia (marzo-ottobre 1995), Schio (aprile 1997). Editions A Coeur Joie, Lyon. Ben disposti silenzi (1995) per voce femminile, viola d’amore e live electronics ad libitum su testo di Andrea Zanzotto, inciso sul cd Poesia e Musica dell’oggi della Rivo Alto. Slaafan züuse (1995) per coro misto e a voci pari, commissione dell’Ergo Cantemus di Este (Pd), dir. F.M. Bressan, inserito nel cd Pietre, prod. Velut Luna. Inciso anche in cd Ergo Cantemus, prod. Velut Luna. Stetit angelus (1995) per coro a voci pari, commissione dell’Ergo Cantemus di Este (Pd). Inserito nel cd Ergo Cantemus, prod. Velut Luna, ed. Feniarco. Stabat mater (1997) per coro, orchestra sinfonica e sax contralto concertante, commissione dell’Athestis Chorus (dir. F.M. Bressan), Editions A Coeur Joie, Lyon. Bere’ shit (1997) per coro femminile, 2 arpe e 2/4 percussionisti, unica segnalata al Concorso Intern. Composizione polifonica “G. d’Arezzo”, 1997. Editions A Coeur Joie, Lyon. ...die Augen der Blinden...jubeln (1997) per coro misto a cappella, 1° Premio al Kompositionswettbewerb RheinRuhr ICV (1998), Bochum (Germania). Esec. degli Hallenser Madrigalisten, dir. Andreas Göpfert, il 31 ottobre 1998 presso l’Auditorium Maximum della Ruhr Universität di Bochum. Edition Ferrimontana, Frankfurt a.M. Vocelied (1999) per voce femminile e celesta, 1° Premio al 2° Internationaler Kompositionswettbewerb für Celesta (Schiedmayer Preis). Esec. il 7 agosto 1999 nell’ambito del Festival Europäische Kirchenmusik Schwäbisch Gmünd a Schwäbisch Gmünd (Germania) da parte di Judith Arens (soprano) e Alena Czerny (celesta). Esec. il 9 settembre 1999 nella Rokokosaal dello Steingräberhoftheater di Bayreuth. Es. da parte di P. Vaccari (soprano) e G. Dal Santo (pf.) nell’ambito di “Pomeriggio tra le muse” presso Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, Vicenza, il 2 dicembre 2007. Lied der Lärche (1999) per clarinetto basso e coro maschile spazializzato, esec. il 6 novembre 1999 al XIX Concerto d’Autunno a Vicenza e nelle Cave Arcari (Colli Berici-Vicenza) nell’ambito del concerto “Musica della pietra”, 17 settembre 2000, da parte di Luigi Marasca (cl. basso) e Schola S. Rocco di Vicenza (dir. F. Erle), commissione della Schola S. Rocco. Inserito nel cd Pietre, prod. Velut Luna. Or mira… questo giardino (2000) per coro misto e bicchieri, esec. il 5 giugno 2000 a Vicenza nell’ambito delle Letture giubilari dantesche, da parte della Schola S. Rocco di Vicenza, dir. F. Erle. Eseguito anche dalla Corale Nuovo Accordo (dir. A. Mistaro), nell’ambito del Festival di Musica contemporanea “Luigi Nono”, novembre 2003, a Trieste. Stoan Gaart (deùntarn) (2000) per due coro misti, sei percussionisti e violoncello concertante spazializzati, inciso sul cd Pietre della Velut Luna. Tu scendi dalle stelle (2000) per coro e orchestra sinfonica (elaborazione originale commissionata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma). Adeste Fideles (2000) per coro e orchestra sinfonica (elaborazione originale commissionata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma). Crux fidelis (2001) per coro maschile, 2° Premio al Concorso Internazionale di Composizione Polifonica “G. d’Arezzo” 2002. Brano d’obbligo al 51° Concorso Polifonico Internazionale “G. d’Arezzo” 2003. Esec. da parte del Coenobium Vocale, Vokalnja Akademja Ljubliana. Prima esec. a Tallinn (Estonia) nel 2004 da parte dell’Estonian National Male Choir (dir. A. Soots). Ed. Astrum-Slovenia. Inciso su cd Val. Parabasis (2002) per sestetto vocale misto. 1° Premio al Concorso “F. Evangelisti”, V edizione, 2002. Esec. da parte dei Neue Vocalsolisten (Stuttgart), nell’Auditorium del Conservatorio S. Cecilia in Roma, il 7 dicembre 2002, nell’ambito del Festival di Nuova Consonanza 2002. Trasmessa da RAI Radiotre il 25 maggio 2003. Ed. Suvini ZerboniSugarmusic, Milano. 20 di un unico istante... (2003) per voce femminile e pianoforte preparato. Audi, filia (2004) per coro misto spazializzato a 8 parti, brano commissionato da Feniarco. Eseguito nel luglio 2004 a Perugia, Assisi, Rimini, Chiavenna dal Coro Giovanile Italiano (diretto da F.M. Bressan). Esec. a Venezia, Scuola di S. Giovanni Ev. il 20 novembre 2004, nell’ambito dell’Assemblea Generale di Europa Cantat; di seguito a Udine e Biella. Eseguito al Festival Europa Cantat 2006 il 2-3 agosto 2006, Mainz. Eseguito dal World Youth Choir durante la sessione invernale 2004-2005 con tournée in 5 città del Belgio (dir. F.M. Bressan), nella sessione estiva 2004-2005 in Israele (dir. F. Sjöberg). Eseguito dal Örebrokammarkor (dir. E. Ericson) presso la Nikolaikirkan di Örebro (Svezia) il 2, 3, 24 aprile 2005. Eseguito dal coro giovanile Molto Cantabile di Lucerna a Wolhusen (Ch), il 1° luglio 2006 (dir. A. Felber). Eseguito dal Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma il 3 ottobre 2006 (dir. F.M. Bressan). Eseguito dal Hollands Vocaal Ensemble Amsterdam (dir. F. Oldenhuis) il 14-15 ottobre 2006 ad Amsterdam. Eseg. dal Torino Vocal Ensemble, dir. C. Pavese, il 26 aprile 2007 a Pieve di Soligo (Tv). Eseg. dal Tower Voices New Zealand (dir. K. Grylls), il 24 febbraio 2008, alla Wellington Town Hall. Ed. Feniarco. Blason III (2004) per ottetto vocale misto, 3 percussionisti e arpa spazializzati, 2° Premio al Concorso di Composizione Internazionale “G. d’Arezzo” 2005. Ed. Fondazione “G. d’Arezzo”. Tenebrae factae sunt (2005) per coro maschile spazializzato, commissione del Coenobium Vocale. Esec. 15 giugno 2005 al Teatro Civico di Schio nell’ambito di Lotto Zero (dir. M. Dal Bianco, Coenobium Vocale). Esec. dell’Estonian National Male Choir (dir. A. Soots) a Tallinn il 16 e 18 febbraio 2006. Audivi vocem...illius (2005) per coro maschile, percussioni e cristallarmonium spazializzati, commissione del Comune di Schio. Esec. 15 giugno 2005 al Teatro Civico di Schio nell’ambito di Lotto Zero (dir. M. Dal Bianco, Coenobium Vocale, percussioni M. Pastore, cristallarmonium G. Grisi). Non nobis, Domine (2008) per soprano, orchestra sinfonica e doppio coro misto, eseg. il 24 giugno 2007 nel Duomo di Schio nell’ambito della “2ª Grande Classica d’Estate”, promossa dall’Ass. Mozart Italia. Soprano M. Buchberger, Schola Cantorum S. Cecilia e Coro Polifonico di Giavenale, Orchestra I Musicali Affetti diretti da P. Tisato. Es. il 13 maggio 2008 dal coro e orchestra del Conservatorio C. Pollini di Padova, presso l’Auditorium Pollini, dir. G. Medeossi, soliste Namritha Nori e Chen Szu Wen. Signum magnum (2005) per violoncello e coro maschile spazializzato. Comm. ed esec. dell’Estonian National Male Choir (dir. A. Soots, vc. A. Tammesalu) a Tallinn il 16 e 18 febbraio e il 5 maggio 2006 a Pärnu. Eseg. dal Coenobium Vocale (dir. M. Dal Bianco, vc J. Berger), nell’ambito di Asiagofestival 2008, il 15 agosto 2008. Hora de estrellas (2005) per chitarra ed ensemble vocale spazializzati. Su testo di F.G. Lorca. Commissione dell’Athestis Chorus. Eseguito a Rieti e a L’Aquila il 2-3 settembre 2006, dall’Athestis Chorus (dir. F.M. Bressan), chit. M. Pagliarini. O lilium convallium (2008) per 2 violoncelli e coro maschile spazializzati. Commissione di Asiagofestival 2008. Prima esec. da Julius Berger e Hyun-Jung Berger (violoncelli) e dal Coenobium Vocale (dir. M. Dal Bianco), nel Duomo di Asiago, il 15 agosto 2008, nell’ambito di Asiagofestival 2008. Eseguito dal Vokalnja Akademja Ljubliana (dir. S. Kuret). Ed. Astrum-Slovenia. Inciso su cd Val. Te Deum di Torcello (2008) per coro misto, Alphorn e fagotto spazializzati. Commissione del Festival Galuppi 2008, in occasione dei 1000 anni della Basilica di S. Maria Assunta di Torcello (Venezia). Eseg. dalla Schola S. Rocco (Vicenza), dir. F. Erle. Solisti A. Benedettelli (Alphorn), A. Bressan (fagotto). Basilica S. Maria Assunta di Torcello (Venezia), il 14 settembre 2008. Genuit puerpera (2009) per coro spazializzato. Eseguito nel Duomo di Schio il 31 maggio 2009, nell’ambito di “di canto…in canto”, dal Coenobium Vocale, dir. M. Dal Bianco. Dar Gaist ist heüte kemmet (2009) per violoncello concertante, coro spazializzato e orchestra. Premio “Reina Sofia 2009”. Prima esec. da parte del coro e dell’orchestra della TV di Stato Spagnola il 7 ottobre 2010, dir. Josè Luis Temes, violoncello solo Xavier Alvares. Eseguito dall’orchestra dell’Accademia Musicale di Schio, cori Coenobium Vocale e Ensemble La Rose (dir. F.M. Bressan), violoncello solo J. Berger. Esec. nell’ambito di Asiagofestival 2011 con gli stessi interpreti. “in armakhot un vriise” (2011) per viola solista, coro spazializzato e orchestra. Commissione di Asiagofestival 2011. Eseguito dall’orchestra dell’Accademia Musicale di Schio, cori Coenobium Vocale, Ensemble La Rose e Laetetur Cor (dir. F.M. Bressan), viola solista D. Zaltron, nell’ambito di Asiagofestival 2011. Slegar (2011) per viola e violoncello solisti, coro spazializzato e orchestra. Commissione di Asiagofestival 2011. Eseguito dall’orchestra dell’Accademia Musicale di Schio, cori Coenobium Vocale, Ensemble La Rose e Laetetur Cor (dir. F.M. Bressan), viola solista D. Zaltron, violoncello solista J. Berger, nell’ambito di Asiagofestival 2011. compositorE 21 Un’esperienza sonora avvolgente e coinvolgente Breve commento ad Audi, filia di Giovanni Bonato Audi, filia è un brano per coro misto spazializzato, commissionatomi dalla Feniarco in occasione del concerto di gala organizzato dalla stessa federazione nell’ambito dell’Assemblea Generale di Europa Cantat del 2004. Il programma della serata, che si è tenuto il 20 novembre nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia, prevedeva un’affascinante miscela di antico e moderno. Il tutto ovviamente ispirato alla Scuola Veneziana cinque-seicentesca. L’antico era presente con brani di Giovanni Gabrieli e di Claudio Monteverdi, il moderno era affidato ad autori contemporanei, quali Piero Caraba, Elena Camoletto, Mauro Zuccante, Giuseppe Mignemi e io, scelti da Filippo Maria Bressan, direttore per l’occasione, del Coro Giovanile Italiano. Ho accolto ben volentieri l’invito a scrivere questo pezzo per vari motivi. Il primo che mi viene in mente è che da sempre amo la grande Scuola Veneziana con la sua tradizione e la sua modernità (inutile dire che la figura di Luigi Nono con le sue sperimentazioni spicca su tutti come esempio di tale continuità storica). Per citarne un altro, trovo stimolante ed estremamente utile alla formazione critica del pubblico che mediamente frequenta una sala da concerto, che si possano ascoltare nella stessa serata brani di autori contemporanei dalle connotazioni stilistiche alquanto diverse e che, tuttavia, dimostrino come la modernità, con la sua molteplicità di linguaggi e tendenze estetiche, sia la naturale evoluzione di un percorso storico plurisecolare. Trovo che questa, anche se pur circostanziata, sia una significativa opportunità in cui il compositore di oggi non viene “ghettizzato” in una nicchia per pochi adepti e cultori, bensì affiancato alla grande tradizione del passato. Un accostamento e un confronto che ritengo rivitalizzanti per il panorama concertistico e che mi auguro divengano sempre più un’utile abitudine a vantaggio non solo di chi vive la musica in prima persona. Venendo nello specifico, devo dire che a scrivere Audi, filia mi sono divertito molto. Chi conosce la mia scrittura sa che la disposizione spazializzata di un organico strumentale o vocale è da molto tempo uno dei miei tratti preferiti, così come la sovrapposizione di più testi in lingue diverse. In questa circostanza, poi, tale condotta linguistica mi è sembrata quasi un obbligo morale, se non una sorta di doveroso omaggio, ai più di cento delegati convenuti da tutta Europa. Su versi di Dante, di Eustorg de Beaulieu, di John Milton e di Heinrich Heine, il testo latino tratto dal Graduale per la festa del 22 novembre (Audi, filia, appunto) si presenta come fulcro centrale dell’intero intreccio timbrico-fonetico-verbale, affidato agli otto gruppi di coristi disposti spazialmente lungo il perimetro della sala. La spazializzazione dell’organico mi permette di offrire un ascolto sempre diverso (non fosse altro per il punto di ascolto) ogniqualvolta il brano viene riproposto. Ogni ambiente che ospita un’esecuzione spazializzata dimostra una sua particolare personalità, ponendo spesso determinati problemi tecnici ai musicisti, ma spesso anche singolari sorprese acustiche. La spazializzazione mi permette di creare delle geometrie sonore, delle linee, delle trame secondo un ordine dettato da più fattori, primo fra tutti il testo con le sue immagini e i suoi concetti più o meno esplicitamente espressi. Essa mi dà, per così dire, l’opportunità di “misurare” lo spazio, di porre il contenitore/auditorium come elemento essenziale alla percezione della musica, di far risuonare l’ambiente circostante La disposizione spazializzata di un organico strumentale o vocale è uno dei miei tratti preferiti. fin nei più remoti angoli per poter vivere un’esperienza sonora piena, avvolgente e, possibilmente, coinvolgente. Ed è proprio l’aspetto psicologico-emotivo che mi incuriosisce maggiormente. L’ascolto frontale (per intenderci, quello più abituale con i musicisti posti di fronte al pubblico) ha abituato l’uditorio a un tipo di ascolto che oserei dire “comodo”. La fonte sonora, il più delle volte alla vista di chi ascolta, trasmette uno stato di “sicurezza”. Quello spazializzato invece genera il più delle volte meraviglia, curiosità se non, addirittura, sconcerto. È un ascolto senz’altro più impegnativo, spesso faticoso, ma che alla fine riesce a soddisfare le molteplici esigenze del pubblico. Audi, filia, da questo punto di vista, è un brano che fortunatamente non si sottrae a questa mia intenzione. È un brano in cui la varietà fonetica delle diverse liriche nonché l’utilizzo dei calici (altro “ingrediente” a me caro e impiegato molte altre volte con soddisfazione) sono, come è stato in molte altre occasioni vocali, al centro del mio interesse quale fattore di arricchimento timbrico-dinamicospettrale dello strumento coro. Sono elementi che, assieme alla percezione quasi fisica del suono (tramite il graduale spostamento di determinate altezze/frequenze da un punto all’altro della sala), mi permettono di trasmettere una chiarezza formale, un messaggio trasparente malgrado la complessità delle trame, e conseguentemente di “immergere” chi ascolta in un mare di vibrazioni. 22 22 pizzetti: questo (s)conosciuto? di Mauro Marchetti direttore del coro città di roma Quando Ildebrando Pizzetti scrive la sua Messa di Requiem sono gli anni in cui è direttore del conservatorio L. Cherubini di Firenze. Mi sono spesso chiesto chi potesse essere l’esecutore, chi potesse essere il destinatario di quel bellissimo e complesso lavoro che è il suo Requiem. In quegli anni, siamo nel 1922, la coralità amatoriale è scarsa, sono pressoché assenti tutti quei cori associativi che verranno fuori solo dopo circa quaranta-cinquant’anni, verranno fuori spontaneamente, figli di gruppi parrocchiali o di associazioni culturali, e che rappresentano oggi quel patrimonio musicale di migliaia di cantori sparsi nella nostra penisola. La cultura del cantare in coro, di condividere insieme la passione per il canto corale era ancora lontana, le formazioni corali erano rappresentate da enti lirici, istituzioni concertistiche. Il coro era ancora un “elemento” teatrale, sinfonico, orchestrale. L’amatorialità del canto corale, visibile in quel periodo solo in sporadici esempi di cori maschili di carattere popolare, rispettabilissimi e indispensabili riferimenti per la nostra cultura musicale-corale, o di cori appartenenti a società concertistiche minori, pionieri di sensibilità musicale e di divulgazione della cultura musicale, arriva dopo decenni. Difficile quindi poter immaginare un coro, che non fosse istituzionale, cimentarsi in un lavoro simile. Viene quindi da pensare che le poche composizioni corali di quegli anni fossero pensate per cori istituzionali, quando ad esempio Petrassi scrive i suoi unici brani, Nonsense, per il Coro dell’Accademia Filarmonica Romana alla guida del quale vi era il grande Luigi Colacicchi. È davvero un gran peccato che grandi nomi della musica italiana non abbiano lasciato grandi tracce di musica polifonica e parlando proprio di Pizzetti il dispiacere diventa ancora più grande pensando ai suoi illustri allievi, Castelnuovo-Tedesco, Mortari, Donatoni, Rota (quest’ultimo autore di alcuni interessanti mottetti). Non sono andato alla ricerca di fonti scritte che potessero farmi capire o intuire quanti e quali cori avessero potuto affrontare questo raffinato lavoro di Pizzetti, la Messa di Requiem. Le ultime fonti però, e sono quelle pizzetti nova et vetera discografiche recenti, mi inducono a riflettere e a pensare che, di cori italiani che abbiano inserito questo lavoro nel loro repertorio, ce ne siano davvero pochi. E sembra paradossale che le uniche incisioni siano di cori inglesi o svedesi. In Svezia la Messa di Requiem di Pizzetti la possiamo trovare nei negozi musicali, nei cd, lo spartito facilmente reperibile, e la si può ascoltare molto spesso nelle chiese innevate di Stoccolma. Quanti cori italiani hanno nel proprio repertorio un brano del compositore parmense? Il bellissimo e affascinante Cade la sera è sicuramente il più ascoltato e conosciuto dal pubblico cultore della polifonia, ma Pizzetti lascia una produzione, seppur ridotta, di composizioni sacre, di una sacralità e spiritualità non da poco. La cosa che risalta subito agli occhi è la scelta dei registri vocali nelle sue composizioni, prediligendo sempre la voce maschile, quasi a porre l’accento sulla “gravità” del suono, e quindi della “profonda religiosità” (anche questo potrebbe essere motivo di reticenza dei cori, vista la scarsità delle voci maschili?…). Nella ricerca fatta presso la biblioteca del conservatorio di Santa Cecilia in Roma mi sono imbattuto in alcune composizioni corali minori, quasi sconosciute a noi esecutori e fruitori della musica corale. Delle piccole composizioni sacre per coro maschile e organo, il Tantum ergo, e due Ave Maria per tre voci (alto, tenore e basso) e organo. Sono lavori che appartengono sicuramente al suo periodo di studi, quando Pizzetti aveva vent’anni, o poco più. Rappresentano sicuramente delle perle rare, se non altro perché contestualizzate in un periodo storico musicale dove l’attenzione per la composizione corale scarseggia. Basti pensare a quanti lavori ci siano arrivati da quella “generazione” dell’80 (che comprendeva tra gli altri Respighi, Casella, Malipiero)… in sostanza nulla. Questi piccoli lavori di Pizzetti sono quasi sicuramente da attribuire a commissioni da parte di cori appartenenti a parrocchie o altrimenti a semplici lavori scolastici. La loro semplicità, e la loro facile eseguibilità, non lascia pensare ad altro. Scritti con cura, rispetto delle regole compositive, l’organo che lascia spesso le voci per riprenderle a raddoppio, queste composizioni sono testimonianza di una conoscenza saggia e mai azzardata, mai audace, mai soggetta a idee musicalmente innovative o rivoluzionarie. La voce femminile, soprattutto quella del soprano, come detto in precedenza, è completamente assente. L’impasto vocale con la voce grave femminile, il contralto, e le voci maschili, guidano l’ascoltatore in sonorità calde, ricche di armonici, sicuramente di un fascino inconsueto. La voce del soprano la ritroviamo solista, accompagnata da un coro femminile, in una singolare cantata d’amore con l’orchestra, Filiae Jerusalem, adjuro vos, del 1966. In questo lavoro, il maturo Pizzetti, mette in mostra tutte le sue conoscenze della voce, e della voce femminile accompagnata da un’orchestra completa, sinfonica. 23 Ma il lavoro corale di sicuro valore, di indiscusso valore tecnicocompositivo, di sensibilità musicale e raffinata bellezza, di complessa scrittura è secondo me la Messa di Requiem. Costruito su cinque frammenti, Requiem, Dies irae, Sanctus, Agnus Dei, Libera me, il lavoro, a cappella, si presenta subito con la voce grave del basso declamare le iniziali parole del Requiem in stile gregoriano, illuminato subito dopo dalle entrate delle voci sulla parola “lux”. Grande conoscitore della musica antica, della musica vocale rinascimentale, Pizzetti sa usare perfettamente le voci in incastri armonici degni dello stile mottettistico dei padri della polifonia. Non a caso lascia numerosi scritti proprio nei riguardi della musica antica, cura alcuni lavori di Gesualdo. Crea un linguaggio nuovo, dove parola e musica riescono a divenire una sola cosa. Il Dies irae Pizzetti crea un linguaggio nuovo, dove parola e musica riescono a divenire una sola cosa. etti questo si apre e si sviluppa sul tema attribuito a Tommaso da Celano (1200-1265), il più lungo e articolato dei cinque frammenti, dura circa 9 minuti (!), avvolge l’ascoltatore in un linguaggio arcaico-mistico, dove il tema, passando di voce in voce, riesce a emozionare e a far vibrare le corde dell’anima. Sul Sanctus si torna a parlare e a riconoscere il Pizzetti dalle sonorità gravi, qui sfoderando davvero ogni limite di modernità costruttiva della scelta delle voci. Usa tre cori, dove il primo è un coro femminile (SSAA), gli altri due cori sono maschili. In sostanza ci troviamo di fronte a questa divisione: SSAATTBBTTBB (devo ammettere che riuscire a dividere i miei cantori maschili in otto parti è stata davvero cosa ardua!). L’Agnus Dei, due pagine di dolcezza e interiorità non da poco, quattro voci (l’unico brano dove le voci non sono divise), l’autore indica all’inizio “soltanto una metà del coro”, quasi a suggerire una sottile intimità, disegnata da un andamento di 24 terzine ai soprani, che cullano un “Dona eis requiem sempiternam” che termina in un pianissimo delicatissimo. Il finale, Libera me (con fervore profondo), conclude il Requiem con un incastro di luminosità e tenebrosità. La lucentezza dei soprani, quasi sempre disegnati nella parte superiore del pentagramma, quasi a sottolineare in maniera decisamente più evidente il “Libera me Domine”, si mescola alla tessitura grave e declamata delle altre sezioni (ATBB), quasi a contrastare quella luminosità dei soprani con le tenebre (“de morte aeterna”) delle voci gravi. La Messa di Requiem di Ildebrando Pizzetti è senza dubbio un patrimonio della musica italiana, di quella musica riposta in cantina, negli scaffali di qualche biblioteca italiana, ma poggiata sui leggii di cori inglesi o svedesi, sempre pronti a saper cogliere il bello, a saper leggere quella raffinatezza che a volte ci sfugge. Noi, pronti a saper sopravvalutare ogni pentagramma che parli un’altra lingua, ci dimentichiamo invece di un patrimonio, seppure esile dal punto di vista del numero di composizioni che ci sono arrivate, ma che meriterebbe un’attenzione maggiore proprio da noi italiani. In ultimo non vorrei dimenticarmi di altri bellissimi lavori corali di Pizzetti, le Due Composizioni Corali (Il giardino di Afrodite e Piena La Messa di Requiem di Pizzetti è senza dubbio un patrimonio della musica italiana sorgeva la luna) e Tre Composizioni Corali (Cade la sera, Ululate, Recordare, Domine) altre perle della produzione polifonica d’inizio e metà del ’900, patrimonio della musica corale tutta. E tutta una serie di altri canti per coro maschile. Ora mi appare tutto molto più chiaro, tutto molto più semplice da capire… Pizzetti, che nel 1922 scrive la Messa di Requiem, allora direttore del conservatorio L. Cherubini di Firenze (anche direttore del conservatorio G. Verdi di Milano e successivamente del corso di alto perfezionamento in Composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia) lascia i suoi lavori a tutti noi che ogni giorno ci dissetiamo di musica corale e che siamo sempre in continua ricerca di pentagrammi da poter condividere con i nostri cantori, le vere corde del nostro strumento coro. portraiT 25 quando la musica ti viene addosso gianni malatesta si racconta a cura di Sandro Bergamo Non se l’aspettava che toccasse proprio a lui, a Gianni Malatesta, ricevere il premio Seghizzi 2011 Una vita per la direzione corale e la sorpresa ha accresciuto la soddisfazione: soddisfazione doppia, visto che in quegli stessi giorni, sulla sua musica, si è laureato il maestro Pierangelo Tempesta, che ha anche diretto alcuni dei suoi brani davanti alla commissione d’esame. Incontro Gianni Malatesta dopo più di trent’anni. Lui non se ne ricorda, e nemmeno io gli ricordo quella lezione di vocalità che fece al coro di cui, all’epoca, ero in procinto di assumere la direzione, da vicedirettore che ero. Qualche tempo dopo, all’inizio degli anni Ottanta, un fugace incontro ad Adria, al cui concorso entrambi partecipavamo alla guida dei rispettivi cori. Non lo vedevo da allora e mi aspettavo quasi di non riconoscerlo. Sarà che siamo invecchiati insieme, pur se a distanza di trent’anni uno dall’altro, ma non mi pare cambiato. A ottantacinque anni Gianni Malatesta unisce la serenità del vecchio saggio al candore del bambino che porta ancora dentro di sé e che ancora canta quello che sentiva suonare in casa. «Non ho avuto una formazione musicale: la mia formazione musicale è stata l’aver cantato in famiglia. La mamma suonava il pianoforte, il papà il violino: anzi, era diplomato in violino, anche se non aveva seguito la carriera. Si ascoltava musica d’opera: mio padre era dell’ottantadue, aveva Verdi nell’anima. La mamma, invece, era una pianista dilettante: suonava quello che studiavano i pianisti nei primi anni di scuola». Un attestato rilasciato dalla Scuola Ceciliana della Diocesi di Padova lo promuove in Canto gregoriano con 8, in Teoria con 8 e 1/2, in Pratica di suono con 7: «Da ragazzino ho seguito un corso di musica gregoriana e questo, assieme all’esame, sostenuto molti anni dopo, per potermi iscrivere, come compositore, alla Siae, è l’unico titolo musicale conseguito. Ho studiato pianoforte, assieme ad altri miei fratelli, e per tutta la vita ho suonato il pianoforte. La mia vocazione di compositore è nata dal riprodurre qualche pezzo che avevo sentito e che mi era piaciuto particolarmente: lo mettevo sulla tastiera e lo trasformavo in modo da farlo mio. Questo, poi, mi serviva nella pratica del piano bar, che ho esercitato per qualche tempo». Una passione musicale travolgente e coinvolgente, quella di Gianni, che non perde occasione per dare una dimensione musicale alle sue esperienze di vita. «Militare dell’aeronautica, a 21 anni, ho formato un’orchestra di commilitoni, La carovana azzurra, di cui ero pianista conduttore». L’incontro col coro è, come per molti di noi, fortuito e, naturalmente, da corista. «Sono entrato nel 1946 nel coro del CAI: abbiamo avuto un La mia formazione musicale è stata l’aver cantato in famiglia. buon maestro, un padre gesuita, Nazareno Taddei. È stato il mio primo vero maestro di coro. Dopo tre anni ha dovuto lasciare, per assumere altri incarichi, e sono subentrato come istruttore, come si diceva allora, del coro, per insegnare le parti e prepararlo all’incisione che doveva compiere per conto della Durium di Milano. Scarseggiava però il repertorio, anche 26 perché non si potevano registrare i brani eseguiti dalla Sat, che pure costituivano buona parte del repertorio concertistico. Così, tra il ’49 e il ’50, ho iniziato a scrivere le prime armonizzazioni. Ho scritto così Sul Ponte di Perati, Sul ponte di Bassano, Bombardano Cortina…: canti degli alpini, insomma». Un’esperienza che dura fino al ’57. A gennaio del ’58 Gianni Malatesta dà vita al Coro Tre Pini. Un nome derivato dal luogo dove il coro ha sede tutt’ora, dai tre pini marittimi che accolgono il visitatore all’ingresso dell’Antonianum, lo studio teologico dei Gesuiti a Padova. A cinquantaquattro anni di distanza, ne sopravvivono solo due: il canto è stato più longevo degli alberi. «Allora avevo trent’anni e radunai attorno a me ragazzi per lo più ventenni. Un ambiente di studenti universitari, che è stato fin da subito molto ricettivo. La mia musicalità si incontrava con la grande disponibilità intellettuale dei miei coristi: è stato questo il segreto del successo del coro Tre Pini. Accanto a questo, una facilità vocale, dono di natura, che mi consentiva di insegnare per imitazione a tutte le voci, dai tenori primi ai bassi. Questo mi consentiva di trasmettere subito tutte le mie intenzioni espressive. Trasmettere con la propria voce consente anche cose che, attraverso lo strumento, non si possono praticare, come minime variazioni di intonazione che rendono l’armonia più incisiva in quel contrasto. Anche la formazione vocale avveniva per imitazione. Chiedevo: fate come me! In fondo, spiegavo ai miei coristi, è così che il bambino impara a parlare: imitando la madre». Formule che poi sono state applicate anche ad altri cori diretti da Malatesta, e in particolare al coro Montevenda, diretto dal 1975 al 2007, e ai tanti con cui ha avuto modo di collaborare. Una collaborazione con i cori che si è estesa a un aspetto particolare, insolito. «Durante il servizio militare ho avuto modo di frequentare i laboratori di Padova dove si riparavano le apparecchiature radio degli aeroplani. Tornato a casa, non trovando altro lavoro mi sono adoperato come radiotecnico. Poi ho applicato queste conoscenze alle apparecchiature per la registrazione, cominciando dal mio coro e poi estendendo Ho sempre scritto quello che mi piaceva e che poteva riuscir bene al coro. l’attività agli altri. Dagli anni ’70 in poi ho lavorato sostanzialmente come discografico: andavo a casa dei cori, predisponevo le mie apparecchiature, li registravo. Centinaia di incisioni per cori di Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, Lazio». L’eclettismo à stata una delle caratteristiche di Gianni Malatesta, che, dopo l’avvio nella tradizione del canto di montagna si è sempre distinto per la libertà con cui sceglieva i brani da elaborare per il suo coro. Gianni Malatesta____ Nato a Badia Polesine (Ro) nel 1926. In famiglia, per congenialità e consuetudine, padre diplomati in violino e madre pianista, hanno luogo i primi approcci alla musica. Studia pianoforte, organo, armonia e contrappunto. L’inizio della sua attività di direttore di coro risale al 1949, anno in cui assume il compito di istruttore del Coro del CAI di Padova, incarico che mantiene fino alla fine del 1957. Nel 1958 dà vita al Coro Tre Pini di Padova, del quale è tuttora maestro e direttore artistico. Dal 1975 al 2007, inoltre, è stato maestro e direttore artistico del Coro Montevenda di Galzignano Terme. Per il complesso della sua attività artistica ha ottenuto numerosi riconoscimenti ufficiali. Ha pubblicato per l’editore Zanibon di Padova (oggi BMG Ricordi, Milano) le raccolte di composizioni corali Perché tu vai cantando e Su in montagna, contenenti complessivamente 180 pezzi. Alla fine del 2006, per i tipi del Coro Tre Pini di Padova, ha pubblicato il volume Miscellanea corale - 90 composizioni per voci pari e miste, un’attesa raccolta di lavori inediti, numerosi dei quali già molto amati dal pubblico e dalla comunità corale italiana e straniera, per essere stati diffusi dal Coro Tre Pini attraverso l’attività concertistica e la produzione discografica. portraiT «Io nasco come pianista jazz: amavo la musica degli autori dell’epoca, uno per tutti Gershwin. E questo filone si è ben presto affiancato a quello tradizionale del canto di montagna e degli alpini che, nella Sat, aveva il suo modello. Poi sono arrivate le richieste di composizioni anche da altri cori, e questo giustifica anche la presenza, nei libri che ho pubblicato, di brani per coro misto [il coro Tre Pini è un coro a voci pari maschili, secondo, appunto, il modello Sat in voga in quegli anni, ndr] o anche per coro di bambini». Nel mondo dei cori popolari, molto fervido negli anni Settanta e Ottanta, distinto, e talvolta fieramente diviso in scuole contrapposte, a seconda del rapporto che ciascun musicista instaurava col materiale popolare originario o del concetto stesso di musica popolare, Gianni Malatesta è sempre apparso defilato, né discepolo né maestro di alcuna scuola. «Non ho mai seguito intenzionalmente uno stile, un programma, un progetto: ho sempre scritto quello che mi piaceva e che poteva riuscir bene al coro. Lo elaboravo al pianoforte, lo suonavo, lo scrivevo e la sera dopo lo insegnavo al coro. Sono scelte che hanno penalizzato qualche volta tanto me quanto il coro, in un momento in cui cominciavano appena a presentarsi qualche proposta alternativa al modello classico rappresentato dalla Sat. Da dove viene l’idea? Vivendo tutto il giorno in mezzo alla musica, la canzone, per così dire, “mi veniva addosso” e, come avevo sempre fatto, me la ricreavo al pianoforte. Non ho mai seguito schemi precisi. Mi sono impegnato in canti natalizi, religiosi, popolari, in inni nazionali (ho elaborato gli inni di tutti i paesi dove il coro è stato in tournée). E poi musica leggera americana, musical, che frequentavo quasi quotidianamente, in gioventù: la musica per coro non ha confini. È stata voglia di far musica col mio coro, senza un vero e proprio progetto. Mi paragono, in questo, ai pittori naïf: non avevano formazione, ma sono diventato grandi pittori ugualmente». Una solitudine che non è stata solo stilistica, ma anche, a volte, personale, almeno rispetto agli altri maestri. «Tutti gli altri si conoscevano, perché si erano frequentati in conservatorio, avevano avuto gli stessi maestri, avevano condiviso lo stesso percorso. Per me che non venivo da lì, c’era una diffidenza di fondo che i successi del Coro Tre Pini non facevano che aumentare». Senza maestri, Gianni Malatesta è forse anche senza eredi? «So di aver seminato: in molti luoghi, in molti modi. Ma un vero successore non lo conosco. Non seguo molto, in verità, quello che avviene nel mondo corale. Seguo il mio percorso e sto correndo il mio ottantaseiesimo anno. Ci sono comunque gruppi giovani, che possono avere un futuro e garantire continuità alla coralità popolare, al posto di gruppi storici ormai al tramonto». 27 28 la documentazione audio “fai da te” dei concerti di musica corale di Luca Ricci tecnico del suono Al fine di migliorare le prestazioni di un coro dal punto di vista della vocalità e dell’interpretazione, obbiettivo che si auspica ambito da chiunque svolga attività corale, e di preparare il coro ad affrontare con maggior cognizione di causa le sedute di registrazione in ambito professionale finalizzate alla produzione di un cd destinato al mercato discografico, la ripresa audio dei concerti e un successivo attento ascolto della registrazione da parte dei cantori e del direttore stesso può essere di notevole ausilio. Durante l’esecuzione dei brani infatti i cantori avranno una percezione necessariamente parziale del risultato in sala, e lo stesso direttore impegnato nel gesto interpretativo e immerso nel flusso sonoro a distanza ravvicinata difficilmente avrà una visione d’insieme pari ad esempio a quello di una persona che senz’altro impegno che quello di ascoltare siede in prima fila di platea. Utili a tal scopo saranno soltanto riprese effettuate con perizia e mezzi tecnici di qualità sufficiente a garantire un ascolto equilibrato e dettagliato. Nel caso in cui il gruppo decida di ingaggiare un professionista, il problema evidentemente non si pone. Tuttavia, se le riprese audio non sono finalizzate alla produzione di un cd, e magari si voglia fare un uso sistematico della documentazione audio delle proprie esibizioni, il ricorso a un professionista rischia di diventare inutilmente oneroso. A tutto vantaggio delle solitamente poco opulente risorse finanziarie dei cori, la buona notizia è che con poche centinaia di euro è possibile acquistare macchine adatte allo scopo e di utilizzo relativamente semplice. Scendiamo dunque nel dettaglio delle tipologie dell’hardware necessario e del suo utilizzo. Hardware Il minimo indispensabile sarà costituito da un registratore portatile, alimentato a batterie, con microfono stereo incorporato con relativo supporto per sospenderlo su un’asta microfonica, anch’essa necessaria, e una cuffia stereofonica. Oggi son disponibili sul mercato i cosiddetti handheld recorders, registratori delle dimensioni di una scatola per sigari, che registrano su memoria a stato solido anche in formato cd, ovvero sono in grado, fra l’altro, di digitalizzare e memorizzare il segnale audio in ingresso a 16 bit con frequenza di campionamento pari a 44,1 Khz. L’ovvio vantaggio consiste nella possibilità di riversare su computer la registrazione ricavandone direttamente un cd audio senza bisogno di operare una conversione dei formati. Se si ha un minimo di pratica di programmi dedicati all’editing audio potremmo anche suddividere il cd in tante tracce quante sono i brani che compongo il programma di sala. In assenza di disponibilità di un normale pc sarà comunque possibile ascoltare la registrazione direttamente dal registratore collegandolo a una coppia di diffusori e di salvare la registrazione archiviando direttamente la sd card utilizzata e sostituendola con una nuova alla registrazione successiva (il costo di una sd card è molto contenuto). Un supporto per sospendere il registratore su di un asta microfonica, un asta microfonica con alzata minima di tre metri e una cuffia stereofonica completeranno il set up. Consiglierei di non lesinare sul prezzo dell’asta e di acquistare un oggetto di solidità e stabilità comprovate. Questo perché, come vedremo, saremo spesso costretti a piazzare l’asta in mezzo alle seggiole della platea, e l’esperienza insegna che il pubblico presente in sala si muove spesso con disattenzione nei confronti di oggetti simili… La cuffia dovrà essere di tipo chiuso, cercando fra i modelli pensati per un utilizzo di tipo home studio. Operatore e sequenza delle operazioni da svolgere Una volta effettuata la scelta e l’acquisto delle macchine occorrerà che il coro designi fra i suoi componenti, o fra gli amici che a volte seguono il coro sistematicamente pur non facendone parte, colui che svolgerà le mansioni di operatore fragmentA alla registrazione. L’operatore avrà evidentemente il compito di mettere in opera il sistema prima dell’inizio del concerto, ed eventualmente di effettuare il riversaggio su cd della registrazione. Durante le prove sul luogo del concerto prima del concerto stesso, l’operatore piazzerà l’asta dietro al direttore a distanza di sicurezza dai suoi movimenti, e in posizione centrale rispetto al coro. Poi fisserà alla sua sommità l’handheld recorder con i microfoni rivolti verso il coro, escluderà eventuali regolazioni automatiche del volume di registrazione e lo regolerà inizialmente a metà potenza. Metterà in registrazione lo strumento (se dotato di controllo remoto potrà farlo successivamente) e alzerà l’asta di almeno mezzo metro sopra la testa del direttore. Dopo aver registrato qualche frammento di brano, o anche solo i vocalizzi con il quale il coro scalderà la voce, l’operatore abbatterà l’asta al fine di poter collegare la cuffia all’handheld recorder e riascoltare quanto registrato. Procederà dunque a eventuali aggiustamenti sul posizionamento dell’asta e procederà a effettuare un nuovo saggio di ripresa questa volta per regolare definitivamente il volume di registrazione. Chiederà dunque al direttore di eseguire alcuni punti dei brani in programma con le dinamiche più elevate, e controllerà al riascolto che i livelli non abbiano raggiunto il punto massimo oltre il quale si avvertirebbe distorsione, in genere indicato con la dicitura “O db”. Provvederà dunque ad alzare o abbassare il volume di registrazione a seconda della necessità. A questo punto l’operatore sarà pronto per registrare il concerto. Se è un cantore e l’apparecchio a sua disposizione disporrà di controllo remoto, potrà disporsi sul palco assieme ai suoi colleghi e dare inizio alla registrazione con il telecomando. Altrimenti prima che il coro entri in sala 29 l’operatore dovrà recarsi fisicamente a “pigiare rec”. Inutile dire che le pile dell’handheld recorder dovranno essere ben cariche, e che se è prevista una durata del concerto superiore a quella della durata delle batterie sarà opportuno tramite una prolunga che sarebbe bene includere nel set up, alimentare il registratore dalla rete elettrica. Terminato il concerto l’operatore recupererà l’attrezzatura e procederà successivamente, se provvisto di pc e apposito software alla masterizzazione del cd ricavato dalla registrazione, magari dividendolo in tante tracce quanti saranno i brani che avranno composto il programma di sala. In tal caso il riascolto potrà avvenire su un normale lettore cd; in caso contrario potremo collegare all’impianto di ascolto direttamente l’handheld recorder. Ascolto: impianti e metodologie Il riascolto della registrazione per i fini prefissi avverrà preferibilmente in sala prove alla presenza di tutti i cantori e del direttore, il quale potrà così commentare in tempo reale le varie parti dell’esecuzione. Per far questo occorrerà che l’associazione si procuri un impianto di ascolto adatto allo scopo. Quando si crea la necessità di un ascolto non personale ma collettivo, oltre alle dimensioni della sala da sonorizzare andrà considerato il numero di persone in essa ospitate. In genere la sala prove di un coro è costituita da un’aula di medie dimensioni che possa ospitare fino anche a cinquanta persone nel caso di cori numerosi, un pianoforte o tastiera e uno spazio per il direttore antistante al coro. Sonorizzare correttamente un ambiente del genere diventerebbe fortemente oneroso qualora decidessimo di acquistare un impianto hi-fi di dimensioni e qualità adeguate. Visto l’utilizzo che intendiamo farne sarà opportuno sacrificare alcuni parametri quali la gradevolezza timbrica dell’impianto in favore della sua pressione sonora unitamente a un minimo di equilibrio nella riproduzione dello spettro acustico, l’impianto ovvero verrà scelto in virtù della potenza necessaria, della minima insorgenza di colorazioni indesiderate, e ovviamente di un elevato rapporto qualità prezzo. Il luogo dove andare a cercare un impianto con questa caratteristiche non sarà evidentemente una boutique dell’hi-fi esoterico, ma il negozio di strumenti musicali di fiducia, e precisamente nella sezione adibita alla vendita di impianti di amplificazione per i concerti. Cercheremo una coppia di diffusori bi-amplificati a due vie con una potenza minima complessiva (intesa come somma della potenza dei due amplificatori) di 300 watt per diffusore, avendo cura di sceglierli fra le marche che storicamente prestano maggiore attenzione alla qualità del suono (la consultazione di uno o più dei numerosi forum dedicati all’argomento presenti in rete è vivamente consigliata). Acquisteremo anche gli appositi stand, una coppia di cavi, e un piccolo mixer. Occorreranno anche delle prolunghe elettriche perché i diffusori necessitano di alimentazione. L’impianto così costituito verrà piazzato in sala prove nel 30 Acustica degli ambienti: quick start Non è certo questa la sede per trattare come cercare di risolvere al momento della ripresa problemi legati all’acustica dell’ambiente in cui si svolgerà il concerto, dato tuttavia che il timbro percepito di uno strumento o di un coro sarà sempre il risultato dell’interazione della fonte con l’ambiente in cui essa sarà inserita, qualche breve cenno di acustica ambientale aiuterà l’operatore a svolgere il suo compito con maggiore consapevolezza. Location, colore e riverbero Un coro che si esibisce dal vivo, potrà trovarsi a cantare praticamente ovunque: una chiesa, un teatro, un auditorium, una sala conferenze, un chiostro, un porticato, una piazza ecc. In qualunque ambiente il coro si troverà a cantare, il suono diretto del coro e di eventuali strumenti che lo accompagneranno si mescolerà al suono riflesso dalle pareti, dal soffitto, o anche dal solo pavimento nel caso di esibizioni all’aperto. Le riflessioni influenzeranno il suono percepito su due fronti contemporaneamente. Da un lato avremo delle modificazioni timbriche del suono nel suo complesso (1), dall’altro assisteremo a un fenomeno di persistenza del suono successiva alla sua interruzione alla fonte, il cosiddetto riverbero (2). modo che segue. Se la sala, come avviene nella maggior parte dei casi, avrà la forma di un parallelepipedo e il coro siederà di spalle a una delle pareti più lunghe, l’impianto andrà posto di spalle alla parete opposta, con i diffusori equidistanti dalle pareti a loro laterali (in questo caso le pareti corte) e il più possibile discosti dalla parete posteriore. I diffusori andranno alzati di al di sopra della testa degli ascoltatori se questi saranno disposti su due file, anche di più se le file saranno più di due, mentre potranno stare alla stessa altezza della testa degli ascoltatori se questi saranno disposti su un’unica fila. I diffusori andranno poi angolati di circa 30° verso l’interno e la zona di ascolto ideale sarà costituita dal punto in cui le immaginarie perpendicolari agli schienali dei diffusori si incroceranno. Essendo evidente che questa zona di ascolto ottimale andrebbe a interessare una minima percentuale di cantori (ovvero quelli che si troveranno al centro del gruppo) una soluzione che consentirebbe l’ampiamente di tale zona, che si sviluppa essenzialmente in profondità, sarà quella di ruotare coro e impianto, disponendo i coristi di spalle alla parete più corta anzichè a quella più lunga, e facendo in modo che creino un maggior numero di file, cercando di evitare di farli disporre sugli spazi laterali. Avendo cura di leggere gli appositi manuali l’operatore che avrà provveduto a effettuare i collegamenti necessari tra mixer e diffusori e tra registratore o lettore cd e mixer e alla regolazione del volume di ascolto dell’impianto, potrà dare inizio alle seduta di ascolto. 1) Le modificazioni timbriche prodotte dalle riflessioni interne a un determinato ambiente su una fonte sonora in esso inserita, costituiscono uno dei parametri di scelta della location nel caso di registrazione di master audio destinati al mercato discografico (altri parametri in tal caso, è sempre bene ricordarlo, sono: silenziosità, disponibilità continuativa per tutta la durata dei lavori e ambientazione filologica), ma quasi mai i luoghi dei concerti vengono scelti in base alla loro La ricerca del giusto rapporto fra il suono diretto e il suono riverberato è importante. acustica. Alle tipologie di ambiente che spesso espongono il suono prodotto da un coro al rischio di una cattiva colorazione generalmente appartengono gli ambienti di piccole dimensioni, oppure di grande superficie ma con il soffitto basso (anche se i soffitti “a volta” a parità di altezza dal pavimento contribuiscono spesso a un ascolto più gradevole rispetto ai soffitti piani), ambienti con le superfici ricoperte da materiali fortemente riflettenti, o ambienti con superfici non speculari di dimensioni simili o, peggio, identiche (ad esempio gli ambienti a pianta quadrata). Al contrario ambienti di dimensioni generose (come chiese e hall), oppure non grandissimi ma con le superfici trattate acusticamente (come i teatri o gli auditorium), contribuiranno fragmentA 31 a una colorazione eufonica del suono del coro o nel peggiore dei casi a una colorazione forse non ottimale ma di entità trascurabile. I grandi teatri e i grandi auditorium generalmente possiedono caratteristiche acustiche assai prestanti. 2) La ricerca del giusto rapporto fra il suono diretto e il suono riverberato è altresì importante al fine dell’intelleggibilità dell’informazione musicale (e in tal senso è bene che il riverbero non risulti eccessivo sulla registrazione), e della gradevolezza della sua fruizione (e in tal senso invece sarà opportuno che la registrazione non ne risulti sprovvista). Se la fonte sonora produce il suono diretto e l’ambiente in cui è inserita produce il suono riverberato, un arretramento rispetto alla fonte o un innalzamento dei microfoni produrrà evidentemente un rapporto progressivamente favorevole al suono riverberato, mentre un loro avvicinamento alla fonte o un abbassamento produrrà un rapporto progressivamente favorevole al suono diretto. Quando un suono incontra un ostacolo può subire essenzialmente tre tipi di trattamento: può essere assorbito, può essere riflesso e può essere diffuso (e non è raro che in ambienti non trattati questi tre fenomeni possano convivere). L’assorbimento e le prime riflessioni (ovvero quelle che si sviluppano nei millisecondi immediatamente successivi all’emissione del suono diretto) hanno influenza essenzialmente sulla qualità del timbro percepito (ed eventualmente registrato), a causa di fenomeni per lo più sottrattivi nei confronti dello spettro audio del suono originale, generati appunto dall’assorbimento di alcune frequenze dello spettro stesso, o dalla loro cancellazione a causa della sommatoria con la loro controparte riflessa di polarità opposta (fenomeno conosciuto in acustica come “effetto pettine”). La diffusione del suono è l’effetto di un fenomeno scientificamente definito diffrazione. In parole poverissime un suono che colpisce un determinato oggetto anziché venirne riflesso secondo una direzione precisa, mantenendo buona parte dell’energia originaria, viene “sparpagliato” in tutte le direzioni, con l’energia originaria che viene suddivisa fra le varie direttrici; è questo il motivo per cui la sensazione di pressione sonora esercitata da un suono riflesso sarà quasi sempre superiore a quella di un suono diffuso, a parità di pressione acustica del suono d’origine. Diffusione e riflessioni insieme sono all’origine del riverbero. Se per esempio produciamo un suono schiacciando il tasto di un organo presente in una chiesa, la “coda di suono” che sentiremo dopo il rilascio del tasto sarà appunto il riverbero del suono stesso. Parametri principali che definiscono il fenomeno del riverbero sono: tempo di decadimento, ritardo d’attacco, densità, colore, intonazione. Per tempo di decadimento s’intende la durata del riverbero, ovvero il tempo che la “coda di suono” impiega a decadere, ed è il parametro più vistoso all’orecchio dell’ascoltatore. Decadimenti molto lunghi, tipici ad esempio delle chiese molto grandi, in genere non giocano a favore dell’intelleggibilità della partitura, specie in polifonia dove riverberi brevi saranno da preferire. Il canto monodico cristiano invece potrà permettersi tempi di decadimento un po’ più lunghi. Il ritardo d’attacco del riverbero, dove presente in maniera percettibile all’orecchio, permette di accettare tempi di decadimento più lunghi, perché i transienti di attacco e i primi istanti di emissione delle note, quelli in cui ne viene definita Il timbro percepito di uno strumento o di un coro sarà sempre il risultato dell’interazione della fonte con l’ambiente in cui essa sarà inserita. l’intonazione voluta, saranno tutelati da un primo istante di “secchezza” la quale non risulterà però sgradevole a causa del successivo, quasi immediato, inizio del riverbero. Ritardi di attacco si hanno in genere in ambienti di grandi dimensioni, dove cioè il suono diretto impiega più tempo a raggiungere le pareti, e anche in ambienti più piccoli ma arredati o strutturati in maniera tale da limitare la presenza delle riflessioni vicine alla fonte. Ambienti a due volumi con il coro disposto nel volume più piccolo contribuiscono spesso all’insorgenza di tale fenomeno. Sarà il caso ad esempio di un ensemble disposto lungo un coro ligneo che riveste l’abside di una 32 chiesa. Il volume occupato dall’abside avrà un suono piuttosto “secco”, ma quando il suono raggiungerà la navata della chiesa diverrà oggetto di riverberazione “da chiesa”. Le piccole chiese quasi mai offrono apprezzabili ritardi di attacco del riverbero, in compenso, salvo rare eccezioni, hanno spesso a dispetto delle dimensioni tempi di decadimento inaspettatamente lunghi, uniti a colorazioni piuttosto marcate, ed eccessiva densità. La densità è data dalla tipologia di curva di decadimento di un riverbero; indipendentemente dal tempo impiegato, il decadimento di un riverbero quasi mai avverrà in maniera lineare (e mai in maniera univoca per tutte le frequenze coinvolte). Un fattore che contribuisce a conferire eufonia a un riverbero sarà sicuramente una curva di decadimento esponenziale che descriverà un abbattimento rapido iniziale e poi progressivamente più lento, e che qualificherà un riverbero come “a bassa densità”. Al contrario un riverbero che per svariati decimi di secondo manterrà l’energia del suono d’origine, tanto da dare l’impressione a volte di un mancato rilascio, verrà qualificato come riverbero ad alta densità, che per certi repertori può perfino risultare funzionale, ma che nella maggior parte dei casi risulterà sgradevole. Teatri e auditorium possiedono in genere tempi di decadimento piuttosto corti, motivo per cui a volte i cantori… preferiscono cantare altrove! Al contrario nelle cosiddette hall, intese come foyer di teatri, aule magne di università o grandi sale conferenze il riverbero ai fini dell’esecuzione di musica corale risulterà spesso né troppo lungo e denso come quello di certe chiese, né “troppo corto” come nei teatri. All’aperto il riverbero sarà in genere poco percettibile; ne troveremo traccia nei chiostri e sotto i portici, più difficilmente in campo libero; in compenso anche la presenza di riflessioni perniciose sarà sicuramente limitata rispetto ad ambienti chiusi. Unico accorgimento per le registrazioni all’aperto sarà quello di utilizzare le cuffie antivento per coprire i microfoni (in genere in dotazione con gli handheld recorders), perché anche refoli appena percettibili possono far insorgere risonanze fastidiose. Del colore come influenza sul timbro abbiamo parlato in precedenza. Aggiungiamo che lo spettro del suono d’origine subirà una volta riverberato e a seconda dei casi trattamenti diversi per diversi punti della sua gamma. Il riverbero potrà così risultare chiaro (se le frequenze appartenenti alla gamma medio-alta avranno tempi di decadimento più lunghi delle altre), equilibrato (se le differenze fra i tempi di decadimento delle fasce di frequenza che compongono lo spettro non risulteranno eccessive), o scuro (se le frequenze maggiormente riverberate apparterranno essenzialmente al registro basso). Quest’ultimo tipo di riverbero, può contribuire all’insorgenza del fenomeno comunemente definito “rimbombo”, generalmente piuttosto sgradevole all’ascolto. Infine l’intonazione: sarà sufficiente dire che il riverbero potrà mantenere il tono del suono che andrà a riverberare, o in alcuni casi la progressiva perdita di energia delle riflessioni che lo determinano potrà farlo calare, tipologia questa pericolosissima specie per l’esecuzione di repertorio a cappella; il migliore augurio che io possa fare a tutti i coristi e i direttori che stanno leggendo questo articolo è quello di imbattersi sempre in riverberi… intonati! Immagine stereofonica Se l’operatore desidera raffinare i risultati della sua ripresa rispetto a quanto si può ottenere dai semplici gesti di centrare l’asta rispetto al coro e dall’alzare i microfoni al di sopra della testa del direttore, possiamo qui introdurre il concetto di immagine stereofonica, ovvero della possibilità di riprendere e successivamente riprodurre (con un impianto di Le riprese devono essere effettuate con perizia e mezzi tecnici di qualità sufficiente a garantire un ascolto equilibrato e dettagliato. qualità sufficiente, ben calibrato e con l’ascoltatore nella giusta posizione di ascolto) la posizione degli esecutori sul palco, la qual cosa contribuirà senz’altro a una migliore intelleggibilità della partitura riprodotta. Ogni coppia di microfoni opportunamente disposti (come quelli che equipaggiano gli handheld recorders) sarà in grado di fissare più o meno correttamente la posizione degli esecutori entro un dato angolo. Se il manuale del registratore non fornisce l’ampiezza dell’angolo in questione, che definiremo “angolo di ripresa”, dovremo, se interessati, ricavarlo empiricamente. In un ambiente di grandi dimensioni, ma meglio ancora se all’aperto e lontano da ostacoli (al centro ad esempio di un fragmentA piazzale o di un campo da calcetto andrà benissimo) posizionate asta e registratore all’altezza della vostra testa. Con l’aiuto di una corda di 3 o 4 metri di lunghezza, di cui un’estremità sarà fissata all’asta, disegnate per terra con un gessetto un semicerchio dalla parte verso la quale i microfoni saranno orientati. Segnate sul semicerchio nel punto in cui sarà intersecato dalla perpendicolare al registratore il punto zero. Poi con l’aiuto di un goniometro e della corda fate un segno sul semicerchio ogni 10° a partire dal punto zero fino ad arrivare a 90°, sia a destra che a sinistra. I 90° dovranno coincidere con le perpendicolari ai lati del registratore. Mettete in registrazione il registratore, posizionatevi sul punto zero del semicerchio e guardando verso i microfoni pronunciate con voce forte e chiara il nome del punto in cui vi trovate (ovvero “punto zero”) Spostatevi di 10° dal lato che preferite e pronunciate nuovamente il nome della stazione, e così via fino ad arrivare a 90°. Ripetete l’operazione dalla parte opposta. Riascoltando in cuffia vi accorgerete che fino a un certo punto a partire dal punto zero il registratore documenterà il vostro movimento, oltre quel punto dapprima sembrerà che non vi muoviate più, poi il suono della vostra voce apparirà progressivamente più lontano e più scuro. La somma del valore degli angoli a destra e sinistra del punto zero entro i quali al riascolto in cuffia avrete sensazione di movimento costituirà l’angolo di ripresa del vostro impianto. Se ad esempio percepirete il vostro movimento al riascolto in cuffia di 50° a destra e 50° a sinistra del punto zero l’angolo di ripresa complessivo del vostro sistema ammonterà a 100°. Ne conseguirà che per riprendere e riprodurre correttamente l’immagine stereofonica del vostro coro dovrete, nell’esempio in questione, porre l’asta microfonica a una distanza tale dal coro che permetta ai microfoni di “vederlo” entro 100°. Se in sede di ripresa, con l’aiuto di un goniometro doveste accorgervi che il coro occuperà un angolo superiore sarà opportuno arretrare l’asta rispetto al coro fino a che non sarà “visto” in tutta la sua estensione almeno entro l’angolo in questione. Sarà un po’ come scattare una foto di gruppo con una focale fissa; bisognerà arretrare finché tutti i componenti del gruppo rientreranno nell’obbiettivo. 33 secondo, al riascolto la voce del cantore più arretrato risulterà molto meno sonora di quanto non sarebbe sembrato in sala a un ascoltatore messo al posto del microfono. Questo perché durante un concerto il senso della vista aiuta l’ascoltatore a compensare non solo eventuali carenze acustiche dell’ambiente d’ascolto, ma anche quelle date dalla disposizione degli esecutori rispetto all’ascoltatore stesso; prendendo di nuovo a prestito un esempio dal mondo dell’ottica, il fenomeno ricorda quanto avviene quando osserviamo un soggetto da una macchina fotografica con obbiettivo non bene a fuoco; dopo qualche momento il nostro occhio provvederà a mettere a fuoco l’immagine, ma se scatteremo la foto il risultato sarà poi un’immagine sfuocata. L’osservazione laterale da parte dell’operatore della distanza che intercorre dalla prima e dall’ultima fila del coro rispetto ai microfoni gli permetterà di rendersi conto se esiste una sproporzione suscettibile di problemi. Indicativamente la distanza della prima fila dall’ultima andrebbe moltiplicata almeno per tre. Se la prima e l’ultima fila distano ad esempio 2 metri, i microfoni andranno allontanati dalla prima fila di almeno 4 metri. Quasi mai i luoghi dei concerti vengono scelti in base alla loro acustica. Profondità Un’immagine stereofonica equilibrata consente in genere anche una buona percezione della profondità della scena sonora ovvero della posizione degli esecutori disposti su più file. Tuttavia, una registrazione a distanza troppo ravvicinata di un ensemble, sia pure rientrante nell’angolo di ripresa dei microfoni in nostro possesso, comporta la possibilità di rompere l’equilibrio in termini di volume fra le sezioni del coro o fra il coro ed eventuali strumenti che l’accompagnano. Ad esempio due cantori che canterano verso un microfono a una distanza da esso di un metro il primo, e due metri il Un altro mezzo a nostra disposizione per ovviare a questo problema consiste nell’incrementare l’altezza da terra dei microfoni. Fermo restando che l’alzata minima dei microfoni, che come si è detto si troveranno alle spalle del direttore, sarà quella che ci consentirà di superare in altezza la testa del direttore di almeno mezzo metro (perché altrimenti il corpo del direttore farà da ostacolo per molte frequenze in gamma medio alta dello spettro con effetti deleteri, fra l’altro, sulla riproduzione dell’immagine) non potendo o non desiderando arretrarli ulteriormente, potremo alzarli se l’asta a nostra disposizione ce lo consente fino a un’altezza tale da ottenere il rapporto “uno a tre” di cui sopra. Occorrerà tuttavia tener conto che alzare i microfoni molto al di sopra della testa dei cantori comporterà un progressivo “sfuocamento” del suono; se è vero infatti che in qualunque punto di un ambiente venga posto un microfono a esso giungerà comunque il suono di una fonte posta nello stesso ambiente, è anche vero che se la bocca della fonte non sarà orientata verso il microfono stesso, o lo sarà ma a distanza eccessiva, questo non sarà in grado di catturare correttamente il transiente di attacco del suono emesso, fenomeno questo che risulterà amplificato in ambienti molto riverberanti. confronto e scoperta al festival di primavera di Alessandro Zucchetti Il Festival di Primavera di Montecatini Terme è uno degli eventi di maggior prestigio rivolto alle ormai numerose realtà corali scolastiche. È proprio in questi ultimi anni che anche nelle scuole italiane il coro sta avendo una propria identità e seguito: il desiderio di cantare insieme, ritrovarsi dopo le lezioni mattutine di matematica o latino per fare musica con i compagni di classe, condividere la passione per la musica e quindi preparare concerti, è un momento sempre più richiesto e praticato dagli adolescenti delle istituzioni scolastiche italiane. Di tutto questo ci si può ben rendere conto ormai nelle prime settimane del mese di aprile, a Montecatini, nella splendida Toscana, che diventa per l’occasione la capitale del canto giovanile e che vede un crescendo costante del numero di partecipanti. Quest’anno, da mercoledi 6 a sabato 9 le quattordici scuole medie, dal 13 al 16 le venti scuole superiori, hanno popolato i dieci atelier, dalla musica antica al vocal pop, dai canti etnici a Mozart, dalla musica romantica alla world music, lavorando sulle musiche scelte dai docenti, eseguite poi al concerto finale. Da direttore di un coro di scuola superiore, prima della partenza, ho potuto osservare l’entusiasmo e la curiosità che viene rivolta da parte dei ragazzi verso le scuole che si andranno a incontrare, il docente che terrà l’atelier, il repertorio, la durata delle prove dell’atelier stesso. Nelle settimane che precedono il festival, in classe, le domande che mi venivano rivolte erano sempre le stesse: «canteremo insieme al gruppo dell’anno scorso?», «qual’è il brano che canteremo tutti insieme?», «mi ha mandato su facebook un messaggio Tizio del coro del Liceo X e mi ha scritto che frequenterà il corso Y… ma che brani si cantano quest’anno?». Poi, arrivati a Montecatini, in prova, senza perdere troppo tempo e dopo aver fatto conoscenza dei cori amici che condividono l’atelier, si comincia subito a lavorare insieme sui brani; si riscalda la voce e molte domande hanno finalmente una risposta: «ma che bello il brano in spagnolo!», «a me piace di più il canto indios!». I pareri e i commenti sono sempre numerosi e coloro che studiano già uno strumento osservano e si confrontano: «faccio una battuta di pausa poi parto con il riff della percussione». Il mio coro seguiva l’atelier World Music. Come l’anno scorso è stato tenuto da Silvana Noschese, che ha fatto lavorare gli oltre cento ragazzi con musiche da tutto il mondo: elaborazioni di brani indios, melodie spagnole, canti tradizionali. Questa selezione ha suscitato molto interesse; è un modo didatticamente intelligente di approcciare il canto corale (per molti dei miei cantori era la confront ASSOCIAZIONE prima esperienza al festival e avevano alle spalle solo qualche mese di coralità) oltre che utile a far conoscere la varietà musicale di ciascun popolo. Con qualche coreografia e danza, curata dalla stessa docente, tutto è stato è stato più divertente e coinvolgente! Finita la giornata, finalmente arriva il momento di relax a spasso per la città con qualche precauzione per il raffreddore! Nel giorno seguente tutti i ragazzi hanno potuto ascoltare l’esibizione del Coro Giovanile Italiano, diretto nella prima parte da Dario Tabbia e nella seconda da Lorenzo Donati, dopo un’esauriente presentazione di un evento molto importante del 2012: il Festival Europa Cantat a Torino! Il CGI è il fiore all’occhiello della coralità italiana, dove giovani selezionati da tutto il paese hanno la possibilità di lavorare con direttori di chiara fama ed esibirsi in tourneé in prestigiosi festival. Le osservazioni dei ragazzi del mio coro sono diventate: «mi piacerebbe cantare con loro!», «potrei un giorno cantare in questo coro?». L’esibizione di questa formazione giovanile ha fatto nascere in molti la curiosità verso repertori che prima di partire potevano risultavano sconosciuti ma che hanno ora suscitano interesse. Ed è proprio questo che si respira a Montecatini: la possibilità di ascoltare una grande varietà di musiche proposte nei vari atelier e i brani preparati dai cori provenienti da tutta Italia; questo è un momento importantissimo di confronto e scoperta per i giovani cantori e per i direttori. Ed è proprio per i direttori che sono stati pensati gli incontri con lo staff organizzativo presieduto dal direttore artistico del festival, Lorenzo Donati. Capita spesso di incrociarsi alle varie rassegne organizzate in Italia anche dalla stessa Feniarco e non avere spazio di tempo per confrontarsi sulle varie problematiche. Quest’anno il consueto Gran Concerto di Primavera (per le scuole superiori) ha avuto luogo al Nuovo Teatro Verdi e ha visto la partecipazione delle venti scuole e di circa 680 cantori che si sono esibiti con i propri direttori e guidati da Mauro Marchetti (Musica Rinascimentale), da Franca Floris (Musica Romantica), Silvana Noschese (Word Music), Rogier Ijmker (Vocal Pop), Luigi Marzola (Choral Mozart) alternandosi sul palco del Verdi presentando il lavoro fatto. L’esibizione dei cori e dei vari atelier è il momento più emozionante del festival. Si può ascoltare e rendersi conto di come in questi anni il festival abbia fornito spunti e stimoli per far sì che la coralità si avvicini al mondo dei cori scolastici che sono il futuro dei cori. L’esperienza corale è anche dal lato umano una grande nto L’esperienza corale è anche dal lato umano una grande palestra di convivenza. 35 36 il Coro Giovanile Italiano verso torino 2012! Un intenso biennio di attività attende il Coro Giovanile Italiano, che ha potuto esibirsi nella sua nuova veste il 13 e 14 aprile rispettivamente ad Arezzo e a Montecatini Terme, nell’ambito del Festival di Primavera. Alla guida della formazione corale, due noti direttori di coro: Dario Tabbia e Lorenzo Donati che, dopo le selezioni avvenute durante l’inverno, hanno scelto 32 giovani coristi per dare vita alla nuova formazione. Il repertorio è stato ripartito fra musica sacra del XVI-XVII secolo (H. Schütz e T.L. de Victoria) affidato alla direzione di Dario Tabbia, e musica di autori italiani del Novecento (B. Bettinelli, I. Pizzetti, G. Petrassi e P. Clausetti) sotto la guida di Lorenzo Donati. In pochissimi giorni il coro è riuscito a trovare un’intesa con i due direttori e a presentarsi pronto ai concerti del debutto, grazie anche a intense sessioni di prove che hanno contribuito a cementare il gruppo e dato la possibilità a ragazzi provenienti da tutt’Italia di condividere la propria passione per il canto corale. Il coro, formato da giovani con esperienze musicali differenti (molti direttori di coro e cantanti, ma anche semplici cantori con una formazione da strumentisti) non si è fatto trovare impreparato all’appuntamento e anzi ha dimostrato, nonostante l’età dei partecipanti, senso di maturità e responsabilità sia nella preparazione che ha preceduto l’arrivo a Montecatini, sia nei quattro giorni di prova prima dei concerti. Al di là dell’aspetto musicale, che certamente è stato apprezzato visto il calore che il pubblico ha dimostrato, l’esperienza ha fatto nascere nuove amicizie, nuovi contatti e dato molti spunti musicali che ciascun corista porterà con sé aggiungendoli al proprio vissuto musicale. L’entusiasmo che ha contagiato coristi e maestri è stato grande e ha dimostrato come questo tipo di iniziative siano veramente utili per la crescita del livello qualitativo dei cori italiani, a cui ciascun corista è tornato alla fine dell’esperienza. L’auspicio è che il Coro Giovanile Italiano possa proseguire felicemente nella propria attività, non solo nell’attuale formazione, che resterà stabile sino al grande appuntamento del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012, ma anche negli anni futuri, e che possa diventare un punto di riferimento e una meta per tutti i giovani cantori, un luogo dove crescere e maturare musicalmente ma anche umanamente e poter fare musica corale ad alto livello, cosa ancora oggi difficilmente realizzabile nel nostro paese, nonostante la presenza di alcune realtà di eccellenza. Mattia Culmone palestra di convivenza in cui attraverso il canto si possono conoscere culture lontane, apprezzare quelle più vicine, rendersi conto della bellezza del nostro patrimonio culturale. Non poteva mancare nell’anno dei 150 anni dell’unità d’Italia un omaggio alla nazione con un arrangiamento di una nota canzone di Giorgio Gaber, La libertà, eseguita dall’intero teatro. Una novità molto apprezzata è stato la scelta di proporre i concerti dei singoli cori all’interno dei vari istituti toscani di Arezzo, Empoli, Marina di Massa, Sesto Fiorentino, Pisa, Viareggio, Montepulciano. L’ultimo giorno quindi, i vari cori si sono esibiti davanti a intere classi che con partecipazione hanno applaudito apprezzato i loro coetanei. Sarebbe auspicabile avere un coro in ogni scuola come l’allora ministro Berlinguer proponeva; la musica a scuola, specialmente negli istituti superiori, è “ufficialmente” trascurata, salvo i pochi licei musicali, ed è solo grazie ai singoli progetti pomeridiani che si cerca di colmare questo gap. È grazie a queste iniziative che ci si può rendere conto di quanto la musica ricopra un posto importante per uno studente che ogni giorno ascolta tramite il proprio ipod o youtube il proprio brano preferito, ma che più difficilmente può cimentarsi a produrre musica; attraverso il canto e la coralità chiunque ha la possibilità di fare musica, nei repertori e stili più vari e insieme ai propri compagni di classe. Ritornando a casa si fa tesoro di questi bei giorni passati cantando; il Festival di Primavera di Montecatini è un appuntamento da non perdere, ricco di stimoli e idee e mi sento di ringraziare tutto lo staff per questa bellissima iniziativa. ASSOCIAZIONE 37 CHORAL MANAGEMENT TODAY Esperienze a confronto di Fabrizio Vestri e Silvia Danielis CMT è… formazione! Nel mondo della produzione culturale e della gestione delle realtà associative, è crescente la necessità di mettere in campo una molteplicità di competenze tecnico-manageriali che garantiscano a un’attività culturale longevità e produttività. Feniarco – grazie al sostegno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – ha realizzato un importante progetto di formazione e aggiornamento che va incontro proprio a queste esigenze: CMT - Choral Management Today. Due i percorsi promossi da Feniarco nell’ambito di questo progetto: il primo rivolto ai responsabili delle associazioni corali, il secondo dedicato alla formazione di giovani manager in ambito corale e musicale. Il primo percorso incentrato sulla gestione e organizzazione delle associazioni corali si è svolto tra il 7 maggio e il 5 giugno in quattro appuntamenti rispettivamente a Castelfranco Veneto (Tv), Torino, Salerno e Roma. Nell’arco di ogni giornata sono stati trattati temi d’interesse per il management degli enti corali territoriali affrontati con la collaborazione di relatori esperti del settore, secondo una formula che si è ripetuta costante in ciascuno dei quattro incontri. Il saluto del presidente Sante Fornasier ha dato inizio al programma dei lavori aperti dal modulo del dott. Marino Firmani e dedicato alle strategie del marketing applicate al mondo della produzione culturale. Il dott. Giorgio Amico ha posto l’accento sugli adempimenti normativi e fiscali che le associazioni sono tenute a osservare per il rispetto della propria posizione legale (il dott. Amico è intervenuto a Salerno e Roma mentre a Castelfranco Veneto e a Torino, sugli stessi temi, ha relazionato il dott. Giancarlo Andolfatto, n.d.r.). Il delicato aspetto della gestione amministrativocontabile di un’associazione è stato affrontato dal dott. Marco Fornasier: il modulo ha reso accessibile anche ai non addetti ai lavori un aspetto apparentemente spinoso della condotta di un’attività culturale. La dott.ssa Annarita Rigo ha fornito ai presenti un utilissimo vademecum per la programmazione e organizzazione di eventi corali, approfondendo con Marco Fornasier l’aspetto della promozione attraverso canali “classici” e soprattutto tramite i new media. Ciascuna delle intense giornate di aggiornamento si è infine chiusa con l’intervento della dott.ssa Michela Francescutto dedicato al Festival Europa Cantat e, in particolare, alla prossima edizione che si terrà a Torino nel 2012. Questa iniziativa è stata accolta con molto interesse dai responsabili delle diverse associazioni regionali e dei cori che hanno partecipato attivamente e con grande numero di presenze. A conclusione di ciascun modulo è stato dato spazio al confronto con i diversi relatori, con domande e approfondimenti riguardanti tematiche vicine alle esigenze dei partecipanti stessi. I quattro appuntamenti dislocati sul territorio nazionale sono Un’ottima occasione di confronto e di crescita per tutti coloro che rappresentano realtà associative. stati certamente un’ottima occasione di confronto e di crescita per tutti coloro che rappresentano realtà associative, sia a livello locale che regionale, un forte incentivo che indubbiamente favorirà la crescita delle nostre associazioni corali. Tra il 26 giugno e il 3 luglio nella città di Torino, in concomitanza con le manifestazioni Cantare è giovane! e Songbridge, ha preso vita il secondo percorso promosso da Feniarco nell’ambito del progetto CMT: lo stage per giovani manager in ambito corale-musicale. 38 Un gruppo di ragazzi under 30, selezionato dalle diverse associazioni regionali, ha avuto l’opportunità di vivere un’intera settimana di formazione dedicata al choral management. Il corso coordinato da Marco Fornasier, Michela Francescutto e Annarita Rigo è stato strutturato in due fasi: nei primi tre giorni di lezione frontale sono state affrontate tematiche riguardanti la gestione manageriale di associazioni e l’organizzazione di eventi, mentre nella seconda fase i partecipanti allo stage hanno attivamente collaborato alla realizzazione del festival Cantare è giovane! Durante le lezioni sono stati esposti, con un approccio di respiro internazionale, gli argomenti tecnici affrontati nel corso degli incontri dedicati ai responsabili delle associazioni regionali e non solo. Ulteriori moduli hanno permesso incontri con artisti e operatori attivi nel settore culturale e dello spettacolo che hanno condiviso il proprio bagaglio di competenze con i partecipanti allo stage: Sonja Greiner, Jenny Grant, Victoria Liedbergius, Arianna Stornello hanno portato la loro esperienza internazionale maturata in ambito delle maggiori organizzazioni corali europee; Sergio Bonino e Laura Tori hanno descritto la propria attività di responsabili all’interno del festival MiTo SettembreMusica; Alessandro Cadario è intervenuto sul difficile equilibrio che si deve instaurare tra la parte artistica e quella organizzativomanageriale nella realizzazione di concerti; Valerio Perino ha posto l’accento sulle necessità tecniche e logistiche che la produzione di un evento comporta; Paolo Luino ha parlato dell’importanza di una cosciente gestione dei new media, in modo particolare di internet, per un’efficace promozione della propria attività culturale. Dopo i giorni di preparazione teorica ha avuto inizio la parte operativa. I compiti e gli incarichi da svolgere per il festival Cantare è giovane! sono stati numerosi, ma la squadra di CMT non si è mai scoraggiata e si è sempre dimostrata dinamica e all’altezza della situazione. Al termine di questo percorso è possibile affermare che, grazie all’apporto dei giovani stagisti e dei loro coordinatori, l’accoglienza dei cori e dei direttori partecipanti al festival, l’allestimento di tutti i luoghi della manifestazione, la cura nello svolgimento delle esibizioni e molti altri piccoli ma importanti dettagli, sono stati impeccabili. Lo stage per giovani manager in ambito corale-musicale ha raggiunto un obiettivo importante: formare promettenti manager con lo scopo di creare un valido gruppo di lavoro che si rivelerà prezioso anche in vista dell’edizione italiana del Festival Europa Cantat XVIII. L’affiatamento e la passione con cui i ragazzi hanno collaborato lasciano ben sperare per l’appuntamento internazionale di Torino 2012 e fanno trasparire prospettive incoraggianti per il futuro e lo sviluppo dell’associazionismo corale italiano. (f.v.) CMT è… giovane! Quello che è certo è che nessuno della ventina di giovani partecipanti a CMT - Choral Management Today si scorderà facilmente la settimana passata a Torino e in particolare i giorni che ne hanno visto il coinvolgimento all’interno dell’organizzazione del festival Cantare è giovane! Il programma dello stage, che ha avuto luogo dal 26 giugno al 3 luglio scorsi a Torino, è stato diviso in due parti: la prima riservata all’intervento di relatori molto preparati, che si sono dedicati a relazioni di carattere teorico ma al tempo stesso interattivo sui temi del marketing, della promozione e del crisis management, oltre che sul Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 e sulle realtà associative corali italiane ed europee. La seconda parte è stata una vera e propria messa in pratica di quanto appreso. Anche se ognuno dei ragazzi dello stage, provenienti da tutta Italia, aveva già alle spalle piccole o grandi esperienze, un coinvolgimento a 360° e 24 ore su 24 in tutte le singole attività che riguardano l’organizzazione di un evento della portata del festival Cantare è giovane! è stato certamente una novità per tutti. Se da un lato l’assegnazione di precisi compiti ha dato qualcosa di concreto a cui appoggiarsi, la libertà di proporre soluzioni o di prendere alcune decisioni che è stata affidata ai giovani dello stage, in particolare in situazioni di crisi o imprevisti, ha permesso dall’altro di mettersi in gioco fino in fondo, mettendo alla prova la personale capacità di gestione di un evento complesso ma soprattutto dello stress e degli imprevisti che ne derivano. Ciò che però ha giocato un ruolo fondamentale, che troppe volte viene invece sottovalutato, se non addirittura ignorato, è l’attenzione nel creare all’interno di un vero e proprio gruppo di lavoro, un gruppo i cui singoli elementi si muovano in armonia e provino fiducia nella reciproca collaborazione. Evitare passaggi inutili, o evitare l’insorgere di problemi e fraintendimenti nella comunicazione, ha reso decisamente più efficace ed efficiente oltre che più piacevole lo svolgere ogni singolo compito. È questo il motivo principale grazie al quale il Team CMT è rimasto tale anche dopo l’avventura di Torino. (s.d.) ASSOCIAZIONE 39 Ricchezza, varietà, diversità a Roma la Giornata Nazionale della Musica Popolare Istituita con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 maggio 2004, la Giornata Nazionale della Musica Popolare, celebrata in tutta Italia lo scorso 14 maggio, ha avuto quest’anno il suo culmine nella manifestazione svoltasi nel pomeriggio a Roma. Nell’occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Tavolo nazionale per la Musica Popolare e Amatoriale, che ne è stato il promotore, ha voluto, attraverso i cori, le bande e i gruppi folcloristici invitati alla giornata romana, rappresentare l’Italia attraverso le sue venti regioni. Cinque cori, dieci bande e cinque gruppi folkloristici, provenienti ognuno da una diversa regione italiana, hanno rappresentato la varietà delle culture regionali che formano l’unica Italia. Al tempo stesso hanno mostrato la ricchezza delle culture musicali popolari, la varietà di espressioni, diversità dei linguaggi. Cambiamenti di data dell’ultima ora (la giornata, secondo la direttiva della Presidenza del Consiglio, cade la terza domenica di maggio, ma varie ragioni, non ultima la concomitanza delle elezioni amministrative, hanno costretto ad anticipare al sabato la manifestazione), hanno impedito al coro abruzzese Fonte Vetica, già resosi disponibile, di partecipare. Gli altri quattro cori hanno comunque degnamente rappresentato la coralità italiana. Ne hanno mostrato, innanzitutto, la diffusione in tutt’Italia: erano presenti un coro valdostano, il Mont Rose, diretto da Silvio Vuillermoz; un coro veneto, il Monte Cimon di Miane, diretto da Paolo Vian; un coro emiliano, i Castellani della Valle di Bologna, diretti da Gian Marco Grimandi; un coro pugliese, il Piccolo Coro Stabile di Barletta, diretto da Maria Teresa Nesta. Quattro cori che hanno rappresentato le diverse tipologie del mondo corale, da quello maschile (i cori Mont Rose e Monte Cimon) a quello misto, con i Castellani della Valle, e quello di bambini, con il Piccolo Coro Stabile, che si è costituito all’interno del IV circolo didattico San Domenico Savio di Barletta: un dato, quello della giovane età dei coristi pugliesi, unico non solo tra i cori, ma in tutta la manifestazione, a sottolineare una peculiarità del nostro mondo corale sempre più presente nelle scuole e nelle generazioni più giovani. In una giornata strutturata più sul versante celebrativo che su quello musicale, e modellata forse più a misura di banda che di coro, la nostra rappresentanza non si è persa d’animo: mentre le bande e i gruppi folcloristici sfilavano per le vie della capitale, i quattro cori animavano Piazza di Spagna, sede del momento conclusivo della manifestazione. Sparsi agli angoli di uno dei luoghi più suggestivi di Roma, hanno dato vita a un concerto spontaneo presentando i diversi repertori regionali in una simpatica e non tanto inconfessata gara a chi coinvolgeva di più il pubblico presente. Infine la parte conclusiva e ufficiale della giornata: il concerto in cui tutti i gruppi, sulla Scalinata di Trinità dei Monti, si sono alternati con un paio di brani a testa. Infine, dopo gli interventi delle autorità, tra le quali spiccava il presidente del Comitato per il 150° dell’Unità d’Italia, on. Giuliano Amato, il canto, bande e cori insieme, dell’Inno degli italiani di Goffredo Mameli. Un ringraziamento particolare di tutta Feniarco va ai cori che hanno partecipato alla Giornata Nazionale della Musica Popolare; un ringraziamento che va esteso anche a tutti quelli che si erano resi disponibili, ma che non sono stati selezionati perché a rappresentare la loro regione è stata chiamata una banda o un gruppo folcloristico. Si vedranno le forme i modi con cui questa giornata verrà riproposta e organizzata nelle prossime edizioni, certi che, comunque, la nostra coralità saprà rispondere nel migliore dei modi. cantare È giovane! cantare con i giovani di Dario Piumatti Si è concluso ai primi di luglio il festival Cantare è giovane! organizzato da Feniarco a Torino, città in fermento per l’approssimarsi del prestigioso evento corale internazionale di Europa Cantat che si svolgerà nell’estate del 2012. Una vera e propria prova generale, così è stato definito il festival nella serata inaugurale. Una prova generale ben riuscita, posso affermare oggi da cantore, direttore di coro, nonché cittadino torinese. Sono infatti felice, orgoglioso e ottimista valutando quanto visto e vissuto in questi cinque splendidi giorni di musica corale. Il festival si è svolto da mercoledì 29 giugno a domenica 3 luglio e ha coinvolto otto cori di voci bianche e giovanili selezionati, e di alto livello, provenienti da diverse regioni d’Italia: Coro giovanile Dauno U. Giordano di Foggia, Coro giovanile Diapason di Roma, Coro giovanile Il Calicanto di Salerno, Coro da camera del Conservatorio “G. Verdi” di Torino, VociInNote di Torino, Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa (Ud), Coro giovanile I Minipolifonici di Trento, Coro Artemusica di Valperga (To). La manifestazione si è svolta su alcuni prestigiosi palcoscenici della città e di altre province del Piemonte. Oltre alla ricca proposta concertistica diffusasi in tutta la regione, ci sono stati momenti di studio e di costruttivo confronto con direttori di fama internazionale provenienti dall’esperienza di Songbridge, progetto internazionale approdato per la prima volta in Italia grazie a Carlo Pavese, e promosso dall’International Federation for Choral Music, che ha avuto modo di incontrare il festival in modo “coral-interattivo” nella bellissima sala del Teatro Carignano, cuore del centro storico. Singolare di questa serata infatti è stata proprio l’esecuzione partecipata di tre brani proposti da tre cori sul palcoscenico, Piccoli Cantori di Torino, Coro Efroni (Israele) e Cor Infantil Sant Cugat (Spagna) in cui il pubblico è passato da spettatore a vero protagonista svolgendo una parte attiva e coinvolgente. Cantare è giovane! ha anche offerto un suo importante contributo alle celebrazioni per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia, inserendosi splendidamente nell’ambito di Esperienza Italia cantar ASSOCIAZIONE 41 150 con la proposta, nella serata finale del sabato, della prima esecuzione assoluta di un brano composto e diretto da Alessandro Cadario. Il Concerto a 8 cori, brano unico nel suo genere, articolato su temi inerenti la costituzione dello Stato italiano, con le sue peculiarità linguistiche legate alle tradizioni culturali delle diverse regioni ha sortito un forte impatto acustico e scenico nonché compositivo, regalando agli ascoltatori e agli esecutori da una parte intense emozioni, dall’altra un nuovo sguardo sull’idea stessa dell’Italia corale e della coralità italiana. VociInNote, la giovane realtà corale torinese di cui sono direttore artistico, si è avvicinata per la prima volta a un evento così visibile e importante per la coralità giovanile italiana. Grazie a questa partecipazione, si è fortificata nel gruppo la consapevolezza del lavoro svolto in questi sei anni di vita. Abbiamo avuto la possibilità di conoscere e scoprire nuove realtà nonché l’occasione di raccontare il nostro modo di fare coro. Dopo il primo ed emozionante impatto del concerto inaugurale tenutosi nel suggestivo Tempio Valdese, in cui i cori si sono presentati, ci siamo accorti di respirare un’aria nuova: duecento ragazzi che senza essersi mai incontrati prima si comportavano come amici di vecchia data. Accoglienza, ascolto, dialogo, buona musica: Torino da quella sera mi è sembrata una calamita di musica giovane fatta da giovani! Negli occhi dei tanti ragazzi e ragazze si leggevano le emozioni, la carica e la concentrazione di chi ha voglia di cantare non solo le note, ma di cantare la gioia del vivere in coro, di sentirsi parte di un gruppo che produce positività, regala energia e benessere, dona se stesso attraverso la propria voce. Nel secondo giorno di prove abbiamo avuto il piacere di cantare con altre tre realtà corali (Coro Artemusica, Piccolo Coro Artemìa e Coro giovanile Il Calicanto) che per l’occasione sono diventate un unico grande coro a disposizione della maestra Maya Shavit del Coro Efroni. Al termine di due ore di intenso studio, i ragazzi, completamente avvolti da un bel suono corale, hanno ignorato l’intervallo continuando a cantare ancora. Noi direttori ci siamo ritrovati al centro di un vortice corale totalmente improvvisato. Ancora oggi il ricordo è presente e vivo nei miei pensieri e mi investe nella sua totalità, nonostante siano passati parecchi giorni. L’energia e la capacità di adattamento che hanno i giovani sono strabilianti e travolgenti; dirigerli, educarli nella musica, e crearla con e per loro rappresenta davvero un’opportunità unica e arricchente per noi direttori, difficile da descrivere a parole. Era scattata la molla! Il culmine emotivo e musicale lo abbiamo raggiunto nella trasferta del venerdì a Verbania sul Lago Maggiore, giorno nel quale ogni formazione avrebbe condiviso l’intera giornata con un coro gemello affidato. A noi, con enorme piacere, è toccato il Coro giovanile Il Calicanto di Salerno, diretto da Silvana Noschese, direttore di grande esperienza che già il mio maestro, Dario Tabbia, con grande lungimiranza, mi aveva descritto come esempio importante di coralità giovanile da seguire e con cui confrontarsi. È stata una giornata memorabile, unica davvero da quando dirigo questo gruppo. Il concerto a due cori ha espresso contemporaneamente vitalità, sincera passione e amore condiviso unito a un eccellente livello artistico, a giudicare anche dagli applausi ricevuti. I diversi repertori sono stati presentati con uguale partecipazione, preparazione e profonda dedizione riscuotendo un bel successo. Desidero anche raccontare e condividere un aspetto di questo incontro. Da quest’esperienza è nato un vero gemellaggio. Giovani cantori, lontani più di mille chilometri tra loro, ma vicinissimi come idea di canto corale, si sono incontrati nel senso più profondo della parola. Si è formato infatti idealmente un nuovo coro, interregionale, al quale i ragazzi hanno voluto dare il nome di CalicantoInNote. Da questa esperienza ho capito che “coro” non è solo un gruppo che si ritrova in modo stabile nello stesso luogo e alla stessa ora di un giorno, ma è una scelta di vita che non ha distanze, un re con Il coro è una scelta di vita, un legame che non ti lascia mai da solo. modo di pensare e di sentire la musica, un legame che non ti lascia mai da solo. Questo è il profumo che ancora inebria i ricordi del festival Cantare è giovane!, arrivato nel nostro gruppo quasi per caso, ed esploso tra giovani cantori di tutta Italia grazie alla passione non solo dei cori e dei loro direttori, ma di tanti altri addetti ai lavori, in particolar modo lo staff di Feniarco che, con grande passione e sacrificio a livello organizzativo e umano, ci ha portato a vivere queste emozioni, dandomi la possibilità di raccontarvi, come semplice direttore di coro, una personale esperienza di vita che mai dimenticherò. 42 Ready TO… sing! si aprono le iscrizioni a torino 2012 A meno di 365 giorni dall’inizio di quella grande avventura che sarà il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012, proponiamo in anteprima al lettore di Choraliter un estratto dalla brochure informativa del festival. Con l’augurio che questo piccolo assaggio faccia nascere il desiderio di assaporare ancora più a fondo il piacere di un’esperienza unica e irripetibile. Il Festival Europa Cantat è un posto per tutti, specialmente per i curiosi. Cantanti curiosi e curiosi di cantare, direttori curiosi e curiosi di chi ci dirigerà, compositori curiosi e curiosi di nuove composizioni, ascoltatori curiosi e curiosi di farsi ascoltare. Sono queste le persone che si riuniscono ogni tre anni in una città europea, e per dieci giorni, in un ambiente interattivo e non competitivo, lasciano che le loro voci e le loro orecchie, che i loro occhi e i loro cuori scandiscano il tempo, che la loro memoria si nutra di nuovi visi, musiche, colori, la loro agenda di nomi di nuovi amici, la borsa di nuovi spartiti, il palato di nuovi sapori, la vita di nuova sana energia. E tutto ciò vale oro. Il mattino ha l’oro in bocca (e canta note preziose) Quindi, se siete curiosi, e non vedete l’ora di voltare pagina ed entrare nel vivo delle offerte musicali proposte dal Festival Europa Cantat, vi invitiamo a leggere queste righe con altrettanta attenzione. Vogliamo infatti aiutare chiunque voglia partecipare attivamente al festival Europa Cantat XVIII a fare il primo passo: scegliere un’attività mattutina proposta dal festival, iscriversi e organizzare la propria permanenza a Torino. Gli atelier Il festival propone cinquanta atelier, che durano da quattro a otto giorni e si concludono con un concerto pubblico. Gli atelier sono articolati su quattro livelli e la maggior parte di essi è aperta a tutti. A ogni livello si può trovare la più grande varietà di generi musicali e tipologie corali, abbinata a differenti durate (alcuni atelier inoltre prevedono un giorno libero). Agli atelier si possono iscrivere cori completi, gruppi di coristi dello stesso coro (anche se in numero non sufficiente per esibirsi in concerto), cori che si dividono su più atelier, singoli cantori. Indicate tre scelte di atelier e iscrivetevi entro il 30 novembre: avrete la garanzia di partecipare a uno dei tre! ASSOCIAZIONE 43 I discovery atelier sono sessioni di una mattina, programmate sull’intero arco del festival, possono essere scelti in anticipo o sul momento e affrontano specifici ambiti vocali e corali soddisfacendo molte vostre curiosità. Gli atelier di quattro giorni e i discovery atelier vi permettono di pensare creativamente: potete abbinare due atelier di quattro giorni (parte I e parte II) creando interessanti combinazioni (gregoriano e live electronics, per esempio), potete inserire uno o più discovery atelier nel vostro giorno libero o dopo la fine dell’atelier principale, potete costruire una permanenza al festival con una serie di discovery atelier… insomma potete incastrare al meglio i pezzi del vostro mosaico! Ecosistema corale: direttori, compositori Tra le tante figure che compongono il nostro habitat musicale, il festival desidera potenziare le interazioni e gli scambi, con la convinzione che il futuro della musica corale passi anche attraverso l’incontro e un più intenso rapporto tra compositori, direttori e cori. Per questo il festival vuole accostare al programma per direttori, che tanto successo ha riscosso a Utrecht, un nuovo programma per compositori e il caloroso invito a tutti i partecipanti a portare a Torino nuove idee, musiche, arrangiamenti e voglia di confrontarsi. Del resto cinquanta atelier, discovery atelier quotidiani, cori ospiti e numerosi concerti creano una concentrazione di musicisti di altissima qualità e un’occasione irripetibile di esperienze, incontri, aggiornamento, ispirazione. Famiglie al completo (e amici diffidenti) Non rinunciate a una settimana di vacanza con la vostra famiglia per venire al festival. Abbiamo pensato anche a chi a casa vostra non canta… il festival Europa Cantat XVIII può diventare l’occasione di condividere con loro per qualche giorno la vostra passione musicale: nel Musical kindergarten per i più piccoli, nel Laboratorio per la scuola primaria, nell’Atelier per chi non ha mai cantato in coro. A pensarci bene questa proposta non vale solo per la vostra famiglia, anzi, vi lanciamo una piccola sfida. Portate in vacanza i vostri amici a Torino e fate loro scoprire perché quando avete le prove con il coro scomparite e non ce n’è per nessuno! ready TO perform Se una giornata di festival fosse un respiro, il mattino sarebbe l’inspirazione, quando nuova energia e nutrimento entrano nel nostro corpo, e pomeriggio e sera una lunga espirazione di concerti, esibizioni, open singing, fringe. Unitevi alla festa musicale e regalateci il meglio del vostro coro, del vostro repertorio, della vostra gioia di cantare e di ascoltare. Ciascun coro partecipante al festival avrà le seguenti possibilità di esibirsi: • un concerto, insieme ad altri due cori, nell’ambito del programma ufficiale; • il concerto finale del proprio atelier; • un concerto nella regione, in un giorno libero; • esibizioni spontanee e senza limiti nel programma fringe (per le strade, i portici, le piazze… e ovunque vogliate!). Concerti di cori ospiti, progetti speciali, eventi particolari (quali il concerto di apertura e di chiusura) saranno inclusi nel programma. E le libere iniziative musicali saranno vivamente incoraggiate. Il tutto nello spirito dell’open singing, il vero cuore pulsante di ogni festival Europa Cantat, che raccoglie ogni sera tutti i partecipanti in piazza per cantare, ma che si propaga e coinvolge i luoghi più significativi della città. Manager musicali, editori, musica-dipendenti Anche voi siete benvenuti al festival. Riproporremo infatti il programma per manager (YEMP) e l’esposizione editoriale (Music Expo), e per chi non può fare a meno di concerti in dosi massicce promettiamo la consueta abbuffata di musica corale in forme consuete e inconsuete. In che senso? Beh… siate curiosi! Venite a Torino! 44 Torino 2012 Atelier A - PER TUTTI A1 The Bad Guys per voci bianche durata 7 giorni Simone van Gog (NL) Herma van Piekeren (NL) A2 Forever Classical per voci bianche durata 6 giorni Mario Mora (IT) A3 Still Alive! per voci giovanili durata 7 giorni Maud Hamon-Loisance (FR) A4 Yo Man! durata 4 giorni per voci giovanili Alessandro Cadario (IT) A5 Party Music per voci giovanili durata 4 giorni Kjetil Aamann (NO) A6 Vivaldi: Gloria per voci femminili durata 7 giorni Federico Maria Sardelli (IT) A7 Bob Chilcott: A Little Jazz Mass per voci femminili durata 4 giorni Basilio Astulez (ES/Basque) A8 Signore delle cime per voci maschili durata 8 giorni Maria Dal Bianco (IT) Oliver Rudin (CH) A9 Homo cantans per voci maschili durata 6 giorni Hirvo Surva (EE) A10 Latin American Ethnic Music per voci miste durata 8 giorni Gustavo Maldino (RA) A11 Polychorality per voci miste durata 7 giorni Marco Berrini (IT) Marco A. Garcia De Paz (ES) Maike Bühle (DE) A12 Haydn: Stabat Mater per voci miste durata 6 giorni Martina Batic̆ (SI) A13 Sing it! Cook it! per voci miste durata 6 giorni Lorenzo Donati (IT) A14 The Sound of Silent Films per voci miste durata 5 giorni Pierre Loïc (FR) A15 Urban Gospel per voci miste durata 4 giorni Joakim Arenius (SE) B - PER CHI LEGGE A PRIMA VISTA E CHI ARRIVA PREPARATO B1 Opera for Children per voci bianche durata 8 giorni Elisenda Carrasco (ES/Cat) Rob Kearley (UK) B2 On the Wings of Imagination per voci bianche durata 6 giorni Gabriella Thész (HU) B3 The Edge of the Stage per voci giovanili durata 6 giorni Lone Larsen (DK/SE) B4 Groovy Ladies per voci femminili durata 6 giorni Benoît Giaux (BE) B5 Marian Music per voci femminili durata 5 giorni Anne Karin Sundal-Ask (NO) B6 Let’s Travel! per voci femminili durata 4 giorni Basilio Astulez (ES/Basque) B7 Male Voices and Strings per voci maschili durata 6 giorni Jürgen Faßbender (DE) B8 That’s all Folk! per voci maschili durata 4 giorni Sofia Söderberg Eberhard (SE) B9 The Fascination of Gregorian Chant per voci maschili / voci femminili durata 4 giorni Alexander Markus Schweitzer (DE) B10 Invitation to Baltic Song Celebrations per voci miste durata 8 giorni Ints Teterovskis (LV) B11 Opera Stage per voci miste durata 7 giorni Lorenzo Fratini (IT) B12 Gounod: Messe de Sainte Cécile per voci miste durata 7 giorni Laurent Gendre (CH) B13 Sacred Romantic Sound per voci miste durata 6 giorni Florian Helgath (DE) B14 Orthodox Liturgy per voci miste durata 5 giorni Inessa Bodyako (BY) B15 San Gloria per voci miste durata 5 giorni Timothy Brown (UK) B16 Duke Ellington’s Sacred Concert per voci miste durata 4 giorni Harold Lenselink (NL) B17 Improvisation and Live Electronics per voci miste durata 4 giorni Alessandro Cadario (IT) B18 How to Develop a Vocal Group per gruppi vocali durata 7 giorni Voces8 (UK) ASSOCIAZIONE C - PER CORI E CANTORI AUDIZIONATI E CHE ARRIVANO PREPARATI C1 Arvo Pärt: Our Garden per voci bianche durata 5 giorni Aarne Saluveer (EE) C2 Singing Ladies per voci femminili durata 6 giorni Bo Johansson (SE) C3 Mendelssohn vs Bonato per voci maschili durata 5 giorni Stojan Kuret (SI) C4 Mare Nostrum per voci miste durata 8 giorni Daniel Mestre (ES/Cat) C12 Masterclass for Vocal Groups per gruppi vocali durata 4 giorni The Real Group (SE) D - PER CORI GIOVANILI NAZIONALI E REGIONALI D1 Hermann Suter: Le Laudi durata 7 giorni Simon Gaudenz (CH) D2 Eric Whitacre’s Music durata 6 giorni Ragnar Rasmussen (NO) D3 Bach: Motets durata 6 giorni E - PER CANTORI SELEZIONATI E1 Europa Cantat Chamber Choir durata 8 giorni Anton Armstrong (US) C6 Festa barocca: Dettingen Te Deum per voci miste durata 6 giorni Filippo Maria Bressan (IT) F - PROGETTI SPECIALI C7 Requiem for Peace per voci miste durata 6 giorni Larry Nickel (CA) F2 Workshop for primary school singers (per bambini dai 6 ai 10 anni) C9 And the Winner is… per voci miste durata 5 giorni Mirga Grazinyte (LT) Dani Juris (FI) C10 Missa Papae Marcelli per cori misti durata 5 giorni Paolo Da Col (IT) C11 Atelier Monteverdi per cantori individuali / gruppi vocali durata 7 giorni La Compagnia del Madrigale (IT) I - PROGRAMMA PER COMPOSITORI Il festival mira a migliorare il rapporto tra compositori, arrangiatori, cori e direttori e ad avvicinare il mondo dei compositori classici ai cori amatoriali. Per tale ragione, il festival Europa Cantat XVIII offre un programma per compositori e arrangiatori per l’intera durata del festival. Il programma dettagliato per compositori e arrangiatori sarà disponibile sul sito del festival a partire da novembre 2011. OPEN SINGING Michael Gohl (CH) Coro Accademia Feniarco (IT) YEMP C5 Made in Italy per voci miste durata 7 giorni Gary Graden (US/SE) C8 Sing to Swing per voci miste durata 6 giorni Ben Parry (UK) 45 F1 Musical kindergarten (per bambini fino ai 6 anni) F3 Choir, first sight love! Atelier per chi non ha mai cantato in un coro (da 11 a 111 anni) G - DISCOVERY ATELIER La proposta di discovery atelier sarà pubblicata sul sito del festival nel febbraio 2012. Ogni mattina sarà possibile scegliere tra una serie di discovery atelier, su diversi stili e repertori musicali. Ci si può iscrivere per uno o più giorni durante i giorni liberi dal proprio atelier. H - PROGRAMMA PER DIRETTORI A seguito del successo all’ultimo festival di Utrecht, Europa Cantat offrirà anche a Torino un programma per direttori per l’intera durata del festival, parallelo agli atelier per i cantori. Il programma dettagliato sarà disponibile sul sito del festival a partire da novembre 2011. Youth Event Management Programme Cosa serve per organizzare un festival con migliaia di cantori? Come posso conseguire una carriera da manager di cori o organizzatore di eventi? Dopo il successo del 2009, per la seconda volta in assoluto, il Festival Europa Cantat offre a giovani attivi e pieni di risorse la possibilità di svolgere un programma di formazione all’interno del mondo corale. Potrai verificare quanto appreso durante le lezioni mettendolo in pratica attraverso un’ esperienza lavorativa in qualità di membro dello staff del festival internazionale. Ready TO help! Vuoi collaborare con noi? Ti piace la musica corale? Hai passione ed entusiasmo e vuoi collaborare per l’organizzazione di un grande evento in una splendida città? Allora sei uno dei nostri! Prima e durante il festival abbiamo bisogno di numerosi volontari per allestire questo importante appuntamento. Collaborare come volontario significa rendersi disponibile al lavoro che verrà richiesto in rapporto alle necessità che si presenteranno. Sono benvenuti i volontari di tutte le età! Per ciascuno di voi c’è sicuramente molto da fare e una bella avventura da condividere! 46 UN TORRENTE RICCO D’ACQUA Concorso Nazionale Corale Trofei Città di Vittorio Veneto 2011 di Giorgio Morandi «Rilievi collinari e montuosi si susseguono a ridosso delle Alpi in provincia di Treviso e costituiscono il territorio di Vittorio Veneto ricco di corsi d’acqua a carattere torrentizio». Questa informazione turistica, scelta fra le tante, va qui intesa in senso letterale e naturale, ma anche in senso figurato… e ci limitiamo alla considerazione di quel campo culturale musicale che avvalora e rende merito alla fama di “Città della Musica” che l’amministrazione comunale di Vittorio Veneto ha da anni costruito con la promozione e la realizzazione di manifestazioni che, uniche a livello nazionale, nel corso dell’anno sono guardate con estremo interesse anche dagli ambienti musicali internazionali. Sono tutte attività di notevole spessore, ma fra esse spicca – davvero torrente vivace e ricco d’acqua vitale – il Concorso Nazionale Corale Trofei Città di Vittorio Veneto che ogni anno vede confrontarsi molti cori provenienti da tutta Italia. Con la loro presenza questi cori testimoniano come la partecipazione, il livello corale e lo spirito del concorso negli ultimi cinque anni siano decisamente cambiati. «Ancora una volta si dà inizio a una festa: quella del canto, soprattutto, della voce, educata e disciplinata dalla tecnica, ma sempre fluente dal cuore; quello strumento sonoro insuperabile, certamente duraturo quanto la stessa umanità». A esprimersi così è il sindaco di Vittorio Veneto, Gianantonio Da Re, che di persona (e accompagnato dall’assessore alla cultura Michele De Bertolis) è stato presente in diversi momenti di una manifestazione di cui davvero oggi si può dire che abbia raggiunto prestigio e autorevolezza fra i più ampi in campo corale nazionale. Prestigio e autorevolezza sono dovuti sicuramente «soprattutto alla competenza e serietà dei componenti delle commissioni giudicatrici e del comitato artistico». Quest’ultimo, coordinato da un esperto regista come da molti anni è Stefano Da Ros, è attualmente composto da Francesco Luisi, Mario Mora, Alvaro Vatri e Mauro Zuccante. Per cominciare a fornire al lettore alcuni dati comprovanti le precedenti positive valutazioni del concorso, possiamo dire che ottima sotto ogni aspetto è stata la nuova allocazione del concorso nelle moderne funzionali strutture del teatro Lorenzo Da Ponte gestito direttamente dal Comune (un complimento è qui dovuto anche alla competenza e disponibilità affabile delle signore in servizio nella hall). E aggiungiamo subito che ben trentadue sono state le compagini corali che con circa un migliaio di coristi si sono iscritte e hanno effettivamente partecipato alla quarantacinquesima edizione del concorso. La loro provenienza copre geograficamente tutto il paese, dalla Sicilia al Friuli passando per la Capitale che, detto subito, “porta a casa” il riconoscimento speciale – il più ambito – di cui successivamente vedremo qualche dettaglio. Dopo una serie di audizioni cominciate venerdì sera (27 maggio) e terminate domenica (29 maggio) a mezzogiorno, è stato compito – non sempre facile ma sempre condiviso da tutti i membri di una qualificata commissione artistica – indicare le compagini canore sul cui capo è stata posta la meritata corona di alloro che introduce un gruppo corale fra quelli che saranno per sempre indicati tra i migliori esponenti della attuale coralità italiana. La commissione, formata da Mauro Pedrotti (Presidente), Antonella Arnese, Maria dal Bianco, Ilario Lavrenc̆ic̆ e Dario Tabbia, ha ritenuto di assegnare l’alloro ai seguenti cori: Coro Musicanova di Roma, diretto da Fabrizio Barchi, per la categoria A; ex-aequo Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del Carso (Go), voci femminili dirette da Mateja C̆ernic, e Corale Zumellese di Mel (Bl), voci miste dirette da Manolo Da Rold, per la categoria B; Coro La Rupe di Quincinetto (To), diretto da Domenico Monetta, per la categoria C e Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del Carso (GO), per la categoria D. La commissione ha avuto anche il piacevole compito di assegnare questi altri premi: premio per il programma più interessante al Coro Giovanile di Thiene (permettete a proposito di questo gruppo di ragazzi la dedica di una piccola espressione di feeling personale dell’estensore di queste note: entusiasmo e bellezza/gioia della vita centrati in pieno. Grazie ragazzi di Thiene!); premio al direttore di coro dalle particolari doti interpretative, ex-aequo a Domenico Monetta, direttore del Coro La Rupe di Quincinetto, e a Manolo Da Rold, direttore della Corale Zumellese di Mel; premio al miglior coro veneto alla Corale Zumellese di Mel; premio speciale al miglior coro scolastico ex-aequo al Coro del Liceo Marco Polo di Venezia e Coro Hebel del liceo Classico Legnani di Saronno. Già alla semplice lettura di questo elenco appare evidente l’attenzione che la giuria ha voluto dedicare anche quest’anno ai cori giovanili. Con il premio per il programma più interessante e per i cori scolastici essa ha voluto sottolineare il valore e il merito del lavoro che a favore della disciplina corale viene svolto nelle scuole. Resta, infine, da chiarire al lettore lo scarno accenno sopra fatto al premio speciale “portato a casa” da un coro della capitale. Con il Gran Premio, cui concorrono i vincitori delle varie categorie e il coro vincitore del Concorso nazionale di Arezzo dell’anno precedente, FENIARCO e la città di Vittorio Veneto hanno voluto ricordare Efrem Casagrande, indimenticato compositore e direttore di coro, fondatore del concorso e animatore della vita musicale e culturale della sua città. CRONACA 47 Risultati Cat. A - Musiche originali d’autore 1. Coro Musicanova di Roma 2. Coro Estro Armonico di Salerno 3. ex-aequo al Coro La Rupe di Quincinetto (To) e Corale Zumellese di Mel (Bl) Cat. B - Canto popolare 1. ex-aequo Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del Carso (Go), voci femminili, e Corale Zumellese di Mel (Bl), voci miste 2. Coro La Rupe di Quincinetto (To), voci maschili 3. Coro Nuova Armonia di Chiari (Bs) Forse non tutti ricordano che il maestro è scomparso proprio vent’anni fa e quindi il concorso ha celebrato esplicitamente anche questo importante anniversario. Lo ha fatto la coralità cittadina venerdì 20 maggio quando nel teatro Lorenzo da Ponte la Corale Femminile Vittoriese diretta da Patrizia Tomasi, il Coro Alpino Col di Lana diretto da Sabrina Carraro, il Coro ANA di Vittorio Veneto diretto da Pierangelo Caiesella e il Coro Vittorio Veneto diretto da Giuseppe Borin hanno presentato – con sincera simpatia, competenza e affetto – composizioni ed elaborazioni corali di Efrem Casagrande; lo ha fatto FENIARCO e la coralità nazionale domenica 29 maggio pomeriggio quando i cori vincitori delle varie categorie corali a concorso si sono ancora una volta misurati in “singolar tenzone” per accaparrarsi l’ambito Gran Premio Efrem Casagrande. Chiamata a non facile compito di valutazione, la giuria del concorso ha decretato di assegnare il trofeo e il premio offerto da FENIARCO al Coro Musicanova di Roma, diretto da Fabrizio Barchi. Come definire la quaranticinquesima edizione del concorso di Vittorio Veneto? Rispondendo a questa domanda è facile rischiare la banalità, lo scontato, il sospetto di facile salamelecco politically correct, ma… ci gioco il mio stipendio! Concorderete con me che l’uso dell’aggettivo “grande” preso dalla nostra bellissima, ricchissima e musicalissima lingua italiana è più che giustificato se definisce: un concorso svoltosi in una bella cittadina veneta dalla ospitalità davvero cordiale; tanto canto di livello tecnico e contenutisticoemotivo mediamente molto alto e proposto in una struttura (il teatro Lorenzo da Ponte) moderna, ampia, efficiente, in centro città; una partecipazione di gruppi corali numerosa e proveniente da tutta Italia; un comitato artistico e una commissione giudicatrice di grande competenza ed esperienza; il convergere di tante competenze e tanti sostegni da parte di enti e istituzioni; l’unirsi di contributi e forme di sostegno varie da parte degli sponsor e la generale soddisfazione finale esplicitamente espressa dagli organizzatori, dai partecipanti e dal pubblico. Il futuro? Anche se – dal punto di vista sia organizzativo sia dei contenuti – alcune novità sono sempre possibili e talvolta auspicabili per la vivacità e l’incisività della manifestazione stessa, il futuro del concorso è assicurato. Le autorità e il regista Stefano da Ros ci hanno lasciato con un cordiale arrivederci! Cat. C - Riservato a cori maschili 1. Coro La Rupe di Quincinetto (To) 2. non assegnato 3. Coro La Stele di Roverè Veronese (Vr) Cat. D - Cori giovanili 1. Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del Carso (Go) 2. Coro Musicanova di Roma 3. Coro Giovanile di Thiene di Thiene (Vi) Gran Premio Efrem Casagrande: Coro Musicanova di Roma diretto da Fabrizio Barchi Altri premi: Premio per il programma più interessante: Coro Giovanile di Thiene. Premio al direttore di coro dalle particolari doti interpretative: ex-aequo a Domenico Monetta, direttore del Coro La Rupe di Quincinetto, e Manolo Da Rold, direttore della Corale Zumellese di Mel. Premio al miglior coro veneto: Corale Zumellese di Mel. Premio speciale al miglior coro scolastico: ex-aequo al Coro del Liceo Marco Polo di Venezia e Coro Hebel del liceo Classico Legnani di Saronno. 48 IL VALORE DI MEZZO SECOLO DI TRADIZIONE 50º Concorso Internazionale Seghizzi di Rossana Paliaga Sulla porta che da Oriente apre il passaggio a Occidente, sulla via dove il nord Europa incontra il Mediterraneo, Gorizia è stata attraversata dalle correnti della storia anche sul palcoscenico del concorso internazionale di canto corale C.A. Seghizzi. Nei suoi cinquant’anni di attività, la competizione ha “cantato” anche i grandi cambiamenti, le cadute di molte barriere, l’ascesa e le crisi di vecchi e nuovi stati indipendenti. Nei decenni passati i popoli dell’est sono stati i portatori dei messaggi più significativi in questo senso, da un più generale desiderio (e opportunità) di confronto, al fenomeno specifico del fiorire delle repubbliche baltiche, seguito in tempi più recenti da un progressivo irrigidimento dei cori slavi in posizioni tradizionaliste piuttosto impermeabili all’attualizzazione. Quest’anno invece il concorso ha festeggiato l’importante anniversario con il segno di un nuovo cambiamento epocale che riguarda i rapporti con il mondo islamico, grazie alla partecipazione di un coro iraniano. Con la quantità e la varietà dei partecipanti di questa edizione, il Seghizzi ha potuto confermare ed esaltare la propria, caratteristica vocazione esotica, ma è stata in primo luogo l’alta qualità media espressa dai cori a celebrare nel migliore dei modi una grande tradizione. Oltre al già citato Iran, il variopinto ventaglio del concorso goriziano è stato composto da rappresentanti di Austria, Estonia, Indonesia, Nuova Zelanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ucraina, USA e Italia, quest’ultima presente con tre gruppi. Il loro canto ha abbracciato come di consueto l’intera regione con il circuito di concerti legati al concorso, che con un numero particolarmente alto di partecipanti ha offerto quest’anno uno spettacolo ricchissimo anche in tutte le categorie della competizione. Hanno avuto dimensioni “giubilari” la rassegna di canti di tradizione popolare e la categoria con repertorio contemporaneo, ma ha offerto un ricco programma anche quella dedicata alle composizioni di epoca rinascimentale. È stata eliminata in questa edizione la categoria dedicata alla musica del periodo barocco e classico che dopo una pluriennale sperimentazione non ha riscontrato sufficiente interesse da parte dei cori partecipanti. Il programma del concorso ha permesso ai cori partecipanti di familiarizzare con il palco e la giuria aprendosi con le due categorie di musica jazz e popolare, una scelta che ha favorito i coristi ma non il pubblico che ha viste concentrate le due categorie di più ampia fruizione in un giorno feriale. Le sorprese maggiori si sono concentrate in questo ambito con la vittoria nella sezione jazz-musica leggera del gruppo salernitano di recentissima formazione Orchestra Vocale Numeri Primi. Visibilmente sorpresi dal risultato, i giovani coristi diretti da Alessandro Cadario hanno conquistato il primo posto con l’originalità e la freschezza di un orientamento pop e di un carattere nettamente corale nelle voci educate, nell’armonia dell’ensemble e negli arrangiamenti efficaci ma non eccessivamente ambiziosi con i quali hanno unito l’individualità dell’impostazione vocale pop e la capacità di fare, musicalmente parlando, gruppo. Il secondo premio e il premio del pubblico in questa categoria è andato ai giovani del gruppo misto Tehran Vocal Ensemble che hanno partecipato esclusivamente nelle due categorie della prima giornata. Pashmine a coprire le teste delle ragazze e scarpe da ginnastica ai piedi, l’affiatato coro iraniano è salito sul palco con energia e ironia, affrontando arrangiamenti ludici e ritmati da Morricone a McCartney con l’accompagnamento costante del beatbox, anche quando dalla musica leggera sono passati a una rivisitazione in chiave moderna del popolare. Curiosa invece la vittoria nel popolare del Collegium Musicale, coro estone che ha fatto incetta di primi premi anche in tutte le categorie principali, meritando pienamente il riconoscimento soprattutto con la bravura e la precisione dimostrate dagli ottimi coristi nel complesso programma da concorso scelto per la categoria del contemporaneo, ma che nelle valutazioni ha superato in maniera meno motivata altri gruppi con un programma popolare freddamente contenuto e grigio in rapporto al contesto della categoria e un approccio impassibilmente corretto nel repertorio rinascimentale che senza far vivere i brani ha convinto evidentemente per considerazioni più obiettive. Con un programma piuttosto convenzionale ha ottenuto il secondo premio nella polifonia rinascimentale l’agguerrito CRONACA 49 Risultati 1° 2° 3° 4° 5° 6° 1° 2° 3° 4° 5° 6° 1° 2° 3° 4° 5° 6° 1° 2° 3° 4° 5° 6° 1° 2° 3° 4° 5° 6° Categoria 1a - Rinascimento Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Mes̆ani Pevski Zbor Obala (Slovenia) Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) Cantores Veiherovienses (Polonia) Gruppo Vocale Voceversa (Italia) Camerata Lacunensis (Spagna) Categoria 1c - Ottocento Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Svetozar Marković (Serbia) Youth Female Choir Oriana (Ukraina) Camerata Lacunensis (Spagna) Cantores Veiherovienses (Polonia) Vox Slavicum (Serbia) Categoria 1d - Novecento Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Mes̆ani Pevski Zbor Obala (Slovenia) The Singers Chamber Choir (Indonesia) Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) Camerata Lacunensis (Spagna) Svetozar Marković (Serbia) Categoria 2a - Musica popolare Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Svetozar Marković (Serbia) Mes̆ani Pevski Zbor Obala Slovenia) Z̆ilinsky Mies̆ani Zbor (Slovacchia) Youth Female choir Oriana (Ukraina) Camerata Lacunensis (Spagna) Categoria 2b - Musica leggera, jazz, tradizionale Orchestra Vocale Numeri Primi (Italia) Tehran Vocal Ensemble (Iran) Camerata Lacunensis (Spagna) Ensemble Man’s (Russia) Gruppo Vocale Voceversa (Italia) The City of Auckland Singers (Nuova Zelanda) Categoria 3 - Musica contemporanea Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Z̆ilinsky Mies̆ani Zbor (Slovacchia) Trofeo di composizione Seghizzi 2011 Martin Ruben Garcia per il brano Crucem Tuam XXIII GRAND PRIX SEGHIZZI 1° Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) 2° Mes̆ani pevski zbor Obala (Slovenia) 3° Svetozar Marković (Serbia) Camerata Lacunensis (Spagna) Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) The Singers Chamber Choir (Indonesia) Premi del Pubblico Categoria 2a - musica popolare Camerata Lacunensis (Spagna) Categoria 2b - musica leggera Tehran Vocal Ensemble (Iran) PREMI SPECIALI Premio voci pari: Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) Youth Female Choir Oriana (Ucraina) Premio Feniarco al complesso italiano con il maggior punteggio: Gruppo vocale Voceversa (Italia) Premio Domenico Cieri per il programma di maggior interesse artistico: Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia) Coppa Rachele Basuino per la miglior esecuzione di un brano tra le composizioni polifoniche di ispirazione religiosa: Svetozar Marković (Serbia) Premio Usci Friuli Venezia Giulia attribuito dalla Commissione Artistica al migliore direttore di coro: Svetlana Krstić del coro Vox Slavicum (Serbia) Premio speciale gruppi cameristici al gruppo cameristico meglio classificato nella prima categoria: Camerata Lacunensis (Spagna) Premio Cecilia Seghizzi per il miglior repertorio contemporaneo in particolare italiano ed europeo: Svetozar Marković (Serbia) Premio nuovi talenti: Adi Nugroho (Indonesia) Premio per la miglior esecuzione di un brano polifonico di un compositore della corte estense: Cantores Veiherovienses (Polonia) Premio nazionale Una vita per la direzione corale: Gianni Malatesta 50 coro sloveno Obala di Capodistria, che ha invece rivelato un potenziale interessante nelle altre categorie, seguendo a ruota con ottimi risultati, anche nella corsa per il Grand Prix, i vincitori assoluti dell’Estonia. Ottimo anche il piazzamento nel Novecento e il numero di premi sarebbe stato certamente aumentato con la partecipazione nella categoria a programma romantico, almeno a giudicare dalla lodevole capacità di questo coro di trasmettere emozioni. La rivelazione del concorso è stato il gruppo spagnolo Camerata Lacunensis, detentore di buoni piazzamenti, ma che non rappresentano la sua resa sul palco. Peccato per alcune voci “fuori dal coro”, altrimenti la grande espressività, la morbidezza del suono, la raffinatezza dello stile e le scelte di programma sempre ponderate e varie nell’aprirsi a tutte le sfumature tra virtuosismo tecnico e lirismo avrebbero portato a maggiori risultati nel calcolo matematico della giuria. Tra i gruppi italiani il punteggio più alto nelle categorie principali e quindi il premio Feniarco è andato al gruppo vocale virile Voceversa di Camburzano, interessante nel jazz italiano di sapore vintage, ma non particolarmente originale nel programma rinascimentale e che avrebbe potuto aspirare a punteggi più alti non fosse stato tradito dalla timidezza. L’emozione non ha giovato nemmeno al coro cagliaritano Studium Canticum e alla sua direttrice Stefania Pineider che avrebbe meritato forse un riscontro maggiore nel programma popolare, eseguito nei costumi tipici della tradizione sarda, ma ha risentito di un suono disomogeneo e di alcune incertezze nella direzione nelle categorie principali, nelle quali si è dovuto accontentare di un sesto premio per le esecuzioni di brani del secolo XIX. Il concorso Seghizzi di quest’anno ha visto la partecipazione di alcuni validi direttori di grande temperamento e preparazione, tra i quali è stata evidenziata con il premio speciale Usci la professionale Svetlana Krstić che ha fatto risuonare con determinazione in tutto il suo potenziale, come fosse uno strumento, il coro serbo Vox Slavicum. Il premio “Una vita per la direzione corale” è stato assegnato quest’anno al veneto Gianni Malatesta, che visibilmente commosso ha commentato: «Ho iniziato a insegnare canto corale nel 1949 e a tutt’oggi faccio il maestro di coro. Questo premio mi emoziona e lo dedico a tutti i miei amici». Avrebbe meritato un riconoscimento speciale da parte delle istituzioni locali anche il cinquantenario del concorso, celebrato da una targa del Presidente della Repubblica, una mostra alla Biblioteca Isontina e due concerti introduttivi: il Requiem di Cherubini con cori locali riuniti sotto la direzione del presidente del concorso Italo Montiglio e l’omaggio a Nino Rota nell’anniversario della nascita con l’Ensemble Otto e 1/2. Tra gli amici di lunga data dello storico concorso che quest’anno hanno fatto parte della giuria, ha riassunto con una sintesi personale l’edizione dell’anniversario il direttore sloveno Marko Munih: «A livello di programmi sono un po’ deluso dal concetto delle categorie legate al premio del pubblico; non sono infatti d’accordo sulla fusione di musica leggera e jazz, spiritual e popolare, perchè si tratta di generi non confrontabili. Nel campo della musica antica e del repertorio ottocentesco non ci sono mai grandi sorprese nelle scelte del programma, ormai si parla quasi di standard. La musica contemporanea offre invece qualche motivo di interesse in più e vorrei in questo caso citare un brano, interpretato dal coro estone, che rappresenta il massimo in questo senso. Ma robe d’amour di Olivier Messiaen è infatti un brano di tale difficoltà tecnica da essere al limite dell’eseguibilità e l’interpretazione resa da questo coro è stata mirabile, senza dubbio il punto più alto nell’intero concorso di quest’anno». CRONACA 51 Alessandro Kirschner nella giuria del Seghizzi Nella giuria internazionale del concorso Seghizzi di quest’anno il punto di vista italiano è stato rappresentato dalla presenza di Franco Monego e Alessandro Kirschner. Quest’ultimo, compositore e direttore di giovane generazione, ha apprezzato molto la varietà espressa dai partecipanti. Il Seghizzi avrebbe potuto difficilmente festeggiare meglio il proprio anniversario. Secondo le mie valutazioni, il livello medio è stato molto alto con alcune eccellenze. Le valutazioni sono state probabilmente molto vicine. La qualità si è sempre concentrata per ogni coro nelle singole performance; ognuno è specializzato in un determinato tipo di repertorio e non è detto che un coro molto valido nell’interpretazione del repertorio contemporaneo possa rendere altrettanto bene in altre categorie. Mi è piaciuto osservare le specificità nazionali e ho molto apprezzato la presentazione delle diverse realtà nella categoria del popolare. Mi ha fatto piacere veder partecipare un coro italiano anche perchè nel nostro paese trattiamo il repertorio folcloristico con troppa sufficienza, non conosciamo abbastanza le tradizioni di popoli al di fuori dell’Italia e all’interno del nostro paese le releghiamo a espressioni storiche, mentre qui hanno dimostrato la loro grande vitalità con letture contemporanee di altissimo livello. Il successo è una combinazione di capacità del direttore e dei coristi, di un programma adeguato. Quali sono stati invece gli errori più frequenti? Alcuni cori vengono segnati dalla presenza di singoli coristi con problemi vocali, un lavoro delicato che riguarda il direttore per trovare il giusto equilibrio tra la societas corale e la performance del singolo. Altro errore evidentissimo è la mancanza di coscienza stilistica nel programma rinascimentale; non basta infatti un bel suono dal quale farsi affascinare, se poi manca il fraseggio adatto. Come giudica le esibizioni dei gruppi italiani? Mi sono piaciuti i Voceversa per il bel repertorio e per l’approccio al rinascimento con spirito italiano, per l’intelligenza con la quale hanno affrontato la propria natura di gruppo vocale e mi hanno coinvolto con senso ritmico e belle interpretazioni. Il gruppo salernitano fa pop molto bene con tutti i “difetti” propri del genere, come ad esempio i portamenti in perfetta linea con lo stile. Per i giovani affrontare questo genere è senza dubbio un legante fortissimo, ma è altrettanto bello passare a un linguaggio meno “leggero”, avere la capacità di rendere prezioso quello che gli strumenti non riescono a fare, non limitarsi a imitare. Nel coro sardo si è palesato un problema di vocalità, il fraseggio nel rinascimento è stato reso molto bene ma non adeguatamente tradotto in una resa sonora altrettanto coinvolgente. Noi italiani abbiamo una marcia in più in questo senso e questo tipo di musica dovrebbe essere il nostro asso nella manica, se supportato da uno studio rigoroso sull’uguaglianza delle sezioni. È un problema fisiologico; all’Est crescono con una vocalità unificata, noi italiani iniziamo invece a cantare in età diverse. Da compositore avrà certamente prestato particolare attenzione alle scelte dei programmi. Penso a uno spartiacque, nel quale vediamo le nuove direzioni di scrittura a metà strada tra i programmi “da concorso” e i pezzi melodici. Oggi si può notare un mix di trattamento morbido tra il tonale e il modale che bilancia linguaggi più “difficili”, derivati da uno sviluppo di ricerca. Sono rimasto molto colpito dai programmi degli indonesiani con scritture ritmiche e strutture modali che hanno portato anche nella musica popolare. Probabilmente da questo mix caleidoscopico verrà fuori qualcosa di interessante in futuro, una via di mezzo tra Messiaen e Lauridsen. 52 L’EUROPA NELLO SPECCHIO DEL MONDO Quarant’anni del concorso internazionale di Tours di Rossana Paliaga Nel giardino di Francia, come viene definita la Valle della Loira, sono sbocciati per la quarantesima volta i fiori della primavera canora del Florilège vocal di Tours. La loro varietà ha abbracciato anche questa volta il mondo intero, dall’Europa centrale all’est delle repubbliche baltiche, dall’America agli immancabili cori asiatici da Filippine e Indonesia, protagonisti dell’edizione legata all’anniversario in cima a un lungo elenco di gruppi che in quattro decenni hanno rappresentato su questo palcoscenico 56 paesi del mondo. Come ricorda la presidente Isabelle Renault, la prima edizione era stata onorata dalla presenza del compositore Francis Poulenc e il segno di un’alta considerazione nei confronti della coralità ha continuato a caratterizzare l’immagine della manifestazione che ha festeggiato i primi 40 anni senza aggiungere quasi nulla all’esclusiva centralità dei cori partecipanti: «L’anniversario si è svolto nel segno della continuità, forte del fatto che il Florilège sta dimostrando da quarant’anni di essere una manifestazione che funziona bene. Si può parlare di cambiamenti nella comunicazione, negli aspetti esteriori, non nella sostanza. Quest’anno abbiamo voluto porre l’accento sulla realtà della regione della Turenna, permettendo ai gruppi locali di esprimersi nel concerto realizzato proprio in occasione di questo anniversario e inserito nel programma del festival. La selezione dei cori partecipanti è stata severa anche quest’anno e ne hanno risentito soprattutto i cori francesi scelti per il concorso nazionale. La giuria è tuttavia sovrana e le molte eliminazioni di cori, anche di buon livello, sono una conferma della qualità perseguita dal concorso». La giuria, sempre costituita da esperti di chiara fama, ha dimostrato la propria giusta intransigenza (e quindi attendibilità) anche nel giudicare i cori che hanno superato le prime selezioni; nessun primo premio nelle categorie a programma obbligato del concorso nazionale, primo premio non assegnato nella categoria gruppi vocali e nella categoria a voci pari del concorso internazionale. I risultati sono lo specchio fedele di un’edizione che rimarrà memorabile per l’anniversario, ma non per il livello medio dei cori che l’hanno celebrato con la loro partecipazione. Il coro che potremo ascoltare al Grand Prix di Maribor nel 2012 è l’Harmonia ensemble di Tokyo, che tuttavia non ha stravinto nelle singole categorie, ottenendo due secondi posti come gruppo vocale e nell’espressione libera, i premi speciali Ockeghem e Rabelais nel programma rinascimentale e un premio del pubblico. Senza dubbio è stato il gruppo che si è distinto con la maggiore omogeneità di resa, ottima proprietà stilistica in tutte le categorie, flessibilità nel suono e pulizia nell’espressione. Cantando senza direttore, i coristi hanno fortificato l’intesa di gruppo e si sono distinti per la cesellatura attenta di ogni brano in un’armonia priva di eccessi che giustifica il nome del gruppo. Escludendo il Grand Prix, i risultati più rilevanti nelle categorie sono stati ottenuti dal Coro universitario del Maryland con un primo premio nella sezione dedicata ai cori misti, il premio Ronsard e il premio al direttore Edward Maclary che tuttavia avrebbe potuto sfruttare meglio il buon potenziale a disposizione, mentre si è limitato al controllo di morbidezza e omogeneità del suono all’interno di una tavolozza espressiva e dinamica ridotta. L’ha seguito al secondo posto tra i cori misti l’armonioso Coro universitario di Houston nel Texas che con programmi intelligenti ha proposto esecuzioni molto valide, in particolar modo di brani tratti dal proprio repertorio nazionale. Il gruppo filippino Imusicapella, non particolarmente interessante a livello vocale, si è guadagnato la possibilità di competere per il Grand Prix con un primo premio nell’espressione libera, integrato dal terzo premio nei gruppi vocali. Ha tenuto alto l’onore della tradizione europea con spirito, capacità comunicativa e una preparazione solida il gruppo irlandese New Dublin Voices, che l’anno scorso ha partecipato anche al Polifonico di Arezzo e che a Tours ha ottenuto un terzo premio come gruppo vocale. È rientrato inoltre nel numero dei premiati con un secondo premio ex aequo nella categoria dei cori misti e per il premio conferito dal Ministero della cultura francese per l’esecuzione di un brano di autore francese del ’900 il coro Spiritus di Calgary in Canada che non ha lasciato il segno a livello di interpretazioni (povere di spunti) e scelte dei programmi. Il secondo premio nelle voci pari è andato al gruppo femminile Putni di Riga, formato da dame di una corte immaginaria del secolo XXI che al di là del bizzarro abbigliamento non hanno offerto altrettanta spettacolarità nelle esecuzioni e non hanno rischiato nelle scelte di repertorio. La perla più preziosa del Florilège è per tradizione la categoria di musica rinascimentale, incastonata quest’anno nella corona dello storico Priorato di Saint-Cosme nella vicina La Riche, un complesso che comprende anche la dimora del “principe dei poeti” Pierre de Ronsard e dove tra le antiche mura abbracciate da un rigoglioso roseto si sono svolte le selezioni della categoria alle quali hanno preso parte i cori in organico ridotto, ma non gruppi che si occupino specificamente di questo repertorio. Con l’esclusione del coro irlandese, si sono esibiti nella categoria esclusivamente cori extraeuropei tra i quali il coro giapponese ha dimostrato grande gusto, espressività e proprietà. A concorso terminato uno dei giurati ha commentato, fondatamente, che se negli anni passati si poteva parlare di CRONACA 53 una fredda riproduzione di modelli da parte dei cori extra-europei e soprattutto di quelli asiatici, oggi il discorso è ben diverso perchè i modelli sono stati assimilati e vengono elaborati con piena cognizione stilistica ed espressiva. Il piacere di poter condividere ormai a parità di mezzi il grande repertorio dei secoli passati dovrebbe però stimolare una riflessione costruttiva e sollevare dalle fronde di un alloro sempre più secco i sopiti paesi della Vecchia Europa, spesso troppo incerti (in campo corale) nel confermarsi portatori della propria cultura in rapporto al patrimonio antico. Questa è almeno l’immagine trasmessa dalle competizioni corali internazionali e confermata da una recente riflessione del celebre direttore Riccardo Muti, convinto di una progressiva musealizzazione dell’Europa e della sua cultura, della quale fruiscono e che valorizzano in maniera sempre più vitale gli estimatori provenienti dagli altri continenti. Anche alla scrematura finale del Grand Prix l’Europa è stata rappresentata in netta minoranza con il coro di Dublino che ha dovuto cedere, insieme al coro filippino e a quello del Maryland, alla superiorità dell’affiatato gruppo giapponese, forte di una notevole versatilità e di una grande cura del dettaglio. Per festeggiare l’anniversario, il Florilège si è concesso due eccezioni alla regola; la prima ha coinvolto la coralità locale e lo stesso staff del concorso con l’esecuzione del Canto general di Mikis Theodorakis su testi di Pablo Neruda, una scelta nel contesto insolita per il carattere di impegno civile e il tono latinoamericano della cantata, adatta però a un gruppo eterogeneo di coristi per la difficoltà limitata e la presa immediata delle melodie e dei ritmi di derivazione folk. La seconda eccezione ha riguardato la grande rassegna finale in piazza, tradizionalmente regalata alla città di Tours con la partecipazione di tutti i cori che hanno preso parte sia al concorso nazionale che a quello internazionale, arricchita quest’anno, a conclusione di tutte le esibizioni, dall’esecuzione dell’inno europeo con l’accompagnamento di un complesso di ottoni. Un’idea semplice, ma che si è rivelata carica di significato nel momento in cui le voci di coristi provenienti da tre continenti si sono mescolate a quelle della gente in questo omaggio corale alla fratellanza universale. E di fronte alla lettura di alcune coriste europee che si dividevano il foglio contenente il testo non memorizzato, ha colpito come un forte emblema l’immagine dei coristi asiatici che orgogliosamente, a memoria e con piena padronanza, diffondevano le parole di Schiller e la musica di Beethoven nel cielo d’Europa e nel cuore del paese che ne ha fondato i principi democratici sulla base di ideali di libertà e fratellanza. Un omaggio, non solo per il quarantennale, di fronte al quale non era possibile rimanere indifferenti. Il Florilège sta dimostrando da quarant’anni di essere una manifestazione che funziona bene. 54 1911-2011 Cento anni del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Walter Marzilli Sono trascorsi cento anni dalla fondazione del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Era infatti il 5 gennaio 1911 quando San Pio X fondò l’allora Scuola Superiore di Musica Sacra. La prima scintilla del Pims fu accesa con il convegno dell’Associazione Italiana Santa Cecilia del 1909, durante il quale fu eletto presidente dell’associazione il padre De Santi. A lui fu demandato l’incarico di porre le fondamenta per erigere un istituto superiore di musica sacra, cosa che avvenne appunto due anni dopo, nel 1911. Appena tre anni dopo, il 10 luglio 1914, San Pio X elevava la scuola alla dignità pontificia, autorizzandola al rilascio dei titoli. Nel 1931 la scuola assunse il nome definitivo di Pontificio Istituto di Musica Sacra, e fu equiparata alle altre università pontificie, con la facoltà di conferire i titoli di baccalaureato, licenza, magistero e dottorato agli studenti provenienti da tutto il mondo (Costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus, promulgata da papa Pio XI il 4 maggio 1931. Gli studenti, allora, erano perlopiù provenienti dal clero italiano). L’istituto ha ricevuto le visite solenni di tutti i pontefici che si sono succeduti sul trono di Pietro, e il Coro Polifonico ha cantato numerose volte alla loro presenza, in San Pietro e nell’aula Paolo VI (aula Nervi). Il centenario del Pims è stato degnamente festeggiato in vari modi. Innanzitutto dedicando a questa ricorrenza l’intera stagione dei concerti del Pims, svoltasi da novembre a giugno per un totale di trentadue tra conferenze e concerti, con la presenza di alcune delle più importanti personalità della scena musicale italiana ed estera. I festeggiamenti per il centenario sono proseguiti con un grande congresso internazionale, che ha visto il susseguirsi di più di centoventi relazioni pronunciate da oratori provenienti da tutto il mondo. Il prof. Luisi, curatore del congresso, è legittimamente certo che la pubblicazione degli atti del congresso costituirà un’importantissima occasione di apertura e di approfondimento del panorama musicale e culturale. I temi trattati sono stati tutti di pregnante interesse e di ammirevole profondità. Tendenzialmente gli argomenti riguardavano alcuni grandi conglomerati culturali come il canto gregoriano, la polifonia, l’organo, i fenomeni dell’inculturazione e dell’adattamento e le innumerevoli questioni storiche e attuali riguardanti la musica sacra. Grande importanza è stata poi data alla musica per la liturgia e agli aspetti pedagogici del suo insegnamento. L’ultima giornata del congresso è stata infatti interamente dedicata a due aspetti: le prospettive didattico-pedagogiche del Pims e la musica nella liturgia oggi, con un’ampia panoramica del rito cattolico nel mondo globalizzato. Una parte importante è stata rappresentata dalle numerose manifestazioni musicali in programma, che hanno visto la partecipazione del Coro della Radio Svizzera e dei Barocchisti, diretti da Diego Fasolis, del Consortium Vocale Oslo, diretto da Alexander Schweitzer, e dei Cori Gregoriano e Polifonico del Pims. I congressisti hanno inoltre potuto assistere alla lectio magistralis di Diego Fasolis e Luigi Ferdinando Tagliavini, in occasione del dottorato honoris causa. Durante una solenne tornata accademica, infatti, è stato conferito il dottorato honoris causa ad Arvo Pärt, Diego Fasolis e Luigi Ferdinando Tagliavini per il loro operato nel campo della musica sacra. Era presente il Card. Zenon Grocholewski, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra, che in apertura del congresso ha proferito il discorso del Santo Padre Benedetto XVI rivolto all’istituto, del quale riportiamo alcuni passaggi essenziali: «Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per tutti i cultori della musica sacra, ma più in generale per quanti, a partire naturalmente dai Pastori della Chiesa, hanno a cuore la dignità della Liturgia, di cui il canto sacro è parte integrante (…). Codesto istituto, che dipende dalla Santa Sede, fa parte della singolare realtà accademica costituita dalle Università Pontificie romane (…). Per cogliere chiaramente l’identità e la missione del Pontificio Istituto di Musica Sacra, occorre ricordare che il Papa san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il Motu Proprio Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903, con il quale operò una profonda riforma della musica sacra, rifacendosi alla grande tradizione della Chiesa contro gli influssi esercitati dalla musica profana, specie operistica. Tale intervento magistrale aveva bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di un centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in modo fedele e qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice, secondo l’autentica e gloriosa tradizione risalente a san Gregorio Magno. Nell’arco degli ultimi cento anni, codesta Istituzione ha pertanto assimilato, elaborato e trasmesso i contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti pontifici, come pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra, affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori, dei maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i formatori in questo campo. Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da san Pio X fino a oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontifici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi CRONACA limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali. Sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente a un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo o della comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, ‹vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio›, tenendo sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda perché “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio della sviluppo del progresso” (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011). Tutto questo (…) forma, per così dire, il “pane quotidiano” della vita e del lavoro nel Pontificio Istituto di Musica Sacra. Sulla base di questi solidi e sicuri elementi, a cui si aggiunge un’esperienza ormai secolare, vi incoraggio a portare avanti con rinnovato slancio e impegno il vostro servizio nella formazione professionale degli studenti, perché acquisiscano una seria e profonda competenza nelle varie discipline della musica sacra. Così, codesto Pontificio Istituto continuerà a offrire un valido contributo per la formazione, in questo campo, dei Pastori e dei fedeli laici nelle varie Chiese particolari, favorendo, anche, un adeguato discernimento della qualità delle composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni liturgiche. Per queste importanti finalità potete contare sulla mia costante sollecitudine (…)» Sulla base di queste parole – che in alcuni importanti passaggi risultano essere molto impositive e stabilizzanti, e di grande conforto per chi opera nel campo della musica sacra – l’azione del Pontificio Istituto di Musica Sacra acquista ancora maggior pregnanza. Con i suoi corsi di laurea in canto gregoriano, composizione, direzione di coro, musicologia e organo, e anche con il biennio in pianoforte, il Pims ha formato e forma tuttora lunghe schiere di musicisti che – specialmente all’estero – occupano posti di grande rilievo nelle più importanti istituzioni culturali e universitarie del panorama musicale. 55 Trattando in particolare dell’insegnamento della direzione di coro, attività che lo scrivente svolge in qualità di professore Ordinario dal 1991 presso il Pims di Roma, appare legittimo soffermarsi almeno in linea generale sulle caratterizzazioni didattiche e pedagogiche con le quali ogni studente di direzione di coro viene posto a contatto nel corso del quinquennio di studi al Pims. Gli allievi direttori affrontano già dal primo anno lo studio della fisiologia della voce. Attraverso questa materia gli studenti conoscono le leggi che regolano tutta l’emissione vocale, i vari difetti della voce e il modo di risolverli. Lo studio teorico è inoltre affiancato e potenziato da due anni di canto. Sotto l’aspetto della formazione direttoriale gli studenti hanno a disposizione quattro formazioni corali: due ensemble di circa dieci cantori, un coro di ventiquattro cantori e uno di cinquanta. Alla loro guida affrontano come direttori – ma anche come cantori – un repertorio corale che abbraccia, per quanto possibile, brani di ogni estrazione storica e geografica. Nel biennio della licenza gli studenti affrontano l’esperienza di cantare in quartetti e quintetti a parti reali. Con tutte queste formazioni sono chiamati a dirigere alcune importanti celebrazioni liturgiche che fanno parte dell’attività accademica dell’istituto. Insieme alle materie specifiche della direzione come la fisiologia della voce, il canto, la didattica corale, la musica d’insieme, la tecnica (1°, 2° e 3° anno) e la direzione di coro 4° e 5° anno), gli studenti vengono a contatto con i molti aspetti del dirigere che riguardano anche la componente musicale della liturgia, attraverso materie come la lingua e letteratura latina, il canto gregoriano, la liturgia stessa, la legislazione liturgica, la storia della musica sacra, l’archivistica e la codicologia. Altre importanti materie specifiche concorrono a formare in più anni il direttore di coro sotto ogni necessario aspetto tecnico: pianoforte, organo, basso continuo, composizione, analisi, lettura della partitura, semiografia polifonica, semiografia della musica contemporanea, acustica, informatica. Allargando il concetto accennato in precedenza, ci auspichiamo che le parole di papa Benedetto XVI siano di aiuto per tutti coloro che operano nel campo della musica sacra, anche se la situazione attuale appare piuttosto articolata e non certo semplice. È sotto gli occhi di tutti infatti come le precise norme della Chiesa in materia di musica sacra finiscano per infrangersi contro una realtà ben diversa. A questo proposito non si riesce a capire perché, partendo dalle norme dei documenti conciliari che tutti ben conosciamo, tutte protese verso il mantenimento del canto gregoriano, della polifonia, della musica d’organo, delle scholae cantorum eccetera, si sia potuti giungere alla situazione attuale, che vede il totale rovesciamento di quelle norme. L’uso comune e diffuso di qualunque consuetudine, però, non deve condizionare il nostro agire fino a farci accettare come legittimo tutto ciò che succede intorno a noi in tema di musica sacra. Nonostante quello che può essere il pensiero comune, infatti, la Chiesa pone ancora il canto gregoriano, la polifonia antica e moderna, il coro e l’organo al centro della musica sacra. Proprio come il Pontificio Istituto di Musica Sacra. 56 Cantate Domino Canticum Novum 51ª Rassegna Internazionale Virgo Lauretana di Ermanno Testi Cantate Domino Canticum Novum è il motto significativo e veramente pertinente della Rassegna Internazionale di musica sacra a Loreto. Proprio per dare il giusto seguito a questa esortazione giubilante, i dodici cori provenienti da tutti, o quasi, i continenti si sono incontrati a Loreto tra il 27 aprile e il 1° maggio (ovvero dal mercoledì dopo Pasqua alla Domenica in Albis). Essi si sono prodigati con entusiasmo (profondamente convinti del loro essere messaggeri di una collettività corale multietnica), partecipando ai numerosissimi appuntamenti della festosa kermesse lauretana, intesa nella sua accezione originale e appropriata di Festa Popolare della Chiesa e non solo. I cori provenivano da Serbia (Belgrado), Slovacchia (Bratislava), Italia (Matera), Germania (Treviri), Polonia (Varsavia), Lituania (Vilnius), Filippine (Manila), Bulgaria (Sliven), Taiwan (Taipei), Bielorussia (Minsk), Russia (Mosca), Repubblica Ceca (Praga). Inoltre, ospite d’onore, il Coro della Fondazione D. Bartolucci proveniente da Roma. La nutrita serie di esibizioni corali ha permesso ai cori, fin dalla prima serata (concerto di Saluto a Maria nella Basilica) di avvicendarsi nell’esecuzione di brani di musica sacra; il tutto introdotto dall’apprezzato intervento della Cappella Musicale della Santa Casa di Loreto diretto dal maestro Giuliano Viabile che ha poi preparato e concertato, con prove quotidiane, la solenne Messa conclusiva della domenica con tutti i cori partecipanti alla rassegna. Ognuna delle quattro giornate si è articolata in un susseguirsi di interventi artistici, dalla mattina alla sera inoltrata, con una partecipazione certamente impegnativa ma, a detta di maestri e coristi, coinvolgente, emozionante e del tutto inaspettata. La formula della rassegna è originale e funzionante, praticamente identica a se stessa dalla bellezza di ben cinquantuno edizioni, dovuta alla geniale e felicissima intuizione di Augusto Castellani, recentemente scomparso. Ogni giornata inizia la mattina alle 8.15 con la cosiddetta “Visita alla Santa Casa”. A turno, quattro cori in costume tradizionale e processionalmente, in un silenzio emozionante, fanno un omaggio floreale all’interno della Casa di Maria di Nazareth eseguendo ciascuno un canto mariano. La breve cerimonia, particolarmente commovente e riservata, si conclude con un secondo canto all’altare principale della Basilica. Alle 9.30, al Teatro Comunale, sei cori, di fronte a un pubblico prevalentemente giovanile e festoso, si esibiscono in vari brani di musica sacra o di ispirazione popolare. E qui ogni coro dà il meglio di sé in un programma variato e interessante. Ma a mezzogiorno tutti in Basilica per la prova della Missa Brevis Lauretana di Domenico Bartolucci, di alcuni mottetti e quant’altro concernente la liturgia. Il pomeriggio alle 16, altri sei cori, sempre al Teatro Comunale, si esibiscono in un programma nutrito comprendente ancora musica sacra, popolare o di altro genere. Molti brani vengono eseguiti con accompagnamento di organo o pianoforte; qualche coro usa anche strumenti a percussione, secondo i brani presentati, prevalentemente di autori nazionali. Non mancano però escursioni nella musica polifonica rinascimentale, soprattutto italiana. La sera di giovedì 27 aprile è stato eseguito in Basilica il concerto del Coro Blagovest di Minsk (Bielorussia). Il settetto maschile ha presentato dapprima brani della liturgia ortodossa dal XV al XX secolo, con un’esecuzione continuativa, senza interruzioni, che ha davvero rapito il pubblico. Le qualità vocali dei cantori, dal basso profondo al contratenor, sono emerse nella loro prodigiosa capacità dinamica ed elevata fusione armonica, ancor più evidenti nella seconda parte del concerto, imperniata su brani di ispirazione popolare russi, ucraini e bielorussi. La sera successiva, il concerto straordinario del coro della Fondazione D. Bartolucci, improntato sulla polifonia della Scuola Romana, ha offerto, a un pubblico competente che ha gremito l’intera Basilica, l’ascolto della Missa Papae Marcelli di Palestrina e di sei mottetti dello stesso Bartolucci, Direttore Perpetuo della Cappella Sistina, oggi nominato eminentissimo Cardinale da papa Benedetto XVI. La direzione del concerto è stata in parte affidata al maestro Luciano Luciani, istruttore dei Pueri Cantores della Cappella Sistina, ma il maestro Bartolucci, novantatreenne (!), ha voluto condurre personalmente il Credo e fra le sue composizioni, il raffinato e poetico O sacrum Convivium. La compagine canora ha esaltato il fraseggio palestriniano con esemplare tecnica e duttilità CRONACA vocale sia maschile che femminile: autentica lezione di proprietà stilistica e interpretativa. Va sottolineato che ogni manifestazione ufficiale ha avuto la presenza significativa di Sua Eminenza Mons. Giovani Tonucci, Arcivescovo Delegato Pontificio e Prelato di Loreto, il quale ha salutato i convenuti con sincera cordialità e simpatia, nonché di Don Lamberto Pigini, presidente e promotore della rassegna che, con parole di autentico fervore, ha coinvolto in un sano entusiasmo ogni corale, ogni maestro direttore, tutti i singoli coristi. Il sottoscritto, che ha presieduto la commissione d’ascolto per la formulazione del rapport du juri, in qualità di componente della commissione artistica, delegato dall’Associazione Regionale Cori del Lazio, ha avuto come compagni di ventura in questa delicata funzione eccellenti e simpatici maestri assai competenti ed equilibrati nel giudizio, e precisamente: Livia Bertagnolli (Federazione Cori Alto Adige), Francesco Iannitti Piromallo (Act Toscana), Paolo La Rosa (Federazione Italiana Pueri Cantores), Claudio Magni (Usci Lombardia), Biagio Putignano (Arcopu Puglia) e Guerrino Tamburrini (Arcom Marche). Compito della commissione è stato stilare brevi giudizi valutativi che includessero, oltre agli apprezzamenti dovuti, anche qualche suggerimento per migliorare ulteriormente le qualità artistiche dei cori. Ma ho avuto anche l’opportunità di dialogare, con molta cordialità e condivisione di opinioni, con prestigiose personalità quali il presidente della Federazione Internazionale Pueri Cantores, Robert Tyrala, e il presidente emerito della stessa associazione, Joseph Maria Torrents. Va aggiunta ancora un’affettuosa amicizia che è nata anche con la presidente nazionale dei Pueri Cantores, Laura Crosato, con la quale abbiamo avuto illuminanti scambi di vedute. Sabato mattina, con la grande festa dei cori in piazza, ogni coro si è esibito in libertà, in costume tradizionale, con l’esecuzione di canti classici e folcloristici. Ne è nato un tripudio festoso, ineguagliabile, con molti giovani di varie nazioni che si abbracciavano commossi. Nel primo pomeriggio dello stesso giorno veniva annullata a causa della pioggia la cerimonia del Canto della Pace al Cimitero di Guerra Polacco, per la commemorazione di soldati polacchi caduti durante la seconda guerra mondiale. Ma, incuranti del maltempo, i cantori polacchi si sono recati ugualmente al cimitero. In onore delle centinaia di giovani caduti, è stato cantato Gaude Mater Polonia. Unici presenti, oltre ai coristi, fra lacrime e gocce di pioggia, io e mia moglie. Pur non essendo nuovo a tali manifestazioni, avendo partecipato a precedenti rassegne sia come giornalista che come direttore di coro, anche insieme a mia moglie Ida Maini (anch’essa direttrice di coro), devo dire che quest’anno la manifestazione è stata particolarmente coinvolgente e che il livello artistico era decisamente elevato. E questo assunto viene confermato dal concerto di gala dei cori partecipanti svoltosi la sera del giorno stesso in Basilica. Qui i cori, dopo tanto lavoro, impegno e studio nei giorni precedenti, presi dalla solennità dell’evento, hanno reso al massimo delle loro 57 capacità, eseguendo egregiamente due brani ciascuno. Diamo cenno a qualche esecuzione fra le migliori. A cominciare dai Cantori Materani (dir. A. Barbaro) che hanno confermato le loro qualità comunicative con Eli Eli di Bardos, molto espressivo; lo Youth Choir Echo di Bratislava (dir. O. Saray) dalle gradevoli voci giovanili in un pregevole Cantate Domino di Mis̆kinis; il Prague Philarmonic Childrens’ Choir (dir. J. Chivala) ottima scuola di canto molto apprezzata dal pubblico in particolare nel Cherubinske Pisn di C̆aikovsky; a seguire il coro bulgaro Dobri Chintulov (dir. M. Grigorov) in una convincente esecuzione di Lodiamo degnamente la Madre di Dio composizione moderna di P. Dinev; subito dopo è stata la volta dello strepitoso coro Ensemble Vocale Blagovest di Minsk (dir. S. Agranovich) che ha ripetuto il suggestivo Velicht Dusha moja (anonimo del XVI sec.); il Coro Vozrozhdeniye di Mosca (dir. M. Kuznetsova) dotato di efficace pathos espressivo si è fatto apprezzare per Os Justi di Bruckner; è stata poi la volta del Taiwan National Choir di Taipei (dir. A. Grossman) con le sue encomiabili esecuzioni di Gesualdo da Venosa e Palestrina e il taiwanese folksong Fratello Anton va al mercato; e poi i Cantores Trevirenses di Treviri (dir. M. Balzer), sede di una famosa università, che hanno eseguito, in modo assai convincente, Praising Song, interessante composizione di K. Nystedt; il Girls Choir Versme di Vilnius (dir. A. Valentinaviciene) nell’incantevole e toccante composizione Pie Jesu dal Requiem di A.L. Webber (l’autore di famosissimi musical) di cui le ragazze hanno fornito un’interpretazione di una purezza espressiva estrema; il Warszawski Chor Miedzyuczelniany di Varsavia (dir. E. Siczek) nella poetica interpretazione dell’Ave Maria di J. Dabrowski di elevata spiritualità; i Manila Chamber Singers della città filippina di Quezon (dir. W.L. Cordero), simpaticissimi e gioiosamente travolgenti si sono esibiti nel Didn’t my Lord deliver Daniel? di M. Hogan; e per finire, il Coro Abrasevich di Belgrado, avvalendosi della composta ed elegante direzione della giovane maestra Z. Zderic, ha concluso la manifestazione artistica con l’ottimo Our Father di A. Schnittke. Ma il trionfo corale conclusivo si è avuto la Domenica mattina in Albis, quando in onore della Beatificazione di Giovanni Paolo II, tutti gli oltre cinquecento coristi hanno eseguito, sotto la sapiente direzione del maestro don Giuliano Viabile (all’organo il maestro Mauro Buscarini) la Missa Brevis in Honorem Beatae Virginis Mariae di Domenico Bartolucci. Bellissima e a volte soave l’espressività mariana di questa composizione, appositamente scritta per la Rassegna Lauretana, che rifulge di stupefacente poeticità, e le voci dei coristi, naturalmente riverberate dall’architettura della Basilica, hanno suscitato nei fedeli commozione e meraviglia. Oltre alle varie risposte in gregoriano i cantori hanno eseguito il Regina Coeli di Aichinger, Misericordias Domini di Henryk Jan Botor, O salutaris Hostia di Mons. Lavinio Virgili, mistica composizione che nel lontano ’69 il maestro volle dedicarmi personalmente. Al termine congratulazioni per tutti e… già si pensa alla cinquantaduesima edizione! 58 VOCI BIANCHE E MALCESINE: un BINOMIO NAZIONALE 6º concorso nazionale Il Garda in Coro L’intenso lavoro intrapreso ha fatto felicemente concludere la sesta edizione del Concorso Nazionale Voci Bianche Il Garda in Coro, svoltasi dal 19 al 22 maggio a Malcesine, con una grande affluenza di partecipanti che ha confermato l’importanza di questa manifestazione quale occasione di incontro fra i bambini e ragazzi, fra i loro direttori e i numerosi appassionati giunti da tutta Italia. Ben diciotto cori di voci bianche hanno preso parte alla competizione con intraprendenza: una conferma importante rispetto alle precedenti edizioni nazionali, sia in numero che in qualità, confermato dalle esibizioni dei cori stessi, tra i quali erano presenti alcuni dei nomi nazionali più prestigiosi. Il concorso ha quindi ampiamente confermato la sua validità nazionale, grazie alla partecipazione di cori provenienti da dodici regioni italiane, molte delle quali rappresentate da più di una formazione. La giuria del concorso era costituita da alcuni dei più importanti nomi a livello nazionale: Franco Monego, presidente di Giuria di lunga e comprovata esperienza nell’ambito corale nazionale; Mirko Ferlan, direttore di coro e vincitore di numerosi premi in ambito corale nazionale e internazionale; Luigi Marzola, docente presso la scuola superiore per direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo; Paolo Piana, direttore di coro e docente presso il conservatorio di Padova; Dario Tabbia, docente e co-direttore del Coro Giovanile Italiano. La numerosa e ottima qualità dei cori presenti ha reso il lavoro sicuramente difficile: ben due delle quattro giornate a disposizione hanno visto impegnata la giuria per la definizione e assegnazione dei numerosi premi e riconoscimenti in palio. Fra i cori premiati, si sono distinti in modo particolare, il coro a voci bianche Aurora di Bastia Umbra diretto da Stefania Piccardi, vincitore del primo premio in entrambe le categorie repertorio sacro e profano, e per questo meritevole dell’assegnazione del Gran Premio Il Garda in Coro quale coro che ha raggiunto il punteggio più alto di tutto il concorso. La direttrice Stefania Piccardi ha ricevuto il premio speciale offerto dalle Edizioni Musicali Europee quale migliore direttore e il coro ha inoltre ricevuto il premio speciale Feniarco per l’esecuzione del brano Oh pulce di P.P. Scattolin tratto dalla raccolta Giro Giro Canto 2. Immediatamente a seguire, altri due sono i cori che hanno dato grande prova d’abilità corale, pur presentandosi per la prima volta al concorso Il Garda in Coro: rispettivamente il coro Carminis Cantores di Puegnago del Garda (Bs) diretto da Ennio Bertolotti e il coro dei Piccoli Cantori delle Colline di Brianza di Rovagnate (Lc) diretto da Flora Anna Spreafico. Il coro di Puegnago, secondo classificato nella categoria repertorio sacro e terzo ex-equo nel profano, il coro di Rovagnate invece, secondo classificato nella categoria repertorio profano sacro e terzo ex-equo nel sacro. Le vicine regioni del Veneto e del Trentino hanno infine consegnato al concorso i vincitori del terzo premio ex-equo di entrambe le categorie: dal Veneto il coro Kolbe Children’s Choir di Mestre-Venezia diretto da Alessandro Toffolo e dal Trentino i Piccoli Cantori della Scuola Musicale C. Moser di Pergine Valsugana (Tn) diretti da Carmen Sartori. Il coro veneto è risultato assegnatario anche del Premio speciale Asac Veneto come miglior coro veneto e il direttore Alessandro Toffolo ha ricevuto il riconoscimento speciale quale direttore emergente. Il coro trentino ha ricevuto invece il premio speciale della Federazione Cori del Trentino quale miglior coro proveniente dalla provincia di Trento. I premi speciali offerti dal Consorzio Funivia Malcesine-Monte Baldo, per il miglior repertorio proposto nella categoria repertorio profano e sacro, sono stati rispettivamente assegnati al coro Aurora di Bastia Umbra e al coro Carminis Cantores di Puegnago del Garda. Il premio speciale offerto dall’Associazione Albergatori di Malcesine per il coro proveniente dalla località più lontana è stato proclamato al coro calabrese Coro voci bianche della Scuola secondaria di primo grado A. De Gasperi diretto da Roberto Caridi per i 1263 km percorsi da Reggio Calabria e il premio speciale per il coro più giovane (con un’età media di 9 anni e 5 mesi) al coro voci bianche della Scuola Primaria di Longastrino di Argenta (Fe) diretto da Marco Baragli. Infine, miglior coro della scuola dell’obbligo è risultato il coro Nuove Armonie dell’Istituto Comprensivo di Martinengo (Bg) diretto da Cristina Belotti e il premio per particolari movimenti scenici e coreografie sempre al coro Aurora di Bastia Umbra. Ottime le prestazioni anche di molti altri cori, a dimostrazione dell’ulteriore ottima qualità dei gruppi partecipanti. L’edizione nazionale del concorso Il Garda in Coro, giunta quest’anno alla sua sesta edizione, tornerà a Malcesine nel maggio 2013. Lo spazio è ora aperto al territorio internazionale e la sua terza edizione, in programma a Malcesine dal 17 al 21 aprile 2012. CRONACA 59 SCONFINATAMENTE, UMANAMENTE CORALE Ricordo del direttore Andrea Giorgi di Rossana Paliaga Il 50º Concorso internazionale di canto corale Seghizzi gli ha dedicato il primo premio nella categoria con programma di composizioni del secolo XIX, un omaggio dovuto che ricorda lo stretto, amichevole legame del direttore Andrea Giorgi con il concorso goriziano. Da membro della giuria internazionale o come semplice spettatore, la sua presenza ha caratterizzato negli ultimi anni la manifestazione che ha sempre osservato con ammirazione per il livello di qualità espresso dalle eccellenze della coralità amatoriale mondiale, senza mai vestire i panni ingessati dell’esperto, ma partecipandone con cordialità e curiosità. Il maestro ha mosso i primi passi nel mondo della musica nella sua città, Trieste, dove ha completato gli studi di pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Tra i suoi maestri ha un ruolo di primaria importanza il compositore triestino Giulio Viozzi, ma nella sua formazione hanno lasciato il segno anche gli insegnamenti di Gottfried Lessing, Bruno Cervenca e Vito Levi. Il suo primo ingaggio di rilievo è stata la collaborazione con il Teatro G. Verdi di Trieste, quando, appena ventenne, è stato chiamato a sostituire il maestro titolare nella direzione del Nabucco all’interno di una tournée regionale. L’esperienza è stata il trampolino di lancio per una carriera artistica che l’ha portato a svolgere la propria attività presso diversi teatri d’opera europei ed extraeuropei di primaria importanza. Giorgi ha lavorato stabilmente in Turchia come direttore musicale del Teatro Nazionale di Ankara, incarico che ha sempre ricordato con piacere e stima per la vivacità dell’ambiente musicale turco: «Sono stato invitato per l’allestimento de La fanciulla del West e Rigoletto. Mi hanno offerto un contratto che prevedeva una certa stabilità, in Italia invece il lavoro era precario, così ho optato per Ankara e ci sono rimasto per 9 anni. In Turchia ho potuto fare importanti esperienze dirigendo il coro del Teatro Nazionale, ma anche concerti sinfonici. Studiavo come un pazzo, con entusiasmo: appena diretto Andrea Chénier andavo a casa e mi mettevo in salotto a studiare Adriana Lecouvreur e così avanti». Il lungo periodo trascorso in Turchia ha segnato il percorso artistico e umano di Giorgi con la ricchezza di un patrimonio umano e culturale acquisito nel punto di incontro tra Oriente e Occidente. Tra i momenti salienti va citata la prima esecuzione del Requiem di Verdi in Turchia, avvenuta nel 1972 grazie all’impegno dell’ambasciatore Pierluigi Alverà, ma il mondo cattolico e quello musulmano hanno trovato la via di un dialogo aperto e costruttivo anche con altre iniziative promosse da Giorgi, grazie al rapporto di stima e fiducia creato con i coristi e il personale del teatro che gli ha permesso ad esempio di organizzare un concerto di canti natalizi nella cappella creata da Giovanni XXIII ad Ankara e al quale il coro ha preso parte in forma volontaria e gratuita. Giorgi ha poi ripercorso l’Adriatico per portare nuovamente – ma con una consapevolezza e una maturità totalmente diverse – la propria esperienza a Trieste, dove è stato maestro del coro dal 1975 al 1987. Dal 1987 al 1991 ha assunto la direzione del coro dell’Opéra di Parigi ed è stato direttore ospite del coro di Radio France. In Francia ha ricoperto anche il ruolo di direttore musicale del Teatro dell’Opera di Marsiglia ed è stato docente al Conservatorio nazionale superiore di Parigi, inoltre ha diretto per due stagioni l’Orchestra dei Giovani del Mediterraneo. In questo periodo il suo bagaglio artistico è stato arricchito da incontri fondamentali con grandi direttori, da Votto a Chung, Prêtre, Barenboim, Mackerras, Lombard. I continui trasferimenti in ambienti nuovi ai quali costringe il lavoro in teatro, hanno rappresentato una corrispondenza ideale con la sua naturale curiosità, un modo per incontrare persone e condividere esperienze su un percorso in continua evoluzione che nel 1996 l’ha riportato in Italia, prima come direttore del coro al Teatro San Carlo di Napoli, in seguito e per un decennio come Maestro del coro dell’Opera di Roma. La professione non ha fatto cadere nei meccanismi di una noiosa abitudine la sua passione autentica per la coralità, con una predilezione per l’opera, l’oratorio e il repertorio sinfonico, una frequentazione artistica che senza pregiudizi si è estesa dall’ambito professionale a quello dell’amatorialità di alto livello, con la quale si è cimentato in alcune occasioni speciali, confermando la propria stima per l’entusiasmo e le capacità di chi non è corista stipendiato: «Il coro amatoriale è composto da persone che si riuniscono per il gusto di incontrarsi e fare musica insieme. (...) Noi professionisti viviamo di musica e abbiamo delle scadenze, degli obblighi. Questo ci condiziona. Nella mia carriera ho incontrato cori di diverso tipo. Con tutti ho sempre cercato di creare una linea mediana nella creazione del suono. Il compito di un direttore è quello di plasmare il materiale che ha a disposizione. (...) La voce umana è il più grande strumento del mondo. Quando poi viene plasmata e fusa con le altre voci è il massimo. Basti pensare alla bellezza di un coro che sa eseguire perfettamente, nel pianissimo come anche nel fortissimo, accordi nei quali riconosci le quattro sezioni, ma le senti insieme, formano un colore, il timbro di quel determinato coro. Questa è una cosa che m’inebria». Tutte le citazioni sono tratte da: A. Pace (a cura di), Annuario Seghizzi. XL Convegno Europeo di studi musicologici, Edizioni Seghizzi, Gorizia, 2011. 60 Notizie dalle regioni A.R.C.C. Campania Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe Giunto alla sua terza edizione, il Corso di formazione corale organizzato dall’Arcc ha visto per la seconda volta la presenza del docente Paul Crabb, che il 28 e 29 maggio a Salerno ha lavorato in particolare, affiancato dal connazionale Patrick Gardner, sulle tecniche di vocalità per migliorare e sviluppare la voce. Ai primi di aprile, la coralità campana si è riunita a Vallo della Lucania per la seconda Rassegna di cori polifonici Città di Vallo, patrocinata dall’Arcc. Una bella rassegna con cantori di tutte le età e provenienti da realtà musicali diverse, all’insegna dello scambio reciproco di esperienze. Il 7 maggio ha visto invece l’incontro di nove cori scolastici provenienti da tutta Italia per la quarta edizione di Cantagiovani, la rassegna nazionale dei cori scolastici Premio “Dante Cianciaruso” organizzata da Estro Armonico, Laes e Raga con il patrocinio del Comune di Salerno, dell’Arcc e di Feniarco: una preziosa occasione per coinvolgere i giovani attraverso un’esperienza collettiva e lo scambio corale, e al tempo stesso un’occasione per fare “festa” insieme. Nell’ambito della Festa Europea della Musica, infine, dal 18 al 23 giugno la regione Campania ha risuonato di musica corale coinvolgendo 45 cori in dieci diverse location, con la partecipazione di oltre 1200 cantori. Una grande festa musicale pensata per trasmettere un messaggio di viva speranza: “il canto unisce i popoli”! A.C.P. Piemonte Associazione Cori Piemontesi Via Monte Mucrone, 3 - 13900 Biella Presidente: Sandro Coda Luchina Positiva l’esperienza formativa maturata in seno ai corsi Cantincoro organizzati dall’Acp nell’anno scolastico 2010/2011 e dedicati alle scuole primarie delle province di Biella e Torino. L’attività didattica, condotta da Silvio Vuillermoz e Giulio Monaco, si è conclusa con i saggi di fine corso, particolarmente apprezzati dal folto pubblico presente. Lo stesso Vuillermoz è stato impegnato in qualità di docente anche al masterclass sulla vocalità per coristi e amanti del canto corale, svoltosi a Verbania il 28 e 29 maggio: un corso volto all’apprendimento delle prime tecniche di vocalità, applicando le nozioni alla pratica con l’apprendimento di due brani corali eseguiti poi dai corsisti il 5 giugno nell’ambito di Piemonte In…canto, il festival della coralità piemontese svoltosi dal 2 al 9 luglio. Nove concerti nelle province di Alessandria, Biella, Novara e Verbano Cusio Ossola, cori provenienti da tutta la regione, repertori che hanno spaziato dalla polifonia alla musica per cori di bambini, dal gospel al canto alpino: questo il bilancio di Piemonte In…canto, importante occasione di incontro e confronto per tutti i cori partecipanti, confermata da un’ampia partecipazione di pubblico. Dedicata espressamente al canto popolare è stata la rassegna provinciale I percorsi popolari tra Sacro e Profano, giunta alla quarta edizione e articolatasi dal 2 al 17 luglio nella provincia di Verbano Cusio Ossola volta a favorire – oltre alla diffusione del canto corale di tradizione – la promozione dei luoghi meno conosciuti del territorio, la valorizzazione dei costumi e delle tradizioni, la riscoperta degli antichi sapori e dei vecchi mestieri. REGIONI A.E.R.CO. Emilia Romagna Associazione Emiliano Romagnola Cori Via S. Carlo, 25/F - 40121 Bologna Presidente: Fedele Fantuzzi Quarant’anni di amatorialità e di passione musicale profusa dalle migliaia di componenti i gruppi corali in Emilia-Romagna. Se ne sono accorti anche i cittadini che non sono soliti frequentare questo tipo di musica: Bologna era infatti tutto un brulicare di coristi, appassionati e simpatizzanti quando, nello splendido Auditorium di S. Cristina della Fondazza, si è tenuto domenica 22 maggio un concerto di cinque complessi a coronamento del convegno che celebrava i 40 anni di attività dell’Aerco. Era il 16 maggio 1971 quando il maestro Giorgio Vacchi, direttore ininterrottamente fino a tre anni fa del Coro Stelutis di Bologna, riunì a Ferrara altri cinque direttori di cori (Leone XIII di Bologna, Montetoccacielo di Porretta Terme, Valdolo di Toano, Val Padana di Casumaro e G. Verdi di Argenta) per costituire un’associazione regionale che riunisse i complessi di ispirazione popolare. Questa prima associazione regionale ne ha generate altre in tutt’Italia, che si confederarono in Feniarco, sempre aggiornandosi per rispondere alle nuove esigenze che si manifestavano. Al convegno di domenica erano presenti la rappresentante del Consiglio Regionale Paola Marani, il presidente nazionale Sante Fornasier e molti dirigenti Aerco, tra cui i presidenti che hanno seguito Giorgio Vacchi: Giovanni Torre, Pier Paolo Scattolin e l’attuale presidente Fedele Fantuzzi. Il collegamento dei lavori e l’elaborazione delle tappe significative di Aerco è stata curata e presentata dal segretario Puccio Pucci, animatore e memoria storica dell’associazione. A conclusione dei lavori, il magnifico concerto di quattro tra i primi soci fondatori: la Corale G. Verdi di Argenta, il Coro Monte Toccacielo, il Coro Leone e il Coro Stelutis. L’esibizione del coro Mikrokosmos diretto da Michele Napolitano ha rappresentato l’apertura al nuovo, alla multietnicità del nostro tempo. U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Franco Colussi Domenica 19 giugno a Gradisca d’Isonzo, l’Usci Friuli Venezia Giulia ha proposto una serata dedicata alla polifonia profana rinascimentale dal titolo Musica è lo mio core: un progetto a cadenza biennale che intende valorizzare un repertorio poco praticato e offrire occasioni di incontro e confronto tra i gruppi corali che frequentano tale repertorio. La serata era inoltre inserita a conclusione di Festaincoro, giornata di musica corale organizzata a Gradisca dall’Usci Gorizia per festeggiare i suoi 35 anni di attività: una grande festa che ha visto l’ampio coinvolgimento dei cori dell’isontino, ciascuno libero di esprimersi secondo il proprio repertorio. A cura delle rispettive associazioni provinciali, si sono svolte le rassegne per cori di voci bianche e cori scolastici: Una giornata per cantare insieme a Farra d’Isonzo (Go) il 3 aprile, Audite Pueri a Pordenone il 15 maggio, Primavera di Voci - Cantagioco a Trieste il 21 maggio. Altra importante iniziativa provinciale quella di Tergeste Chorus, rassegna organizzata dall’Usci Trieste il 9 e 10 aprile con due appuntamenti dedicati ai canti di autori triestini e al repertorio popolare. Dal 18 al 61 23 luglio, presso l’Abbazia di Rosazzo, si è poi svolta la tredicesima edizione dei seminari di canto gregoriano Verbum Resonans, occasione formativa tra le principali in Italia per l’approfondimento semiologico del canto monodico cristiano. I trenta corsisti partecipanti hanno potuto frequentare i corsi affidati ai docenti Nino Albarosa (direttore dei corsi), Bruna Caruso e Carmen Petcu, affiancati da Paolo Loss per la vocalità e Michele Centomo per la liturgia. Come ormai di consueto, le attività seminariali sono state integrate da preziose occasioni concertistiche, tra cui i concerti dei Cantori Gregoriani diretti da Fulvio Rampi e la schola gregoriana Aurea Luce di Renzo Toffoli, e un calendario di messe in canto gregoriano che, coinvolgendo i cori associati del Friuli Venezia Giulia, si è articolato in tutto il mese di giugno. Ricordiamo infine che venerdì 1° luglio a Gorizia, nell’ambito del ciclo di incontri Note di conversazione promosso dall’Usci regionale, si è tenuto un appuntamento dedicato a don Vittorio Toniutti e alla musica sacra del ’900 friulano, con la presentazione del volume La gloria di Ermacora e Fortunato dello stesso Toniutti, pubblicato a cura del Coro S. Ignazio. U.S.C.I. Lombardia Unione Società Corali della Lombardia Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc) Presidente: Franco Monego Diverse le iniziative messe in atto in regione, a cura delle rispettive associazioni provinciali. L’Usci Bergamo ha organizzato, tra i mesi di aprile e luglio, tre rassegne corali: Musiche di Pasqua, ciclo di tre concerti dal 16 al 30 aprile per le festività pasquali; la prima Rassegna internazionale di cori giovanili dal 25 giugno al 5 luglio, in diverse località della provincia, con la partecipazione tra l’altro di due cori ospiti spagnoli; BergamoEstate 2011, la rassegna estiva organizzata nei mesi di giugno e luglio nel centro della città di Bergamo, dedicata in particolare al repertorio popolare e gospel. All’interno di uno dei più bei chiostri lombardi, a Voltorre (Gavirate, Varese), si è svolta sabato 7 maggio la tradizionale Rassegna annuale di Musica Sacra promossa dall’Usci Varese. Nella cornice dell’Eremo di Santa Caterina del Sasso a Leggiuno (Va), anche per il 2011 l’Usci Varese, in collaborazione con alcuni cori affiliati, ha assicurato l’accompagnamento della messa vespertina estiva a cui segue uno spazio di esecuzioni corali di musica sacra; un’iniziativa importante sia per la suggestività del luogo, sia per l’affluenza di un pubblico internazionale. A.C.T. Toscana Associazione Cori della Toscana Via del Pantano, 40 - 52100 Arezzo Presidente: Fernando Catacchini Nelle giornate di domenica 20 marzo e domenica 8 maggio, a Firenze, si sono svolte l’Assemblea regionale dell’Act e la successiva riunione del consiglio per il rinnovo delle cariche istituzionali. Al termine delle consultazioni, i membri della Giunta Esecutiva eletta per il prossimo triennio (2011-13) sono risultati: Fernando Catacchini, presidente; Enrico Moggi, segretario; Cristina Redi, tesoriere; Cristiano Benedetti e Carlo Bresci, membri. A tutti loro, un sentito augurio di buon lavoro! 62 discografia&SCAFFALE Transcriptions cd audio (vol. 1 e 2) e dvd video Coro Accentus, dir. Laurence Equilbey Naïve, 2001-2003 / 2006 / 2008 In principio sono stati gli Swingle Singers. Il celebre gruppo vocale di origine francese ha pubblicato, all’inizio degli anni ’60, l’album Jazz Sebastien Bach. Musiche strumentali di sua maestà Giovanni Sebastiano, trascritte, o meglio impeccabilmente solfeggiate, a suon di da-ba da-ba da. Oggi come allora, Laurence Equilbey propone un esperimento analogo. Attenzione, esperimento analogo, non identico. Infatti, mentre gli Swingle Singers (prima maniera) rileggevano le partiture di Bach alla lettera, limitandosi a sostituire agli strumenti le loro abili voci, l’antologia Transcriptions (vol. 1 e 2, pubblicati per l’etichetta Naïve, rispettivamente nel 2001-2003 e nel 2006), contiene arrangiamenti di celebri composizioni d’autore, vocali e strumentali, trascritte e appositamente rielaborate per ensemble corale. Gli autori delle trascrizioni sono Peter Cornelius (1824-1874), Samuel Barber (19101981), Knut Nystedt (1915), Clytus Gottwald (1925), Gérard Pesson (1958), Thierry Machuel (1962) e Franck Krawczyk (1969). Fatta eccezione per Barber (che replica se stesso), gli altri sei autori confezionano abiti corali per le opere di Vivaldi, Bach, Schubert, Chopin, Wagner, Mahler, Wolf, Debussy, Ravel, Scriabin, Berg e Prokofiev. Molti di questi arrangiamenti vengono ricontestualizzati per coro, nel senso che, trattandosi in origine di pagine strumentali, presentano l’aggiunta di un testo letterario scelto in base a particolari (e confutabili) suggestioni evocative. Così L’Inverno di Vivaldi diventa un Requiem aeternam, con buona pace del “prete rosso”, il quale si era preso la briga di anteporre a ciascun concerto de Le Stagioni un sonetto dimostrativo, che descrive altrimenti, esplicitamente e nel dettaglio, il programma della sua musica. E, tanto per citare un altro esempio, lo Studio op. 10 n. 6 di Chopin, in mi bem. min., diventa a opera di Krawczyk, un Lacrimosa. Testo adattato (o appiccicato), per trasformare in “cantato” un brano che è stato concepito per essere “tastato”. Faciloneria, arbitrarietà? No, “gusto francese”, si dirà, quello di rimaneggiare nei contenuti brani celebri. Già nel 1765, sull’onda del successo con cui fu accolta oltralpe la pubblicazione del ciclo de Le Stagioni, tal Michel Corrette trasformò La Primavera di Vivaldi in un mottetto, Laudate Dominum de coelis. E poi come dimenticare Gounod, il quale del Preludio I, del primo libro del Clavicembalo ben temperato fece un’Ave Maria, oggi declassata alla stregua di souvenir nuziale? Ma tant’è, il progetto Transcriptions di Accentus non si formalizza sui principi della seconda pratica monteverdiana (là dove si pone «per signora dell’armonia l’orazione»). Invece, a far da padrone in queste registrazioni non è il valore artistico delle trascrizioni in sé, piuttosto l’esibizione della qualità del “suono-coro”: chiaro, leggero, trasparente, preciso, fascinoso, voluttuoso, moderno, assolutamente controllato anche negli estremi della gamma dinamica. Kein Deutscher Himmel, trascrizione dell’Adagietto della V Sinfonia, non restituisce l’incantevole timbrica di Mahler. Il mix di archi e arpa costituisce un’essenza sonora discogr RUBRICHE intraducibile e irripetibile. Ma l’ambiente sonoro ricreato da Accentus sorprende comunque per le sonorità inaspettate dei tappeti vocali, sui quali prendono il volo le ardite acrobazie vocali del soprano solista. Insomma, vien da perdonare il peccato di tradimento delle trascrizioni nei confronti dei brani originali, in quanto esse sembrano modellate per esaltare le straordinarie qualità di Accentus. Si ascolti Immortal Bach, manipolazione del corale Komm, süsser Tod, BWV 478, di Nystedt (un brano a mio modesto avviso alquanto sopravvalutato), per godere dei pregi timbricovocali di questo eccezionale complesso francese. Parimenti sorprendente sul piano della raffinatezza della realizzazione sonora è Soupir, elaborazione corale del primo dei Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé di Ravel. Gli spettri acustici di questa sofisticata e difficile trascrizione di Clytus Gottwald (che in questo caso sembra pagare il debito di essere dedicatario di uno chef-d’oevre assoluto, il Lux aeterna di Ligeti) sono resi da Accentus con fenomenale bravura, fin nelle più impercettibili risonanze armoniche. Insomma, il merito della Equilbey sta nell’aver esplorato questo particolare repertorio per celebrare un modello di coro oggi assai apprezzato. Un’idea di coro per cui lo charme sonoro (visibile anche nella gestualità non proprio ortodossa, ma evidentemente efficace della direttrice stessa) è elemento primario nell’apprezzamento delle proposte musicali. I progetti Transcriptions sono diventati nel 2008 anche un dvd video. Il successo di vendite dei cd (oltre 100.000 copie) ha, infatti, spinto il cineasta Andy Sommer a confezionare un film sul coro Accentus, che interpreta, in concerto e in situazioni appositamente costruite, una selezione dei brani già contenuti negli stessi cd audio. Mauro Zuccante 63 terpretarlo non è il coro di un ente lirico ma il coro Euridice di Bologna, diretto da Pier Paolo Scattolin, il segnale è duplice: vuol dire che anche il recalcitrante mondo musicale italiano si accorge dell’esistenza di quel vasto movimento corale di cui l’Euridice è uno dei più antichi, e per certi versi più tipici, esponenti. Nel bicentenario lisztiano, la rivista dedica il suo cd alla Via Crucis del compositore ungherese. È un’opera della maturità di Liszt. Progettata fin dal 1860, ma iniziata solo sei anni dopo, la Via Crucis avrà elaborazione meditata, più volte accantonata, e solo nel 1877, a Roma, sarà completata nella versione per soli, coro e organo (o pianoforte). Due anni dopo, a Budapest, la versione con pianoforte a quattro mani, prova che l’opera era concepita dallo stesso compositore svincolata dalla celebrazione liturgica. Appartiene, insomma, a quell’ultimo periodo del­ l’esistenza di Liszt, quando, abbandonata la carriera del virtuoso e la mondanità che ne caratterizza lo stile di vita, prende gli ordini minori e assume la veste dell’uomo religioso. Una religiosità non simpaticissima, quella dell’anziano Liszt, che trasferisce nella nuova dimensione esistenziale lo stesso strepito retorico della vecchia e, dopo aver gridato la sua libertà di pensiero e di costume, strilla ancora più forte la sua ritrovata fede. Una religiosità un po’ formale, un po’ estetizzante, fatta di luoghi comuni, ossequi alla tradizione, inevitabili citazioni gregoriane, toni scuri e mistiche penombre. Pure, ascoltando questa Via Crucis, si può intravedere una dimensione di fede più autentica. La scelta stessa di un organico minimo, la scrittura rarefatta (particolarmente evidente nel brano conclusivo del cd, In festo trasfigurationis per pianoforte solo, scritta nel 1880) ci parlano di un uomo che cerca la strada dell’essenzialità eliminando tutto ciò che è stato di troppo nella sua vita e nella sua musica. Chissà se Pier Paolo Scattolin, il coro Euridice e i due ottimi pianisti (Rossella Spinosa e Alessandro Calcagnile) condividono questa visione. Di certo la loro interpretazione la rende credibile: appassionata, ma mai retorica, fedele, ma mai scontata, questa incisione della Via Crucis invita a ripensare i propri giudizi (e pregiudizi) sulla musica di Franz Liszt. rafia& Via Crucis S 583 / Franz Liszt Coro Euridice Rossella Spinosa e Alessandro Calcagnile, pianoforte Pier Paolo Scattolin, direttore Amadeus, giugno 2011 Si moltiplicano i segnali che anche in Italia la musica corale comincia a essere considerata, come è, un valore culturale e artistico del tutto pari a quella strumentale o alla vocalità operistica. Quando una rivista come Amadeus dedica un suo cd a un’opera corale, si ha uno di questi segnali. Quando poi a in- Sandro Bergamo 64 Giorgio Vacchi e il canto popolare: fonti, processi compositivi e stilemi espressivi. Atti del convegno di studi del VII Festival corale internazionale “Città di Bologna” a cura di Pier Paolo Scattolin Bologna, Aerco, 2011 A tre anni dalla scomparsa di Giorgio Vacchi, è appena iniziata la riflessione sul suo lavoro e la sistemazione della sua vasta opera. Ovvio che, in prima fila, a farlo sia l’Aerco, che lo ha ricordato nel corso di un convegno tenutosi a Bologna, nella Tiz, sede del coro Stelutis diretto e fondato proprio da Giorgio Vacchi, fondatore, peraltro, della stessa Aerco (allora Aercip - Associazione Emiliano Romagnola Cori di Ispirazione Popolare) che, con questo convegno, ha voluto celebrare il proprio quarantesimo anniversario di fondazione. Gli atti di quel convegno escono ora, a cura della stessa Aerco, nel n. 9 dei Quaderni della Rivista «Far coro». Ad aprirli, una relazione introduttiva della figlia Silvia, succedutagli nella direzione del coro bolognese. Nelle brevi pagine del suo intervento emerge la figura di un intellettuale che coltivava un disegno ambizioso ma chiaro: salvare quanto la cultura contadina aveva trasmesso attraverso il canto popolare e farne strumento di identità e formazione culturale. In questo progetto, il coro è il luogo dove ciascuno si misura con se stesso e con la sua capacità di crescere: «egli credeva fermamente che ogni gruppo potesse migliorare e trovare la propria strada; soprattutto credeva che ne valesse sempre la pena, purché si lavorasse con criterio». Della poetica compositiva di Giorgio Vacchi si occupa Michele Peguri. Un percorso in cui la creatività del compositore è sempre al servizio di quelle storie in musica che erano per lui i canti popolari, avendo come principale obiettivo quello di far coincidere valori musicali e valori testuali, di far emergere, attraverso l’espressività delle immagini musicali, quella del testo sottostante. A monte di queste creazioni musicali, nate principalmente per il proprio coro ma spesso anche per uno dei tanti cori seguiti e aiutati personalmente da Giorgio Vacchi, c’è, naturalmente, il grande lavoro di ricerca, descritto da Gian Paolo Borghi. Lunghi decenni di peregrinazioni per l’Appennino e per la pianura, nella convinzione che fosse ancora presente nella memoria un ricco patrimonio di canti popolari sui quali costituire, per i cori emiliano-romagnoli, un repertorio proprio, slegato dai modelli importati del canto di montagna. Un lavoro nel quale fu capace di coinvolgere altri studiosi e altri cori postisi sulla scia sua e del coro Stelutis. Una tenacia premiata dalla mole di materiale raccolto, dalle pubblicazioni e incisioni che ne danno conto, dal corposo archivio costituito nel Ccs (Centro Culturale Stelutis). Giorgio Vacchi agiva nel solco di una disciplina etnomusicologica di cui era perfettamente informato e consapevole e che si riallaccia non solo al lavoro svolto in Italia da tanti suoi predecessori e colleghi, ma che si rifà a un più vasto movimento europeo che negli ungheresi Bartók e Kodály trova i suoi vertici. Di questi collegamenti dà conto Pier Paolo Scattolin nella relazione conclusiva. Completano il volume la trascrizione degli interventi nel dibattito seguito alle relazioni e le partiture dei brani, di Giorgio Vacchi e altri autori, eseguite nel concerto che ha chiuso il convegno. Sandro Bergamo discogr RUBRICHE Associazione Cori della 65 Toscana Regione Toscana Provincia di Pistoia rafia& Comune di Montecatini Terme Italiafestival 66 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Il punto spirituale più alto nella musica della comunità sembrerebbe essere raggiunto nel momento in cui il saluto di benvenuto sarà dato a chiunque, allenato o non allenato, voglia cantare in coro. In ogni comunità sana dovrebbe esserci l’opportunità per tutti di cantare quanto gli pare e piace. La frase citata è stata presa da un’enciclopedia di oltre cento anni fa, ma mantiene ancor oggi tutta la sua totale e corale validità. Ben si presta, inoltre, per dare parole all’augurio che Mondocoro vuole fare ai suoi lettori alla vigilia di una nuova stagione corale che, fra crisi e sacrifici ormai perduranti e ben noti, non dovrà discostarsi da quelle dei migliori tempi andati: cantiamo quanto ci pare e ci piace! Ad maiorem Dei Gloriam - Benjamin Britten Un ricordo di Benjamin Britten (1913-1976) esposto in poche righe suona già quasi ridicolo in se stesso. Ma lo è almeno altrettanto anche la dimenticanza completa. Ciò giustifica la breve nota che segue. La centralità di Benjamin Britten nella musica inglese del ventesimo secolo lo renderebbe meritevole di un intero libro anche solo per quanto riguarda il suo impegno nella musica corale. Un libro, peraltro, è già stato scritto da Kenneth G. Boos nel 1986: The study of the Relationship between Text and Music in Five Selected Choral Works of Benjamin Britten (Studio della relazione fra testo e musica in cinque opere scelte di Benjamin Britten, DMA, University of Miami). La fama internazionale di questo compositore inglese prende avvio nel giugno 1945 alla prima dell’opera Peter Grimes. Se la sua musica rimane profondamente radicata nell’antica tradizione inglese (sempre nel 1945 aveva già pubblicato un volume – il primo di sei complessivi – di arrangiamenti di canti folkloristici inglesi) però essa si apre molto presto ai più moderni influssi che gli vengono dal continente. Britten è considerato almeno negli ultimi 300 anni, cioè dopo Henry Purcell, il primo musicista inglese che coltiva un linguaggio musicale accettato internazionalmente perché in esso anche il pubblico di altri paesi riesce a identificarsi. La sua musica è “tonale ma evasiva” come dice Mervyn Cooke nel suo The Cambridge Companion to Benjamin Britten (CUIP, 1999). Benjamin Britten è un compositore familiare a molti direttori di coro di tutto il mondo, anche solo per le sue composizioni Inno a Santa Cecilia, A Ceremony of Carols, Rejoice in the Lamb, Inno alla Vergine e la Missa Brevis. Graham Lack, compositore e musicologo dal lungo curriculum cominciato con la formazione al Goldsmiths College e al King’s College, nell’articolo The Contennace Angloise – in cui presenta la Pratica armonica e melodica nella musica vocale inglese dai tempi di Dunstaple fino ai nostri giorni – dice di voler proporre un’opera che sicuramente non è altrettanto presente sul radar dei direttori di coro di oggi. E comincia così l’analisi di AMDG (Ad majorem Dei Gloriam) che porta la data del 1939, l’anno in cui Britten giunge in America dove resterà fino al 1942. Era l’inizio di un periodo molto fecondo per l’attività compositiva del nostro musicista, ma per ragioni che non furono mai chiare neppure all’epoca, questo pezzo venne abbandonato. Esso rimase dapprima nelle mani del dottor William Mayer presso cui Britten era ospite. Poi – alla morte del compositore – molte sue opere, fra cui il ciclo di composizioni AMDG, finirono al British Museum, da cui uscirono per la RUBRICHE pubblicazione soltanto nel 1989. Il titolo del ciclo è preso dal motto dei gesuiti, la congregazione religiosa a cui apparteneva l’autore dei testi, il poeta americano Gerard Manley Hopkins. È evidente che Britten fu colpito profondamente da questi testi. Una dettagliata presentazione dell’opera, arricchita con esempi musicali, è esposta nelle sei pagine del citato articolo di Grahan Lack (originale disponibile su ICB n. 1, 2011). Collezionando battute… Chiunque canti in un coro è ben avvezzo alle battute del suo direttore, anzi, credo si possa dire e auspicare che il cantore deve avere buona predisposizione a queste “interferenze” non musicali che non sempre sono semplice istruzione per l’esecuzione di un passaggio musicale… Talvolta sono sapide… talvolta semplicemente ironiche… talvolta anche fuori luogo (perché non dirlo?). Ma… bando alle chiacchiere! Ecco una piccola collezione di battute internazionali: A proposito di intima partecipazione «Se il tuo cuore sa di cosa tratta il canto, per favore, informi la tua faccia!», «Una variante: Se nel tuo cuore vi è gioia, fallo sapere alla tua faccia!», «Bene, adesso si capisce che il canto lo conoscete. Ora cantatelo come se vi piacesse!», «Siete più nervosi di un gatto con la coda lunga in una stanza zeppa di sedie a dondolo.», «Meglio sparare e non colpire che non sparare affatto! Almeno puoi spaventare qualcuno.», «Questo brano non dovrebbe suonare bene per caso!», «Se prepariamo il campo per l’atterraggio, forse lo Spirito Santo potrebbe scendere giù!» A un coro… calante «Quanti di voi sono veramente svegli? La prossima volta cantate in tono! Quanti di voi sono un pochino stanchi? Cercate di crescere un quarto di tono! Quanti di voi sono molto stanchi? Cantate mezzo tono sopra! (che tradotto significa: essere stanchi non equivale a cantare stonati!)», «Cantare intonati copre una gran quantità di difetti.», «Non esiste che uno cali del 5%. O è intonato o non lo è! È come un test di gravidanza!», «Se un uccello può andare dal Guatemala all’Alaska, allora tu puoi certamente passare da un fa a un sol!» Ai cantori… affondati nella partitura «Se guardi ancora la partitura, significa che stai leggendo a prima vista!», «Quando sei nervoso, non nasconderti nella partitura! È fatta di carta e di inchiostro e non può volerti bene; 67 non gliene importa niente se canti bene e comunque non ti sente! Io ti voglio bene, i tuoi colleghi e amici ti vogliono bene. Noi vogliamo che tu riesca bene; esci dal nascondiglio!», «Se hai dei dubbi, guarda quella persona che sta agitando le braccia davanti al gruppo!» A un cantore timido «Che tu conosca o no le note, canta con più sicurezza e decisione!», «Se non ti sento… non importa cosa stai cantando!» Errori «Cantate, sbagliate adesso, non in concerto!», «Se vuoi fare un errore, fallo bello grosso e succulento!», «Canta deciso e sbaglia con convinzione! Se non sento bene l’errore, non posso correggerlo!», «Se vuoi sbagliare, fallo bene!», «Guarda avanti… da qui viene l’aiuto per te!» Dopo un errore “logico” «Era carino. Quello che avete cantato ha senso, avrebbe potuto essere scritto così, ma non lo è!» Perfezionamento «Sì, va bene. Questo ci offre l’occasione per migliorare ancora!», «Gentili signore, belle armonie, ma purtroppo qui siamo all’unisono!», «Dovete cantare così dolcemente che il pubblico deve chiedersi da dove viene il suono. Penserà che viene dal vostro cuore.», «La musica, come il sesso, è troppo importante per lasciarla ai professionisti!» Annotare le partiture «Confucio dice che il più forte in memoria è più debole del più pallido inchiostro (naturalmente nessun cantore usa l’inchiostro; matita, per favore!).», «Ogni cantore durante la prova deve avere quattro matite: una per sé, una per il cantore di sinistra che l’ha dimenticata, una per quello di destra (come prima) e una per il maestro (come detto).» Salute della voce Non si conoscono studi italiani sull’argomento specifico, ma in America pare che il 20 per cento degli insegnanti sia affetto da anomalie della voce che causano al paese un costo sociale quantificabile in due milioni e mezzo di dollari all’anno. Nonostante le apparenze e le credenze, quindi, quello della salute vocale è un problema molto importante. Vi dedica la sua attenzione un professore di educazione musicale della Northern Illi- 68 nois University di DeKalb (Illinois). Mary Lynn Doherty, questo il suo nome, afferma che il suo scopo è quello di dare informazione e supporto a quegli insegnanti di musica che sono alle prese con problemi vocali e che nel corso della loro carriera vogliono conservare la salute della voce e che necessitano di materiale di riferimento specifico da condividere con colleghi, amministratori della scuola e genitori. Dopo un’introduzione generale si dedica in modo specifico agli insegnanti di musica e quindi ai più comuni problemi della voce nei professionisti e alle loro cause. L’esperta si chiede se l’ambiente dell’insegnamento possa essere considerato “tossico” per la voce. Detto in breve, per la cura e la conservazione ottimale della voce suggerisce attenzione a un riposo (sonno) sufficiente, a un riscaldamento adeguato della voce e a un’oculata dieta nutritiva. Tanto pe’ canta’… lode al cantare in soggiorno Oggi come oggi cantare sembra essere soltanto le prove di coro, i servizi liturgici, le sale da concerto e l’occasionale esperienza da bar del karaoke. Nient’altro! Ma cosa ne è del semplice trovarsi attorno a un pianoforte con la famiglia e gli amici e lasciarsi andare in alcune canzoni? Che ne è del trovarsi in prima serata a cantare attorno a un tavolo di un rifugio di montagna, quasi preparazione spirituale per l’ascensione che comincerà nella tarda notte, prima della nuova alba? Una volta mettersi a cantare non passava certo per un’idea originale. Era una cosa che si faceva da sempre, in un’infinità di occasioni, con la partecipazione di tutti i presenti. A un certo punto della situazione… compariva una chitarra, una fisarmonica, qualche tamburello, talvolta un mandolino… E si cominciava a cantare. Si cominciava sommessamente, due, tre cantori, ma il gruppo si ingrossava immediatamente e si arrivava presto a cantare gagliardamente e ad alta voce. Continuava così fino a che la voce non era roca. Ognuno cantava decine e decine di canzoni, quasi senza coscienza alcuna di ciò che faceva. E più si cantava, più diventava difficile staccarsi dal gruppo. Era una tradizione di famiglia, era un’operatività scontata ogni volta che un po’ di gente si trovava riunita nello steso luogo, un locale pubblico, una casa privata, un’aia o una stalla. E si cantava di tutto. Cantare canti popolari tradizionali, religiosi o profani, seri o carnascialeschi, canti d’amore, canti di guerra, canti di lavoro… era come ovunque sentirsi a casa propria, come persone e come nazione. Era divertimento ed era preghiera; era supplica ed era esercizio di speranza che un problema trovasse presto felice soluzione; era ricordo ed era nostalgia profonda; era dolore, anche personale, sublimato nella comunità che lo condivideva senza chiedersi perché o percome. Io mi chiedo: che cosa ci ha fatto smettere di cantare? Che cosa ci ha fatto rinunciare a una parte intima, profonda e importante della nostra vita, quella più vera che derivava anche dalla lingua materna locale che benissimo asserviva la comunicazione di fenomeni, fatti e affetti di vita, di qua e di là dell’oceano? Gli amici cantavano insieme. Perché non più? RUBRICHE Liberamente tratto da Kelsey Menehan che è una scrittrice di San Francisco, canta in coro, è una psicoterapeuta e scrive per riviste di coralità. Che abbia conosciuto padre David Maria Turoldo o quantomeno la sua poesia? Quando si cantava - E perché allora / che eravamo poveri / Si cantava? / Si cantava a sera / e anche all’alba / il panettiera cantava / per le vie deserte. / Cantavano tra i filari / nei gloriosi giorni di vendemmia: / e la gioia si spandeva / a onde, giù sulla pianura… / Ora siamo ricchi e muti. / Ognuno è chiuso / nel suo appartamento, / non esiste più il “paese”. / Estranei i familiari: / città senza amicizie, / dove nessuno si conosce. E se conosci, spesso / più cresce la ragione / di essere diffidente. Choralnet si fonde con Acda «Choralnet si è sempre preoccupata di mettere in contatto fra loro i musicisti corali e collegarli a tutte le risorse di cui hanno bisogno nel loro lavoro. Acda (Associazione dei Direttori di Coro Americani) condivide gli stessi scopi. A questo punto entrambe le associazioni stanno vivendo la situazione perfetta per una fusione avente lo scopo di creare sinergie di sicuro beneficio reciproco». Queste sono le parole di Feizli, da sempre membro di Acda e già presidente dell’Acda del Dakota, nonché – nel 1993 – creatore di Choralnet. A lui fa eco Tim Sharp (direttore esecutivo di Acda) sostenendo che «questa operazione fa compiere un grande passo avanti nell’utilizzare appieno la comunicazione tecnologica a beneficio dei direttori di coro, senza dover re-inventare la ruota». Choralnet è il primo social network di comunicazione globale in campo corale e «ci onora questa fusione che porta avanti uno dei nostri scopi principali, quello di diffondere notizie professionali e informazioni del campo corale». Choralist, un distributore di e-mail, s’era sviluppato in Choralnet che ora è un’associazione no-profit sostenuta dalle principali associazioni corali fra cui Acda, Ifcm, Chorus America e alcuni partners commerciali come la Smallworld Musicfolder, la Rehearsal Arts, J.W. Pepper e Kingsway International. Choralnet gestisce online dei forum per lo scambio di idee, crea connessioni professionali, condivide informazioni corali fra circa 10.000 persone, offre links con altre comunità corali e circa 5000 siti di cori. Le risorse online di Choralnet comprendono liste di repertorio, materiale di riferimento, rehearsaltips, accessori e tecnologia corale e aree in cui è possibile annunciare e pubblicizzare “prodotti” corali. La sua sezione multimediale comprende podcasts, blogs, video, partiture e incisioni corali scaricabili. Col nuovo format ormai in uso da aprile 2010 è possibile agli utilizzatori 69 una flessibilità di interazione con Choralnet simile a quella di altri social networks più famosi, come myspace e facebook. Tim Sharp di Acda garantisce con Choralnet un social network di comunicazioni indipendente e senza censura per la comunità corale globale. Un genere corale… fuori concorso È una verità universalmente riconosciuta che alla gente piace esprimere le proprie frustrazioni a chiunque le voglia ascoltare. Gli artisti finlandesi Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kallleinen hanno portato questo concetto a un nuovo livello alcuni anni fa, introducendo l’idea dei Complaint Choirs (cori delle lamentele), cioè gruppi di persone che cantano al pubblico le proprie lagnanze. Partendo dalla considerazione che gli abitanti di tutte le città del mondo amano lamentarsi sulla propria città e sulla vita in generale, gli artisti hanno tradotto questo fenomeno universale in un’iniziativa ironica, divertente e coinvolgente: nel 2005 hanno organizzato a Birmingham il primo Coro delle Lamentele composto da cittadini desiderosi di creare, con l’aiuto di un compositore, una canzone delle loro lamentele e di esibirsi come coro nelle piazze e in altri luoghi pubblici della città. Dall’ormai lontano 2005 a oggi questo genere di coralità ha cominciato ad apparire in tutto il mondo, con gruppi in molte città, da Juneau a Budapest, da Singapore ad Amburgo, da San Pietroburgo a Gerusalemme e via dicendo. In Italia il primo Coro delle Lamentele è stato realizzato a Firenze nel 2008. L’iniziativa si è inserita subito nel progetto internazionale ideato a Birmingham dagli artisti Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kalleinen che, dopo il primo coro di Birmingham, per far fronte al successo dell’iniziativa hanno creato il sito www.complaintschoir.org dove fornivano alle tante città europee che si rivolgevano a loro, le “istruzioni” su come costituire un Coro delle Lamentele. Di ogni coro viene realizzato un video da inserire sul sito per documentare le tappe internazionali dell’iniziativa che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo. 70 Cantaré! Un interessante progetto musicale educativo e artistico Bruce W. Becker, direttore esecutivo dell’Acda (Associazione dei Direttori di Coro Americani) è l’autore dell’articolo che comincia con la seguente premessa: «L’articolo che segue intende mostrare come i compositori di un altro paese possano, dirigendo le opere che sono state loro commissionate, entrare in una sperimentazione di incrocio e scambio culturale che porta a grandi benefici sia in campo educativo sia in campo artistico. Inoltre è sperabile che scuole pubbliche, colleges, chiese e cori di comunità possano implementare esperimenti culturali di questo genere». Molto spesso parlando del Messico, ci capita di ascoltare molte cose negative in ogni campo. Tuttavia è indiscutibilmente vero che un paese con 100 milioni di abitanti, con le sue profonde tradizioni storiche e con un ricchissimo patrimonio culturale, ha molto di positivo da offrire al mondo. Che cosa sappiamo noi della cultura messicana, soprattutto in campo corale? Nel Minnesota abitano migliaia di messicani. A partire dal 2007 Philippe Brunelle, direttore artistico dell’associazione corale VocalEssence (di Minneapolis), incoraggia il direttivo e lo staff della sua associazione a fare della musica corale messicana il centro della sua attenzione. La conseguenza è stata quella di portare a un’iniziativa unica nel suo genere denominata Cantaré! (“Cantiamo!”) che mette in contatto diretto compositori messicani e scuole elementari, scuole superiori e cori di comunità del Minnesota. B.W. Becker fa la storia di questo esperimento evolutosi dalla prima pianificazione ai contatti coi compositori, alla commissione dei brani, all’identificazione delle scuole e dei cori da coinvolgere e fino all’esecuzione del concerto finale nella sala dell’Orchestra di Minneapolis (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 34-38). Eleanor Daley, compositore canadese Hilary Apfelstadt (già presidente dell’Acda - Associazione dei Direttori di Coro Americani e direttore delle Attività Corali dell’Università di Toronto) ha intervistato per il Choral Journal il compositore canadese Eleanor Daley. Il risultato dell’intervista ci permette uno sguardo dettagliato e completo nella vita della musicista, nel suo straordinario viaggio musicale che continua e nei musicisti che nel corso della vita hanno influenzato il suo modo di pensare la musica e di comporla. Hilary Apfelstadt ci presenta l’essenza compositiva della musica corale di E. Daley. Riferisce che la musica di Daley è melodicamente accattivante, armonicamente ricca ed esprime il significato dei testi in modo molto sensibile. In particolare le sue composizioni per voci bianche semplicemente “cantano bene”, l’estensione vocale è ragionevole, le frasi sono molto espressive, i testi sono piacevoli e la sua musica è così ben composta che porta spontaneamente i cantori a RUBRICHE una certa abilità vocale e all’acquisizione dei principali concetti musicali. Nell’intervista la compositrice canadese descrive il suo metodo compositivo ed enfaticamente l’importanza del testo: «first and foremost, it is text, text, text! (prima e soprattutto il testo!)». L’intervista è corredata da otto pagine di discografia e da un lungo elenco (suddiviso per editore) delle composizioni pubblicate da E. Daley (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 16-32). Cina: il canto Ga Lao Davvero molti gli articoli dell’ultimo numero di ICB che attirano l’interesse del lettore. Molto particolare è un articolo in cui viene presentata Ga Lao, la tradizione corale senza accompagnamento propria e caratteristica della popolazione cinese Dong (Cina del sud). Li Xi, direttore di coro cinese che ci vuole presentare questo tesoro della musica del suo paese, così esordisce: «Ho incontrato per la prima volta il canto della popolazione Dong chiamato Ga Lao durante i World Choirs Games in Xiamen nel 2006. Mentre la fila di belle ragazze Dong, abbigliate in abiti tradizionali Dong, avanzava sul palco il canto era così puro che sembrava provenire dal cielo. Fui talmente attratta da questo coro che volli scoprirne le origini. Mi recai a Liping, nella provincia di Guizhou, nella Cina del sud…» Secondo una leggenda, la popolazione Dong discende dalla popolazione Yue che ha ben 2500 anni di storia. I Dong credono fermamente che il cibo nutre il corpo, ma il canto nutre il cuore. In altre parole, il popolo Dong è convinto che nella propria vita il riso e il canto hanno pari importanza. Il canto è usato come una specie di energia spirituale che serve a modellare il loro carattere e il loro spirito. I temi principali di questo canto Ga Lao sono la natura, il lavoro, l’amore e l’amicizia. L’imitazione del canto degli uccelli e degli insetti, delle montagne e dei ruscelli e di qualsiasi altro suono della natura è una delle caratteristiche di questa tradizione corale. A seconda dello stile esecutivo, del ritmo, dell’argomento trattato nel testo, e del ruolo sociale che questi canti svolgono, la musica Ga Lao comprende i seguenti generi: canto dei suoni, canto etico, canto di lavoro, canto religioso, canto per varie occasioni sociali, come per esempio il canto Caitang che verso la fine di una festa viene eseguito dalle persone di tutta la comunità tenendosi per mano mentre danzano e cantano. Oltre a questi poi ci sono Road Stopping Songs, canti d’amore e di matrimonio, ballate e storie, canti conviviali e canti funebri. Il popolo Dong raramente ripete gli stessi canti. Gli insegnanti di canto Dong tengono nella loro memoria un repertorio di diverse migliaia di canti tutti connessi con la cultura, le tradizioni e la vita di ogni giorno. Essendovi così tante persone che 71 amano il canto, non desta meraviglia che i villaggi Dong siano definiti “Mare del canto e Casa della poesia”. «È rarissimo, nel mondo, che una minoranza etnica di poco più di due milioni di persone possa creare e conservare un coro antico e puro come questo», dice la presidente del gruppo Liping County Dong Choir, M. Josephine. Molte persone credono che nella musica cinese non vi sia armonia, ma il Ga Lao della popolazione Dong mostra invece che la polifonia nell’antica Cina c’era. E la tradizione continua grazie al direttore di coro Yin-Ting Sun (ICB, n. 3, 2011). Le Chansons di Vincent D’Indy Vincent D’Indy (1851-1931) ha lasciato un importante contributo alla chanson francese della prima parte del ventesimo secolo. Le sue Chansons per coro vengono analizzate e discusse da Paul Neal (direttore delle attività corali, professore aggiunto della Valdosta State University in Georgia). Neal afferma che dopo la prima guerra mondiale molti compositori europei hanno condiviso un rinnovato interesse per la salvaguardia del proprio patrimonio musicale originale. Espressione di questi ideali nazionali, Vincent D’Indy ha scritto venti chansons dimostrando, con l’incorporazione in esse dei canti popolari francesi, il suo grande interesse nella conservazione del patrimonio originale francese, allo stesso tempo senza rinunciare alla sua visione e interpretazione degli ideali armonici. Spesso questi canti popolari sono o modali o non definiscono un centro tonale. D’Indy, scrive Neal, compie ogni sforzo per restare fedele alla melodia originale conservando le loro caratteristiche e come esempio offre La Separation (dall’Opus 90). Come ci si può facilmente aspettare, per D’Indy in queste chansons tempi e metri sono influenzati dai loro testi, ma dalle sue composizioni si possono trarre anche altre considerazioni. Nella parte restante dell’articolo ogni considerazione è riservata alla descrizione e all’analisi di sei brani scelti dall’Opus 90: Sei canti popolari francesi. L’articolo si conclude con l’elenco delle Chansons di D’Indy e una ricca bibliografia (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 6-14). 72 Congratulazioni per un magnifico cd I Vocalisti, coro da camera di Lubecca, sono diretti dalla fondazione da Hans-Joachim Lustig. Nel loro ultimo cd Domine Deus presentano un incredibile ritratto del Signore Gesù Cristo. Per fare ciò innanzitutto hanno preso testi biblici portandoli a una nuova luce attraverso moderne composizioni a cappella, musiche che gli artisti musicali del gruppo hanno studiato intensamente e per le quali hanno acquisito grande passione. In aggiunta a ciò i cantori hanno ricevuto preziosi suggerimenti da ognuno dei compositori (tutti viventi). Il disco è ben costruito; i brani sono incorniciati fra un Ordinarium Missae della Messa Latina di Ug‘is Praulins̆ e un sor’ prendente arrangiamento del Pater Noster di Aleksander Vujić. Tutto ciò che sta tra i due brani parla di Dio, a Dio, parla del Signore Gesù Cristo in un modo davvero unico. «Essi esprimono ogni sfaccettatura della situazione dell’umanità prima di Dio, implorando, pregando, ricevendo grazia e lottando per la vita». La loro musica porta l’ascoltatore a un ideale luogo di contemplazione, di quiete e di pace. Tre elementi collocano I Vocalisti fra i migliori cori del mondo: il senso del fraseggio, la loro unità vocale e la loro devozione e trasporto verso il testo musicale. Il senso di ogni frase, di ogni riga, di ogni nota si muove in avanti. Che ciò sia dovuto al compositore, al direttore o ai cantori (o a tutti insieme) è discutibile, comunque sia in ogni brano si crea un alto senso del dramma e ciò è evidente fin dall’emozionante interpretazione del Gloria. Tono ricco e perfetta intonazione sono i due aspetti principali dell’esecuzione. Ma veramente da sottolineare nei Vocalisti è il trasporto per il testo che cantano: sanno cosa cantano. Troppo spesso i cori amatoriali cantano “foneticamente” la musica, prestando poca attenzione alla traduzione dei testi. Nelle note al cd il direttore Hans-Joachim Lustig sottolinea esplicitamente il fatto che il coro si è sottoposto a uno studio intenso della musica e dei testi. La maestria musicale dei Vocalisti di Lubecca (una trentina di cantori) è evidente e si manifesta nella loro stupenda musicalità (Jonathan Slawson, ICB n. 3, 2011). Segnalazione editoriale Spirituals for upper voices di Rosephanye e William C. Powell. Gli autori, nella vita marito e moglie, sono riconosciuti come esperti di spiritual afro-americano a livello mondiale. La loro abilità e la loro ampia conoscenza della material rendono la pubblicazione Spirituals for upper voices davvero ricca di ispirazione. Trattasi di una raccolta di dodici spiritual afro americani arrangiati per voci acute a due, tre e quattro parti. Editore Oxford University Press, ordini: [email protected] oppure negozi di musica oppure tel. +44 (0) 1865 452630. Dettagli in www.oup.com/uk/music. Anno XII n. 35 - maggio-agosto 2011 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Dario Tabbia, Alvaro Vatri, Giovanni Bonato, Mauro Marchetti, Luca Ricci, Alessandro Zucchetti, Mattia Culmone, Fabrizio Vestri, Silvia Danielis, Dario Piumatti, Rossana Paliaga, Ermanno Testi musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera (foto Renato Bianchini) cori dada tuttatutta Italia Ital 7070cori oltre 40 concerti oltre 40 concerti con diversi repertori re con diversi 2000 partecipanti 2000 partecipant Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn aiutaci a sostenere la cultura corale abbonati a CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] Info su www.feniarco.it n. 35 - maggio-agosto 2011 n. 35 - maggio-agosto 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN MUSICA RESERVATA RIFLESSIONI SULLA POLIFONIA RINASCIMENTALE INCONTRO CON GIOVANNI BONATO ILDEBRANDO PIZZETTI QUESTO (S)CONOSCIUTO UN TORRENTE RICCO D’ACQUA REPORTAGE DAI CONCORSI Feniarco www.ectorino2012.it Trovate i dettagli del programma all’interno della rivista PRONTI A CANTARE! ASPETTANDO TORINO 2012