n. 35 - maggio-agosto 2011
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POLIFONIA RINASCIMENTALE
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ILDEBRANDO PIZZETTI
QUESTO
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UN TORRENTE
RICCO D’ACQUA
REPORTAGE DAI CONCORSI
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Anno XII n. 35 - maggio-agosto 2011
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
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n. 35 - maggio-agosto 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
La polifonia rinascimentale
2
il rivelare nascondendo
alcuni buoni motivi per eseguire
la musica antica
6
LA VOCE DAVVERO PERDUTA?
Dario Tabbia
Walter Marzilli
Dossier compositore
Giovanni Bonato
16 un padre e la sua creatura
incontro con giovanni bonato
Alvaro Vatri
21 Un’esperienza sonora
avvolgente e coinvolgente
Breve commento ad Audi, filia
Attività dell’Associazione
34 confronto e scoperta
al festival di primavera
Alessandro Zucchetti
37 CHORAL MANAGEMENT TODAY
Esperienze a confronto
Fabrizio Vestri e Silvia Danielis
39 Ricchezza, varietà, diversità
a Roma la Giornata Nazionale
della Musica Popolare
40 cantare è giovane!
cantare con i giovani
Dario Piumatti
42 ready to… sing!
si aprono le iscrizioni a torino 2012
Giovanni Bonato
cronacA
Nova et veterA
46 un torrente ricco d’acqua
48 il valore di mezzo secolo di tradizione
22 pizzetti: questo (s)conosciuto?
Mauro Marchetti
Giorgio Morandi
Rossana Paliaga
52 l’europa nello specchio del mondo
Rossana Paliaga
54 1911-2011 cento anni del pontificio
istituto di musica sacra
portrait
25 quando la musica ti viene addosso
gianni malatesta si racconta
Ermanno Testi
58 voci bianche e malcesine:
un binomio nazionale
59 sconfinatamente, umanamente corale
Rossana Paliaga
60
Notizie dalle regioni
Rubriche
Sandro Bergamo
fragmentA
INDICE
28 la documentazione audio “fai da te”
dei concerti di musica corale
Walter Marzilli
56 cantate domino canticum novum
Luca Ricci
62 Discografia&Scaffale
66 Mondocoro
il rivelare
nascondendo
rivela
alcuni buoni motivi
per eseguire la musica antica
di Dario Tabbia
direttore di coro e docente
di esercitazioni corali
al conservatorio di torino
Il fatto che la musica rinascimentale sia sempre meno presente nei programmi dei cori non
soltanto italiani è un dato tanto indiscutibile quanto negativo. Sebbene da qualche tempo ci si
interroghi sulle cause che hanno portato a questa situazione, non è tuttavia facile individuarle.
È curioso constatare come negli anni ’70-’80 i programmi corali contenessero molta più musica
antica di quanta non se ne esegua oggi. Eppure, paradossalmente, proprio in quegli anni non
esisteva ancora una adeguata preparazione interpretativa comune alla maggior parte dei
direttori.
Per fortuna in quel periodo valenti musicologi italiani riuscirono grazie al loro impegno in tal
senso a “inculcare” nei maestri, soprattutto in quelli di nuova generazione, la cultura della
conoscenza della notazione musicale antica come strumento imprescindibile per una corretta
esecuzione della stessa.
Ora la situazione è incredibilmente migliorata. Al giorno d’oggi infatti un giovane direttore alle
prime armi o uno studente di direzione al conservatorio sanno bene che l’antica mensura non va
battuta in quattro tempi, posseggono informazioni magari non approfondite ma perlomeno
dossIER
corrette sul tactus, sullo stile e sulla prassi esecutiva.
Tutto questo dovrebbe avere come diretta conseguenza un
aumento delle esecuzioni di brani rinascimentali o,
perlomeno, delle migliori interpretazioni degli stessi senza
ridurne la quantità.
Eppure si sta verificando l’opposto. Paradossalmente una
delle possibili cause potrebbe essere proprio la maggior
consapevolezza delle caratteristiche peculiari di questa
musica che ne ha scoraggiato l’esecuzione. Facciamo un
esempio: se il direttore ignora l’indipendenza melodica e
ritmica che le varie parti di una composizione polifonica
richiedono e sottomette il coordinamento del brano a una
rigida scansione metrica della battuta musicale, il mottetto in
questione non richiederà molto tempo di studio. Se, al
contrario, egli è invece consapevole delle cure che ogni
singola parte richiede, per ottenere quella meravigliosa
sovrapposizione di linee indipendenti e al tempo stesso
complementari le une alle altre, allora sarà costretto ad
aumentare la quantità di prove in maniera considerevole.
Per quanto riguarda invece il repertorio profano, anche qui la
conoscenza che esso vada eseguito a parti reali o con piccoli
ensemble ne ha sicuramente scoraggiato l’esecuzione da
parte delle formazioni corali. Se si aggiunge inoltre il fatto
che la differente sensibilità moderna viene più facilmente
soddisfatta da forti contrasti dinamici a discapito di un
significato espressivo meno appariscente ma più profondo,
allora si arriva alla conclusione: “non ne vale la pena”.
La musica rinascimentale, in un periodo storico caratterizzato
da ignoranza e superficialità, sembra tornare a essere musica
reservata mentre le attuali conoscenze storiche e
musicologiche dovrebbero renderla accessibile ai più. È
indubbio il fascino che certe composizioni moderne esercitino
su tutti noi: grande complessità armonica, dinamiche spinte ai
massimi e minimi livelli, forti contrasti. Ma queste non è
musica “più bella”, è semplicemente “diversa”.
La musica rinascimentale richiede, anzi esige grande
attenzione dal punto di vista esecutivo. L’apparente semplicità
della sua scrittura non deve trarci in inganno. Le singole linee
melodiche possono sembrare a prima
vista elementari, non complicate, di
facile lettura: non hanno mai una grande
estensione, non troviamo intervalli
difficili da intonare. Il primo errore infatti
è quello di considerarle a prescindere dal
loro rapporto con il testo. Soltanto
questo tipo di analisi potrà svelarci non
“cosa” cantare ma “come” cantarlo.
Ogni particolare del contrappunto lineare
va allora contestualizzato: una serie di valori musicali brevi
può indurci a considerare la necessità di non appesantire la
frase, di renderla scorrevole facilitando così l’arrivo alla
parola-chiave del testo, un melisma sopra una singola sillaba
può suggerire l’importanza della parola che la contiene, ne
rafforza il significato, costringendo l’esecutore a “meditarla”
più a lungo, così come un’alterazione può aiutare a conferire
3
un colore, un’espressione particolare a un’altra parte del
testo. Certamente tutto questo richiede attenzione, sensibilità,
pazienza: una vera e propria “caccia al tesoro”!
E naturalmente tempo. Tempo che il direttore deve dedicare
allo studio della partitura prima di arrivare a presentarla al
coro. Certamente questo è un compito che egli deve svolgere
con qualsiasi musica di qualsiasi epoca ma il repertorio antico
è di lettura meno immediata rispetto ad altri più vicini alla
nostra cultura attuale.
Questo può spiegare in parte il motivo per cui questi brani
vengono sempre meno eseguiti. Se il direttore non possiede
gli adeguati strumenti culturali e, mi permetto di aggiungere,
una certa sensibilità o intuizione musicale nei confronti della
musica antica, ecco che quest’ultima non riesce a esprimere
la sua bellezza e il suo fascino se eseguita con criteri a lei
stilisticamente estranei.
Cantare un mottetto di Victoria o Morales senza curare la
flessibilità delle singole linee melodiche, il fraseggio naturale
della composizione, l’articolazione metrica che rispetta la
are
La musica rinascimentale richiede,
anzi esige grande attenzione dal
punto di vista esecutivo.
naturale accentuazione delle parole che compongono il testo
a dispetto della regolare accentuazione che si ha invece nel
repertorio più moderno, non curare una vocalità che deve
essere coerente con le caratteristiche esposte, tale insomma
da non compromettere gli aspetti stilistici di cui si è parlato
significa non cantare un mottetto rinascimentale. In parole
molto più semplici: senza tutte queste attenzioni il brano in
4
questione suona veramente male, inespressivo, vuoto, tale
insomma da non incoraggiarne lo studio per l’inserimento nel
repertorio del coro.
Il problema veramente grave è che si definisce musica brutta
o insignificante quella che invece è una interpretazione brutta
e insignificante: a farne le spese non è il direttore
incompetente ma il compositore!
Un altro aspetto credo non abbia giocato
a favore della musica antica e anche
questo è un controsenso. Si tratta
dell’indubbia crescita qualitativa dei nostri
cori, soprattutto per quanto riguarda la
vocalità. Se trent’anni fa i gruppi italiani
di livello stavano sulle dita di una mano
ora sono decine. Molti complessi sono
dotati di voci ben curate, impostate,
giustamente vibrate. L’impressione è che questa qualità
vocale sia maggiormente valorizzata da un repertorio
moderno e contemporaneo rispetto a quello dei secoli
precedenti. Naturalmente non stiamo a considerare le ovvie
eccezioni: non sono nemmeno pochi i cori di qualità che
eseguono composizioni che spaziano dal XVI al XX secolo.
Si tratta invece di un problema che riguarda la tendenza
generale e, in particolare, le scelte che in tal senso operano
i direttori. Forse una volta i cori eseguivano più musica
rinascimentale perché “non potevano” cantare con risultati
accettabili altri repertori. Adesso, se questa ipotesi fosse
corretta, si tratterebbe solo più di scelte e non di necessità.
Non dobbiamo dimenticare che una delle recenti conquiste
culturali è stata proprio quella di capire che la musica vocale
antica necessita di voci educate e di buona qualità al pari di
quella di epoche più recenti. Se in questo momento storico
abbiamo la fortuna di avere voci più importanti è bene che le
si indirizzi anche su altri repertori la cui ricchezza espressiva
e il cui valore artistico sono semplicemente insostituibili.
Si tratta quindi di lavorare sulla duttilità interpretativa, senza
privilegiare nulla.
Le ragioni fin qui esposte potrebbero sembrare un elenco di
buoni motivi per non eseguire musica antica. Sono invece
dell’avviso che le stesse argomentazioni possano
rappresentare una serie di stimoli verso l’esecuzione della
stessa. Lo studio corretto del repertorio rinascimentale può
infatti contribuire a migliorare il livello tecnico del coro sotto
molti punti di vista. Basti pensare alla maggiore qualità che
deriverebbe dallo studio attendo sulla cura e sulla flessibilità
del fraseggio, al rapporto testo-musica affidato al singolo
esecutore che deve restituirne il significato stimolato dal
segno grafico che il compositore usa come suggerimento per
l’interprete.
Quest’ultimo aspetto è per me di fondamentale importanza.
Sono profondamente convinto che nessun cantore possa
esprimere il giusto suono di una partitura senza
comprenderne ogni suggerimento che il compositore fornisce
attraverso la decodificazione del simbolo musicale.
Sappiamo che la notazione musicale rappresenta uno dei
sistemi più imprecisi e approssimativi di codificazione del
linguaggio. Basta riflettere un attimo per accorgersi di quanto
sia infinitamente più profonda ed espressiva la resa musicale
di un brano corale rispetto alla sua notazione. Già un famoso
teorico rinascimentale osservava che «esiste un modo di
cantare et sonare che non si può scrivere». È indispensabile,
per arrivare a una esecuzione pienamente consapevole, che
Lo studio corretto del repertorio
rinascimentale può contribuire a
migliorare il livello tecnico del coro.
ogni cantore sappia cosa il segno grafico rappresenti, cosa
sta dietro la semplice indicazione dell’altezza e della durata di
ogni singolo suono.
La straordinaria ricchezza espressiva cui la notazione allude e
rimanda è un traguardo cui ognuno di noi deve
continuamente tendere e la strada per raggiungerlo passa
necessariamente attraverso un’analisi puntuale e intelligente
della partitura. Il repertorio rinascimentale, figlio di
un’estetica e di una filosofia che considerano il “rivelare
nascondendo” una delle caratteristiche stesse di questa
dossIER
5
epoca, si propone come terreno
privilegiato per l’affinamento di
questa pratica.
L’apparente mancanza di indicazioni
dinamiche e agogiche ha fatto sì che
molti siano convinti di poter operare
qualsiasi scelta interpretativa o,
comunque, lontana dalla più
elementare e filologica prassi
esecutiva. In realtà questa musica
fornisce un numero incredibile di
suggerimenti su come debba essere
eseguita. I nostri comodi e semplici
“forte”, “crescendo” e così via
devono essere dedotti dall’analisi di
una armonia particolare,
dall’andamento del contrappunto,
dal rapporto suono-testo.
Lo studio del repertorio antico non
può che far crescere dal punto di vista della consapevolezza ogni singolo esecutore e tale apertura
mentale rimarrà come strumento efficace nell’esecuzione di qualsiasi musica di qualsiasi epoca. Si tratta
di una straordinaria possibilità di crescita artistica che darà i suoi frutti a prescindere dal repertorio
scelto.
Mi piace ricordare come alcuni coristi particolarmente abituati nell’esecuzione di musica rinascimentale,
trovassero addirittura superflue le indicazioni dinamiche segnate in un brano del periodo romantico,
trovandole talmente ovvie nel
rapporto testo-musica da eseguirle
senza accorgersi che erano previste
in partitura!
Mi rendo conto che le ragioni fin qui
esposte potrebbero giustificare la
scarsa presenza di musica
rinascimentale nei nostri programmi
da concerto, tuttavia le stesse
potrebbero essere invece un elenco
di buoni motivi per riprenderne
l’esecuzione. Non regge nemmeno
l’affermazione secondo la quale questo non sia un repertorio accattivante per i giovani che invece sono
da sempre interessati dalle proposte culturali serie e ricche di significati. La mia recente esperienza con
il Coro Giovanile Italiano ne è stata una conferma.
Cosa poter fare per stimolare un rinnovato interesse da parte dei cori? Forse si potrebbe sfruttare la
propensione dei gruppi di buon livello a partecipare ai concorsi per indirne uno interamente riservato
alla musica antica le cui categorie potrebbero essere gregoriano, musica sacra dal XV al XVII secolo,
musica profana per gruppi madrigalistici, musica barocca… È altrettanto importante riprendere la
diffusione di corsi di interpretazione sulla prassi esecutiva che, ultimamente, mi sembrano diminuiti
rispetto a generici corsi di direzione di coro. Mi auguro che si tratti di un fenomeno temporaneo e che i
cori che in questo momento sono diventati punti di riferimento della coralità italiana si impegnino in
questo senso dedicando parte del loro lavoro alla riproposta di un repertorio i cui valori sono
indispensabili al raggiungimento di quella ricchezza espressiva e umana di cui ogni musicista deve
essere dotato.
La straordinaria ricchezza espressiva
cui la notazione allude e rimanda è
un traguardo cui ognuno di noi deve
continuamente tendere.
6
LA VOCE DAVVERO PERDUTA?
di Walter Marzilli
Attraverso la parafrasi del titolo di un noto testo sui
castrati1 ci vogliamo domandare: dobbiamo allargare il
panorama delle voci perdute fino a comprendere, oltre
alla vocalità degli evirati cantori, anche quella più
generale del coro rinascimentale? In altre parole: sarà
mai possibile ottenere una ricostruzione del suono di un
coro del Rinascimento che sia sufficientemente
attendibile? L’asportazione degli intonaci sovrapposti a
un affresco del Rinascimento ci ridona i colori originali e
le pennellate autentiche; ma la polvere di un antico
manoscritto musicale nasconde solo alcune tracce di
inchiostro immerse in un silenzio abissale. Come
ricostruire quelle voci perdute? Sono davvero rimaste
sepolte con i loro possessori e irrimediabilmente
decomposte? O hanno lasciato una qualche traccia
attraverso la quale poterle ricostruire?
Costituisce ovviamente una necessità ineluttabile
continuare a perseguire la strada della ricerca, della
frequentazione del repertorio e dello studio dei trattati
dell’epoca. È soprattutto in questo ultimo ambito che
vogliamo cercare alcune opportunità per tentare di
ricostruire il suono antico, anche se esiste una difficoltà
che non dobbiamo sottovalutare. Dobbiamo infatti
ammettere, riflettendo serenamente, che cercare di
ricostruire un suono perduto 2 leggendo una sua
descrizione sulla carta può suscitare le stesse nebulose
perplessità di chi volesse studiare canto per
corrispondenza.
Inoltre gli estensori dei trattati rinascimentali non
potevano avere il minimo sospetto che tra la loro
estetica musicale e la nostra si sarebbe interposto quel
ciclone che è stato il passaggio della musica romantica,
con i conseguenti enormi cambiamenti dell’estetica
musicale, della tecnica vocale e di quella strumentale.3
Forse per questo si accontentavano di dire «Haveranno
etiandio li Cantori questo avertimento, che ad altro modo
si canta nelle Chiese, e nelle Capelle publiche, e ad altro
modo nelle private Camere: Imperoche ivi si canta a
piena voce […]», 4 senza sapere che nel frattempo la loro
idea di voce piena sarebbe stata completamente alterata
dalla tecnica del passaggio di registro e dalla copertura
dei suoni, intervenuti appunto in epoca romantica.5
Parlando di voci e di timbri vocali aggiungiamo inoltre
che – al di là degli stili da Chiesa o da Camera,
apparentemente distinti fra loro più dalla diversità dello
spessore sonoro che da specifiche caratterizzazioni di
tipo timbrico – l’epoca rinascimentale poteva contare su
una coesa univocità, che rendeva improbabile qualsiasi
possibilità di fraintendimento. Possiamo quindi
immaginare i trattatisti dell’epoca intenti a descrivere i
caratteri delle voci del loro tempo senza avere una
specifica intenzione esplicativo-applicativa, ma
soprattutto senza avvertire la necessità di puntualizzare
in modo univoco e inequivocabile le caratteristiche del
suono di allora. Questo ci complica enormemente il
compito.
Nonostante questa doverosa premessa, che ci conferma
di confrontarci con i testi antichi mantenendo un
atteggiamento prudente e riflessivo, vogliamo osservare
quali aiuti possiamo trarre dalla loro consultazione. Con
l’atteggiamento or ora suggerito possiamo commentare
un passaggio molto importante di Biagio Rossetti (detto
Rossetto), nel quale il teorico veronese definisce con
quattro aggettivi quali siano i parametri timbrici che
costituiscono l’ideale di una bella voce del suo tempo:
«Perfecta vox est alta, suavis, fortis et clara. Alta ut in
sublime sufficiat, clara ut aures impleat, fortis ne
trepidet, aut deficiat. Suavis, ut auditum non deterreat,
sed potius, ut aures demulceat et ad audiendum
[=audientium. Cfr. Is., E., III, 20] animos blandiendo ad se
alliciat et confortet. Si ex his aliquid defuerit, vox
perfecta (ut dicit Ysidorus) nequiquam erit».6
Alta. Come ben sappiamo la particolare conformazione
del coro rinascimentale, legata all’impossibilità per le
donne di entrare in cantoria, imponeva l’utilizzo delle
voci maschili e/o di fanciullo anche nelle parti superiori.
Per questo motivo l’impianto intonativo non poteva
superare all’acuto certi limiti della tessitura. Il risultato è
che quando adesso un coro moderno – che affida alle
donne le due parti superiori – esegue un brano del
periodo rinascimentale, lo intona una terza o una quarta
sopra rispetto alla prassi di cinquecento anni fa. Per
meglio figurare la situazione, nel nostro caso dovremmo
dire che un coro rinascimentale intonava i brani una
quarta sotto rispetto a quanto facciamo adesso.
Il concetto di voce alta assume quindi una connotazione
notevolmente diversa rispetto a quella alla quale
facciamo comunemente riferimento.
Non solo. L’assenza della tecnica del passaggio di
registro impediva di fatto che avvenisse una
trasformazione timbrica all’interno delle sezioni,
limitando l’emissione entro la propria tessitura
caratterizzante: le voci gravi al grave e quelle acute
all’acuto, con risonanza sempre di petto le une, sempre
dossIER
di testa-falsetto le altre.7 Nel coro moderno,
invece, quando le voci sono chiamate a
emettere i suoni collocati nella regione acuta
della loro tessitura, essi sembrano comparire da
una nuova sezione aggiunta alla compagine
corale, essendo così diversi il timbro e il colore
rispetto all’emissione delle note centrali, che
appaiono di tutt’altra generica natura sonora.
Altra questione, questa volta di ordine
strettamente fisico-acustico. Come possiamo
mettere in relazione l’aggettivo alta con la
settima regola suggerita da Camillo Maffei di
tenere «la bocca aperta e giusta, non più di
quello che si tiene quando si ragiona con gli
amici»?8 Apparentemente scollegata dalle nostre
riflessioni, questa affermazione si rivela invece
quanto mai pregnante se collocata in seno alla
legge di Helmholtz,9 che mette in relazione la
frequenza dei suoni con le casse di risonanza e
la sezione della loro apertura. Non ci interessa
di calcolare i reali valori numerici; ci basterà
osservare le relazioni tra i fattori. Per questo
motivo possiamo semplificare notevolmente
l’equazione matematica, privandola della radice
quadrata e delle costanti,10 e definire la
frequenza f dei suoni con l’equazione f = s/v,
avente al numeratore la sezione del risonatore e
al denominatore il suo volume interno.
Considerando il caso della voce umana e
attribuendole di conseguenza i parametri
confacenti, dovremo considerare
schematicamente il volume v dei risonatori
7
Note
1. Sandro Cappelletto, La voce perduta. Vita di Farinelli, evirato cantore, Torino, edt,
1995.
2. Dobbiamo ancora attendere per definirlo tale, per questo l’aggettivo figura in
corsivo. Appare comunque più ragionevole parlare di “tentativo di avvicinarsi il più
possibile a esso”, piuttosto che di ricostruzione vera e propria.
3. Le due tecniche non sono separabili. Le orchestre si ingigantirono, e gli archi
passarono definitivamente dal suono vellutato delle morbide corde di budello a quello
potente delle corde di metallo. Il ponticello fu costretto a sopportare pressioni molto
maggiori, e questo obbligava i liutai a rinforzare l’intera struttura dello strumento, a
discapito della leggerezza del suono e del suo colore. Nel frattempo anche il suono
degli ottoni conosceva notevoli incrementi, ma soprattutto un maggiore utilizzo nelle
partiture a causa delle migliorie ottenute attraverso l’adozione dei cilindri e
soprattutto dei pistoni. Lo stesso avvenne ai legni con l’introduzione di un numero
maggiore di chiavi. Tutto questo non ha cambiato solo il suono degli strumenti, come
si può ben immaginare: la necessità imprescindibile dell’equilibrio tra le voci e gli
strumenti ha fatto il resto.
4. Gioseffo Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, Venezia, s.n., 1558, terza parte, cap. 45,
p. 204 (ristampa anastatica New York, Broude Brothers, 1965 (Monuments of Music
and Music Literature in Facsimile. Second Series: Music Literature; 1)).
5. I primi bagliori del passaggio di registro e della copertura dei suoni risalgono al
XVIII secolo, ma l’episodio più evidente sembra essere il cosiddetto Do di petto
adottato dal tenore Gilbert Duprez nella parte di Arnold del Guglielmo Tell di Rossini.
Non è tanto l’episodio in sé, quanto lo scalpore che sappiamo aver suscitato quel
suono quando esplose e divampò in un mondo ancora acconcio alle volate degli
evirati cantori e ai suoni in falsetto degli uomini. Il famigerato do4 è un suono che
può tranquillamente essere emesso in falsetto da qualunque cantore maschio di
qualsiasi coro amatoriale. In questo caso non suscita certo la stessa ammirazione di
popolo come quando è emesso in voce piena, e assume i contorni di uno straripante
e poderoso Do di petto.
6. Biagio Rossetti, Libellus de rudimentis musices, Verona, Stefano Nicolini di Sabio e
fratelli, 1529, [4]: «La voce perfetta è alta, soave, forte e chiara; alta perché sia
sufficiente all’acuto, chiara per riempire le orecchie, forte perché non tremi né manchi,
soave perché non spaventi l’udito, ma piuttosto perché accarezzi le orecchie, e con il
blandire gli animi degli ascoltatori li attragga a sé e li conforti. Se manca qualcuno di
questi elementi la voce non potrà essere in alcun modo perfetta, come afferma Isidoro».
Si fa notare che in Pietro A aron, Thoscanello in musica [...] nuovamente stampato con
l’aggiunta da lui fatta et con diligentia corretto, Venezia, Bernardino e Matteo de
Vitali, 1529, Libro I, cap. V, p. Bii, è presente un passo dal contenuto pressoché
identico: «Voce perfetta, alta, suave e chiara: alta accio che in soblime sia sofficiente;
suave accio che gli animi degli audienti accarezzi; chiara accio che empia gli orecchi.
Se di queste alcun mancherà, non sarà detta perfetta voce». In verità la paternità del
passo, come accenna Rossetti, deve essere attribuita a Isidoro di Siviglia (560-636):
«Perfecta autem vox est alta, suavis et clara: alta, ut in sublime sufficiat; clara, ut
aures adimpleat; suavis, ut animos audientium blandiat. Si ex his aliquid defuerit, vox
perfecta non est.» (Cfr. Isidoro, Etymologiarum sive originum libri, Libro III, cap. 20).
Si noterà come la versione di Aaron sia perfettamente speculare all’originale di Isidoro,
mentre quella di Rossetti appare più elaborata, e con l’aggiunta dell’aggettivo forte.
7. Si voglia comprendere l’adozione di questa limitativa e per certi versi inesatta
catalogazione semplicistica delle voci antiche. Sarebbe opportuna una loro
collocazione più pertinente rispetto alle risonanze, ma ciò occuperebbe uno spazio
notevole all’interno di questo scritto, e questo non rende possibile una congrua
trattazione dell’argomento in questa occasione.
8. Giovanni Camillo Maffei, Delle lettere del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri
due […], Napoli, Raymundo Amato, 1562, p. 34. Il suggerimento che Maffei dà ai
cantori perché mantengano la bocca socchiusa – che egli definisce categoricamente
come una regola – sembra isolato, ma la quasi totalità dei trattatisti si dimostra
notoriamente unita e compatta nel criticare la posizione troppo aperta della bocca. In
questo senso possiamo affermare che tutti concordano, Maffei direttamente e tutti gli
altri indirettamente, sull’opportunità di cantare senza aprire troppo la bocca.
9. Fisiologo e fisico tedesco vissuto tra il 1821 e il 1894, che ha scritto un interessante
trattato sulla fisiologia della musica: Hermann von Helmholtz, Die Lehre von den
Tonem-pfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik,
Braunnschweig, Vieweg, 1863.
10. Per completezza riportiamo integralmente la legge: fHz = v×s / 2π√U×√u, dove
v = velocità del suono; s = sezione del sonatore; 2π = 6,28; U = volume del
8
rinforzar la voce quando bisogna…».16 Particolarmente
interessante è la risposta dell’altro protagonista del dialogo,
che afferma «A’ questo modo non ve ne piacerebbe alcuno»,17
sentenziando che nessun cantore è esente da almeno una
delle colpe; oppure che il suo interlocutore è troppo
perfezionista, e che bisogna accontentarsi… Possiamo
immaginare che qualunque soavità dovesse ragionevolmente
essere disturbata dalle inesattezze, le mancanze e gli
errori-orrori dei cantori.
come costituito – in ordine decrescente – dalla cassa toracica,
la cavità buccale e i seni presenti nella zona della cosiddetta
maschera.11 Considereremo invece la sezione s come
l’apertura che mette in comunicazione il risonatore con
l’ambiente esterno, cioè la bocca. Ne deriva che, per ottenere
le frequenze alte dei suoni acuti, il fattore posto al
numeratore (sezione = bocca) deve essere grande, mentre
quello al denominatore (volume delle cavità di risonanza)
deve essere piccolo.12 A questo punto, fatte salve le doverose
caratterizzazioni timbriche ed espressive della vocalità
rinascimentale, possiamo affermare che la citata postura del
cantore dell’epoca, descritto a «bocca aperta e giusta, non
più di quello che si tiene quando si ragiona con gli amici»
avrà impedito l’emissione di suoni più acuti di
quelli che sono possibili nella tessitura media
o al massimo medio-alta. Concludiamo
ammettendo che la nostra concezione di voce
alta ci può portare in un’altra direzione
rispetto alla realtà del Rinascimento.
Forte. Per quanto riguarda la musica profana sappiamo come
fosse eseguita da pochissimi cantori e che, come diceva il già
citato Zarlino, «nelle Camere si canta con voce più sommessa,
e soave, senza fare alcun strepito».18 Di contro le cappelle
musicali erano formate da poco più di una decina di persone
il cui suono, evidentemente, era destinato a diluirsi e a
perdersi all’interno delle grandi basiliche. Per quanto riguarda
ancora la musica sacra occorre sottolineare che lo spessore
sonoro delle voci era anche attenuato dal fatto che le
cappelle cantavano rivolte verso l’altare, conformi a un
impianto teologico della liturgia fortemente teocentrico. Il
fulcro dell’azione sacra era l’altare e lì, oltretutto, troneggiava
chi sosteneva e pagava la cappella musicale. Come si nota
nella numerosa iconografia musicale che ci è pervenuta, i
cantori voltavano le spalle all’assemblea-pubblico e il loro
suono si concentrava nel presbiterio. Bisognerà attendere la
nascita della policoralità per vedere riconosciuta la valenza
percettiva dell’assemblea come elemento fruente e attrattivo
Costituisce una necessità
ineluttabile continuare a
perseguire la strada della ricerca.
Soave. Dobbiamo subito domandarci quanto
lo saranno state le voci dei bassi (bassus) e
dei baritoni (tenor), che immaginiamo dotate di una struttura
intensa e risolutiva, qualora intonate una quarta al grave
rispetto alle omologhe sezioni di un coro moderno. Uno
sguardo alle frequentissime critiche dei teorici e alle loro
aspre condanne nei confronti del suono dei cantori ci aiuterà
a capire meglio la situazione e a immaginare che l’ideale della
voce soave era in molti casi ben lungi dall’essere raggiunto.
Le voci mostravano numerosi difetti il cui elenco, lungo e
vario, è facilmente riscontrabile quasi in ogni trattato antico.
Si va dai suoni nasali a quelli emessi «con impeto et furore a
guisa di bestia», 13 dai «suoni rauchi, simili a quelli di un
calabrone chiuso in una borsa di cuoio»14 alle «grida
barbariche»,15 fino a quelli emessi con intonazione imprecisa.
Secondo quanto afferma Luigi Dentice per bocca di uno dei
due personaggi dei suoi Duo dialoghi della musica, certi
Paolo Soardo e Giovanni Antonio Serone, «tutti errano in
qualche cosa, o nella intonazione, o nella pronuntiatione, o
nel sonare, o nel fare passaggi, ovvero nel rimettere e
per gli esecutori. Anche in questo caso, però, si può ben
immaginare quale potesse essere stato l’impatto sonoro di un
esiguo gruppo di cantori innalzato su un piccolo palco
all’interno di una grande basilica,19 o magari fatto salire fino
all’altissima balaustra della lanterna della cupola di San Pietro
a Roma.20
Inoltre la voce emessa in falsetto dai cantori rinascimentali,
per sua caratteristica fisiologica, si alimenta solo attraverso
una vibrazione parziale delle corde vocali, le quali entrano in
movimento o solo sul bordo esterno, senza
compartecipazione dell’intero conus elasticus, oppure soltanto
con la porzione longitudinale anteriore. In entrambi i casi lo
spessore sonoro, soprattutto per quanto riguarda i suoni
centrali della tessitura, sarà molto minore rispetto a quello
ottenuto attraverso la vibrazione completa delle corde, ciò
che regolarmente avveniva nell’emissione dei suoni da parte
del bassus e del tenor. Ne consegue inoltre che all’interno
dell’impianto fonico generale il suono della voce in falsetto
dossIER
non soltanto sarà stato poco presente, ma a
esso si saranno dovuti conformare gli altri
cantori per far sentire le diverse linee
polifoniche, regolando e bilanciando i livelli
sonori. Tale ricerca di equilibrio appariva tra le
necessità e i doveri più importanti che
spettavano ai cantori, attribuiti loro dai teorici
del tempo. Per lo stesso motivo, infine, le
raffinatissime capacità improvvisative dei
cantori e i loro ricercati abbellimenti non
avranno certo dovuto subire l’opposizione del
corpo sonoro delle altre voci, che si saranno
assottigliate e alleggerite per lasciare spazio
alle loro preziose e apprezzate evoluzioni.
Chiara. Su questo non sembrano esistere troppi
dubbi. L’ipotesi che il suono rinascimentale
fosse tendenzialmente chiaro è confortata da
alcune situazioni di natura acustica e fisiologica,
che vogliamo analizzare.
La prassi di cantare davanti al librone obbligava
i cantori a mantenere la fronte alzata, con il collo
alquanto piegato e tirato verso l’alto, come ci
mostrano le numerose stampe che raffigurano le
antiche cappelle durante una esecuzione. In
questa posizione l’osso ioide, 21 e in particolare il
muscolo tiro-ioideo che lo collega alla laringe,
impongono a quest’ultima una posizione alta,
con il risultato di ridurre la distanza della
sorgente del suono dal risonatore buccale.
La conseguenza immediata è l’emissione di un
suono piuttosto chiaro, che non ha nessuna
9
risonatore; u = volume del beccuccio del risonatore. Come si vedrà sono state
omesse le costanti v, 2π, le radici quadrate (che ai fini dei calcoli effettivi andranno
invece ovviamente considerate) e unificati i due fattori ‘U’ e ‘u’ in un unico valore v.
11. Si tratta di otto piccole cavità sopra-palatali: i due seni frontali, due mascellari,
due sfenoidali e due etmoidali. Svolgono due sole funzioni legate alla fonazione:
quella di riscaldare-umidificare l’aria e quella di permettere l’emissione dei suoni
acuti. L’attribuzione di altri ruoli quali la coibentazione della scatola cranica e
l’ammortizzazione del cervello non appaiono sufficientemente giustificabili.
12. Questa seconda condizione è assicurata dall’abbassamento del velo del palato,
conseguente all’avanzamento-innalzamento della lingua dovuto alla postura di
quest’ultima, che i cantori antichi tenevano a contatto con gli alveoli dell’arcata
dentaria inferiore (cfr. il paragrafo contenente la nota 23).
13. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204.
14. Hermann Finck, Practica musica, Wittembreg, G. Rhau Erben 1556, p. Ss iij, (ristampa
anastatica Bologna, Forni, 1969).
15. Ibidem.
16. Luigi Dentice, Duo dialoghi della musica […], Roma, Vincenzo Lucrino, 1553, dialogo
secondo, p. [2] (ristampa anastatica a cura di Patrizio Barbieri, Lucca, Libreria
Musicale Italiana, 1988 (Musurgiana; 3)).
17. Ibidem.
18. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204.
19. Si può inoltre immaginare come in questi grandi luoghi non riscaldati la presenza
di un pubblico numeroso potesse creare una corrente aerea ascensionale e che
questa contribuisse a disperdere il suono verso l’alto.
20. Wolfgang Witzenmann, Otto tesi per la policoralità, in La policoralità in Italia nei
secoli XVI e XVII. Testi della giornata internazionale di studi, Messina 27 dicembre
1980, a cura di Giuseppe Donato, Roma, Torre d’Orfeo, 1987 (Miscellanea
musicologica; 3), p. 8; cfr. anche Arnaldo Morelli, “La vista dell’apparato superbo,
l’udito della musica eccellente a più cori”. Spazio chiesastico e dimensione sonora, in
Roma barocca. Bernini, Borromini, Pietro da Cortona, a cura di Marcello Fagiolo e
Paolo Portoghesi, Milano, Electa, 2006, pp. 294-301.
21. Si tratta di un piccolo ma importantissimo legamento osseo a forma di ‘U’, che
sovrasta la laringe attraverso la connessione con la membrana tiro-ioidea e si innesta
all’interno della base della lingua.
22. Si potrebbe ottenere un certo scurimento utilizzando l’arretramento della parete
oro-faringea, ma il suono si colorerebbe inesorabilmente di una inopportuna
componente gutturale.
23. Giovanni Camillo Maffei, Delle lettere del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, cit., p. 34.
24. Alcuni procedimenti di natura logopedica, volti a migliorare l’emissione gutturale
e spostare in avanti le risonanze eventualmente retroflesse, prevedono l’adozione di
particolari esercizi nei quali il paziente deve seguire con la punta della lingua gli
spostamenti di una matita mossa dall’operatore. Questi, compiendo dei movimenti su
un piano perpendicolare posto fuori dalle labbra del paziente, lo aiuta a estroflettere
la lingua, abituandolo a accendere le risonanze lontane dalla cavità retro-faringea,
che altrimenti sono la causa dei suoni gutturali, e anche di quelli che non risultano
sufficientemente proiettati verso l’esterno.
25. Zarlino, Le Istitutioni harmoniche, cit., terza parte, cap. 45, p. 204. Maiuscole e
arcaismi conformi all’originale; la punteggiatura è stata attualizzata. Corsivo aggiunto
dall’estensore.
26. Ricordiamo come anche Vincenzo Galilei, dovendo argomentare intorno ai
madrigalismi usati dai compositori per sottolineare alcune durezze espresse nel testo,
come Zarlino ricorra proprio allo stesso titolo del madrigale: «[…] i nostri prattici
Contrapuntisti […] Aspro core e selvaggio, e cruda voglia […] haveranno fatto tra le
parti nel cantarlo di molte settime, quarte, seconde e seste maggiori; e cagionato con
questi mezzi negli orecchi degli ascoltatori un suono rozzo, aspro e poco grato».
Cfr. Vincenzo Galilei, Dialogo […] della musica antica e della moderna, Firenze, Giorgio
Marescotti, 1581, p. 88. Nel caso specifico di Zarlino, tuttavia, non sembra sufficiente
immaginare che la sostituzione delle vocali con la A possa essere stata usata dai
cantori solo con lo scopo di sottolineare il significato stridente del testo. Seppure in
questo caso perfettamente plausibile, tale pratica infatti, come vedremo più avanti,
era spesso applicata anche ai testi sacri senza nessun intento trasfigurativo sulle
parole, ma puramente per esigenze fonico-timbriche.
27. Un interrogativo provocatorio: la prassi vocale del Rinascimento non avrà per caso
prediletto i suoni chiari semplicemente perché gli antichi erano particolarmente
assuefatti a questo colore, obbligati dall’uso vincolante e consolidato del librone? E questa predilezione può essersi spinta fino a voler perseguire la tendenza estetica
10
possibilità di arrotondarsi e di scurirsi.22 Inoltre l’impossibilità
di utilizzare verso il basso l’elasticità motoria del muscolo
crico-tiroideo (poiché tirato in direzione opposta per
l’allungamento del collo), che diversamente avrebbe potuto far
ottenere un allungamento delle corde vocali, impedisce di fatto
qualunque eventuale ipotetico meccanismo di copertura dei
suoni, lasciandoli definitivamente di colore chiaro.
Può essere molto interessante in questo senso occuparsi del
suggerimento fornito da Giovanni Camillo Maffei a proposito
della posizione della lingua. Nella sua sesta regola egli
afferma che essa deve essere mantenuta distesa e in avanti
«in modo che la punta arrivi e tocchi le radici dei denti di
sotto».23 Tale posizione risulta perfettamente in linea con la
prassi vocale del Rinascimento che, come abbiamo visto, non
prevedeva nessun meccanismo di copertura dei suoni, e
persegue coerentemente lo stesso obiettivo del paragrafo
precedente. Quello di mantenere la lingua distesa fino a
toccare gli alveoli dell’arcata dentale inferiore è
infatti un consiglio che si dà ai cantori moderni
nel caso in cui li si voglia aiutare a ottenere
velocemente un timbro più chiaro, senza
correre il rischio di schiacciare i suoni. Per
maggiorare l’effetto correttivo si può anche far
precedere i suoni dalla consonante L se si
tratta di un vocalizzo, oppure sostituire la L a
tutte le consonanti del brano. In questo caso si
costringe la lingua a toccare gli alveoli dell’arcata superiore,
causandole un ulteriore allungamento: l’effetto schiarente è
straordinariamente apprezzabile.24
Un’altra interessante considerazione da fare è legata ancora
una volta ad alcune importanti raccomandazioni che i teorici
rivolgevano ai cantori. Si trattava di veri e aspri rimproveri,
ma noi possiamo trarne interessanti motivi di riflessione.
Ripetutamente si legge la ferma condanna dell’abitudine di
cambiare le vocali, sostituendo quelle chiare a quelle scure.
Citiamo a titolo esemplificativo un passo di Zarlino che
riguarda espressamente questo argomento, ma gli esempi
simili nella trattatistica coeva sono molto numerosi, e tutti
esprimono coerentemente lo stesso concetto: «[…] Ma sopra il
tutto (acciocche le parole della cantilena siano intese)
debbono guardarsi da uno errore che si ritrova appresso
molti, cioè di non mutar le Lettere vocali delle parole come
sarebbe dire, proferire A in luogo di E, ne I in luogo di O,
overo U in luogo di una delle nominate: Ma debbono
proferirle secondo la loro vera pronuntia. […] udimo alle volte
alcuni sgridacchiare (non dirò cantare) con voci molto
sgarbate, e co atti e modi tanto contraffatti che veramente
parino Simie, alcuna canzone, e dire come sarebbe Aspra
cara, e salvaggia e croda vaglia, quando doverebbero dire:
Aspro core, e selvaggio, e cruda voglia: chi non riderebbe?
anzi (per dir meglio) chi non andrebbe in colera udendo una
cosa così contraffatta, tanto brutta, e tanto horrida?»25
Nonostante la gravità della cattiva prassi, che Zarlino
definisce «contraffatta, brutta e horrida», i cantori preferivano
continuare ostinatamente a prendersi queste critiche feroci
piuttosto che abbandonare il vizio di cambiare le vocali scure
e rotonde con quelle chiare, in particolare con la A, che di
tutte è la più chiara.26 Evidentemente possiamo concludere
che, più che di un vezzo o di una moda diffusa, doveva
trattarsi di una necessità di tipo fisiologico-fonatorio legata ai
fattori di cui abbiamo appena parlato. Il bisogno di cantare
con timbro chiaro doveva essere così irrinunciabile per i
cantori da rendere loro inevitabile il subire simili umilianti
condanne; ma soprattutto da portarli al punto di tradire le
parole e il significato dei testi che proferivano (e sappiamo
bene quanto la Retorica, la Dialettica e l’ars oratoria in genere
fossero preziosamente legate all’arte musicale polifonica).27
Vista la particolare citazione madrigalistica usata da Zarlino
per il suo esempio, si potrebbe pensare che tutto questo
potesse avvenire solo nell’ambiente musicale profano, dove
sarebbe ragionevole immaginare una maggiore libertà
espressiva e di comportamento. Invece ciò che già dal 1474
L’epoca rinascimentale poteva
contare su una coesa univocità.
esplicitamente si poteva leggere in un interessante trattato di
Conrad von Zabern vanifica questo consolante pensiero.28
Egli afferma di aver sentito alcuni cantare «Dominos
vabiscum, aremus», poi commenta schernendosi
dell’immagine di arare i campi.29 Aggiunge nello stesso passo
che da Francoforte a Coblenza e da lì fino a Treviri ha udito
spessissimo la stessa cosa, soprattutto dagli scolari. Questo
significa che l’abitudine di falsificare i suoni schiarendoli è
ben radicata dal secolo prima, e non sembra nemmeno
confinata entro il territorio italiano.
Forse può essere interessante notare come le cose non siano
affatto cambiate nel corso dei secoli. Dopo il passaggio
storico del Romanticismo alcuni cantanti d’opera non esitano
tuttora a trasformare le vocali, scurendole notevolmente
attraverso l’attivazione di un processo accentuato di
copertura dei suoni. Ciò si è reso necessario per ottenere un
particolare incremento energetico della risonanza di alcuni
suoni armonici, che si attesta intorno ai 2500 Hertz, ed è
detto formante. Con ciò al cantante diventa immediatamente
possibile superare il muro dell’orchestra e arrivare al pubblico,
da solo contro 80-120 professori d’orchestra.30 La situazione,
come si sa, è spinta così avanti fino a rendere incomprensibile
il testo. Adesso come allora, e di nuovo in nome della tecnica
vocale e per causa sua.
La configurazione sonora del coro rinascimentale anch’essa
contribuisce a confermare la tendenza di perseguire l’ideale
di chiarezza del suono da parte dei nostri predecessori. Se
infatti da una parte abbiamo detto che il coro antico intonava
i brani molto più al grave rispetto all’attuale coro moderno,
dossIER
dall’altra dobbiamo rilevare che lo sviluppo timbrico delle voci del coro
rinascimentale si muoveva senza interruzione dal grave all’acuto attraverso un
incremento timbrico costante, caratterizzato proprio da una sempre maggiore
chiarezza. Dal colore scuro del bassus fino a quello chiaro del cantus, il coro antico
mostrava chiaramente quale fosse la sua tendenza verso il timbro chiaro. Il tenor
era una voce maschile di timbro baritonale,31 e sopra di essa, particolarmente
caratterizzante in questo senso, la voce dell’altus proseguiva la tendenza verso il
chiaro. Essa era affidata non alle voci scure del contralto moderno, ma a quelle
chiare e squillanti dei falsettisti e delle voci acute.32 La linea del cantus,
ovviamente, completava l’ascesa timbrica, affidata ai bambini, ai falsettisti acuti
oppure ai castrati.
Questo particolare avanzamento timbrico verso il chiaro è invece completamente
distrutto dalla disposizione fonica del coro moderno. Come accennato, la presenza
delle voci scure dei contralti successive al timbro chiaro dei moderni tenori
rappresenta una inevitabile inversione di colore. Esso assume un andamento
instabile, passando dal suono scuro dei bassi a quello chiaro dei tenori, per
tornare scuro con l’arrivo dei contralti prima di schiarirsi di nuovo con i soprani.
Il compositore rinascimentale aveva
bene in mente quale fosse il suono
delle voci del suo tempo.
È il timbro rotondo e avvolgente dei contralti a essere il maggior responsabile (nel
bene e nel male) del suono di un coro moderno. Ottimo e imprescindibile
eseguendo musica moderna e contemporanea, meno opportuno per il periodo
rinascimentale. È ben noto come l’esecuzione di un mottetto in formazione antica
sia in grado di suscitare sensazioni di brillantezza e di lucidità timbrica
notevolmente maggiori rispetto a una sua realizzazione in formazione moderna.
E questo nonostante quest’ultima abbia potuto intonare il brano anche una quarta
sopra rispetto alla formazione in coro antico.
11
verso il chiaro a tal punto da creare il
desiderio della figura dell’evirato
cantore, che può essere considerato
come l’estremizzazione assoluta di
questa tendenza all’acuto?
28. Conrad Von Zabern, De modo bene
cantandi choralem cantum in
multitudine personarum, Mainz, Peter
Schöffer, 1474, p. 61.
29. Ibidem: «[…] ita ut audiverim
aliquos cantantes: dominus vabiscum,
aremus, ut ego dicerem ad mihi
proximiores: Absit a nobis arare. Et
revera a Francofordia usque ad
Confluentiam et ab inde usque ad
Treverim notavi hoc praecipue in
scolaribus saepissime».
30. Ciò è divenuto necessario con
l’aumento del fronte sonoro legato
all’avvento dell’orchestra romantica,
come già detto.
31. Anticamente il tenor manteneva la
melodia gregoriana al cantus firmus; di
qui l’opportunità di affidarlo a una voce
dalla tessitura centrale, in modo tale
che la sua riproduzione non si
allontanasse dai canoni estetici e
timbrico-vocali caratteristici delle
melodie gregoriane.
32. L’etimologia della parola parla
chiaro. Si trattava di una voce alta,
acuta, derivata dall’uso arcaico di
contrappuntare la melodia del cantus
firmus affidata al tenor con una
seconda melodia originale: il
contratenor altus (se posto sopra al
tenor) e il contratenor bassus (se posto
sotto al tenor). Da qui probabilmente
derivano i nomi odierni.
33. Ipotizziamo una dissonanza
distribuita tra i tenori e i contralti: i primi
impegnati nell’emissione acuta del sol3
(suono reale), e i secondi comodamente
distesi sul fa3 prima di risolvere l’urto
scendendo al mi4. In questo caso la
diversità timbrica affievolisce
notevolmente la portata della dissonanza.
La stessa situazione affidata alla coppia
tenor-altus del coro antico avrebbe sortito
un effetto molto più efficace.
34. D’altra parte siamo ben certi che
tali geni della composizione avrebbero
saputo partorire altrettanti capolavori
se avessero avuto a disposizione il
nostro coro moderno.
35. Ne sono testimonianza le
dimensioni delle tombe, l’altezza delle
porte dei palazzi del Cinquecento, la
grandezza delle armature, le descrizioni
e le testimonianze dei contemporanei…
36. Si può ritenere che l’aumento
dell’altezza possa avere avuto una
qualche ripercussione anche sulla
pressione sanguigna e quindi sulla
frequenza cardiaca. Tant’è che il valore
di 60 battiti al minuto del polso umano,
identificato nei trattati antichi come la
12
A proposito della conformazione del coro antico sembra utile
riflettere su un aspetto che potrebbe rivelarsi significativo.
Probabilmente può esserci qualcosa di più rispetto alle
problematiche legate alla questione parallela se sia
opportuno eseguire la musica antica con i moderni strumenti
oppure no. Il compositore rinascimentale ha infatti adottato
certe soluzioni compositive, o ha preferito certe figurazioni
contrappuntistiche rispetto ad altre, perché aveva
bene in mente quale fosse il suono delle voci del
suo tempo, e soprattutto quale sarebbe stato
l’effetto fonico che esse avrebbero sortito in
quella particolare situazione. Sappiamo che la
resa sonora di una dissonanza di tipo armonico è
tanto più efficace quanto più è affine il timbro
delle parti alle quali essa è affidata. Partendo da
questo presupposto, ad esempio, sarebbe
interessante affrontare un lavoro di tipo statistico
e verificare quante volte il compositore rinascimentale abbia
voluto affidare le dissonanze, i ritardi e gli urti armonici al
tenor insieme all’altus, e quante altre invece li avrà voluti
distribuire tra tenor e cantus. In altre parole ci si può
interrogare su quali siano le due sezioni del coro antico sulle
quali sia caduta la maggiore quantità di dissonanze di tipo
armonico, per tentare di dedurre che il loro timbro doveva
presumibilmente risultare piuttosto simile. In particolare sarà
interessante verificare il risultato nelle due situazioni
ipotizzate: a rigore di logica dovrebbe essere la combinazione
tenor-altus ad assicurarsi il maggior numero di occasioni
dissonanti, piuttosto che quella tenor-cantus, che appare più
funzionale nel caso di un coro moderno. Come abbiamo
accennato in precedenza, la particolare configurazione
timbrica del coro antico determinava una interessante
assonanza di colore tra il tenor e l’altus. Le ricordiamo
entrambe affidate a voci maschili, l’una contigua all’altra
rispetto al timbro, la seconda costituita come uno sviluppo
all’acuto dell’altra. Sotto questo aspetto esse appaiono
completamente diverse dalla coppia tenore-contralto
dell’attuale coro moderno, nel quale rappresentano due
universi timbrici estremamente lontani l’uno dall’altro: una
dissonanza tra di loro non avrebbe nessun effetto
apprezzabile. 33 Possiamo anche supporre che la coppia
altus-cantus possa aver dato risultati discutibili sul piano della
resa delle dissonanze e anche su quello dell’amalgama, nel
caso in cui volessimo ipotizzare una aggregazione tra un
castrato contralto e di un bambino soprano, a causa della
potenza di suono del primo rispetto a quella del secondo.
È chiaro che possiamo andare avanti quanto si vuole ad
analizzare le molteplici possibilità di intreccio polifonicotimbrico che si offrivano alla penna dell’antico compositore,
ma non è questo il nostro intendimento. Piuttosto, in
conseguenza di queste premesse, vogliamo ipotizzare una
conclusione: l’utilizzazione di voci moderne con un timbro
diverso da quello del Rinascimento può falsare l’intera
costruzione dell’opera musicale, perché mina alla base la
costruzione contrappuntistica, il movimento delle parti, la
distribuzione delle dissonanze, l’entrata delle sezioni,
insomma, l’intero costrutto compositivo. In altre parole
possiamo ragionevolmente chiederci: se Giovanni Pierluigi da
Palestrina avesse avuto a disposizione il quadro fonico che
sprigiona da un moderno coro a voci miste, le sue scelte
contrappuntistiche all’atto della creazione dei suoi tanti
capolavori sarebbero state diverse? Avremmo adesso un’altra
Sarà mai possibile ottenere una
ricostruzione del suono di un coro
del Rinascimento?
Missa Papae Marcelli molto diversa da quella che è giunta
fino a noi? Dobbiamo ammettere di sì,e possiamo
(scherzosamente) dire che abbiamo corso il rischio di perdere
tanti capolavori…34
Ma c’è il rovescio della medaglia. Per sentire l’effetto reale
che il compositore aveva cercato utilizzando i suoni delle voci
del Rinascimento, dovremmo usare le stesse voci del
Cinquecento?
Al di là delle menzionate distorsioni e delle (umane)
esagerazioni dei cantori rinascimentali, e sopravanzando il
quesito se si possa sostituire la voce perduta dell’evirato
cantore con quella dei falsettisti e degli attuali controtenori,
dal punto di vista strettamente vocale dobbiamo forse
ritenere che la distanza tra le esecuzioni moderne e quelle
autentiche rinascimentali dovrebbe essere notevole a causa di
dossIER
alcune trasformazioni fisiologiche, intervenute ad alterare i parametri vocali durante i
cinque secoli che ci separano dal Rinascimento.
È ragionevole supporre che l’altezza media dell’uomo moderno, aumentata di così
tanto rispetto a quella di un uomo del Rinascimento,35 possa avere avuto
conseguenze non trascurabili sul timbro della voce. Le corde vocali si sono
evidentemente anch’esse allungate a causa della maggiore incidenza dell’ipofisi – e
soprattutto degli ormoni da essa comandati – sulle ossa e sulle cartilagini laringee
che ne determinano le dimensioni. Di conseguenza si può immaginare che il timbro
possa avere subìto un certo scurimento, collegato a un abbassamento della
frequenza media dei suoni.36
Per non parlare delle voci dei pueri. Al contrario di quelli rinascimentali, i nostri
bambini sono involontariamente sottoposti a un bombardamento ormonale causato
dall’ingestione di cibi particolarmente ricchi di tali sostanze. Questo fatto incide
profondamente sullo sviluppo scheletrico oltre che su quello linfatico-metabolico.
Siamo infatti a conoscenza di un processo di trasformazione delle voci umane, le
quali sembrano subire una sorta di crescente mascolinizzazione delle frequenze e
dei timbri, per cui possiamo affermare che il suono cristallino delle voci bianche del
Rinascimento possa essersi trasformato attualmente in qualcosa di diverso. Le voci
dei bambini adesso sono infatti alquanto corpose e di una pasta piuttosto lanosa,
avendo perso la consistenza brillante, leggera e setosa che caratterizzava le loro voci
anche solo pochi decenni fa. Oltretutto la muta sessuo-vocale interviene molto in
anticipo rispetto alla norma, e il periodo efficiente di attività della voce bianca si è
molto contratto, rendendo poco fruttuosa tutta la gran massa di sforzi che occorre
fare per portare a efficace maturazione l’emissione di un bambino.
Abbiamo velocemente accennato alla possibilità di sostituire i castrati con le voci dei
falsettisti. Non vogliamo liquidare la complicata questione con pochi pensieri, ma
dobbiamo ammettere che la laringe di un castrato doveva essere completamente
diversa da quella di un falsettista, che nella maggioranza dei casi appartiene a un
baritono. A causa delle rivoluzionarie trasformazioni ormonali coincidenti con la
pubertà, che invece venivano quasi totalmente impedite 37 all’atto della castrazione,
la laringe di un cantore evirato si conservava di dimensioni ridotte, simile a quella di
un bambino in età prepuberale. Inoltre essa si manteneva a una distanza minore dal
risonatore buccale rispetto a quella di un cantore non castrato (anche solo a causa
13
tipica velocità del tactus, adesso
sembra essersi attestato sopra ai 70
battiti. Sarebbe interessante
interrogarsi sulla possibilità che questo
fatto possa avere avuto una sua
influenza anche sul timbro vocale: per
esempio collegandolo al probabile
maggiore afflusso di sangue alle corde
vocali, che potrà verosimilmente aver
causato una loro maggiore tonicità e
uno spessore maggiore.
37. Era di fatto impedita la produzione
del testosterone da parte dei testicoli,
ma una minima parte della sostanza
ormonale era comunque secreta dalle
ghiandole surrenali, che ovviamente
non venivano asportate.
38. Alcune delle leggende che
aleggiano intorno ai castrati, però,
possono essere in qualche modo
ridimensionate. I fiati di lunghezza
stupefacente di cui si sente a volte
parlare erano solo in parte causati dal
disequilibrio tra le corde vocali piccole
come quelle di un bambino e la gabbia
toracica grande come quella di un
uomo (ma più elastica, a causa della
mancata ossificazione delle cartilagini
che collegano le costole allo sterno).
Il resto era determinato dall’enorme
quantità di esercizi e di allenamenti
vocali ai quali un castrato si
sottoponeva per mantenersi ai livelli
artistici altissimi che gli erano richiesti.
Anche l’abilità nelle acrobazie vocali
può essere collegata con questo fatto.
Infine possono essere messi in
discussione pure l’intensa e licenziosa
vita amorosa, e il fascino che erano
loro attribuiti: lo squilibrio ormonale,
l’assenza di testosterone (ormone
preposto allo sviluppo generale
dell’organismo e al metabolismo delle
proteine) e la conseguente quasi totale
eliminazione della inibina dal loro corpo
(altro ormone preposto a equilibrare la
crescita attraverso l’opposizione alle
gonadotropine dell’ipofisi) dotavano i
castrati di un corpo alquanto
sproporzionato, dall’aspetto a pera
(disfunzioni ipofisariche), praticamente
glabro e sofferente di numerosi disturbi
linfatico-ormonali.
39. La loro voce asessuata doveva
proprio per questo essere
inconfondibile. L’ascolto della famosa
registrazione della voce di Alessandro
Moreschi, evirato cantore della
Cappella Sistina, avvenuta tra il 1902 e
il 1904, al di là delle inaccettabili
aberrazioni estetiche, mostra in alcuni
brevi episodi acuti (e solo in quella
tessitura) una pasta e un colore
particolarmente fascinosi, non
riconducibili a nessuno dei canoni
estetici esistenti.
14
del minore peso), cosa che
attribuiva al suo
proprietario un timbro
molto particolare, in grado
di mandare letteralmente
in visibilio il pubblico degli
ascoltatori.38 Le corde
vocali più corte e sottili di
quelle di un uomo
permettevano delle agilità
non solo di fraseggio ma
anche di suono vero e
proprio che ponevano i
castrati nell’Olimpo del
teatro musicale e non
solo. Il fatto sostanziale
era che le loro corde
vocali si muovevano in
tutta la loro lunghezza e
soprattutto in tutta la loro
larghezza, coinvolgendo
nella vibrazione anche l’intera mucosa del conus elasticus.
Sotto una spinta aerea notevolissima, sostenuta da una
capacità polmonare particolarmente rilevante a causa
dell’intenso allenamento vocale-muscolare, ma soprattutto
– proprio per questo – spinta da una elasticità diaframmatica
notevole, la voce doveva uscire piena,
lunga, penetrante, fascinosa,
inquietante.39
rumori esterni. Può farlo solo indurendo le sue fibre e
irrigidendo i suoi muscoli tensori per diminuire l’ampiezza
delle sue vibrazioni. Risultato: siamo dotati di una capacità
uditiva molto meno raffinata di quella dei nostri antichi
predecessori. E questo spiega il numero esorbitante di scale e
di accordature che esistevano nell’antichità, mentre noi siamo
in grado di apprezzarne e riconoscerne solo due: la scala
maggiore e quella minore. 42 Se poi siamo potuti diventare
così tanto connaturati e assenzienti con quell’insieme di suoni
stonati rappresentato dalla scala temperata vuol proprio dire
che la nostra sensibilità uditiva si è molto indebolita. Ma
allora come possiamo godere delle raffinatezze di cui si
nutriva la musica antica, anche solo dal punto di vista
dell’intonazione?43 E come possiamo cogliere tutta la
suadenza espressiva di un deuterus, senza limitarci a dire che
«serve a musicare i testi malinconici»?
Si tratta di un condizionamento molto grave se si pone a
confronto questa situazione musicale con quella pittorica,
come all’inizio di questo scritto.44 La limitazione di usare solo
i sette suoni della scala, senza poter adottare nessuna
sfumatura intonativa, è una cosa alla quale adesso siamo
perfettamente abituati dall’uso della nominata scala
temperata; anzi, ci sembrerebbe strano il contrario. Ma la
drammaticità della costrizione balzerebbe subito agli occhi se
pensassimo a un pittore che fosse obbligato a dipingere i
suoi quadri usando solo i sette colori puri dell’arcobaleno
La particolare configurazione
timbrica del coro antico determinava
un’interessante assonanza di colore
tra il tenor e l’altus.
Torniamo a leggere i trattati antichi, e ci
stancheremo di contare la gran quantità
di volte in cui il verbo offendere appare in
riferimento alla percezione (offendere
l’udito; recare offesa all’ascoltatore).
Cerchiamo di superare la facile occasione
di pensare a un semplice arcaismo, e
proviamo a chiederci se l’uso tanto
ripetuto di questo verbo dal significato così forte e specifico
non possa avere una giustificazione di natura puramente
percettiva. Pensiamo al nostro orecchio ed entriamo al suo
interno, osserviamo il timpano, i tre ossicini della staffa,
l’incudine e il martello (i più piccoli e delicati del nostro
corpo) che trasmettono le vibrazioni alla finestra ovale,
vediamo la preziosa coclea, l’organo del Corti… e riflettiamo
su un fatto molto significativo: il nostro organo dell’udito, così
importante da svilupparsi per primo durante la vita prenatale,
tra tutti gli organi dei sensi è l’unico privo della possibilità di
chiudersi per proteggersi dal mondo esterno. 40 Insomma non
ha le palpebre come l’occhio, e in caso di forte rumore non
può difendersi. Facciamo un altro passo in avanti, e
riconosciamo che il mondo in cui viviamo è estremamente
rumoroso, o almeno lo è assai di più di quello di cinquecento
anni fa.41 Possiamo dunque immaginare il nostro delicatissimo
timpano mentre cerca di preservarsi e proteggersi dai tanti
senza poterli miscelare, impedendogli quindi quelle
miracolose sfumature di cui si nutrono i capolavori della
pittura. 45 Nessun pittore, di nessuna epoca storica,
accetterebbe di sottostare a questo malvagio e penalizzante
condizionamento. Quindi, mentre da una parte abbiamo
Rossini, che è riuscito a scrivere i suoi capolavori usando
proprio e soltanto le sette note-colori (ci troviamo in piena
epoca temperata), dall’altra ci sono i compositori
rinascimentali, che invece hanno scritto tutte le loro opere
avendo davanti agli occhi-orecchi una tavolozza ricca di una
grandissima varietà di note-colori, ma che noi abbiamo
purtroppo completamente perduto. 46
La questione, quindi, non sembra dover rimanere circoscritta
intorno ad argomenti isolati, come il dibattito sulla presenza
delle donne contrapposta all’uso dei falsettisti, o la ricerca
dell’intonazione antica contrapposta a quella moderna
dossIER
temperata. Nel dibattito tra coro antico e
coro moderno, tra voci perdute e suoni da
riconquistare, vogliamo concludere con
un’ultima provocatoria riflessione.
Immaginiamo che una qualche radiazione
cosmica, o un fenomeno termico estremo, o
ancora una trasformazione dell’atmosfera
abbiano potuto alterare le cellule del legno e
indurito le sue fibre, rendendolo inutilizzabile
per la costruzione degli strumenti musicali.
Cosa faremmo allora di tutta la musica
strumentale? Abbandoneremo tutte le
orchestre, rimaste senza tutta la famiglia
degli archi, dei legni, senza le arpe; faremo
tacere tutti i trii, i quartetti; getteremo nel
silenzio tutti i pianoforti del mondo… Saremo
disposti a distruggere per sempre un così
grande tesoro della cultura? Oppure
decideremo di ricostruire gli strumenti con
un ottimo legno sintetico, ottenuto
facilmente magari con i polimeri di alcune
leghe particolari, cercando di abituarci al
nuovo suono che questi emetteranno?
È proprio quello che abbiamo fatto quando
abbiamo perduto per sempre i cantori del
Rinascimento. Ed è quello che dobbiamo
continuare a fare.
15
L’articolo è pubblicato per gentile concessione della rivista
“Polifonie”, edita dalla Fondazione Guido d’Arezzo.
40. In caso di pericolo proveniente dall’esterno gli occhi possono
difendersi chiudendo le palpebre, la lingua può proteggersi chiudendo le
labbra, le mani possono chiudersi a pugno e il naso può smettere di
respirare, almeno per un po’. L’orecchio no: è condannato a sentire
incessantemente. Sarà per questo che abbiamo un campo di udibilità
estremamente ristretto rispetto alla maggioranza degli animali? Tanto
non dobbiamo difenderci dai predatori, noi…
41. Per dovere riportiamo un divertente passo dal Contrasto musico di
Grazioso Uberti, che descrive i rumori della città e sembra contraddire
quanto scritto sopra: «Discordanti sono le Campane, offendono l’orecchie
li martelli dei Bottegari, fanno tremare le viscere gli stridi delle Seghe,
noiosi sono i tumulti che si fanno per le strade e per le piazze; Introna il
capo il corso delle Carrozze e dei Carri». Ma quando parla della vita in
campagna si lamenta ugualmente dei minimi rumori, al punto che si
capisce trattarsi di una specie di scherzo poco attendibile: «[…] si
sentono li cani che abbaiano; altri animali che strepitano; gli Operarij che
gridano; le Contadine che cantano; le Cicale che assordano; li Guffi che
inquietano; li Grilli che annoiano; le Rane che molestano». Ma oltre alla
risibile presenza dei gufi, delle rane e dei grilli, è poco dopo che si rivela
la riuscitissima burla, quando afferma che «anche gli Amici della
solitudine ne gli eremi e nelle caverne soffrono l’importunità dell’Echo».
D’altra parte chi parla è uno dei due personaggi protagonisti del dialogo,
e si chiama Giocondo. L’altro è Severo. Cfr. Grazioso Uberti, Contrasto
musico, opera dilettevole, Roma, Lodouico Grignani, 1630, parte prima,
pp. 5-6, (ristampa anastatica a cura di Giancarlo Rostirolla, Lucca,
Libreria Musicale Italiana Editrice, 1991 (Musurgiana; 5)).
42. Impressiona la sbalorditiva quantità di accordature diverse che
venivano utilizzate nel passato. A scopo dimostrativo si veda Patrizio
Barbieri, Acustica accordatura e temperamento nell’Illuminismo veneto.
Con scritti inediti di Alessandro Barca, Giordano Riccati e altri autori,
Roma, Torre d’Orfeo, 1987 (Istituto di Paleografia musicale. Serie I: Studi
e testi; 5).
43. I musicisti orientali e anche mediorientali non lontani da noi, sono in
grado di eseguire e apprezzare raffinatissime variazioni dell’intonazione
dell’ordine di pochi cents. Queste delicate modificazioni sono applicate
anche alla “tonica”, che si mostra con diverse angolature intonative a
seconda del punto in cui si trova nella composizione.
44. Ho già avuto modo in passato di esprimere questa riflessione, ma in
questa occasione ritengo opportuno riprendere brevemente un concetto.
Cfr. Walter Marzilli, Musica, pittura e cinema: interazioni, «Lo spettacolo»,
XLVII, n. 3, luglio-settembre 1997, pp. 285-299.
45. E già questo sarebbe un vantaggio del pittore sul musicista: tra i
sette colori dell’arcobaleno, infatti, alcuni sono il frutto della fusione di
altri due, quindi già ben amalgamati.
46. In questo senso vogliamo aggiungere un’ulteriore considerazione.
Dopo l’affermazione del temperamento sulle scale antiche abbiamo
testimonianza di numerose critiche rivolte ai compositori, che li
accusavano di spregiudicato modernismo, di atteggiamenti audaci
riguardo all’uso delle dissonanze, di asprezza delle armonie… Non
potremmo addebitare ciò anche allo scontro di due fattori incompatibili?
Da una parte i compositori, che potevano adottare alcune nuove
soluzioni armonico-melodiche permesse loro dall’adozione dei gradi
equiparati ed equivalenti della scala temperata (modulazioni, transizioni,
accordi dissonanti ecc.); dall’altra gli strumenti e gli strumentisti, che
continuavano a intonare gli intervalli ancora secondo le scale
precedenti…
16
dossIER
un padre
e la sua creatura
incontro con giovanni bonato
a cura di
Alvaro Vatri
Come hai scoperto la tua “vocazione” per la
scrittura?
È difficile da spiegare. Da bambino ero attratto
dalla creazione musicale, ma questa passione è
rimasta nascosta nel mio intimo forse per
pudore, sebbene in famiglia si vivesse nella
passione per la musica e per il canto corale
(il papà era direttore e organista del coro
parrocchiale e fondatore di un noto coro maschile
popolare). Dopo la sua scomparsa (quando avevo
quattordici anni) ho trascorso alcuni anni di
“sbandamento” esistenziale e ho cominciato a
prendere le prime lezioni di composizione da un
musicista amico di famiglia. Costui mi ha “rotto
gli argini” e, assieme alla mia volontà di onorare i
desideri di mio padre, a diciassette anni ho
deciso che avrei fatto il compositore.
formato e forgiato nel periodo giovanile: Fabio
Vacchi, Adriano Guarnieri e soprattutto Giacomo
Manzoni, che più di chiunque altro mi ha aperto
gli occhi verso la composizione contemporanea.
Non bisogna dimenticare che in quegli anni ’80
frequentavo il conservatorio di Milano e proprio
la Milano di quel periodo abbondava di vita
musicale significativa e di taglio internazionale
sotto tutti i punti di vista, soprattutto nella
musica contemporanea. Milano, devo ammetterlo,
mi ha insegnato molto.
In seguito ho avuto frequenti contatti con Luciano
Berio, del quale ho sempre ammirato la sua
molteplicità di interessi, la sua curiosità
intellettuale e le sue infinite capacità
tecnico-compositive.
È ovvio che potrei citare molti altri nomi di
musicisti e compositori del passato e del
presente che per molti aspetti mi hanno attratto
e dai quali ho cercato di cogliere lati a tratti
anche estremamente diversi tra loro. Ma la lista
sarebbe lunghissima e rischierei di annoiare.
Fra i personaggi di riferimento, estranei al mondo
musicale, che mi hanno insegnato molto e ai
quali sono molto legato (oramai ahimè solo nel
ricordo, data la sua recente scomparsa) in modo
particolare ricordo Mario Rigoni Stern. Un
autentico maestro che ho avuto la fortuna di
conoscere e frequentare per parecchi anni.
giovanni
La tua formazione: chi sono (se li hai) “maestri”
(in senso lato e/o più strettamente musicali), o
comunque ci sono delle personalità che hanno
rappresentato un riferimento nel tuo percorso di
formazione?
Al di là di mio padre, mio primo maestro e colui
che con il suo esempio mi ha fatto vivere
momenti irripetibili dal punto di vista musicale/
emozionale/educativo, dopo la mia introduzione
al conservatorio ho avuto modo di apprezzare
diverse personalità che a loro modo mi hanno
compositorE
Tu sei autore di musica sia vocale che strumentale: qual è il
tuo rapporto con questi ambiti musicali, hai preferenze, quale
ti dà maggior gusto, quale ti “sfida” di più?
Direi che l’aspetto che mi stimola di più, generalmente, è la
complessità, è il “gioco di squadra”, sia in ambito strumentale
sia in quello vocale. Scrivere per orchestra mi attrae da
sempre, così come per coro. Va da sé che combinare questi
due elementi mi stimoli moltissimo… anzi, quando capita
l’occasione di metterli insieme all’inizio del lavoro vivo in una
sorta di agitazione dovuta alla frenesia con cui vorrei adottare
certe soluzioni e combinazioni timbriche. In definitiva, in fase
di concepimento del pezzo devo contenere… le mie pulsioni!
“Ispirazione” e “Committenza”: come si equilibrano nel tuo
lavoro? Scrivere sotto l’impulso dell’ispirazione è possibile,
scrivere solo perché qualcuno ce lo ha commissionato ma
senza una vera “pulsione” interiore è possibile? E comunque
non si corre il rischio di produrre qualcosa di
freddo, di routine, frutto di sapienza tecnica ma
senza il “soffio dell’arte” (e poi esiste “il soffio
dell’arte”)?
Chiaro che si equilibrano nel momento in cui queste
si combinano. Chiaro anche che l’esperienza, la
pratica, il cosiddetto “mestiere”, ti sorreggono nel
momento in cui la committenza ti impone dei
parametri a te poco consoni. Avendo scelto questo tipo di
attività professionale è un aspetto che può capitare, ma non
ne faccio un dramma. Anzi… a volte esso si può trasformare in
uno stimolo che ti riserva belle sorprese e ti arricchisce
artisticamente. E poi, diciamolo pure. Già il fatto che qualcuno
ti offra una commissione è di per sé, a mio parere, un fatto
stimolante e che mette in moto una serie di motivi di interesse
che, se vogliamo, possono “ispirarti”. L’importante è capire
che la cosiddetta “ispirazione”, quello che definisci “il soffio
dell’arte” può scaturire da una molteplicità di fattori, di
elementi. Essenziale è saperli indirizzare secondo una tua
estetica e una linea ben definita. 17
Qual è il rapporto con le tue opere: una volta “messe al
mondo” ritieni che non appartengano più a te ma a chi le
esegue (e se ne assume le responsabilità) oppure vuoi che le
esecuzioni rispondano sempre a una tua precisa idea? Hai
degli “esecutori di riferimento” (ovviamente dal tuo punto di
vista, cioè persone a cui tu affidi l’esecuzione delle tue
opere)? Ti fa piacere se un interprete, eseguendo
prevalentemente musica tua, poi “si fregi” del ruolo di
esecutore di riferimento?
È ovvio che un interprete, che “si fregi” del ruolo di tuo
esecutore di riferimento, ti faccia piacere. Spesso è per me
stesso un onore. Preferisco comunque che, una volta “messa
al mondo”, una mia opera sia in grado di vivere una vita
propria e serena. È ciò che un “padre” augura, in fin dei conti,
a una propria creatura, a un proprio figlio. È auspicabile che
appena se ne esce di casa sia in grado di condurre una sua
esistenza autonomamente. Perché questo accada è doveroso
La cosiddetta “ispirazione”
può scaturire da una molteplicità
di fattori.
nni
Tu hai avuto esperienza di cantore, sei un didatta, sei stato
(tra i tanti prestigiosi impegni da te ricoperti) docente al
Seminario di Aosta, conosci quindi l’intero percorso e lo hai
vissuto su tutti i fronti: quali consigli ti senti di dare a chi
volesse scrivere per coro?
Direi che, nello specifico, è determinante aver cantato in un
coro, ed eventualmente diretto, per lungo tempo. L’esperienza
“sul campo” fin dalla più tenera età è quanto di più
auspicabile, non solo per chi si volesse cimentare nella
composizione corale, ma anche per chi, più semplicemente,
desidera vivere un “rito collettivo” estremamente utile alla
comprensione delle dinamiche di gruppo finalizzate alla
produzione di un “oggetto” artistico. Questa esperienza, se
sommata alle innumerevoli possibilità che un testo offre e al
desiderio di esprimere le capacità vocali di un coro, può dare
infinite combinazioni, non di rado di grande interesse e
fascino.
che venga “accettato” esattamente con la sua personalità
dalla “comunità corale” che lo ha accolto. Nella mia
produzione ci sono “figli” (pochi) che per loro natura si
possono discostare da una certa linea originale tramite piccole
modifiche altrui, altri invece che necessitano di un certo rigore
e precisione.
Se un complesso amatoriale “strapazza” un po’ la tua musica
sei indulgente oppure…
Di situazioni come queste ne ricordo solo una, forse due, molti
anni fa. E mi sono infuriato di brutto. Ma in genere i gruppi
amatoriali prima di affrontare qualcosa di mio ci pensano un
po’ su.
Il rapporto di un coro con la tua scrittura: sembra che
“intimidisca”, almeno a un primo approccio. Qual è la tua
posizione e quanto, a tuo parere, un compositore può
“concedere”, fino a che punto può accettare “compromessi”?
Gli eventuali compromessi vanno il più possibile limitati e resi
“inoffensivi”. Sono solitamente il frutto di inconvenienti
dell’ultimo momento. Fortunatamente mi capita di rado. Merito
innanzitutto di quegli interpreti che mi onorano del loro
interesse, della loro professionalità, del loro talento e della
loro passione.
Tra i numerosi premi e riconoscimenti nazionali e
internazionali quale (o quali) è stato il più gratificante
(ovviamente fino a ora, perché altri ne arriveranno, ne siamo
sicuri)?
Non c’è dubbio che il Premio Reina Sofia sia stato il
18
Giovanni Bonato_______
Nato a Schio, si è diplomato
al conservatorio G. Verdi di
Milano sotto la guida di
Giacomo Manzoni.
È autore di numerosi brani
di musica cameristica,
corale e sinfonica con i quali
si è distinto sia in campo
nazionale sia in quello
internazionale.
Ha ricevuto diversi
riconoscimenti in premi e
concorsi internazionali di prestigio
(A. Casella, G. d’Arezzo, Città di Trieste,
G. Contilli, I.C.O.N.S., 2 Agosto, Rhein-Ruhr,
G. Petrassi, 50th Tokyo Met. Go., Wiener Int.
Kw., Schiedmayer Preis, F. Evangelisti, Uuno
Klami Competition, Prix Reine Marie José,
Premio Reina Sofia per citarne alcuni).
Fra gli interpreti dei suoi lavori ricordiamo il
Quartetto Arditti, K. Ono, A. Tamayo,
G. Neuhold, Ex Novo Ensemble,
H. Starreveld, D. Callegari, M. Brunello,
F.M. Bressan, Athestis Chorus, D. Nordio,
S. Tasca, L. Slatkin, Neue Vocalsolisten
Stuttgart, F. Erle, Duo Alterno, Estonian
National Male Choir, A. Soots, J. Nikkola,
E. Ericson, World Youth Choir, F. Sjöberg,
Ensemble vocal Séquence, L. Gay, Coro e
Orchestra dell’Acc. N. di S. Cecilia,
M. Buchberger, L. Segerstam, Tower Voices
New Zealand, Kymi Sinfonietta, Y. Shinozaki,
Coenobium Vocale, J. Berger, S. Kuret,
J.L. Temes, Coro e Orchestra della RTVE.
Designato quale “compositore in residence”
dall’Orchestra di Padova e del Veneto per la
stagione concertistica 2002-2003, le sue
composizioni sono trasmesse dalle maggiori
emittenti radiofoniche europee e sono state
pubblicate da Ricordi, Rugginenti, Agenda,
Salabert, A Coeur Joie, Edition Ferrimontana,
Ed. Fondazione G. d’Arezzo, Suvini-Zerboni,
Feniarco Edizioni Musicali, Astrum.
Ha iniziato la sua attività di docente di
Armonia, Contrappunto, Fuga e
Composizione nel 1987 al conservatorio
J. Tomadini di Udine; dal 1992 ricopre la
stessa cattedra al conservatorio C. Pollini
di Padova.
riconoscimento più gratificante fra quelli da me ottenuti di recente. Al di là
della vittoria in sé, mi ha dato l’opportunità di vivere dei momenti
indimenticabili assieme a mia moglie, alla mia famiglia, per la
soddisfazione professionale e per tutti gli attestati di stima e ammirazione
ricevuti da numerosissime persone di ogni estrazione. Non posso però non
menzionare anche il Premio Uuno Klami 2004 in Finlandia (composizione
per orchestra sinfonica), nel quale, oltre al primo premio, mi è stato
assegnato anche quello della Società dei compositori finlandesi, molti dei
quali ammiro molto e verso i quali sento di avere molte affinità. Una
grande soddisfazione ed emozione davvero! In quell’occasione ho avuto
modo di capire che la mia estetica andava nella giusta direzione.
La tua poetica è molto legata alla natura e alla “civiltà” dell’Altopiano di
Asiago. Ce ne vuoi parlare?
All’Altopiano di Asiago sono legato da sempre, anche da un punto di vista
ancestrale. Nei limiti che il tempo, la famiglia e il lavoro mi concedono
cerco di partecipare alle sue manifestazioni più significative e di trascorrere
lunghi momenti immerso nella sua natura di rara bellezza e varietà.
Ricollegandomi al discorso sull’ispirazione fatto prima, posso senza dubbio
dire che questi luoghi sono per me una fonte inesauribile di stimoli e di
richiami sonori.
Da qualche anno poi ho la fortuna di venire coinvolto con produzioni
originali e commissioni nell’ambito di Asiagofestival, un festival estivo che
di anno in anno acquisisce sempre più i connotati e il prestigio
internazionali, grazie al suo direttore artistico, il famoso violoncellista
tedesco Julius Berger. È per me l’occasione di dare “sfogo” e corpo a idee
musicali in omaggio a una “civiltà” umile e antica, ricca e orgogliosa delle
proprie tradizioni plurisecolari. Fra gli appuntamenti più significativi della
prossima stagione concertistica di Asiagofestival (per fare un esempio)
avrò a disposizione un’intera serata in cui verranno presentati tre miei
lavori per coro, orchestra e solisti, ispirati alla cosiddetta “Grande
Rogazione”, manifestazione popolare di carattere sacro che coinvolge in un
lungo pellegrinaggio della durata di un intero giorno la popolazione di
Asiago, ogni anno fin dal 1600!
Uno dei tre pezzi presentati sarà Dar Gaist ist heüte kemmet, brano
vincitore del Premio Reina Sofia 2009.
La tua presenza in Feniarco, nella commissione artistica, ha coinciso con
gli anni del consolidamento e dell’espansione della nostra federazione
fino alla gratificante presidenza di Europa Cantat affidata al presidente
Fornasier. Come hai vissuto questo progresso e come lo vedi in
prospettiva?
Effettivamente la coincidenza c’è, ma sono convinto che il mio ruolo in seno
alla commissione artistica di Feniarco non sia stato così determinante. Ben
altri sono coloro cui si deve questo crescente salto di qualità (e di quantità).
In questi anni di mandato ho avuto modo di notare l’impressionante
determinazione del presidente Fornasier e l’efficienza del suo staff nel voler
portare la coralità italiana in una posizione di rilievo e di prestigio in campo
internazionale, senza tralasciare la spinta qualitativa nei confronti delle
realtà corali italiane. Va dato loro atto di essersi incaricati di un ruolo di
impegno estremo, così come di grande capacità manageriale e onestà
professionale, sapendo coinvolgere e stimolare al meglio le più qualificate
personalità del mondo corale italiano e straniero in progetti di grande
spessore e originalità. Sono certo che sviluppi ed esiti fortemente positivi
non si faranno attendere. L’appuntamento più ghiotto sarà Torino 2012.
compositorE
19
Composizioni vocali di Giovanni Bonato
Erinnerung (1986) per 16 voci soliste,
segnalata al XII Conc. Intern. Comp.
Polif. “G. d’Arezzo”, Arezzo 1986.
Phonemphasis (1987) per coro
femminile, 1° Premio Conc. Intern.
Comp. Polifonica “G. d’Arezzo”,
Arezzo 1987.
Hör...lass uns lauschen (1988) per flauto
e coro misto da camera, testo tratto
da Clemens Brentano, 1° Premio al
Conc. Intern. Comp. Polif. “G. d’Arezzo” 1989, Arezzo. Testo
tratto da Clemens Brentano. 1° Premio al Prix International de
Composition Musicale “Reine Marie
José” 2004 di Ginevra. Es.
dell’Ensemble Vocal Séquence (dir. L. Gay) presso la sala Ernest
Ansermet della Radio Suisse
Romande a Ginevra, il 26 novembre
2005.
Blason II (1989) per voce femminile,
flauto in sol, clarinetto basso,
percussioni e pianoforte preparato.
Sirens (1992) per coro femminile,
segnalata al Conc. Intern. di
Composizione Polifonica “G. d’Arezzo”, 1992.
Dilexi (Psalmus 114) (1995) per coro
misto e percussioni ad libitum,
commissione dell’Arciconfraternita
della Scuola Grande di San Rocco a
Venezia, in occasione del 700°
anniversario della nascita di San
Rocco; esec. I Cantori di San Tomio
presso la Sala Grande della Scuola di
San Rocco e presso la Basilica di San
Marco Venezia (marzo-ottobre 1995),
Schio (aprile 1997). Editions A Coeur
Joie, Lyon.
Ben disposti silenzi (1995) per voce
femminile, viola d’amore e live
electronics ad libitum su testo di
Andrea Zanzotto, inciso sul cd Poesia
e Musica dell’oggi della Rivo Alto.
Slaafan züuse (1995) per coro misto e a
voci pari, commissione dell’Ergo
Cantemus di Este (Pd), dir. F.M.
Bressan, inserito nel cd Pietre, prod.
Velut Luna. Inciso anche in cd Ergo
Cantemus, prod. Velut Luna.
Stetit angelus (1995) per coro a voci
pari, commissione dell’Ergo
Cantemus di Este (Pd). Inserito nel
cd Ergo Cantemus, prod. Velut Luna,
ed. Feniarco.
Stabat mater (1997) per coro, orchestra
sinfonica e sax contralto concertante,
commissione dell’Athestis Chorus
(dir. F.M. Bressan), Editions A Coeur
Joie, Lyon.
Bere’ shit (1997) per coro femminile,
2 arpe e 2/4 percussionisti, unica
segnalata al Concorso Intern.
Composizione polifonica “G. d’Arezzo”, 1997. Editions A Coeur Joie, Lyon.
...die Augen der Blinden...jubeln (1997)
per coro misto a cappella, 1° Premio
al Kompositionswettbewerb RheinRuhr ICV (1998), Bochum (Germania).
Esec. degli Hallenser Madrigalisten,
dir. Andreas Göpfert, il 31 ottobre
1998 presso l’Auditorium Maximum
della Ruhr Universität di Bochum.
Edition Ferrimontana, Frankfurt a.M.
Vocelied (1999) per voce femminile e
celesta, 1° Premio al 2°
Internationaler
Kompositionswettbewerb für Celesta
(Schiedmayer Preis). Esec. il 7 agosto
1999 nell’ambito del Festival
Europäische Kirchenmusik
Schwäbisch Gmünd a Schwäbisch
Gmünd (Germania) da parte di Judith
Arens (soprano) e Alena Czerny
(celesta). Esec. il 9 settembre 1999
nella Rokokosaal dello
Steingräberhoftheater di Bayreuth.
Es. da parte di P. Vaccari (soprano) e G. Dal Santo (pf.) nell’ambito di
“Pomeriggio tra le muse” presso
Gallerie di Palazzo Leoni Montanari,
Vicenza, il 2 dicembre 2007.
Lied der Lärche (1999) per clarinetto
basso e coro maschile spazializzato,
esec. il 6 novembre 1999 al XIX
Concerto d’Autunno a Vicenza e nelle
Cave Arcari (Colli Berici-Vicenza)
nell’ambito del concerto “Musica
della pietra”, 17 settembre 2000, da
parte di Luigi Marasca (cl. basso) e
Schola S. Rocco di Vicenza (dir. F. Erle), commissione della
Schola S. Rocco. Inserito nel cd
Pietre, prod. Velut Luna.
Or mira… questo giardino (2000) per coro
misto e bicchieri, esec. il 5 giugno
2000 a Vicenza nell’ambito delle
Letture giubilari dantesche, da parte
della Schola S. Rocco di Vicenza, dir.
F. Erle. Eseguito anche dalla Corale
Nuovo Accordo (dir. A. Mistaro),
nell’ambito del Festival di Musica
contemporanea “Luigi Nono”,
novembre 2003, a Trieste.
Stoan Gaart (deùntarn) (2000) per due
coro misti, sei percussionisti e
violoncello concertante spazializzati,
inciso sul cd Pietre della Velut Luna.
Tu scendi dalle stelle (2000) per coro e
orchestra sinfonica (elaborazione
originale commissionata
dall’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, Roma).
Adeste Fideles (2000) per coro e
orchestra sinfonica (elaborazione
originale commissionata
dall’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, Roma).
Crux fidelis (2001) per coro maschile,
2° Premio al Concorso Internazionale
di Composizione Polifonica “G. d’Arezzo” 2002. Brano d’obbligo
al 51° Concorso Polifonico
Internazionale “G. d’Arezzo” 2003.
Esec. da parte del Coenobium
Vocale, Vokalnja Akademja Ljubliana.
Prima esec. a Tallinn (Estonia) nel
2004 da parte dell’Estonian National
Male Choir (dir. A. Soots). Ed.
Astrum-Slovenia. Inciso su cd Val.
Parabasis (2002) per sestetto vocale
misto. 1° Premio al Concorso “F. Evangelisti”, V edizione, 2002.
Esec. da parte dei Neue Vocalsolisten
(Stuttgart), nell’Auditorium del
Conservatorio S. Cecilia in Roma, il 7 dicembre 2002, nell’ambito del
Festival di Nuova Consonanza 2002.
Trasmessa da RAI Radiotre il 25
maggio 2003. Ed. Suvini ZerboniSugarmusic, Milano.
20
di un unico istante... (2003) per voce
femminile e pianoforte preparato.
Audi, filia (2004) per coro misto
spazializzato a 8 parti, brano
commissionato da Feniarco. Eseguito
nel luglio 2004 a Perugia, Assisi,
Rimini, Chiavenna dal Coro Giovanile
Italiano (diretto da F.M. Bressan).
Esec. a Venezia, Scuola di S.
Giovanni Ev. il 20 novembre 2004,
nell’ambito dell’Assemblea Generale
di Europa Cantat; di seguito a Udine
e Biella. Eseguito al Festival Europa
Cantat 2006 il 2-3 agosto 2006,
Mainz. Eseguito dal World Youth
Choir durante la sessione invernale
2004-2005 con tournée in 5 città del
Belgio (dir. F.M. Bressan), nella
sessione estiva 2004-2005 in Israele
(dir. F. Sjöberg). Eseguito dal
Örebrokammarkor (dir. E. Ericson)
presso la Nikolaikirkan di Örebro
(Svezia) il 2, 3, 24 aprile 2005.
Eseguito dal coro giovanile Molto
Cantabile di Lucerna a Wolhusen
(Ch), il 1° luglio 2006 (dir. A. Felber).
Eseguito dal Coro dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia a Roma il
3 ottobre 2006 (dir. F.M. Bressan).
Eseguito dal Hollands Vocaal
Ensemble Amsterdam (dir. F. Oldenhuis) il 14-15 ottobre
2006 ad Amsterdam. Eseg. dal Torino
Vocal Ensemble, dir. C. Pavese, il 26 aprile 2007 a Pieve di Soligo
(Tv). Eseg. dal Tower Voices New
Zealand (dir. K. Grylls), il 24 febbraio
2008, alla Wellington Town Hall. Ed. Feniarco.
Blason III (2004) per ottetto vocale
misto, 3 percussionisti e arpa
spazializzati, 2° Premio al Concorso
di Composizione Internazionale “G. d’Arezzo” 2005. Ed. Fondazione “G. d’Arezzo”.
Tenebrae factae sunt (2005) per coro
maschile spazializzato, commissione
del Coenobium Vocale. Esec. 15
giugno 2005 al Teatro Civico di Schio
nell’ambito di Lotto Zero (dir. M. Dal
Bianco, Coenobium Vocale). Esec.
dell’Estonian National Male Choir (dir. A. Soots) a Tallinn il 16 e 18
febbraio 2006.
Audivi vocem...illius (2005) per coro
maschile, percussioni e
cristallarmonium spazializzati,
commissione del Comune di Schio.
Esec. 15 giugno 2005 al Teatro Civico
di Schio nell’ambito di Lotto Zero
(dir. M. Dal Bianco, Coenobium
Vocale, percussioni M. Pastore,
cristallarmonium G. Grisi).
Non nobis, Domine (2008) per soprano,
orchestra sinfonica e doppio coro
misto, eseg. il 24 giugno 2007 nel
Duomo di Schio nell’ambito della “2ª Grande Classica d’Estate”,
promossa dall’Ass. Mozart Italia.
Soprano M. Buchberger, Schola
Cantorum S. Cecilia e Coro Polifonico
di Giavenale, Orchestra I Musicali
Affetti diretti da P. Tisato. Es. il 13
maggio 2008 dal coro e orchestra
del Conservatorio C. Pollini di
Padova, presso l’Auditorium Pollini,
dir. G. Medeossi, soliste Namritha
Nori e Chen Szu Wen.
Signum magnum (2005) per violoncello
e coro maschile spazializzato. Comm. ed esec. dell’Estonian
National Male Choir (dir. A. Soots, vc. A. Tammesalu) a Tallinn il 16 e 18
febbraio e il 5 maggio 2006 a Pärnu.
Eseg. dal Coenobium Vocale (dir. M. Dal Bianco, vc J. Berger),
nell’ambito di Asiagofestival 2008, il 15 agosto 2008.
Hora de estrellas (2005) per chitarra ed
ensemble vocale spazializzati. Su
testo di F.G. Lorca. Commissione
dell’Athestis Chorus. Eseguito a Rieti
e a L’Aquila il 2-3 settembre 2006,
dall’Athestis Chorus (dir. F.M.
Bressan), chit. M. Pagliarini.
O lilium convallium (2008) per 2
violoncelli e coro maschile
spazializzati. Commissione di
Asiagofestival 2008. Prima esec. da
Julius Berger e Hyun-Jung Berger
(violoncelli) e dal Coenobium Vocale
(dir. M. Dal Bianco), nel Duomo di
Asiago, il 15 agosto 2008, nell’ambito
di Asiagofestival 2008. Eseguito dal
Vokalnja Akademja Ljubliana (dir. S. Kuret). Ed. Astrum-Slovenia.
Inciso su cd Val.
Te Deum di Torcello (2008) per coro
misto, Alphorn e fagotto spazializzati.
Commissione del Festival Galuppi
2008, in occasione dei 1000 anni
della Basilica di S. Maria Assunta di
Torcello (Venezia). Eseg. dalla Schola
S. Rocco (Vicenza), dir. F. Erle. Solisti
A. Benedettelli (Alphorn), A. Bressan
(fagotto). Basilica S. Maria Assunta
di Torcello (Venezia), il 14 settembre
2008.
Genuit puerpera (2009) per coro
spazializzato. Eseguito nel Duomo di
Schio il 31 maggio 2009, nell’ambito
di “di canto…in canto”, dal
Coenobium Vocale, dir. M. Dal
Bianco.
Dar Gaist ist heüte kemmet (2009) per
violoncello concertante, coro
spazializzato e orchestra. Premio
“Reina Sofia 2009”. Prima esec. da
parte del coro e dell’orchestra della
TV di Stato Spagnola il 7 ottobre
2010, dir. Josè Luis Temes, violoncello
solo Xavier Alvares. Eseguito
dall’orchestra dell’Accademia
Musicale di Schio, cori Coenobium
Vocale e Ensemble La Rose (dir. F.M.
Bressan), violoncello solo J. Berger.
Esec. nell’ambito di Asiagofestival
2011 con gli stessi interpreti.
“in armakhot un vriise” (2011) per viola
solista, coro spazializzato e
orchestra. Commissione di
Asiagofestival 2011. Eseguito
dall’orchestra dell’Accademia
Musicale di Schio, cori Coenobium
Vocale, Ensemble La Rose e Laetetur
Cor (dir. F.M. Bressan), viola solista
D. Zaltron, nell’ambito di
Asiagofestival 2011.
Slegar (2011) per viola e violoncello
solisti, coro spazializzato e orchestra.
Commissione di Asiagofestival 2011.
Eseguito dall’orchestra
dell’Accademia Musicale di Schio,
cori Coenobium Vocale, Ensemble La Rose e Laetetur Cor (dir. F.M.
Bressan), viola solista D. Zaltron,
violoncello solista J. Berger,
nell’ambito di Asiagofestival 2011.
compositorE
21
Un’esperienza sonora avvolgente e coinvolgente
Breve commento ad Audi, filia di Giovanni Bonato
Audi, filia è un brano per coro misto spazializzato,
commissionatomi dalla Feniarco in occasione del concerto di
gala organizzato dalla stessa federazione nell’ambito
dell’Assemblea Generale di Europa Cantat del 2004.
Il programma della serata, che si è tenuto il 20 novembre nella
Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia,
prevedeva un’affascinante miscela di antico e moderno. Il tutto
ovviamente ispirato alla Scuola Veneziana cinque-seicentesca.
L’antico era presente con brani di Giovanni Gabrieli e di Claudio
Monteverdi, il moderno era affidato ad autori contemporanei,
quali Piero Caraba, Elena Camoletto, Mauro Zuccante, Giuseppe
Mignemi e io, scelti da Filippo Maria Bressan, direttore per
l’occasione, del Coro Giovanile Italiano.
Ho accolto ben volentieri l’invito a scrivere questo pezzo per
vari motivi. Il primo che mi viene in mente è
che da sempre amo la grande Scuola
Veneziana con la sua tradizione e la sua
modernità (inutile dire che la figura di Luigi
Nono con le sue sperimentazioni spicca su
tutti come esempio di tale continuità
storica). Per citarne un altro, trovo
stimolante ed estremamente utile alla
formazione critica del pubblico che
mediamente frequenta una sala da concerto, che si possano
ascoltare nella stessa serata brani di autori contemporanei
dalle connotazioni stilistiche alquanto diverse e che, tuttavia,
dimostrino come la modernità, con la sua molteplicità di
linguaggi e tendenze estetiche, sia la naturale evoluzione di un
percorso storico plurisecolare. Trovo che questa, anche se pur
circostanziata, sia una significativa opportunità in cui il
compositore di oggi non viene “ghettizzato” in una nicchia per
pochi adepti e cultori, bensì affiancato alla grande tradizione
del passato. Un accostamento e un confronto che ritengo
rivitalizzanti per il panorama concertistico e che mi auguro
divengano sempre più un’utile abitudine a vantaggio non solo
di chi vive la musica in prima persona. Venendo nello specifico, devo dire che a scrivere Audi, filia mi
sono divertito molto. Chi conosce la mia scrittura sa che la
disposizione spazializzata di un organico strumentale o vocale
è da molto tempo uno dei miei tratti preferiti, così come la
sovrapposizione di più testi in lingue diverse. In questa
circostanza, poi, tale condotta linguistica mi è sembrata quasi
un obbligo morale, se non una sorta di doveroso omaggio, ai
più di cento delegati convenuti da tutta Europa. Su versi di
Dante, di Eustorg de Beaulieu, di John Milton e di Heinrich
Heine, il testo latino tratto dal Graduale per la festa del 22
novembre (Audi, filia, appunto) si presenta come fulcro centrale
dell’intero intreccio timbrico-fonetico-verbale, affidato agli otto
gruppi di coristi disposti spazialmente lungo il perimetro della
sala. La spazializzazione dell’organico mi permette di offrire un
ascolto sempre diverso (non fosse altro per il punto di ascolto)
ogniqualvolta il brano viene riproposto. Ogni ambiente che
ospita un’esecuzione spazializzata dimostra una sua particolare
personalità, ponendo spesso determinati problemi tecnici ai
musicisti, ma spesso anche singolari sorprese acustiche. La
spazializzazione mi permette di creare delle geometrie sonore,
delle linee, delle trame secondo un ordine dettato da più
fattori, primo fra tutti il testo con le sue immagini e i suoi
concetti più o meno esplicitamente espressi. Essa mi dà, per
così dire, l’opportunità di “misurare” lo spazio, di porre il
contenitore/auditorium come elemento essenziale alla
percezione della musica, di far risuonare l’ambiente circostante
La disposizione spazializzata
di un organico strumentale o vocale
è uno dei miei tratti preferiti.
fin nei più remoti angoli per poter vivere un’esperienza sonora
piena, avvolgente e, possibilmente, coinvolgente. Ed è proprio
l’aspetto psicologico-emotivo che mi incuriosisce
maggiormente. L’ascolto frontale (per intenderci, quello più
abituale con i musicisti posti di fronte al pubblico) ha abituato
l’uditorio a un tipo di ascolto che oserei dire “comodo”. La fonte sonora, il più delle volte alla vista di chi ascolta,
trasmette uno stato di “sicurezza”. Quello spazializzato invece
genera il più delle volte meraviglia, curiosità se non,
addirittura, sconcerto. È un ascolto senz’altro più impegnativo,
spesso faticoso, ma che alla fine riesce a soddisfare le
molteplici esigenze del pubblico. Audi, filia, da questo punto di
vista, è un brano che fortunatamente non si sottrae a questa
mia intenzione. È un brano in cui la varietà fonetica delle
diverse liriche nonché l’utilizzo dei calici (altro “ingrediente” a
me caro e impiegato molte altre volte con soddisfazione) sono,
come è stato in molte altre occasioni vocali, al centro del mio
interesse quale fattore di arricchimento timbrico-dinamicospettrale dello strumento coro. Sono elementi che, assieme alla
percezione quasi fisica del suono (tramite il graduale
spostamento di determinate altezze/frequenze da un punto
all’altro della sala), mi permettono di trasmettere una chiarezza
formale, un messaggio trasparente malgrado la complessità
delle trame, e conseguentemente di “immergere” chi ascolta in
un mare di vibrazioni.
22
22
pizzetti: questo
(s)conosciuto?
di Mauro Marchetti
direttore del coro
città di roma
Quando Ildebrando Pizzetti scrive la sua
Messa di Requiem sono gli anni in cui è
direttore del conservatorio L. Cherubini di
Firenze. Mi sono spesso chiesto chi potesse
essere l’esecutore, chi potesse essere il
destinatario di quel bellissimo e complesso
lavoro che è il suo Requiem.
In quegli anni, siamo nel 1922, la coralità
amatoriale è scarsa, sono pressoché assenti
tutti quei cori associativi che verranno fuori
solo dopo circa quaranta-cinquant’anni,
verranno fuori spontaneamente, figli di gruppi
parrocchiali o di associazioni culturali, e che
rappresentano oggi quel patrimonio musicale
di migliaia di cantori sparsi nella nostra
penisola. La cultura del cantare in coro, di
condividere insieme la passione per il canto
corale era ancora lontana, le formazioni corali
erano rappresentate da enti lirici, istituzioni
concertistiche. Il coro era ancora un
“elemento” teatrale, sinfonico, orchestrale.
L’amatorialità del canto corale, visibile in quel
periodo solo in sporadici esempi di cori
maschili di carattere popolare,
rispettabilissimi e indispensabili riferimenti
per la nostra cultura musicale-corale, o di cori
appartenenti a società concertistiche minori,
pionieri di sensibilità musicale e di
divulgazione della cultura musicale, arriva
dopo decenni. Difficile quindi poter
immaginare un coro, che non fosse
istituzionale, cimentarsi in un lavoro simile.
Viene quindi da pensare che le poche
composizioni corali di quegli anni fossero
pensate per cori istituzionali, quando ad
esempio Petrassi scrive i suoi unici brani,
Nonsense, per il Coro dell’Accademia
Filarmonica Romana alla guida del quale vi
era il grande Luigi Colacicchi. È davvero un
gran peccato che grandi nomi della musica
italiana non abbiano lasciato grandi tracce di
musica polifonica e parlando proprio di
Pizzetti il dispiacere diventa ancora più
grande pensando ai suoi illustri allievi,
Castelnuovo-Tedesco, Mortari, Donatoni, Rota
(quest’ultimo autore di alcuni interessanti
mottetti).
Non sono andato alla ricerca di fonti scritte
che potessero farmi capire o intuire quanti e
quali cori avessero potuto affrontare questo
raffinato lavoro di Pizzetti, la Messa di
Requiem. Le ultime fonti però, e sono quelle
pizzetti
nova et vetera
discografiche recenti, mi inducono a riflettere e a pensare che,
di cori italiani che abbiano inserito questo lavoro nel loro
repertorio, ce ne siano davvero pochi. E sembra paradossale
che le uniche incisioni siano di cori inglesi o svedesi. In Svezia
la Messa di Requiem di Pizzetti la possiamo trovare nei negozi
musicali, nei cd, lo spartito facilmente reperibile, e la si può
ascoltare molto spesso nelle chiese innevate di Stoccolma.
Quanti cori italiani hanno nel proprio repertorio un brano del
compositore parmense? Il bellissimo e affascinante Cade la
sera è sicuramente il più ascoltato e conosciuto dal pubblico
cultore della polifonia, ma Pizzetti lascia una produzione,
seppur ridotta, di composizioni sacre, di una sacralità e
spiritualità non da poco. La cosa che risalta subito agli occhi è
la scelta dei registri vocali nelle sue composizioni,
prediligendo sempre la voce maschile, quasi a porre l’accento
sulla “gravità” del suono, e quindi della “profonda religiosità”
(anche questo potrebbe essere motivo di reticenza dei cori,
vista la scarsità delle voci maschili?…).
Nella ricerca fatta presso la biblioteca del conservatorio di
Santa Cecilia in Roma mi sono imbattuto in alcune
composizioni corali minori, quasi sconosciute a noi esecutori e
fruitori della musica corale. Delle piccole composizioni sacre
per coro maschile e organo, il Tantum ergo, e due Ave Maria
per tre voci (alto, tenore e basso) e organo. Sono lavori che
appartengono sicuramente al suo periodo di studi, quando
Pizzetti aveva vent’anni, o poco più. Rappresentano
sicuramente delle perle rare, se non altro perché
contestualizzate in un periodo storico musicale dove
l’attenzione per la composizione corale scarseggia. Basti
pensare a quanti lavori ci siano arrivati da
quella “generazione” dell’80 (che
comprendeva tra gli altri Respighi, Casella,
Malipiero)… in sostanza nulla.
Questi piccoli lavori di Pizzetti sono quasi
sicuramente da attribuire a commissioni da
parte di cori appartenenti a parrocchie o
altrimenti a semplici lavori scolastici. La
loro semplicità, e la loro facile eseguibilità,
non lascia pensare ad altro. Scritti con
cura, rispetto delle regole compositive, l’organo che lascia
spesso le voci per riprenderle a raddoppio, queste
composizioni sono testimonianza di una conoscenza saggia e
mai azzardata, mai audace, mai soggetta a idee musicalmente
innovative o rivoluzionarie. La voce femminile, soprattutto
quella del soprano, come detto in precedenza, è
completamente assente. L’impasto vocale con la voce grave
femminile, il contralto, e le voci maschili, guidano l’ascoltatore
in sonorità calde, ricche di armonici, sicuramente di un fascino
inconsueto.
La voce del soprano la ritroviamo solista, accompagnata da un
coro femminile, in una singolare cantata d’amore con
l’orchestra, Filiae Jerusalem, adjuro vos, del 1966. In questo
lavoro, il maturo Pizzetti, mette in mostra tutte le sue
conoscenze della voce, e della voce femminile accompagnata
da un’orchestra completa, sinfonica.
23
Ma il lavoro corale di
sicuro valore, di
indiscusso valore tecnicocompositivo, di sensibilità
musicale e raffinata
bellezza, di complessa
scrittura è secondo me la
Messa di Requiem.
Costruito su cinque
frammenti, Requiem, Dies
irae, Sanctus, Agnus Dei,
Libera me, il lavoro, a
cappella, si presenta
subito con la voce grave
del basso declamare le
iniziali parole del Requiem
in stile gregoriano,
illuminato subito dopo
dalle entrate delle voci
sulla parola “lux”. Grande
conoscitore della musica
antica, della musica
vocale rinascimentale,
Pizzetti sa usare
perfettamente le voci in incastri armonici degni dello stile
mottettistico dei padri della polifonia. Non a caso lascia
numerosi scritti proprio nei riguardi della musica antica, cura
alcuni lavori di Gesualdo. Crea un linguaggio nuovo, dove
parola e musica riescono a divenire una sola cosa. Il Dies irae
Pizzetti crea un linguaggio nuovo,
dove parola e musica riescono a
divenire una sola cosa.
etti questo
si apre e si sviluppa sul tema attribuito a Tommaso da Celano
(1200-1265), il più lungo e articolato dei cinque frammenti,
dura circa 9 minuti (!), avvolge l’ascoltatore in un linguaggio
arcaico-mistico, dove il tema, passando di voce in voce, riesce
a emozionare e a far vibrare le corde dell’anima.
Sul Sanctus si torna a parlare e a riconoscere il Pizzetti dalle
sonorità gravi, qui sfoderando davvero ogni limite di
modernità costruttiva della scelta delle voci. Usa tre cori, dove
il primo è un coro femminile (SSAA), gli altri due cori sono
maschili. In sostanza ci troviamo di fronte a questa divisione:
SSAATTBBTTBB (devo ammettere che riuscire a dividere i miei
cantori maschili in otto parti è stata davvero cosa ardua!).
L’Agnus Dei, due pagine di dolcezza e interiorità non da poco,
quattro voci (l’unico brano dove le voci non sono divise),
l’autore indica all’inizio “soltanto una metà del coro”, quasi a
suggerire una sottile intimità, disegnata da un andamento di
24
terzine ai soprani, che cullano un “Dona eis requiem
sempiternam” che termina in un pianissimo delicatissimo.
Il finale, Libera me (con fervore profondo), conclude il Requiem
con un incastro di luminosità e tenebrosità. La lucentezza dei
soprani, quasi sempre disegnati nella parte superiore del
pentagramma, quasi a sottolineare in maniera decisamente più
evidente il “Libera me Domine”, si mescola alla tessitura grave e
declamata delle altre sezioni (ATBB), quasi a contrastare quella
luminosità dei soprani con le tenebre (“de morte aeterna”) delle
voci gravi. La Messa di Requiem di Ildebrando Pizzetti è senza
dubbio un patrimonio della musica italiana, di quella musica
riposta in cantina, negli scaffali di qualche biblioteca italiana, ma
poggiata sui leggii di cori inglesi o svedesi, sempre pronti a saper
cogliere il bello, a saper leggere quella raffinatezza che a volte ci
sfugge. Noi, pronti a saper sopravvalutare ogni pentagramma che
parli un’altra lingua, ci dimentichiamo invece di un patrimonio,
seppure esile dal punto di vista del numero di composizioni che ci
sono arrivate, ma che meriterebbe un’attenzione maggiore proprio
da noi italiani.
In ultimo non vorrei dimenticarmi di altri bellissimi lavori corali di
Pizzetti, le Due Composizioni Corali (Il giardino di Afrodite e Piena
La Messa di Requiem di Pizzetti
è senza dubbio un patrimonio
della musica italiana
sorgeva la luna) e Tre Composizioni Corali (Cade la sera, Ululate,
Recordare, Domine) altre perle della produzione polifonica d’inizio
e metà del ’900, patrimonio della musica corale tutta. E tutta una
serie di altri canti per coro maschile.
Ora mi appare tutto molto più chiaro, tutto molto più semplice da
capire… Pizzetti, che nel 1922 scrive la Messa di Requiem, allora
direttore del conservatorio L. Cherubini di Firenze (anche direttore
del conservatorio G. Verdi di Milano e successivamente del corso
di alto perfezionamento in Composizione presso l’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia) lascia i suoi lavori a tutti noi che ogni
giorno ci dissetiamo di musica corale e che siamo sempre in
continua ricerca di pentagrammi da poter condividere con i nostri
cantori, le vere corde del nostro strumento coro. portraiT
25
quando la musica ti viene addosso
gianni malatesta si racconta
a cura di Sandro Bergamo
Non se l’aspettava che toccasse proprio a lui, a Gianni
Malatesta, ricevere il premio Seghizzi 2011 Una vita per la
direzione corale e la sorpresa ha accresciuto la soddisfazione:
soddisfazione doppia, visto che in quegli stessi giorni,
sulla sua musica, si è laureato il maestro Pierangelo
Tempesta, che ha anche diretto alcuni dei suoi brani
davanti alla commissione d’esame.
Incontro Gianni Malatesta dopo più di trent’anni. Lui
non se ne ricorda, e nemmeno io gli ricordo quella
lezione di vocalità che fece al coro di cui, all’epoca, ero
in procinto di assumere la direzione, da vicedirettore
che ero. Qualche tempo dopo, all’inizio degli anni Ottanta, un
fugace incontro ad Adria, al cui concorso entrambi
partecipavamo alla guida dei rispettivi cori. Non lo vedevo da
allora e mi aspettavo quasi di non riconoscerlo. Sarà che
siamo invecchiati insieme, pur se a distanza di trent’anni uno
dall’altro, ma non mi pare cambiato.
A ottantacinque anni Gianni Malatesta unisce la serenità del
vecchio saggio al candore del bambino che porta ancora dentro
di sé e che ancora canta quello che sentiva suonare in casa.
«Non ho avuto una formazione musicale: la mia formazione
musicale è stata l’aver cantato in famiglia. La mamma
suonava il pianoforte, il papà il violino: anzi, era diplomato in
violino, anche se non aveva seguito la carriera. Si ascoltava
musica d’opera: mio padre era dell’ottantadue, aveva Verdi
nell’anima. La mamma, invece, era una pianista dilettante:
suonava quello che studiavano i pianisti nei primi anni di
scuola».
Un attestato rilasciato dalla Scuola Ceciliana della Diocesi di
Padova lo promuove in Canto gregoriano con 8, in Teoria con
8 e 1/2, in Pratica di suono con 7: «Da ragazzino ho seguito
un corso di musica gregoriana e questo, assieme all’esame,
sostenuto molti anni dopo, per potermi iscrivere, come
compositore, alla Siae, è l’unico titolo musicale conseguito.
Ho studiato pianoforte, assieme ad altri miei fratelli, e per
tutta la vita ho suonato il pianoforte. La mia vocazione di
compositore è nata dal riprodurre qualche pezzo che avevo
sentito e che mi era piaciuto particolarmente: lo mettevo sulla
tastiera e lo trasformavo in modo da farlo mio. Questo, poi,
mi serviva nella pratica del piano bar, che ho esercitato per
qualche tempo».
Una passione musicale travolgente e coinvolgente, quella di
Gianni, che non perde occasione per dare una dimensione
musicale alle sue esperienze di vita.
«Militare dell’aeronautica, a 21 anni, ho formato un’orchestra
di commilitoni, La carovana azzurra, di cui ero pianista
conduttore».
L’incontro col coro è, come per molti di noi, fortuito e,
naturalmente, da corista.
«Sono entrato nel 1946 nel coro del CAI: abbiamo avuto un
La mia formazione musicale
è stata l’aver cantato in famiglia.
buon maestro, un padre gesuita, Nazareno Taddei. È stato il
mio primo vero maestro di coro. Dopo tre anni ha dovuto
lasciare, per assumere altri incarichi, e sono subentrato come
istruttore, come si diceva allora, del coro, per insegnare le
parti e prepararlo all’incisione che doveva compiere per conto
della Durium di Milano. Scarseggiava però il repertorio, anche
26
perché non si potevano registrare i brani eseguiti dalla Sat,
che pure costituivano buona parte del repertorio concertistico.
Così, tra il ’49 e il ’50, ho iniziato a scrivere le prime
armonizzazioni. Ho scritto così Sul Ponte di Perati, Sul ponte
di Bassano, Bombardano Cortina…: canti degli alpini,
insomma».
Un’esperienza che dura fino al ’57. A gennaio del ’58 Gianni
Malatesta dà vita al Coro Tre Pini. Un nome derivato dal luogo
dove il coro ha sede tutt’ora, dai tre pini marittimi che
accolgono il visitatore all’ingresso dell’Antonianum, lo studio
teologico dei Gesuiti a Padova. A cinquantaquattro anni di
distanza, ne sopravvivono solo due: il canto è stato più
longevo degli alberi.
«Allora avevo trent’anni e radunai attorno a me ragazzi per
lo più ventenni. Un ambiente di studenti universitari, che è
stato fin da subito molto ricettivo. La mia musicalità si
incontrava con la grande disponibilità intellettuale dei miei
coristi: è stato questo il segreto del successo del coro Tre
Pini. Accanto a questo, una facilità vocale, dono di natura,
che mi consentiva di insegnare per imitazione a tutte le
voci, dai tenori primi ai bassi. Questo mi consentiva di
trasmettere subito tutte le mie intenzioni espressive.
Trasmettere con la propria voce consente anche cose che,
attraverso lo strumento, non si possono praticare, come
minime variazioni di intonazione che rendono l’armonia più
incisiva in quel contrasto. Anche la formazione vocale
avveniva per imitazione. Chiedevo: fate come me! In fondo,
spiegavo ai miei coristi, è così che il bambino impara a
parlare: imitando la madre».
Formule che poi sono state applicate anche ad altri cori diretti
da Malatesta, e in particolare al coro Montevenda, diretto dal
1975 al 2007, e ai tanti con cui ha avuto modo di collaborare.
Una collaborazione con i cori che si è estesa a un aspetto
particolare, insolito. «Durante il servizio militare ho avuto
modo di frequentare i laboratori di Padova dove si riparavano
le apparecchiature radio degli aeroplani. Tornato a casa, non
trovando altro lavoro mi sono adoperato come radiotecnico.
Poi ho applicato queste conoscenze alle apparecchiature per
la registrazione, cominciando dal mio coro e poi estendendo
Ho sempre scritto quello
che mi piaceva e che poteva
riuscir bene al coro.
l’attività agli altri. Dagli anni ’70 in poi ho lavorato
sostanzialmente come discografico: andavo a casa dei cori,
predisponevo le mie apparecchiature, li registravo. Centinaia
di incisioni per cori di Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana,
Lazio».
L’eclettismo à stata una delle caratteristiche di Gianni
Malatesta, che, dopo l’avvio nella tradizione del canto di
montagna si è sempre distinto per la libertà con cui sceglieva
i brani da elaborare per il suo coro.
Gianni Malatesta____
Nato a Badia Polesine (Ro) nel 1926. In famiglia, per congenialità e
consuetudine, padre diplomati in violino e madre pianista, hanno luogo i
primi approcci alla musica. Studia pianoforte, organo, armonia e
contrappunto. L’inizio della sua attività di direttore di coro risale al 1949,
anno in cui assume il compito di istruttore del Coro del CAI di Padova,
incarico che mantiene fino alla fine del 1957. Nel 1958 dà vita al Coro
Tre Pini di Padova, del quale è tuttora maestro e direttore artistico. Dal
1975 al 2007, inoltre, è stato maestro e direttore artistico del Coro
Montevenda di Galzignano Terme. Per il complesso della sua attività
artistica ha ottenuto numerosi riconoscimenti ufficiali.
Ha pubblicato per l’editore Zanibon di Padova (oggi BMG Ricordi,
Milano) le raccolte di composizioni corali Perché tu vai cantando e Su in
montagna, contenenti complessivamente 180 pezzi. Alla fine del 2006,
per i tipi del Coro Tre Pini di Padova, ha pubblicato il volume
Miscellanea corale - 90 composizioni per voci pari e miste, un’attesa
raccolta di lavori inediti, numerosi dei quali già molto amati dal pubblico
e dalla comunità corale italiana e straniera, per essere stati diffusi dal
Coro Tre Pini attraverso l’attività concertistica e la produzione
discografica.
portraiT
«Io nasco come pianista jazz: amavo la musica degli autori dell’epoca,
uno per tutti Gershwin. E questo filone si è ben presto affiancato a quello
tradizionale del canto di montagna e degli alpini che, nella Sat, aveva il
suo modello. Poi sono arrivate le richieste di composizioni anche da altri
cori, e questo giustifica anche la presenza, nei libri che ho pubblicato, di
brani per coro misto [il coro Tre Pini è un coro a voci pari maschili,
secondo, appunto, il modello Sat in voga in quegli anni, ndr] o anche per
coro di bambini».
Nel mondo dei cori popolari, molto fervido negli anni Settanta e Ottanta,
distinto, e talvolta fieramente diviso in scuole contrapposte, a seconda
del rapporto che ciascun musicista instaurava col materiale popolare
originario o del concetto stesso di musica popolare, Gianni Malatesta è
sempre apparso defilato, né discepolo né maestro di alcuna scuola.
«Non ho mai seguito intenzionalmente uno stile, un programma, un
progetto: ho sempre scritto quello che mi piaceva e che poteva riuscir
bene al coro. Lo elaboravo al pianoforte, lo suonavo, lo scrivevo e la sera
dopo lo insegnavo al coro. Sono scelte che hanno penalizzato qualche
volta tanto me quanto il coro, in un momento in cui cominciavano appena
a presentarsi qualche proposta alternativa al modello classico
rappresentato dalla Sat. Da dove viene l’idea? Vivendo tutto il giorno in
mezzo alla musica, la canzone, per così dire, “mi veniva addosso” e,
come avevo sempre fatto, me la ricreavo al pianoforte. Non ho mai
seguito schemi precisi. Mi sono impegnato in canti natalizi, religiosi,
popolari, in inni nazionali (ho elaborato gli inni di tutti i paesi dove il coro
è stato in tournée). E poi musica leggera americana, musical, che
frequentavo quasi quotidianamente, in gioventù: la musica per coro non
ha confini. È stata voglia di far musica col mio coro, senza un vero e
proprio progetto. Mi paragono, in questo, ai pittori naïf: non avevano
formazione, ma sono diventato grandi pittori ugualmente».
Una solitudine che non è stata solo stilistica, ma anche, a volte,
personale, almeno rispetto agli altri maestri. «Tutti gli altri si
conoscevano, perché si erano frequentati in conservatorio, avevano avuto
gli stessi maestri, avevano condiviso lo stesso percorso. Per me che non
venivo da lì, c’era una diffidenza di fondo che i successi del Coro Tre Pini
non facevano che aumentare».
Senza maestri, Gianni Malatesta è forse anche senza eredi? «So di aver
seminato: in molti luoghi, in molti modi. Ma un vero successore non lo
conosco. Non seguo molto, in verità, quello che avviene nel mondo
corale. Seguo il mio percorso e sto correndo il mio ottantaseiesimo anno.
Ci sono comunque gruppi giovani, che possono avere un futuro e
garantire continuità alla coralità popolare, al posto di gruppi storici ormai
al tramonto».
27
28
la documentazione audio “fai da te”
dei concerti di musica corale
di Luca Ricci
tecnico del suono
Al fine di migliorare le prestazioni di un coro dal punto di
vista della vocalità e dell’interpretazione, obbiettivo che si
auspica ambito da chiunque svolga attività corale, e di
preparare il coro ad affrontare con maggior cognizione di
causa le sedute di registrazione in ambito professionale
finalizzate alla produzione di un cd destinato al mercato
discografico, la ripresa audio dei concerti e un successivo
attento ascolto della registrazione da parte dei cantori e del
direttore stesso può essere di notevole ausilio.
Durante l’esecuzione dei brani infatti i cantori avranno una
percezione necessariamente parziale del risultato in sala, e lo
stesso direttore impegnato nel gesto interpretativo e immerso
nel flusso sonoro a distanza ravvicinata difficilmente avrà una
visione d’insieme pari ad esempio a quello di una persona
che senz’altro impegno che quello di ascoltare siede in prima
fila di platea.
Utili a tal scopo saranno soltanto riprese effettuate con
perizia e mezzi tecnici di qualità sufficiente a garantire un
ascolto equilibrato e dettagliato.
Nel caso in cui il gruppo decida di ingaggiare un
professionista, il problema evidentemente non si pone.
Tuttavia, se le riprese audio non sono finalizzate alla
produzione di un cd, e magari si voglia fare un uso
sistematico della documentazione audio delle proprie
esibizioni, il ricorso a un professionista rischia di diventare
inutilmente oneroso.
A tutto vantaggio delle solitamente poco opulente risorse
finanziarie dei cori, la buona notizia è che con poche centinaia
di euro è possibile acquistare macchine adatte allo scopo e di
utilizzo relativamente semplice. Scendiamo dunque nel
dettaglio delle tipologie dell’hardware necessario e del suo
utilizzo.
Hardware
Il minimo indispensabile sarà costituito da un registratore
portatile, alimentato a batterie, con microfono stereo
incorporato con relativo supporto per sospenderlo su un’asta
microfonica, anch’essa necessaria, e una cuffia stereofonica.
Oggi son disponibili sul mercato i cosiddetti handheld
recorders, registratori delle dimensioni di una scatola per
sigari, che registrano su memoria a stato solido anche in
formato cd, ovvero sono in grado, fra l’altro, di digitalizzare e
memorizzare il segnale audio in ingresso a 16 bit con
frequenza di campionamento pari a 44,1 Khz. L’ovvio
vantaggio consiste nella possibilità di riversare su computer la
registrazione ricavandone direttamente un cd audio senza
bisogno di operare una conversione dei formati. Se si ha un
minimo di pratica di programmi dedicati all’editing audio
potremmo anche suddividere il cd in tante tracce quante sono
i brani che compongo il programma di sala. In assenza di
disponibilità di un normale pc sarà comunque possibile
ascoltare la registrazione direttamente dal registratore
collegandolo a una coppia di diffusori e di salvare la
registrazione archiviando direttamente la sd card utilizzata e
sostituendola con una nuova alla registrazione successiva
(il costo di una sd card è molto contenuto).
Un supporto per sospendere il registratore su di un asta
microfonica, un asta microfonica con alzata minima di tre
metri e una cuffia stereofonica completeranno il set up.
Consiglierei di non lesinare sul prezzo dell’asta e di acquistare
un oggetto di solidità e stabilità comprovate. Questo perché,
come vedremo, saremo spesso costretti a piazzare l’asta in
mezzo alle seggiole della platea, e l’esperienza insegna che il
pubblico presente in sala si muove spesso con disattenzione
nei confronti di oggetti simili… La cuffia dovrà essere di tipo
chiuso, cercando fra i modelli pensati per un utilizzo di tipo
home studio.
Operatore e sequenza delle operazioni da svolgere
Una volta effettuata la scelta e l’acquisto delle macchine
occorrerà che il coro designi fra i suoi componenti, o fra gli
amici che a volte seguono il coro sistematicamente pur non
facendone parte, colui che svolgerà le mansioni di operatore
fragmentA
alla registrazione. L’operatore avrà evidentemente il compito
di mettere in opera il sistema prima dell’inizio del concerto,
ed eventualmente di effettuare il riversaggio su cd della
registrazione.
Durante le prove sul luogo del concerto prima del concerto
stesso, l’operatore piazzerà l’asta dietro al direttore a distanza
di sicurezza dai suoi movimenti, e in posizione centrale
rispetto al coro. Poi fisserà alla sua sommità l’handheld
recorder con i microfoni rivolti verso il coro, escluderà
eventuali regolazioni automatiche del volume di registrazione
e lo regolerà inizialmente a metà potenza. Metterà in
registrazione lo strumento (se dotato di controllo remoto
potrà farlo successivamente) e alzerà l’asta di almeno mezzo
metro sopra la testa del direttore.
Dopo aver registrato qualche frammento di brano, o anche
solo i vocalizzi con il quale il coro scalderà la voce, l’operatore
abbatterà l’asta al fine di poter collegare la cuffia all’handheld
recorder e riascoltare quanto registrato. Procederà dunque a
eventuali aggiustamenti sul posizionamento dell’asta e
procederà a effettuare un nuovo saggio di ripresa questa
volta per regolare definitivamente il volume di registrazione.
Chiederà dunque al direttore di eseguire alcuni punti dei brani
in programma con le dinamiche più elevate, e controllerà al
riascolto che i livelli non abbiano raggiunto il punto massimo
oltre il quale si avvertirebbe distorsione, in genere indicato
con la dicitura “O db”. Provvederà dunque ad alzare o
abbassare il volume di registrazione a seconda della
necessità.
A questo punto l’operatore sarà pronto per registrare il
concerto. Se è un cantore e l’apparecchio a sua disposizione
disporrà di controllo remoto, potrà disporsi sul palco assieme
ai suoi colleghi e dare inizio alla registrazione con il
telecomando. Altrimenti prima che il coro entri in sala
29
l’operatore dovrà recarsi fisicamente a “pigiare rec”.
Inutile dire che le pile dell’handheld recorder dovranno essere
ben cariche, e che se è prevista una durata del concerto
superiore a quella della durata delle batterie sarà opportuno
tramite una prolunga che sarebbe bene includere nel set up,
alimentare il registratore dalla rete elettrica.
Terminato il concerto l’operatore recupererà l’attrezzatura e
procederà successivamente, se provvisto di pc e apposito
software alla masterizzazione del cd ricavato dalla
registrazione, magari dividendolo in tante tracce quanti
saranno i brani che avranno composto il programma di sala.
In tal caso il riascolto potrà avvenire su un normale lettore
cd; in caso contrario potremo collegare all’impianto di ascolto
direttamente l’handheld recorder.
Ascolto: impianti e metodologie
Il riascolto della registrazione per i fini prefissi avverrà
preferibilmente in sala prove alla presenza di tutti i cantori e
del direttore, il quale potrà così commentare in tempo reale le
varie parti dell’esecuzione.
Per far questo occorrerà che l’associazione si procuri un
impianto di ascolto adatto allo scopo. Quando si crea la
necessità di un ascolto non personale ma collettivo, oltre alle
dimensioni della sala da sonorizzare andrà considerato il
numero di persone in essa ospitate. In genere la sala prove di
un coro è costituita da un’aula di medie dimensioni che possa
ospitare fino anche a cinquanta persone nel caso di cori
numerosi, un pianoforte o tastiera e uno spazio per il
direttore antistante al coro. Sonorizzare correttamente un
ambiente del genere diventerebbe fortemente oneroso
qualora decidessimo di acquistare un impianto hi-fi di
dimensioni e qualità adeguate. Visto l’utilizzo che intendiamo
farne sarà opportuno sacrificare alcuni parametri quali la
gradevolezza timbrica dell’impianto in favore della sua
pressione sonora unitamente a un minimo di equilibrio nella
riproduzione dello spettro acustico, l’impianto ovvero verrà
scelto in virtù della potenza necessaria, della minima
insorgenza di colorazioni indesiderate, e ovviamente di un
elevato rapporto qualità prezzo.
Il luogo dove andare a cercare un impianto con questa
caratteristiche non sarà evidentemente una boutique dell’hi-fi
esoterico, ma il negozio di strumenti musicali di fiducia, e
precisamente nella sezione adibita alla vendita di impianti di
amplificazione per i concerti.
Cercheremo una coppia di diffusori bi-amplificati a due vie
con una potenza minima complessiva (intesa come somma
della potenza dei due amplificatori) di 300 watt per diffusore,
avendo cura di sceglierli fra le marche che storicamente
prestano maggiore attenzione alla qualità del suono (la
consultazione di uno o più dei numerosi forum dedicati
all’argomento presenti in rete è vivamente consigliata).
Acquisteremo anche gli appositi stand, una coppia di cavi, e
un piccolo mixer. Occorreranno anche delle prolunghe
elettriche perché i diffusori necessitano di alimentazione.
L’impianto così costituito verrà piazzato in sala prove nel
30
Acustica degli ambienti: quick start
Non è certo questa la sede per trattare come cercare di
risolvere al momento della ripresa problemi legati all’acustica
dell’ambiente in cui si svolgerà il concerto, dato tuttavia che il
timbro percepito di uno strumento o di un coro sarà sempre il
risultato dell’interazione della fonte con l’ambiente in cui essa
sarà inserita, qualche breve cenno di acustica ambientale
aiuterà l’operatore a svolgere il suo compito con maggiore
consapevolezza.
Location, colore e riverbero
Un coro che si esibisce dal vivo, potrà trovarsi a cantare
praticamente ovunque: una chiesa, un teatro, un auditorium,
una sala conferenze, un chiostro, un porticato, una piazza ecc.
In qualunque ambiente il coro si troverà a cantare, il suono
diretto del coro e di eventuali strumenti che lo
accompagneranno si mescolerà al suono riflesso dalle pareti,
dal soffitto, o anche dal solo pavimento nel caso di esibizioni
all’aperto. Le riflessioni influenzeranno il suono percepito su
due fronti contemporaneamente. Da un lato avremo delle
modificazioni timbriche del suono nel suo complesso (1),
dall’altro assisteremo a un fenomeno di persistenza del suono
successiva alla sua interruzione alla fonte, il cosiddetto
riverbero (2).
modo che segue. Se la sala, come avviene nella maggior
parte dei casi, avrà la forma di un parallelepipedo e il coro
siederà di spalle a una delle pareti più lunghe, l’impianto
andrà posto di spalle alla parete opposta, con i diffusori
equidistanti dalle pareti a loro laterali (in questo caso le
pareti corte) e il più possibile discosti dalla parete posteriore.
I diffusori andranno alzati di al di sopra della testa degli
ascoltatori se questi saranno disposti su due file,
anche di più se le file saranno più di due, mentre
potranno stare alla stessa altezza della testa degli
ascoltatori se questi saranno disposti su un’unica
fila. I diffusori andranno poi angolati di circa 30°
verso l’interno e la zona di ascolto ideale sarà
costituita dal punto in cui le immaginarie
perpendicolari agli schienali dei diffusori si
incroceranno. Essendo evidente che questa zona di
ascolto ottimale andrebbe a interessare una minima
percentuale di cantori (ovvero quelli che si troveranno al
centro del gruppo) una soluzione che consentirebbe
l’ampiamente di tale zona, che si sviluppa essenzialmente in
profondità, sarà quella di ruotare coro e impianto, disponendo
i coristi di spalle alla parete più corta anzichè a quella più
lunga, e facendo in modo che creino un maggior numero di
file, cercando di evitare di farli disporre sugli spazi laterali.
Avendo cura di leggere gli appositi manuali l’operatore che
avrà provveduto a effettuare i collegamenti necessari tra
mixer e diffusori e tra registratore o lettore cd e mixer e alla
regolazione del volume di ascolto dell’impianto, potrà dare
inizio alle seduta di ascolto.
1) Le modificazioni timbriche prodotte dalle riflessioni interne
a un determinato ambiente su una fonte sonora in esso
inserita, costituiscono uno dei parametri di scelta della
location nel caso di registrazione di master audio destinati al
mercato discografico (altri parametri in tal caso, è sempre
bene ricordarlo, sono: silenziosità, disponibilità continuativa
per tutta la durata dei lavori e ambientazione filologica), ma
quasi mai i luoghi dei concerti vengono scelti in base alla loro
La ricerca del giusto rapporto
fra il suono diretto e il suono
riverberato è importante.
acustica. Alle tipologie di ambiente che spesso espongono il
suono prodotto da un coro al rischio di una cattiva
colorazione generalmente appartengono gli ambienti di
piccole dimensioni, oppure di grande superficie ma con il
soffitto basso (anche se i soffitti “a volta” a parità di altezza
dal pavimento contribuiscono spesso a un ascolto più
gradevole rispetto ai soffitti piani), ambienti con le superfici
ricoperte da materiali fortemente riflettenti, o ambienti con
superfici non speculari di dimensioni simili o, peggio,
identiche (ad esempio gli ambienti a pianta quadrata).
Al contrario ambienti di dimensioni generose (come chiese e
hall), oppure non grandissimi ma con le superfici trattate
acusticamente (come i teatri o gli auditorium), contribuiranno
fragmentA
31
a una colorazione eufonica del suono del coro o nel peggiore
dei casi a una colorazione forse non ottimale ma di entità
trascurabile.
I grandi teatri e i grandi auditorium generalmente possiedono
caratteristiche acustiche assai prestanti.
2) La ricerca del giusto rapporto fra il suono diretto e il suono
riverberato è altresì importante al fine dell’intelleggibilità
dell’informazione musicale (e in tal senso è bene che il
riverbero non risulti eccessivo sulla registrazione), e della
gradevolezza della sua fruizione (e in tal senso invece sarà
opportuno che la registrazione non ne risulti sprovvista).
Se la fonte sonora produce il suono diretto e l’ambiente in cui
è inserita produce il suono riverberato, un arretramento
rispetto alla fonte o un innalzamento dei microfoni produrrà
evidentemente un rapporto progressivamente favorevole al
suono riverberato, mentre un loro avvicinamento alla fonte o
un abbassamento produrrà un rapporto progressivamente
favorevole al suono diretto.
Quando un suono incontra un ostacolo può subire
essenzialmente tre tipi di trattamento: può essere assorbito,
può essere riflesso e può essere diffuso (e non è raro che in
ambienti non trattati questi tre fenomeni possano convivere).
L’assorbimento e le prime riflessioni (ovvero quelle che si
sviluppano nei millisecondi immediatamente successivi
all’emissione del suono diretto) hanno influenza
essenzialmente sulla qualità del timbro percepito (ed
eventualmente registrato), a causa di fenomeni per lo più
sottrattivi nei confronti dello spettro audio del suono
originale, generati appunto dall’assorbimento di alcune
frequenze dello spettro stesso, o dalla loro cancellazione a
causa della sommatoria con la loro controparte riflessa di
polarità opposta (fenomeno conosciuto in acustica come
“effetto pettine”).
La diffusione del suono è l’effetto di un
fenomeno scientificamente definito
diffrazione. In parole poverissime un suono
che colpisce un determinato oggetto
anziché venirne riflesso secondo una
direzione precisa, mantenendo buona parte
dell’energia originaria, viene “sparpagliato”
in tutte le direzioni, con l’energia originaria
che viene suddivisa fra le varie direttrici; è
questo il motivo per cui la sensazione di
pressione sonora esercitata da un suono riflesso sarà quasi
sempre superiore a quella di un suono diffuso, a parità di
pressione acustica del suono d’origine. Diffusione e riflessioni
insieme sono all’origine del riverbero. Se per esempio
produciamo un suono schiacciando il tasto di un organo
presente in una chiesa, la “coda di suono” che sentiremo
dopo il rilascio del tasto sarà appunto il riverbero del suono
stesso.
Parametri principali che definiscono il fenomeno del riverbero
sono: tempo di decadimento, ritardo d’attacco, densità,
colore, intonazione.
Per tempo di decadimento s’intende la durata del riverbero,
ovvero il tempo che la “coda di suono” impiega a decadere,
ed è il parametro più vistoso all’orecchio dell’ascoltatore.
Decadimenti molto lunghi, tipici ad esempio delle chiese
molto grandi, in genere non giocano a favore
dell’intelleggibilità della partitura, specie in polifonia dove
riverberi brevi saranno da preferire. Il canto monodico
cristiano invece potrà permettersi tempi di decadimento un
po’ più lunghi.
Il ritardo d’attacco del riverbero, dove presente in maniera
percettibile all’orecchio, permette di accettare tempi di
decadimento più lunghi, perché i transienti di attacco e i primi
istanti di emissione delle note, quelli in cui ne viene definita
Il timbro percepito di uno strumento
o di un coro sarà sempre il risultato
dell’interazione della fonte con
l’ambiente in cui essa sarà inserita.
l’intonazione voluta, saranno tutelati da un primo istante di
“secchezza” la quale non risulterà però sgradevole a causa
del successivo, quasi immediato, inizio del riverbero. Ritardi di
attacco si hanno in genere in ambienti di grandi dimensioni,
dove cioè il suono diretto impiega più tempo a raggiungere le
pareti, e anche in ambienti più piccoli ma arredati o strutturati
in maniera tale da limitare la presenza delle riflessioni vicine
alla fonte. Ambienti a due volumi con il coro disposto nel
volume più piccolo contribuiscono spesso all’insorgenza di
tale fenomeno. Sarà il caso ad esempio di un ensemble
disposto lungo un coro ligneo che riveste l’abside di una
32
chiesa. Il volume
occupato dall’abside avrà
un suono piuttosto
“secco”, ma quando il
suono raggiungerà la
navata della chiesa
diverrà oggetto di
riverberazione “da
chiesa”.
Le piccole chiese quasi
mai offrono apprezzabili
ritardi di attacco del
riverbero, in compenso,
salvo rare eccezioni,
hanno spesso a dispetto
delle dimensioni tempi di
decadimento
inaspettatamente lunghi,
uniti a colorazioni
piuttosto marcate, ed
eccessiva densità.
La densità è data dalla
tipologia di curva di
decadimento di un riverbero; indipendentemente dal tempo
impiegato, il decadimento di un riverbero quasi mai avverrà in
maniera lineare (e mai in maniera univoca per tutte le
frequenze coinvolte). Un fattore che contribuisce a conferire
eufonia a un riverbero sarà sicuramente una curva di
decadimento esponenziale che descriverà un abbattimento
rapido iniziale e poi progressivamente più lento, e che
qualificherà un riverbero come “a bassa densità”. Al contrario
un riverbero che per svariati decimi di
secondo manterrà l’energia del suono
d’origine, tanto da dare l’impressione a
volte di un mancato rilascio, verrà
qualificato come riverbero ad alta
densità, che per certi repertori può
perfino risultare funzionale, ma che nella
maggior parte dei casi risulterà
sgradevole.
Teatri e auditorium possiedono in genere
tempi di decadimento piuttosto corti,
motivo per cui a volte i cantori… preferiscono cantare altrove!
Al contrario nelle cosiddette hall, intese come foyer di teatri,
aule magne di università o grandi sale conferenze il riverbero
ai fini dell’esecuzione di musica corale risulterà spesso né
troppo lungo e denso come quello di certe chiese, né “troppo
corto” come nei teatri.
All’aperto il riverbero sarà in genere poco percettibile; ne
troveremo traccia nei chiostri e sotto i portici, più
difficilmente in campo libero; in compenso anche la presenza
di riflessioni perniciose sarà sicuramente limitata rispetto ad
ambienti chiusi. Unico accorgimento per le registrazioni
all’aperto sarà quello di utilizzare le cuffie antivento per
coprire i microfoni (in genere in dotazione con gli handheld
recorders), perché anche refoli appena percettibili possono far
insorgere risonanze fastidiose.
Del colore come influenza sul timbro abbiamo parlato in
precedenza. Aggiungiamo che lo spettro del suono d’origine
subirà una volta riverberato e a seconda dei casi trattamenti
diversi per diversi punti della sua gamma. Il riverbero potrà
così risultare chiaro (se le frequenze appartenenti alla gamma
medio-alta avranno tempi di decadimento più lunghi delle
altre), equilibrato (se le differenze fra i tempi di decadimento
delle fasce di frequenza che compongono lo spettro non
risulteranno eccessive), o scuro (se le frequenze
maggiormente riverberate apparterranno essenzialmente al
registro basso). Quest’ultimo tipo di riverbero, può contribuire
all’insorgenza del fenomeno comunemente definito
“rimbombo”, generalmente piuttosto sgradevole all’ascolto.
Infine l’intonazione: sarà sufficiente dire che il riverbero potrà
mantenere il tono del suono che andrà a riverberare, o in
alcuni casi la progressiva perdita di energia delle riflessioni
che lo determinano potrà farlo calare, tipologia questa
pericolosissima specie per l’esecuzione di repertorio a
cappella; il migliore augurio che io possa fare a tutti i coristi
e i direttori che stanno leggendo questo articolo è quello di
imbattersi sempre in riverberi… intonati!
Immagine stereofonica
Se l’operatore desidera raffinare i risultati della sua ripresa
rispetto a quanto si può ottenere dai semplici gesti di
centrare l’asta rispetto al coro e dall’alzare i microfoni al di
sopra della testa del direttore, possiamo qui introdurre il
concetto di immagine stereofonica, ovvero della possibilità di
riprendere e successivamente riprodurre (con un impianto di
Le riprese devono essere effettuate
con perizia e mezzi tecnici di qualità
sufficiente a garantire un ascolto
equilibrato e dettagliato.
qualità sufficiente, ben calibrato e con l’ascoltatore nella
giusta posizione di ascolto) la posizione degli esecutori sul
palco, la qual cosa contribuirà senz’altro a una migliore
intelleggibilità della partitura riprodotta.
Ogni coppia di microfoni opportunamente disposti (come
quelli che equipaggiano gli handheld recorders) sarà in grado
di fissare più o meno correttamente la posizione degli
esecutori entro un dato angolo. Se il manuale del registratore
non fornisce l’ampiezza dell’angolo in questione, che
definiremo “angolo di ripresa”, dovremo, se interessati,
ricavarlo empiricamente.
In un ambiente di grandi dimensioni, ma meglio ancora se
all’aperto e lontano da ostacoli (al centro ad esempio di un
fragmentA
piazzale o di un campo da calcetto andrà benissimo)
posizionate asta e registratore all’altezza della vostra testa.
Con l’aiuto di una corda di 3 o 4 metri di lunghezza, di cui
un’estremità sarà fissata all’asta, disegnate per terra con un
gessetto un semicerchio dalla parte verso la quale i microfoni
saranno orientati. Segnate sul semicerchio nel punto in cui
sarà intersecato dalla perpendicolare al registratore il punto
zero. Poi con l’aiuto di un goniometro e della corda fate un
segno sul semicerchio ogni 10° a partire dal punto zero fino
ad arrivare a 90°, sia a destra che a sinistra. I 90° dovranno
coincidere con le perpendicolari ai lati del registratore.
Mettete in registrazione il registratore, posizionatevi sul punto
zero del semicerchio e guardando verso i microfoni
pronunciate con voce forte e chiara il nome del punto in cui vi
trovate (ovvero “punto zero”) Spostatevi di 10° dal lato che
preferite e pronunciate nuovamente il nome della stazione, e
così via fino ad arrivare a 90°.
Ripetete l’operazione dalla parte opposta. Riascoltando in
cuffia vi accorgerete che fino a un certo punto a partire dal
punto zero il registratore documenterà il vostro movimento,
oltre quel punto dapprima sembrerà che non vi muoviate più,
poi il suono della vostra voce apparirà
progressivamente più lontano e più scuro.
La somma del valore degli angoli a destra e sinistra
del punto zero entro i quali al riascolto in cuffia
avrete sensazione di movimento costituirà l’angolo
di ripresa del vostro impianto. Se ad esempio
percepirete il vostro movimento al riascolto in cuffia
di 50° a destra e 50° a sinistra del punto zero
l’angolo di ripresa complessivo del vostro sistema
ammonterà a 100°.
Ne conseguirà che per riprendere e riprodurre correttamente
l’immagine stereofonica del vostro coro dovrete, nell’esempio
in questione, porre l’asta microfonica a una distanza tale dal
coro che permetta ai microfoni di “vederlo” entro 100°. Se in
sede di ripresa, con l’aiuto di un goniometro doveste
accorgervi che il coro occuperà un angolo superiore sarà
opportuno arretrare l’asta rispetto al coro fino a che non sarà
“visto” in tutta la sua estensione almeno entro l’angolo in
questione.
Sarà un po’ come scattare una foto di gruppo con una focale
fissa; bisognerà arretrare finché tutti i componenti del gruppo
rientreranno nell’obbiettivo.
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secondo, al riascolto la voce del cantore più arretrato risulterà
molto meno sonora di quanto non sarebbe sembrato in sala a
un ascoltatore messo al posto del microfono. Questo perché
durante un concerto il senso della vista aiuta l’ascoltatore a
compensare non solo eventuali carenze acustiche
dell’ambiente d’ascolto, ma anche quelle date dalla
disposizione degli esecutori rispetto all’ascoltatore stesso;
prendendo di nuovo a prestito un esempio dal mondo
dell’ottica, il fenomeno ricorda quanto avviene quando
osserviamo un soggetto da una macchina fotografica con
obbiettivo non bene a fuoco; dopo qualche momento il nostro
occhio provvederà a mettere a fuoco l’immagine, ma se
scatteremo la foto il risultato sarà poi un’immagine sfuocata.
L’osservazione laterale da parte dell’operatore della distanza
che intercorre dalla prima e dall’ultima fila del coro rispetto ai
microfoni gli permetterà di rendersi conto se esiste una
sproporzione suscettibile di problemi.
Indicativamente la distanza della prima fila dall’ultima
andrebbe moltiplicata almeno per tre. Se la prima e l’ultima
fila distano ad esempio 2 metri, i microfoni andranno
allontanati dalla prima fila di almeno 4 metri.
Quasi mai i luoghi dei concerti
vengono scelti in base
alla loro acustica.
Profondità
Un’immagine stereofonica equilibrata consente in genere
anche una buona percezione della profondità della scena
sonora ovvero della posizione degli esecutori disposti su più
file. Tuttavia, una registrazione a distanza troppo ravvicinata
di un ensemble, sia pure rientrante nell’angolo di ripresa dei
microfoni in nostro possesso, comporta la possibilità di
rompere l’equilibrio in termini di volume fra le sezioni del coro
o fra il coro ed eventuali strumenti che l’accompagnano.
Ad esempio due cantori che canterano verso un microfono a
una distanza da esso di un metro il primo, e due metri il
Un altro mezzo a nostra disposizione per ovviare a questo
problema consiste nell’incrementare l’altezza da terra dei
microfoni. Fermo restando che l’alzata minima dei microfoni,
che come si è detto si troveranno alle spalle del direttore,
sarà quella che ci consentirà di superare in altezza la testa
del direttore di almeno mezzo metro (perché altrimenti il
corpo del direttore farà da ostacolo per molte frequenze in
gamma medio alta dello spettro con effetti deleteri, fra l’altro,
sulla riproduzione dell’immagine) non potendo o non
desiderando arretrarli ulteriormente, potremo alzarli se l’asta
a nostra disposizione ce lo consente fino a un’altezza tale da
ottenere il rapporto “uno a tre” di cui sopra. Occorrerà
tuttavia tener conto che alzare i microfoni molto al di sopra
della testa dei cantori comporterà un progressivo
“sfuocamento” del suono; se è vero infatti che in qualunque
punto di un ambiente venga posto un microfono a esso
giungerà comunque il suono di una fonte posta nello stesso
ambiente, è anche vero che se la bocca della fonte non sarà
orientata verso il microfono stesso, o lo sarà ma a distanza
eccessiva, questo non sarà in grado di catturare
correttamente il transiente di attacco del suono emesso,
fenomeno questo che risulterà amplificato in ambienti molto
riverberanti.
confronto
e scoperta
al festival di primavera
di Alessandro Zucchetti
Il Festival di Primavera di Montecatini Terme è uno degli eventi di maggior prestigio rivolto alle
ormai numerose realtà corali scolastiche. È proprio in questi ultimi anni che anche nelle scuole
italiane il coro sta avendo una propria identità e seguito: il desiderio di cantare insieme, ritrovarsi
dopo le lezioni mattutine di matematica o latino per fare musica con i compagni di classe,
condividere la passione per la musica e quindi preparare concerti, è un momento sempre più
richiesto e praticato dagli adolescenti delle istituzioni scolastiche italiane. Di tutto questo ci si può
ben rendere conto ormai nelle prime settimane del mese di aprile, a Montecatini, nella splendida
Toscana, che diventa per l’occasione la capitale del canto giovanile e che vede un crescendo
costante del numero di partecipanti. Quest’anno, da mercoledi 6 a sabato 9 le quattordici scuole
medie, dal 13 al 16 le venti scuole superiori, hanno popolato i dieci atelier, dalla musica antica al
vocal pop, dai canti etnici a Mozart, dalla musica romantica alla world music, lavorando sulle
musiche scelte dai docenti, eseguite poi al concerto finale.
Da direttore di un coro di scuola superiore, prima della partenza, ho potuto osservare l’entusiasmo
e la curiosità che viene rivolta da parte dei ragazzi verso le scuole che si andranno a incontrare, il
docente che terrà l’atelier, il repertorio, la durata delle prove dell’atelier stesso. Nelle settimane che
precedono il festival, in classe, le domande che mi venivano rivolte erano sempre le stesse:
«canteremo insieme al gruppo dell’anno scorso?», «qual’è il brano che canteremo tutti insieme?»,
«mi ha mandato su facebook un messaggio Tizio del coro del Liceo X e mi ha scritto che
frequenterà il corso Y… ma che brani si cantano quest’anno?».
Poi, arrivati a Montecatini, in prova, senza perdere troppo tempo e dopo aver fatto conoscenza dei
cori amici che condividono l’atelier, si comincia subito a lavorare insieme sui brani; si riscalda la
voce e molte domande hanno finalmente una risposta: «ma che bello il brano in spagnolo!», «a me piace di più il canto indios!».
I pareri e i commenti sono sempre numerosi e coloro che studiano già uno strumento osservano e
si confrontano: «faccio una battuta di pausa poi parto con il riff della percussione».
Il mio coro seguiva l’atelier World Music. Come l’anno scorso è stato tenuto da Silvana Noschese,
che ha fatto lavorare gli oltre cento ragazzi con musiche da tutto il mondo: elaborazioni di brani
indios, melodie spagnole, canti tradizionali. Questa selezione ha suscitato molto interesse; è un
modo didatticamente intelligente di approcciare il canto corale (per molti dei miei cantori era la
confront
ASSOCIAZIONE
prima esperienza al festival e avevano alle spalle solo
qualche mese di coralità) oltre che utile a far conoscere
la varietà musicale di ciascun popolo. Con qualche
coreografia e danza, curata dalla stessa docente, tutto è
stato è stato più divertente e coinvolgente!
Finita la giornata, finalmente arriva il momento di relax a
spasso per la città con qualche precauzione per il
raffreddore!
Nel giorno seguente tutti i ragazzi hanno potuto
ascoltare l’esibizione del Coro Giovanile Italiano, diretto
nella prima parte da Dario Tabbia e nella seconda da
Lorenzo Donati, dopo un’esauriente presentazione di un
evento molto importante del 2012: il Festival Europa
Cantat a Torino!
Il CGI è il fiore all’occhiello della coralità italiana, dove
giovani selezionati da tutto il paese hanno la possibilità
di lavorare con direttori di chiara fama ed esibirsi in
tourneé in prestigiosi festival. Le osservazioni dei ragazzi
del mio coro sono diventate: «mi piacerebbe cantare con
loro!», «potrei un giorno cantare in questo coro?».
L’esibizione di questa formazione giovanile ha fatto
nascere in molti la curiosità verso repertori che prima di
partire potevano risultavano sconosciuti ma che hanno
ora suscitano interesse. Ed è proprio questo che si
respira a Montecatini: la possibilità di ascoltare una
grande varietà di musiche proposte nei vari atelier e i
brani preparati dai cori provenienti da tutta Italia; questo
è un momento importantissimo di confronto e scoperta
per i giovani cantori e per i direttori.
Ed è proprio per i direttori che sono stati pensati gli
incontri con lo staff organizzativo presieduto dal direttore
artistico del festival, Lorenzo Donati. Capita spesso di
incrociarsi alle varie rassegne organizzate in Italia anche
dalla stessa Feniarco e non avere spazio di tempo per
confrontarsi sulle varie problematiche.
Quest’anno il consueto Gran Concerto di Primavera (per
le scuole superiori) ha avuto luogo al Nuovo Teatro Verdi
e ha visto la partecipazione delle venti scuole e di circa
680 cantori che si sono
esibiti con i propri
direttori e guidati da
Mauro Marchetti (Musica
Rinascimentale), da
Franca Floris (Musica
Romantica), Silvana
Noschese (Word Music),
Rogier Ijmker (Vocal Pop),
Luigi Marzola (Choral
Mozart) alternandosi sul palco del Verdi presentando il
lavoro fatto. L’esibizione dei cori e dei vari atelier è il
momento più emozionante del festival. Si può ascoltare e
rendersi conto di come in questi anni il festival abbia
fornito spunti e stimoli per far sì che la coralità si avvicini
al mondo dei cori scolastici che sono il futuro dei cori.
L’esperienza corale è anche dal lato umano una grande
nto
L’esperienza corale è anche
dal lato umano una grande
palestra di convivenza.
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il Coro Giovanile Italiano
verso torino 2012!
Un intenso biennio di attività attende il Coro Giovanile Italiano, che ha
potuto esibirsi nella sua nuova veste il 13 e 14 aprile rispettivamente ad
Arezzo e a Montecatini Terme, nell’ambito del Festival di Primavera.
Alla guida della formazione corale, due noti direttori di coro: Dario Tabbia e
Lorenzo Donati che, dopo le selezioni avvenute durante l’inverno, hanno
scelto 32 giovani coristi per dare vita alla nuova formazione. Il repertorio è
stato ripartito fra musica sacra del XVI-XVII secolo (H. Schütz e T.L. de
Victoria) affidato alla direzione di Dario Tabbia, e musica di autori italiani
del Novecento (B. Bettinelli, I. Pizzetti, G. Petrassi e P. Clausetti) sotto la
guida di Lorenzo Donati. In pochissimi giorni il coro è riuscito a trovare
un’intesa con i due direttori e a presentarsi pronto ai concerti del debutto,
grazie anche a intense sessioni di prove che hanno contribuito a cementare
il gruppo e dato la possibilità a ragazzi provenienti da tutt’Italia di
condividere la propria passione per il canto corale.
Il coro, formato da giovani con esperienze musicali differenti (molti direttori
di coro e cantanti, ma anche semplici cantori con una formazione da
strumentisti) non si è fatto trovare impreparato all’appuntamento e anzi ha
dimostrato, nonostante l’età dei partecipanti, senso di maturità e
responsabilità sia nella preparazione che ha preceduto l’arrivo a
Montecatini, sia nei quattro giorni di prova prima dei concerti. Al di là
dell’aspetto musicale, che certamente è stato apprezzato visto il calore che
il pubblico ha dimostrato, l’esperienza ha fatto nascere nuove amicizie,
nuovi contatti e dato molti spunti musicali che ciascun corista porterà con
sé aggiungendoli al proprio vissuto musicale. L’entusiasmo che ha
contagiato coristi e maestri è stato grande e ha dimostrato come questo
tipo di iniziative siano veramente utili per la crescita del livello qualitativo
dei cori italiani, a cui ciascun corista è tornato alla fine dell’esperienza.
L’auspicio è che il Coro Giovanile Italiano possa proseguire felicemente
nella propria attività, non solo nell’attuale formazione, che resterà stabile
sino al grande appuntamento del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012,
ma anche negli anni futuri, e che possa diventare un punto di riferimento e
una meta per tutti i giovani cantori, un luogo dove crescere e maturare
musicalmente ma anche umanamente e poter fare musica corale ad alto
livello, cosa ancora oggi difficilmente realizzabile nel nostro paese,
nonostante la presenza di alcune realtà di eccellenza.
Mattia Culmone
palestra di convivenza in cui attraverso il
canto si possono conoscere culture
lontane, apprezzare quelle più vicine,
rendersi conto della bellezza del nostro
patrimonio culturale. Non poteva mancare
nell’anno dei 150 anni dell’unità d’Italia un
omaggio alla nazione con un
arrangiamento di una nota canzone di
Giorgio Gaber, La libertà, eseguita
dall’intero teatro.
Una novità molto apprezzata è stato la
scelta di proporre i concerti dei singoli cori
all’interno dei vari istituti toscani di
Arezzo, Empoli, Marina di Massa, Sesto
Fiorentino, Pisa, Viareggio, Montepulciano.
L’ultimo giorno quindi, i vari cori si sono
esibiti davanti a intere classi che con
partecipazione hanno applaudito
apprezzato i loro coetanei. Sarebbe
auspicabile avere un coro in ogni scuola
come l’allora ministro Berlinguer
proponeva; la musica a scuola,
specialmente negli istituti superiori, è
“ufficialmente” trascurata, salvo i pochi
licei musicali, ed è solo grazie ai singoli
progetti pomeridiani che si cerca di
colmare questo gap. È grazie a queste
iniziative che ci si può rendere conto di
quanto la musica ricopra un posto
importante per uno studente che ogni
giorno ascolta tramite il proprio ipod o
youtube il proprio brano preferito, ma che
più difficilmente può cimentarsi a produrre
musica; attraverso il canto e la coralità
chiunque ha la possibilità di fare musica,
nei repertori e stili più vari e insieme ai
propri compagni di classe.
Ritornando a casa si fa tesoro di questi
bei giorni passati cantando; il Festival di
Primavera di Montecatini è un
appuntamento da non perdere, ricco di
stimoli e idee e mi sento di ringraziare
tutto lo staff per questa bellissima
iniziativa.
ASSOCIAZIONE
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CHORAL MANAGEMENT TODAY
Esperienze a confronto
di Fabrizio Vestri e Silvia Danielis
CMT è… formazione!
Nel mondo della produzione culturale e della gestione delle
realtà associative, è crescente la necessità di mettere in
campo una molteplicità di competenze tecnico-manageriali
che garantiscano a un’attività culturale longevità e
produttività.
Feniarco – grazie al sostegno del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali – ha realizzato un importante progetto di
formazione e aggiornamento che va incontro proprio a queste
esigenze: CMT - Choral Management Today.
Due i percorsi promossi da Feniarco nell’ambito di questo
progetto: il primo rivolto ai responsabili delle associazioni
corali, il secondo dedicato alla formazione di giovani manager
in ambito corale e musicale.
Il primo percorso incentrato sulla gestione e organizzazione
delle associazioni corali si è svolto tra il 7 maggio e il 5
giugno in quattro appuntamenti rispettivamente a
Castelfranco Veneto (Tv), Torino, Salerno e Roma. Nell’arco di
ogni giornata sono stati trattati temi d’interesse per il
management degli enti corali territoriali affrontati con la
collaborazione di relatori esperti del settore, secondo una
formula che si è ripetuta costante in ciascuno dei quattro
incontri.
Il saluto del presidente Sante Fornasier ha dato inizio al
programma dei lavori aperti dal modulo del dott. Marino
Firmani e dedicato alle strategie del marketing applicate al
mondo della produzione culturale.
Il dott. Giorgio Amico ha posto l’accento sugli adempimenti
normativi e fiscali che le associazioni sono tenute
a osservare per il rispetto della propria posizione
legale (il dott. Amico è intervenuto a Salerno e
Roma mentre a Castelfranco Veneto e a Torino,
sugli stessi temi, ha relazionato il dott. Giancarlo
Andolfatto, n.d.r.).
Il delicato aspetto della gestione amministrativocontabile di un’associazione è stato affrontato dal
dott. Marco Fornasier: il modulo ha reso accessibile
anche ai non addetti ai lavori un aspetto
apparentemente spinoso della condotta di un’attività
culturale.
La dott.ssa Annarita Rigo ha fornito ai presenti un utilissimo
vademecum per la programmazione e organizzazione di
eventi corali, approfondendo con Marco Fornasier l’aspetto
della promozione attraverso canali “classici” e soprattutto
tramite i new media.
Ciascuna delle intense giornate di aggiornamento si è infine
chiusa con l’intervento della dott.ssa Michela Francescutto
dedicato al Festival Europa Cantat e, in particolare, alla
prossima edizione che si terrà a Torino nel 2012.
Questa iniziativa è stata accolta con molto interesse dai
responsabili delle diverse associazioni regionali e dei cori che
hanno partecipato attivamente e con grande numero di
presenze. A conclusione di ciascun modulo è stato dato
spazio al confronto con i diversi relatori, con domande e
approfondimenti riguardanti tematiche vicine alle esigenze dei
partecipanti stessi.
I quattro appuntamenti dislocati sul territorio nazionale sono
Un’ottima occasione di confronto
e di crescita per tutti coloro che
rappresentano realtà associative.
stati certamente un’ottima occasione di confronto e di
crescita per tutti coloro che rappresentano realtà associative,
sia a livello locale che regionale, un forte incentivo che
indubbiamente favorirà la crescita delle nostre associazioni
corali.
Tra il 26 giugno e il 3 luglio nella città di Torino, in
concomitanza con le manifestazioni Cantare è giovane! e
Songbridge, ha preso vita il secondo percorso promosso da
Feniarco nell’ambito del progetto CMT: lo stage per giovani
manager in ambito corale-musicale.
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Un gruppo di ragazzi under 30, selezionato dalle diverse
associazioni regionali, ha avuto l’opportunità di vivere
un’intera settimana di formazione dedicata al choral
management.
Il corso coordinato da Marco Fornasier, Michela Francescutto
e Annarita Rigo è stato strutturato in due fasi: nei primi tre
giorni di lezione frontale sono state affrontate tematiche
riguardanti la gestione manageriale di associazioni e
l’organizzazione di eventi, mentre nella seconda fase i
partecipanti allo stage hanno attivamente collaborato alla
realizzazione del festival Cantare è giovane!
Durante le lezioni sono stati esposti, con un approccio di
respiro internazionale, gli argomenti tecnici affrontati nel
corso degli incontri dedicati ai responsabili delle associazioni
regionali e non solo. Ulteriori moduli hanno permesso incontri
con artisti e operatori attivi nel settore culturale e dello
spettacolo che hanno condiviso il proprio bagaglio di
competenze con i partecipanti allo stage: Sonja Greiner, Jenny
Grant, Victoria Liedbergius, Arianna Stornello hanno portato
la loro esperienza internazionale maturata in ambito delle
maggiori organizzazioni corali europee; Sergio Bonino e
Laura Tori hanno descritto la propria attività di responsabili
all’interno del festival MiTo SettembreMusica; Alessandro
Cadario è intervenuto sul difficile equilibrio che si deve
instaurare tra la parte artistica e quella organizzativomanageriale nella realizzazione di concerti; Valerio Perino ha
posto l’accento sulle necessità tecniche e logistiche che la
produzione di un evento comporta; Paolo Luino ha parlato
dell’importanza di una cosciente gestione dei new media, in
modo particolare di internet, per un’efficace promozione della
propria attività culturale.
Dopo i giorni di preparazione teorica ha avuto inizio la parte
operativa. I compiti e gli incarichi da svolgere per il festival
Cantare è giovane! sono stati numerosi, ma la squadra di
CMT non si è mai scoraggiata e si è sempre dimostrata
dinamica e all’altezza della situazione.
Al termine di questo percorso è possibile affermare che,
grazie all’apporto dei giovani stagisti e dei loro coordinatori,
l’accoglienza dei cori e dei direttori partecipanti al festival,
l’allestimento di tutti i luoghi della manifestazione, la cura
nello svolgimento delle esibizioni e molti altri piccoli ma
importanti dettagli, sono stati impeccabili.
Lo stage per giovani manager in ambito corale-musicale ha
raggiunto un obiettivo importante: formare promettenti
manager con lo scopo di creare un valido gruppo di lavoro
che si rivelerà prezioso anche in vista dell’edizione italiana
del Festival Europa Cantat XVIII. L’affiatamento e la passione
con cui i ragazzi hanno collaborato lasciano ben sperare per
l’appuntamento internazionale di Torino 2012 e fanno
trasparire prospettive incoraggianti per il futuro e lo sviluppo
dell’associazionismo corale italiano.
(f.v.)
CMT è… giovane!
Quello che è certo è che nessuno della ventina di giovani
partecipanti a CMT - Choral Management Today si scorderà
facilmente la settimana passata a Torino e in particolare i
giorni che ne hanno visto il coinvolgimento all’interno
dell’organizzazione del festival Cantare è giovane!
Il programma dello stage, che ha avuto luogo dal 26 giugno
al 3 luglio scorsi a Torino, è stato diviso in due parti: la prima
riservata all’intervento
di relatori molto
preparati, che si sono
dedicati a relazioni di
carattere teorico ma al
tempo stesso interattivo
sui temi del marketing,
della promozione e del
crisis management,
oltre che sul Festival
Europa Cantat XVIII Torino 2012 e sulle
realtà associative corali
italiane ed europee. La
seconda parte è stata
una vera e propria messa in pratica di quanto appreso. Anche
se ognuno dei ragazzi dello stage, provenienti da tutta Italia,
aveva già alle spalle piccole o grandi esperienze, un
coinvolgimento a 360° e 24 ore su 24 in tutte le singole
attività che riguardano l’organizzazione di un evento della
portata del festival Cantare è giovane! è stato certamente
una novità per tutti.
Se da un lato l’assegnazione di precisi compiti ha dato qualcosa
di concreto a cui appoggiarsi, la libertà di proporre soluzioni o
di prendere alcune decisioni che è stata affidata ai giovani dello
stage, in particolare in situazioni di crisi o imprevisti, ha
permesso dall’altro di mettersi in gioco fino in fondo, mettendo
alla prova la personale capacità di gestione di un evento
complesso ma soprattutto dello stress e degli imprevisti che ne
derivano. Ciò che però ha giocato un ruolo fondamentale, che
troppe volte viene invece sottovalutato, se non addirittura
ignorato, è l’attenzione nel creare all’interno di un vero e proprio
gruppo di lavoro, un gruppo i cui singoli elementi si muovano in
armonia e provino fiducia nella reciproca collaborazione.
Evitare passaggi inutili, o evitare l’insorgere di problemi e
fraintendimenti nella comunicazione, ha reso decisamente più
efficace ed efficiente oltre che più piacevole lo svolgere ogni
singolo compito. È questo il motivo principale grazie al quale il
Team CMT è rimasto tale anche dopo l’avventura di Torino.
(s.d.)
ASSOCIAZIONE
39
Ricchezza, varietà, diversità
a Roma la Giornata Nazionale della Musica Popolare
Istituita con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri
del 13 maggio 2004, la Giornata Nazionale della Musica
Popolare, celebrata in tutta Italia lo scorso 14 maggio, ha
avuto quest’anno il suo culmine nella manifestazione svoltasi
nel pomeriggio a Roma. Nell’occasione del 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, il Tavolo nazionale per la Musica Popolare
e Amatoriale, che ne è stato il promotore, ha voluto,
attraverso i cori, le bande e i gruppi folcloristici invitati alla
giornata romana, rappresentare l’Italia attraverso le sue venti
regioni.
Cinque cori, dieci bande e cinque gruppi folkloristici,
provenienti ognuno da una diversa regione italiana, hanno
rappresentato la varietà delle culture regionali che formano
l’unica Italia. Al tempo stesso hanno mostrato la ricchezza
delle culture musicali popolari, la varietà di espressioni,
diversità dei linguaggi.
Cambiamenti di data dell’ultima ora (la giornata, secondo la
direttiva della Presidenza del Consiglio, cade la terza
domenica di maggio, ma varie ragioni, non ultima la
concomitanza delle elezioni amministrative, hanno costretto
ad anticipare al sabato la manifestazione), hanno impedito al
coro abruzzese Fonte Vetica, già resosi disponibile, di
partecipare. Gli altri quattro cori hanno comunque
degnamente rappresentato la coralità italiana.
Ne hanno mostrato, innanzitutto, la diffusione in tutt’Italia:
erano presenti un coro valdostano, il Mont Rose, diretto da
Silvio Vuillermoz; un coro veneto, il Monte Cimon di Miane,
diretto da Paolo Vian; un coro emiliano, i Castellani della
Valle di Bologna, diretti da Gian Marco Grimandi; un coro
pugliese, il Piccolo Coro Stabile di Barletta, diretto da Maria
Teresa Nesta. Quattro cori che hanno rappresentato le
diverse tipologie del mondo corale, da quello maschile (i cori
Mont Rose e Monte Cimon) a quello misto, con i Castellani
della Valle, e quello di bambini, con il Piccolo Coro Stabile,
che si è costituito all’interno del IV circolo didattico San
Domenico Savio di Barletta: un dato, quello della giovane età
dei coristi pugliesi, unico non solo tra i cori, ma in tutta la
manifestazione, a sottolineare una peculiarità del nostro
mondo corale sempre più presente nelle scuole e nelle
generazioni più giovani.
In una giornata strutturata più sul versante celebrativo che su
quello musicale, e modellata forse più a misura di banda che
di coro, la nostra rappresentanza non si è persa d’animo:
mentre le bande e i gruppi folcloristici sfilavano per le vie
della capitale, i quattro cori animavano Piazza di Spagna,
sede del momento conclusivo della manifestazione. Sparsi
agli angoli di uno dei luoghi più suggestivi di Roma, hanno
dato vita a un concerto spontaneo presentando i diversi
repertori regionali in una simpatica e non tanto inconfessata
gara a chi coinvolgeva di più il pubblico presente.
Infine la parte conclusiva e ufficiale della giornata: il concerto
in cui tutti i gruppi, sulla Scalinata di Trinità dei Monti, si
sono alternati con un paio di brani a testa. Infine, dopo gli
interventi delle autorità, tra le quali spiccava il presidente del
Comitato per il 150° dell’Unità d’Italia, on. Giuliano Amato, il
canto, bande e cori insieme, dell’Inno degli italiani di
Goffredo Mameli.
Un ringraziamento particolare di tutta Feniarco va ai cori che
hanno partecipato alla Giornata Nazionale della Musica
Popolare; un ringraziamento che va esteso anche a tutti
quelli che si erano resi disponibili, ma che non sono stati
selezionati perché a rappresentare la loro regione è stata
chiamata una banda o un gruppo folcloristico. Si vedranno le
forme i modi con cui questa giornata verrà riproposta e
organizzata nelle prossime edizioni, certi che, comunque, la
nostra coralità saprà rispondere nel migliore dei modi.
cantare È giovane!
cantare con i giovani
di Dario Piumatti
Si è concluso ai primi di luglio il festival Cantare
è giovane! organizzato da Feniarco a Torino, città
in fermento per l’approssimarsi del prestigioso
evento corale internazionale di Europa Cantat che
si svolgerà nell’estate del 2012.
Una vera e propria prova generale, così è stato
definito il festival nella serata inaugurale. Una
prova generale ben riuscita, posso affermare
oggi da cantore, direttore di coro, nonché
cittadino torinese. Sono infatti felice, orgoglioso
e ottimista valutando quanto visto e vissuto in
questi cinque splendidi giorni di musica corale.
Il festival si è svolto da mercoledì 29 giugno a
domenica 3 luglio e ha coinvolto otto cori di voci
bianche e giovanili selezionati, e di alto livello,
provenienti da diverse regioni d’Italia: Coro
giovanile Dauno U. Giordano di Foggia, Coro
giovanile Diapason di Roma, Coro giovanile Il
Calicanto di Salerno, Coro da camera del
Conservatorio “G. Verdi” di Torino, VociInNote di
Torino, Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa (Ud),
Coro giovanile I Minipolifonici di Trento, Coro
Artemusica di Valperga (To).
La manifestazione si è svolta su alcuni prestigiosi
palcoscenici della città e di altre province del
Piemonte. Oltre alla ricca proposta concertistica
diffusasi in tutta la regione, ci sono stati momenti
di studio e di costruttivo confronto con direttori
di fama internazionale provenienti dall’esperienza
di Songbridge, progetto internazionale approdato
per la prima volta in Italia grazie a Carlo Pavese,
e promosso dall’International Federation for
Choral Music, che ha avuto modo di incontrare il
festival in modo “coral-interattivo” nella
bellissima sala del Teatro Carignano, cuore del
centro storico. Singolare di questa serata infatti è
stata proprio l’esecuzione partecipata di tre brani
proposti da tre cori sul palcoscenico, Piccoli
Cantori di Torino, Coro Efroni (Israele) e Cor
Infantil Sant Cugat (Spagna) in cui il pubblico è
passato da spettatore a vero protagonista
svolgendo una parte attiva e coinvolgente.
Cantare è giovane! ha anche offerto un suo
importante contributo alle celebrazioni per il
150º anniversario dell’Unità d’Italia, inserendosi
splendidamente nell’ambito di Esperienza Italia
cantar
ASSOCIAZIONE
41
150 con la proposta, nella serata finale del sabato, della
prima esecuzione assoluta di un brano composto e diretto da
Alessandro Cadario. Il Concerto a 8 cori, brano unico nel suo
genere, articolato su temi inerenti la costituzione dello Stato
italiano, con le sue peculiarità linguistiche legate alle
tradizioni culturali delle diverse regioni ha sortito un forte
impatto acustico e scenico nonché compositivo, regalando
agli ascoltatori e agli esecutori da una parte intense
emozioni, dall’altra un nuovo sguardo sull’idea stessa
dell’Italia corale e della coralità italiana.
VociInNote, la giovane realtà corale torinese di cui sono
direttore artistico, si è avvicinata per la prima volta a un
evento così visibile e importante per la coralità giovanile
italiana. Grazie a questa partecipazione, si è fortificata nel
gruppo la consapevolezza del lavoro svolto in questi sei anni
di vita. Abbiamo avuto la possibilità di conoscere e scoprire
nuove realtà nonché l’occasione di raccontare il nostro modo
di fare coro.
Dopo il primo ed emozionante impatto del concerto
inaugurale tenutosi nel suggestivo Tempio Valdese, in cui i
cori si sono presentati, ci siamo accorti di respirare un’aria
nuova: duecento ragazzi che senza essersi mai incontrati
prima si comportavano come amici di vecchia data.
Accoglienza, ascolto, dialogo, buona musica: Torino da quella
sera mi è sembrata una calamita di musica giovane fatta da
giovani!
Negli occhi dei tanti ragazzi e ragazze si leggevano le
emozioni, la carica e la concentrazione di chi ha voglia di
cantare non solo le note, ma di cantare la gioia del vivere in
coro, di sentirsi parte di un gruppo che produce positività,
regala energia e benessere, dona se stesso attraverso la
propria voce.
Nel secondo giorno di prove abbiamo avuto il piacere di
cantare con altre tre realtà corali (Coro Artemusica, Piccolo
Coro Artemìa e Coro giovanile Il Calicanto) che per l’occasione
sono diventate un unico grande coro a
disposizione della maestra Maya Shavit del
Coro Efroni.
Al termine di due ore di intenso studio, i ragazzi,
completamente avvolti da un bel suono corale,
hanno ignorato l’intervallo continuando a cantare
ancora. Noi direttori ci siamo ritrovati al centro di
un vortice corale totalmente improvvisato. Ancora
oggi il ricordo è presente e vivo nei miei pensieri e mi investe
nella sua totalità, nonostante siano passati parecchi giorni.
L’energia e la capacità di adattamento che hanno i giovani
sono strabilianti e travolgenti; dirigerli, educarli nella musica,
e crearla con e per loro rappresenta davvero un’opportunità
unica e arricchente per noi direttori, difficile da descrivere a
parole. Era scattata la molla!
Il culmine emotivo e musicale lo abbiamo raggiunto nella
trasferta del venerdì a Verbania sul Lago Maggiore, giorno nel
quale ogni formazione avrebbe condiviso l’intera giornata con
un coro gemello affidato. A noi, con enorme piacere, è toccato il
Coro giovanile Il Calicanto di Salerno, diretto da Silvana
Noschese, direttore di grande esperienza che già il mio
maestro, Dario Tabbia, con grande lungimiranza, mi aveva
descritto come esempio importante di coralità giovanile da
seguire e con cui confrontarsi.
È stata una giornata memorabile, unica davvero da quando
dirigo questo gruppo. Il concerto a due cori ha espresso
contemporaneamente vitalità, sincera passione e amore
condiviso unito a un eccellente livello artistico, a giudicare
anche dagli applausi ricevuti. I diversi repertori sono stati
presentati con uguale partecipazione, preparazione e
profonda dedizione riscuotendo un bel successo.
Desidero anche raccontare e condividere un aspetto di questo
incontro. Da quest’esperienza è nato un vero gemellaggio.
Giovani cantori, lontani più di mille chilometri tra loro, ma
vicinissimi come idea di canto corale, si sono incontrati nel
senso più profondo della parola. Si è formato infatti
idealmente un nuovo coro, interregionale, al quale i ragazzi
hanno voluto dare il nome di CalicantoInNote. Da questa
esperienza ho capito che “coro” non è solo un gruppo che si
ritrova in modo stabile nello stesso luogo e alla stessa ora di
un giorno, ma è una scelta di vita che non ha distanze, un
re con
Il coro è una scelta di vita, un
legame che non ti lascia mai da solo.
modo di pensare e di sentire la musica, un legame che non ti
lascia mai da solo.
Questo è il profumo che ancora inebria i ricordi del festival
Cantare è giovane!, arrivato nel nostro gruppo quasi per
caso, ed esploso tra giovani cantori di tutta Italia grazie alla
passione non solo dei cori e dei loro direttori, ma di tanti altri
addetti ai lavori, in particolar modo lo staff di Feniarco che,
con grande passione e sacrificio a livello organizzativo e
umano, ci ha portato a vivere queste emozioni, dandomi la
possibilità di raccontarvi, come semplice direttore di coro,
una personale esperienza di vita che mai dimenticherò.
42
Ready TO… sing!
si aprono le iscrizioni a torino 2012
A meno di 365 giorni dall’inizio di quella grande avventura che sarà il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012, proponiamo in anteprima al lettore di Choraliter un estratto dalla brochure informativa
del festival. Con l’augurio che questo piccolo assaggio faccia nascere il desiderio di assaporare
ancora più a fondo il piacere di un’esperienza unica e irripetibile.
Il Festival Europa Cantat è un posto per tutti, specialmente per i curiosi.
Cantanti curiosi e curiosi di cantare, direttori curiosi e curiosi di chi ci dirigerà, compositori curiosi e
curiosi di nuove composizioni, ascoltatori curiosi e curiosi di farsi ascoltare. Sono queste le persone che
si riuniscono ogni tre anni in una città europea, e per dieci giorni, in un ambiente interattivo e non
competitivo, lasciano che le loro voci e le loro orecchie, che i loro occhi e i loro cuori scandiscano il
tempo, che la loro memoria si nutra di nuovi visi, musiche, colori, la loro agenda di nomi di nuovi amici,
la borsa di nuovi spartiti, il palato di nuovi sapori, la vita di nuova sana energia. E tutto ciò vale oro.
Il mattino ha l’oro in bocca (e canta note preziose)
Quindi, se siete curiosi, e non vedete l’ora di voltare pagina ed entrare nel vivo delle offerte
musicali proposte dal Festival Europa Cantat, vi invitiamo a leggere queste righe con altrettanta
attenzione. Vogliamo infatti aiutare chiunque voglia partecipare attivamente al festival Europa
Cantat XVIII a fare il primo passo: scegliere un’attività mattutina proposta dal festival, iscriversi e
organizzare la propria permanenza a Torino.
Gli atelier
Il festival propone cinquanta atelier, che durano da quattro a otto giorni e si concludono con un
concerto pubblico. Gli atelier sono articolati su quattro livelli e la maggior parte di essi è aperta a
tutti. A ogni livello si può trovare la più grande varietà di generi musicali e tipologie corali, abbinata
a differenti durate (alcuni atelier inoltre prevedono un giorno libero). Agli atelier si possono iscrivere
cori completi, gruppi di coristi dello stesso coro (anche se in numero non sufficiente per esibirsi in
concerto), cori che si dividono su più atelier, singoli cantori.
Indicate tre scelte di atelier e iscrivetevi entro il 30 novembre: avrete la garanzia di partecipare a
uno dei tre!
ASSOCIAZIONE
43
I discovery atelier sono sessioni di una
mattina, programmate sull’intero arco del
festival, possono essere scelti in anticipo
o sul momento e affrontano specifici
ambiti vocali e corali soddisfacendo molte
vostre curiosità.
Gli atelier di quattro giorni e i discovery
atelier vi permettono di pensare
creativamente: potete abbinare due
atelier di quattro giorni (parte I e parte II)
creando interessanti combinazioni
(gregoriano e live electronics, per
esempio), potete inserire uno o più
discovery atelier nel vostro giorno libero
o dopo la fine dell’atelier principale,
potete costruire una permanenza al
festival con una serie di discovery
atelier… insomma potete incastrare al
meglio i pezzi del vostro mosaico!
Ecosistema corale: direttori, compositori
Tra le tante figure che compongono il
nostro habitat musicale, il festival
desidera potenziare le interazioni e gli scambi, con la
convinzione che il futuro della musica corale passi anche
attraverso l’incontro e un più intenso rapporto tra
compositori, direttori e cori. Per questo il festival vuole
accostare al programma per direttori, che tanto successo ha
riscosso a Utrecht, un nuovo programma per compositori e il
caloroso invito a tutti i partecipanti a portare a Torino nuove
idee, musiche, arrangiamenti e voglia di confrontarsi.
Del resto cinquanta atelier, discovery atelier quotidiani, cori
ospiti e numerosi concerti creano una concentrazione di
musicisti di altissima qualità e un’occasione irripetibile di
esperienze, incontri, aggiornamento, ispirazione.
Famiglie al completo (e amici diffidenti)
Non rinunciate a una settimana di vacanza con la vostra
famiglia per venire al festival. Abbiamo pensato anche a chi a
casa vostra non canta… il festival Europa Cantat XVIII può
diventare l’occasione di condividere con loro per qualche
giorno la vostra passione musicale: nel Musical kindergarten
per i più piccoli, nel Laboratorio per la scuola primaria,
nell’Atelier per chi non ha mai cantato in coro. A pensarci
bene questa proposta non vale solo per la vostra famiglia,
anzi, vi lanciamo una piccola sfida. Portate in vacanza i vostri
amici a Torino e fate loro scoprire perché quando avete le
prove con il coro scomparite e non ce n’è per nessuno!
ready TO perform
Se una giornata di festival fosse un respiro, il mattino
sarebbe l’inspirazione, quando nuova energia e nutrimento
entrano nel nostro corpo, e pomeriggio e sera una lunga
espirazione di concerti, esibizioni, open singing, fringe.
Unitevi alla festa musicale e regalateci il meglio del vostro
coro, del vostro repertorio, della vostra gioia di cantare e di
ascoltare. Ciascun coro partecipante al festival avrà le
seguenti possibilità di esibirsi:
• un concerto, insieme ad altri due cori, nell’ambito del
programma ufficiale;
• il concerto finale del proprio atelier;
• un concerto nella regione, in un giorno libero;
• esibizioni spontanee e senza limiti nel programma fringe
(per le strade, i portici, le piazze… e ovunque vogliate!).
Concerti di cori ospiti, progetti speciali, eventi particolari
(quali il concerto di apertura e di chiusura) saranno inclusi nel
programma. E le libere iniziative musicali saranno vivamente
incoraggiate. Il tutto nello spirito dell’open singing, il vero
cuore pulsante di ogni festival Europa Cantat, che raccoglie
ogni sera tutti i partecipanti in piazza per cantare, ma che si
propaga e coinvolge i luoghi più significativi della città.
Manager musicali, editori, musica-dipendenti
Anche voi siete benvenuti al festival. Riproporremo infatti il
programma per manager (YEMP) e l’esposizione editoriale
(Music Expo), e per chi non può fare a meno di concerti in
dosi massicce promettiamo la consueta abbuffata di musica
corale in forme consuete e inconsuete. In che senso? Beh…
siate curiosi! Venite a Torino!
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Torino 2012
Atelier
A - PER TUTTI
A1 The Bad Guys
per voci bianche
durata 7 giorni
Simone van Gog (NL)
Herma van Piekeren (NL)
A2 Forever Classical
per voci bianche
durata 6 giorni
Mario Mora (IT)
A3 Still Alive!
per voci giovanili
durata 7 giorni
Maud Hamon-Loisance (FR)
A4 Yo Man!
durata 4 giorni
per voci giovanili
Alessandro Cadario (IT)
A5 Party Music
per voci giovanili
durata 4 giorni
Kjetil Aamann (NO)
A6 Vivaldi: Gloria
per voci femminili
durata 7 giorni
Federico Maria Sardelli (IT)
A7 Bob Chilcott: A Little Jazz Mass
per voci femminili
durata 4 giorni
Basilio Astulez (ES/Basque)
A8 Signore delle cime
per voci maschili
durata 8 giorni
Maria Dal Bianco (IT)
Oliver Rudin (CH)
A9 Homo cantans
per voci maschili
durata 6 giorni
Hirvo Surva (EE)
A10 Latin American Ethnic Music
per voci miste
durata 8 giorni
Gustavo Maldino (RA)
A11 Polychorality
per voci miste
durata 7 giorni
Marco Berrini (IT)
Marco A. Garcia De Paz (ES)
Maike Bühle (DE)
A12 Haydn: Stabat Mater
per voci miste
durata 6 giorni
Martina Batic̆ (SI)
A13 Sing it! Cook it!
per voci miste
durata 6 giorni
Lorenzo Donati (IT)
A14 The Sound of Silent Films
per voci miste
durata 5 giorni
Pierre Loïc (FR)
A15 Urban Gospel
per voci miste
durata 4 giorni
Joakim Arenius (SE)
B - PER CHI LEGGE A PRIMA VISTA
E CHI ARRIVA PREPARATO
B1 Opera for Children
per voci bianche
durata 8 giorni
Elisenda Carrasco (ES/Cat)
Rob Kearley (UK)
B2 On the Wings of Imagination
per voci bianche
durata 6 giorni
Gabriella Thész (HU)
B3 The Edge of the Stage
per voci giovanili
durata 6 giorni
Lone Larsen (DK/SE)
B4 Groovy Ladies
per voci femminili
durata 6 giorni
Benoît Giaux (BE)
B5 Marian Music
per voci femminili
durata 5 giorni
Anne Karin Sundal-Ask (NO)
B6 Let’s Travel!
per voci femminili
durata 4 giorni
Basilio Astulez (ES/Basque)
B7 Male Voices and Strings
per voci maschili
durata 6 giorni
Jürgen Faßbender (DE)
B8 That’s all Folk!
per voci maschili
durata 4 giorni
Sofia Söderberg Eberhard (SE)
B9 The Fascination of Gregorian Chant
per voci maschili / voci femminili
durata 4 giorni
Alexander Markus Schweitzer (DE)
B10 Invitation to Baltic Song Celebrations
per voci miste
durata 8 giorni
Ints Teterovskis (LV)
B11 Opera Stage
per voci miste
durata 7 giorni
Lorenzo Fratini (IT)
B12 Gounod: Messe de Sainte Cécile
per voci miste
durata 7 giorni
Laurent Gendre (CH)
B13 Sacred Romantic Sound
per voci miste
durata 6 giorni
Florian Helgath (DE)
B14 Orthodox Liturgy
per voci miste
durata 5 giorni
Inessa Bodyako (BY)
B15 San Gloria
per voci miste
durata 5 giorni
Timothy Brown (UK)
B16 Duke Ellington’s Sacred Concert
per voci miste
durata 4 giorni
Harold Lenselink (NL)
B17 Improvisation and Live Electronics
per voci miste
durata 4 giorni
Alessandro Cadario (IT)
B18 How to Develop a Vocal Group
per gruppi vocali
durata 7 giorni
Voces8 (UK)
ASSOCIAZIONE
C - PER CORI E CANTORI AUDIZIONATI
E CHE ARRIVANO PREPARATI
C1 Arvo Pärt: Our Garden
per voci bianche
durata 5 giorni
Aarne Saluveer (EE)
C2 Singing Ladies
per voci femminili
durata 6 giorni
Bo Johansson (SE)
C3 Mendelssohn vs Bonato
per voci maschili
durata 5 giorni
Stojan Kuret (SI)
C4 Mare Nostrum
per voci miste
durata 8 giorni
Daniel Mestre (ES/Cat)
C12 Masterclass for Vocal Groups
per gruppi vocali
durata 4 giorni
The Real Group (SE)
D - PER CORI GIOVANILI NAZIONALI
E REGIONALI
D1 Hermann Suter: Le Laudi
durata 7 giorni
Simon Gaudenz (CH)
D2 Eric Whitacre’s Music
durata 6 giorni
Ragnar Rasmussen (NO)
D3 Bach: Motets
durata 6 giorni
E - PER CANTORI SELEZIONATI
E1 Europa Cantat Chamber Choir
durata 8 giorni
Anton Armstrong (US)
C6 Festa barocca: Dettingen Te Deum
per voci miste
durata 6 giorni
Filippo Maria Bressan (IT)
F - PROGETTI SPECIALI
C7 Requiem for Peace
per voci miste
durata 6 giorni
Larry Nickel (CA)
F2 Workshop for primary school singers
(per bambini dai 6 ai 10 anni)
C9 And the Winner is…
per voci miste
durata 5 giorni
Mirga Grazinyte (LT)
Dani Juris (FI)
C10 Missa Papae Marcelli
per cori misti
durata 5 giorni
Paolo Da Col (IT)
C11 Atelier Monteverdi
per cantori individuali / gruppi vocali
durata 7 giorni
La Compagnia del Madrigale (IT)
I - PROGRAMMA PER COMPOSITORI
Il festival mira a migliorare il rapporto tra
compositori, arrangiatori, cori e direttori e
ad avvicinare il mondo dei compositori
classici ai cori amatoriali. Per tale ragione,
il festival Europa Cantat XVIII offre un
programma per compositori e arrangiatori
per l’intera durata del festival.
Il programma dettagliato per compositori e
arrangiatori sarà disponibile sul sito del
festival a partire da novembre 2011.
OPEN SINGING
Michael Gohl (CH)
Coro Accademia Feniarco (IT)
YEMP
C5 Made in Italy
per voci miste
durata 7 giorni
Gary Graden (US/SE)
C8 Sing to Swing
per voci miste
durata 6 giorni
Ben Parry (UK)
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F1 Musical kindergarten
(per bambini fino ai 6 anni)
F3 Choir, first sight love!
Atelier per chi non ha mai cantato
in un coro (da 11 a 111 anni)
G - DISCOVERY ATELIER
La proposta di discovery atelier sarà
pubblicata sul sito del festival nel febbraio
2012. Ogni mattina sarà possibile scegliere
tra una serie di discovery atelier, su diversi
stili e repertori musicali. Ci si può iscrivere
per uno o più giorni durante i giorni liberi
dal proprio atelier.
H - PROGRAMMA PER DIRETTORI
A seguito del successo all’ultimo festival di
Utrecht, Europa Cantat offrirà anche a
Torino un programma per direttori per
l’intera durata del festival, parallelo agli
atelier per i cantori. Il programma
dettagliato sarà disponibile sul sito del
festival a partire da novembre 2011.
Youth Event Management Programme
Cosa serve per organizzare un festival
con migliaia di cantori? Come posso
conseguire una carriera da manager di
cori o organizzatore di eventi? Dopo il
successo del 2009, per la seconda volta
in assoluto, il Festival Europa Cantat
offre a giovani attivi e pieni di risorse la
possibilità di svolgere un programma di
formazione all’interno del mondo corale.
Potrai verificare quanto appreso durante
le lezioni mettendolo in pratica
attraverso un’ esperienza lavorativa in
qualità di membro dello staff del festival
internazionale.
Ready TO help!
Vuoi collaborare con noi?
Ti piace la musica corale? Hai passione
ed entusiasmo e vuoi collaborare per
l’organizzazione di un grande evento in
una splendida città? Allora sei uno dei
nostri!
Prima e durante il festival abbiamo
bisogno di numerosi volontari per
allestire questo importante
appuntamento. Collaborare come
volontario significa rendersi disponibile al
lavoro che verrà richiesto in rapporto alle
necessità che si presenteranno.
Sono benvenuti i volontari di tutte le età!
Per ciascuno di voi c’è sicuramente molto
da fare e una bella avventura da
condividere!
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UN TORRENTE RICCO D’ACQUA
Concorso Nazionale Corale Trofei Città di Vittorio Veneto 2011
di Giorgio Morandi
«Rilievi collinari e montuosi si susseguono a ridosso delle Alpi
in provincia di Treviso e costituiscono il territorio di Vittorio
Veneto ricco di corsi d’acqua a carattere torrentizio». Questa
informazione turistica, scelta fra le tante, va qui intesa in
senso letterale e naturale, ma anche in senso figurato… e ci
limitiamo alla considerazione di quel campo culturale
musicale che avvalora e rende merito alla fama di “Città della
Musica” che l’amministrazione comunale di Vittorio Veneto ha
da anni costruito con la promozione e la realizzazione di
manifestazioni che, uniche a livello nazionale, nel corso
dell’anno sono guardate con estremo interesse anche dagli
ambienti musicali internazionali. Sono tutte attività di
notevole spessore, ma fra esse spicca – davvero torrente
vivace e ricco d’acqua vitale – il Concorso Nazionale Corale
Trofei Città di Vittorio Veneto che ogni anno vede confrontarsi
molti cori provenienti da tutta Italia. Con la loro presenza
questi cori testimoniano come la partecipazione, il livello
corale e lo spirito del concorso negli ultimi cinque anni siano
decisamente cambiati.
«Ancora una volta si dà inizio a una festa: quella del canto,
soprattutto, della voce, educata e disciplinata dalla tecnica,
ma sempre fluente dal cuore; quello strumento sonoro
insuperabile, certamente duraturo quanto la stessa umanità».
A esprimersi così è il sindaco di Vittorio Veneto, Gianantonio
Da Re, che di persona (e accompagnato dall’assessore alla
cultura Michele De Bertolis) è stato presente in diversi
momenti di una manifestazione di cui davvero oggi si può
dire che abbia raggiunto prestigio e autorevolezza fra i più
ampi in campo corale nazionale. Prestigio e autorevolezza
sono dovuti sicuramente «soprattutto alla competenza e
serietà dei componenti delle commissioni giudicatrici e del
comitato artistico». Quest’ultimo, coordinato da un esperto
regista come da molti anni è Stefano Da Ros, è attualmente
composto da Francesco Luisi, Mario Mora, Alvaro Vatri e
Mauro Zuccante.
Per cominciare a fornire al lettore alcuni dati comprovanti le
precedenti positive valutazioni del concorso, possiamo dire
che ottima sotto ogni aspetto è stata la nuova allocazione del
concorso nelle moderne funzionali strutture del teatro Lorenzo
Da Ponte gestito direttamente dal Comune (un complimento è
qui dovuto anche alla competenza e disponibilità affabile
delle signore in servizio nella hall).
E aggiungiamo subito che ben trentadue sono state le
compagini corali che con circa un migliaio di coristi si sono
iscritte e hanno effettivamente partecipato alla
quarantacinquesima edizione del concorso. La loro
provenienza copre geograficamente tutto il paese, dalla Sicilia
al Friuli passando per la Capitale che, detto subito, “porta a
casa” il riconoscimento speciale – il più ambito – di cui
successivamente vedremo qualche dettaglio. Dopo una serie
di audizioni cominciate venerdì sera (27 maggio) e terminate
domenica (29 maggio) a mezzogiorno, è stato compito – non
sempre facile ma sempre condiviso da tutti i membri di una
qualificata commissione artistica – indicare le compagini
canore sul cui capo è stata posta la meritata corona di alloro
che introduce un gruppo corale fra quelli che saranno per
sempre indicati tra i migliori esponenti della attuale coralità
italiana.
La commissione, formata da Mauro Pedrotti (Presidente),
Antonella Arnese, Maria dal Bianco, Ilario Lavrenc̆ic̆ e Dario
Tabbia, ha ritenuto di assegnare l’alloro ai seguenti cori: Coro
Musicanova di Roma, diretto da Fabrizio Barchi, per la
categoria A; ex-aequo Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del
Carso (Go), voci femminili dirette da Mateja C̆ernic, e Corale
Zumellese di Mel (Bl), voci miste dirette da Manolo Da Rold,
per la categoria B; Coro La Rupe di Quincinetto (To), diretto
da Domenico Monetta, per la categoria C e Coro Bodec̆a Nez̆a di San Michele del Carso (GO), per la categoria D.
La commissione ha avuto anche il piacevole compito di
assegnare questi altri premi: premio per il programma più
interessante al Coro Giovanile di Thiene (permettete a
proposito di questo gruppo di ragazzi la dedica di una piccola
espressione di feeling personale dell’estensore di queste
note: entusiasmo e bellezza/gioia della vita centrati in pieno.
Grazie ragazzi di Thiene!); premio al direttore di coro dalle
particolari doti interpretative, ex-aequo a Domenico Monetta,
direttore del Coro La Rupe di Quincinetto, e a Manolo Da
Rold, direttore della Corale Zumellese di Mel; premio al
miglior coro veneto alla Corale Zumellese di Mel; premio
speciale al miglior coro scolastico ex-aequo al Coro del Liceo
Marco Polo di Venezia e Coro Hebel del liceo Classico Legnani
di Saronno.
Già alla semplice lettura di questo elenco appare evidente
l’attenzione che la giuria ha voluto dedicare anche quest’anno
ai cori giovanili. Con il premio per il programma più
interessante e per i cori scolastici essa ha voluto sottolineare
il valore e il merito del lavoro che a favore della disciplina
corale viene svolto nelle scuole.
Resta, infine, da chiarire al lettore lo scarno accenno sopra
fatto al premio speciale “portato a casa” da un coro della
capitale. Con il Gran Premio, cui concorrono i vincitori delle
varie categorie e il coro vincitore del Concorso nazionale di
Arezzo dell’anno precedente, FENIARCO e la città di Vittorio
Veneto hanno voluto ricordare Efrem Casagrande, indimenticato
compositore e direttore di coro, fondatore del concorso e
animatore della vita musicale e culturale della sua città.
CRONACA
47
Risultati
Cat. A - Musiche originali d’autore
1. Coro Musicanova di Roma
2. Coro Estro Armonico di Salerno
3. ex-aequo al Coro La Rupe di
Quincinetto (To) e Corale
Zumellese di Mel (Bl)
Cat. B - Canto popolare
1. ex-aequo Coro Bodec̆a Nez̆a di
San Michele del Carso (Go), voci
femminili, e Corale Zumellese di
Mel (Bl), voci miste
2. Coro La Rupe di Quincinetto
(To), voci maschili
3. Coro Nuova Armonia di Chiari (Bs)
Forse non tutti ricordano che il maestro è scomparso proprio vent’anni fa e
quindi il concorso ha celebrato esplicitamente anche questo importante
anniversario. Lo ha fatto la coralità cittadina venerdì 20 maggio quando nel
teatro Lorenzo da Ponte la Corale Femminile Vittoriese diretta da Patrizia
Tomasi, il Coro Alpino Col di Lana diretto da Sabrina Carraro, il Coro ANA di
Vittorio Veneto diretto da Pierangelo Caiesella e il Coro Vittorio Veneto diretto
da Giuseppe Borin hanno presentato – con sincera simpatia, competenza e
affetto – composizioni ed elaborazioni corali di Efrem Casagrande; lo ha fatto
FENIARCO e la coralità nazionale domenica 29 maggio pomeriggio quando i
cori vincitori delle varie categorie corali a concorso si sono ancora una volta
misurati in “singolar tenzone” per accaparrarsi l’ambito Gran Premio Efrem
Casagrande.
Chiamata a non facile compito di valutazione, la giuria del concorso ha
decretato di assegnare il trofeo e il premio offerto da FENIARCO al Coro
Musicanova di Roma, diretto da Fabrizio Barchi.
Come definire la quaranticinquesima edizione del concorso di Vittorio Veneto?
Rispondendo a questa domanda è facile rischiare la banalità, lo scontato, il
sospetto di facile salamelecco politically correct, ma… ci gioco il mio stipendio!
Concorderete con me che l’uso dell’aggettivo “grande” preso dalla nostra
bellissima, ricchissima e musicalissima lingua italiana è più che giustificato
se definisce: un concorso svoltosi in una bella cittadina veneta dalla
ospitalità davvero cordiale; tanto canto di livello tecnico e contenutisticoemotivo mediamente molto alto e proposto in una struttura (il teatro Lorenzo
da Ponte) moderna, ampia, efficiente, in centro città; una partecipazione di
gruppi corali numerosa e proveniente da tutta Italia; un comitato artistico e
una commissione giudicatrice di grande competenza ed esperienza; il
convergere di tante competenze e tanti sostegni da parte di enti e istituzioni;
l’unirsi di contributi e forme di sostegno varie da parte degli sponsor e la
generale soddisfazione finale esplicitamente espressa dagli organizzatori, dai
partecipanti e dal pubblico.
Il futuro? Anche se – dal punto di vista sia organizzativo sia dei contenuti –
alcune novità sono sempre possibili e talvolta auspicabili per la vivacità e
l’incisività della manifestazione stessa, il futuro del concorso è assicurato.
Le autorità e il regista Stefano da Ros ci hanno lasciato con un cordiale
arrivederci!
Cat. C - Riservato a cori maschili
1. Coro La Rupe di Quincinetto (To)
2. non assegnato
3. Coro La Stele di Roverè
Veronese (Vr)
Cat. D - Cori giovanili
1. Coro Bodec̆a Nez̆a di San
Michele del Carso (Go)
2. Coro Musicanova di Roma
3. Coro Giovanile di Thiene di
Thiene (Vi)
Gran Premio Efrem Casagrande:
Coro Musicanova di Roma diretto
da Fabrizio Barchi
Altri premi:
Premio per il programma più
interessante: Coro Giovanile di
Thiene.
Premio al direttore di coro dalle
particolari doti interpretative:
ex-aequo a Domenico Monetta,
direttore del Coro La Rupe di
Quincinetto, e Manolo Da Rold,
direttore della Corale Zumellese
di Mel.
Premio al miglior coro veneto:
Corale Zumellese di Mel.
Premio speciale al miglior coro
scolastico: ex-aequo al Coro del
Liceo Marco Polo di Venezia e
Coro Hebel del liceo Classico
Legnani di Saronno.
48
IL VALORE DI MEZZO SECOLO DI TRADIZIONE
50º Concorso Internazionale Seghizzi
di Rossana Paliaga
Sulla porta che da Oriente apre il passaggio a Occidente,
sulla via dove il nord Europa incontra il Mediterraneo, Gorizia
è stata attraversata dalle correnti della storia anche sul
palcoscenico del concorso internazionale di canto corale
C.A. Seghizzi. Nei suoi cinquant’anni di attività, la
competizione ha “cantato” anche i grandi cambiamenti, le
cadute di molte barriere, l’ascesa e le crisi di vecchi e nuovi
stati indipendenti. Nei decenni passati i popoli dell’est sono
stati i portatori dei messaggi più significativi in questo senso,
da un più generale desiderio (e opportunità) di confronto, al
fenomeno specifico del fiorire delle repubbliche baltiche,
seguito in tempi più recenti da un progressivo irrigidimento
dei cori slavi in posizioni tradizionaliste piuttosto impermeabili
all’attualizzazione. Quest’anno invece il concorso ha
festeggiato l’importante anniversario con il segno di un nuovo
cambiamento epocale che riguarda i rapporti con il mondo
islamico, grazie alla partecipazione di un coro iraniano.
Con la quantità e la varietà dei partecipanti di questa
edizione, il Seghizzi ha potuto confermare ed esaltare la
propria, caratteristica vocazione esotica, ma è stata in primo
luogo l’alta qualità media espressa dai cori a celebrare nel
migliore dei modi una grande tradizione. Oltre al già citato
Iran, il variopinto ventaglio del concorso goriziano è stato
composto da rappresentanti di Austria, Estonia, Indonesia,
Nuova Zelanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia,
Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ucraina, USA e Italia,
quest’ultima presente con tre gruppi.
Il loro canto ha abbracciato come di consueto l’intera regione
con il circuito di concerti legati al concorso, che con un
numero particolarmente alto di partecipanti ha offerto
quest’anno uno spettacolo ricchissimo anche in tutte le
categorie della competizione. Hanno avuto dimensioni
“giubilari” la rassegna di canti di tradizione popolare e la
categoria con repertorio contemporaneo, ma ha offerto un
ricco programma anche quella dedicata alle composizioni di
epoca rinascimentale. È stata eliminata in questa edizione la
categoria dedicata alla musica del periodo barocco e classico
che dopo una pluriennale sperimentazione non ha riscontrato
sufficiente interesse da parte dei cori partecipanti.
Il programma del concorso ha permesso ai cori partecipanti di
familiarizzare con il palco e la giuria aprendosi con le due
categorie di musica jazz e popolare, una scelta che ha
favorito i coristi ma non il pubblico che ha viste concentrate le
due categorie di più ampia fruizione in un giorno feriale.
Le sorprese maggiori si sono concentrate in questo ambito
con la vittoria nella sezione jazz-musica leggera del gruppo
salernitano di recentissima formazione Orchestra Vocale
Numeri Primi. Visibilmente sorpresi dal risultato, i giovani
coristi diretti da Alessandro Cadario hanno conquistato il
primo posto con l’originalità e la freschezza di un
orientamento pop e di un carattere nettamente corale nelle
voci educate, nell’armonia dell’ensemble e negli arrangiamenti
efficaci ma non eccessivamente ambiziosi con i quali hanno
unito l’individualità dell’impostazione vocale pop e la capacità
di fare, musicalmente parlando, gruppo.
Il secondo premio e il premio del pubblico in questa categoria
è andato ai giovani del gruppo misto Tehran Vocal Ensemble
che hanno partecipato esclusivamente nelle due categorie
della prima giornata. Pashmine a coprire le teste delle
ragazze e scarpe da ginnastica ai piedi, l’affiatato coro
iraniano è salito sul palco con energia e ironia, affrontando
arrangiamenti ludici e ritmati da Morricone a McCartney con
l’accompagnamento costante del beatbox, anche quando dalla
musica leggera sono passati a una rivisitazione in chiave
moderna del popolare.
Curiosa invece la vittoria nel popolare del Collegium Musicale,
coro estone che ha fatto incetta di primi premi anche in tutte
le categorie principali, meritando pienamente il
riconoscimento soprattutto con la bravura e la precisione
dimostrate dagli ottimi coristi nel complesso programma da
concorso scelto per la categoria del contemporaneo, ma che
nelle valutazioni ha superato in maniera meno motivata altri
gruppi con un programma popolare freddamente contenuto e
grigio in rapporto al contesto della categoria e un approccio
impassibilmente corretto nel repertorio rinascimentale che
senza far vivere i brani ha convinto evidentemente per
considerazioni più obiettive.
Con un programma piuttosto convenzionale ha ottenuto il
secondo premio nella polifonia rinascimentale l’agguerrito
CRONACA
49
Risultati
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2°
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1°
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3°
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5°
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Categoria 1a - Rinascimento
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Mes̆ani Pevski Zbor Obala (Slovenia)
Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca)
Cantores Veiherovienses (Polonia)
Gruppo Vocale Voceversa (Italia)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Categoria 1c - Ottocento
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Svetozar Marković (Serbia)
Youth Female Choir Oriana (Ukraina)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Cantores Veiherovienses (Polonia)
Vox Slavicum (Serbia)
Categoria 1d - Novecento
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Mes̆ani Pevski Zbor Obala (Slovenia)
The Singers Chamber Choir (Indonesia)
Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Svetozar Marković (Serbia)
Categoria 2a - Musica popolare
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Svetozar Marković (Serbia)
Mes̆ani Pevski Zbor Obala Slovenia)
Z̆ilinsky Mies̆ani Zbor (Slovacchia)
Youth Female choir Oriana (Ukraina)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Categoria 2b - Musica leggera, jazz, tradizionale
Orchestra Vocale Numeri Primi (Italia)
Tehran Vocal Ensemble (Iran)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Ensemble Man’s (Russia)
Gruppo Vocale Voceversa (Italia)
The City of Auckland Singers (Nuova Zelanda)
Categoria 3 - Musica contemporanea
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Z̆ilinsky Mies̆ani Zbor (Slovacchia)
Trofeo di composizione Seghizzi 2011
Martin Ruben Garcia per il brano Crucem Tuam
XXIII GRAND PRIX SEGHIZZI
1° Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
2° Mes̆ani pevski zbor Obala (Slovenia)
3° Svetozar Marković (Serbia)
Camerata Lacunensis (Spagna)
Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) The Singers Chamber Choir (Indonesia)
Premi del Pubblico
Categoria 2a - musica popolare
Camerata Lacunensis (Spagna)
Categoria 2b - musica leggera
Tehran Vocal Ensemble (Iran)
PREMI SPECIALI
Premio voci pari:
Kantiléna Children and Youth Choir (Rep. Ceca) Youth Female Choir Oriana (Ucraina)
Premio Feniarco al complesso italiano con il maggior
punteggio: Gruppo vocale Voceversa (Italia)
Premio Domenico Cieri per il programma di maggior interesse
artistico:
Chamber Choir Collegium Musicale (Estonia)
Coppa Rachele Basuino per la miglior esecuzione di un brano
tra le composizioni polifoniche di ispirazione religiosa:
Svetozar Marković (Serbia)
Premio Usci Friuli Venezia Giulia attribuito dalla Commissione
Artistica al migliore direttore di coro:
Svetlana Krstić del coro Vox Slavicum (Serbia)
Premio speciale gruppi cameristici al gruppo cameristico
meglio classificato nella prima categoria:
Camerata Lacunensis (Spagna)
Premio Cecilia Seghizzi per il miglior repertorio
contemporaneo in particolare italiano ed europeo:
Svetozar Marković (Serbia)
Premio nuovi talenti: Adi Nugroho (Indonesia)
Premio per la miglior esecuzione di un brano polifonico di un
compositore della corte estense:
Cantores Veiherovienses (Polonia)
Premio nazionale Una vita per la direzione corale:
Gianni Malatesta
50
coro sloveno Obala di Capodistria, che ha invece rivelato un
potenziale interessante nelle altre categorie, seguendo a ruota
con ottimi risultati, anche nella corsa per il Grand Prix, i
vincitori assoluti dell’Estonia. Ottimo anche il piazzamento nel
Novecento e il numero di premi sarebbe stato certamente
aumentato con la partecipazione nella categoria a programma
romantico, almeno a giudicare dalla lodevole capacità di
questo coro di trasmettere emozioni.
La rivelazione del concorso è stato il gruppo spagnolo
Camerata Lacunensis, detentore di buoni piazzamenti, ma che
non rappresentano la sua resa sul palco. Peccato per alcune
voci “fuori dal coro”, altrimenti la grande espressività, la
morbidezza del suono, la raffinatezza dello stile e le scelte di
programma sempre ponderate e varie nell’aprirsi a tutte le
sfumature tra virtuosismo tecnico e lirismo avrebbero portato
a maggiori risultati nel calcolo matematico della giuria.
Tra i gruppi italiani il punteggio più alto nelle categorie
principali e quindi il premio Feniarco è andato al gruppo
vocale virile Voceversa di Camburzano, interessante nel jazz
italiano di sapore vintage, ma non particolarmente originale
nel programma rinascimentale e che avrebbe potuto aspirare
a punteggi più alti non fosse stato tradito dalla timidezza.
L’emozione non ha giovato nemmeno al coro cagliaritano
Studium Canticum e alla sua direttrice Stefania Pineider che
avrebbe meritato forse un riscontro maggiore nel programma
popolare, eseguito nei costumi tipici della tradizione sarda,
ma ha risentito di un suono disomogeneo e di alcune
incertezze nella direzione nelle categorie principali, nelle quali
si è dovuto accontentare di un sesto premio per le esecuzioni
di brani del secolo XIX.
Il concorso Seghizzi di quest’anno ha visto la partecipazione
di alcuni validi direttori di grande temperamento e
preparazione, tra i quali è stata evidenziata con il premio
speciale Usci la professionale Svetlana Krstić che ha fatto
risuonare con determinazione in tutto il suo potenziale, come
fosse uno strumento, il coro serbo Vox Slavicum.
Il premio “Una vita per la direzione corale” è stato assegnato
quest’anno al veneto Gianni Malatesta, che visibilmente
commosso ha commentato: «Ho iniziato a insegnare canto
corale nel 1949 e a tutt’oggi faccio il maestro di coro. Questo
premio mi emoziona e lo dedico a tutti i miei amici».
Avrebbe meritato un riconoscimento speciale da parte delle
istituzioni locali anche il cinquantenario del concorso,
celebrato da una targa del Presidente della Repubblica, una
mostra alla Biblioteca Isontina e due concerti introduttivi: il
Requiem di Cherubini con cori locali riuniti sotto la direzione
del presidente del concorso Italo Montiglio e l’omaggio a Nino
Rota nell’anniversario della nascita con l’Ensemble Otto e 1/2.
Tra gli amici di lunga data dello storico concorso che
quest’anno hanno fatto parte della giuria, ha riassunto con
una sintesi personale l’edizione dell’anniversario il direttore
sloveno Marko Munih: «A livello di programmi sono un po’
deluso dal concetto delle categorie legate al premio del
pubblico; non sono infatti d’accordo sulla fusione di musica
leggera e jazz, spiritual e popolare, perchè si tratta di generi
non confrontabili. Nel campo della musica antica e del
repertorio ottocentesco non ci sono mai grandi sorprese nelle
scelte del programma, ormai si parla quasi di standard. La
musica contemporanea offre invece qualche motivo di
interesse in più e vorrei in questo caso citare un brano,
interpretato dal coro estone, che rappresenta il massimo in
questo senso. Ma robe d’amour di Olivier Messiaen è infatti
un brano di tale difficoltà tecnica da essere al limite
dell’eseguibilità e l’interpretazione resa da questo coro è stata
mirabile, senza dubbio il punto più alto nell’intero concorso di
quest’anno».
CRONACA
51
Alessandro Kirschner nella giuria del Seghizzi
Nella giuria internazionale del concorso Seghizzi di quest’anno il punto di vista italiano
è stato rappresentato dalla presenza di Franco Monego e Alessandro Kirschner.
Quest’ultimo, compositore e direttore di giovane generazione, ha apprezzato molto la
varietà espressa dai partecipanti.
Il Seghizzi avrebbe potuto difficilmente festeggiare meglio il proprio anniversario.
Secondo le mie valutazioni, il livello medio è stato molto alto con alcune eccellenze. Le
valutazioni sono state probabilmente molto vicine. La qualità si è sempre concentrata per
ogni coro nelle singole performance; ognuno è specializzato in un determinato tipo di
repertorio e non è detto che un coro molto valido nell’interpretazione del repertorio
contemporaneo possa rendere altrettanto bene in altre categorie. Mi è piaciuto osservare
le specificità nazionali e ho molto apprezzato la presentazione delle diverse realtà nella
categoria del popolare. Mi ha fatto piacere veder partecipare un coro italiano anche
perchè nel nostro paese trattiamo il repertorio folcloristico con troppa sufficienza, non
conosciamo abbastanza le tradizioni di popoli al di fuori dell’Italia e all’interno del nostro paese le releghiamo a
espressioni storiche, mentre qui hanno dimostrato la loro grande vitalità con letture contemporanee di altissimo livello.
Il successo è una combinazione di capacità del direttore e dei coristi, di un programma adeguato. Quali sono stati
invece gli errori più frequenti?
Alcuni cori vengono segnati dalla presenza di singoli coristi con problemi vocali, un lavoro delicato che riguarda il
direttore per trovare il giusto equilibrio tra la societas corale e la performance del singolo. Altro errore evidentissimo è la
mancanza di coscienza stilistica nel programma rinascimentale; non basta infatti un bel suono dal quale farsi
affascinare, se poi manca il fraseggio adatto.
Come giudica le esibizioni dei gruppi italiani?
Mi sono piaciuti i Voceversa per il bel repertorio e per l’approccio al rinascimento con spirito italiano, per l’intelligenza
con la quale hanno affrontato la propria natura di gruppo vocale e mi hanno coinvolto con senso ritmico e belle
interpretazioni.
Il gruppo salernitano fa pop molto bene con tutti i “difetti” propri del genere, come ad esempio i portamenti in perfetta
linea con lo stile. Per i giovani affrontare questo genere è senza dubbio un legante fortissimo, ma è altrettanto bello
passare a un linguaggio meno “leggero”, avere la capacità di rendere prezioso quello che gli strumenti non riescono a
fare, non limitarsi a imitare.
Nel coro sardo si è palesato un problema di vocalità, il fraseggio nel rinascimento è stato reso molto bene ma non
adeguatamente tradotto in una resa sonora altrettanto coinvolgente. Noi italiani abbiamo una marcia in più in questo
senso e questo tipo di musica dovrebbe essere il nostro asso nella manica, se supportato da uno studio rigoroso
sull’uguaglianza delle sezioni. È un problema fisiologico; all’Est crescono con una vocalità unificata, noi italiani iniziamo
invece a cantare in età diverse.
Da compositore avrà certamente prestato particolare attenzione alle scelte dei programmi.
Penso a uno spartiacque, nel quale vediamo le nuove direzioni di scrittura a metà strada tra i programmi “da concorso”
e i pezzi melodici. Oggi si può notare un mix di trattamento morbido tra il tonale e il modale che bilancia linguaggi più
“difficili”, derivati da uno sviluppo di ricerca. Sono rimasto molto colpito dai programmi degli indonesiani con scritture
ritmiche e strutture modali che hanno portato anche nella musica popolare. Probabilmente da questo mix caleidoscopico
verrà fuori qualcosa di interessante in futuro, una via di mezzo tra Messiaen e Lauridsen.
52
L’EUROPA NELLO SPECCHIO DEL MONDO
Quarant’anni del concorso internazionale di Tours
di Rossana Paliaga
Nel giardino di Francia, come viene definita la Valle della
Loira, sono sbocciati per la quarantesima volta i fiori della
primavera canora del Florilège vocal di Tours. La loro varietà
ha abbracciato anche questa volta il mondo intero,
dall’Europa centrale all’est delle repubbliche baltiche,
dall’America agli immancabili cori asiatici da Filippine e
Indonesia, protagonisti dell’edizione legata all’anniversario in
cima a un lungo elenco di gruppi che in quattro decenni
hanno rappresentato su questo palcoscenico 56 paesi del
mondo. Come ricorda la presidente Isabelle Renault, la prima
edizione era stata onorata dalla presenza del compositore
Francis Poulenc e il segno di un’alta considerazione nei
confronti della coralità ha continuato a caratterizzare
l’immagine della manifestazione che ha festeggiato i primi 40
anni senza aggiungere quasi nulla all’esclusiva centralità dei
cori partecipanti: «L’anniversario si è svolto nel segno della
continuità, forte del fatto che il Florilège sta dimostrando da
quarant’anni di essere una manifestazione che funziona bene.
Si può parlare di cambiamenti nella comunicazione, negli
aspetti esteriori, non nella sostanza. Quest’anno abbiamo
voluto porre l’accento sulla realtà della regione della Turenna,
permettendo ai gruppi locali di esprimersi nel concerto
realizzato proprio in occasione di questo anniversario e
inserito nel programma del festival. La selezione dei cori
partecipanti è stata severa anche quest’anno e ne hanno
risentito soprattutto i cori francesi scelti per il concorso
nazionale. La giuria è tuttavia sovrana e le molte eliminazioni
di cori, anche di buon livello, sono una conferma della qualità
perseguita dal concorso».
La giuria, sempre costituita da esperti di chiara fama, ha
dimostrato la propria giusta intransigenza (e quindi
attendibilità) anche nel giudicare i cori che hanno superato le
prime selezioni; nessun primo premio nelle categorie a
programma obbligato del concorso nazionale, primo premio
non assegnato nella categoria gruppi vocali e nella categoria
a voci pari del concorso internazionale. I risultati sono lo
specchio fedele di un’edizione che rimarrà memorabile per
l’anniversario, ma non per il livello medio dei cori che l’hanno
celebrato con la loro partecipazione.
Il coro che potremo ascoltare al Grand Prix di Maribor nel
2012 è l’Harmonia ensemble di Tokyo, che tuttavia non ha
stravinto nelle singole categorie, ottenendo due secondi posti
come gruppo vocale e nell’espressione libera, i premi speciali
Ockeghem e Rabelais nel programma rinascimentale e un
premio del pubblico. Senza dubbio è stato il gruppo che si è
distinto con la maggiore omogeneità di resa, ottima proprietà
stilistica in tutte le categorie, flessibilità nel suono e pulizia
nell’espressione. Cantando senza direttore, i coristi hanno
fortificato l’intesa di gruppo e si sono distinti per la
cesellatura attenta di ogni brano in un’armonia priva di
eccessi che giustifica il nome del gruppo.
Escludendo il Grand Prix, i risultati più rilevanti nelle categorie
sono stati ottenuti dal Coro universitario del Maryland con un
primo premio nella sezione dedicata ai cori misti, il premio
Ronsard e il premio al direttore Edward Maclary che tuttavia
avrebbe potuto sfruttare meglio il buon potenziale a
disposizione, mentre si è limitato al controllo di morbidezza e
omogeneità del suono all’interno di una tavolozza espressiva
e dinamica ridotta. L’ha seguito al secondo posto tra i cori
misti l’armonioso Coro universitario di Houston nel Texas che
con programmi intelligenti ha proposto esecuzioni molto
valide, in particolar modo di brani tratti dal proprio repertorio
nazionale. Il gruppo filippino Imusicapella, non
particolarmente interessante a livello vocale, si è guadagnato
la possibilità di competere per il Grand Prix con un primo
premio nell’espressione libera, integrato dal terzo premio nei
gruppi vocali. Ha tenuto alto l’onore della tradizione europea
con spirito, capacità comunicativa e una preparazione solida il
gruppo irlandese New Dublin Voices, che l’anno scorso ha
partecipato anche al Polifonico di Arezzo e che a Tours ha
ottenuto un terzo premio come gruppo vocale. È rientrato
inoltre nel numero dei premiati con un secondo premio ex
aequo nella categoria dei cori misti e per il premio conferito
dal Ministero della cultura francese per l’esecuzione di un
brano di autore francese del ’900 il coro Spiritus di Calgary in
Canada che non ha lasciato il segno a livello di interpretazioni
(povere di spunti) e scelte dei programmi. Il secondo premio
nelle voci pari è andato al gruppo femminile Putni di Riga,
formato da dame di una corte immaginaria del secolo XXI che
al di là del bizzarro abbigliamento non hanno offerto
altrettanta spettacolarità nelle esecuzioni e non hanno
rischiato nelle scelte di repertorio.
La perla più preziosa del Florilège è per tradizione la
categoria di musica rinascimentale, incastonata quest’anno
nella corona dello storico Priorato di Saint-Cosme nella vicina
La Riche, un complesso che comprende anche la dimora del
“principe dei poeti” Pierre de Ronsard e dove tra le antiche
mura abbracciate da un rigoglioso roseto si sono svolte le
selezioni della categoria alle quali hanno preso parte i cori in
organico ridotto, ma non gruppi che si occupino
specificamente di questo repertorio. Con l’esclusione del coro
irlandese, si sono esibiti nella categoria esclusivamente cori
extraeuropei tra i quali il coro giapponese ha dimostrato
grande gusto, espressività e proprietà.
A concorso terminato uno dei giurati ha commentato,
fondatamente, che se negli anni passati si poteva parlare di
CRONACA
53
una fredda riproduzione di modelli da parte dei cori extra-europei e soprattutto di quelli asiatici,
oggi il discorso è ben diverso perchè i modelli sono stati assimilati e vengono elaborati con
piena cognizione stilistica ed espressiva. Il piacere di poter condividere ormai a parità di mezzi il
grande repertorio dei secoli passati dovrebbe però stimolare una riflessione costruttiva e
sollevare dalle fronde di un alloro sempre più secco i sopiti paesi della Vecchia Europa, spesso
troppo incerti (in campo corale) nel confermarsi portatori della propria cultura in rapporto al
patrimonio antico. Questa è almeno l’immagine trasmessa dalle competizioni corali
internazionali e confermata da una recente riflessione del celebre direttore Riccardo Muti,
convinto di una progressiva musealizzazione dell’Europa e della sua cultura, della quale
fruiscono e che valorizzano in maniera sempre
più vitale gli estimatori provenienti dagli altri
continenti. Anche alla scrematura finale del
Grand Prix l’Europa è stata rappresentata in
netta minoranza con il coro di Dublino che ha
dovuto cedere, insieme al coro filippino e a
quello del Maryland, alla superiorità
dell’affiatato gruppo giapponese, forte di una
notevole versatilità e di una grande cura del
dettaglio.
Per festeggiare l’anniversario, il Florilège si è concesso due eccezioni alla regola; la prima ha
coinvolto la coralità locale e lo stesso staff del concorso con l’esecuzione del Canto general di
Mikis Theodorakis su testi di Pablo Neruda, una scelta nel contesto insolita per il carattere di
impegno civile e il tono latinoamericano della cantata, adatta però a un gruppo eterogeneo di
coristi per la difficoltà limitata e la presa immediata delle melodie e dei ritmi di derivazione folk.
La seconda eccezione ha riguardato la grande rassegna finale in piazza, tradizionalmente
regalata alla città di Tours con la partecipazione di tutti i cori che hanno preso parte sia al
concorso nazionale che a quello internazionale, arricchita quest’anno, a conclusione di tutte le
esibizioni, dall’esecuzione dell’inno europeo con l’accompagnamento di un complesso di ottoni.
Un’idea semplice, ma che si è rivelata carica di significato nel momento in cui le voci di coristi
provenienti da tre continenti si sono mescolate a quelle della gente in questo omaggio corale
alla fratellanza universale. E di fronte alla lettura di alcune coriste europee che si dividevano il
foglio contenente il testo non memorizzato, ha colpito come un forte emblema l’immagine dei
coristi asiatici che orgogliosamente, a memoria e con piena padronanza, diffondevano le parole
di Schiller e la musica di Beethoven nel cielo d’Europa e nel cuore del paese che ne ha fondato i
principi democratici sulla base di ideali di libertà e fratellanza. Un omaggio, non solo per il
quarantennale, di fronte al quale non era possibile rimanere indifferenti.
Il Florilège sta dimostrando
da quarant’anni di essere una
manifestazione che funziona bene.
54
1911-2011
Cento anni del Pontificio Istituto di Musica Sacra
di Walter Marzilli
Sono trascorsi cento anni dalla fondazione del Pontificio
Istituto di Musica Sacra di Roma. Era infatti il 5 gennaio 1911
quando San Pio X fondò l’allora Scuola Superiore di Musica
Sacra. La prima scintilla del Pims fu accesa con il convegno
dell’Associazione Italiana Santa Cecilia del 1909, durante il
quale fu eletto presidente dell’associazione il padre De Santi.
A lui fu demandato l’incarico di porre le fondamenta per
erigere un istituto superiore di musica sacra, cosa che
avvenne appunto due anni dopo, nel 1911. Appena tre anni
dopo, il 10 luglio 1914, San Pio X elevava la scuola alla dignità
pontificia, autorizzandola al rilascio dei titoli. Nel 1931 la
scuola assunse il nome definitivo di Pontificio Istituto di
Musica Sacra, e fu equiparata alle altre università pontificie,
con la facoltà di conferire i titoli di baccalaureato, licenza,
magistero e dottorato agli studenti provenienti da tutto il
mondo (Costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus,
promulgata da papa Pio XI il 4 maggio 1931. Gli studenti,
allora, erano perlopiù provenienti dal clero italiano). L’istituto
ha ricevuto le visite solenni di tutti i pontefici che si sono
succeduti sul trono di Pietro, e il Coro Polifonico ha cantato
numerose volte alla loro presenza, in San Pietro e nell’aula
Paolo VI (aula Nervi).
Il centenario del Pims è stato degnamente festeggiato in vari
modi. Innanzitutto dedicando a questa ricorrenza l’intera
stagione dei concerti del Pims, svoltasi da novembre a giugno
per un totale di trentadue tra conferenze e concerti, con la
presenza di alcune delle più importanti personalità della
scena musicale italiana ed estera. I festeggiamenti per il
centenario sono proseguiti con un grande congresso
internazionale, che ha visto il susseguirsi di più di centoventi
relazioni pronunciate da oratori provenienti da tutto il mondo.
Il prof. Luisi, curatore del congresso, è legittimamente certo
che la pubblicazione degli atti del congresso costituirà
un’importantissima occasione di apertura e di
approfondimento del panorama musicale e culturale. I temi
trattati sono stati tutti di pregnante interesse e di ammirevole
profondità. Tendenzialmente gli argomenti riguardavano alcuni
grandi conglomerati culturali come il canto gregoriano, la
polifonia, l’organo, i fenomeni dell’inculturazione e
dell’adattamento e le innumerevoli questioni storiche e attuali
riguardanti la musica sacra. Grande importanza è stata poi
data alla musica per la liturgia e agli aspetti pedagogici del
suo insegnamento. L’ultima giornata del congresso è stata
infatti interamente dedicata a due aspetti: le prospettive
didattico-pedagogiche del Pims e la musica nella liturgia oggi,
con un’ampia panoramica del rito cattolico nel mondo
globalizzato. Una parte importante è stata rappresentata dalle
numerose manifestazioni musicali in programma, che hanno
visto la partecipazione del Coro della Radio Svizzera e dei
Barocchisti, diretti da Diego Fasolis, del Consortium Vocale
Oslo, diretto da Alexander Schweitzer, e dei Cori Gregoriano e
Polifonico del Pims. I congressisti hanno inoltre potuto
assistere alla lectio magistralis di Diego Fasolis e Luigi
Ferdinando Tagliavini, in occasione del dottorato honoris
causa. Durante una solenne tornata accademica, infatti, è
stato conferito il dottorato honoris causa ad Arvo Pärt, Diego
Fasolis e Luigi Ferdinando Tagliavini per il loro operato nel
campo della musica sacra. Era presente il Card. Zenon
Grocholewski, Segretario della Congregazione per
l’Educazione Cattolica e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto
di Musica Sacra, che in apertura del congresso ha proferito il
discorso del Santo Padre Benedetto XVI rivolto all’istituto, del
quale riportiamo alcuni passaggi essenziali:
«Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per tutti i
cultori della musica sacra, ma più in generale per quanti, a
partire naturalmente dai Pastori della Chiesa, hanno a cuore la
dignità della Liturgia, di cui il canto sacro è parte integrante (…).
Codesto istituto, che dipende dalla Santa Sede, fa parte della
singolare realtà accademica costituita dalle Università Pontificie
romane (…). Per cogliere chiaramente l’identità e la missione del
Pontificio Istituto di Musica Sacra, occorre ricordare che il Papa
san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il Motu Proprio
Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903, con il quale operò
una profonda riforma della musica sacra, rifacendosi alla grande
tradizione della Chiesa contro gli influssi esercitati dalla musica
profana, specie operistica. Tale intervento magistrale aveva
bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di un
centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in
modo fedele e qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice,
secondo l’autentica e gloriosa tradizione risalente a san
Gregorio Magno. Nell’arco degli ultimi cento anni, codesta
Istituzione ha pertanto assimilato, elaborato e trasmesso i
contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti pontifici, come
pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra,
affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori,
dei maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i
formatori in questo campo.
Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro,
desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da
san Pio X fino a oggi si riscontri, pur nella naturale
evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla
musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontifici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della
musica sacra, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei
fedeli” (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi
CRONACA
limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e
della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il
coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo
adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo
stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto
gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la
sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che
fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa,
specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della
schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali. Sono
criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi.
A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella
Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande
patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è
caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti
espressione di una concezione rispondente a un passato da
superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e
della creatività del singolo o della comunità. Ma dobbiamo
sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della
Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o
il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente
azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua
ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di
conseguenza la musica sacra, ‹vive di un corretto e costante
rapporto tra sana traditio e legitima progressio›, tenendo
sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri
conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda
perché “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se
stessa il principio della sviluppo del progresso” (Discorso al
Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011). Tutto questo (…)
forma, per così dire, il “pane quotidiano” della vita e del
lavoro nel Pontificio Istituto di Musica Sacra. Sulla base di
questi solidi e sicuri elementi, a cui si aggiunge un’esperienza
ormai secolare, vi incoraggio a portare avanti con rinnovato
slancio e impegno il vostro servizio nella formazione
professionale degli studenti, perché acquisiscano una seria e
profonda competenza nelle varie discipline della musica
sacra. Così, codesto Pontificio Istituto continuerà a offrire un
valido contributo per la formazione, in questo campo, dei
Pastori e dei fedeli laici nelle varie Chiese particolari,
favorendo, anche, un adeguato discernimento della qualità
delle composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni
liturgiche. Per queste importanti finalità potete contare sulla
mia costante sollecitudine (…)»
Sulla base di queste parole – che in alcuni importanti
passaggi risultano essere molto impositive e stabilizzanti, e di
grande conforto per chi opera nel campo della musica sacra
– l’azione del Pontificio Istituto di Musica Sacra acquista
ancora maggior pregnanza. Con i suoi corsi di laurea in canto
gregoriano, composizione, direzione di coro, musicologia e
organo, e anche con il biennio in pianoforte, il Pims ha
formato e forma tuttora lunghe schiere di musicisti che –
specialmente all’estero – occupano posti di grande rilievo
nelle più importanti istituzioni culturali e universitarie del
panorama musicale.
55
Trattando in particolare dell’insegnamento della direzione di
coro, attività che lo scrivente svolge in qualità di professore
Ordinario dal 1991 presso il Pims di Roma, appare legittimo
soffermarsi almeno in linea generale sulle caratterizzazioni
didattiche e pedagogiche con le quali ogni studente di direzione
di coro viene posto a contatto nel corso del quinquennio di studi
al Pims. Gli allievi direttori affrontano già dal primo anno lo
studio della fisiologia della voce. Attraverso questa materia gli
studenti conoscono le leggi che regolano tutta l’emissione
vocale, i vari difetti della voce e il modo di risolverli. Lo studio
teorico è inoltre affiancato e potenziato da due anni di canto.
Sotto l’aspetto della formazione direttoriale gli studenti hanno a
disposizione quattro formazioni corali: due ensemble di circa dieci
cantori, un coro di ventiquattro cantori e uno di cinquanta. Alla
loro guida affrontano come direttori – ma anche come cantori –
un repertorio corale che abbraccia, per quanto possibile, brani di
ogni estrazione storica e geografica. Nel biennio della licenza gli
studenti affrontano l’esperienza di cantare in quartetti e quintetti
a parti reali. Con tutte queste formazioni sono chiamati a dirigere
alcune importanti celebrazioni liturgiche che fanno parte
dell’attività accademica dell’istituto.
Insieme alle materie specifiche della direzione come la
fisiologia della voce, il canto, la didattica corale, la musica
d’insieme, la tecnica (1°, 2° e 3° anno) e la direzione di coro
4° e 5° anno), gli studenti vengono a contatto con i molti
aspetti del dirigere che riguardano anche la componente
musicale della liturgia, attraverso materie come la lingua e
letteratura latina, il canto gregoriano, la liturgia stessa, la
legislazione liturgica, la storia della musica sacra, l’archivistica
e la codicologia. Altre importanti materie specifiche
concorrono a formare in più anni il direttore di coro sotto ogni
necessario aspetto tecnico: pianoforte, organo, basso
continuo, composizione, analisi, lettura della partitura,
semiografia polifonica, semiografia della musica
contemporanea, acustica, informatica.
Allargando il concetto accennato in precedenza, ci auspichiamo
che le parole di papa Benedetto XVI siano di aiuto per tutti
coloro che operano nel campo della musica sacra, anche se la
situazione attuale appare piuttosto articolata e non certo
semplice. È sotto gli occhi di tutti infatti come le precise norme
della Chiesa in materia di musica sacra finiscano per
infrangersi contro una realtà ben diversa. A questo proposito
non si riesce a capire perché, partendo dalle norme dei
documenti conciliari che tutti ben conosciamo, tutte protese
verso il mantenimento del canto gregoriano, della polifonia,
della musica d’organo, delle scholae cantorum eccetera, si sia
potuti giungere alla situazione attuale, che vede il totale
rovesciamento di quelle norme. L’uso comune e diffuso di
qualunque consuetudine, però, non deve condizionare il nostro
agire fino a farci accettare come legittimo tutto ciò che
succede intorno a noi in tema di musica sacra. Nonostante
quello che può essere il pensiero comune, infatti, la Chiesa
pone ancora il canto gregoriano, la polifonia antica e moderna,
il coro e l’organo al centro della musica sacra. Proprio come il
Pontificio Istituto di Musica Sacra.
56
Cantate Domino Canticum Novum
51ª Rassegna Internazionale Virgo Lauretana
di Ermanno Testi
Cantate Domino Canticum Novum è il motto significativo e
veramente pertinente della Rassegna Internazionale di musica
sacra a Loreto. Proprio per dare il giusto seguito a questa
esortazione giubilante, i dodici cori provenienti da tutti, o
quasi, i continenti si sono incontrati a Loreto tra il 27 aprile e
il 1° maggio (ovvero dal mercoledì dopo Pasqua alla Domenica
in Albis).
Essi si sono prodigati con entusiasmo (profondamente convinti
del loro essere messaggeri di una collettività corale multietnica),
partecipando ai numerosissimi appuntamenti della festosa
kermesse lauretana, intesa nella sua accezione originale e
appropriata di Festa Popolare della Chiesa e non solo.
I cori provenivano da Serbia (Belgrado), Slovacchia
(Bratislava), Italia (Matera), Germania (Treviri), Polonia
(Varsavia), Lituania (Vilnius), Filippine (Manila), Bulgaria
(Sliven), Taiwan (Taipei), Bielorussia (Minsk), Russia (Mosca),
Repubblica Ceca (Praga). Inoltre, ospite d’onore, il Coro della
Fondazione D. Bartolucci proveniente da Roma.
La nutrita serie di esibizioni corali ha permesso ai cori, fin
dalla prima serata (concerto di Saluto a Maria nella Basilica) di
avvicendarsi nell’esecuzione di brani di musica sacra; il tutto
introdotto dall’apprezzato intervento della Cappella Musicale
della Santa Casa di Loreto diretto dal maestro Giuliano Viabile
che ha poi preparato e concertato, con prove quotidiane, la
solenne Messa conclusiva della domenica con tutti i cori
partecipanti alla rassegna.
Ognuna delle quattro giornate si è articolata in un susseguirsi
di interventi artistici, dalla mattina alla sera inoltrata, con una
partecipazione certamente impegnativa ma, a detta di maestri
e coristi, coinvolgente, emozionante e del tutto inaspettata. La
formula della rassegna è originale e funzionante, praticamente
identica a se stessa dalla bellezza di ben cinquantuno edizioni,
dovuta alla geniale e felicissima intuizione di Augusto
Castellani, recentemente scomparso.
Ogni giornata inizia la mattina alle 8.15 con la cosiddetta “Visita
alla Santa Casa”. A turno, quattro cori in costume tradizionale e
processionalmente, in un silenzio emozionante, fanno un
omaggio floreale all’interno della Casa di Maria di Nazareth
eseguendo ciascuno un canto mariano. La breve cerimonia,
particolarmente commovente e riservata, si conclude con un
secondo canto all’altare principale della Basilica.
Alle 9.30, al Teatro Comunale, sei cori, di fronte a un pubblico
prevalentemente giovanile e festoso, si esibiscono in vari brani
di musica sacra o di ispirazione popolare. E qui ogni coro dà il
meglio di sé in un programma variato e interessante. Ma a
mezzogiorno tutti in Basilica per la prova della Missa Brevis
Lauretana di Domenico Bartolucci, di alcuni mottetti e
quant’altro concernente la liturgia.
Il pomeriggio alle 16, altri sei cori, sempre al Teatro Comunale,
si esibiscono in un programma nutrito comprendente ancora
musica sacra, popolare o di altro genere. Molti brani vengono
eseguiti con accompagnamento di organo o pianoforte;
qualche coro usa anche strumenti a percussione, secondo i
brani presentati, prevalentemente di autori nazionali. Non
mancano però escursioni nella musica polifonica
rinascimentale, soprattutto italiana.
La sera di giovedì 27 aprile è stato eseguito in Basilica il
concerto del Coro Blagovest di Minsk (Bielorussia). Il settetto
maschile ha presentato dapprima brani della liturgia ortodossa
dal XV al XX secolo, con un’esecuzione continuativa, senza
interruzioni, che ha davvero rapito il pubblico. Le qualità vocali
dei cantori, dal basso profondo al contratenor, sono emerse
nella loro prodigiosa capacità dinamica ed elevata fusione
armonica, ancor più evidenti nella seconda parte del concerto,
imperniata su brani di ispirazione popolare russi, ucraini e
bielorussi.
La sera successiva, il concerto straordinario del coro della
Fondazione D. Bartolucci, improntato sulla polifonia della
Scuola Romana, ha offerto, a un pubblico competente che ha
gremito l’intera Basilica, l’ascolto della Missa Papae Marcelli di
Palestrina e di sei mottetti dello stesso Bartolucci, Direttore
Perpetuo della Cappella Sistina, oggi nominato eminentissimo
Cardinale da papa Benedetto XVI. La direzione del concerto è
stata in parte affidata al maestro Luciano Luciani, istruttore
dei Pueri Cantores della Cappella Sistina, ma il maestro
Bartolucci, novantatreenne (!), ha voluto condurre
personalmente il Credo e fra le sue composizioni, il raffinato e
poetico O sacrum Convivium. La compagine canora ha esaltato
il fraseggio palestriniano con esemplare tecnica e duttilità
CRONACA
vocale sia maschile che femminile: autentica lezione di
proprietà stilistica e interpretativa.
Va sottolineato che ogni manifestazione ufficiale ha avuto la
presenza significativa di Sua Eminenza Mons. Giovani Tonucci,
Arcivescovo Delegato Pontificio e Prelato di Loreto, il quale ha
salutato i convenuti con sincera cordialità e simpatia, nonché
di Don Lamberto Pigini, presidente e promotore della
rassegna che, con parole di autentico fervore, ha coinvolto in
un sano entusiasmo ogni corale, ogni maestro direttore, tutti i
singoli coristi.
Il sottoscritto, che ha presieduto la commissione d’ascolto per
la formulazione del rapport du juri, in qualità di componente
della commissione artistica, delegato dall’Associazione
Regionale Cori del Lazio, ha avuto come compagni di ventura
in questa delicata funzione eccellenti e simpatici maestri assai
competenti ed equilibrati nel giudizio, e precisamente: Livia
Bertagnolli (Federazione Cori Alto Adige), Francesco Iannitti
Piromallo (Act Toscana), Paolo La Rosa (Federazione Italiana
Pueri Cantores), Claudio Magni (Usci Lombardia), Biagio
Putignano (Arcopu Puglia) e Guerrino Tamburrini (Arcom
Marche). Compito della commissione è stato stilare brevi
giudizi valutativi che includessero, oltre agli apprezzamenti
dovuti, anche qualche suggerimento per migliorare
ulteriormente le qualità artistiche dei cori.
Ma ho avuto anche l’opportunità di dialogare, con molta
cordialità e condivisione di opinioni, con prestigiose
personalità quali il presidente della Federazione Internazionale
Pueri Cantores, Robert Tyrala, e il presidente emerito della
stessa associazione, Joseph Maria Torrents. Va aggiunta
ancora un’affettuosa amicizia che è nata anche con la
presidente nazionale dei Pueri Cantores, Laura Crosato, con la
quale abbiamo avuto illuminanti scambi di vedute.
Sabato mattina, con la grande festa dei cori in piazza, ogni
coro si è esibito in libertà, in costume tradizionale, con
l’esecuzione di canti classici e folcloristici. Ne è nato un
tripudio festoso, ineguagliabile, con molti giovani di varie
nazioni che si abbracciavano commossi.
Nel primo pomeriggio dello stesso giorno veniva annullata a
causa della pioggia la cerimonia del Canto della Pace al
Cimitero di Guerra Polacco, per la commemorazione di soldati
polacchi caduti durante la seconda guerra mondiale. Ma,
incuranti del maltempo, i cantori polacchi si sono recati
ugualmente al cimitero. In onore delle centinaia di giovani
caduti, è stato cantato Gaude Mater Polonia. Unici presenti,
oltre ai coristi, fra lacrime e gocce di pioggia, io e mia moglie.
Pur non essendo nuovo a tali manifestazioni, avendo
partecipato a precedenti rassegne sia come giornalista che
come direttore di coro, anche insieme a mia moglie Ida Maini
(anch’essa direttrice di coro), devo dire che quest’anno la
manifestazione è stata particolarmente coinvolgente e che il
livello artistico era decisamente elevato. E questo assunto
viene confermato dal concerto di gala dei cori partecipanti
svoltosi la sera del giorno stesso in Basilica. Qui i cori, dopo
tanto lavoro, impegno e studio nei giorni precedenti, presi
dalla solennità dell’evento, hanno reso al massimo delle loro
57
capacità, eseguendo egregiamente due brani ciascuno.
Diamo cenno a qualche esecuzione fra le migliori.
A cominciare dai Cantori Materani (dir. A. Barbaro) che hanno
confermato le loro qualità comunicative con Eli Eli di Bardos,
molto espressivo; lo Youth Choir Echo di Bratislava
(dir. O. Saray) dalle gradevoli voci giovanili in un pregevole
Cantate Domino di Mis̆kinis; il Prague Philarmonic Childrens’
Choir (dir. J. Chivala) ottima scuola di canto molto apprezzata
dal pubblico in particolare nel Cherubinske Pisn di C̆aikovsky;
a seguire il coro bulgaro Dobri Chintulov (dir. M. Grigorov) in
una convincente esecuzione di Lodiamo degnamente la Madre
di Dio composizione moderna di P. Dinev; subito dopo è stata
la volta dello strepitoso coro Ensemble Vocale Blagovest di
Minsk (dir. S. Agranovich) che ha ripetuto il suggestivo Velicht
Dusha moja (anonimo del XVI sec.); il Coro Vozrozhdeniye di
Mosca (dir. M. Kuznetsova) dotato di efficace pathos
espressivo si è fatto apprezzare per Os Justi di Bruckner;
è stata poi la volta del Taiwan National Choir di Taipei
(dir. A. Grossman) con le sue encomiabili esecuzioni di
Gesualdo da Venosa e Palestrina e il taiwanese folksong
Fratello Anton va al mercato; e poi i Cantores Trevirenses di
Treviri (dir. M. Balzer), sede di una famosa università, che
hanno eseguito, in modo assai convincente, Praising Song,
interessante composizione di K. Nystedt; il Girls Choir Versme
di Vilnius (dir. A. Valentinaviciene) nell’incantevole e toccante
composizione Pie Jesu dal Requiem di A.L. Webber (l’autore di
famosissimi musical) di cui le ragazze hanno fornito
un’interpretazione di una purezza espressiva estrema; il
Warszawski Chor Miedzyuczelniany di Varsavia (dir. E. Siczek)
nella poetica interpretazione dell’Ave Maria di J. Dabrowski di
elevata spiritualità; i Manila Chamber Singers della città
filippina di Quezon (dir. W.L. Cordero), simpaticissimi e
gioiosamente travolgenti si sono esibiti nel Didn’t my Lord
deliver Daniel? di M. Hogan; e per finire, il Coro Abrasevich di
Belgrado, avvalendosi della composta ed elegante direzione
della giovane maestra Z. Zderic, ha concluso la manifestazione
artistica con l’ottimo Our Father di A. Schnittke.
Ma il trionfo corale conclusivo si è avuto la Domenica mattina
in Albis, quando in onore della Beatificazione di Giovanni
Paolo II, tutti gli oltre cinquecento coristi hanno eseguito,
sotto la sapiente direzione del maestro don Giuliano Viabile
(all’organo il maestro Mauro Buscarini) la Missa Brevis in
Honorem Beatae Virginis Mariae di Domenico Bartolucci.
Bellissima e a volte soave l’espressività mariana di questa
composizione, appositamente scritta per la Rassegna
Lauretana, che rifulge di stupefacente poeticità, e le voci dei
coristi, naturalmente riverberate dall’architettura della
Basilica, hanno suscitato nei fedeli commozione e meraviglia.
Oltre alle varie risposte in gregoriano i cantori hanno eseguito
il Regina Coeli di Aichinger, Misericordias Domini di Henryk
Jan Botor, O salutaris Hostia di Mons. Lavinio Virgili, mistica
composizione che nel lontano ’69 il maestro volle dedicarmi
personalmente.
Al termine congratulazioni per tutti e… già si pensa alla
cinquantaduesima edizione!
58
VOCI BIANCHE E MALCESINE: un BINOMIO NAZIONALE
6º concorso nazionale Il Garda in Coro
L’intenso lavoro
intrapreso ha fatto
felicemente
concludere la sesta
edizione del
Concorso Nazionale
Voci Bianche Il
Garda in Coro,
svoltasi dal 19 al 22
maggio a Malcesine,
con una grande
affluenza di
partecipanti che ha
confermato
l’importanza di
questa manifestazione quale occasione di incontro fra i
bambini e ragazzi, fra i loro direttori e i numerosi
appassionati giunti da tutta Italia.
Ben diciotto cori di voci bianche hanno preso parte alla
competizione con intraprendenza: una conferma importante
rispetto alle precedenti edizioni nazionali, sia in numero che
in qualità, confermato dalle esibizioni dei cori stessi, tra i
quali erano presenti alcuni dei nomi nazionali più prestigiosi.
Il concorso ha quindi ampiamente confermato la sua validità
nazionale, grazie alla partecipazione di cori provenienti da
dodici regioni italiane, molte delle quali rappresentate da più
di una formazione.
La giuria del concorso era costituita da alcuni dei più
importanti nomi a livello nazionale: Franco Monego,
presidente di Giuria di lunga e comprovata esperienza
nell’ambito corale nazionale; Mirko Ferlan, direttore di coro e
vincitore di numerosi premi in ambito corale nazionale e
internazionale; Luigi Marzola, docente presso la scuola
superiore per direttori di coro della Fondazione Guido
d’Arezzo; Paolo Piana, direttore di coro e docente presso il
conservatorio di Padova; Dario Tabbia, docente e co-direttore
del Coro Giovanile Italiano. La numerosa e ottima qualità dei
cori presenti ha reso il lavoro sicuramente difficile: ben due
delle quattro giornate a disposizione hanno visto impegnata
la giuria per la definizione e assegnazione dei numerosi premi
e riconoscimenti in palio.
Fra i cori premiati, si sono distinti in modo particolare, il coro
a voci bianche Aurora di Bastia Umbra diretto da Stefania
Piccardi, vincitore del primo premio in entrambe le categorie
repertorio sacro e profano, e per questo meritevole
dell’assegnazione del Gran Premio Il Garda in Coro quale coro
che ha raggiunto il punteggio più alto di tutto il concorso.
La direttrice Stefania Piccardi ha ricevuto il premio speciale
offerto dalle Edizioni Musicali Europee quale migliore direttore
e il coro ha inoltre ricevuto il premio speciale Feniarco per
l’esecuzione del brano Oh pulce di P.P. Scattolin tratto dalla
raccolta Giro Giro Canto 2.
Immediatamente a seguire, altri due sono i cori che hanno
dato grande prova d’abilità corale, pur presentandosi per la
prima volta al concorso Il Garda in Coro: rispettivamente il
coro Carminis Cantores di Puegnago del Garda (Bs) diretto da
Ennio Bertolotti e il coro dei Piccoli Cantori delle Colline di
Brianza di Rovagnate (Lc) diretto da Flora Anna Spreafico.
Il coro di Puegnago, secondo classificato nella categoria
repertorio sacro e terzo ex-equo nel profano, il coro di
Rovagnate invece, secondo classificato nella categoria
repertorio profano sacro e terzo ex-equo nel sacro.
Le vicine regioni del Veneto e del Trentino hanno infine
consegnato al concorso i vincitori del terzo premio ex-equo di
entrambe le categorie: dal Veneto il coro Kolbe Children’s
Choir di Mestre-Venezia diretto da Alessandro Toffolo e dal
Trentino i Piccoli Cantori della Scuola Musicale C. Moser di
Pergine Valsugana (Tn) diretti da Carmen Sartori. Il coro
veneto è risultato assegnatario anche del Premio speciale
Asac Veneto come miglior coro veneto e il direttore
Alessandro Toffolo ha ricevuto il riconoscimento speciale
quale direttore emergente. Il coro trentino ha ricevuto invece
il premio speciale della Federazione Cori del Trentino quale
miglior coro proveniente dalla provincia di Trento.
I premi speciali offerti dal Consorzio Funivia Malcesine-Monte
Baldo, per il miglior repertorio proposto nella categoria
repertorio profano e sacro, sono stati rispettivamente
assegnati al coro Aurora di Bastia Umbra e al coro Carminis
Cantores di Puegnago del Garda.
Il premio speciale offerto dall’Associazione Albergatori di
Malcesine per il coro proveniente dalla località più lontana è
stato proclamato al coro calabrese Coro voci bianche della
Scuola secondaria di primo grado A. De Gasperi diretto da
Roberto Caridi per i 1263 km percorsi da Reggio Calabria e il
premio speciale per il coro più giovane (con un’età media di 9
anni e 5 mesi) al coro voci bianche della Scuola Primaria di
Longastrino di Argenta (Fe) diretto da Marco Baragli.
Infine, miglior coro della scuola dell’obbligo è risultato il coro
Nuove Armonie dell’Istituto Comprensivo di Martinengo (Bg)
diretto da Cristina Belotti e il premio per particolari movimenti
scenici e coreografie sempre al coro Aurora di Bastia Umbra.
Ottime le prestazioni anche di molti altri cori, a dimostrazione
dell’ulteriore ottima qualità dei gruppi partecipanti.
L’edizione nazionale del concorso Il Garda in Coro, giunta
quest’anno alla sua sesta edizione, tornerà a Malcesine nel
maggio 2013. Lo spazio è ora aperto al territorio
internazionale e la sua terza edizione, in programma a
Malcesine dal 17 al 21 aprile 2012.
CRONACA
59
SCONFINATAMENTE, UMANAMENTE CORALE
Ricordo del direttore Andrea Giorgi
di Rossana Paliaga
Il 50º Concorso internazionale di canto corale Seghizzi gli ha
dedicato il primo premio nella categoria con programma di
composizioni del secolo XIX, un omaggio dovuto che ricorda
lo stretto, amichevole legame del direttore Andrea Giorgi con
il concorso goriziano. Da membro della giuria internazionale o
come semplice spettatore, la sua presenza ha caratterizzato
negli ultimi anni la manifestazione che ha sempre osservato
con ammirazione per il livello di qualità espresso dalle
eccellenze della coralità amatoriale mondiale, senza mai
vestire i panni ingessati dell’esperto, ma partecipandone con
cordialità e curiosità.
Il maestro ha mosso i primi passi nel mondo della musica
nella sua città, Trieste, dove ha completato gli studi di
pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Tra i suoi
maestri ha un ruolo di primaria importanza il compositore
triestino Giulio Viozzi, ma nella sua formazione hanno lasciato
il segno anche gli insegnamenti di Gottfried Lessing, Bruno
Cervenca e Vito Levi.
Il suo primo ingaggio di rilievo è stata la collaborazione con il
Teatro G. Verdi di Trieste, quando, appena ventenne, è stato
chiamato a sostituire il maestro titolare nella direzione del
Nabucco all’interno di una tournée regionale. L’esperienza è
stata il trampolino di lancio per una carriera artistica che l’ha
portato a svolgere la propria attività presso diversi teatri
d’opera europei ed extraeuropei di primaria importanza.
Giorgi ha lavorato stabilmente in Turchia come direttore
musicale del Teatro Nazionale di Ankara, incarico che ha
sempre ricordato con piacere e stima per la vivacità
dell’ambiente musicale turco: «Sono stato invitato per
l’allestimento de La fanciulla del West e Rigoletto. Mi hanno
offerto un contratto che prevedeva una certa stabilità, in Italia
invece il lavoro era precario, così ho optato per Ankara e ci
sono rimasto per 9 anni. In Turchia ho potuto fare importanti
esperienze dirigendo il coro del Teatro Nazionale, ma anche
concerti sinfonici. Studiavo come un pazzo, con entusiasmo:
appena diretto Andrea Chénier andavo a casa e mi mettevo in
salotto a studiare Adriana Lecouvreur e così avanti». Il lungo
periodo trascorso in Turchia ha segnato il percorso artistico e
umano di Giorgi con la ricchezza di un patrimonio umano e
culturale acquisito nel punto di incontro tra Oriente e
Occidente. Tra i momenti salienti va citata la prima esecuzione
del Requiem di Verdi in Turchia, avvenuta nel 1972 grazie
all’impegno dell’ambasciatore Pierluigi Alverà, ma il mondo
cattolico e quello musulmano hanno trovato la via di un
dialogo aperto e costruttivo anche con altre iniziative
promosse da Giorgi, grazie al rapporto di stima e fiducia
creato con i coristi e il personale del teatro che gli ha
permesso ad esempio di organizzare un concerto di canti
natalizi nella cappella creata da Giovanni XXIII ad Ankara e al
quale il coro ha preso parte in forma volontaria e gratuita.
Giorgi ha poi ripercorso l’Adriatico per portare nuovamente –
ma con una consapevolezza e una maturità totalmente
diverse – la propria esperienza a Trieste, dove è stato
maestro del coro dal 1975 al 1987.
Dal 1987 al 1991 ha assunto la direzione del coro dell’Opéra di
Parigi ed è stato direttore ospite del coro di Radio France. In
Francia ha ricoperto anche il ruolo di direttore musicale del
Teatro dell’Opera di Marsiglia ed è stato docente al
Conservatorio nazionale superiore di Parigi, inoltre ha diretto
per due stagioni l’Orchestra dei Giovani del Mediterraneo. In
questo periodo il suo bagaglio artistico è stato arricchito da
incontri fondamentali con grandi direttori, da Votto a Chung,
Prêtre, Barenboim, Mackerras, Lombard.
I continui trasferimenti in ambienti nuovi ai quali costringe il
lavoro in teatro, hanno rappresentato una corrispondenza
ideale con la sua naturale curiosità, un modo per incontrare
persone e condividere esperienze su un percorso in continua
evoluzione che nel 1996 l’ha riportato in Italia, prima come
direttore del coro al Teatro San Carlo di Napoli, in seguito e
per un decennio come Maestro del coro dell’Opera di Roma.
La professione non ha fatto cadere nei meccanismi di una
noiosa abitudine la sua passione autentica per la coralità, con
una predilezione per l’opera, l’oratorio e il repertorio sinfonico,
una frequentazione artistica che senza pregiudizi si è estesa
dall’ambito professionale a quello dell’amatorialità di alto
livello, con la quale si è cimentato in alcune occasioni speciali,
confermando la propria stima per l’entusiasmo e le capacità di
chi non è corista stipendiato: «Il coro amatoriale è composto
da persone che si riuniscono per il gusto di incontrarsi e fare
musica insieme. (...) Noi professionisti viviamo di musica e
abbiamo delle scadenze, degli obblighi. Questo ci condiziona.
Nella mia carriera ho incontrato cori di diverso tipo. Con tutti
ho sempre cercato di creare una linea mediana nella creazione
del suono. Il compito di un direttore è quello di plasmare il
materiale che ha a disposizione. (...) La voce umana è il più
grande strumento del mondo. Quando poi viene plasmata e
fusa con le altre voci è il massimo. Basti pensare alla bellezza
di un coro che sa eseguire perfettamente, nel pianissimo come
anche nel fortissimo, accordi nei quali riconosci le quattro
sezioni, ma le senti insieme, formano un colore, il timbro di
quel determinato coro. Questa è una cosa che m’inebria».
Tutte le citazioni sono tratte da:
A. Pace (a cura di), Annuario Seghizzi. XL Convegno Europeo
di studi musicologici, Edizioni Seghizzi, Gorizia, 2011.
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Notizie dalle regioni
A.R.C.C. Campania
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Giunto alla sua terza edizione, il Corso di formazione corale organizzato dall’Arcc ha visto
per la seconda volta la presenza del docente Paul Crabb, che il 28 e 29 maggio a Salerno
ha lavorato in particolare, affiancato dal connazionale Patrick Gardner, sulle tecniche di
vocalità per migliorare e sviluppare la voce. Ai primi di aprile, la coralità campana si è riunita
a Vallo della Lucania per la seconda Rassegna di cori polifonici Città di Vallo, patrocinata
dall’Arcc. Una bella rassegna con cantori di tutte le età e provenienti da realtà musicali
diverse, all’insegna dello scambio reciproco di esperienze. Il 7 maggio ha visto invece
l’incontro di nove cori scolastici provenienti da tutta Italia per la quarta edizione di Cantagiovani, la rassegna nazionale dei cori scolastici Premio “Dante Cianciaruso” organizzata
da Estro Armonico, Laes e Raga con il patrocinio del Comune di Salerno, dell’Arcc e di
Feniarco: una preziosa occasione per coinvolgere i giovani attraverso un’esperienza collettiva e lo scambio corale, e al tempo stesso un’occasione per fare “festa” insieme. Nell’ambito
della Festa Europea della Musica, infine, dal 18 al 23 giugno la regione Campania ha risuonato di musica corale coinvolgendo 45 cori in dieci diverse location, con la partecipazione
di oltre 1200 cantori. Una grande festa musicale pensata per trasmettere un messaggio di
viva speranza: “il canto unisce i popoli”!
A.C.P. Piemonte
Associazione Cori Piemontesi
Via Monte Mucrone, 3 - 13900 Biella
Presidente: Sandro Coda Luchina
Positiva l’esperienza formativa maturata in seno ai corsi Cantincoro organizzati dall’Acp
nell’anno scolastico 2010/2011 e dedicati alle scuole primarie delle province di Biella e
Torino. L’attività didattica, condotta da Silvio Vuillermoz e Giulio Monaco, si è conclusa
con i saggi di fine corso, particolarmente apprezzati dal folto pubblico presente. Lo stesso
Vuillermoz è stato impegnato in qualità di docente anche al masterclass sulla vocalità per
coristi e amanti del canto corale, svoltosi a Verbania il 28 e 29 maggio: un corso volto
all’apprendimento delle prime tecniche di vocalità, applicando le nozioni alla pratica con
l’apprendimento di due brani corali eseguiti poi dai corsisti il 5 giugno nell’ambito di
Piemonte In…canto, il festival della coralità piemontese svoltosi dal 2 al 9 luglio. Nove
concerti nelle province di Alessandria, Biella, Novara e Verbano Cusio Ossola, cori provenienti da tutta la regione, repertori che hanno spaziato dalla polifonia alla musica per cori
di bambini, dal gospel al canto alpino: questo il bilancio di Piemonte In…canto, importante
occasione di incontro e confronto per tutti i cori partecipanti, confermata da un’ampia
partecipazione di pubblico. Dedicata espressamente al canto popolare è stata la rassegna
provinciale I percorsi popolari tra Sacro e Profano, giunta alla quarta edizione e articolatasi
dal 2 al 17 luglio nella provincia di Verbano Cusio Ossola volta a favorire – oltre alla
diffusione del canto corale di tradizione – la promozione dei luoghi meno conosciuti del
territorio, la valorizzazione dei costumi e delle tradizioni, la riscoperta degli antichi sapori
e dei vecchi mestieri.
REGIONI
A.E.R.CO. Emilia Romagna
Associazione Emiliano Romagnola Cori
Via S. Carlo, 25/F - 40121 Bologna
Presidente: Fedele Fantuzzi
Quarant’anni di amatorialità e di passione musicale profusa dalle migliaia di componenti i gruppi corali in Emilia-Romagna. Se ne sono
accorti anche i cittadini che non sono soliti frequentare questo tipo di
musica: Bologna era infatti tutto un brulicare di coristi, appassionati e
simpatizzanti quando, nello splendido Auditorium di S. Cristina della
Fondazza, si è tenuto domenica 22 maggio un concerto di cinque complessi a coronamento del convegno che celebrava i 40 anni di attività
dell’Aerco. Era il 16 maggio 1971 quando il maestro Giorgio Vacchi,
direttore ininterrottamente fino a tre anni fa del Coro Stelutis di Bologna, riunì a Ferrara altri cinque direttori di cori (Leone XIII di Bologna,
Montetoccacielo di Porretta Terme, Valdolo di Toano, Val Padana di
Casumaro e G. Verdi di Argenta) per costituire un’associazione regionale
che riunisse i complessi di ispirazione popolare. Questa prima associazione regionale ne ha generate altre in tutt’Italia, che si confederarono in Feniarco, sempre aggiornandosi per rispondere alle nuove
esigenze che si manifestavano. Al convegno di domenica erano presenti
la rappresentante del Consiglio Regionale Paola Marani, il presidente
nazionale Sante Fornasier e molti dirigenti Aerco, tra cui i presidenti
che hanno seguito Giorgio Vacchi: Giovanni Torre, Pier Paolo Scattolin
e l’attuale presidente Fedele Fantuzzi. Il collegamento dei lavori e l’elaborazione delle tappe significative di Aerco è stata curata e presentata
dal segretario Puccio Pucci, animatore e memoria storica dell’associazione. A conclusione dei lavori, il magnifico concerto di quattro tra i
primi soci fondatori: la Corale G. Verdi di Argenta, il Coro Monte Toccacielo, il Coro Leone e il Coro Stelutis. L’esibizione del coro Mikrokosmos diretto da Michele Napolitano ha rappresentato l’apertura al
nuovo, alla multietnicità del nostro tempo.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Franco Colussi
Domenica 19 giugno a Gradisca d’Isonzo, l’Usci Friuli Venezia Giulia ha
proposto una serata dedicata alla polifonia profana rinascimentale dal
titolo Musica è lo mio core: un progetto a cadenza biennale che intende
valorizzare un repertorio poco praticato e offrire occasioni di incontro
e confronto tra i gruppi corali che frequentano tale repertorio. La serata
era inoltre inserita a conclusione di Festaincoro, giornata di musica
corale organizzata a Gradisca dall’Usci Gorizia per festeggiare i suoi
35 anni di attività: una grande festa che ha visto l’ampio coinvolgimento
dei cori dell’isontino, ciascuno libero di esprimersi secondo il proprio
repertorio. A cura delle rispettive associazioni provinciali, si sono svolte
le rassegne per cori di voci bianche e cori scolastici: Una giornata per
cantare insieme a Farra d’Isonzo (Go) il 3 aprile, Audite Pueri a Pordenone il 15 maggio, Primavera di Voci - Cantagioco a Trieste il 21 maggio.
Altra importante iniziativa provinciale quella di Tergeste Chorus, rassegna organizzata dall’Usci Trieste il 9 e 10 aprile con due appuntamenti
dedicati ai canti di autori triestini e al repertorio popolare. Dal 18 al
61
23 luglio, presso l’Abbazia di Rosazzo, si è poi svolta la tredicesima
edizione dei seminari di canto gregoriano Verbum Resonans, occasione
formativa tra le principali in Italia per l’approfondimento semiologico
del canto monodico cristiano. I trenta corsisti partecipanti hanno potuto
frequentare i corsi affidati ai docenti Nino Albarosa (direttore dei corsi),
Bruna Caruso e Carmen Petcu, affiancati da Paolo Loss per la vocalità
e Michele Centomo per la liturgia. Come ormai di consueto, le attività
seminariali sono state integrate da preziose occasioni concertistiche,
tra cui i concerti dei Cantori Gregoriani diretti da Fulvio Rampi e la
schola gregoriana Aurea Luce di Renzo Toffoli, e un calendario di messe
in canto gregoriano che, coinvolgendo i cori associati del Friuli Venezia
Giulia, si è articolato in tutto il mese di giugno. Ricordiamo infine che
venerdì 1° luglio a Gorizia, nell’ambito del ciclo di incontri Note di conversazione promosso dall’Usci regionale, si è tenuto un appuntamento
dedicato a don Vittorio Toniutti e alla musica sacra del ’900 friulano,
con la presentazione del volume La gloria di Ermacora e Fortunato
dello stesso Toniutti, pubblicato a cura del Coro S. Ignazio.
U.S.C.I. Lombardia
Unione Società Corali della Lombardia
Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc)
Presidente: Franco Monego
Diverse le iniziative messe in atto in regione, a cura delle rispettive
associazioni provinciali. L’Usci Bergamo ha organizzato, tra i mesi di
aprile e luglio, tre rassegne corali: Musiche di Pasqua, ciclo di tre
concerti dal 16 al 30 aprile per le festività pasquali; la prima Rassegna
internazionale di cori giovanili dal 25 giugno al 5 luglio, in diverse
località della provincia, con la partecipazione tra l’altro di due cori
ospiti spagnoli; BergamoEstate 2011, la rassegna estiva organizzata
nei mesi di giugno e luglio nel centro della città di Bergamo, dedicata
in particolare al repertorio popolare e gospel. All’interno di uno dei
più bei chiostri lombardi, a Voltorre (Gavirate, Varese), si è svolta sabato 7 maggio la tradizionale Rassegna annuale di Musica Sacra promossa dall’Usci Varese. Nella cornice dell’Eremo di Santa Caterina del
Sasso a Leggiuno (Va), anche per il 2011 l’Usci Varese, in collaborazione
con alcuni cori affiliati, ha assicurato l’accompagnamento della messa
vespertina estiva a cui segue uno spazio di esecuzioni corali di musica
sacra; un’iniziativa importante sia per la suggestività del luogo, sia
per l’affluenza di un pubblico internazionale.
A.C.T. Toscana
Associazione Cori della Toscana
Via del Pantano, 40 - 52100 Arezzo
Presidente: Fernando Catacchini
Nelle giornate di domenica 20 marzo e domenica 8 maggio, a Firenze,
si sono svolte l’Assemblea regionale dell’Act e la successiva riunione
del consiglio per il rinnovo delle cariche istituzionali. Al termine delle
consultazioni, i membri della Giunta Esecutiva eletta per il prossimo
triennio (2011-13) sono risultati: Fernando Catacchini, presidente; Enrico Moggi, segretario; Cristina Redi, tesoriere; Cristiano Benedetti e
Carlo Bresci, membri. A tutti loro, un sentito augurio di buon lavoro!
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discografia&SCAFFALE
Transcriptions
cd audio (vol. 1 e 2) e dvd video
Coro Accentus, dir. Laurence Equilbey
Naïve, 2001-2003 / 2006 / 2008
In principio sono stati gli Swingle Singers. Il celebre gruppo vocale di origine francese ha pubblicato, all’inizio degli anni ’60, l’album Jazz Sebastien Bach. Musiche
strumentali di sua maestà Giovanni Sebastiano, trascritte, o meglio impeccabilmente solfeggiate, a suon di da-ba da-ba da.
Oggi come allora, Laurence Equilbey propone un esperimento analogo. Attenzione,
esperimento analogo, non identico. Infatti, mentre gli Swingle Singers (prima maniera) rileggevano le partiture di Bach alla lettera, limitandosi a sostituire agli
strumenti le loro abili voci, l’antologia Transcriptions (vol. 1 e 2, pubblicati per
l’etichetta Naïve, rispettivamente nel 2001-2003 e nel 2006), contiene arrangiamenti di celebri composizioni d’autore, vocali e strumentali, trascritte e appositamente rielaborate per ensemble corale.
Gli autori delle trascrizioni sono Peter Cornelius (1824-1874), Samuel Barber (19101981), Knut Nystedt (1915), Clytus Gottwald (1925), Gérard Pesson (1958), Thierry
Machuel (1962) e Franck Krawczyk (1969). Fatta eccezione per Barber (che replica
se stesso), gli altri sei autori confezionano abiti corali per le opere di Vivaldi, Bach,
Schubert, Chopin, Wagner, Mahler, Wolf, Debussy, Ravel, Scriabin, Berg e
Prokofiev.
Molti di questi arrangiamenti vengono ricontestualizzati per coro, nel senso che,
trattandosi in origine di pagine strumentali, presentano l’aggiunta di un testo letterario scelto in base a particolari (e confutabili) suggestioni evocative. Così L’Inverno di Vivaldi diventa un Requiem aeternam, con buona pace del “prete rosso”,
il quale si era preso la briga di anteporre a ciascun concerto de Le Stagioni un
sonetto dimostrativo, che descrive altrimenti, esplicitamente e nel dettaglio, il
programma della sua musica. E, tanto per citare un altro esempio, lo Studio
op. 10 n. 6 di Chopin, in mi bem. min., diventa a opera di Krawczyk, un Lacrimosa.
Testo adattato (o appiccicato), per trasformare in “cantato” un brano che è stato
concepito per essere “tastato”.
Faciloneria, arbitrarietà? No, “gusto francese”, si dirà, quello di rimaneggiare nei
contenuti brani celebri. Già nel 1765, sull’onda del successo con cui fu accolta
oltralpe la pubblicazione del ciclo de Le Stagioni, tal Michel Corrette trasformò La
Primavera di Vivaldi in un mottetto, Laudate Dominum de coelis. E poi come dimenticare Gounod, il quale del Preludio I, del primo libro del Clavicembalo ben
temperato fece un’Ave Maria, oggi declassata alla stregua di souvenir nuziale?
Ma tant’è, il progetto Transcriptions di Accentus non si formalizza sui principi della
seconda pratica monteverdiana (là dove si pone «per signora dell’armonia l’orazione»). Invece, a far da padrone in queste registrazioni non è il valore artistico
delle trascrizioni in sé, piuttosto l’esibizione della qualità del “suono-coro”: chiaro,
leggero, trasparente, preciso, fascinoso, voluttuoso, moderno, assolutamente controllato anche negli estremi della gamma dinamica.
Kein Deutscher Himmel, trascrizione dell’Adagietto della V Sinfonia, non restituisce
l’incantevole timbrica di Mahler. Il mix di archi e arpa costituisce un’essenza sonora
discogr
RUBRICHE
intraducibile e irripetibile. Ma l’ambiente sonoro ricreato da Accentus sorprende comunque per le sonorità inaspettate dei
tappeti vocali, sui quali prendono il volo le ardite acrobazie
vocali del soprano solista.
Insomma, vien da perdonare il peccato di tradimento delle trascrizioni nei confronti dei brani originali, in quanto esse sembrano modellate per esaltare le straordinarie qualità di Accentus. Si ascolti Immortal Bach, manipolazione del corale Komm,
süsser Tod, BWV 478, di Nystedt (un brano a mio modesto
avviso alquanto sopravvalutato), per godere dei pregi timbricovocali di questo eccezionale complesso francese. Parimenti
sorprendente sul piano della raffinatezza della realizzazione
sonora è Soupir, elaborazione corale del primo dei Trois Poèmes
de Stéphane Mallarmé di Ravel. Gli spettri acustici di questa
sofisticata e difficile trascrizione di Clytus Gottwald (che in questo caso sembra pagare il debito di essere dedicatario di uno
chef-d’oevre assoluto, il Lux aeterna di Ligeti) sono resi da Accentus con fenomenale bravura, fin nelle più impercettibili risonanze armoniche.
Insomma, il merito della Equilbey sta nell’aver esplorato questo
particolare repertorio per celebrare un modello di coro oggi
assai apprezzato. Un’idea di coro per cui lo charme sonoro (visibile anche nella gestualità non proprio ortodossa, ma evidentemente efficace della direttrice stessa) è elemento primario
nell’apprezzamento delle proposte musicali.
I progetti Transcriptions sono diventati nel 2008 anche un dvd
video. Il successo di vendite dei cd (oltre 100.000 copie) ha,
infatti, spinto il cineasta Andy Sommer a confezionare un film
sul coro Accentus, che interpreta, in concerto e in situazioni
appositamente costruite, una selezione dei brani già contenuti
negli stessi cd audio.
Mauro Zuccante
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terpretarlo non è il coro di un ente lirico ma il coro Euridice di
Bologna, diretto da Pier Paolo Scattolin, il segnale è duplice:
vuol dire che anche il recalcitrante mondo musicale italiano si
accorge dell’esistenza di quel vasto movimento corale di cui
l’Euridice è uno dei più antichi, e per certi versi più tipici,
esponenti.
Nel bicentenario lisztiano, la rivista dedica il suo cd alla Via
Crucis del compositore ungherese. È un’opera della maturità di
Liszt. Progettata fin dal 1860, ma iniziata solo sei anni dopo, la
Via Crucis avrà elaborazione meditata, più volte accantonata,
e solo nel 1877, a Roma, sarà completata nella versione per
soli, coro e organo (o pianoforte). Due anni dopo, a Budapest,
la versione con pianoforte a quattro mani, prova che l’opera era
concepita dallo stesso compositore svincolata dalla celebrazione liturgica. Appartiene, insomma, a quell’ultimo periodo del­
l’esistenza di Liszt, quando, abbandonata la carriera del virtuoso e la mondanità che ne caratterizza lo stile di vita, prende gli
ordini minori e assume la veste dell’uomo religioso. Una religiosità non simpaticissima, quella dell’anziano Liszt, che trasferisce nella nuova dimensione esistenziale lo stesso strepito
retorico della vecchia e, dopo aver gridato la sua libertà di pensiero e di costume, strilla ancora più forte la sua ritrovata fede.
Una religiosità un po’ formale, un po’ estetizzante, fatta di luoghi comuni, ossequi alla tradizione, inevitabili citazioni gregoriane, toni scuri e mistiche penombre.
Pure, ascoltando questa Via Crucis, si può intravedere una dimensione di fede più autentica. La scelta stessa di un organico
minimo, la scrittura rarefatta (particolarmente evidente nel brano conclusivo del cd, In festo trasfigurationis per pianoforte
solo, scritta nel 1880) ci parlano di un uomo che cerca la strada
dell’essenzialità eliminando tutto ciò che è stato di troppo nella
sua vita e nella sua musica.
Chissà se Pier Paolo Scattolin, il coro Euridice e i due ottimi
pianisti (Rossella Spinosa e Alessandro Calcagnile) condividono
questa visione. Di certo la loro interpretazione la rende credibile:
appassionata, ma mai retorica, fedele, ma mai scontata, questa
incisione della Via Crucis invita a ripensare i propri giudizi (e
pregiudizi) sulla musica di Franz Liszt.
rafia&
Via Crucis S 583 / Franz Liszt
Coro Euridice
Rossella Spinosa e Alessandro Calcagnile, pianoforte
Pier Paolo Scattolin, direttore
Amadeus, giugno 2011
Si moltiplicano i segnali che anche in Italia la musica corale
comincia a essere considerata, come è, un valore culturale e
artistico del tutto pari a quella strumentale o alla vocalità operistica. Quando una rivista come Amadeus dedica un suo cd a
un’opera corale, si ha uno di questi segnali. Quando poi a in-
Sandro Bergamo
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Giorgio Vacchi e il canto popolare:
fonti, processi compositivi e stilemi espressivi.
Atti del convegno di studi del VII Festival corale internazionale
“Città di Bologna” a cura di Pier Paolo Scattolin
Bologna, Aerco, 2011
A tre anni dalla scomparsa di Giorgio Vacchi, è appena iniziata la riflessione sul
suo lavoro e la sistemazione della sua vasta opera. Ovvio che, in prima fila, a farlo
sia l’Aerco, che lo ha ricordato nel corso di un convegno tenutosi a Bologna, nella
Tiz, sede del coro Stelutis diretto e fondato proprio da Giorgio Vacchi, fondatore,
peraltro, della stessa Aerco (allora Aercip - Associazione Emiliano Romagnola Cori
di Ispirazione Popolare) che, con questo convegno, ha voluto celebrare il proprio
quarantesimo anniversario di fondazione.
Gli atti di quel convegno escono ora, a cura della stessa Aerco, nel n. 9 dei Quaderni
della Rivista «Far coro». Ad aprirli, una relazione introduttiva della figlia Silvia, succedutagli nella direzione del coro bolognese. Nelle brevi pagine del suo intervento emerge
la figura di un intellettuale che coltivava un disegno ambizioso ma chiaro: salvare
quanto la cultura contadina aveva trasmesso attraverso il canto popolare e farne
strumento di identità e formazione culturale. In questo progetto, il coro è il luogo dove
ciascuno si misura con se stesso e con la sua capacità di crescere: «egli credeva
fermamente che ogni gruppo potesse migliorare e trovare la propria strada; soprattutto
credeva che ne valesse sempre la pena, purché si lavorasse con criterio».
Della poetica compositiva di Giorgio Vacchi si occupa Michele Peguri. Un percorso
in cui la creatività del compositore è sempre al servizio di quelle storie in musica
che erano per lui i canti popolari, avendo come principale obiettivo quello di far
coincidere valori musicali e valori testuali, di far emergere, attraverso l’espressività
delle immagini musicali, quella del testo sottostante.
A monte di queste creazioni musicali, nate principalmente per il proprio coro ma
spesso anche per uno dei tanti cori seguiti e aiutati personalmente da Giorgio
Vacchi, c’è, naturalmente, il grande lavoro di ricerca, descritto da Gian Paolo Borghi.
Lunghi decenni di peregrinazioni per l’Appennino e per la pianura, nella convinzione
che fosse ancora presente nella memoria un ricco patrimonio di canti popolari sui
quali costituire, per i cori emiliano-romagnoli, un repertorio proprio, slegato dai
modelli importati del canto di montagna. Un lavoro nel quale fu capace di coinvolgere altri studiosi e altri cori postisi sulla scia sua e del coro Stelutis. Una tenacia
premiata dalla mole di materiale raccolto, dalle pubblicazioni e incisioni che ne
danno conto, dal corposo archivio costituito nel Ccs (Centro Culturale Stelutis).
Giorgio Vacchi agiva nel solco di una disciplina etnomusicologica di cui era perfettamente informato e consapevole e che si riallaccia non solo al lavoro svolto in
Italia da tanti suoi predecessori e colleghi, ma che si rifà a un più vasto movimento
europeo che negli ungheresi Bartók e Kodály trova i suoi vertici. Di questi collegamenti dà conto Pier Paolo Scattolin nella relazione conclusiva.
Completano il volume la trascrizione degli interventi nel dibattito seguito alle relazioni e le partiture dei brani, di Giorgio Vacchi e altri autori, eseguite nel concerto
che ha chiuso il convegno.
Sandro Bergamo
discogr
RUBRICHE
Associazione
Cori della
65
Toscana
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
rafia&
Comune di
Montecatini Terme
Italiafestival
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Il punto spirituale più alto nella musica della comunità sembrerebbe essere raggiunto nel momento in cui il saluto di benvenuto sarà dato a chiunque, allenato
o non allenato, voglia cantare in coro. In ogni comunità sana dovrebbe esserci
l’opportunità per tutti di cantare quanto gli pare e piace.
La frase citata è stata presa da un’enciclopedia di oltre cento anni fa, ma mantiene
ancor oggi tutta la sua totale e corale validità. Ben si presta, inoltre, per dare parole
all’augurio che Mondocoro vuole fare ai suoi lettori alla vigilia di una nuova stagione
corale che, fra crisi e sacrifici ormai perduranti e ben noti, non dovrà discostarsi
da quelle dei migliori tempi andati: cantiamo quanto ci pare e ci piace!
Ad maiorem Dei Gloriam - Benjamin Britten
Un ricordo di Benjamin Britten (1913-1976) esposto in poche righe suona già quasi
ridicolo in se stesso. Ma lo è almeno altrettanto anche la dimenticanza completa.
Ciò giustifica la breve nota che segue. La centralità di Benjamin Britten nella musica
inglese del ventesimo secolo lo renderebbe meritevole di un intero libro anche
solo per quanto riguarda il suo impegno nella musica corale. Un libro, peraltro, è
già stato scritto da Kenneth G. Boos nel 1986: The study of the Relationship between
Text and Music in Five Selected Choral Works of Benjamin Britten (Studio della
relazione fra testo e musica in cinque opere scelte di Benjamin Britten, DMA,
University of Miami). La fama internazionale di questo compositore inglese prende
avvio nel giugno 1945 alla prima dell’opera Peter Grimes. Se la sua musica rimane
profondamente radicata nell’antica tradizione inglese (sempre nel 1945 aveva già
pubblicato un volume – il primo di sei complessivi – di arrangiamenti di canti
folkloristici inglesi) però essa si apre molto presto ai più moderni influssi che gli
vengono dal continente. Britten è considerato almeno negli ultimi 300 anni, cioè
dopo Henry Purcell, il primo musicista inglese che coltiva un linguaggio musicale
accettato internazionalmente perché in esso anche il pubblico di altri paesi riesce
a identificarsi. La sua musica è “tonale ma evasiva” come dice Mervyn Cooke nel
suo The Cambridge Companion to Benjamin Britten (CUIP, 1999).
Benjamin Britten è un compositore familiare a molti direttori di coro di tutto il
mondo, anche solo per le sue composizioni Inno a Santa Cecilia, A Ceremony of
Carols, Rejoice in the Lamb, Inno alla Vergine e la Missa Brevis.
Graham Lack, compositore e musicologo dal lungo curriculum cominciato con la
formazione al Goldsmiths College e al King’s College, nell’articolo The Contennace
Angloise – in cui presenta la Pratica armonica e melodica nella musica vocale
inglese dai tempi di Dunstaple fino ai nostri giorni – dice di voler proporre un’opera
che sicuramente non è altrettanto presente sul radar dei direttori di coro di oggi.
E comincia così l’analisi di AMDG (Ad majorem Dei Gloriam) che porta la data del
1939, l’anno in cui Britten giunge in America dove resterà fino al 1942. Era l’inizio
di un periodo molto fecondo per l’attività compositiva del nostro musicista, ma
per ragioni che non furono mai chiare neppure all’epoca, questo pezzo venne
abbandonato. Esso rimase dapprima nelle mani del dottor William Mayer presso
cui Britten era ospite. Poi – alla morte del compositore – molte sue opere, fra cui
il ciclo di composizioni AMDG, finirono al British Museum, da cui uscirono per la
RUBRICHE
pubblicazione soltanto nel 1989. Il titolo del ciclo è preso dal
motto dei gesuiti, la congregazione religiosa a cui apparteneva
l’autore dei testi, il poeta americano Gerard Manley Hopkins. È
evidente che Britten fu colpito profondamente da questi testi.
Una dettagliata presentazione dell’opera, arricchita con esempi
musicali, è esposta nelle sei pagine del citato articolo di Grahan
Lack (originale disponibile su ICB n. 1, 2011).
Collezionando battute…
Chiunque canti in un coro è ben avvezzo alle battute del suo
direttore, anzi, credo si possa dire e auspicare che il cantore
deve avere buona predisposizione a queste “interferenze” non
musicali che non sempre sono semplice istruzione per l’esecuzione di un passaggio musicale… Talvolta sono sapide… talvolta
semplicemente ironiche… talvolta anche fuori luogo (perché non
dirlo?). Ma… bando alle chiacchiere! Ecco una piccola collezione
di battute internazionali:
A proposito di intima partecipazione
«Se il tuo cuore sa di cosa tratta il canto, per favore, informi la
tua faccia!», «Una variante: Se nel tuo cuore vi è gioia, fallo
sapere alla tua faccia!», «Bene, adesso si capisce che il canto
lo conoscete. Ora cantatelo come se vi piacesse!», «Siete più
nervosi di un gatto con la coda lunga in una stanza zeppa di
sedie a dondolo.», «Meglio sparare e non colpire che non sparare affatto! Almeno puoi spaventare qualcuno.», «Questo brano
non dovrebbe suonare bene per caso!», «Se prepariamo il campo per l’atterraggio, forse lo Spirito Santo potrebbe scendere
giù!»
A un coro… calante
«Quanti di voi sono veramente svegli? La prossima volta cantate
in tono! Quanti di voi sono un pochino stanchi? Cercate di crescere un quarto di tono! Quanti di voi sono molto stanchi? Cantate mezzo tono sopra! (che tradotto significa: essere stanchi
non equivale a cantare stonati!)», «Cantare intonati copre una
gran quantità di difetti.», «Non esiste che uno cali del 5%. O è
intonato o non lo è! È come un test di gravidanza!», «Se un
uccello può andare dal Guatemala all’Alaska, allora tu puoi certamente passare da un fa a un sol!»
Ai cantori… affondati nella partitura
«Se guardi ancora la partitura, significa che stai leggendo a
prima vista!», «Quando sei nervoso, non nasconderti nella partitura! È fatta di carta e di inchiostro e non può volerti bene;
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non gliene importa niente se canti bene e comunque non ti
sente! Io ti voglio bene, i tuoi colleghi e amici ti vogliono bene.
Noi vogliamo che tu riesca bene; esci dal nascondiglio!», «Se
hai dei dubbi, guarda quella persona che sta agitando le braccia
davanti al gruppo!»
A un cantore timido
«Che tu conosca o no le note, canta con più sicurezza e decisione!», «Se non ti sento… non importa cosa stai cantando!»
Errori
«Cantate, sbagliate adesso, non in concerto!», «Se vuoi fare un
errore, fallo bello grosso e succulento!», «Canta deciso e sbaglia
con convinzione! Se non sento bene l’errore, non posso correggerlo!», «Se vuoi sbagliare, fallo bene!», «Guarda avanti… da
qui viene l’aiuto per te!»
Dopo un errore “logico”
«Era carino. Quello che avete cantato ha senso, avrebbe potuto
essere scritto così, ma non lo è!»
Perfezionamento
«Sì, va bene. Questo ci offre l’occasione per migliorare ancora!»,
«Gentili signore, belle armonie, ma purtroppo qui siamo all’unisono!», «Dovete cantare così dolcemente che il pubblico deve
chiedersi da dove viene il suono. Penserà che viene dal vostro
cuore.», «La musica, come il sesso, è troppo importante per
lasciarla ai professionisti!»
Annotare le partiture
«Confucio dice che il più forte in memoria è più debole del più
pallido inchiostro (naturalmente nessun cantore usa l’inchiostro; matita, per favore!).», «Ogni cantore durante la prova deve
avere quattro matite: una per sé, una per il cantore di sinistra
che l’ha dimenticata, una per quello di destra (come prima) e
una per il maestro (come detto).»
Salute della voce
Non si conoscono studi italiani sull’argomento specifico, ma in
America pare che il 20 per cento degli insegnanti sia affetto da
anomalie della voce che causano al paese un costo sociale
quantificabile in due milioni e mezzo di dollari all’anno. Nonostante le apparenze e le credenze, quindi, quello della salute
vocale è un problema molto importante. Vi dedica la sua attenzione un professore di educazione musicale della Northern Illi-
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nois University di DeKalb (Illinois). Mary Lynn Doherty, questo il suo nome, afferma
che il suo scopo è quello di dare informazione e supporto a quegli insegnanti di
musica che sono alle prese con problemi vocali e che nel corso della loro carriera
vogliono conservare la salute della voce e che necessitano di materiale di riferimento specifico da condividere con colleghi, amministratori della scuola e genitori.
Dopo un’introduzione generale si dedica in modo specifico agli insegnanti di musica
e quindi ai più comuni problemi della voce nei professionisti e alle loro cause.
L’esperta si chiede se l’ambiente dell’insegnamento possa essere considerato “tossico” per la voce. Detto in breve, per la cura e la conservazione ottimale della voce
suggerisce attenzione a un riposo (sonno) sufficiente, a un riscaldamento adeguato
della voce e a un’oculata dieta nutritiva.
Tanto pe’ canta’…
lode al cantare in soggiorno
Oggi come oggi cantare sembra essere soltanto le prove di coro, i servizi liturgici,
le sale da concerto e l’occasionale esperienza da bar del karaoke. Nient’altro!
Ma cosa ne è del semplice trovarsi attorno a un pianoforte con la famiglia e gli
amici e lasciarsi andare in alcune canzoni? Che ne è del trovarsi in prima serata a
cantare attorno a un tavolo di un rifugio di montagna, quasi preparazione spirituale
per l’ascensione che comincerà nella tarda notte, prima della nuova alba?
Una volta mettersi a cantare non passava certo per un’idea originale. Era una cosa
che si faceva da sempre, in un’infinità di occasioni, con la partecipazione di tutti
i presenti.
A un certo punto della situazione… compariva una chitarra, una fisarmonica, qualche tamburello, talvolta un mandolino… E si cominciava a cantare. Si cominciava
sommessamente, due, tre cantori, ma il gruppo si ingrossava immediatamente e
si arrivava presto a cantare gagliardamente e ad alta voce. Continuava così fino a
che la voce non era roca. Ognuno cantava decine e decine di canzoni, quasi senza
coscienza alcuna di ciò che faceva. E più si cantava, più diventava difficile staccarsi
dal gruppo.
Era una tradizione di famiglia, era un’operatività scontata ogni volta che un po’ di
gente si trovava riunita nello steso luogo, un locale pubblico, una casa privata,
un’aia o una stalla.
E si cantava di tutto. Cantare canti popolari tradizionali, religiosi o profani, seri o
carnascialeschi, canti d’amore, canti di guerra, canti di lavoro… era come ovunque
sentirsi a casa propria, come persone e come nazione. Era divertimento ed era
preghiera; era supplica ed era esercizio di speranza che un problema trovasse
presto felice soluzione; era ricordo ed era nostalgia profonda; era dolore, anche
personale, sublimato nella comunità che lo condivideva senza chiedersi perché o
percome.
Io mi chiedo: che cosa ci ha fatto smettere di cantare? Che cosa ci ha fatto rinunciare a una parte intima, profonda e importante della nostra vita, quella più vera
che derivava anche dalla lingua materna locale che benissimo asserviva la comunicazione di fenomeni, fatti e affetti di vita, di qua e di là dell’oceano?
Gli amici cantavano insieme. Perché non più?
RUBRICHE
Liberamente tratto da Kelsey Menehan che è una scrittrice di
San Francisco, canta in coro, è una psicoterapeuta e scrive per
riviste di coralità. Che abbia conosciuto padre David Maria Turoldo o quantomeno la sua poesia?
Quando si cantava - E perché allora / che eravamo poveri / Si
cantava? / Si cantava a sera / e anche all’alba / il panettiera
cantava / per le vie deserte. / Cantavano tra i filari / nei gloriosi
giorni di vendemmia: / e la gioia si spandeva / a onde, giù sulla
pianura… / Ora siamo ricchi e muti. / Ognuno è chiuso / nel suo
appartamento, / non esiste più il “paese”. / Estranei i familiari:
/ città senza amicizie, / dove nessuno si conosce. E se conosci,
spesso / più cresce la ragione / di essere diffidente.
Choralnet si fonde con Acda
«Choralnet si è sempre preoccupata di mettere in contatto fra loro
i musicisti corali e collegarli a tutte le risorse di cui hanno bisogno
nel loro lavoro. Acda (Associazione dei Direttori di Coro Americani)
condivide gli stessi scopi. A questo punto entrambe le associazioni
stanno vivendo la situazione perfetta per una fusione avente lo
scopo di creare sinergie di sicuro beneficio reciproco».
Queste sono le parole di Feizli, da sempre membro di Acda e
già presidente dell’Acda del Dakota, nonché – nel 1993 – creatore di Choralnet.
A lui fa eco Tim Sharp (direttore esecutivo di Acda) sostenendo
che «questa operazione fa compiere un grande passo avanti
nell’utilizzare appieno la comunicazione tecnologica a beneficio
dei direttori di coro, senza dover re-inventare la ruota».
Choralnet è il primo social network di comunicazione globale
in campo corale e «ci onora questa fusione che porta avanti
uno dei nostri scopi principali, quello di diffondere notizie professionali e informazioni del campo corale».
Choralist, un distributore di e-mail, s’era sviluppato in Choralnet
che ora è un’associazione no-profit sostenuta dalle principali
associazioni corali fra cui Acda, Ifcm, Chorus America e alcuni
partners commerciali come la Smallworld Musicfolder, la Rehearsal Arts, J.W. Pepper e Kingsway International.
Choralnet gestisce online dei forum per lo scambio di idee, crea
connessioni professionali, condivide informazioni corali fra circa
10.000 persone, offre links con altre comunità corali e circa
5000 siti di cori.
Le risorse online di Choralnet comprendono liste di repertorio,
materiale di riferimento, rehearsaltips, accessori e tecnologia
corale e aree in cui è possibile annunciare e pubblicizzare “prodotti” corali. La sua sezione multimediale comprende podcasts,
blogs, video, partiture e incisioni corali scaricabili. Col nuovo
format ormai in uso da aprile 2010 è possibile agli utilizzatori
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una flessibilità di interazione con Choralnet simile a quella di
altri social networks più famosi, come myspace e facebook.
Tim Sharp di Acda garantisce con Choralnet un social network
di comunicazioni indipendente e senza censura per la comunità
corale globale.
Un genere corale… fuori concorso
È una verità universalmente riconosciuta che alla gente piace
esprimere le proprie frustrazioni a chiunque le voglia ascoltare.
Gli artisti finlandesi Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kallleinen
hanno portato questo concetto a un nuovo livello alcuni anni
fa, introducendo l’idea dei Complaint Choirs (cori delle lamentele), cioè gruppi di persone che cantano al pubblico le proprie
lagnanze. Partendo dalla considerazione che gli abitanti di tutte
le città del mondo amano lamentarsi sulla propria città e sulla
vita in generale, gli artisti hanno tradotto questo fenomeno
universale in un’iniziativa ironica, divertente e coinvolgente: nel
2005 hanno organizzato a Birmingham il primo Coro delle Lamentele composto da cittadini desiderosi di creare, con l’aiuto
di un compositore, una canzone delle loro lamentele e di esibirsi
come coro nelle piazze e in altri luoghi pubblici della città.
Dall’ormai lontano 2005 a oggi questo genere di coralità ha
cominciato ad apparire in tutto il mondo, con gruppi in molte
città, da Juneau a Budapest, da Singapore ad Amburgo, da San
Pietroburgo a Gerusalemme e via dicendo.
In Italia il primo Coro delle Lamentele è stato realizzato a Firenze nel 2008. L’iniziativa si è inserita subito nel progetto
internazionale ideato a Birmingham dagli artisti Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kalleinen che, dopo il primo coro di Birmingham, per far fronte al successo dell’iniziativa hanno creato
il sito www.complaintschoir.org dove fornivano alle tante città
europee che si rivolgevano a loro, le “istruzioni” su come costituire un Coro delle Lamentele. Di ogni coro viene realizzato
un video da inserire sul sito per documentare le tappe internazionali dell’iniziativa che si sta diffondendo a macchia d’olio
in tutto il mondo.
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Cantaré! Un interessante progetto
musicale educativo e artistico
Bruce W. Becker, direttore esecutivo dell’Acda (Associazione dei Direttori di Coro
Americani) è l’autore dell’articolo che comincia con la seguente premessa: «L’articolo
che segue intende mostrare come i compositori di un altro paese possano, dirigendo
le opere che sono state loro commissionate, entrare in una sperimentazione di incrocio e scambio culturale che porta a grandi benefici sia in campo educativo sia in
campo artistico. Inoltre è sperabile che scuole pubbliche, colleges, chiese e cori di
comunità possano implementare esperimenti culturali di questo genere».
Molto spesso parlando del Messico, ci capita di ascoltare molte cose negative in
ogni campo. Tuttavia è indiscutibilmente vero che un paese con 100 milioni di
abitanti, con le sue profonde tradizioni storiche e con un ricchissimo patrimonio
culturale, ha molto di positivo da offrire al mondo. Che cosa sappiamo noi della
cultura messicana, soprattutto in campo corale?
Nel Minnesota abitano migliaia di messicani. A partire dal 2007 Philippe Brunelle,
direttore artistico dell’associazione corale VocalEssence (di Minneapolis), incoraggia il direttivo e lo staff della sua associazione a fare della musica corale messicana
il centro della sua attenzione. La conseguenza è stata quella di portare a un’iniziativa unica nel suo genere denominata Cantaré! (“Cantiamo!”) che mette in contatto diretto compositori messicani e scuole elementari, scuole superiori e cori di
comunità del Minnesota.
B.W. Becker fa la storia di questo esperimento evolutosi dalla prima pianificazione
ai contatti coi compositori, alla commissione dei brani, all’identificazione delle
scuole e dei cori da coinvolgere e fino all’esecuzione del concerto finale nella sala
dell’Orchestra di Minneapolis (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 34-38).
Eleanor Daley, compositore canadese
Hilary Apfelstadt (già presidente dell’Acda - Associazione dei Direttori di Coro Americani e direttore delle
Attività Corali dell’Università di Toronto) ha intervistato per il Choral Journal il compositore canadese Eleanor Daley. Il risultato dell’intervista ci permette uno
sguardo dettagliato e completo nella vita della musicista, nel suo straordinario viaggio musicale che continua e nei musicisti che nel corso della vita hanno
influenzato il suo modo di pensare la musica e di
comporla. Hilary Apfelstadt ci presenta l’essenza compositiva della musica corale di E. Daley. Riferisce che
la musica di Daley è melodicamente accattivante, armonicamente ricca ed esprime il significato dei testi in modo molto sensibile. In
particolare le sue composizioni per voci bianche semplicemente “cantano bene”,
l’estensione vocale è ragionevole, le frasi sono molto espressive, i testi sono piacevoli e la sua musica è così ben composta che porta spontaneamente i cantori a
RUBRICHE
una certa abilità vocale e all’acquisizione dei principali concetti
musicali. Nell’intervista la compositrice canadese descrive il suo
metodo compositivo ed enfaticamente l’importanza del testo:
«first and foremost, it is text, text, text! (prima e soprattutto il
testo!)». L’intervista è corredata da otto pagine di discografia e
da un lungo elenco (suddiviso per editore) delle composizioni
pubblicate da E. Daley (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 16-32).
Cina: il canto Ga Lao
Davvero molti gli articoli dell’ultimo numero di ICB che attirano l’interesse del lettore. Molto particolare è un articolo in cui viene presentata Ga Lao, la tradizione corale senza accompagnamento propria e caratteristica della popolazione cinese Dong (Cina del sud).
Li Xi, direttore di coro cinese che ci vuole presentare questo
tesoro della musica del suo paese, così esordisce: «Ho incontrato per la prima volta il canto della popolazione Dong chiamato
Ga Lao durante i World Choirs Games in Xiamen nel 2006. Mentre la fila di belle ragazze Dong, abbigliate in abiti tradizionali
Dong, avanzava sul palco il canto era così puro che sembrava
provenire dal cielo. Fui talmente attratta da questo coro che
volli scoprirne le origini. Mi recai a Liping, nella provincia di
Guizhou, nella Cina del sud…»
Secondo una leggenda, la popolazione Dong discende dalla popolazione Yue che ha ben 2500 anni di storia. I Dong credono
fermamente che il cibo nutre il corpo, ma il canto nutre il cuore.
In altre parole, il popolo Dong è convinto che nella propria vita
il riso e il canto hanno pari importanza. Il canto è usato come
una specie di energia spirituale che serve a modellare il loro
carattere e il loro spirito. I temi principali di questo canto Ga Lao
sono la natura, il lavoro, l’amore e l’amicizia. L’imitazione del
canto degli uccelli e degli insetti, delle montagne e dei ruscelli e
di qualsiasi altro suono della natura è una delle caratteristiche
di questa tradizione corale. A seconda dello stile esecutivo, del
ritmo, dell’argomento trattato nel testo, e del ruolo sociale che
questi canti svolgono, la musica Ga Lao comprende i seguenti
generi: canto dei suoni, canto etico, canto di lavoro, canto religioso, canto per varie occasioni sociali, come per esempio il canto
Caitang che verso la fine di una festa viene eseguito dalle persone
di tutta la comunità tenendosi per mano mentre danzano e cantano. Oltre a questi poi ci sono Road Stopping Songs, canti
d’amore e di matrimonio, ballate e storie, canti conviviali e canti
funebri. Il popolo Dong raramente ripete gli stessi canti. Gli insegnanti di canto Dong tengono nella loro memoria un repertorio
di diverse migliaia di canti tutti connessi con la cultura, le tradizioni e la vita di ogni giorno. Essendovi così tante persone che
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amano il canto, non desta
meraviglia che i villaggi
Dong siano definiti “Mare
del canto e Casa della poesia”. «È rarissimo, nel
mondo, che una minoranza etnica di poco più di
due milioni di persone
possa creare e conservare
un coro antico e puro
come questo», dice la presidente del gruppo Liping County Dong
Choir, M. Josephine. Molte persone credono che nella musica
cinese non vi sia armonia, ma il Ga Lao della popolazione Dong
mostra invece che la polifonia nell’antica Cina c’era. E la tradizione
continua grazie al direttore di coro Yin-Ting Sun (ICB, n. 3, 2011).
Le Chansons di Vincent D’Indy
Vincent D’Indy (1851-1931) ha lasciato un importante contributo
alla chanson francese della prima parte del ventesimo secolo.
Le sue Chansons per coro vengono analizzate e discusse da
Paul Neal (direttore delle attività corali, professore aggiunto
della Valdosta State University in Georgia).
Neal afferma che dopo la prima guerra mondiale molti compositori europei hanno condiviso un rinnovato interesse per la salvaguardia del proprio patrimonio musicale originale. Espressione di
questi ideali nazionali, Vincent D’Indy ha scritto venti chansons
dimostrando, con l’incorporazione in esse dei canti popolari francesi, il suo grande interesse nella conservazione del patrimonio
originale francese, allo stesso tempo senza rinunciare alla sua
visione e interpretazione degli ideali armonici.
Spesso questi canti popolari sono o modali o non definiscono un
centro tonale. D’Indy, scrive Neal, compie ogni sforzo per restare
fedele alla melodia originale conservando le loro caratteristiche
e come esempio offre La Separation (dall’Opus 90). Come ci si
può facilmente aspettare, per D’Indy in queste chansons tempi e
metri sono influenzati dai loro testi, ma dalle sue composizioni si
possono trarre anche altre considerazioni. Nella parte restante
dell’articolo ogni considerazione è riservata alla descrizione e
all’analisi di sei brani scelti dall’Opus 90: Sei canti popolari francesi. L’articolo si conclude con l’elenco delle Chansons di D’Indy
e una ricca bibliografia (ChJ, giugno/luglio 2011, pagg. 6-14).
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Congratulazioni per un magnifico cd
I Vocalisti, coro da camera di Lubecca, sono diretti dalla fondazione da Hans-Joachim
Lustig. Nel loro ultimo cd Domine Deus presentano un incredibile ritratto del Signore
Gesù Cristo. Per fare ciò innanzitutto hanno preso testi biblici portandoli a una
nuova luce attraverso moderne composizioni a cappella, musiche che gli artisti
musicali del gruppo hanno studiato intensamente e per le quali hanno acquisito
grande passione. In aggiunta a ciò i cantori hanno ricevuto preziosi suggerimenti
da ognuno dei compositori (tutti viventi). Il disco è ben costruito; i brani sono incorniciati fra un Ordinarium Missae della Messa Latina di Ug‘is Praulins̆ e un sor’
prendente arrangiamento del Pater Noster di Aleksander Vujić. Tutto ciò che sta tra
i due brani parla di Dio, a Dio, parla del Signore Gesù Cristo in un modo davvero
unico. «Essi esprimono ogni sfaccettatura della situazione dell’umanità prima di
Dio, implorando, pregando, ricevendo grazia e lottando per la vita». La loro musica
porta l’ascoltatore a un ideale luogo di contemplazione, di quiete e di pace. Tre
elementi collocano I Vocalisti fra i migliori cori del mondo: il senso del fraseggio,
la loro unità vocale e la loro devozione e trasporto verso il testo musicale. Il senso
di ogni frase, di ogni riga, di ogni nota si muove in avanti. Che ciò sia dovuto al
compositore, al direttore o ai cantori (o a tutti insieme) è discutibile, comunque sia
in ogni brano si crea un alto senso del dramma e ciò è evidente fin dall’emozionante
interpretazione del Gloria. Tono ricco e perfetta intonazione sono i due aspetti
principali dell’esecuzione. Ma veramente da sottolineare nei Vocalisti è il trasporto
per il testo che cantano: sanno cosa cantano. Troppo spesso i cori amatoriali cantano
“foneticamente” la musica, prestando poca attenzione alla traduzione dei testi.
Nelle note al cd il direttore Hans-Joachim Lustig sottolinea esplicitamente il fatto
che il coro si è sottoposto a uno studio intenso della musica e dei testi. La maestria
musicale dei Vocalisti di Lubecca (una trentina di cantori) è evidente e si manifesta
nella loro stupenda musicalità (Jonathan Slawson, ICB n. 3, 2011).
Segnalazione editoriale
Spirituals for upper voices di Rosephanye e William C. Powell. Gli autori, nella vita
marito e moglie, sono riconosciuti come esperti di spiritual afro-americano a livello
mondiale. La loro abilità e la loro ampia conoscenza della material rendono la
pubblicazione Spirituals for upper voices davvero ricca di ispirazione. Trattasi di
una raccolta di dodici spiritual afro americani arrangiati per voci acute a due, tre
e quattro parti. Editore Oxford University Press, ordini: [email protected]
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Dettagli in www.oup.com/uk/music.
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