il pentagramma - La Voce del Popolo

DEL POPOLO
il pentagramma
di Patrizia Venucci Merdžo
Carissime amiche, gentili lettori!
Ho finito or ora di preparare un’autentica delizia
dell’alta pasticceria...”musicale”: Crème Caramel Rossini! (La ricetta per ora rimane un segreto.) In onore
del maestro Rossini, (s’intende...), il re del buon umore
e della buona cucina (del quale non si è ancora riusciti
a capire bene se fosse più bravo a spadellare, preparare succulenti bocconcini e a “magnà”, o a buttare giù
partiture, così “su due piedi”. Su due piedi per modo
di dire, dal momento che, leggenda vuole, componesse
comodamente sdraiato a letto. Mah, sarà stato un artista in tutti e due i campi. L’enigma comunque permane)! Infatti ho pensato bene che tra una chiacchiera e
l’altra si potesse assaporare qualche dolce tentazione,
dal momento che la stagione dei bagni è finita, per cui
sottoporsi a inutili sacrifici, quali la mortificazione della
gola a favore dell’esaltazione della vanità, non ha più
senso (la lingua comunque va mortificata permanentemente. Parola di linguacciuta). Ah! Meno male che
non ci sono frugoli in giro, altrimenti la sorte di questo
dolce sarebbe già stata segnata.
A proposito di frugoli. La scuola ha riaperto i battenti. Le piccole pesti, lievemente scioccate ma comunque schiamazzanti, hanno ripreso possesso dei banchi
scolastici (sentite condoglianze, care maestre). Chissà
quante belle cose apprenderanno! Chissà quante simpatiche canzoncine impareranno! Magari con il karaoke. Già, perché oggi si fa cosi: si accende il karaoke, ovviamente a volume alto, e giù i pargoli a stonare
a più non posso. Magari qualche canzone di Sanremo
di quelle con i ritmi strani, indefiniti, con “melodie”
senza melodia di due - tre note ripetute cinquanta volte
di seguito. Insomma, proprio l’ideale per inculcare nei
frugoli le armonie fondamentali della scala temperata,
le figure ritmiche di base e il senso della melodia, che
sono le fondamenta, i mattoni ed il cemento della tradizione musicale europea, sia colta che popolare. Una
tradizione che, affannosamente, si vuole accantonare.
A un frugolo un po’cresciutello (di ottava) chiedevo tempo fa: “Lo sai chi è Palestrina?” - “Be’, la Palestina è una regione nel Medio Oriente dove ci sono
molti attentati e...” - “Ma no! Pierluigi da Palestrina,
il più grande musicista del Rinascimento, l’equivalente
in musica di Dante, di Michelangelo, il musicista della
Roma papalina...” - “Aaah....boooh!?? Sarà”. No, no,
il libro di musica non ce l’ha, perché non esiste. (Che
bello il mio libro di musica “Fra lieti canti”! C’era di
musica
ce
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De cantico jucundo et de
optimo ”manjare”
tutto, nel piccolo. Storia, teoria, canzoncine, aneddotica). La lezione di
coro? Non ci va perché è “facoltativa”.
(“Ai miei tempi” si cantava “Hej slaveni!” e
altro. A quattro voci. Tutti. Anche quelli stonati. Che alla fine diventavano un po’ meno stonati). Lo stesso discorso vale per la SMSI. Niente coro,
niente libro di testo. Idem per l’Università di Fiume
la quale, con tutto quel po’po’ di studenti che si ritrova non è in grado di racimolarne una quarantina per
mettere su una corale decente. E pensare che “coro” è
sinonimo di socializzazione, di crescita nel bello, di stimoli, contatti, viaggi, soddisfazioni...
Ricordo ancora gli stupendi concerti fiumani dei
cori universitari di Salamanca, Ratisbona, Williesburg ,
i cui ragazzi, cantando, girano il mondo ed hanno inciso diversi CD. Per non parlare degli eccellenti concerti
dell’orchestra sinfonica dell’Università del Maryland e
dei Cantieri Navali di Danzica. Ma noi, no. Noi, no.
Ritornando ai nostri pargoli ed alla musica, abbiamo notato che da diversi anni a questa parte vige la
barbara usanza di mettere in bocca ai frugoli appena
svezzati - si tratti di Turbolimač, minicantanti o spettacolini scolastici di fine d’nno - le canzoni di musica leggera degli adulti, con tutto l’implicito repertorio di scetticismo, cinismo, pessimismo, malinconie e disperazioni amorose. E tutti giù ad applaudire ed a commentare:
“Ma che bravo! Ma che maturo!”.
Io mi chiedo, in base a quali criteri (o meglio, assenza di criteri), noi adulti ci permettiamo di instillare,
di insinuare nei bambini, negli adolescenti, anno dopo
anno, le nostre angoscie, le nostre ansie, il nostro disincanto e malizia? Di appannargli gli slanci, intaccargli
la freschezza e l’innocenza proprie della loro età ? (Eh,
ma bisognerà bene somministrargli porcherie a piccole
dosi, altrimenti come faranno ad “adattarsi” a questo
immondo mondo?!!).
Non considerare, non rispettare la personalità e
la psicologia del fanciullo, ben distinta da quella dell’adulto, è una forma di violenza, un atteggiamento culturalmente e pedagogicamente involuto e segno
palese di confusione a livello di criteri educativi. Cioè,
l’infanzia viene considerata “molto” seriamente dalla società del consumo quando si tratta di propinargli
preparati multivitaminici, video giochi che te li raccomando, e carabattole varie. In quanto a lasciargli
in eredità un mondo decente, non solo ecologicamen-
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• Mercoledì, 28 settem
te, ma pure umanamente e moralmente, beh, allora si
fanno”orecchie di mercante”.
È palese che il vacuum di valori del nostro tempo
segna le basi della nostra civiltà riflettendosi in modo
penalizzante sui più fragili e bisognosi di tutela. La
tecnologia, la conoscenza, il benessere da soli, evidentemente, non bastano per costruire la società dell’”umanesimo democratico”. La democrazia non animata da spirito umanistico non è, a nostro avviso, che
una specie di arido decalogo, meno peggio di altri, sui
diritti e doveri dei cittadini.
Toh! Mentre si vaneggiava, la Crème Caramel si è
raffreddata e rappresa a puntino! A me gli ultimi ritocchi! Qualche ciuffo di panna...una pioggerella di scaglie di mandorle ...e voilà signori! Il dessert è servito!
Bon apetit! (E se per la prossima volta vi ammannissi
una Torta Guglielmo Tell?)
“Dolcissimamente” Vostra
2 musica
Mercoledì 28 settembre 2005
IL PERSONAGGIO - “LA VECIA CONTRADA...”
Milotti: una vita per la musica
La versatilità di un musicista che ha segnato la vita della CNI
di Orietta Šverko
"U
na promessa è un debito" m'aveva detto il M.o Nello Milotti una
sera, dopo uno dei Concerti estivi dei Laboratori musicali "Arena International", in cui si promuove la musica dei
nostri compositori, ed in cui egli è sempre
presente, nello splendido estivo della CI di
Pola. Tirando fuori da una busta una delle
sue incredibili composizioni dice, "La vecia contrada" e affidandomela, "…parla di
Dignano, sa", e ne accenna il motivo. "…riprende il ritmo della 'villotta alla furlana',
perciò chi meglio del Coro dignanese potrà
eseguirla?". Ed ancora… "gliel'ho promesso ed eccomi qui, sia con la versione per solista e pianoforte sia con quella per due cori
alternati, quasi due cori 'battenti', all'antica,
con quel richiamo smaregliano '...per amor
de Marussa bella'…che e' un po' tutta la nostra storia!". Conclude,"glielo avevo promesso all'ultimo concerto nella Chiesa della
Madonna delle Grazie di Siana.".
Così, semplicemente, mi ritrovo in
mano una preziosa partitura, con tutti i suggerimenti, anche canori… così seduta stante, illustrata esaurientemente e chiaramente
come solo il professor Milotti sa fare: una
splendida, avvincente composizione che …
"Maestro, ne sia certo, metteremo 'in cantiere' subito, alla prima prova di coro, in settembre".
Conosco da sempre il Maestro Nello
Milotti, sin da quando piccolina, ho fatto il
mio ingresso nella Scuola, - era il mio primo
insegnante di musica alla Scuola elementare
- e già era una leggenda per tante generazioni precedenti.
Aveva fatto il suo esordio nel mondo
della scuola negli anni '50, dopo gli studi
musicali a Zagabria. Noto per la sua atti-
vità musicale, corale e strumentale: creava,
arrangiava, trascriveva, eseguiva ed animava attorno a sè un sempre più vasto numero di musicisti e cantori, sia solisti che coristi. Non solo suonava, ma era l'anima del
complesso musicale "Rio" della CI di Pola,
e non c'era spettacolo, nè serata danzante, al
Circolo che non avesse "il suo tocco".
Ne parliamo una domenica mattina,
quando trova un po' di tempo per noi, dopo
l'uscita del giorno prima con una delegazione dell'Associazione dei Combattenti nel
Gorski Kotar, per ricordare un passato lontano eppure così presente nel Maestro, quella lotta partigiana di cui fu protagonista, dei
suoi compagni, soprattutto di quelli che son
rimasti là, e per i quali nei suoi occhi brilla una lacrima di commozione. "È nata lì la
mia 'Fratellanza' e… Vlado, Giovanni, Ivo
e Francesco sono davvero esistiti, sono persone reali, i miei compagni che son rimasti lassù, in quell'inverno gelido che quasi
prendeva pure me". Come non ricordare una
composizione quale "Bela smrt", il coro che
il Maestro ha composto sul testo di Ljubo
Pavešić, che ci riporta proprio a quei giorni,
o la "Marcia della Brigata Istriana", la prima composizione del giovane compositore
diciassettenne che aveva preso la strada del
bosco imbracciando… la sua fisarmonica.
Una visita al M.o Nello Milotti è sempre
un qualcosa di eccezionale, è un fantasmagorico tuffo nella musica a tutto tondo: c'è
solo l'imbarazzo della scelta, che viene obbligatoriamente e subito dirottata dal protagonista su quello che più gli preme: "le sue
creature", la sua musica, l'analisi delle sue
partiture, l'ascolto delle registrazioni, i cori,
le canzoni e…il tutto condito da un'infinita serie di aneddoti tanto che non ti accorgi
che il tempo vola se non quando nello studio del Maestro fa capolino la sua signora.
E non gli hai ancora chiesto dei suoi progetti sebbene siano tanti. Alcuni sotto i tuoi
occhi, sulla scrivania: una partitura interrotta… e sul piano un'altra già quasi finita. "Ci
vogliono solo alcuni ritocchi" dice; da parte,
un plico di lavori, partiture già bell'e pronte
per essere spedite in Francia, in Italia …
Ma ritorniamo al mondo scuola, ai primi
anni della carriera del Maestro che è stata
tutta in ascesa.
Ci sono stati spettacoli eccezionali, per
noi leggendari, come l'operetta in tre atti
"Poesia del bosco" su testo di Mirella Colussi poi Fonio, musica del M.o Nello Milotti, con protagonisti il soprano Nirvana
Gherbaz ed il tenore Roberto Tognon, rappresentata dapprima al Circolo, poi al Teatro cittadino con il tutto esaurito per ben due
serate, ed ancora a Rovigno e ad Albona. Un
vero trionfo, con i costumi delle ballerine in
carta crépe, le splendide raganelle del bosco tutte in verde.Il Maestro ne accenna il
motivo e le movenze... i fucili in legno dei
cacciatori, "mentre quello di Puttigna era
vero, di suo zio cacciatore, e quando sparò a salve, fece accorrere tutti i pompieri di
servizio del Teatro. Fu un 'bummmm' spettacolare!".
In anni in cui si cercava ancora una strada da seguire nella didattica dell'educazione musicale, la Scuola Ottennale italiana
ed il Ginnasio avevano uno splendido coro
ed un'orchestrina con "strumentario d'Orff"
che eseguiva con perizia motivi popolari,
canzoni in voga e canti creati ed arrangiati
dal Maestro Milotti.
Sono seguiti gli anni della Scuola media
di musica dove insegnava, oltre al clarinetto, pure armonia e solfeggio e portava anche
a compimento, nello stesso tempo, gli Studi di composizione all'Accademia di Lubiana, nella classe del prof. Blaž Arnić. Si laureò in composizione con la cantata "Istarska legenda"/Leggenda istriana”, per solisti,
coro ed orchestra, che a Pola venne eseguita
con forze locali e alcuni elementi del Teatro
di Fiume. Fu un vero successo.
Più tardi fu preside della Scuola di musica di Pola, che diresse per diversi anni.
Infine come non ricordare le generazioni di maestri ed insegnanti elementari che
hanno avuto la fortuna di averlo come pro-
I
n anni in cui si cercava
ancora una strada da
seguire nella didattica
dell’educazione musicale,
la Scuola italiana aveva
uno splendido coro ed
un’orchestrina con
“strumentario d’Orff” che
eseguiva con perizia
motivi popolari, canzoni
in voga e canti creati ed
arrangiati dal Maestro
Milotti
fessore all'Accademia di pedagogia ed alla
Facoltà di magistero di Pola.
Che dire della sua carriera di Maestro di
coro, per un cinquantennio, alla guida della Corale maschile e mista della SAC "Lino
Mariani", una delle sue leggendarie creature, che ha portato il nostro canto in tutta
la Jugoslavia, ed anche oltre i suoi confini.
Sono numerosi i premi ottenuti tra i quali
quelli del Concorso "Seghizzi" di Gorizia
e al Concorso internazionale di polifonia
vocale ad Arezzo, alla guida della Corale
mista "Brajša Rašan" di Pola (corale che
ha diretto per oltre un ventennio); e poi la
direzione della Corale mista "Roženice" di
Pisino e dell'Orchestra sinfonica della Città di Pola.
Invidiabile il successo delle sue canzoni: il maestro è stato un concorrente senza
eguali al MIK, il Festival delle Melodie dell'Istria e del Quarnero. Ha vinto innumerevoli volte il primo premio, quello della Giuria e quello del Pubblico, motivo per cui è
stato insignito di un riconoscimento speciale quale compositore più fecondo del MIQ,
al quale ha partecipato con ben 57 canzoni.
Quali sono le più belle, chiediamo "…
impossibile sceglierne alcune …sa, sono
come i figli, a tutti vogliamo un mondo di
bene". E ci fa sentire l'ultima sua creazione
del genere leggero, "Fažana moje mladosti"
su testo di D. Načinović, interpretata da Lidia Percan e Zoran Tomašić, accompagnati
dalla Clapa Kastav.
Quanto lavoro, Maestro, quanta splendida musica, quanti allievi, coristi e musicisti ha saputo entusiasmare con la sua arte e
con il suo brio, col suo grande talento e quel
speciale modo di fare, inconfondibile, tra-
scinante, contagioso … nel corso della sua
lunga carriera.
Ci passano tra le mani locandine di Concerti di tutto il mondo. Curioso quello di un
concerto di Leningrado, del Conservatorio
"N.Rimski –Korsakov" del 1979, con tanti
nomi famosi, "storici" …tra i quali spunta
quello di Nello Milotti presente con la "Fantasia per clarinetto e pianoforte" interpretata
dal clarinettista A. Stepanov e dal pianista A.
Svatkin. Poi una cosa di poco tempo fa. La
locandina di "Alliance musicale" - L'incontro di giovani musicisti croati e francesi, a
Grisignana, dove è stato eseguito l'"Allegro"
del Concerto per clarinetto e orchestra da camera del M.o N. Milotti da parte del complesso ospite di Cherbourg - Francia.
Ancora un aneddoto che riguarda il clarinettista Cristoforo Lojacono, solista dell'Orchestra sinfonica di Trieste che alcuni
anni fa, a fine concerto - una splendida serata musicale al Teatro Popolare Istriano,
dovuta all'UI –
UPT, con direttore il M.o Maurizio Ficiur
- ha confessato di aver sudato sette camicie
per eseguire come merita il "Concerto" per
clarinetto e orchestra del compositore polese
Nello Milotti. Questa affermazione ci riporta
al linguaggio musicale del compositore, un
linguaggio articolato e sorretto da una straordinaria melodiosità mediterranea in simbiosi
con l'arcaicità istriana la quale spunta inattesa a ricordare la composita struttura e la
complessità di questa terra, tanto amata dal
nostro compositore. I temi portati con affascinante pathos, pregni d'emozioni profonde, sublimate e trasfigurate in pura liricità, vengono condotti con grande maestria,
originalità, verve inesauribile, estro e brio
gioioso, brillante ed appassionato e nel contempo, intimo e pieno di poesia.
Un'occhiata ancora ad una Tesi di laurea,
dell'Università di Münster nella Westfallia,
(Germania) della musicologa tedesca, Kristine Baf, intitolata "Nello Milotti: la vita e
l'opera di un compositore istriano", naturalmente in tedesco. Uno scritto che dimostra
l'interesse di quanti si occupano della musica di "casa nostra" per capirne l'importanza
e coglierne il valore per il tramite, in questo
caso, delle opere del Nostro compositore.
Figura carismatica, il Maestro Nello Milotti conserva intatta la sua straordinaria vena
creativa. "Peccato che non le abbia dedicato
più tempo, prima". Il suo entusiasmo e la
sua carica gioiosa che gli permettono ancor
oggi di avviare ed intraprendere anche grandi progetti. Ci lasciamo con un arrivederci a
presto, "per mostrarle il mio Museo personale, allestito nel garage di casa mia.,Non ne
abbiamo parlato ancora, ma vedrà…" E' una
promessa Maestro, dobbiamo parlarne…
musica 3
Mercoledì 28 settembre 2005
A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE - “CELESTE AIDA...”
Centovent’anni di ricordi
e «pettegolezzi» teatrali...!
di Patrizia Venucci Merdžo
N
on possiamo proprio farne a meno. Dobbiamo assolutamente ritornare sull’argomento.
Il 3 ottobre prossimo Madame la Presieuse, leggi
TNC “Ivan de Zajc” di Fiume, già Teatro Comunale “Giuseppe
Verdi”, epicentro artistico del capoluogo quarnerino, compie i
suoi primi centovent’anni, e se precedentemente abbiamo cercato di tratteggiare, per sommi capi, il cammino storico e artistico del citato Teatro dell’Opera, in quest’occasione rievocheremo una manciatina di episodi, ricordi, aneddoti legati a qualche
personaggio, spettacolo o qualche curiosità; ci sembra giusto e
quasi doveroso dare spazio anche a questo segmento, se si considera che il teatro non significa solo arte, professionalità, nel
senso astratto e ideale del termine, bensì rappresenta pure una
realtà fatta di personaggi concreti e particolari, di storie di vita,
di momenti da ricordare e di altri, magari da dimenticare...
Purtroppo ci sfugge il nome dell’anziana signora fiumana
che negli anni ‘70 rese noto alla sovrintendenza del Teatro di
Fiume il luogo dove si celava, non il fantasma dell’Opera, bensì il ...tesoro dell’Opera! Sotto il secondo - terzo dei cinque gradini che conducono all’entrata principale del teatro, rinvenne
alla luce, gelosamente celato in un cilindro metallico posto dentro una custodia di piombo, “il tesoro dell’Opera”, vale a dire
il progetto dell’edificio teatrale e lo splendido manifesto riportante i titoli degli spettacoli inaugurali, che come noto erano
“Aida” e “La Gioconda”. Un documento che è diventato, specie per gli addetti, un emblema di questa istituzione e che viene
offerto in omaggio agli artisti ospiti ed alle alte delegazioni che
usano visitare il Teatro di Fiume.
rone greco Konstantin Papandopulos, (il quale per avere soffocato con successo la rivolta nel Caucaso centrale aveva ricevuto in dono dall’ultimo zar di Russia la città di Stavropoli), e del
celebre soprano Maja Strozzi (al quale Mahler e Weil avevano
dedicato dei brani). Era nipote - per parte materna - della notissima attrice tragica morava Marija Ružička e del marchese
fiorentino de Strozzi, discendente dell’antico casato di Firenze
e di quel compositore Pietro de Strozzi membro della Camerata fiorentina alla quale si deve la nascita dell’opera. Laureato
in composizione a Zagabria e in direzione d’orchestra a Vienna, Papandopulo non aveva mai rincorso la gloria né “l’Europa”. Era lui che “faceva Europa” nei luoghi dove operava.
Si trattasse di Fiume, Spalato o Zagabria. Aveva un animo naturalmente gentile e bonario e fino all’ultimo aveva conservato una specie di candore, peculiarità di non pochi grandi, che
Quella voce indimenticabile...
Borseggio in galleria
P
– oppure il “borseggio in galleria” come riferisce “La Bilancia” - accaduto ad una sartina fiumana del loggione la quale,
dopo essere stata importunata da un individuo durante la recita, fu derubata dal medesimo “del portamonete, contenente 10
fiorini, una ricevuta ed una crocetta d’oro… le guardie di P.S. si
misero tosto sulla pista dell’intruso, il quale fu colto proprio nel
momento in cui voleva rientrare in teatro”. E brave le guardie!
All’uopo di non ontare la proverbiale onestà dei fiumani faremo
notare che il ladro era “foresto” e disoccupato.
Il termine “Tempio della lirica” o “Tempio delle Muse” in
riferimento al Teatro Fiumano non ci pare affatto esagerato,
almeno per quel che riguarda il periodo che va dall’inaugurazione al secondo dopoguerra, in quanto quivi si esibirono ripetutamente molti dei più grandi cantanti lirici, concertisti, direttori d’orchestra, attori… Oltre a Caruso, Gigli, Toti Dal Monte,
Gina Cigna, Maria Caniglia, Mafalda Favero, nel Teatro Comunale diede prova della sua alta arte tutta una nutrita schiera
di artisti lirici che abitualmente circolavano nei maggiori teatri
italiani, a cominciare da La Scala, improntando tutta l’attività
lirica (ed operettistica) ad un livello esecutivo ed artistico molto
elevato. Senza contare le esecuzioni dell’aristocrazia del concertismo del Novecento, a cominciare da Michelangeli, Rubinstein, Casals ecc., dei quali tratteremo prossimamente.
Se dobbiamo dar credito alla testimonianza di un vecchio
fiumano la “Carmen” che fu allestita nel 1927 fu fatta alla
grande. Si ricorse nientemeno che all’uso dei cavalli. “Noi facevamo il nostro ingresso a cavallo nel primo ed ultimo atto. Ci
avevano combinati con dei cappellacci e dei mantelli. Non appena iniziava la musica i nostri ‘belli’ rizzavano le orecchie e
davano segni di nervosismo, facendoci preoccupare un tantino.
Però i cavalli sono animali musicalissimi, si sa, per cui non successero guai di sorta...”.
Quando Papandopulo dirigeva
Il primo direttore dell’Opera di Fiume nel dopoguerra, era
stato Boris Papandopulo. Nato in Germania, era figlio del ba-
A
ttualmente l’Opera prospera
pazzamente in uno stato di
immobilismo “sfrenato” e mai c’è stata
in giro tanta “solennité, pomposité e
retoriché”; grazie ai “riallestimenti
solenni”, gloriosi e gaudiosi
te) che il pubblico a fine aria incominciò ad applaudire ed a pestare con i piedi! Sembrava che il teatro stesse per venire giù.
Commossa fino alle lacrime, Paola, a furor di popolo, dovette
ricantare la romanza. Per non parlare delle ovazioni finali...”
Nell’ultimo numero del nostro supplemento ci eravamo
soffermati sugli spettacoli dell’inaugurazione cercando di illustrarne la magnifica e solenne atmosfera, sottacendo però un
piccolo incidente ed un fatto di …cronaca nera!, accaduti entrambi in quella memorabile sera. Innanzitutto i capricci dell’illuminazione che per qualche secondo diede forfait nell’ultimo
atto; per cui gli orchestrali dopo qualche attimo di buio assoluto continuarono a suonare al lume di candela… sembra pero
che la faccenda si sia aggiustata quasi subito. E poi il fattaccio
apandopulo non aveva mai
rincorso la gloria né “l’Europa”.
Era lui che “faceva Europa” nei
luoghi dove operava. Si trattasse di
Fiume, Spalato o Zagabria
vi, fino a farla atterrare su di un canapè. Ad un certo punto, tra
gli strilli di Floria Tosca che si dibatteva, e l’audacia assattanata del turpe governatore romano il quale sembrava letteralmente fuori di se, il pubblico imbarazzato incominciò a guardarsi
interrogativamente chiedendosi se per caso l’esile confine tra
finzione scenica e realtà non fosse andato a farsi benedire. Lei
fece un ‘Vissi d’arte, vissi d’amore’ tale (in italiano ovviamen-
Gino Bonelli nei panni del Moro di Venezia
trapelava da suoi occhi che erano piccoli, lucidi e “pieni” . La
sottoscritta ha avuto il privilegio di suonare più volte sotto la
guida del Maestro la cui direzione ampia, vibrante e ipnotica
conquistava completamente gli orchestrali, al cui trasporto egli
assentiva grato con cenni del capo e certi sorrisi da un orecchio all’altro che gli facevano congiungere il nasone arcuato
con il mento a mezza luna che non finiva più. Era come se tenesse tutta la musica nelle sue mani, tra le sue braccia; e ci cullasse. Non era un pedante perfezionista, ma riusciva sempre a
far emergere il lato più umano, vivo e profondo della musica.
Lo adoravamo.
Il soprano Carmen Vilović, venuta a mancare qualche anno
fa, ci raccontava: “Che cocolo che era Papandopulo! Ricordo
che una volta nel bel mezzo dell’aria de ‘La Traviata’ ebbi improvvisamente un’amnesia. Mi fermai a bocca aperta, inebetita
in mezzo alla scena, senza saper come continuare. Papandopulo, con tutta calma, incrociò le braccia e si appoggiò alla balaustra dell’orchestra facendomi uno di quei suoi sorrisi tra il
divertito e il bonario. In aspettativa. Vedendolo così tranquillo
io mi ripresi immediatamente e lo spettacolo filò che era una
meraviglia”.
Una Tosca da ricordare
Si era agli inizi degli anni ‘50 e all’”Ivan de Zajc” si dava
la “Tosca”. Una delle repliche era andato addirittura in versione trilingue. C’era lo strepitoso Milan Pichler – Scarpia, Gino
Bonelli – Cavarodossi e Paola Takacs, i quali cantavano rispettivamente in croato, italiano e ungherese! Bisogna sapere che
Paola Takacs, primadonna dell’Opera di Budapest e stella della lirica magiara, era fiumana “patoca”, ossia, figlia e allieva
di Maria Scarpa de Bernal (cantante lirica di livello internazionale aveva cantato pure al “Colon” di Buenos Aires) la quale, a
sua volta era nipote del grande Iginio Scarpa (figlia di un fratello). “Possedeva una voce splendida, duttile, un fraseggio bellissimo. Aveva un viso da bambola e, sebbene ‘fosse in carne’, era
di una femminilità e passione travolgenti, tanto ‘che la gaveva
sconvolto e misciado tutti quanti sul palcoscenico’. Bonelli, ‘la
guardava imbambolado, in estasi, nol capiva più gnente’. Cantò ‘O dolci mani’ con l’adorazione di un innamorato autentico.
Pichler, nel secondo atto – e ora viene il bello - perfido e rapace
Scarpia come mai nessuno prima né dopo di lui, si mise a rincorrere Tosca per tutta la scena con intenti sadicamente sedutti-
Non possiamo non dedicare alcune righe ad un cantante la
cui arte tuttora rimane viva nel ricordo di quanti ebbero il privilegio (è il caso di dirlo) di poterlo seguire nella sua lunga e felice stagione artistica fiumana. A pensarci bene, i superbi cantanti del teatro fiumano del dopoguerra grazie ai quali l’ente lirico
di Fiume era il migliore in tutta l’ex Jugoslavia, erano di una
modestia ed idealismo sconcertanti. Bonelli aveva cantato nei
più importanti teatri italiani e dell’America Latina e avrebbe
potuto continuare su questa strada con le conseguenze economiche e di prestigio che possiamo immaginare; e invece arrivò
a Fiume – teatro di chiara tradizione ma ormai estraneo ad un
certo circuito lirico occidentale e con retribuzioni mensili modestissime - nel fiore degli anni e vi rimase per ventidue stagioni
dando il meglio di se stesso.
Gino Bonelli nacque a Piacenza il 3 marzo 1917. Studiò
presso il Conservatorio della città natale e si perfezionò a Milano con il celebre tenore Francesco Merli. Debuttò con successo
al Comunale di Piacenza nel 1945 ne “La Bohéme” e successivamente in “Madama Butterfly”. Affermazioni che gli valsero
ingaggi nei maggiori teatri italiani quali “La Scala”, “La Fenice”, “Il Bellini” di Catania, il “Verdi” di Trieste. Poi per due
anni cantò nei maggiori teatri dell’America Latina ed ancora in
Italia. Nel 1954 incise per la RAI di Torino “La Forza del destino”. Il grosso della sua carriera d’artista lo spese proprio a
Fiume interpretando in maniera memorabile i ruoli più impegnativi delle opere verdiane e pucciniane: Radames, Cavarodossi, don Carlos, don Josè, Andrea Chénier, Calaf, Otello, Rodolfo e altri. “Una voce dolce e piena che ti incantava...”
Gli ultimi sprazzi di gloria, o perlomeno di visibilità in ambito extranazionale, l’pera di Fiume, li registrò con la serie di
uscite a Palma de Majorca e nel Lussemburo, negli anni ‘70
e inizio ‘80. Uscite dovute all’abilità manageriale del maestro
Vladimir Benić. A Majorca il Teatro dell’Opera suonava in un
teatro di proprietà del conte tal dei tali e gli spettacoli erano
frequentati da un pubblico tipo “high society”. Frac a parte, si
vedevano in giro certi collier, tiare ecc. la cui sola vista avrebbe titillato i polpastrelli eccitabili e bramosi di Arsenio Lupin.
Nel Lussemburgo si rappresentarono “Madama Butterfly”, con
una serie di Cio Cio San, giapponesine veraci; quindi “Un ballo in maschera”, “Tosca”, “La forza del destino”, “Il Trovatore”, “Rigoletto” ecc. con l’ausilio però di tanti cantanti ospiti.
Il periodo fiumano delle ugole d’oro era tramontato con il cambio della guardia. Oggi si bada al solfeggio e alle indicazioni,
per lo più balorde, dei registi. Mica alla bellezza ed alla potenza della voce.
Da ricordare pure la tournée italiana dell’orchestra dell’Opera nel 1982 con Rudolf Nureyev ed il Boston Ballet, nella
cui occasione “il tartaro volante” dichiarò che nessuna compagine orchestrale fino ad allora aveva accompagnato la sua
danza con tanta flessibilità e prontezza, aggiungendo galantemente che “tra tutte, l’orchestra di Fiume aveva le fanciulle più
belle”.
Attualmente l’Opera prospera pazzamente in uno stato di
immobilismo “sfrenato” e mai c’è stata in giro tanta “solennité, pomposité e retoriché”; grazie agli (anche questi rari) “riallestimenti solenni”, gloriosi e gaudiosi. Naturelment. Nel momento presente il Teatro l’Opera non circola più nemmeno al
Festival di Veglia. Figuriamoci a quelli di Pola, Abbazia, Lubiana; e più in là non osiamo nemmeno pensarci. (Sic transit
gloria mundi!)
Ma non bisogna disperare! Si può rinvenire anche dal coma
più profondo! (A volte).
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musica
Mercoledì 28 settembre 2005
Mercoledì 28 settembre 2005
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IL SAGGIO - “SCHITARRANDO L’OPERA”
La retorica operistica nella musica per chitarra ai tempi di Padovec
Il difficile compito da parte del concertista moderno di interpretare la musica dei tempi andati...
di Alessandro Boris Amisich
N
ei miei concerti ho inserito spesso
le Rossiniane di M.Giuliani ed altre
composizioni ottocentesche che richiamano, nello stile e nella scelta dei temi,
il mondo dell’opera. Uno “stile operistico”
è presente in buona parte del repertorio chitarristico ottocentesco: un bravo esecutore
recepisce questo fatto e nell’esecuzione ne
tiene conto. Questa sensibilità, forse sufficiente in concerto, mi è apparsa poca cosa
quando ho deciso di incidere le Fantasie di
Padovec su temi tratti da opere di Bellini; tra
indecisioni e ripensamenti ho dedicato alcuni anni a documentarmi, prima di registrare:
ho cercato tutti i temi utilizzati da Padovec e
ho voluto ascoltarli nella loro versione originale; ho scoperto momenti di grande fedeltà
da parte di Padovec verso Bellini, ma anche
semplificazioni e divergenze rispetto all’ori-
sarà fredda ed inespressiva; secondo presupposto (evidentemente derivato dal precedente): all’esecutore sono richieste una
serie di finezze interpretative che la pagina scritta può forse suggerire, ma non trasmettere in maniera perfetta (dinamiche,
agogiche, ricerca di punti di tensione e di
distensione).
Dedicherò un breve approfondimento a
questi concetti.
L’evoluzione del linguaggio musicale,
delle convenzioni esecutive, del gusto, si
sviluppa parallelamente alla scrittura musicale, che ne risulta condizionata ma non riesce mai a “coprire” totalmente tutta la gamma di sfumature in uso nella musica reale.
Pertanto risulta sempre molto difficile poter presentare un’interpretazione coerente
di una creazione musicale quando si deve
vera e propria “retorica”: non una retorica
come quella rinascimentale/barocca (attenta alla singola parola, al significato di ogni
frammento, per cui la musica finiva per illustrare il senso del testo), quanto una retorica di fraseggio, di articolazione di colori,
in cui il testo si fa quasi pretesto per evidenziare agilità, cantabilità, espressività (della
frase musicale, e non necessariamente della
parola): creare l’attesa su una corona, disegnare elegantemente una cadenza, forzare il
tempo in un passaggio, esitare in una ripresa: tutto ciò è proprio del mondo del melodramma e, forse per naturale trasfusione,
trasmigra anche nella musica strumentale
ottocentesca.
Pur senza voler sopravvalutare l’opera di
Ivan Padovec, che è comunque strumentista
di solide acquisizioni tecniche e di soluzioni
musicali (a volte molto) interessanti, vale la
pena indicarlo come esempio di una generazione chitarristica non ancora romantica
(Mertz e Regondi hanno un linguaggio decisamente più evoluto) ma già non più classica (mentre Giuliani o Carulli guardano a
Rossini, e Sor a Mozart, Padovec fa riferimento alle tendenze degli Anni Venti/Trenta
del suo secolo, variando Auber, Donizetti,
Bellini, Meyerbeer).
La sua attenzione al lirismo belliniano,
al di là di alcuni temi variati, si concretizza
in cinque Fantasie, delle quali quella dedi-
tempi in maniera leggermente difforme (ora
un po’ più lenti, ora un po’ più veloci) rispetto a quelli cui la tradizione operistica ci ha abituato.
Dall’ascolto e dal confronto tra Bellini e Padovec ho
sviluppato diversi spunti di
osservazione interessanti.
Non potendoli analizzare tutti nel dettaglio, mi
limito ad un elenco dei
più interessanti.
1. L’ascolto dell’originale
melodrammatico ci dirà se
un tema è strumentale, corale, solistico.
Conoscere l’organico originale permette
di indirizzare la scelta interpretativa. Ad es.
figurazioni ritmiche simili possono avere esiti
diversi in contesti diversi:
la figurazione che alterna ottavi col punto e sedicesimi andrà per prassi ad allungare l’ottavo col punto e a stringere il sedicesimo (con un esito quasi di doppio punto, ad
evidenziare il carattere ritmico), soprattutto
nei passaggi strumentali e corali di carattere marziale.
L
a prassi interpretativa nel melodramma è, ai tempi di
Bellini e Padovec, un insieme di stilemi, convenzioni,
formule che, nel loro insieme, formano una vera e
propria “retorica”: non una retorica come quella
rinascimentale/barocca (attenta alla singola parola, al
significato di ogni frammento, per cui la musica finiva
per illustrare il senso del testo), quanto una retorica di
fraseggio, di articolazione di colori, in cui il testo si fa
quasi pretesto per evidenziare agilità, cantabilità,
espressività...
ginale. Ho considerato il modo in cui Padovec “traduceva” Bellini sulla chitarra e credo
di aver individuato, grazie al confronto con
l’originale, qualche piccolo errore nell’edizione ottocentesca delle Fantasie. Osservando la prassi esecutiva del melodramma ho
cercato di sviluppare un fraseggio credibile
e un’interpretazione delle cadenze coerente
con l’uso teatrale. Altre volte ho creduto di
trovare una contraddizione tra quanto richiedeva il melodramma e quanto la chitarra invece permette. E di volta in volta ho cercato
le soluzioni che mi parevano più logiche ed
accettabili. Concludendo: non è facile riassumere su sei corde una compagine orchestrale e vocale come quella necessaria per le
opere belliniane. Padovec è stato molto abile e io spero, con la mia esecuzione, di non
aver tradito la sua intenzione artistica. Di
certo mi sono posto una serie di problemi
che forse mai avrei affrontato, senza l’impegno di una registrazione: desidero darne breve testimonianza sperando che altri esecutori
possano trovarvi una qualche utilità.
Queste mie riflessioni prendono avvio
da due presupposti che ritengo largamente condivisibili da chi si occupa di musica
in maniera professionale. Primo presupposto: se un esecutore si preoccupa di eseguire le note rispettando esclusivamente il
loro valore matematico, la sua esecuzione
partire esclusivamente dalla “musica di carta”. E le difficoltà aumentano allontanandosi cronologicamente dal nostro tempo e
dal nostro gusto. Siamo in possesso di testi,
trattati, testimonianze che attestano come
nelle varie epoche venisse interpretata la
musica, ma non possiamo veramente sapere
come si cantasse e suonasse ai tempi di Palestrina e Monteverdi, di Bach e di Mozart,
e anche di Beethoven e Mahler: e così è per
tutta la produzione musicale che precede la
possibilità tecnica di “fissare” su nastro o su
disco il prodotto musicale. Stabilire quindi
un’interpretazione “autentica” di un repertorio che ci è lontano diventa impossibile;
altra cosa è invece interpretare in maniera
credibile, in modo coerente con le indicazioni d’epoca in nostro possesso. Il semplice rispetto dei valori matematici che regolano la durata delle note in partitura di solito
porta a tutt’altro che a una rivitalizzazione
del messaggio musicale: bisogna quindi,
per quanto possibile, recuperare le intenzioni espressive che appartengono a quell’epoca, a quello stile, a quel repertorio. Nel
caso delle Fantasie belliniane non possiamo
trascurare l’esplicito riferimento al mondo
del melodramma: e la prassi interpretativa,
nel melodramma, è, ai tempi di Bellini e Padovec, un insieme di stilemi, convenzioni,
formule che, nel loro insieme, formano una
cata ai Puritani appare scritta un po’ in economia, utilizzando solo 3 temi dell’opera.
Le altre quattro hanno respiro ben più ampio e si sviluppano con una durata di circa
un quarto d’ora ciascuna. La struttura è comune (simile a quella collaudata da Giuliani nelle Rossiniane): un breve episodio lento, opera originale di Padovec, introduce il
primo dei temi belliniani, che si collega ai
successivi (alcuni anche variati) per giungere poi immancabilmente alla conclusione
brillante di gusto orchestrale. Si tratta indubbiamente di musica di consumo, scritta (in genere piuttosto bene) per gratificare i gusti del pubblico pagante: musica che
funziona molto bene ancora oggi nelle sale
da concerto.
Ho identificato gli originali belliniani di
ogni tema utilizzato, ho ascoltato più volte
diverse incisioni dei temi nella loro versione operistica; ho cercato di individuare gli
stilemi retorici utilizzati; una volta identificata la linea interpretativa per così dire assoluta, astratta, ho dovuto invece affrontare il compromesso di una sua realizzazione con uno strumento dalle possibilità tutto
sommato limitate qual è appunto una chitarra: partendo dalla convinzione che, pur con
i limiti tecnici e sonori imposti da uno strumento, non fosse accettabile (né oggi per
me né credo per Padovec ai suoi tempi) scegliere un’interpretazione in contrasto con le
caratteristiche proprie dello strumento, ho
cercato di riportare le mie convinzioni e le
mie conclusioni di tipo estetico-interpretativo sulla chitarra; in qualche caso – per evidenziare il canto, la risonanza, la scorrevolezza – ho creduto di dover staccare alcuni
Ma, al contrario, nelle situazioni più liriche ed espressive, il punto andrà ammorbidito ed il sedicesimo aumenterà un po’ il
suo valore (giungendo a un rapporto di due
a uno contro il teorico tre a uno) per non
rendere ansioso il senso di cantabilità.
E’ questo che avviene abitualmente nel
melodramma : va tenuto presente perché
evidentemente una scelta va nella direzione
opposta rispetto all’altra e quindi la esclude. Il chitarrista che non conosce l’originale
e che quindi crede di poter considerare
la pagina dal punto di vista esclusivamente strumentale, a prescindere dal suo ambito di provenienza operistico, potrà fare
due tipi di scelta che si riveleranno entrambi sbagliati:
A)
evidenzierà
l’aspetto ritmico in un
tema che potrebbe essere lirico-solistico (o
al contrario l’aspetto
melodico in un tema
marziale);
B) sceglierà in
maniera a mio avviso
poco espressiva di tenere il rapporto 3:1 come
sembrerebbe richiedere
la scrittura (ma discostandosi comunque dalla prassi, come abbiamo visto);
e i melomani del tempo di
Padovec e Bellini, conoscendo
il riferimento all’originale, avrebbero
quasi sicuramente sentito inappropriate e
false l’una come l’altra scelta.
2. Il repertorio strumentale di provenienza operistica presenta frequentemente una
serie di cadenze, che assumono un ruolo
molto importante dal punto di vista espressivo-retorico, e che schematicamente possono essere divise in due tipi: cadenze di
collegamento tra sezioni diverse e cadenze
interne alla stessa sezione.
La cadenza di collegamento unisce due
sezioni che differiscono per una serie di elementi (materiale tematico, andamento, carattere, tonalità) e si può concludere in maniera eclatante, con uno o più accordi, oppure può sfociare senza interruzione nella
nuova sezione.
A) Nel primo caso in genere richiede un
graduale rallentamento con una sosta sull’accordo finale (o sulla pausa successiva),
nel secondo caso è invece necessario
far scendere la velocità oltre quella richiesta dalla sezione successiva, in maniera che
alla fine, riaccelerando gradualmente, ci si
immetterà nel nuovo elemento riprendendo
il tempo giusto.
B) La cadenza interna alla stessa sezione
(che di solito è posta prima della ripresa del
tema) è più propriamente lirica e solistica, e
un ascolto di diversi esempi operistici potrà
dare un buon suggerimento interpretativo
al chitarrista. Nell’opera la cadenza viene
resa con virtuosismo e serve a trasmettere
tensione ed emozione. La tipologia più frequente ha questa conformazione e questo
svolgimento: una prima sezione di scale e/o
arpeggi, una nota al culmine (alto o basso),
molte volte coronata; una breve porzione
(spesso cromatica) che riconduce al tema ed
al tempo giusto.
Ho udito spesso chitarristi anche molti
abili perdere il controllo della sezione iniziale (scale/arpeggi): l’esecuzione dovrebbe
I
l semplice rispetto dei
valori matematici che
regolano la durata delle
note in partitura di solito
porta a tutt’altro che a una
rivitalizzazione del
messaggio musicale:
bisogna quindi, per quanto
possibile, recuperare le
intenzioni espressive che
appartengono a
quell’epoca, a quello stile,
a quel repertorio
essere più semplice se ricordiamo che, a fini
espressivi, la priorità non è quella di eseguire le note il più in fretta possibile, quanto
piuttosto di trovare il raggruppamento più
logico: a tre a tre, a quattro a quattro, a volte con una, due, tre note in levare e quindi
non accentate. Con eleganza ci si porta sulla nota al culmine: e qui, corona o non corona, è prassi soffermarsi senza fretta; dopo
tale nota i cantanti, per necessità espressive e fisiologiche, prendono un buon respiro
ed attaccano l’ultima sezione che riporta al
tema in tempo giusto. Una variante possibile a questo schema è la presenza di più note
coronate, a volte dissonanti, magari inframmezzate da pause: sono ulteriori meccanismi per dilatare l’effetto di tensione; risolverli troppo in fretta sarebbe in contraddizione con il gusto operistico.
3. Le edizioni ottocentesche spesso non
dedicano grande attenzione al fraseggio ed
in genere non riportano le legature di frase:
questo ovviamente non significa che il fraseggio sia questione trascurabile; una corretta articolazione tra le varie frasi musicali,
Tutte le musiche per voce e chitarra di Padovec
Nella Padovec-renaissance, coincidente con il secondo centenario della nascita
del musicista di Varaždin, sicuramente il
maggior chitarrista croato dell’Ottocento,
si inserisce anche l’iniziativa della Società Croata di Musicologia di pubblicare un
volume elegante e “sostanzioso”, realizzato da Darko Petrinjak, contenente tutte le
opere per voce e chitarra, sia su testo croato che su testo tedesco.
Il volume “Ivan Padovec - Songs with
guitar accompaniment”/”Popijevke uz
pratnju gitare”, con presentazioni in croato
ed in inglese, si apre con una breve scheda sul compositore e sul repertorio, firmata da Koraljka Kos, presidente dell’HMD,
la quale inquadra la produzione per voce
e chitarra di Padovec nella tradizione del
classicismo romantico di ambito mitteleuropeo: in generale Padovec fa ricorso
a forme strofiche e solo occasionalmente
tenta uno sviluppo più narrativo e dram-
matico, come in “Nächtlichter Ritt”. Le
composizioni finora conosciute raggiungono il numero di trenta e sono tutte raccolte in questo volume: otto sono su testi di
poeti croati e sono in lingua croata, mentre
22 sono in tedesco. Undici di queste, nell’edizione ottocentesca, hanno un duplice
accompagnamento, con una versione alternativa per pianoforte, ma Petrinjak non la
presenta, preannunciando invece la pubblicazione di un secondo volume dove compariranno anche le quattro composizioni per
voce che sono note con accompagnamento
esclusivo di pianoforte.
Nelle note editoriali Petrinjak, pur nella
concisione, dà importanti indicazioni sulle
fonti e sulla loro conservazione (editori originali, biblioteche, ecc.), e ci informa sulla
probabile data di composizione e/o di prima
esecuzione. Leggendo queste poche pagine veniamo a sapere che due canti (“Ein
Traum” e “Die Edensblume”) sono origi-
nali per chitarra a dieci corde (strumento
cui Padovec cominciò a dedicarsi dai primi Anni Quaranta): la notazione riporta
un 8 sotto i bassi che andavano trasposti,
ma lascia il brano eseguibile anche con la
chitarra a sei corde. Il curatore riferisce
anche che del brano “Die Sehnsucht” esiste anche una versione in croato intitolata “Čeznutje”, e che del brano “Kad” ha
riportato in partitura quattro delle cinque
strofe esistenti. Questo può essere giustificato per ragioni pratiche, ma sarebbe stato
interessante trovare almeno in appendice il
testo croato della prima composizione e la
strofa omessa della seconda. E’ l’unico appunto da muovere, con garbo, ad un volume che brilla sia per il suo significato storico-culturale, sia per la chiarezza della grafica, curata dallo stesso Petrinjak. Volume
che può essere richiesto direttamente a Hrvatsko Muzikološko Društvo, 18 Opatička,
10000 Zagabria.
Ivan Padovec, il maggiore chitarrista croato dell’Ottocento
quando si tratta di temi operistici, dovrebbe
tenere conto del testo verbale: il pubblico
ottocentesco, essendo contemporaneo sia
all’originale che alla trascrizione, avrebbe
riconosciuto subito un eventuale errore di
articolazione; il pubblico dei nostri giorni
invece difficilmente è in grado di riconoscere questo tipo di errori.
4. Uno stilema tipico, molto usato nella retorica del melodramma, è la risoluzione
dell’appoggiatura in legato e diminuendo (e
anche Padovec lo richiede in maniera esplicita); l’appoggiatura e la sua risoluzione,
quindi, vanno in legato e poi, secondo prassi operistica, ci dovrebbe essere uno stacco prima della nota successiva (i cantanti lo
fanno anche per ragioni fisiologiche).
5. Quando nell’Ottocento si utilizza un
tema da variare, questo può avere una notevole varietà di strutture, ma in realtà una
struttura prevale per frequenza: quella formata da due frasi di otto battute l’una; la prima con due semifrasi sullo stesso materiale tematico (tipo A+A, A1+A2) e la seconda con una semifrase di materiale diverso e
l’altra con materiale omogeneo alla prima
frase (tipo B+A, B+A2, B+A3). E’ interessante notare che questa struttura a due frasi potrebbe anche non coincidere con quella
dell’originale operistico, che a volte viene
forzatamente fatto entrare in questo schema formale. Altra aggiunta di solito assente
nell’originale operistico è l’utilizzo del segno di ritornello in entrambe le frasi, in maniera che ognuna venga ripetuta due volte:
da Giuliani a Carcassi, da Sor a Carulli – e
anche Padovec ne fa uso spesso – questo
schema è sfruttatissimo dai chitarristi-compositori della prima metà dell’Ottocento.
Dal punto di vista interpretativo il momento
più interessante è la seconda frase: tra l’elemento tematico B e la ripresa del materiale
A di solito è prassi fare un diminuendo: anche Padovec è in sintonia con questa prassi
e richiede esplicitamente il forte per la semifrase B, che viene fatta terminare però in
diminuendo per permettere il ritorno ad A
con il piano. Lo schema mantiene la sua validità anche nelle variazioni.
Che dire in conclusione di queste brevi e
certamente incomplete osservazioni? Forse
una cosa soltanto: in un’esecuzione musicale sono errori non soltanto le note sbagliate, ma anche i fraseggi scorretti, gli anacronismi interpretativi, il tradimento degli stilemi. E quindi un’interpretazione credibile,
come non può prescindere dal buon gusto e
dalla sensibilità dell’interprete, non può accontentarsi del buon gusto e della sensibilità
dell’interprete.
6 musica
Mercoledì 28 settembre 2005
L’AVVENIMENTO - “...LODATELO CON ARPA E CETRA...”
La magia dell’Arpa,
questa notissima sconosciuta...
FOSSANO - La si vede troneggiare, fra gli strumenti dell’orchestra, come una luminosa
vela ondeggiante. Splende la sua
fitta trama di corde, dalle quali
solo mani esperte, forti e delicate sanno trarre suoni angelici o imperiosi, sorrisi e lacrime,
impennate d’orgoglio e mistiche
preghiere. È nata all’alba dei
tempi e l’oriente mediterraneo
fu la sua culla. Impreziosisce di
sé i geroglifici egizi ed è citatissima nella Bibbia. Davide se ne
serviva per il canto dei Salmi e
l’Irlanda la prese come stemma
e simbolo nazionale. È l’Arpa,
questa notissima sconosciuta.
Nessuno ne ignora l’esistenza
ma solo gli “addetti ai lavori”
sanno che intorno a lei gravita
un mondo sconosciuto e gelo-
sissimo di sé e dei suoi segreti
quali nessun altro strumento occidentale può vantare.
Dal misticismo antico ha ereditato il suo mistero. Il romanticismo ed il melodramma vi hanno trasferito crepuscolare fascino evocativo. L’impressionismo
vi ha intessuto grumi di luce e di
penombre. Il Novecento s’è tormentato per vincere i suoi cro-
mosomi ostinatamente “tonali” e
la contemporaneità l’ha chiamata ad impegnarsi nelle sue laceranti contraddizioni epocali. Ma
è rimasta sempre sé stessa e, per
molti compositori, un difficile
cavallo selvaggio, intollerante di
briglie e speroni.
Costruttivamente s’è costantemente evoluta, rendendo possibili impieghi ed effetti addi-
Le numerose giovani partecipanti al Corso internazionale di arpa di Fossano
MUSICOTERAPIA - GLI INSONDABILI MISTERI DELL’UOMO
L’essere umano come strumento musicale
Come mai la musica esercita
un’influenza tanto profonda nell’animo dell’essere umano? Fino
ad emozionarlo, a farlo star bene
o procurargli disagio, spronarlo
all’azione, stimolarlo, renderlo
perfino aggressivo, oppure “ipnotizzarlo” in nirvane quasi inesplicabili. Queste ed altre intriganti domande sono oggetto di
studio di musicologi e di specialisti di altri settori nel tentativo di
“decifrare” il misterioso rapporto uomo-musica. In questo senso
è volta pure la ricerca del musicologo Luciano Tancredi, il quale nel suo libro “Musicoterapia”
tenta di dare delle risposte ricorrendo ai tempi arcani, al mito ed
afferma che “l’azione dei suoni
sull’essere umano è molto profonda e reale perché, effettivamente, la nostra costituzione
interiore è conformata come un
vivente strumento musicale, le
cui corde sono il tessuto animico
sovrasensibile del corpo astrale
che, vibrando, riproducono le armonie e la musica del cosmo, risuonando nell’elemento “acqua”
del corpo vitale.
Rudolf Steiner ci mostra
come nel mito di Osiride dell’antico Egitto (Apollo presso i Greci) è narrata la formazione del
corpo astrale dell’uomo a partire
dall’elemento musicale.
Quando la Luna si staccò dalla Terra, Osiride trasferì la sua
azione su questa e, suonando
l’entità astrale umana, fece scaturire dal midollo spinale le 28
paia di nervi in collegamento
con le 28 fasi lunari (il fatto che
i doppi nervi siano 31 è dovuto
allo sfasamento tra il ciclo lunare
e quello solare).
Strumenti come la lira, la cetra ed altri simili nascono, quindi, come vere immaginazioni
spirituali, essendo concrete realtà dell’interiorità umana.
Un’altra importante leggenda sulla quale si è particolar-
La lira e la cetra nascono come
immaginazioni spirituali...
mente soffermato Rudolf Steiner è quella cinese del “violino
lunare”. Qui ci viene data una
immagine completa dell’essere
umano come centro di tutte le attività cosmiche che si manifestano attraverso le sfere planetarie
e stellari, riassumendosi nelle tre
facoltà dell’anima: pensare, sentire e volere. Questa immagine ci
porta di nuovo ad uno strumento musicale, che può essere visto
come una evoluzione della cetra
o della lira, ed assume la forma
di una chitarra a cinque corde,
dove la parte inferiore della cassa armonica rappresenta la Luna
(volere), la rosa (apertura al centro della tavola armonica) corri-
sponde al Sole (sentire) e infine
la testa dello strumento (parte
terminale del manico) richiama
lo Zodiaco attraverso la sfera
di Saturno (pensare). Le cinque
corde rappresentano i pianeti:
Saturno, Giove, Marte, Venere
e Mercurio.
Questo tema del “violino lunare” può essere ulteriormente illuminato dalla lettura
dell”’”Enrico di Ofterdingen” di
Novalis, dove la chitarra assume
un ruolo centrale come anima armoniosa e calice casto dal quale irraggia l’Io superiore, che è il
vero musicista creatore.
Tali profonde immagini, oltre che aiutarci a sentire la grandezza e la sacralità dell’elemento
musicale, che attraverso l’opera
di veri artisti dovrà sempre di più
aprirci il varco verso le forze del
cuore, ci danno anche la certezza
di una concreta azione del suono
sull’essere umano, e quindi anche la giustificazione della sua
forza terapeutica.
Per dimostrare questo si possono, ovviamente, prendere in
considerazione molte altre realtà, come per esempio gli esperimenti eseguiti, sul finire del
Settecento, da Ernst Chladni. Il
celebre fisico tedesco utilizzava
lamine elastiche, messe in risonanza secondo precise altezze
musicali, sulle quali era posta
una polvere molto leggera che, a
seconda dei suoni, si disponeva
in forme precise.
Fondamentale è la comprensione del fatto che gli elementi
musicali sono collegabili con la
costituzione umana, e che possono quindi essere trattati a scopo
terapeutico.
rittura impensabili solo qualche
decennio fà, pur conservando
gelosamente la sua nobiltà antica.
Come tutte le Dee degne di
questo nome, ha i suoi riti, le sue
Vestali ed, anche se pochi, i suoi
Patriarchi e Pontefici.
Scoprire il Mondo dell’Arpa
non è affatto agevole per i “non
arpisti” anche se musicisti con
tutte le carte in regola.
È stata perciò un’occasione imperdibile poter entrare in
questo mondo misterioso e gelosissimo, grazie al Corso Internazionale d’Arpa tenutosi recentemente nell’antico e storico
Comune piemontese di Fossano,
auspici la “Salvi Harps”, l’Amministrazione comunale di Fossano, la locale Cassa di Risparmio ed il Civico Istituto Musicale “V. Baravalle”.
Già la scelta del luogo, enclave di tradizionale riservatezza
piemontese, conferma l’intento
dell’”essere” piuttosto che quello dell’”apparire”.
Fossano fu fondato dai Guelfi (1236) sulla sinistra del fiume
Stura, ed ebbe complessa e tormentata storia (Saluzzo, Acaia,
Savoia, Francia, Austria e ancora Francia, dopo Marengo) ma è
più celebre per il pittore Ambrogio da Fossano, detto il “Borgognone”. Fra le sue antiche mura
vi sono arrivate venticinque arpiste provenienti da tutto il
mondo (Giappone, Francia, Italia, Serbia, Usa, Messico) e docenti da Italia e Francia.
Fin qui il quadro è quello
d’ogni importante “stage” internazionale. Di “unico” invece, c’è la formidabile dotazione
di Arpe messe a disposizione di
ogni partecipante per lo studio
ed i vari concerti pubblici che
costellavano le fitte giornate nelle quali si è dispiegata l’iniziativa. E questa “unicità”, è stata
conferita dalla “Salvi Harps”,
produttrice italiana di arpe, apprezzatissima e livello mondiale che, nel 2004, ha festeggiato il primo cinquantennale della sua attività. La fondò a New
York, l’italiano Victor Salvi, allora affermato arpista della Philarmonic Orchestra e della NBC
Orchestra di Arturo Toscanini.
Da allora Victor Salvi è alla testa di quest’azienda, trasferitasi
nel 1956 a Genova, con laboratori a Piasco (Saluzzo) dove ha
sede anche la sua Collezione Museo di Arpe Storiche, unica
al mondo per quantità e preziosità dei “pezzi” esposti, spesso
oggetto di esposizioni itineranti. L’intento di Victor Salvi, autentico “patriarca” dell’arpa, è
quello di promuovere l’arpa fra
il grande pubblico, sponsorizzandone generosamente l’uso e
la conoscenza anche attraverso
eventi come quello ricordato in
quest’articolo.
A Fossano, nella prestigiosa
sede di Palazzo Burgos, i Corsi si sono aperti con un grande
concerto pubblico. Protagoniste
le due docenti di questi Corsi:
Elisabeth Fontaine-Binoche e
Anna Loro. La Fontaine-Binoche, prima francese insignita del
Premio d’Israele e Disco D’Oro
in Giappone, docente al C.N.R. è
un mito vivente del mondo dell’Arpa, particolarmente attenta
all’aspetto psicologico dell’interpretazione. Anna Loro, italiana, vincitrice di prestigiosi premi nazionali ed internazionali,
ha un interminabile curriculum
concertistico e didattico ed a lei
si deve fondamentali innovazioni personali nella tecnica di suono. È ferrea nell’individuazione
delle architetture formali e ritmiche dei brani. Accanto alle
fitte lezioni individuali, altri tre
concerti pubblici hanno dato eccellente misura dei livelli di apprendimento dei corsisti (anche
in “duo” di arpe). I concerti dei
corsisti sono stati preceduti da
un concerto dell’arpista triestina
Jasna Merlak, professore ospite
del Corso in parola.
Conclusa questa tornata, il
“giro del mondo” dell’Arpa (Salvi) continua. Nell’immediato ne
sono previsti appuntamenti anche nella Regione Friuli Venezia
Giulia mentre le migliori allieve
di Elisabeth Fontan-Binoche e di
Anna Loro si preparano a cimentarsi in prossimi importanti concorsi internazionali. L’augurio di
navigare “a gonfie vele” è sincero, oltre che rituale.
Fabio Vidali
musica 7
Mercoledì 28 settembre 2005
MUSICISTI DI STRADA - “ALLA FIERA DI MASTRO ANDRÈ...”
Questi menestrelli del Duemila
La moda dei musici girovaghi da noi sempre più diffusa
di Helena Labus
L
e strade cittadine sono da
sempre una scena aperta a
tutti. Un podio concertistico, un palcoscenico, una tribuna
pubblica… un luogo di espressione democratica. In numerose
città europee, i musicisti di strada, molto spesso girovaghi, fanno
già da secoli parte del panorama
urbano.
In effetti sono l’ultimo anello
di una catena che inizia in tempi
remoti; basti ricordare i giullari e i menestrelli del Medioevo,
oppure, andando più indietro nel
tempo, gli aedi e rapsodi dell’antica Grecia, cantori erranti che nei
loro poemi epici cantavano le gesta degli eroi accompagnandosi
alla lira.
Una tradizione che nasce agli
albori della civiltà, e che con
grandissima probabilità affonda
le radici nella musica del popolo,
il cui filone faceva da contrappunto alla musica “colta”, oggigiorno
definita “classica” nella tradizione
europea. La musica, dalla preistoria in poi ha avuto una parte essenziale in ogni sorta di rituali,
accompagnando tutti gli eventi
più importanti nella vita dell’uomo – la nascita, la morte, i riti matrimoniali... La musica non colta,
in quanto espressione del popolo
è comune a tutte le nazioni e tuttavia ognuna denuncia una poetica peculiare che scaturisce da stili di vita, temperamenti ecc. particolari.
Ritornando ai nostri menestrelli e giullari ricorderemo che
questi erano cantori “professio-
Menestrelli in un dettaglio dell’affresco di Simone Martini, uno dei
grandi pittori del Medioevo
nisti”, spesso parte di compagnie da un villaggio all’altro, esibendogirovaghe di saltimbanchi, balle- si nelle piazze e trovandosi spesso
rini, musicisti, prestigiatori… che in contrasto con le autorità a causa
viaggiavano da una città all’altra, dei testi troppo critici o scolacciati dei loro canti. Al giorno d’oggi,
almeno dalle nostre parti, questo
rapporto di critica e “ribellione”
dei musicisti di strada sembra non
esista più.
Nelle nostre città, popolatesi
di cantori e suonatori appena negli ultimi anni, i musicisti scelgono di esibirsi per racimolare qualche soldo, mentre il loro repertorio è fatto di successi di musica
rock e pop straniera e nostrana. La
“moda” dei musicisti di strada si è
diffusa da noi in breve tempo, portando con sé ogni tipo di espressione musicale, gradita o meno,
e di diversi gradi di qualità, il cui
scopo è, oltre che il guadagno, in
gran parte quello di divertire.
La via principale di Fiume è
inoltre diventata una delle mete
preferite dei musicisti sudamericani, che fanno da anni parte dell’”offerta” musicale delle metropoli europee. I loro costumi tradizionali e le loro musiche esotiche,
o almeno quello che si suppone
sia la loro tradizione, hanno da
sempre esercitato un forte fascino
sugli europei e ciò è un segno di
apertura al multiculturalismo che
deve venir curata e sviluppata.
Purtroppo, quello che deprime è
vedere quanto queste compagini
“esotiche” abbiano rinunciato all’autenticità usando come “strumento” musicale la matrice registrata in precedenza sulla quale poi eseguono una determinata
melodia… Autenticità sacrificata
alla tecnologia. Un fatto che desta
una grossa delusione in tutti coloro che sono veramente interessati
alla conoscenza dell’originale patrimonio musicale di quelle lonta“Menestrello” del 2000 all’opera
ne terre.
ROCK - «FORTISSIMO»
Con Sarah McLachlan, Shaggy
e Kelly Osbourne il nuovo CD
di Cyndi Lauper
Il nono album di Cyndi Lauper è stato intitolato “The body
acoustic” e sarà disponibile dall’inizio del prossimo novembre.
Per il CD, il successore di “At
last” del 2004, la cantante si è
avvalsa di numerosi collaboratori. Sarah McLachlan dà una
mano a Cyndi per le versioni
acustiche di “Time after time”
e “Water’s edge”, mentre Kelly Osbourne arriva sul maggiore successo della Lauper, “Girls
just wanna have fun” del 1984.
Gli altri: Shaggy canta su
“All through the night”, Adam
Lazzara dei Taking Back Sunday su “Money changes everything”, Ani DiFranco e Vivian
Green si uniscono per “Sisters
of Avalon”, Jeff Beck aggiun-
ge la sua chitarra su “Above the
clouds”. Cyndi inoltre interpreta, senza collaboratori, “Fearless”, “Shine”, “True colors” e
“She bop”.
Jennifer Lopez: “Rivitalizzare
il Bronx”
Dopo la professione di cantante e di attrice, la bella portoricana ha deciso di diventare direttrice di una scuola di ballo nel
Bronx, proprio la zona in cui è
vissuta sin dall’infanzia.
L’iniziativa nasce dalla volontà
di J.Lo di rivitalizzare il quartiere
così malfamato di New York, dando un qualcosa in più alla zona...e
l’opportunità a qualche giovane
di diventare famoso. “Jennifer
ama molto ballare e sta pensando
d’insegnare salsa a qualche classe
della scuola”, ha riferito una fonte
La bella Jennifer
USA. J.Lo è nata il 24 luglio 1970
a New York City.
MUSICA DI STRADA
Piazza Carlo Alberto: un mese
di spettacoli musicali popolari
TORINO - Nei giorni scorsi ha avuto inizio a Piazza Carlo Alberto la nuova edizione di Total Request Live, meglio conosciuta come
TRL, il colosso di MTV che sbarca a Torino, con la trasmissione che
tra tutte coinvolge di più gli under 18, per la formula collaudata e mutuata dalla gemella americana.
La formula: una piazza, un palco, due vee-jay, una ricca collezione
di ospiti lungo l’arco della settimana, un orario ad hoc per gli studenti
(dalle 14.00 alle 15.00) e ovviamente la musica. Si tratta di una manifestazione itinerante (in diversi anni ha toccato parecchie città italiane, con preferenza per Milano, Roma e Napoli. Per Torino è la prima
volta) e che raccoglie il meglio della musica pop italiana e straniera. I
video, per forza, ma anche una nutritissima schiera di ospiti, dai cantanti alle band agli attori. Schiere di ragazzine/ragazzini urlanti. Con
gli striscioni che inneggiano ai cantanti preferiti, i cellulari al vento, la
voce pronta a scandire – a memoria – le canzoni proposte.
La prima edizione, del 1999, era condotta da Giorgia Surina.
Il programma è folto, come da copione. Così come l’elenco degli
ospiti dell’edizione torinese: in rigoroso ordine di apparizione cronologica, il cast di Vivere al completo, Bloodhound Gang, Subsonica,
L’Aura, Riccardo Scamarcio, Zero Assoluto, Simone Cristicchi (recentemente visto al Tim Tour), Kledi, Mattafix (nuovo fenomeno hiphop statunitense), Nek recente vincitore del Festivalbar, Sugarfree,
Irene Grandi. Ancora, le classifiche, i top 10, la playlist di TRL, le votazioni via sms o web, le “competition” (una volta si diceva “gioco”),
le interviste e i filmati. Tutta carne al fuoco dello spettacolare carrozzone che l’emittente video-musicale porta in giro per le piazze italiane. Torino continua così a essere tappa per i grandi eventi musicali,
quelli “di piazza” che mancavano da tempo, o che forse non ci sono
mai stati. Piazza Carlo Alberto ospiterà Total Request live tutti i giorni,
dunque, in rigorosa diretta.
8 musica
Mercoledì 28 settembre 2005
QUIZ - “CHISSÀ CHI LO SA?”
1. La rinomata cantautrice etno-jazz, Tamara Obrovac, sperimenta nella sua musica una sitesi con elementi del folklore:
a) dello Međimurje
b) dalmato
c) istriano
ANEDDOTI E CURIOSITÀ - “CON BRIO”
Paganini e il suo
primo concerto…
maestro morì a Parigi il 22 marzo 1687.
Ecco in qual modo Paganini
ricorda le peripezie che accompagnarono il suo primo concerto e
che per un superstizioso sarebbero
state di cattivo presagio: “Un chiodo mi si era fitto nel tallone, giunsi
in iscena zoppicando e il pubblico
si diede a ridere. Nel momento in
cui cominciava il concerto, caddero le candele del mio leggio, quindi altri scrosci di risa nell’uditorio;
infine, alla prima battuta del solo il
cantino si ruppe; ma eseguii tutto il
pezzo sopra tre sole corde e le risa
si cambiarono in esclamazioni di
entusiasmo”.
Paderewsky
e il parrucchiere
Carafa e Rossini
La morte
di G. B. Lulli
2. Uno dei grandi successi
del famoso cantante rap italiano Jovanotti s’intitola:
a) “L’ombelico del mondo”
b) “Piazza grande”
c) “Parole”
8. L’enorme produzione
e figura di Johann Sebastian
Bach, rimasta in ombra a lungo, fu riportata all’attenzione del pubblico nel 1829 con
l’esecuzione della “Passione
secondo San Matteo”, diretta dal grande compositore te3. Il celebre coro “Va’ pen- desco...
a) Robert Schumann
siero”, composto dal grande
b) Felix Mendelssohn BarGiuseppe Verdi, fa parte deltholdy
l’opera:
c) Franz Schubert
a) “Falstaff”
b) “La Traviata”
c) “Nabucco”
4. Come si chiama il musicista che ha composto la popolare cantata profana “Carmina Burana”?
a) Carl Orff
b) Sergej Prokofjev
c) Max Reger
L’otto gennaio 1687, mentre
Giambattista Lulli dirigeva l’esecuzione del Te Deum da lui composto per la convalescenza di Luigi XIV, disgraziatamente si colpì
la punta di un piede con la canna
di cui servivasi per dirigere l’orchestra. La contusione degenerò
ben presto in un ascesso maligno,
che si estesa rapidamente al piede
ed alla gamba: sono l’amputazione avrebbe potuto salvare il malato; ma il Lulli, piuttosto che sottomettersi all’operazione proposta
dal chirurgo, preferì affidarsi alle
cure di un empirico, che si faceva
chiamare Le Marquis de Carrette.
Le musiche del ciarlatano furono impotenti a combattere la
terribile cancrena ed il disgraziato
so dirigeva l’orchestra, e mentre
gli amici si congratulavano con
lui, un uomo pallido, scheletrito,
dai lunghi capelli neri, dal naso
adunco, facendosi largo tra la
folla, corse ad abbracciarlo e gli
consegnò un plico contenente un
buono da ventimila lire sul banco
Rothschild, pregandolo di accettarlo in segno della sua profonda
ammirazione.
Quell’uomo era Nicolò Paganini.
Un parrucchiere di Londra,
domandato se aveva mai sentito
suonare il celebre pianista Paderewski (notoriamente cappellone): “No – rispose con sussiego.
– Siccome tutti questi pianisti non
mi fanno l’onore di venire da me,
così io non vado da loro. Quando
ho una serata libera preferisco andarmene altrove”.
Berlioz e Paganini
Domandato un giorno Berlioz
perché scrivesse così poco, rispose: - Perché sono poverissimo.
Quando Berlioz nel 1831 fece
eseguire la prima sua sinfonia:
Episodio di una vita d’artista al
Conservatorio di Parigi, egli stes-
“Che fortuna ha questo Rossini! Non sa molto, eppure ottiene
sempre dei grandi successi!”.
Così soleva normalmente
esclamare Michele Carafa all’indomani di una prima rappresentazione di un’opera dell’amico
G. Rossini, il quale, a sua volta, il giorno successivo alla prima rappresentazione di un’opera
dell’amico Carafa sentenziava:
“Che peccato! Questo Carafa ha
un gran talento e fa sempre fiasco!”
La “Fuga del gatto
di Scarlatti”
Il gatto favorito di Domenico
Scarlatti, passeggiando un giorno filosoficamente sui tasti del
pianoforte, fece udire per caso le
note seguenti: Sol, Si bemolle, Mi
bemolle, Fa diesis, Si bemolle e
Do diesis e furono appunto queste
note che il celebre maestro prese
a tema di una sonata detta appunto la “Sonata del gatto”.
DAL VECCHIO ALBUM - “RA-TARA-TA-TA-TA! BUMMM!
5.La canzone “Like a virgin”, grande hit degli Anni
‘80, era cantata da:
a) Madonna
b) Kylie Minogue
c) Cindy Lauper
9. Come si chiama l’autore
dell’opera
“Porgy and Bess”,
6.Di quale gruppo istriaambientata
in uno squallido
no Edi Maružin è fondatore e
quartiere
americano
abitato
cantante?
da
negri?
a) Dogma
a) Aaron Copland
b) Atomsko sklonište
b) George Gershwin
c) Gustafi
c) Samuel Barber
Per tutte le trombe di Gerico! Chi saranno mai questi baldi
giovinotti con tanto di divisa (ah,
il fascino della divisa!) che sembrano voler dire “Ora te le suono
io!”? Domanda da un milione di
kune! Chi lo sà risponda.
a) la banda dei fanfaroni
b) Alì Babà e i quaranta ladroni
c) quarantaquattro gatti in fila
per otto (circa) con il resto di dodici
d) la banda d’ottoni del Dopolavoro dei Cantieri Navali
del Carnaro.
Bene! Bravi! Allegria! Allegria! Risposta esatta! Un
milione di kune e una Toyota
corolla in omaggio! Sono proprio i cantierini fiumani i quali,
nota bene, oltre a coltivare un
notevole repertorio bandistico (brani d’opera compresi),
il che presupponeva una buo-
na conoscenza della musica,
avevano pure un nutritissimo
coro - da fare invidia a quello dell’odierna Opera di Fiume - con un repertorio pure di
grande impegno: autori classici compresi.
A proposito, qualcuno di
voi ha riconosciuti tra questi
Magnifici, il padre, il nonno, lo
zio ecc.? Ha qualche ricordo in
proposito? Fatecelo sapere!!
7.Il grande compositore
francese Claude Debussy, autore del poema sinfonico “La
mer”, del “Chiaro di luna” per
pianoforte e dell’opera “Pelléas et Mélisande”, è stato uno
degli iniziatori...
a) del romanticismo
b) dell’espressionismo
c) dell’impressionismo
10. Si chiama “Der Freischütz” la prima opera nazionale tedesca, composta nel
1821 da:
a) Alban Berg
b) Richard Wagner
c) Carl Maria von Weber
Anno 1 / n. 3 28 settembre 2005
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto editoriale di Silvio Forza
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Art director: Daria Vlahov Horvat
Redattore grafico: Denis Host-Silvani
Collaboratori: Alessandro Boris Amisich, Helena Labus, Orietta Šverko, Fabio Vidali
Soluzioni: 1. c), 2. a), 3. c), 4. a), 5. a), 6. c), 7. c), 8. b), 9. b), 10. c).