Maria Paola Gatti
PROGETTO
E
TESI DI LAUREA
LA DIDATTICA
ARACNE
E IL
METODO
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–1948–1
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: agosto 2008
SOMMARIO
La didattica e il metodo
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L’elenco delle tesi
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Le tesi
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LA DIDATTICA
E IL
METODO
La pubblicazione, che riunisce i lavori di tesi di laurea svolti nell’ambito del corso di laurea in Ingegneria Civile indirizzo
Edile e del corso di laurea in Ingegneria Edile - Architettura, non è l’espressione di una scuola di pensiero architettonico
e neppure la divulgazione di indirizzi didattici innovativi; è una mera raccolta e vuole essere un’occasione per collegare
lo studio universitario, molto spesso unicamente teorico, con la realtà, anticipando per molti versi le difficoltà della
professione.
La raccolta vuole anche dimostrare che gli studi universitari possono incidere sulla realtà stessa, facendo emergere le
problematiche d’impianto o formali che necessariamente devono trovare una soluzione nel progetto, nonostante
molto spesso la discrasia tra gli obiettivi politici e quelli architettonici porti, per mancanza di volontà di ambedue le
parti, a porre in essere brani di città estranei, che la collettività non accetterà mai.
Proporre le soluzioni di progetto elaborate da futuri professionisti ci consente di costituire un importante bagaglio
conoscitivo, utile per attivare e fondare un dibattito sulle problematiche progettuali, giungendo a una precisa definizione della più razionale e coerente soluzione, non subordinata ai vincoli normativi degli strumenti pianificatori, che
nella realtà sempre più spesso limitano e condizionano pesantemente la progettualità nel quotidiano esercizio della
professionalità.
Naturalmente in questi lavori si rilevano una “rigidità” e un’elementarizzazione di impianto planimetrico e soprattutto
altimetrico, indotte dalla mancanza di un continuo e ponderato fare architettonico ed è evidente che le soluzioni
presentate si basano più sull’intuizione che sulla conoscenza (stilistica, funzionale, costruttiva, ecc.) propedeutica
all’architettura.
L’obiettivo dei corsi di progettazione dovrebbe essere quello di trasmettere una metodologia progettuale elementare
che solamente nel tempo può evolversi e migliorare attraverso le successive acquisizioni universitarie e, soprattutto,
lavorative; anche in questa professione la formazione non ha mai fine ed ha bisogno, per mantenersi attiva, di continui
approfondimenti e aggiornamenti.
Un corretto approccio al lavoro progettuale in fase di studio forse non produrrà oggetti di elevata qualità architettonica,
ma può contribuire a forgiare quella corretta edilizia alla quale la società aspira. Nella loro diversità, gli esiti delle
esercitazioni progettuali non rappresentano un semplice progetto, ma sono il risultato di un articolato processo che,
partendo da un’attenta ricerca di settore, con metodo preciso, analitico prima e sintetico dopo, arriva alla proposta
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progettuale, espressione del bagaglio conoscitivo acquisito e rivisitato nella soluzione posta in essere.
La sintesi propositiva che ne deriva, esplicita quindi il percorso didattico intrapreso dallo studente e palesa le sue
conoscenze e la sua capacità di interpretazione e di sedimentazione. Le diverse conoscenze iniziali e le diverse sensibilità portano a risultati disomogenei, ma in tutti i lavori si evidenzia lo sforzo che è stato compiuto per assimilare una
metodologia progettuale al fine di mettere un atto una sintesi, quale è il progetto architettonico.
Nel percorso intrapreso nel lavoro di tesi di laurea non viene mai privilegiato il raggiungimento di un obiettivo singolo
(forma, funzione, distribuzione, armonia, equilibrio, ecc.) ma si cerca, forse un po’ pretestuosamente, di giungere alla
saturazione parziale o totale di una serie di valenze.
Dalla raccolta dei lavori di tesi emerge la diversa articolazione dei due corsi di laurea; in quello del Vecchio Ordinamento gli allievi, infatti, possedevano un bagaglio formativo limitato nelle discipline dell’architettura (assenza quasi totale
della storia dell’architettura, della progettazione urbana, della composizione architettonica, ecc.) e, succubi di una
eterna ed altrettanto radicata riverenza verso gli architetti, per loro i veri e unici gestori del progetto architettonico,
molto spesso si rifugiavano in un asettico funzionalismo oppure riproponevano forme già costruite, certamente corrette perché elaborate da architetti. Ritengo che si siano raggiunti soddisfacenti risultati, anche perché questi allievi
possedevano una forte tenacia che permetteva loro di superare le molte difficoltà del percorso degli studi.
Seppure le tesi di laurea presentate siano solo una parte dei lavori prodotti da iscritti al corso di laurea,si può notare
che, nonostante abbiano superato tre composizioni architettoniche, due storie dell’architettura, un’urbanistica ecc. le
problematiche che devono affrontare sono rimaste pressoché le stesse.
Difficile è far comprendere agli allievi ingegneri – architetti che la mimesi architettonica così come il funzionalismo non
possono contraddistinguere il lavoro architettonico,tuttavia, attraverso la spiegazione di un corretto processo
metodologico si può giungere a far capire che l’architettura, analogamente ad altre discipline, si basa su principi, su
regole diverse che assumono la stessa valenza nella progettazione e che hanno come supporto fortificatore la conoscenza e la validità nel tempo. Si intende quindi una conoscenza non costituita da una sterile elucubrazione personale
o dalla teorizzazione di appartenenza a correnti stilistiche, ma che deve necessariamente scaturire dall’habitat, dal
sedime, dallo stretto intorno, dalla destinazione d’uso, dall’iterazione tra funzione e luogo, dalla tecnica costruttiva,
ecc., una conoscenza che alla lunga porterà al dominio dell’atto progettuale, aspirazione di ogni progettista. In fondo
in questa professione, così come in molte altre, nessuno nasce maestro, ma si forma lentamente, acquisendo dapprima la teoria e quindi la pratica.
La storia, l’analisi delle similitudini, la conoscenza dei criteri aggregativi, delle regole distintive gli edifici, ecc. sono il
caposaldo del percorso progettuale, ma a ciò lo studente deve seguire la ricerca di una specifica capacità espressiva,
basata per l’appunto sull’interpretazione personale del bagaglio acquisito . La capacità espressiva è quindi proporzionale al bagaglio conoscitivo proprio di ognuno, ma anche alla sua sensibilità.
Il metodo della costante interazione tra forma – funzione – estetica - costruibilità produce la stratificazione di insegnamenti che consente di giungere alla definizione del progetto e fornisce la capacità critica necessaria per elaborare una
soluzione, senza trincerarsi nella mimesi.
Dietro ogni progetto vi è quindi una storia personale, vi è un costante lavoro per fortificare la cultura e la conoscenza,
ma deve esserci anche un umile e costante impegno a completare le lacune e i debiti di esperienza.
La necessaria suddivisione degli insegnamenti porta gli studenti a suddividere l’architettura in tanti filoni, la concezione compositiva viene separata da quella strutturale e da quella tecnologica.
Non sempre è semplice far capire agli studenti,e purtroppo anche molti professionisti non lo hanno ancora assimilato,
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che l’architettura non ha nulla di casuale e che il progetto deve essere necessariamente supportato da un’idea progettuale,
che può non essere condivisa, ma che non lo rende banale e, quindi, non può essere genericamente definibile brutta
e dirompente rispetto all’ambiente naturale e costruito.
Il progettare non è, quindi, il frutto di una serie di doni naturali (l’architettura ha avuto pochissimi geni), ma è il frutto
di maturazione e sofferenza. È un percorso fatto di salti di scala, da quella dell’edificio a quella del dettaglio, di
avanzamenti e ripensamenti, non è certamente un percorso lineare, ma sono proprio le stasi che producono i progressi e quindi la soluzione ottimale. Anche i grandi maestri prima di predisporre la soluzione da costruire ne sperimentano
molte, tant’è che il progetto, anche quello finale, è diverso dall’edificio costruito.
Il processo progettuale può avere infinite verifiche sulla carta e poi nello stesso funzionamento, ma queste ultime,
proprio per un necessario rispetto verso la collettività, non devono essere attuate o perlomeno devono avvenire
unicamente quando le esigenze della società si modificano, poiché vanno sempre incidere sul parametro economico.
Lo studente, così come il professionista, deve perciò sempre ricordare che il progetto deve essere frutto e sintesi
dell’espressione formale, dell’utilità funzionale e dell’idoneità costruttiva.
Sicuramente i due ben noti aforismi “la forma segue la funzione” (Frank Lyoyd Wright) e “la forma evoca la funzione”
(Louis Kahn), sono ancora oggi validi, ma dobbiamo anche ricordarci che la forma e la funzione devono essere un
tutt’uno con la struttura, che deve esplicitarsi con i materiali più convenienti e più opportuni sfruttandoli in base alle
loro caratteristiche senza portarli all’esasperazione strutturale.
Si deve infatti ricordare che il progetto è integrazione e ottimizzazione di forme, funzione e materiali.
Riuscire a far capire il processo di composizione e scomposizione proprio della formulazione progettuale produce negli
studenti un’iniziale insoddisfazione, ma probabilmente non si rendono conto che questo li porta a rafforzare la
capacità critica e a verificare continuamente il proprio lavoro, proprio perché va a modificare le “proprietà” di terze
persone. Nello stato di studente è sicuramente molto difficile comprendere che il processo progettuale non è mai finito
e il tempo, e quindi la continua maturazione della persona, porta a modificare e a migliorare l’idea.
Obiettivo che da sempre mi sono posto nel lavoro di tesi è quello di far acquisire un supporto metodologico per
affrontare le problematiche del processo progettuale, quindi quelle inerenti alla forma, alla funzione, alla distribuzione
e alla costruibilità.
Tutti i lavori, riprendendo la classica articolazione della progettazione, considerano quindi il luogo, che deve suggerire,
e a volte anche motivare, le scelte progettuali.
La contestualizzazione può ridurre l’impaccio progettuale, infatti la reinterpretazione di reali presenze del contesto
naturale o costruito può essere un approccio progettuale, anche se può indurre all’imitazione e quindi produrre un’architettura sterile poiché priva di interpretazione o innovazione.
Nel luogo devono essere rilevati diversi fattori, quindi la qualità naturale e artificiale, le gerarchie, il modo di costruzione sinora adottato (intensivo o distensivo, le caratteristiche planimetriche e formali), le norme così come le eccezioni.
Dobbiamo conoscere la destinazione d’uso e quindi gli spazi nella loro dimensione e nella loro relazione. Dobbiamo
anche conoscere i principi necessari per la traduzione dell’idea concepita in forma costruita e qui la storia del costruito,
anonimo o d’autore, ci può certamente servire. Dobbiamo poi conoscere materiali e tecniche costruttive idonee, capaci
di esprimere pienamente le nostre scelte formali, planimetriche e funzionali.
Dobbiamo quindi verificare se quello che abbiamo fatto è congruente o meno con il luogo, con la destinazione d’uso,
con le tecniche costruttive e non dobbiamo demandare alcun giudizio alla commissione edilizia comunale e alle altre
sempre più numerose commissioni presenti nel processo edilizio; infatti un buon progetto non nasce quasi mai dalle
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norme edilizie.
L’attività progettuale nel lavoro di tesi è “guidata” al fine di permettere allo studente di risolvere la progettazione di
manufatti, ricordando sempre che l’architettura è frutto dell’interpretazione e che nulla può essere inventato.
La sintesi dei lavori ha uguale articolazione e palesa le problematiche connesse al luogo, alla forma dell’edificio rispetto
all’intorno, alla forma dell’edificio in funzione alla destinazione d’uso; accanto all’idea progettuale vi è quindi quella
analitica.
La raccolta che viene presentata in questo libercolo comprende una parte dei lavori di tesi che sono stati svolti dagli
studenti a partire dall’anno accademico 1993-04, col prof. Giorgio Cacciaguerra e con l’architetto Fulvio Osti.
Voglio infine ribadire che sono state riportate unicamente le tesi “progettuali” che potevano essere accomunate, per
cui quelle che hanno approfondito tematiche tecnologiche non sono state inserite, ma prossimamente anch’esse
verranno sintetizzate e raccolte in un fascicolo.
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L’ELENCO
DELLE
La residenza universitaria a Ravenna. Recupero di un complesso industriale nella darsena di citta’
Elisabetta Fortunati
a.a. 1993-1994
Da esposizione di automobili ad esposizione di strumenti musicali
Francesco Misdaris
a.a. 1997-1998
Una mensa per l’ateneo in un intervento per la città
Valentina Eccher
a.a. 1998-1999
Progetto di riqualificazione della zona sportiva di Bolzano
Maurizio Calderara
a.a. 1998-1999
La sede degli uffici amministrativi di ateneo nella trasformazione dell’edificio Cavazzani a Trento
Ivan Veronesi
a.a. 1998-1999
Un centro civico con biblioteca in un comune minore del veronese
Devis Bonadimen
a.a. 1998-1999
Architettura di base in Vajont. Analisi e ipotesi di recupero
Guido Viel
a.a. 1998-1999
Un progetto urbano per Barcellona. La cittadella universitaria sul lungomare
Andrea Bernardis
a.a. 1999-2000
La favela di Novos Alagados. Progetto di una cellula abitativa
Dario Pedrotti
a.a. 1999-2000
Residenza universitaria a Trento: recupero del collegio Mayer
Mirko Busetti
a.a. 2001-2002
Un nuovopolo culturale a Thiene nell’area della Villa Thiene - Cornaggia
Liliana Pierotto
a.a. 2000-2001
L’intermodalità RO/GO nel polo di Trento
Martino Festi
a.a. 2001-2002
Biblioteca universitaria a Trento: un percorso fra cultura e natura
Deanna Dalla Serra
a.a. 2002-2003
La trasformazione della centrale di Fies: da manufatto produttivo a centro culturale
Mario Miorelli
a.a. 2002-2003
TESI
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Museo dell’automobile a Bassano del Grappa: un viaggio fra storia e motori
Il complesso universitario di Mesiano. L’edificio per il corso di laurea in Ingegneria Edile - Architettura
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Stefano Scomazzon
Andrea Caldara
a.a. 2003-2004
a.a. 2003-2004
Scienza e tecnica. Punto di intersezione a Trento
Mariano Ferrari
a.a. 2003-2004
Un nuovo spazio per ussolengo. da mercato ortofrutticolo a polo culturale
Stefano Biondaro
a.a. 2004-2005
La casa di Dio e dell’uomo. L’Istituto Missioni Consolata ad Alpignano - Torino
Franco Lacchin
a.a. 2004-2005
Il centro ritrovato: un’idea per il villaggio S. Donà di di Trento
Roberto Leveghi
a.a. 2004-2005
La cucitura tra vecchio e nuovo. La riqualificazione di piazza Garibaldi ed aree adiacenti a Pergine Valsugana
Davide Tomasi
a.a. 2005-2006
Il costruito a dimensione dell’anziano: la residenza per la terza età a Trissino
Francesca Peloso
a.a. 2006-2007
Un progetto per Bassano: da convento a ospedale a centro congressi
Livio Tedesco
a.a. 2006-2007
Forte Gisella a Verona: da struttura militare ad albergo per i giovani
Chiara Rapaccini
a.a. 2006-2007
Il Barco della Regina Cornaro: un baricentro culturale per la marca trevigiana
Paolo Mazzarolo
a.a. 2006-2007
La dismissione per la valorizzazione: Le caserme “Cesare Battisti” a Trento
Laura Ciurletti
Una nuova sede universitaria nel Palazzo delle Poste di Trento
Daniela Margoni
a.a. 2006-2007
Il centro culturale Santa Chiara a Bassano
Cristiano Benacchio
a.a. 2006-2007
a.a. 2006-2007
LE TESI
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Elisabetta Fortunati
IL VECCHIO
E IL
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LA R ESIDENZA U NIVERSITARIA A R AVENNA .
RECUPERO DI UN EDIFICIO INDUSTRIALE NELLA
DARSENA DI CITTÀ
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La tesi è attinente alla trasformazione funzionale della
raffineria di zolfo Almagià, costruita nell’ultimo decennio
dell’Ottocento a Ravenna. Si tratta di un complesso industriale costituito da più manufatti, alcuni dei quali dotati
di grande valore formale e stilistico, che hanno conservato sino ad oggi un importante ruolo nella memoria cittadina.
Questo insieme possiede un’elevata versatilità, derivante
da una modesta specializzazione, ossia dallo scarso collegamento della forma del manufatto con il ciclo produttivo, duttilità che consente molteplici nuove formulazioni
d’uso, tutte altamente compatibili con i caratteri dell’edificio.
La tesi ha avuto inizio analizzando le esigenze della città,
i caratteri del contesto e le potenzialità dell’edificio. Questo bagaglio conoscitivo è stato poi utilizzato per ipotizzare l’inserimento di una nuova destinazione d’uso, compatibile e congruente con l’esistente.
La destinazione d’uso da inserire nello stabilimento
dell’Almagià è stata dedotta dallo strumento urbanistico
vigente, che cerca di dare una collocazione definitiva e
lungimirante alle strutture universitarie (sedi per la didattica, per l’amministrazione, per la biblioteca, ecc.) che
sono state inserite nella città nel corso degli anni ottanta.
Il piano regolatore del ’93, infatti, ipotizza di localizzare
una residenza universitaria in una “preesistenza immobi-
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liare di qualità” del quartiere “Darsena di città”, che sino
agli anni sessanta era un’importante area portuale e produttiva di Ravenna, ma oggi è completamente abbandonata.
La rifunzionalizzazione di quest’area porterebbe ad un
notevole risparmio di risorse, specialmente territoriali, ma
la trasformazione funzionale porterebbe soprattutto alla
“riaggregazione” delle parti costituenti la città, giungendo a formare un organismo urbano. Per fare in modo che
la “Darsena” ridiventi parte effettiva e attiva della città, si
è quindi supposto di liberarla dal laccio soffocante costituito dalla grande T formata dalla strada ferrata e dalla
via d’acqua, che divide fisicamente e psicologicamente la
città.
Intervenire a scala urbana su questi elementi ha portato
inevitabilmente ad affrontare un antico problema
infrastrutturale che assilla la città, ossia quello della sua
marginalità rispetto alle direttrici internazionali di traffico. Al fine di eliminare questo isolamento, si è ipotizzato
di spostare vicino alle aree produttive attualmente in funzione e quindi verso est, l’intera linea ferroviaria,
sopraelevandola all’altezza dell’attuale ponte mobile sul
canale, di realizzare una nuova stazione ferroviaria ed
inoltre di “intombare” la parte terminale (meno di 2 km)
del porto canale per realizzare un parco urbano.
Nell’area della Darsena è stato poi necessario analizzare
il patrimonio edilizio esistente. La sedimentazione presente non può essere utilizzata tout court, ma non è neppure pensabile fare tabula rasa dell’esistente, per cui si è
tentato di attuare una mediata operazione di reciproco
aggiustamento, che consideri la rilevanza del tessuto urbano e la qualità architettonica dei singoli edifici. Partendo da questi presupposti e da quelli contestuali, si è
ipotizzato di inserire in questa parte di città una residenza per gli studenti ed un centro sociale polivalente, scegliendo di localizzare queste funzioni nell’ex raffineria di
zolfo.
Da questa scelta è scaturita la necessità di conoscere la
strutturazione formale e dimensionale delle residenze
universitarie. Sono state quindi analizzate numerose re-
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alizzazioni, cercando di individuare costanti e varianti.
Tutto ciò è risultato propedeutico alla formulazione
progettuale, funzionale ed organizzativa dello studentato.
A ciò ha fatto seguito un’attenta analisi dei manufatti componenti l’ex raffineria di zolfo, che ha portato alla decisione di liberare il complesso da tutte le superfetazioni che,
soprattutto in alcune parti, soffocano e mortificano l’impianto.
Obiettivo conseguito è stato quello di ridefinire l’originario mutuo rapporto esistente tra i diversi manufatti che
compongono il complesso dell’Almagià. Ciò non significa
ridare al complesso l’articolazione originaria, ma mantenere tutto quello che si è costituito con le stesse modalità
e criteri e che ha formato un unicum architettonico, nella
pianta e nell’altimetria.
La definizione progettuale avanzata propone la conservazione e l’integrazione di alcuni volumi esistenti, inserendo
in essi sia un centro polivalente con servizi per lo spettacolo e per il tempo libero che una struttura ricettiva residenziale universitaria dimensionata per un minimo di 110
utenti e caratterizzata da tipologie e tagli diversi al fine di
soddisfare le esigenze dei fruitori (alloggi per 1, 2, 3, 4, 6
utenti). Le parti edificate sono state collegate tra loro
mediante un connettivo a verde naturale ed attrezzato, in
continuità con l’ipotizzato parco urbano da realizzare nella parte terminale del canale.
Un ulteriore criterio adottato nell’ipotesi progettuale è stato
quello di utilizzare tecniche e materiali tradizionali, per
mettere a punto un’operazione “soft” con il minimo impatto; si è cercato infatti di non giungere all’amputazione
o alla modifica dell’essere dell’edificio e neppure di mettere in atto un’operazione di sopraffazione sull’esistente.
Si è cercato inoltre di non creare dei falsi, per cui il nuovo
è sempre evidente. In questo progetto ogni modifica è
stata palesata, adottando materiali diversi da quelli originari (rame per la copertura, putrelle per l’architrave dei
nuovi fori, intonaco per i nuovi paramenti murari, ecc.),
ma anche ricorrendo a soluzioni formali diverse, che però
risultano essere in continuità con gli stilemi delle architetture originarie.
Francesco Misdaris
DA ESPOSIZIONE DI AUTOMOBILI AD ESPOSIZIONE
STRUMENTI MUSICALI. IL RIUTILIZZO DI UN
EDIFCIO DEL CENTRO STORICO DI VERONA
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IL VECCHIO
La tesi propone un nuovo uso per un edificio progettato
nel 1919 da Ettore Fagiuoli, posto nel centro storico di
Verona, facendolo diventare un museo di oggetti musicali, quindi strumenti, spartiti, vestiti di scena, ecc.. L’edificio originariamente conteneva un’autorimessa e una concessionaria. La sua articolazione planimetrica ed
altimetrica rispecchia il gusto di inizio secolo, per cui accanto agli elementi tradizionali per forma e per materiale, vi sono quelli caratterizzanti lo stile Liberty. Il valore
dell’edificio non è unicamente formale, ma anche
costruttivo, in quanto incorpora la sperimentazione
costruttiva dell’inizio secolo (struttura a pilastri in pietra
e orizzontamenti in calcestruzzo, copertura a capriate in
ferro chiodate con assito in legno, ecc.).
Si tratta quindi di un esempio di archeologia industriale,
il cui valore ci ha suggerito di operare con grande rispetto
del vecchio, cercando di accostare il nuovo all’esistente
senza mai sopraffarlo.
La scelta di inserire una sala espositiva per strumenti
musicali nel garage è nata dalla necessità di trovare una
localizzazione per esporre i molti reperti museali di proprietà dell’Ente Lirico.
Per tale motivo è stato necessario definire il catalogo di
un’ipotetica mostra, al fine di verificare non solo l’opportunità di localizzare in questo manufatto la funzione indicata, ma anche la presenza degli spazi necessari affinché
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DI
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i vari oggetti potessero essere valorizzati.
Al progetto di rifunzionalizzazione è stata anteposta un’accurata analisi dell’edificio, rilevando i caratteri geometrico
- dimensionali, morfologici, strutturali, costruttivi, ecc.. È
stato anche necessario condurre uno studio tipologico sulle
strutture museali di oggetti musicali realizzate negli ultimi
dieci anni, che ha consentito di quantificare gli spazi e di
rilevare i collegamenti più razionali.
La complessità stilistica del manufatto ha portato a sviluppare la proposta progettuale cercando di conservare i
caratteri originari, rispettando forma e struttura.
Per questo si è riconfermata la centralità funzionale dell’ampio spazio centrale, originariamente adibito ad esposizione delle auto, destinandolo ancora una volta a mostra. Per non comprometterne l’integrità si è quindi
ipotizzato di inserire nel contenitore un nuovo contenitore, che non precluda la visione e la percezione della
spazialità del volume originario.
Il processo di progettazione ha quindi portato
all’individuazione di una “pelle”, rappresentata dall’edificio preesistente, in cui si inserisce uno “scheletro” costituito da una struttura metallica. Si è voluto che l’oggetto
di nuova progettazione avesse una forza estetica strutturante, una forma a chiglia di nave per identificare la funzione del contenitore, ma percepibile solamente dall’esterno dell’area espositiva. Nel momento in cui il visitatore
entra nella zona espositiva perde questa sensazione perché la struttura di nuova progettazione muta la sua forza
estetica, il tutto affinché né l’architettura espressa dalla
nuova progettazione né quella propria del manufatto abbiano il sopravvento sugli oggetti esposti inducendo l’utente
ad un’eccessiva distrazione.
Come emerso dall’analisi tipologica sul tipo museo sono
stati individuati degli assi, che sono stati resi palesi nella
pavimentazione divenendo linee guida indispensabili, definenti il percorso espositivo. L’elemento inserito si sviluppa su tre livelli fino a raggiungere la copertura, inserendosi nella stessa così da utilizzare anche questo spazio;
ciò permette un gioco di visioni dall’alto e dal basso sia
della struttura che degli elementi in essa esposti, il tutto
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E IL
IL VECCHIO
grazie anche alla presenza di superfici trasparenti attraverso le quali si possono vedere gli strumenti esposti da
sopra, da sotto, da qualsiasi punto si preferisca. In corrispondenza dei punti più significativi, all’interno della sala
espositiva sono state localizzate delle zone “relax” in cui i
visitatori possono soffermarsi ed ammirare il tutto.
Il collegamento verticale dei vari livelli della sala espositiva
è posto sulla grande parete di fronte all’ingresso principale, in cui si è ricavata una quinta alla sala stessa. La sala
è dotata di due punti cardine, l’ampia zona del foyer e
l’elemento di comunicazione verticale, che coincide con il
punto di partenza e di arrivo della visita del museo; tutti
i vari percorsi conducono obbligatoriamente a questi due
punti.
I tre volumi circostanti la sala espositiva ospitano le funzioni di supporto quali l’amministrazione, gli archivi e i
depositi, gli uffici per l’organizzazione delle mostre e degli
eventi del museo stesso. Una tale disposizione funzionale
risulta essere estremamente efficace in quanto assicura
la possibilità di un contatto diretto tra i vari spazi mantenendo però al tempo stesso una separazione, accentuata
dalla presenza di ingressi tra loro indipendenti, che creano una totale compartimentazione dell’edificio.
A memoria dell’officina - esposizione si è voluto lasciare
tutti gli impianti (riscaldamento, condizionamento, ecc.)
a vista.
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Valentina Eccher
IL NUOVO
UNA MENSA
PER TRENTO
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PER L’ATENEO IN UN
INTERVENTO
Le esigenze di espansione dell’Università degli Studi di
Trento ed in particolare del polo umanistico rendono necessaria la costruzione di un nuovo complesso a servizio
degli studenti, che svolga attività di ristorazione e di
socializzazione. A tal fine si è ipotizzato di realizzare un
manufatto per gli studenti vicino alle facoltà umanistiche.
La scelta dell’area è derivata dalle indicazioni dello strumento urbanistico comunale e dal piano di sviluppo
dell’Ateneo trentino. Il lotto indicato è attualmente occupato dal magazzino ortofrutticolo, un capannone con struttura a telaio realizzato negli anni sessanta. L’ubicazione
però è problematica, questo lotto infatti non possiede un
accesso ben definito e confina a sud con il cimitero comunale e ad ovest con la linea ferroviaria, che in un prossimo futuro dovrebbe essere interrata.
Questi “vincoli contestuali” hanno quindi indotto a risolvere innanzitutto il problema urbano per passare in un
secondo tempo alla risoluzione dell’edificio.
Il difficile intorno ha reso necessaria l’analisi del tessuto
urbano per individuare da un lato la strutturazione e le
percorrenze storiche, dall’altro la localizzazione delle facoltà e degli edifici complementari, come biblioteca, mensa e sale studio. Si è visto che, riprendendo la percorrenza
storica ovest-est (ossia quella che collega palazzo delle
Albere con la collina), si possono unire tutte le facoltà e
porre su quest’asse tutte le strutture sussidiarie all’attivi-