Il ripristino dell`integrità dell`area archeologica centrale, secondo

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Il Progetto Fori è datato fine anni Settanta. I suoi protagonisti
principali sono il sindaco di allora, Luigi Petroselli, l’allora
soprintendente ai beni archeologici, Adriano La Regina, gli
urbanisti Leonardo Benevolo e Italo Insolera, e Antonio Cederna
che ne scrive sul Corriere della Sera e poi su Repubblica e
L’Espresso e che, nel pieno della vicenda, pubblica anche un libro,
Mussolini urbanista, un po’ libro di storia un po’ pamphlet, che
però ha molto a che fare con la cronaca del progetto. Il progetto
consiste certo in una sistemazione dell’area archeologica centrale
di Roma, ma soprattutto nella creazione di «un sublime spazio
pubblico», così l’ha definito Benevolo, che da piazza Venezia
comprende i Fori, il Colosseo, il Palatino, il Circo Massimo e di lì
si spinge verso l’Appia Antica, percorrendo la quale si giunge ai
Castelli. Archeologia urbana e archeologia nel paesaggio della
campagna romana. L’archeologia come elemento costitutivo della
dimensione urbana, della dimensione quotidiana della città, non
solo oggetto di contemplazione turistica. Oggetti che incutono
senso di cittadinanza e di rispetto e non soggezione.
Visto oggi, a tanti anni di distanza, quel progetto rivela che in
fondo all’idea di smantellare la via dei Fori imperiali voluta dal
fascismo e inaugurata nel decennale della marcia su Roma - 1932
- c’è un Progetto per Roma. Un progetto basato su una diversa
idea di Roma rispetto a quella coltivata da chi lascia che si
espanda senza confini. L’idea di una città che faccia perno sulla
propria cultura millenaria e che per il futuro si concentra sul
miglior uso delle parti già edificate, senza andarne a consumare di
nuove. Ed è dunque un’idea che, nonostante sia stata formulata in
un’altra epoca, sotto altre stelle politiche e culturali, frutto di
fermenti intellettuali che si sono assopiti e che è molto complicato
ridestare, risponde a questioni e bisogni tutt’altro che soddisfatti il rapporto irrisolto fra il centro e le periferie, la sopravvivenza
non solo fisica del centro storico, la forza esercitata dalla
speculazione fondiaria, pure trasferita su lidi finanziari, nel
disegno complessivo della città -, questioni e bisogni che
interrogano ancora Roma nella sua interezza. Ed è per questo che
quel progetto non è consegnato agli archivi.
Vezio De Lucia l’ha definita «la più straordinaria invenzione
urbanistica nella storia della capitale». E in effetti la dimensione
urbanistica dell’operazione si affianca, fin dagli esordi, agli aspetti
di conservazione e di valorizzazione di uno strabiliante patrimonio
di storia e di antichità. È un progetto per tutta Roma, non solo un
progetto per realizzare un parco archeologico senza paragoni al
mondo – il che, ovviamente, basterebbe a impegnare tutte le
energie disponibili. Così lo intende Petroselli, che ne fa un
obiettivo politico sul quale chiede e ottiene il consenso dei romani,
i quali nel 1981 lo rieleggono sindaco anche per questo. Il
Progetto Fori, scrivono Insolera e Francesco Perego, “propone una
sintesi ambiziosa quanto inedita tra il patrimonio archeologico e il
tessuto urbano che lo circonda: l’antico non è più inteso come
‘monumento’, né come quinta evocatrice di illustri memorie, ma
come parte storica potenzialmente equiparabile ad altre parti
storiche – medievali, rinascimentali, barocche – che la città non ha
mai smesso di usare”.
Il ripristino dell’integrità dell’area archeologica centrale, secondo
Cederna, è parte della tutela del centro storico di Roma che deve
avvenire non per emergenze individuali, ma interessare l’intero
tessuto della città pre-novecentesca. E, dato che la conservazione
dell’antico è la condizione per costruire la città moderna - ed
entrambe le operazioni sono “vicendevolmente necessarie” - la
complessa iniziativa è il frutto di una pianificazione e la
pianificazione, per Cederna, va intesa come un’attività
“coercitiva”, tendente cioè a “impedire che il vantaggio di pochi si
trasformi in danno ai molti, in condizioni di vita faticosa e
malsana per la comunità”. Secondo Cederna l’area archeologica
centrale costituisce il vertice di un cuneo che appunto arriva ai
Castelli, percorrendo tutta l’Appia Antica, e i cui lati si affacciano
su alcune delle zone di più intensa e caotica edificazione. Offrono
verde, ossigeno e cultura ai “murati vivi”. Inoltre, a sottolinearne
la dimensione urbanistica e l’incidenza su tutta la città, Cederna
associa il Progetto Fori, con costanza e più volte nel corso degli
anni, a un altro obiettivo ai suoi occhi cruciale per il futuro di
Roma, lo Sdo. Ancora nel 1989, mentre il Progetto Fori sfiorisce
all’orizzonte della città, presentando alla Camera il disegno di
legge per Roma capitale, Cederna insiste sull’intreccio fra la
sistemazione archeologica e il trasferimento dal centro storico
delle pesanti funzioni amministrative che gravavano, e gravano
oggi ancora di più, sul tessuto edilizio rinascimentale e barocco.
Trasferimento che, contemporaneamente, avrebbe dovuto portare
qualità e servizi nella periferia.
La questione è ripresa in termini analoghi a quelli di Cederna da
Benevolo, secondo il quale l’area archeologica centrale propone
un confronto fra la città morta e quella viva, un confronto
diacronico, fra la magnificenza del passato e la rovina del
presente, e sincronico “fra una dimensione urbana colossale,
perduta e silenziosa” e una dimensione normale, quella della vita
quotidiana. Questo confronto è tuttora decisivo, aggiunge
Benevolo, sia in senso intellettuale che fisico: “Conserva l’identità
storica della città in cui viviamo oggi e rende possibile, con la sua
sistemazione, il riordinamento di tutto l’organismo urbano, con
l’enorme periferia cresciuta intorno”.
Il Progetto Fori ha una storia recente e una più remota. L’idea ha
origini in epoca napoleonica, durante i cinque anni dal 1809 al
1814 in cui Roma è parte dell’impero francese. Fra i decreti
emanati dal prefetto de Tournon, pubblicati nella nuova edizione
di Roma moderna di Insolera, uno riguarda un grande parco
archeologico che comprende il Foro, il Colosseo e il Palatino. Il
progetto è inteso in termini di collegamento fra la grandezza
antica e la città contemporanea. Il concetto viene ripreso alla fine
dell’Ottocento e smentito dagli sventramenti fascisti e dalla
realizzazione, nel 1932, della strada che attraversa i Fori. Su questi
episodi torneremo, ma intanto proviamo a riannodare i fili della
storia recente.
Nel 1971 esce il libro di Benevolo Roma da ieri a domani che
avvia la riflessione su un assetto dell’area archeologica centrale a
partire dalla soppressione della via dei Fori imperiali. Pochi giorni
prima del Natale 1978 Adriano La Regina, da alcuni anni
soprintendente ai Beni archeologici, lancia l’allarme per le
condizioni dei monumenti nell’area centrale, l’Arco di Costantino,
quello di Settimio Severo e la Colonna Antonina, i cui marmi si
sfarinano, affetti da una specie di lebbra, e diventano come gesso,
corrosi dagli scarichi delle auto. O i monumenti o le auto, incalza
il sindaco Argan. Gli interventi di La Regina si moltiplicano. In
occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma, il 21 aprile del
1979, il soprintendente ricorda lo studio di Benevolo del 1971 e
rilancia la proposta dell’urbanista. Sono maturi i tempi, dice, per
procedere alla soppressione della via dei Fori imperiali, almeno
nel tratto da piazza Venezia all’imbocco di via Cavour, per
riunificare il complesso archeologico e per evitare che il centro
storico della città sia il luogo che attrae più di ogni altro, perché
sede di tutte le attività politiche, amministrative e direzionali. Si
muove anche il ministero, che incarica una commissione
presieduta dallo storico dell’arte Cesare Gnudi, la quale concorda
con le posizioni di La Regina.
Si ipotizza intanto la distruzione di via della Consolazione, la
strada ai piedi del Campidoglio fra i templi di Saturno e di
Vespasiano. Cederna torna ripetutamente sulla questione dalle
pagine del Corriere. I suoi non sono articoli di cronaca e neanche
di commento. Sono un pressante incitamento ad agire. Il sindaco
Luigi Petroselli, subentrato ad Argan a fine settembre 1979, «si
faccia coraggio, stimoli e metta d’accordo i suoi assessori e si
decida a brandire il piccone per distruggere, smantellare, eliminare
quella strada (…) che corre per un centinaio di metri alle spalle
del Campidoglio. (…) Non ci sono controindicazioni di sorta.
Problemi di traffico? Nessuno: la via in questione è chiusa al
traffico e nessuno se n’è accorto». Trascorrono appena otto giorni
e Petroselli vara una delibera per la distruzione di via della
Consolazione. L’intervento viene avviato neanche un mese dopo,
per battere sul tempo le perplessità che in sede ministeriale ha
manifestato uno storico dell’arte illustre come Cesare Brandi. E
già si annunzia un secondo passo: l’eliminazione a destra del
Colosseo della strada che lambisce l’Arco di Costantino.
Contemporaneamente ci si batte perché il Parlamento vari la legge
speciale per Roma (180 miliardi di lire in cinque anni) che
prevede interventi di restauro, esplorazioni archeologiche e anche
espropri lungo l’Appia Antica (il provvedimento viene approvato
nel marzo del 1981).
Intorno al Progetto Fori si forma un movimento di opinione che
sembra sfondare nel mondo della politica e in quello della cultura.
A febbraio del 1981, fortemente volute da Petroselli, iniziano le
chiusure domenicali al traffico di via dei Fori imperiali. È una
festa popolare, avviata timidamente, ma poi proseguita con più
slancio, che si collega con le altre iniziative di massa intraprese
dall’amministrazione di sinistra, la più riuscita delle quali è
l’estate romana promossa dall’assessore Renato Nicolini. I romani
e i non romani che sciamano lungo lo stradone voluto dal fascismo
potrebbero prefigurare una svolta radicale e duratura nell’assetto
complessivo della città. Si approssimano inoltre le elezioni e il
consenso nei confronti dell’amministrazione Petroselli è ben
evidenziato anche da quelle famiglie che ogni domenica
riscoprono la bellezza dell’antico.
Alle ostilità che manifestano il latinista Ettore Paratore sul
quotidiano Il Tempo e l’ingegner Piero Samperi, a lungo direttore
dell’Urbanistica presso il Comune di Roma, alle critiche che
compaiono anche sull’Unità, Cederna replica scrivendo con
insistenza, confidando sul sostegno che il Corriere continua a
garantire al progetto. A metà marzo sulle pagine del quotidiano
esce un appello a favore del Progetto Fori sottoscritto da 240
personalità della cultura – scrittori (Giorgio Bassani, Italo
Calvino, Natalia Ginzburg, Luigi Malerba), registi (Luigi
Comencini, Gillo Pontecorvo, Luigi Magni), filosofi, scienziati,
sociologi, storici, editori e giornalisti (Norberto Bobbio, Daniele
Bovet, Francesco Adorno, Franco Ferrarotti, Enzo Forcella,
Alessandro Galante Garrone, Vito Laterza, Alberto Ronchey),
architetti e urbanisti (Giovanni Astengo, Leonardo Benevolo,
Giuseppe Campos Venuti, Vezio De Lucia, Edoardo Detti,
Roberto Einaudi, Mario Ghio, Tommaso Giura Longo, Antonio
Iannello, Michele Martuscelli, Carlo Melograni, Luigi Piccinato,
Bernardo Rossi Doria, Edoardo Salzano, Italo Insolera, Bernardo
Secchi), archeologi (Andrea Carandini, Filippo Coarelli, Giovanni
Colonna).
Il Progetto Fori è uno dei punti principali nel programma
elettorale di Luigi Petroselli. Ma con l’improvvisa scomparsa del
sindaco, i primi di ottobre del 1981, appena insediatosi dopo la
vittoria, riprende smalto anche dentro il Pci una posizione più
cauta su tutta l’operazione. Cederna scrive due articoli di
rievocazione, uno sul Corriere, l’altro su Rinascita. Petroselli,
sfidando una parte del suo stesso partito, aveva chiaro che il
Progetto Fori «ci avrebbe aiutato a concepire in modo nuovo la
Roma futura, a ridimensionare e a capire meglio gli stessi
problemi del traffico, del commercio e della direzionalità,
dimostrando così di avere ben compreso il carattere per così dire
rivoluzionario di quella riscoperta dell’antico cui assistiamo:
perché la salvaguardia della Roma archeologica può diventare la
leva per sollevare le sorti di Roma intera».
Con la morte di Petroselli viene a mancare l’impulso politico a
una strategia culturale e urbanistica di respiro enorme. Il suo
successore, Ugo Vetere, anche se formalmente non smentisce
l’intenzione della giunta di proseguire quel cammino, cambia
passo. Viene istituita una commissione che fa slittare in un tempo
quasi indefinito la realizzazione del progetto. Anche il governo
manifesta maggiore freddezza, stando alle dichiarazioni del
ministro Nicola Vernola. Diventa più folta la schiera degli
oppositori, fra i quali si annoverano grandi personaggi della
cultura come Giuliano Briganti, Federico Zeri e Cesare Brandi.
Quest’ultimo lamenta che lo smantellamento di via dei Fori
imperiali è incompatibile con una città di impianto prospettico
rinascimentale e barocco, nella quale «si verrebbe a inserire non
più una serie di monumenti da riassorbire nel tessuto vitale
urbano, ma un campo di rovine intransitabili che bloccherebbe
senza scampo tutto il centro cittadino».
Cederna è impegnato in vario modo. Nel Progetto Fori mette un
libro, Mussolini urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni
del consenso, pubblicato nel 1979, nel pieno della discussione. Il
volume è al tempo stesso un libro di storia – è fittamente
documentato, attinge a giornali e riviste d’epoca fascista e anche a
materiali d’archivio non esplorati – e un vibrante pamphlet,
schierato senza infingimenti e senza risparmiare l’aggettivazione
esilarante, corrosiva, persino faziosa. Mussolini urbanista ha il suo
fulcro negli sventramenti fascisti, nel loro rilievo urbanistico e
politico. Ma Cederna si avvicina a esaminare quelle vicende
insistendo sulla mistificazione culturale che le sostiene e sul
capovolgimento d’ogni considerazione archeologica
scientificamente accreditata. I ragionamenti che Cederna sviluppa,
rovesciando quelli fasciste, tornano utili per il Progetto Fori. Il
capo del fascismo è affetto da un “delirio” che, «basato su un mito
vizioso e inteso a ristabilire un anacronistico primato, riuscì ad
abbracciare solo un fantasma, il rovescio della romanità: nessuna
mentalità è mai stata più negata di quella fascista a comprendere
l’autentica eredità della civiltà classica. E la sorte urbanistica
toccata a Roma ne è la prova più evidente». L’esaltazione del
primato è un culto piccolo-borghese, falso, ispirato da
preoccupazioni d’ordine e di decoro. «I monumenti millenari della
nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine»: il
proposito mussoliniano è espresso nel 1925, ma è, sottolinea
Cederna, un’idea («vecchia spazzatura urbanistica») che circola
nei precedenti piani regolatori cittadini. Alla base dei propositi
fascisti Cederna scorge una viziosa concezione dell’archeologia,
«come mezzo d’evasione, come curiosità mossa da stimoli
irrazionali ed estetizzanti, dall’irresistibile miraggio delle civiltà
sepolte in quanto passibili di resurrezione», quasi, aggiunge, «una
pratica di spiritismo».
Mussolini urbanista è un libro sul valore della storia come
elemento vitale di una città. Di tutta la storia, dalla più antica alla
più recente. La storia non è concepita come uno sfondo
scenografico, mummificato e falsificato, e neanche come monito
esemplare, che si impone per via monumentale e facendo il vuoto
attorno. È invece parte attiva nel formarsi di una città e poi della
sua esistenza quotidiana. Con gli sventramenti, Roma diventa
informe, cresce “a macchia d’olio” e chi la governa rifiuta «di
capire, al di là delle apparenze superficiali, i veri problemi della
civiltà urbana moderna».
La distruzione del quartiere costruito dal Cinquecento in poi tra i
Fori e la realizzazione di via dell’Impero sono idee che vengono
da lontano, presenti nei piani regolatori della città dal 1873 in poi.
Nel 1886 si demolisce tutta la pendice settentrionale del colle
capitolino. Nel 1900 viene giù il Palazzo Torlonia di fronte a
Palazzo Venezia e si costruisce l’edificio delle Assicurazioni
Generali. Nel 1911, poi, la questione si complica con
l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele, l’Altare
della Patria. Il piano del ’31 prevede lo stradone largo in media 60
metri che da piazza Venezia costeggia la Basilica di Massenzio
giunge al Colosseo e di lì sfocia a San Giovanni in Laterano. Tutto
quel che c’è in mezzo va abbattuto. Detto fatto: i lavori iniziano
nell’ottobre del ’31 e terminano il 28 ottobre del ’32, decennale
della marcia su Roma.
Ma il rilievo urbanistico dell’operazione è altrettanto scellerato di
quello architettonico, culturale e archeologico. Con lo
sventramento dei quartieri a destra dell’Altare della Patria e
l’apertura della via del Mare (oggi via del Teatro di Marcello), si
indirizza la crescita di Roma verso l’Eur e il mare, travolgendo
con un flusso enorme di auto la “passeggiata archeologica”
concepita ai primi del Novecento fra il Palatino, Circo Massimo e
le Terme di Caracalla. Agli occhi di Cederna, lo stradone di via
dell’Impero rovescia definitivamente verso sud lo sviluppo della
città. Ed è questa la prospettiva che il Progetto Fori vuole
ribaltare, riproponendo l’integrità dell’area archeologica centrale e
interrompendo la morsa di traffico che l’avvolge.
Ma intanto il Progetto Fori sta subendo una consunzione lenta.
Viene lasciato cadere. Prima è sistemato nell’orizzonte lontano
delle utopie, alle quali si immagina di giungere con la velocità
burocratica delle mediazioni al ribasso. Poi sparisce dall’orizzonte
politico della città. Restano alcuni concreti risultati, come
l’eliminazione di via della Consolazione e la pedonalizzazione
davanti al Colosseo, lo scavo nei Fori, le limitazioni al traffico.
Ma è svanito l’impianto strategico.
Fra il 1985 e il 1988 la Soprintendenza pubblica due grandi
volumi con il progetto che Leonardo Benevolo, Vittorio Gregotti,
Ippolito Pizzetti, Guglielmo Zambrini, Claudio Podestà e
Francesco Scoppola hanno messo a punto per l’area dei Fori. Così,
a distanza di oltre vent’anni, Benevolo racconta quell’esperienza:
Trovammo di fronte a noi uno sbarramento di tipo culturale. Qualcuno sosteneva che in quell’area
tutto fosse storico, comprese le strade novecentesche, compresa la via dei Fori Imperiali voluta dal
fascismo. C’è il Colosseo, dicevano, e ci sono le sistemazioni di Antonio Muñoz. Tutte le epoche
hanno la loro dignità. Tutto è uguale, tutto va ugualmente tutelato. La prima differenza fra noi e
loro era che Gregotti e io eravamo due professionisti indipendenti, gli altri erano tutti insediati nelle
amministrazioni, nei partiti
Il progetto viene completato in tutte le sue parti, prevede il
riassetto integrale di circa 250 ettari. Immagina soluzioni
alternative per il traffico. Ma ormai la politica cittadina e
nazionale ha obiettivi ridimensionati. Secondo Benevolo,
È molto più facile governare senza grandi progetti e invece sminuzzando i fatti. Alla fine degli anni
Ottanta – c’era non ricordo quale sindaco democristiano – fummo invitati a una grande
manifestazione nella Sala delle Bandiere del Campidoglio. Gregotti e io illustrammo il progetto e ci
furono gli interventi degli amministratori. Da parte del Comune fu un’idea geniale. Poco dopo
capimmo che era una trappola: con grandi cerimonie e onori si siglava l’atto conclusivo del lavoro,
che poi sarebbe stato chiuso in un cassetto. Successivamente, sia per Rutelli che per Veltroni, quel
progetto è apparso come un grande impiccio: non hanno mai avuto alcun interesse a portarlo avanti.
Noi pubblicammo il progetto e tutti gli studi di accompagnamento in due volumi curati dalla
Soprintendenza archeologica. Di solito succede così: quando si pubblica un libro su una vicenda di
pianificazione è perché questa non ha avuto nessuna attuazione. Posso dire una cosa che apparirà
eccessiva? (…) Il nostro progetto era troppo bello. Fummo vittime di una selezione al rovescio, che
è tipica di certa cultura e di certa politica in Italia
Una nuova fiammata d’interesse Cederna riesce a suscitarla nel
1989, quando alla Camera si fa promotore di una legge «per la
riqualificazione di Roma capitale della Repubblica». L’articolato e
la relazione introduttiva ripropongono in modo chiarissimo il
legame fra il Progetto Fori e la realizzazione dello Sdo. Nella sua
relazione Cederna recupera l’impianto complessivo di quel che
andava scrivendo da decenni. Dandogli un assetto lucido e
sistematico e al tempo un respiro politico e culturale all’altezza di
una capitale europea e di una grande città moderna. La legge viene
approvata un anno dopo, leggermente modificata. Ma resta del
tutto inapplicata per entrambi gli aspetti che la qualificano, il
Progetto Fori e lo Sdo. Senza che nessun’altra legge l’abbia mai
smentita né un dibattito politico e culturale l’abbia dichiarata
superata. A suggello di questo lento crepuscolo arriva, nel 2001, la
decisione della Soprintendenza ai beni architettonici di imporre un
vincolo su via dei Fori imperiali, che ora è tutelata al pari dei Fori
che sovrasta.
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