n. 32 - maggio-agosto 2010 n. 32 - maggio-agosto 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi 50 cori da tutta Italia 50 cori da tutta Italia le ragioni dell’espressione gilberto bosco CANTARE Insieme insieme per cantare gorizia percorsi italiani 40 concerti con diversi repertori 1400 partecipanti 1400 partecipanti 40 concerti con diversi repertori 39º florilege vocal di tours un microcosmo di emozioni Il programma completo su www.feniarco.it Comune di Atrani Comune di Baronissi Comune di Cava dei Tirreni Comune di Fisciano Comune di Minori Feniarco Provincia di Salerno Comune di Vallo della Lucania a più voci confronto sulla vocalità del coro Associazione Cori della Toscana Anno XI n. 32 - maggio-agosto 2010 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Alvaro Vatri, Paolo Loss, Vera Marenco, Walter Coppola, Paolo Zaltron, Giulio Monaco, Dario Tabbia, Piero Caraba, Sergio Bianchi, Mario Lanaro, Stefano Klamert, Fabiana Gatti, Simone Scerri, Luisa Antoni, Rossana Paliaga, Carlo Berlese Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera 2010 (foto Renato Bianchini) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Editoriale Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco, hanno contribuito a dare più informazione, a far conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il nostro senso di appartenenza a un movimento culturale importante? Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli apprezzamenti che ci giungono da più parti, dall’interno della nostra associazione ma anche dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo corale. L’attività editoriale e pubblicistica di Feniarco dimostra che l’amatorialità è una dimensione giuridico-economica, non un livello qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse economiche disponibili. Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti, talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd. Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno: l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sopportare costi che, è facile intuirlo, sono più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e recando così un duro colpo alle associazioni. I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco che di musica c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre. C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica. Sandro Bergamo direttore responsabile ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon Regione Toscana 6/9 aprile 2011 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 13/16 aprile 2011 scuole superiori Italiafestival Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn www.feniarco.it n. 32 - maggio-agosto 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR La vocalità del coro 2 l’approccio del direttore alla vocalità intervista incrociata 5 vocalità e stile Alvaro Vatri fragmentA Vera Marenco 39 ave maria di caccini… Dossier compositore Gilberto Bosco 14 le ragioni dell’espressione intervista a gilberto bosco Paolo Zaltron 20 Una questione di mestiere e di maestria la cantata quest’è il giorno di gilberto bosco Giulio Monaco Mario Lanaro macché caccini! Attività dell’Associazione 40 un grande festival per giovani voci Stefano Klamert 43 Cantare insieme o insieme per cantare il direttore di coro come gestore di dinamiche relazionali Fabiana Gatti e Simone Scerri 49 una preziosa fucina per la musica corale Nova et veterA 24 il teatro prima del teatro monteverdi e la verità musicale Dario Tabbia 27 La fuga Dalla terminologia all’analisi Piero Caraba il seminario per giovani compositori di aosta Luisa Antoni cronacA 50 l’edizione dei grandi numeri 44º concorso nazionale corale trofei città di vittorio veneto 52 percorsi italiani al 49º concorso internazionale Seghizzi Rossana Paliaga 55 Un microcosmo di emozioni canto popolare il 39º florilège vocal di tours Rossana Paliaga 30 il rapporto tra testo e musica 59 il garda in coro nell’interpretazione di un canto popolare Sergio Bianchi portrait 36 un’eco tra le valli Mario Zuccante INDICE intervista ad armando corso Mauro Zuccante 2º concorso internazionale per cori di voci bianche 61 marco crestani, in memoriam 62 Notizie dalle regioni Rubriche 66 Discografia&Scaffale 68 Mondocoro l’approccio del direttore alla vocALITà appro INTERVISTA INCROCIATA a cura di Alvaro Vatri La vocalità di un coro è certamente uno dei fattori che lo identificano, un elemento importante per definirne la “personalità”, un “connotato” particolare e in qualche modo unico che è il risultato di un lungo e paziente lavoro di cesello, tanto più pregevole se si considera l’eterogeneità del “materiale” canoro offerto dai cantori amatoriali. Come il “suono” di un’orchestra, così la vocalità di un coro identifica e qualifica anche il lavoro e la personalità del direttore, motivo per cui la conoscenza delle problematiche connesse alla gestione di tale aspetto è un requisito essenziale nella sua formazione professionale. Ricchissimo è il panorama delle metodologie e delle esperienze che si offrono alla nostra riflessione, altrettanto variegata e capillarmente diffusa è l’offerta formativa (corsi, seminari, convegni ecc.) per coloro che sentono la curiosità prima ancora che l’esigenza di essere adeguatamente in-formati su questa materia. Per fornire un bandolo della matassa abbiamo sollecitato alcuni direttori a darci alcuni spunti desumendoli dalle loro significative esperienze. Si tratta di uno scambio di opinioni necessariamente sintetico e non esaustivo di una materia così complessa e ricca di dossIER sfaccettature, ma sicuramente istruttivo e stimolante, soprattutto perché molti direttori vi vedranno riflesse le proprie problematiche, in alcuni casi le stesse soluzioni adottate, gli stessi dubbi o gli stessi punti fermi. Ci auguriamo pertanto che questa “sventagliata” si arricchisca di altri apporti e che si possa allargare e approfondire lo scambio di opinioni. Tra i direttori interpellati il maestro Fabrizio Barchi ha colto l’occasione per sviluppare il tema in un articolo sistematico e dettagliato, che sarà oggetto di una prossima pubblicazione, dalla cui bozza ci ha autorizzato a desumere i concetti sintetici funzionali alla nostra mini-inchiesta. Curi tu stesso la preparazione vocale o ti avvali della collaborazione di un “preparatore”? (e in questo caso come lo hai individuato) Fabrizio Barchi: Agli inizi si è avvalso della collaborazione di cantanti lirici, poi ha cercato autonomamente la strada che lo portasse a realizzare un “bel suono corale”. Cura personalmente la preparazione vocale dei suoi cori. Franca Floris: «Approdo alla direzione corale con un diploma di canto artistico che, senza alcun dubbio, mi è servito nella cura della preparazione vocale del coro ma che è stato solo il punto di partenza di un percorso lungo, difficile e non ancora concluso; la frequenza a seminari specifici, incontri con musicisti che si sono rivelati preziosi nel corso di questi anni, il continuo studio sulla mia persona, la sperimentazione costante sui cantori mi aiutano in questo cammino.» Mauro Marchetti: «Ho cercato in passato qualcuno che potesse lavorare vocalmente con i miei cantori ma ho visto che non funzionava. Seppur con buone capacità vocali e didattiche ho notato che un insegnante esterno non sempre raggiunge quel tipo di vocalità che si ha nella testa, che si immagina per il proprio coro. Cantanti con una “vocalità corale”, adatta quindi al nostro modo di cantare, reperiti nell’ambito di solisti di canto cameristico, ma, ripeto, non hanno mai portato giovamenti al coro.» Fabiana Noro: «Curo personalmente la vocalità del mio coro e, solo raramente in occasione di nuovi coristi che non avevano mai cantato in precedenza, ho interpellato un insegnante di canto scelto tra i cantanti lirici con cui normalmente collaboro.» Silvana Noschese: «Solitamente curo io stessa la preparazione vocale dedicando un tempo prima delle prove, durante le prove e fuori dalle prove attraverso incontri individuali o a sezioni o con tutto il coro. Ciclicamente facciamo incontri o con una logopedista o con esperti di vocalità esponenti di metodi diversi.» 3 “curiosità” e sulla “sperimentazione”. Ascolto di tutto, esperienze personali, sperimentazioni pratiche e analisi dei risultati. FF: «Non seguo un metodo preciso, ma ne costruisco uno mio anzi, nostro, giorno per giorno.» MM: «Con gli anni si impara molto dall’ascolto. Sì, bisogna seguire dei corsi, di diversi stili e metodi, e approfondire le proprie conoscenze in tema di vocalità. Ma credo che dopo aver fatto tesoro di tutti gli “incontri didattici” bisogna costruirsi un modello tecnico che si disegni sui propri cantori e soprattutto sul tipo di repertorio che si va ad affrontare e che diventa poi una caratteristica personale, un suono personale, legato al gusto personale, del direttore e del La vocalità di un coro è uno dei fattori che lo identificano. cantore. Una buona respirazione è alla base di una buona vocalità e anche di una buona resa vocale senza trascurare l’importanza che ha anche sulla intonazione. Non sempre vocalizzare per vocalizzare è utile per una buona vocalità. A volte costruire elementi vocali sui passaggi di una partitura è molto più utile che usare vocali sparse cantate nella noia e ripetute meccanicamente. Bisogna sempre trovare quei sistemi utili al proprio gruppo, non sempre tutto è buono per tutti.» FN: «Avendo lavorato moltissimo con cantanti molto bravi e avendo studiato io stessa con loro, cerco di trasmettere ai coristi gli elementi di tecnica vocale da me appresi e che non sono tipici della lirica ma sono basilari per cantare in modo corretto (giusta respirazione, emissione corretta del suono ecc).» SN: «A parte i diversi corsi fatti in Italia (compresi alcuni sul metodo funzionale) ho seguito una scuola in Francia di psicofonia che più che un metodo viene definito un percorso autosperimetale. La psicofonia nasce nel 1960 dagli studi di Marie Louise Aucher, professoressa di canto e cantante. È la disciplina che studia le corrispondenze vibratorie tra i suoni e il corpo per mezzo della voce. La voce è il gesto vitale che imprime ed esprime l’essere umano su differenti piani: costituzionale, funzionale e simbolico. La voce è strumento di armonizzazione del tono vitale, è modello dell’equilibrio nervoso ed emozionale, è esperienza sonora di riconoscimento di sé. Lo strumento vocale può diventare un mezzo utile nella ricerca dell’equilibrio energetico e di conseguenza psicofisico. Oggi il mio approccio si basa su una sintesi che deriva dalle diverse esperienze fatte, dei risultati ottenuti: il rilassamento corporeo come presupposto di un corretto uso dell’organo vocale; voce e risonanza corporea; occio Segui un “metodo” (se sì quale e perché lo hai scelto) o hai elaborato un “percorso” personale? (in questo caso quali sono i “fondamentali” su cui ti basi) FB: Il percorso personale del maestro Barchi si basa sulla 4 Il canto dell’essere: il metodo Wilfart Il metodo di canto che va sotto il nome di Metodo Wilfart e i cui principi sono descritti nel libro Il Canto dell’essere, nasce dallo studio e dall’esperienza del maestro belga Serge Wilfart. Le idee e le esperienze che tengono incatenato il lettore del libro girano attorno ad alcuni temi che, a un occidentale, formato alla cultura scolastica e universitaria tradizionali, possono sembrare incomprensibili o strani. Si parla infatti di corazza caratteriale del corpo secondo le teorie dello psicanalista austriaco Wilhelm Reich e dei suoi seguaci; di analisi energetica del corpo secondo la teoria indiana dei Chakra; delle teorie mediche cinesi e giapponesi secondo le quali il centro energetico del corpo risiede nell’addome (Tan tien per i cinesi, hara per i giapponesi), e altro. Jacques Deperne, discepolo del maestro zen Taisen Deshimaru, nella prefazione al libro ci dice: «Tutta l’arte di Serge Wilfart consiste nel permetterci di ritrovare, o meglio di rivelare, la vera voce del nostro essere profondo, autentico, attraverso un processo graduale e globale di ricostruzione». E più avanti: «Il metodo del nostro autore si basa sul respiro… e insegnando a respirare, nutre la vita risvegliando forze latenti in noi. Queste forze si esprimeranno nella bellezza del suono.» Non a caso il maestro Wilfart cita, nella scarna bibliografia, due testi considerati classici dai cultori occidentali dello zen: Hara, il centro vitale dell’uomo secondo lo zen e Lo zen e il tiro con l’arco. Da dove è partito il lavoro di questo “professore di voce” e quali sono i passi necessari che egli propone per conquistare una voce vera e giusta? Individuato il problema, il nostro autore analizza il divenire della voce dal primo grido del neonato alla voce adulta e scopre che ogni attentato alla respirazione profonda prima e alla verticalità della postura poi, sfocia in marcati disturbi psicofisici che si concretizzano nel formarsi di rigidità nel corpo a vari livelli impedendo in questo modo la crescita di una sicura e libera identità vocale. La strada del ricupero vocale che egli propone passa attraverso il lavoro sul corpo con l’esercizio fisico unito al suono di alcune formule simili a dei mantra che permettono al respiro e alla voce di trovare la propria forza e la propria strada. Una delle formule più usate è quella di ye - yi - yu - ya (non a caso simile ad Alleluya o Yerushalayim). Un altro dei punti di forza del suo lavoro è quello di far partire il suono dal basso dell’addome senza sforzo e per ottenere ciò fa scoprire all’allievo la bellezza di cantare con il centro di gravità molto basso e senza intervenire con alcuna intenzione muscolare. Lo stesso Wilfart pensa così del suo lavoro: «Come si può ricostruire una voce, un uomo? …esercitando la voce attraverso il canto in un giusto atteggiamento che richiede al tempo stesso respirazione addominale, decontrazione di uno schema corporeo correttamente riallineato e neutralizzazione di ogni interferenza affettiva e mentale.» Paolo Loss Serge Wilfart, Il canto dell’essere, editrice Servitium, Gorle (Bg), 1999 - 2006 http://www.wilfart.fr/it/index2.php esercizi di rilassamento, di stiramento, di attivazione muscolare, di distensione di tonificazione; esercizi di respirazione, di sviluppo e amplificazione del respiro; vocalizzi di risveglio e di accomodamento posturale; attivazione dei diversi “punti del cantore” (definiti così dalla fondatrice della psicofonia) attraverso vari tipi di vocalizzi; ascolto delle risonanze dei suoni emessi. Uno degli obiettivi è ascoltare la propria voce, la propria voce nel corpo. Il corpo è uno strumento vibrante prima ricevente e poi emittente dunque l’ascolto di suoni “giusti”, il riconoscimento di essi diventa il presupposto anche per una corretta emissione. Nel corpo dell’approccio mi avvalgo anche di un lavoro di “risveglio sensoriale”: voce e udito, voce e tatto, voce e olfatto…» Come hai impostato il lavoro sulla vocalità: a - lavoro individuale o di gruppo (quanto deve essere numeroso il gruppo perché il lavoro sia efficace) b - inserito nelle normali prove (quanto tempo/ percentuale del tempo dedicato alla prova) c - corso dedicato (durata e strutturazione) d - altro (descrivere) FB: Il lavoro sulla vocalità viene svolto all’inizio della prova. Gli esercizi sono studiati e approntati dal maestro Barchi per sviluppare la sensibilità dei suoi cantori, ma anche per motivare e tenere desta l’attenzione a seconda della varie fasce d’età con cui lavora. FF: «Naturalmente utilizzo il lavoro individuale con i nuovi cantori (come potrei altrimenti entrare in contatto diretto con loro se non ne conosco la voce?) e, quando se ne presenta il bisogno e ne ho l’opportunità, con tutti gli altri, ma anche il lavoro di gruppo per settori o con quartetti/quintetti a seconda del repertorio che il coro sta studiando dà risultati sempre utili ai fini dell’acquisizione di una omogeneità vocale corale oltre che interessanti perché permettono al direttore di capire di quali progressi o regressi siano capaci i cantori. L’abitudine a iniziare le prove riscaldando la voce con l’esecuzione di un salmo o un inno tratti dal repertorio del canto gregoriano hanno contribuito, con il tempo, all’acquisizione di una vocalità ricca e calda oltre che abbastanza omogenea; le voci che salmodiano si muovono a loro agio in registri vocali naturali, esercitano l’ascolto consapevole del vicino e del gruppo senza preoccuparsi troppo dell’esecuzione prettamente musicale (cosa più difficile da farsi quando si esegue un brano di polifonia), 5 imparano a fondersi mantenendo ciascuna la propria personalità e imparano il legato. Il cantare per quartetti, quintetti, ottetti cambiando gruppo per abituarsi a sentire il maggior numero di colleghi è un altro esercizio che ha dato risultati inaspettati e sorprendenti ed è utile per il colore sonoro ma anche per la rafforzare la sicurezza nei cantori, anche in quelli più timidi e farli sentire più protagonisti, responsabili del risultato finale e meno direttore-dipendenti. La cura della vocalità è sempre inserita nelle prove in maniera del tutto naturale e a volte può anche diventare preponderante sullo studio del repertorio in particolar modo quando non ci sono scadenze immediate. Provo a spiegarmi: talvolta il repertorio diventa il mezzo per arrivare a ottenere quell’ideale di suono che ho in mente e non il fine per il quale si fanno le prove. Nel mio lavoro artigianale, perché di questo si tratta, dedico un ampio spazio alla cura dell’emissione vocale, all’intelligibilità del testo proposto dall’autore, qualsiasi sia la lingua usata. Possedere il testo, recitarlo anche su una stessa corda, “masticarne” le singole parole, la lunga gestazione delle consonanti hanno come risultato a lungo termine brillantezza di suono e un colore che difficilmente si ottengono usando come ginnastica vocale solo ripetitivi e talvolta estenuanti vocalizzi. Nel corso di questi anni abbiamo avuto l’opportunità di fungere da coro laboratorio in numerosi corsi di vocalità, interpretazione e direzione corale incontrando persone che, ognuna con il proprio bagaglio culturale di esperienze diverse per formazione e provenienza, hanno senz’altro contribuito alla crescita musicale oltreché umana del coro. In particolare mi piace ricordare la persona che più di ogni altro con la sua carica umana, la competenza culturale e lo straordinario gusto musicale ha maggiormente contribuito alla mia formazione di direttore di coro: Piergiorgio Righele.» MM: «Devo ammettere che spesso ho trascurato il “momento vocalità”, che di solito è all’inizio della prova. Ultimamente riesco a trovare più spazio all’interno della prova, spesso lavorando vocalmente sulla frase musicale, sulla battuta. Non ho mai lavorato sui singoli, il tempo non ci sarebbe. Una buona cosa sarebbe lavorare sulla sezione e a volte ci siamo presi del tempo per farlo ma non potrei chiedere un terzo giorno alla settimana per gli incontri vocali. È già un miracolo se arrivano 1-2 volte a settimana per le prove regolari!» FN: «Normalmente inizio le prove con dei vocalizzi mirati a sviluppare l’estensione, l’agilità e la tenuta del suono (spesso Il Metodo Feldenkrais Il Metodo Feldenkrais è un metodo di apprendimento sensomotorio, che prende il nome dallo scienziato, fisico e ingegnere Moshé Feldenkrais (1904-1984). L’esplorazione del corpo in movimento viene usata come mezzo per accedere alla globalità della persona, cioè al suo modo di sentire, pensare e agire. È una tecnica che permette di prendere coscienza delle proprie abitudini e dei limiti che ci auto-imponiamo inconsapevolmente. Sviluppare un “vocabolario” motorio più ricco e differenziato significa poter abbandonare strade troppo battute o inefficaci. A un livello più profondo la consapevolezza di ciò che facciamo e di come lo facciamo ci libera da un comportamento compulsivo e ci mette in grado di scegliere. Il Metodo Feldenkrais si rivolge a tutti coloro che desiderano stare meglio con se stessi, ampliare le proprie risorse e il proprio modo di muoversi. Inoltre, come tecnica di raffinamento sensomotorio, è di specifico interesse per musicisti, ballerini, atleti, cioè per chiunque svolga un’attività che esige grande precisione motoria, in quanto permette di rendere un movimento più efficace e più leggero, con minore impiego di forza. M. Feldenkrais, Il corpo e il comportamento maturo, sul sesso, l’ansia e la forza di gravità, Roma, Astrolabio, 1996. M. Feldenkrais, Conoscersi attraverso il movimento, Milano, Celuc libri, 1978. M. Feldenkrais, Il caso di Nora, un’avventura nella giungla del cervello, Roma, Astrolabio, 1996. M. Feldenkrais, Le basi del metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori, Roma, Astrolabio, 1991. M. Feldenkrais, Lezioni di movimento - sentire e sperimentare il metodo Feldenkrais, Milano, Edizioni Mediterranee, 2003. M. Feldenkrais, L’io potente, uno studio sulla spontaneità e la compulsione, Roma, Astrolabio, 2007. 6 i problemi di intonazione derivano dal fatto di non riuscire a cantare “sul fiato” e dipendono quindi da mancanza di tecnica più che di orecchio). All’inizio della prova gli esercizi sono collettivi. Poi però, lavorando molto spesso con i singoli coristi nelle prove di sezione, mi soffermo su ognuno di loro ogni qualvolta vi sia una particolare difficoltà legata a un problema tecnico. Insisto quindi sul punto preciso nel quale la vocalità è fonte di problemi, cercando di trovare uno studio mirato a quella specifica difficoltà.» SN: «Lavoro individuale o di gruppo: non più di 6 per volta; inserito nelle normali prove: in un’ora prova di due ore, se fatto regolarmente almeno 20 minuti per prova; corso dedicato: due giornate, con lavori individuali, solo voci femminili, solo voci maschili, a corde, insieme; altro: momenti di training sul corpo, di ascolto, di lavoro sul parlato.» Quali sono le difficoltà, le “resistenze”, le problematiche? FB: All’inizio ci sono resistenze di carattere psicologico, ma poi arriva al punto che sono gli stessi cantori a voler dedicare il tempo iniziale delle prove alla vocalità, con esercizi mirati riguardanti le varie difficoltà dei brani che si accinge a studiare. FF: «I problemi sono tanti, vari e spesso in relazione al diverso repertorio in studio, sono principalmente miei e non sempre sono in grado di risolverli: questo mi amareggia non poco perché mi piacerebbe arrivare alle prove con la ricetta giusta, Il coro è una grande occasione per conoscere se stessi. ma così non è… L’inserimento di giovani voci che nel nostro coro avviene a cadenza quasi annuale, può per un certo periodo quasi destabilizzare l’omogeneità vocale faticosamente conquistata dal gruppo più maturo ma, ma essendo necessario per il coro (finite le superiori i giovani cantori si trasferiscono in altre città per frequentare l’università) i cantori più esperti si armano di pazienza, accolgono le nuove voci con disponibilità e prova dopo prova, ripercorrendo insieme la strada già tracciata, si arriva… per poi ricominciare. Resistenze no, anzi i cantori sopportano con umana rassegnazione le mie sperimentazioni sulle loro pazienti ugole… almeno così credo!» MM: «Non ho mai riscontrato vere e proprie difficoltà. Ci sono tempi che bisogna rispettare, tempi di apprendimento, di elasticità vocale, e ognuno ha i suoi. Ovvio che lavorare su una voce giovane richiede meno tempo, apprende più in fretta e la si può modellare più facilmente al proprio gusto vocale, quello che si ha in mente. Non snaturo il suo colore, ma cerco di dare a ognuno lo stesso metodo, lo stesso sistema. Per una persona più anziana i tempi sono più larghi, la voce è più stanca e chiaramente ne risente anche il suono. Ovviamente stiamo parlando di amatori, di cantori che non hanno avuto una educazione vocale. Ma la mia politica di reclutamento oggi prevede solo cantori giovani, questo per dare una uniformità anche nel suono e nei tempi di apprendimento.» FN: «Le difficoltà sono quelle legate a ogni coro formato da amatori. Spesso il momento dei vocalizzi non è certo quello preferito, ma solitamente si riesce comunque a lavorare con positività. Ho notato che i miei coristi affrontano meglio il lavoro vocale fatto direttamente su un particolare problema tecnico precisamente individuato (ad esempio un acuto stridulo oppure una vocale troppo “indietro” nell’ambito di una frase musicale) piuttosto che una serie troppo lunga di vocalizzi.» SN: «Il cantore spesso ha difficoltà a mettersi in gioco individualmente; investe poco e poco tempo sulla propria voce; solo se incentivato sceglie di seguire percorsi di logopedia o di lavoro individuale, spesso ha problemi di tempo.» Hai un “ideale vocale” o una “vocalità ideale”? FB: Negli anni il suo gusto vocale si è un po’ modificato, ritiene comunque la scuola inglese sempre eccellente per la facilità con la quale emettono suoni belli, acuti mai forzati. FF: «Non so rispondere a questa domanda, ma so che mi piace sentire un suono morbido, chiaro ma non schiarito, che dia il giusto risalto al testo e che sia rispettoso delle peculiarità dei singoli, rispettoso del carattere dei cantori, che dia all’ascoltatore la sensazione che la voce venga fuori con 7 naturalezza e faccia percepire il coinvolgimento totale del coro e del direttore all’esecuzione.» MM: «Ognuno dovrebbe avere un ideale vocale, guai se non fosse così. Tutti noi abbiamo dei modelli di coro che abbiamo seguito in concerti, nei cd. Si hanno degli esempi che si cerca di seguire, ma poi si cade nella consapevolezza che quel tipo di cantori noi non li abbiamo (qui apriremmo un discorso troppo ampio che riguarda gli studenti di canto, i conservatori, gli insegnanti di canto ecc.). Meglio quindi basarsi sui propri gusti personali, sui propri cantori e cercare di arrivare a un modello proprio, che abbia caratteristiche proprie, bisogna cercare di ottenere “musica” dalla vocalità del proprio coro. Una buona vocalità se non indirizzata nella sensibilità musicale difficilmente coinvolge chi ascolta. Molti cori hanno buone vocalità ma trasmettono poco. Il rispetto per chi ascolta è alla base del proprio lavoro di musicista.» FN: «La mia vocalità ideale è quella in cui vi è una totale uniformità di colori e di timbri tra le varie sezioni. Amo la morbidezza del suono, in cui gli acuti hanno la stessa pastosità dei suoni gravi, seppure mantenendo la loro brillantezza. Per ottenere questa morbidezza nella vocalità, cerco e cercherò sempre di esaltare le singole qualità vocali di ogni corista, dal più bravo al meno bravo, affinché ognuno di loro possa diventare un tasto migliore di quella unica meravigliosa tastiera “strumentale” chiamata coro.» SN: « Sì anche se a volte questo potrebbe diventare un limite. Ci si costruisce una propria idea di suono. La vocalità, l’emissione vocale dal mio punto di vista più che un risultato tecnico deve essere il frutto di un lavoro di consapevolezza che il cantore fa a partire da se stesso. Per questa ragione il coro è una grande occasione per conoscere se stessi, i propri punti di forza e di debolezza attraverso la conoscenza del proprio personale strumento, la voce. Attuare percorsi che aiutino a ottenerne una corretta emissione fa sì che si possano raggiungere diverse obbiettivi, avere un coro di persone ben individuate che cantano sapendo quello fanno, provando piacere in quello che fanno e proponendo con gioia il frutto del proprio lavoro. Insieme scoprire e sperimentare il piacere di cantare in gruppo “libera-mente”. » Il metodo funzionale Il metodo si rivolge a tutti gli operatori che si interessano al suono: cantanti, strumentisti, attori; ma anche a quanti lavorano usando spesso la voce, come insegnanti, addetti alla comunicazione, professionisti legali e tutti coloro che vogliono entrare in un contatto migliore con se stessi. La sua pedagogia si dedica alla funzione vocale attraverso stimolazioni e non tramite la più comune manipolazione degli organi fonatori. In questo scenario è il suono stesso a indicare al cantante e allo strumentista le modalità del proprio sviluppo. Ideato da Gisela Rohmert, il metodo prese le mosse da studi compiuti presso l’Istituto di Ergonomia dell’Università Tecnica di Darmstadt, dove nel 1979-80 vennero condotti approfonditi studi sull’impegno fisico e psichico sostenuto dal cantante durante una prestazione artistica. Nel 1982 Gisela Rohmert e l’ingegnere Walter Rohmert fondarono in Germania Lichtenberger® Institut für angewandte Stimmphysiologie (Istituto di fisiologia vocale applicata di Lichtenberg) per sperimentare, nella prassi del canto, nella pedagogia della voce e nella didattica degli strumenti, i risultati di questa ricerca scientifica. In tale contesto si formò un gruppo di lavoro interdisciplinare (ergonomi, ingegneri, foniatri, otorinolaringoiatri, fisici acustici, informatici, insegnanti di musica, terapeuti corporei, cantanti, strumentisti) che attraverso molteplici metodologie di misurazione fisiologica, psicologica, acustica, analizzò la funzione della voce cantata. Lo studio si incentrò, nella prima fase, sulle problematiche ergonomiche del corpo. Successivamente, con un ampio lavoro di misurazione fisiologica e acustica, sono state trovate connessioni tra corpo e voce, che hanno portato ad approfondire le tecniche corporee (in relazione anche a metodi come Feldenkrais, Alexan- der, Eutonia, Gindler ecc.). Sono stati inoltre applicati i risultati delle ricerche sul cervello umano (es. Pribram, Eccles) e non ultimo si è tenuto conto delle leggi elaborate dalla Sinergetica (H. Haken), tentando di determinare la loro influenza sul suono vocale. Nel corso del tempo, rapportandosi alle conoscenze della sinergetica (la scienza che approfondisce l’auto-organizzazione della struttura indipendentemente dai singoli elementi), il campo della comprensione della voce e della pedagogia della musica si è ampliato enormemente e ha condotto a una nuova comprensione del suono. Questa nuova pedagogia sviluppa dunque la percezione di tutti gli aspetti del suono. È la percezione del suono-corpoenergia che ne regola la trasformazione, e non un principio motorio-muscolare a comandarla. Questo nuovo tipo di comprensione della funzione vocale mette in grado oggi di postulare le seguenti qualità per una funzione sana della laringe: - libertà e leggerezza del cantare; - grande resa vocale; - indipendenza dall’età; - limitazione dell’usura e dell’affaticamento degli organi vocali. E. Rabine e G. Rohmert, Grundzuge des Funktionalen Stimmtrainings G. Rohmert, Der Sanger auf dem Weg zum Klang, ora tradotto in italiano per le edizioni Diastema con il titolo Il cantante in cammino verso il suono. www.lichtenberger-institut.de vocalità e stile di Vera Marenco cantante e direttrice di coro voca Se in musica è vero che ogni epoca, ogni genere, persino ogni brano richiedono approcci peculiari a livello di tecnica e di gusto, come è possibile adeguare la vocalità di un ensemble o di un coro a diversi stili musicali? Con lo stesso gruppo si riesce a interpretare in maniera convincente un conductus medievale o un gospel, un madrigale o un coro d’opera, un brano popolare o uno jazz? Quanto incidono questioni tecniche o quanto è un fatto di orecchio e di istinto? Le idee che espongo nascono da una lunga esperienza nel settore della musica vocale, sia come cantante solista e componente del Ring Around Quartet, sia come maestra di coro e docente di canto a vari livelli. Ognuno di questi ruoli mi ha portato a sperimentare direttamente problemi e difficoltà: dover garantire esibizioni a un tempo impeccabili e affascinanti, accontentare le esigenze del compositore e del pubblico senza dover annullarsi come interpreti, ottenere un’idea comune di suono e d’interpretazione da un gruppo eterogeneo per livello tecnico, età, estrazione popolare, conoscenze musicali e ambizioni… A questo aggiungo esperienze altrettanto formative: l’esplorazione della mia voce e di quella dei miei allievi, attraverso percorsi individuali e laboratori non necessariamente finalizzati a produzione artistica e l’osservazione dei bambini e del loro apprendimento senza filtri. I laboratori sono una vera e propria palestra per sviluppare un ascolto attento che parte dal suono ma investe tutta la persona, arricchendo l’insegnante di sfumature e strumenti che contribuiscono a formare un “bagaglio” a cui attingere al momento opportuno, mentre il lavoro con i bambini, per i quali eseguire una frase musicale bene o male presenta lo stesso livello di difficoltà, offre la possibilità di ottenere risultati meravigliosi se si porge loro un esempio corretto e completo fin dal primo istante. Le premesse sono molte perché credo che l’argomento sia ricco e complesso, e vada affrontato da più punti di vista: quello del singolo cantante alle prese con diversi repertori, quello del direttore di coro, a vari livelli, e infine quello dei piccoli gruppi vocali stabili, per i quali il discorso è ancor più delicato. Buon orecchio e libertà di emissione sono requisiti fondamentali per gestire le differenze di vocalità a seconda del repertorio esplorato. Quasi tutti ne siamo dotati fin dall’infanzia, poi, per vari motivi, ne perdiamo in parte 9 l’uso: ciò nonostante per cantare bene non dovrebbe essere un grosso problema ritrovare da adulti quella naturalezza e ripartire da lì, piuttosto che da tecniche imposte. Cantare in pubblico a un livello professionale significa intonare, articolare, fraseggiare, respirare, sostenere, controllare con massima concentrazione rimanendo però rilassati: quasi impossibile se pensiamo che l’uomo, per la concentrazione o l’ansia della prestazione, si contrae. Vincere questo riflesso potentissimo richiede tempo, ore di studio e maturazione personale, ma se osserviamo quelle persone che cantano “per natura”, senza aver studiato, con musicalità squisita e perfetta, dovremmo prendere atto che se c’è un lavoro da fare è soprattutto nel rimuovere blocchi e recuperare naturalezza. Senza dilungarmi sulle mie idee in proposito, voglio solo ricordare che le tecniche di canto sono molte e assai diverse tra loro, e possono essere compatibili, con alcune eccezioni, se costruite sulla base di una decostrizione laringea e di una raggiunta capacità di rilassare corpo e mente nell’atto fonatorio: cosa che tutti, anche i dilettanti o le voci non coltivate, possono realizzare in determinate condizioni psico-fisicoemotive, spesso inconsciamente, ma che con uno studio serio e piacevole sul proprio sistema di controllo si possono riprodurre consapevolmente. Oltre a duttilità e assenza di tensioni a livello laringeo e corporeo, occorre raggiungere una totale libertà dai meccanismi di controllo estetico, spesso veri antagonisti a una vocalità spontanea. Il lavoro è introspettivo e richiede tempo e buon rapporto con un insegnante che diventa quasi un terapeuta. Chi ha la fortuna di compiere un percorso del genere e di raggiungere la libertà vocale può divertirsi a cantare di tutto… In alternativa ci si dota di una tecnica fissa che diventa un appiglio sicuro, ma che non sempre consente adattamenti a stili e repertori diversi. Inoltre è indispensabile partire sempre dalla musica anziché dalla tecnica: le sfumature che ci permettono di avvicinare questo o quello stile le percepiamo a orecchio e le riproduciamo a istinto: può esserci poi la necessità di allenare il nostro strumento a un tipo di suono, a un passaggio, a una diversa emissione, ma normalmente siamo già capaci di trovare in noi stessi il modo di gestire le differenze. Orecchie aperte sui suoni, sul mondo, sugli altri, ci portano a catturare ogni singola sfumatura e di selezionarla per poi imitarla o respingerla. Per un cantante quindi la capacità di destreggiarsi rendendosi credibile in più stili dipende da un percorso personale incentrato su curiosità e capacità di ascolto, supportato dalla conoscenza profonda dei meccanismi di controllo psico-acustico e delle grandi potenzialità che ogni voce possiede, il tutto inquadrato in una tecnica base di decostrizione laringea e di esplorazione delle risonanze. Non è affatto poco! Se però adottiamo come punto di partenza ciò che considero la base del fare musica, ovvero che il canto, il suono e la musica legata al repertorio vocale e corale sono fatti fisici, materiali, corporei, e per questo istintivi, alla portata di tutti, in certo modo “facili” e, ancor più importante, precedenti la loro codifica attraverso la/una scrittura, possiamo avere fiducia nelle nostre capacità di avvicinarci al risultato desiderato. Lo spartito che utilizziamo per imparare un brano musicale, il cui valore risiede nell’avere fissato mediante una codifica visiva fenomeni fisici che di fatto sfuggono, da utile strumento può diventare un ostacolo al fluire della vena interpretativa, specie quando si sposta l’attenzione sulla pagina scritta piuttosto che sulla musica che vi è riportata. La musica non è nello spartito, ma vive al di là di esso: dallo spartito dobbiamo prendere tutti gli spunti necessari ma non dobbiamo fermarci alla sola corretta lettura. Gli spartiti non sono tutti uguali, anche e soprattutto nella loro funzione, e non chiedono di essere eseguiti allo stesso modo emettendo suoni con intonazione e misura del tempo. Ogni spartito nasconde e riporta un mondo sonoro, legato alla consuetudine di un momento e di un luogo, ad abitudini, convenzioni, strumenti in uso. Per trovare la vocalità adeguata a uno stile occorre saper leggere il messaggio musicale di cui lo spartito è mera riduzione, canovaccio, e cercare nel proprio bagaglio di potenziali suoni il giusto timbro, l’ingrediente, il “cuore” con cui ridare vita, rinnovare la pagina scritta in una interpretazione personale ma coerente con l’ambiente e il momento creativo da cui è scaturita. Occorre aprire una parentesi per distinguere il repertorio che esisteva prima e che esiste È indispensabile partire sempre dalla musica anziché dalla tecnica. alità 10 La Tecnica Alexander La Tecnica Alexander non è una tecnica vocale in senso stretto, quanto un metodo per accrescere la consapevolezza di sé. Scopo del metodo è ritrovare quel comportamento motorio corretto per cui l’uomo è naturalmente predisposto, ma che si è andato perdendo nel corso della vita a causa delle pressioni emotive e fisiche a cui siamo costantemente sottoposti. Si tratta quindi di una disciplina che riguarda la postura e il rilassamento nel loro insieme. Se si tiene conto che la Tecnica Alexander è nata alla fine dell’Ottocento per risolvere i problemi vocali del suo ideatore, il giovane Frederick Matthias Alexander (1869 - 1955), attore teatrale alle prese con una penosa esperienza personale di “attore disfonico”, si capisce quanto sia stato importante l’aver intuito il rapporto di causa effetto fra le abitudini posturali e motorie scorrette e le patologie vocali conseguenti. Finalità del metodo è quindi quella di eliminare ogni elemento superfluo nell’esecuzione del movimento, anche di quello implicato nella fonazione e nel canto, ripristinando e ritornando a una naturalità motoria perduta. Questo avviene attraverso delle lezioni individuali in cui il soggetto è guidato dalle mani dell’insegnante (delicata manipolazione delle masse muscolari) e da istruzioni verbali al fine di accrescere la consapevolezza corporea e imparare a distinguere le tensioni necessarie da quelle inutili e dannose. Pur avendo un campo di applicazione molto ampio, nell’ambito del canto la Tecnica Alexander si occupa degli aspetti posturali e delle abitudini motorie che determinano le caratteristiche della voce e dello sforzo che si rende necessario per emetterla. Il metodo si occupa inoltre dei problemi vocali che spesso sono correlati a irrigidimenti e a tensioni che inibiscono il corretto e naturale funzionamento degli organi vocali stessi. Paolo Frigoli, insegnante di Tecnica Alexander, scrive a proposito delle relazioni fra canto e metodo: «...Il sostegno elastico del tronco che si ottiene con la Tecnica Alexander libera il movimento naturale della gabbia toracica e permette alla respirazione di rispondere alle richieste vocali attivando, senza forzature, i meccanismi di controllo del fiato. Con un migliore rapporto tra la testa, il collo e il tronco, la laringe compie più liberamente i movimenti necessari alla produzione del suono. L’articolazione e la modulazione dei suoni nel tratto vocale migliorano grazie al rilasciamento consapevole delle tensioni non necessarie. Tutto il corpo partecipa alla produzione vocale in modo armonioso.» Gli insegnanti si formano frequentando un corso triennale riconosciuto dalla STAT (The Society of Teachers of the Alexander Technique), la Società degli Insegnanti di Tecnica Alexander, di Londra, o da una società affiliata. Efisio Blanc In italiano, oltre ad articoli apparsi su vari quotidiani e riviste, sono stati pubblicati i seguenti volumi: Frederick Matthias Alexander, Il controllo cosciente e costruttivo di se stessi, Casa Editrice Astrolabio, 1994 (1ª ed. 1923) Frederick Matthias Alexander, La Tecnica Alexander, Scritti scelti e introdotti da Edward Maisel, Casa Editrice Astrolabio, 1998 (1ª ed. 1967) Wilfred Barlow, Il principio di Alexander, Celuc Libri, 1981 (1ª ed. 1973) Sarah Barker, Metodo Alexander, Edizioni Red., 1982 (1ª ed. 1978) Richard Brennan, La Tecnica Alexander, Armenia, 1994 (1ª ed. 1992) John Gray, Guida alla Tecnica Alexander, Ed. Mediterranee, 1995 (1ª ed. 1990) Ailsa Masterton, Metodo Alexander per vivere bene, Piccole Guide, Armenia, 1999 (1ª ed. 1998) Walter Carrington, Imparando a dire no, Mornum Time Press, California, 2005 dossIER indipendentemente dalla scrittura da quello che è stato concepito espressamente come atto compositivo, non sempre con piena consapevolezza di quale ingrediente sonoro fosse richiesto per la sua migliore realizzazione. A seconda che una pagina appartenga all’uno o all’altro tipo di repertorio il nostro approccio deve tenerne conto, non solo nel senso di “rispettare il gusto di un’epoca o di uno stile”, ma andando alle sue origini, alla pre-scrittura. Nel caso di un repertorio antico occorre cercare di trarre dalle fonti manoscritte la maggiore quantità d’informazioni sulla prassi esecutiva, con la musica popolare è bene provare a immaginare il sapore di una vocalità dalle tracce che ne restano in chi ne ha memoria, mentre quando si ha a che fare con una pagina d’autore le suggestioni scaturiscono dall’immaginare il contesto, i suoni degli strumenti accompagnatori, gli ambienti e le occasioni per cui quella data musica era stata scritta. Prendiamo il caso del repertorio medievale e quattrocentesco: un ambito poco frequentato, forse per la difficoltà d’approccio o per la scarsità d’indicazioni precise, che obbligano il maestro ad approfondire e sperimentare. Questo repertorio affascina solo se cantato con una vocalità libera, generosa, aperta, in una parola “giusta”; altrimenti rischia di perdere significato e divenire addirittura noioso. Per capire come cantare si esamini la scrittura: la necessità del suono generoso di un bordone, l’abbinamento a strumenti che erano impiegati a sostegno delle voci, la liquidità di un Ring Around Quartet melisma, la chiarezza della pronuncia perché le diverse vocali facciano brillare nell’aria gli armonici. Questo è davvero il mondo dove il suono inteso come materia fisica è sovrano, e dove i procedimenti compositivi sfruttano appieno le leggi fisiche della sua produzione e propagazione. Se viene a mancare l’ingrediente del suono, nel nostro caso il corpo della voce nella sua interezza (intonazione, timbro, direzione, pronuncia), si perde gran parte del fascino di questo repertorio. Chi si misura con questa sfida si rende presto conto di come la vocalità corretta sia un elemento indispensabile per dare senso a un’esecuzione. Alla stessa conclusione si può giungere percorrendo altre strade: anche nella musica leggera 11 o nel jazz è indispensabile trovare un modo di rendere la voce adatta a ciò che si sta cantando, anche se la maggiore facilità di fruizione, la piacevolezza di una melodia possono trarre in inganno e indurre a lasciar correre. In musica il Trecento e il Quattrocento non ammettono mezze misure, mentre le epoche successive non sempre hanno tenuto conto della sovranità del suono-materia sugli altri aspetti, a partire dalla necessità di rinunciare all’intonazione naturale per ampliare il panorama degli strumenti da affiancare al canto, arrivando a chiedere alla voce di adattarsi alle più disparate situazioni La musica non è nello spartito, ma vive al di là di esso. intonative e acustiche, fino al paradosso di scrivere composizioni per voce e strumenti che risultano antitetiche al cantare. Tra i compositori contemporanei solo alcuni conoscono a fondo il circuito orecchio-voce e la storia della vocalità, la maggior parte segue principi guida diversi e ignora l’essenza stessa dello strumento per cui scrive. Quando è richiesto insistentemente di intonare certi intervalli o accordi in ambiti armonici o tonali scomodi, mettendo in difficoltà gli esecutori e procurando fastidio agli ascoltatori, alla musica si sostituisce un’esibizione d’abilità, talvolta ulteriormente mascherata con richieste di una particolare vocalità “imposta” dall’esterno… ma la musica “non abita là”. Un direttore di coro deve essere in grado innanzitutto di capire quale vocalità sia appropriata a un certo brano, quindi realizzarla con i propri coristi. Superata la fase in cui l’esplorazione dei vari linguaggi musicali porta a prendere atto della complessità dell’argomento, credo che la scelta più seria e responsabile sia impegnarsi a capire lo spartito. Segue poi la difficoltà di insegnare ai coristi a realizzare le differenze. A mio avviso il metodo più efficace è non disgiungere la vocalità dagli altri aspetti di cui è intrisa una linea melodica, ma di trasmetterla assieme. L’insegnamento della musica vocale dovrebbe misurarsi di più con la prassi della tradizione orale popolare, dove si insegna a memoria, per dirlo con i francesi par coeur, “con il cuore”. Questo metodo andrebbe esteso a ogni repertorio perché permette al corista di cogliere il “fatto musicale” e farlo proprio. È questo che accade nella fruizione della musica leggera, dove si imitano le melodie di successo con tanto di timbro, vezzi e difetti. Il corista “incolto” che si appresta a imparare la propria linea in un brano di tradizione popolare non distingue tra melodia, ritmo o timbro richiesto, il suo è un approccio spontaneo e immediato, come quello del bambino. Oggi invece si tende a procedere per compartimenti stagni: prima le note, poi il ritmo, la dizione, e (a parte) la vocalità, 12 Il metodo VoiceCraft Il metodo VoiceCraft è nato dal lavoro della ricercatrice e cantante americana Jo Estill e si basa sul presupposto che ogni identità vocale si sviluppa pienamente solo dopo avere acquisito la chiara consapevolezza dell’anatomia e della funzionalità dello “strumento voce”. L’idea base del metodo è che lo stile si possa sviluppare pienamente e liberamente solo una volta che si conosca lo “strumento”. Altro presupposto su cui si fonda il metodo è la convinzione che alcune strutture del meccanismo vocale possono essere controllate individualmente, indipendentemente l’una dall’altra, all’interno di due posizioni estreme. La tecnica si basa quindi su esercizi di addestramento chiamati “figure obbligatorie”, che mirano al controllo di parti specifiche del meccanismo vocale nel modo più indipendente possibile. Secondo l’autrice del metodo non esiste il “bel suono” o il “brutto suono”. Esiste solo il suono “cattivo” ed è quello che fa male e che provoca delle tensioni nella laringe. Si tratta quindi di una tecnica vocale che prescinde da qualsiasi valutazione estetica o imposizione stilistica: tutti i generi possono essere accessibili e sperimentabili in egual modo. Una delle differenze fondamentali del VoiceCraft rispetto ai metodi di insegnamento vocale più tradizionali è quindi la fondamentale importanza assegnata all’addestramento muscolare, nella constatazione che ogni lavoro sui muscoli coinvolge non solamente quelli direttamente interessati, ma anche altri. Ecco allora che, se nel metodo classico di canto quello che si osserva è il fiato, nel metodo VoiceCraft si studiano ad esempio il controllo delle parti mobili della laringe. È per questo che il metodo prevede anche degli esercizi che non comportano l’esecuzione di suoni (silenziosi) nell’intento di “ascoltare” prima i muscoli coinvolti nella fonazione e poi di percepire il suono. Il metodo VoiceCraft suddivide l’approccio allo studio dell’emissione sonora in tre livelli: controllo indipendente delle parti fondamentali del meccanismo vocale; qualità fondamentali della voce, problemi, cause, soluzioni; individuazione delle molteplici qualità vocali che si possono gestire e riprodurre. L’obiettivo principale del metodo è quello di rendere l’allievo consapevole del proprio potenziale e dei propri limiti. Secondo il metodo, con il controllo indipendente delle strutture del meccanismo si possono ottenere otto diverse qualità vocali, intendendo per “qualità vocale” una modalità base di emissione, con caratteristiche timbriche proprie. Il metodo VoiceCraft ritiene poi che le lezioni collettive siano più efficaci rispetto a quelle individuali in quanto consentono ai singoli partecipanti di sentire con maggior chiarezza le voci degli altri rispetto alla propria e quindi di imparare ascoltando gli altri. Efisio Blanc In italiano: Franco Fussi, Elisa Turlà, Il trattamento delle disfonie. Una prospettiva per il metodo Estill VoiceCraft, Omega, 2008 spesso ricorrendo a un insegnante esterno che viene percepito dai coristi come una sorta di preparatore, distinto dal direttore. Spesso poi si cerca di ottenere dal coro un suono “somigliante” a quello sentito in una certa registrazione imponendo modifiche innaturali alla libera vocalità: aggiustamenti, come ad esempio “arrotondare le A”, o staccare un passaggio in agilità, o esasperare la pronuncia di certe consonanti. L’allievo crede che questo sia fare musica e assimila un modo di cantare “da corista”; un ascoltatore può patire fisicamente la tensione e la poca naturalezza di chi canta. Accade sovente di ascoltare esecuzioni che lasciano a desiderare proprio per la mancanza di spontaneità, di freschezza nel suono, indispensabile per rendere la musica viva, per non annoiare. Le orecchie di chi da decenni pratica musica corale, se da un lato sono ipersensibili a cogliere la minima sbavatura nell’intonazione o nella giusta pasta di un accordo, dall’altro si entusiasmano sempre meno dinnanzi ad ascolti per lo più piatti e privi di nerbo soprattutto nell’aspetto del suono, che in un gruppo vocale o in un coro deve essere protagonista. La didattica musicale a compartimenti stagni non fa parte né della spontaneità delle tradizioni popolari né della pratica colta: è un surrogato inventato nei nostri tempi per lo più in ambiti semi-professionali. I direttori di coro hanno grandi responsabilità a vari livelli: artistico, didattico, psico-acustico, estetico, e se è vero che la realtà corale è preziosa perché ottimo mezzo per avvicinare alla musica migliaia di persone, è altrettanto vero che andrebbe gestita da maestri perfettamente formati e consapevoli. Oggi senza un direttore è impensabile cantare, ma la gran parte del repertorio tuttora eseguito dai gruppi corali originariamente non prevedeva affatto una figura “esterna”: il controllo del risultato d’assieme era demandato al buon senso comune e a molte orecchie attente, ben funzionanti e non “deleganti”. Un maestro di coro oggi dovrebbe puntare proprio a risvegliare questo senso perduto. I piccoli ensembles vocali sono probabilmente la migliore occasione per mettere in pratica un ascolto attivo. Spesso i componenti non sono professionisti ma sono molto più che semplici amatori e riescono a fare musica in maniera incantevole. Se il gruppo è stabile, col tempo le voci si compattano e si ottiene un timbro comune che diviene un tratto caratteristico. Ognuno, con il proprio contributo personale, stimola negli altri componenti piccoli cambiamenti timbrici, rispondenti all’esigenza di amalgamarsi, e condivide il suo retroterra d’esperienze musicali. Come conciliare il proprio 13 suono peculiare con la versatilità che serve al nostro scopo? Ancora una volta partendo dalla musica. Il Ring Around Quartet, gruppo vocale del quale faccio parte, nato negli anni ’90 all’interno di un coro giovanile qualunque, senza maestri, senza lezioni di canto, all’inizio senza solide basi musicali, dopo anni densi d’esperienze varie e diverse, è riuscito a compiere una carriera professionale in Italia, paese dove non esiste una tradizione consolidata di piccoli ensemble vocali stabili. Il sound del gruppo è venuto prima, anche temporalmente, rispetto a quello dei singoli cantanti e la matrice non accademica ha permesso di trovare una forte identità e gestire in autonomia lo studio e il metodo. Nell’affrontare stili ed epoche diverse l’ensemble cerca di differenziare il tipo di suono soprattutto a livello di emissione (più denso e legato nella polifonia sacra, colorato e consonantico nel repertorio antico profano, arioso e morbido in certe composizioni di musica leggera…) partendo dal suono della lingua in cui si canta, ma tutto ciò avviene nel rispetto delle tessiture che mantengono salda la compattezza del suono comune. Quasi tutti gli ensemble d’alto livello o compiono una scelta univoca sul repertorio o sacrificano altri aspetti. Gli Hilliard hanno affrontato medioevo, rinascimento e contemporanea senza alcuna modifica nella vocalità, il che può dare adito a qualche critica, pur riconoscendo loro il merito di essere stati per un periodo molto lungo compatti e perfetti. I King’s Singers, loro colleghi e rivali, hanno saputo essere più versatili pur non avendo lo stesso impatto sonoro… In conclusione ribadisco che gli ingredienti indispensabili per gestire la varietà dei repertori e degli stili sono vocalità libera, orecchie funzionanti, apertura mentale e senso critico, insieme con una conoscenza del repertorio che naturalmente aumenta con l’esperienza, tutto ciò al servizio di una lettura consapevole dello spartito. Misurarsi con stili differenti è funzionale a decidere quali valga la pena di approfondire e quali lasciar eseguire ad altri, nel rispetto della propria cultura e dei propri limiti. Il Metodo Tomatis L’audio-psico-fonologia è una disciplina scientifica nata dal lavoro di ricerca del medico e scienziato francese Alfred Tomatis (1920-2001). Essa trova il suo elemento fondamentale in quella facoltà propria dell’essere umano chiamata ascolto, che consente di utilizzare il proprio udito nel modo più completo e consapevole. Gli studi di Tomatis hanno evidenziato come i vari ambiti concernenti l’emissione vocale, quello uditivo, quello neurologico-emozionale e quello foniatrico, siano in realtà strettamente correlati e strutturati in un ambito di assoluta consequenzialità. Intorno agli anni Cinquanta elabora una teoria secondo cui i problemi vocali che non hanno una causa organica derivano da un ascolto disturbato. Nel 1957 la sua ipotesi scientifica viene provata sperimentalmente dall’equipe del prof. Raoul Husson nei laboratori di Fisiologia delle Funzioni alla Sorbonne di Parigi, e viene certificata come “Effetto Tomatis”. Le tre leggi che sono alla base della sua teoria si possono così riassumere: – la voce contiene solo le frequenze che l’orecchio è in grado di percepire; – se l’ascolto viene modificato, si modifica immediatamente e inconsciamente anche la voce; – quando la stimolazione uditiva viene mantenuta per un certo tempo, la fonazione si modifica in modo duraturo. A sostegno della sua tesi elabora quindi un’apparecchiatura chiamata “Orecchio Elettronico”, basata su di una serie di amplificatori, filtri e bascule, che riceve il suono emesso da una fonte sonora, lo elabora e lo restituisce al soggetto mediante una speciale cuffia dotata, oltre ai normali auricolari, di un dispositivo trasduttore della vibrazione ossea. La rieducazione avviene tramite la “microginnastica” indotta ai muscoli della staffa e del martello, facenti parte dell’orecchio medio, la cui riacquistata tonicità permette una migliore “sintonizzazione” sulle frequenze indispensabili a una corretta emissione. Ciò si realizza sia in ambito cocleare, con una marcata ricerca delle frequenze acute, sia in ambito vestibolare, con tutto quello che concerne la motricità muscolare e la propriocettività corporea. Si mette così in moto quello che Tomatis chiama il circuito audiovocale, che impone, in ambito posturale, una spiccata ricerca della verticalità, una decontrazione dei muscoli diaframmatici e una loro naturale estensione grazie alla dilatazione della gabbia toracica, un assetto della testa che permetta alla laringe di trasmettere la vibrazione alla colonna vertebrale e quindi a tutto il sistema scheletrico, nella ricerca della voce ossea, dove tutto il corpo entra in risonanza, con l’ottenimento del massimo risultato con il minimo sforzo. Tutti gli aspetti tecnici dell’emissione che da sempre assillano pedagoghi e studenti di canto, con suggestioni applicative fra loro anche antitetiche, trovano così una fisiologica spiegazione e la loro naturale attuazione. Secondo Tomatis la respirazione, i movimenti muscolari laringei, l’articolazione, la ricerca dell’appoggio e della risonanza, sono delle funzioni che ci appartengono profondamente. Non dobbiamo “applicarle”, bensì farle emergere progressivamente attraverso l’affinamento dell’ascolto e delle controreazioni a esso legate, esercitando meccanismi innati e liberando le potenzialità naturali che ognuno possiede. Solo riappropriandosi della naturalità della propria fisiologia l’essere umano è così in grado di trasmettere l’autenticità delle emozioni e il messaggio universale della musica attraverso il canto. Walter Coppola A. Tomatis, L’oreille et la vie, Parigi, R. Laffont, 1977, 1990, trad. it. L’orecchio e la vita, Milano, Baldini e Castoldi, 1992, 1999. A. Tomatis, L’oreille et la voix, Parigi, R. Laffont, 1987, trad. it. L’orecchio e la voce, Milano, Baldini e Castoldi, 1993. le ragioni dell’espressione gilber intervista a gilberto bosco a cura di Paolo Zaltron direttore dell’associazione per le attività musicali degli studenti universitari del piemonte Inizierei questa chiacchierata con lei, caro Maestro, chiedendole innanzitutto qual è il suo rapporto con il coro e con il canto da studente. Ha mai cantato in un coro? In realtà ho fatto poche esperienze corali, e quasi esclusivamente nel coro del conservatorio da allievo. Da esterno mi è capitato di frequentare però, soprattutto in giovane età, molti cori e di parlare con molti miei compagni e colleghi che praticavano la direzione di coro. Avendo poi studiato musica corale ho potuto avere una pratica, per così dire, più interna dell’attività. In queste occasioni sono rimasto sempre affascinato dall’aspetto umano e collaborativo del cantare in coro. compositorE 15 Come è nata la sua voglia di scrivere musica? Qual è stata la “scintilla”? Quando iniziai a scrivere l’esigenza nacque, soprattutto, da riflessioni sulla musica strumentale. Ero affascinato dal discorso strumentale e dalle suggestioni del repertorio da Mahler e Schönberg in poi, fino ovviamente a Stravinskji e, tra gli altri, Berio. Questi autori del ’900 e la loro musica strumentale furono la principale suggestione che mi spinse a confrontarmi con la composizione. Il rapporto con il testo e quindi la musica corale, o teatrale, è diventato più importante solo in epoca successiva. All’inizio ero affascinato dall’aspetto speculativo e architettonico della composizione. Non vorrei che questa frase fosse interpretata attribuendomi una vicinanza all’avanguardismo e al formalismo di certe scuole dell’epoca. In realtà questo aspetto, per così dire, strutturalista, lo individuavo già in Mahler e Schönberg giovane, in autori che avevano cioè mantenuto una forte comunicatività. Non a caso trovai molto affinità con lo stile di Berio e anche di Petrassi, con cui ebbi modo di parlare e studiare, ricevendo da lui degli stimoli che riguardavano anche la musica corale. La musica ha molte similitudini con l’architettura. Dal suo catalogo leggo che la prima opera che lei riconosce è un brano per flauto e pianoforte del 1973. Qual era l’atmosfera musicale di quel periodo e di quella stagione compositiva? In quell’epoca c’era per tutti noi, studenti di composizione, la necessità di confrontarsi con l’avanguardia, e soprattutto con la scuola di Darmstadt, cosa che feci anche io. Anzi, ricordo che volevo andare a studiare lì, ma ero assolutamente senza soldi. Allora presi qualcuna delle mie primissime partiture e la spedì in Germania scrivendo una lettera alla direzione della scuola nella quale precisavo che non avevo soldi per studiare e che scrivevo “quella musica”; loro mi risposero concedendomi una borsa di studio che mi permise non solo di studiare un anno con i loro maestri ma anche di conoscere molti giovani che hanno poi frequentato con successo i principali festival internazionali di composizione. Pochissimi anni dopo, però, alla fine degli anni ’70, mi trovai molto stretto in questa armatura dell’avanguardia e cercai una strada che recuperasse le ragioni dell’espressione all’interno della composizione musicale. Forse questo mi permise di riflettere su un tema che divenne per me fondamentale: non tanto la ricerca di “che cosa la musica esprime?”, bensì se non si possa creare un’espressione altra facendo frizionare ciò che dice un testo con ciò che dice la musica. Quasi tutti i miei lavori che utilizzano dei testi giocano sulle simpatie e contrasti tra ciò che dice il testo e ciò che dice la musica. In questo senso il primo lavoro veramente importante fu la Cantata su un testo di Rimbaud per soprano e orchestra. Da quel momento, che reputo nel mio percorso compositivo davvero importante, l’interesse verso la musica vocale crebbe notevolmente. rto Quando compone quale tecnica segue, da cosa si fa principalmente influenzare e guidare, in particolare nel caso della musica vocale? Soprattutto da due cose. La prima è definibile come un approccio emozionale determinato dalle prime parole di un testo; trassi quest’idea da uno scritto proprio di Schönberg il quale racconta come, nel musicare un testo di Stephan George, l’impatto con i primi versi (in quel caso: “Sento l’aria di un altro pianeta”) fu determinante e generò una spinta che gli permise, a suo parere, di comprendere assai meglio l’intera composizione poetica rispetto a un’eventuale analisi del testo. Il secondo stimolo, che mi ha sempre molto influenzato, deriva dall’architettura. Io sono convinto che la musica abbia molte similitudini con questa disciplina, e nei testi con cui mi confronto vedo molta architettura, a partire dagli spazi bianchi tra un verso e un altro fino, ovviamente, ai rimandi testuali, alle cesure tra i versi, alla metrica che determina un ritmo tra le parole, anche visivo. La cosa che mi affascina di un testo, quindi, è la possibilità che intravedo di poterlo inserire in una qualche architettura musicale e farlo dialogare con essa. E rispetto a testi non poetici, come ad esempio estratti giornalistici o letteratura in prosa? Mi è capitato di confrontarmi due volte con questo tipo di testi, in occasione della cantata Quest’è il giorno scritta per i 600 anni dell’Università di Torino e nella realizzazione del brano Pagine, su testi di Salvatore Niffoi. Nel primo caso una parte di quei testi derivano da estratti dello statuto albertino, che ho scelto, ritagliandoli, quasi per ricreare una sorta di “poesia inespressa”. Confesso però che i testi in prosa mi creano sempre più problemi. 16 Esiste un caso che, forse sarà paradossale citare parlando di musica vocale, perché pur essendo esclusivamente strumentale lo considero primariamente come composizione su un testo. È Fumo e cenere che ho scritto basandomi sulle e-mail che i cittadini di New York si scambiavano per l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre. Sono dei testi terribili: l’unico contatto con il mondo, dato che le linee telefoniche saltarono in gran parte, furono le e-mail, per tutti coloro che avevano dei collegamenti wireless. I messaggi che ho potuto leggere, terribilmente coinvolgenti, avevo ipotizzato di inserirli facendoli recitare e cantare; alla fine preferì non utilizzarli se non come Inner Program per un brano che è rimasto unicamente strumentale, forse perché il testo mi apparve troppo esplicito e mi turbò troppo. Ha vissuto, studiato e lavorato in una città che è stata a lungo la culla della cultura corale e anche della didattica, grazie alla presenza di maestri quali Roberto Goitre e Sergio Liberovici. Può ricordare le figure dei due maestri in relazione alla sua carriera e attività di compositore? A entrambi devo molto, anche se in modo assai diverso. Roberto Goitre fu uno straordinario amico e compagno di conservatorio. Mi parlò del “cantar leggendo” che andava elaborando in quegli anni e di altri metodi di didattica corale, che mi influenzarono molto, soprattutto in maniera indiretta. Mi suggerirono infatti degli approcci a dei tipi di scrittura (non solo per le voci) differenti. Per esempio stimolandomi a ricercare, in ogni composizione, una “proprietà di scrittura”. Scrivere per coro non è molto semplice, a meno che non ci si dimentichi qual è lo strumento per cui si sta scrivendo. Così come quando si scrive per strumenti con particolare esigenze esecutive (penso alla chitarra, o all’arpa, ad esempio), quando si scrive per un coro bisogna rendersi conto che si dovranno prevedere, ad esempio, i respiri, i tempi per prendere determinate intonazioni, e così via. Ricordo un brano per coro che all’inizio prevede un cluster di 12 note, cosa difficilissima da realizzare senza nessuna nota di riferimento. Per me scrivere per coro ha sempre significato il dover confrontare la mia idea musicale con uno strumento che non realizzerà ogni cosa che ti passa per la testa e che abbisogna, invece, di una riflessione tecnica specifica. Questo tipo di riflessioni sono nate parlando proprio con Roberto. Con Sergio Liberovici invece ebbi un rapporto molto stimolante in un ambito che fino ad allora ritenevo del tutto negato alle mie possibilità, e cioè quello del teatro musicale. Egli propose a me e ad altri giovani compositori torinesi un’opera collettiva destinata a un pubblico di bambini, con evidenti caratteri didattici. Con lui parlai a lungo del genere teatrale e mi stimolò a fare maggiori, e credo riuscite, incursioni in esso: proprio le chiacchierate fatte con Sergio mi tornarono utili quando volli confrontarmi con alcune composizioni pensate, in qualche modo, per la scena. Gilberto Bosco___________ Gilberto Bosco (Torino 1946) ha compiuto gli studi musicali a Torino, frequentando in seguito i Ferienkurse di Darmstadt. Ha insegnato Composizione presso il conservatorio di Torino e Teoria musicale al Dams (Università di Torino). Suoi lavori sono stati premiati in concorsi nazionali e internazionali. Sue composizioni sono state eseguite in molte sedi di prestigio: dal Teatro alla Scala al Comunale di Firenze, dalla Rai di Torino e di Roma a Settembre Musica, dall’Ircam di Parigi alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona, dall’Académie de France à Rome al Cantiere d’Arte di Montepulciano, dal Campus Internazionale di Musica-Festival Pontino al Festival delle Nazioni di Città di Castello. All’interno della sua produzione uno spazio di rilievo hanno lavori in cui si affronta il problema del rapporto con il testo. Dal Bateau Ivre di Arthur Rimbaud al Cantico del gallo silvestre, cantata terza su testo di Giacomo Leopardi, dalla lontana Dedica – che utilizza frammenti di Gaspara Stampa – ai più recenti Deja ese sueño – su testo di Rafael Alberti – e in Traume – su una poesia di Heinrich Heine con cui Schumann costruì uno dei suoi capolavori – il tema di come un testo possa suggerire e determinare, per simpatie e tradimenti, strutture formali e procedimenti compositivi è stato affrontato in molti modi e sotto diverse prospettive. Un caso limite è dato da Fumo e cenere in cui il testo (una serie di lettere e di messaggi e-mail scambiati tra i cittadini di New York l’11 settembre) è assente e costituisce una sorta di “programma nascosto”. Un’altra serie cui l’autore si è dedicato con continuità negli ultimi anni è quello del confronto-ricostruzione con testi musicali della grande tradizione. Bach e Gesualdo, Mendelssohn e lo Schumann già citato, hanno prodotto delle “ricomposizioni” molto lontane dagli originali, eppure forse non del tutto infedeli. La Rai, Radiotre, gli ha commissionato ed eseguito un lavoro, Grazioso, ispirato a Haendel per il 250° anniversario della morte, da poco eseguito nella stagione del Quirinale. compositorE Le sue partiture, che ho avuto modo di conoscere direttamente, presentano quasi sempre una ampia legenda per l’esecutore, per cui è importante che lo strumentista conosca nei dettagli tutte le caratteristiche di emissione dello strumento. Lo stesso vale per il coro? Che tipo di scrittura usa? Per il coro ho usato sempre una scrittura abbastanza “tradizionale”, che non mi ha costretto a spiegare in maniera specifica gli effetti che intendevo realizzare. Rispetto a Luciano Berio, ad esempio, uso il coro e le voci in maniera assai meno sperimentale. Non sono mai stato tentato da questa dimensione, anche perché mi sembra che sposterebbe quell’interesse verso il testo che ho in altre direzioni che mi sono meno congeniali. Il tipo di scrittura corale che ho usato nasce innanzitutto dalla frequentazione con Petrassi (che ha scritto per coro, a mio parere, delle cose davvero fondamentali), poi dallo studio di partiture di Dallapiccola, Berio e soprattutto Ligeti. Questi autori mi hanno indotto a pormi domande molto specifiche sulle caratteristiche della scrittura per coro: cosa c’è in una scrittura che la rende assolutamente vocale? Alcune risposte credo di averle trovate proprio in questi autori. Questi sono, a suo parere, i compositori che hanno maggiormente influenzato la musica corale contemporanea? Direi proprio di sì. Petrassi e Dallapiccola per la generazione attiva negli anni ’40, e Berio e Ligeti successivamente. Ho scoperto tardi, però (e grazie a Roberto Goitre) tutta una serie di autori di musica corale molto interessanti, attivi nell’Europa dell’Est, i quali spesso trovano delle soluzioni (timbriche ma anche strutturali) assolutamente straordinarie con metodi semplicissimi. Si tratta però di una scoperta davvero tardiva e fino a ora ho provato a inserire soltanto qualche frammento, di questo interessante vocabolario, nei miei lavori. Quale possibilità vede per la musica contemporanea nell’utilizzo del coro? È uno strumento adatto all’esecuzione della musica “di repertorio” o è adatto a interpretare anche le esigenze dei compositori di oggi? Non credo che il coro sia uno “strumento antiquato”; credo sia soltanto molto difficile insegnare a dei giovani compositori a usarlo. Torno al discorso sulla proprietà di scrittura fatto poc’anzi: non è difficilissimo insegnare a scrivere per quartetto d’archi se noi pensiamo al Quartetto Arditti, o scrivere per pianoforte e orchestra se immaginiamo che gli esecutori saranno Pollini e i Berliner! Se noi pensiamo di scrivere per coro, e desideriamo che il brano possa avere una qualche speranza di venir eseguito, non possiamo non conoscere tutta una serie di difficoltà tecniche che vincoleranno molto la nostra fantasia compositiva. Forse bisognerebbe incentivare le occasioni di studio e insegnamento (soprattutto in Italia) di queste tecniche per i giovani compositori, così che essi sappiano come rendere sempre estremamente viva la scrittura corale, senza che risulti terribilmente difficile da eseguire. 17 Lei dice soprattutto in Italia perché ha avuto modo di verificare che questo è un nostro deficit specifico? Sì, temo proprio che nel campo della musica corale l’Italia sia ancora in arretrato rispetto al resto dell’Europa o, ad esempio, agli Stati Uniti o a Israele, dove ho constato di persona che esiste una specie di partecipazione alla vita corale che garantisce la presenza di tanti gruppi amatoriali di ottimo livello. Ciò rappresenta anche una notevole spinta per la creatività. Lei ritiene quindi proficua la collaborazione con realtà corali amatoriali. Siccome so che ha avuto modo di scrivere sia per professionisti che per amatori (come nel caso della Corale Universitaria che dirigo e con la quale ho avuto il piacere di confrontarmi con la sua musica), quale sono le differenze tra i due ambiti, a suo parere? Personalmente ritengo estremamente interessante il livello, per così dire, “amatoriale alto”, sia nel coro che nella musica da camera. Senza di esso la vita musicale normale, quella dei concerti e delle grandi manifestazioni, rimarrà sempre un poco asfittica poiché le mancherà un rapporto con un pubblico coinvolto a un qualche livello nella musica stessa. Per quanto riguarda la mia esperienza professionale confesso di essermi sempre trovato meglio a lavorare con i cori amatoriali. Il mio primo brano per coro, Espressivo, mi venne commissionato da Hans Werner Henze per il coro dell’Università di Cambridge, che Henze stesso mi chiarì essere un coro amatoriale, seppure di buon livello. Ho un ricordo davvero bello di quell’esecuzione; i coristi e il direttore mi trasmisero un entusiasmo e una partecipazione nel cercare di risolvere i problemi tecnici della partitura e nell’interpretare il brano che, successivamente, con cori professionali, avvertì molto di meno. Con ensembles di professionisti, talvolta l’esecuzione può risultarne accresciuta dal punto di vista tecnico, ma il calore e la capacità comunicativa (anche in sede di concerto) ho constatato che spesso viene a mancare. In questo senso fu veramente una lezione, per me, scoprire che se si scrive in modo da coinvolgere l’esecutore si raggiunge uno di quei tipi di espressione che spesso, invece, nella musica manca. Bisogna, forse, saper toccare il sentimento intimo dell’esecutore per accrescere la capacità comunicativa di un’esecuzione, di qualsivoglia brano. Un esecutore, per definizione, è un professionista in grado di prendere qualsiasi tipo di musica e risolverlo per eseguirlo. Un amatore, invece, non riuscirà a risolvere tutti i problemi e ciò crea, in qualche modo, una frizione bellissima tra la musica scritta sulla carta e il momento in cui essa viene fatta vivere in concerto. Se è vero, allora, che esiste un problema di capacità comunicativa rispetto alla musica contemporanea, lei pensa che questo percorso, che passa necessariamente dall’esecutore per arrivare all’ascoltatore, sia uno dei modi per risolverlo? Senz’altro. Io credo che la comunicazione col pubblico non si trovi attraverso il recupero di tecniche compositive antiche, quanto piuttosto attraverso la capacità (o possibilità) di 18 Composizioni di Gilberto Bosco Musica vocale con orchestra Allelujah (1994), per baritono e orchestra (Trani, Incontri di Musica Sacra Contemporanea, 9.10.1995; bar. A. Stragapede, dir. P. Lepore) Cantata (1984), per voce e orchestra su frammenti da A. Rimabud (Torino, teatro Regio, 12.7.1985; sopr. L. Castellani, dir. C. Thielemann) Quest’è il giorno, cantata seconda (2004), per cori e orchestra su testo di C. Pavese e da uno statuto universitario del XVIII secolo (Torino, Teatro Nuovo, 15.6.2004; Cori e orch. dell’Università di Torino, Corale Universitaria di Torino, direttori dei cori S. Pasteris e P. Zaltron, dir. C. Manzo) Musica vocale con strumenti Allelujah (1988), per baritono e strumenti (Lugano, 13.3.1988; Gruppo Musica Insieme, bar. G. Sarti, dir. P. Antonini) Aria delle carte (Varianti e melodia) (1985), per soprano, flauto e percussioni su testi di Meilhac e Halevy (Siena, Settimana Musicale, 5.8.1987; sopr. L. Castellani, Gruppo Octandre) Cantico del gallo silvestre (2004-05), cantata terza per due voci femminili, voce recitante e dodici strumenti su testo di G. Leopardi (Torino, Settembre Musica, Teatro Carignano, 9.9.2005; sopr. L. Castellani e A. Caiello, voce rec. L. Fontana, dir. A. Tamayo) Dedica (1982), per soprano, flauto, clarinetto e corno su testi di Gaspara Stampa (Roma, Teatro Ghione, 17.12.1982) Deja ese sueño (2008), per soprano, violino, violoncello e pianoforte su testo di R. Alberti (Napoli, Istituto Cervantes; sopr. A. Caiello, Ars Trio) Due liriche (1991), per voce, flauto e pianoforte su testi di G. Zaccaro (Roma, Festa Musica d’Oggi, 8.4.1991; Torino, Festival Identità e differenza, 19.10.1996) ‘…Icone del passato’ (2000), tre poesie di Emilio Jona come un melologo per voce recitante, flauto, clarinetto in sib, violoncello e percussione (Torino, Conservatorio, 6.4.2000) …Im Traume (2007), per voce e pianoforte su testo di H. Heine (Trani, Incontri di Musica Sacra Contemporanea, 9.10.1995; Berlino, 29.1.2008; Duo Alterno) La notte (2009), melologo per voce recitante, 3 voci femminili, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte su testo di C. Pavese (Torino, MiTo, 18.9.2009) Last Blues (2008) per voce, violoncello e pianoforte su testo di C. Pavese (Torino, MiTo, 18.9.2008) Lettura (1992), per voce recitante e strumenti su un testo di Umberto Saba (Rende, Festival, 2.12.1992; Versione per voce, flauto, clarinetto, tromba, viola e pianoforte; Terni, 24.1.1999) O sorrow (2001), per voce e clavicembalo su testo di A. Tennyson (Roma, Festival di Nuova Consonanza, 17.11.2001; sopr. S. Rigacci, clav. M. de Robertis) Pagine (2007), per voce recitante e 7 voci cantate su testo di S. Niffoi (Cagliari, 4.12.2007) Serenata terza (…O ew’ ge nacht) (1985), per soprano e strumenti su testo da Il Flauto Magico di Mozart (Milano, Teatro alla Scala, 21.4.1985; sopr. D. Dorow, dir. G. Taverna) Zwei Brecht-Lieder (2005), per voce e pianoforte su testi di B. Brecht (Manta, S. Maria del Monastero, 11.6.2005; sopr. L. Campanella, pf. M. Tarenghi) Coro con o senza strumenti Espressivo, varianti sull’aria della Follia (1978), per coro a cappella ovvero sei voci sole, su testi di L. de Argote y Gongors, C. Smart, F.H. Hölderlin, P.P. Pasolini (Montepulciano, Cantiere Internazionale d’arte, 3.8.1978; Coro Università di Cambridge, dir. R. Marlow) Interludio (1985), per coro femminile (ovvero voci bianche) e strumenti, su testo di J. Von Eichendorff (Montepulciano, Cantiere Internazionale d’arte, 27.7.1985; Ens. Concentus Politianus, dir. J. Latham-Koenig) Il mattino, estratto a cappella da “Quest’è il giorno” (2004), per coro con percussione ad libitum (Perugia, 16.4.2005) Teatro musicale Il gioco delle sorti (2002), azione teatrale per soprano, attori e strumenti su testo di S. Rebershak (Torino, Piccolo Regio Laboratorio, 6.2.2003; sopr. F. Francalanci, Fiarì Ensemble, dir. M. Solavagione) Opere radiofoniche Sogni di sogni (1994), racconto in musica per voce recitante, baritono e clarinetto basso su testi di Antonio Tabucchi (Roma, RAI III, 1.11.1994; bar. A. Jona, rec. P. Baldini, clb. R. Parisi) compositorE emozionare l’esecutore il quale si farà, a quel punto, perfetto strumento della propria composizione. Non dipende tanto dal linguaggio utilizzato, quindi: si potrebbe scrivere con qualsiasi tecnica delle avanguardie storiche oppure scegliendo di scrivere con un’armonia classica, purché si persegua questo obiettivo. Sarà per una mia predilezione stilistica, ma mi sembra che queste sue asserzioni richiamino un modello di lavoro tipico del Rinascimento, per cui il contatto tra chi compone e chi esegue è alla base della composizione musicale. È possibile. D’altronde tutta l’epoca dei miei studi musicali fu percorsa – e sto per dire una banalità – dall’analisi e dall’ascolto dei grandi maestri del Rinascimento. Li scoprì soprattutto all’interno del corso di storia della musica che facevo con Massimo Mila, ma del tutto autonomamente dall’insegnamento scolastico mi resi conto che dedicare del tempo a cercare di capire l’arte musicale del Rinascimento era una continua lezione di composizione, tanto più per me in quanto mi sembrava soddisfare perfettamente il mio bisogno di architettura musicale. E forse fu proprio questo lavoro di analisi della musica vocale del Quattro-Cinquecento che mi spinse a confrontarmi poi con dei testi poetici in età più avanzata. “Il bianco e dolce cigno che cantando more”: cosa ci avrà visto Arcadelt in queste parole? Pormi domande del genere e confrontarmi con le soluzioni trovate da autori come Monteverdi, Palestrina o Gesualdo ha sicuramente stimolato la composizione di musiche corali e vocali. In base alle sue scelte e alla sua esperienza, quali caratteristiche ha constatato nell’utilizzo, per le sue composizioni, del coro a cappella o del coro accompagnato? A mio parere il coro “solo” è una formazione straordinaria, e in qualche modo perfetta, come il quartetto d’archi; ha una sua compiutezza e permette quasi qualunque esperimento e realizzazione. Se dovessi argomentare per quale motivo forse non ne sarei capace. Credo però che sia il repertorio che ce lo dimostra. In realtà io ho preferito, con poche eccezioni, l’uso del coro con gli strumenti, e ciò per due motivi. Il primo è che questa scelta mi ha permesso di realizzare dei giochi di echi e di rimbalzi fra sorgenti sonore diverse che mi è sempre molto piaciuto, che tra l’altro possono assumere una dimensione anche spaziale e non solo musicale. In secondo luogo l’uso degli strumenti permette di appoggiare il coro su uno sfondo che, in qualche modo, lo fa diventare solista. È, questo, un tema affascinante che credo abbia stimolato molti miei colleghi e che, di nuovo, ha una forte valenza architettonica: il confronto tra la superficie e ciò che gli sta dietro. I brani musicali devono, secondo me, avere sempre due o tre livelli di profondità uditiva, come una specie di stereofonia della profondità, o come se volessimo ottenere, dipingendo un quadro, una serie di prospettive diverse; è più facile ottenere questi livelli se dispongo di risorse timbriche e sorgenti del suono differenti. 19 Esiste, per lei, una predilezione nella scelta degli strumenti da affiancare al coro? No; credo davvero che un impasto interessante, secondo le prospettive di cui raccontavo prima, si possa avere unendo al coro qualsivoglia tipo di ensemble strumentale: dai fiati agli strumenti a percussione più svariati. Mi è capitato infatti di trascrivere degli episodi corali di mie composizioni ipotizzando notevoli variazioni nell’organico strumentale previsto in origine; ciascuna variazione mi ha permesso di aumentare la distanza tra il fronte e lo sfondo, nell’ottica della ricerca di più livelli di profondità di cui si parlava. Concluderei questa chiacchierata con lei parlando di didattica della composizione. Innanzitutto è cambiato il suo modo di scrivere con l’attività dell’insegnamento? Devo ammettere di sì. Io, di indole, sono un compositore solitario, che ama la riflessione astratta e la speculazione individuale, pur cercando di coniugarla con la comunicazione. Mi accorsi prestissimo, però, che imparavo molto dai miei studenti; non tanto suggerendomi delle “soluzioni” compositive, ma perché ponendomi dei problemi – talvolta, se vogliamo, banali – mi inducevano a riflettere su delle questioni per così dire basiche, fondamentali, che spesso mi hanno aiutato a trovare delle risposte ai problemi che riguardavano le mie composizioni. Ha avuto modo di confrontarsi con altre scuole compositive internazionali sulla scrittura per coro? Confesso di non essermi mai confrontato molto con altre scuole compositive, anche perché negli anni in cui studiavo, subito dopo il conservatorio, frequentai a lungo Petrassi col quale ebbi modo di discutere a lungo dei miei lavori. Proprio durante uno di questi incontri mi raccontò che fra i due atteggiamenti fondamentali di chi insegna composizione – il trasmettere un metodo ritenendolo il migliore per affrontare i problemi compositivi ovvero insegnare delle “cose sulla musica” lasciando all’allievo il modo per risolvere i problemi – lui perseguiva da sempre il secondo. Il risultato è che i musicisti che hanno studiato con Petrassi hanno scritto e possono aver scritto in stili immediatamente differenti, mentre con altri insegnanti questa diventa un’acquisizione più lenta. Avendo io sposato questa idea petrassiana, non sono mai riuscito a interessarmi di didattica compositiva, preferendo fornire sempre ai miei allievi dei supporti tecnici e professionali e qualche esempio basato sulla mia esperienza. Mi capita ascoltando talvolta musiche di miei studenti, di accorgermi quanto siano diverse dalle mie, come se ognuno fosse cresciuto esplorando proficuamente il proprio giardino piuttosto che attingere, imitandolo, a quello degli altri. 20 una questione di mestiere e di maestria La cantata Quest’è il giorno di Gilberto Bosco di Giulio Monaco docente di esercitazioni corali al conservatorio di novara La musica, diversamente dal linguaggio parlato, è espressione meno definita, densa di meta-significati, di simbolismi inconsci, di tensioni inesprimibili. In essa si rivela, maggiormente evidente, quel legame con la parte profonda di ogni uomo, con ciò che ne caratterizza il suo essere unico. La musica è descrizione del divenire di tensioni e distensioni, è arte che più di ogni altra descrive il “tempo”, ciò che era, è… e sarà: in sintesi la storia stessa di ogni uomo, dalla nascita alla morte. Se questa può essere la chiave (una delle chiavi possibili, beninteso) di lettura della musica, certamente quanto riportato può riferirsi in parte alla poesia, anche quest’ultima tesa a descrivere ciò che è celato, piuttosto che la pura evidenza. Anche nella poesia il problema tra il messaggio evidente e quello “altro”, risulta questione complessa e sfuggente, proprio per il continuo intersecarsi tra i vari livelli di possibile significato. Questa questione sul problema del “significato”, questa ricerca sulle possibilità che la comunicazione offre, ha caratterizzato da sempre le riflessioni degli artisti, dei filosofi e anche quella di coloro che si sono occupati dei meccanismi del pensiero. Si può anzi affermare che, proprio da queste riflessioni, abbia preso l’avvio lo studio della psicoanalisi e di tutte le discipline connesse. Laddove la voce comunicante il sentimento si fa canto e musica, non ci si potrà sottrarre dal constatare che (per usare le parole di Nietzsche) «la musica è arte dionisiaca e la sua differenza dalle altre arti (apollinee) è radicale nel senso che, mentre queste ultime trasfigurano le forme dell’apparenza (ciò che appare ed è tangibile), la musica si riferisce all’essenza, la sua voce proviene dal profondo delle cose da una misteriosa unità originaria.» È ciò che tanto spaventava Freud, che della musica aveva timore, considerata da lui tanto vicina all’Es, alle strutture più arcaiche (rettiliformi) del nostro cervello. La voce cantata, quando trascende la parola, diventa “magica” e attiene all’inconscio, sublima il linguaggio verbale, non ha alcun riferimento immediato alla realtà, non è significante di un significato, non traduce cose o relazioni tra cose, non è al servizio di nessuna condotta o codice di comportamento, è puro linguaggio dell’emozione e il suo potere simbolico è intimamente legato alla vita affettiva. Lingua primordiale, che esprime le verità essenziali della vita e la terribilità del mondo notturno, simbolo archetipo in senso psicoanalitico, ferro del mestiere dello sciamano, veicolo di comunicazione elettivo con l’inconoscibile, con Dio… La musica e il suo più sensibile strumento – la voce cantata – che tentano, insieme, di recuperare tutte quelle cose vetuste e polverose di cui la mente razionale ha creduto di poter fare a meno, relegando l’inconscio alla sfera del linguaggio onirico… Il canto che diventa, insieme al sogno, il mezzo per ristabilire l’equilibrio tra conscio e inconscio e, per dirla con il linguaggio di Jung, «per recuperare la mente originaria che, in età antichissima, costituiva l’intera personalità dell’uomo, poi a poco a poco sommersa e dimenticata dalla progressiva prevalenza della coscienza sull’inconscio.» E se l’arte è propria d’ogni epoca, e le arti figurative apollinee si frantumano in espressioni dionisiache, non ci si dovrà stupire che il linguaggio della musica sia così mutato nell’ultimo secolo (si pensi all’immaterialità delle espressioni contemporanee). Conseguentemente, è mutata la modalità con cui si utilizza la parola in musica, il suono della voce, il timbro del coro, accentuandone la sua dimensione onirica e inconscia, abbandonando la “materialità” di un linguaggio codificato e fatto di norme. Questo ribaltamento di valori nei confronti dei linguaggi è bene descritto da De Chirico quando teorizza la “Pittura Metafisica”, ricordandoci che ogni oggetto, ogni opera d’arte richiama un aspetto che non si manifesta nella forma visibile dell’oggetto rappresentato… In questa chiave lo scrivente interpreta, a suo modo, la poetica di Gilberto Bosco e il suo rapporto con la scrittura vocale e corale, anche confortato in questa personale visione da alcuni momenti di confronto con il compositore che, a proposito degli atteggiamenti e delle scelte compositive messe in atto nel momento in cui affronta o sceglie un testo, afferma di essere influenzato spesso da «un approccio emozionale determinato dalle prime parole del testo» ricordando che anche per Schönberg, in alcune occasioni, «l’impatto con i primi versi (…) fu determinante e generò una spinta che gli permise, a suo parere, di comprendere assai meglio l’intera composizione poetica». Bosco tenta non di evitare, ma di superare il livello del messaggio diretto che il componimento poetico tramanda, per tentare un’interpretazione che assume e fa proprio anche il peso del suono stesso della parola (con tutte le sue implicazioni onomatopeiche profonde), una parola che è formata da vocali e consonanti che suonano con un proprio timbro, che non andrà mai ignorato ma al contrario valorizzato, perché diventa parte della struttura timbrica della scrittura musicale: la parola che si fa suono, quasi avulsa dal contesto ma che, per il fatto di essere stata scelta e di essere compositorE 21 presente in quel momento non lo è, come insegna la scuola psicoanalitica. Ma proprio come in un’architettura ben calibrata possiamo individuare diversi livelli strutturali, il suono della vocale e delle consonanti genera la parola che si organizza in frasi, così la gestione delle cellule musicali successive obbedisce sempre a un criterio di massima attenzione all’impianto formale della composizione. A questo proposito, sono ancora illuminanti le parole del compositore che dice: «il secondo stimolo, che mi ha sempre molto influenzato, deriva dall’architettura. (…) La cosa che mi affascina di un testo, quindi, è la possibilità che intravedo di poterlo (il testo) inserire in una qualche architettura musicale e farlo dialogare con essa.» Come non riconoscere in tutte queste osservazioni una figura di musicista vicino a quella mentalità artigiana tipica del compositore rinascimentale. Anche Stefano Leoni riporta, in una breve nota a un catalogo delle composizioni di Bosco: «Compito, scomodo destino, fatica d’arte e d’artigiano, impegno etico e intellettuale, comporre è per Gilberto Bosco una questione di Mestiere e di Maestria (…)» La cantata Quest’è il giorno è opera particolarmente esemplificativa di questo maturato percorso; edita da Suvini Zerboni, fu scritta su commissione per celebrare i seicento anni dell’Università di Torino. Bosco ha operato in questo caso un’interessante scelta, avvicinando due testi apparentemente assai diversi: alcuni frammenti risalenti al XVIII sec., tratti dagli statuti dell’Università di Torino (parte in italiano e parte in francese) e dei componimenti di Cesare Pavese (paesaggio VI, da Lavorare stanca). Appare evidente che i testi scelti obbediscono a una necessità profonda: la scrittura di Cesare Pavese è quanto di più appropriato ai bisogni del compositore, una poetica fatta di evocazioni crepuscolari, di strutture sintattiche che disegnano emozioni, di parole che pesano, dense di significati archetipi. In qualche modo si può trovare una similitudine con la poetica dell’Haiku, che bene spiega il bisogno di espressione dell’inespresso che Bosco tanto ricerca. La struttura della cantata prevede un’articolazione in alcuni episodi collegati fra loro, di cui diamo breve e sintetica descrizione. La prima parte, N° 1 “molto vivo e teso”, si apre a pieno organico con un disegno ostinato affidato agli archi e con il ritmo di base sottolineato dalle trombe, il tutto immerso in un denso gioco di colori affidato alle percussioni. L’esordio del coro sulla trama orchestrale è imponente nella sua semplicità: sembra un grido l’invocazione “quest’è il giorno” dettata, forse, anche dalla necessità di un ingresso a effetto. Presto il tutto si stempera per disegnare e descrivere, quasi con dei madrigalismi, le varie parti del testo. Il disegno ostinato e ritmico riprende nelle ultime battute e chiude l’episodio. L’episodio N° 5 “molto vivo e teso”, posto a chiusa della cantata, costituisce, in senso formale, una sorta di ripresa di questo stesso numero, sia pure molto variato. Il N° 2 “Camminando, ma senza fretta” è introdotto dalle percussioni, al coro è affidato un episodio ritmico contrapposto al melodizzare del soprano solo, a poco a poco tutti gli strumenti intervengono a dare spessore e pienezza alla partitura. Alle parole chiave “fiorire” e poi più avanti a “nostra regia possanza e piena autorità”, lo stile e la scrittura della parte corale si modifica ancora in senso espressivo. Il N° 3 “Omaggio a Guillaume Dufay” è momento strumentale d’una stupenda delicatezza: su una eterea trama di tremoli e sonorità evanescenti si libra, verso la fine, il canto dell’oboe, unico prezioso elemento melodico riconoscibile. Emerge, forse, “tra le nebbie” precedentemente evocate dal testo? Una pausa dalle tensioni precedenti? Una preparazione al numero successivo? N° 1 “molto vivo e teso” 22 Se l’episodio N° 3 è omaggio alla straordinaria figura dell’autore fiammingo, e ai suoi legami con l’università torinese, il N° 4 “Adagio con espressione” è denso di riferimenti alla scrittura dell’ultimo Rinascimento e del primo Barocco. Si ravvisa all’analisi il tentativo di attualizzare la scrittura imitativa fugata e un’influenza degli autori dell’ultimo periodo madrigalistico, in particolare Gesualdo e Monteverdi, nel trattamento e nella scelta significativa degli intervalli prevalenti. Traspare evidente l’intenzione di dar vita a un episodio intriso di espressività, giustificato dal testo che riesce a conchiudere, nella sua brevità, tutta la centralità del pensiero poetico di Cesare Pavese. Occorre mettere a conoscenza il lettore del fatto che, di questo episodio, il compositore ne ha dato due versioni: una, nel contesto della cantata, si avvale dell’uso degli strumenti dell’orchestra; l’altra ne costituisce un “estratto a cappella per coro con percussione ad libitum” che consente una esecuzione anche in un contesto diverso. Per tutte queste ragioni diamo, di questo episodio, una descrizione maggiormente esaustiva. Il mattino si sarà spalancato in un largo silenzio attutendo ogni voce (perfino il pezzente, che non ha una città né una casa, l’avrà respirato, come aspira il bicchiere di grappa a digiuno). Val la pena aver fame o essere stato tradito dalla bocca più dolce, pur di uscire a quel cielo ritrovando al respiro i ricordi più lievi. Il testo tra parentesi non viene musicato ma è presente, incombente… e sembra confermi in Bosco la certezza di avere bene inteso che, da una frase o da una parola, possono scaturire significanze e significati ulteriori. Ma tanto evidente è la carica espressiva quanto, forte, emerge una sorta di sentimento opposto, quasi di pudore, che impone al compositore di costruire una struttura formale rigorosissima e controllata. Una sorta di esposizione presenta il testo “il mattino si sarà spalancato”, con il soggetto affidato ai tenori a cui rispondono, dopo tre battute, i bassi. Questa banale descrizione non è però esemplificativa della ricchezza di contenuti che si possono evincere. Intanto la scelta dell’intervallo di sesta minore discendente a cui ne segue uno di quarta eccedente in senso contrario sottolinea la pienezza del mattino, che ancora, poi, “si sarà spalancato”, ampliandosi a un intervallo di settima (tenori mis. 5). Volendo proseguire nella ricerca di affinità con la scrittura della fuga, come non notare che la risposta dei bassi presenta una sorta di “mutazione” dell’elemento melodico (mis. 6), dove il precedente intervallo di seconda “spalancato” si muta in una terza… ma, ancora, tutto ciò non per sottolineare una pedante adesione al modello scolastico. Ciò che è invece interessante è il fatto che anche solo una modifica marginale di questo elemento intervallare non fa che sottolineare, in modo assai più evidente di quanto potrebbe apparire alla semplice osservazione, quanto la parola “spalancato” possa beneficiarne in senso madrigalistico. Le due voci proseguono con alcune vocali esclamative, sorta di elemento statico che, calmando il flusso del melodismo precedente, contemplano, riassorbono, evocano… nella versione originale, a partire questo punto, (mis. 8-12) due clarinetti e un fagotto danno vita a un disegno articolato, mentre gli archi sostengono le parti vocali. I rimandi psicologico/evocativi che si possono individuare nelle parole “il mattino… spalancato” guidano il compositore che nel musicare la frase successiva “in un largo silenzio”, richiama gli stessi elementi intervallari in un gioco a rovescio. Tutto ciò completa una sorta di episodio espositivo. Si rilevi come la parola “silenzio” sia resa con diversi artifici, che vanno dalla interruzione repentina seguita da pause (soprano mis. 13-14) a un richiamo di scolastica e autoritaria memoria (soprano mis. 17). L’unica differenza significativa tra le versioni si rileva qui, a partire dalla misura 23 dove, nella versione con orchestra, si compositorE 23 apre un importante episodio strumentale di tre misure, cassato nella versione a cappella che prosegue poi invariata (da quella che diventa la nuova misura 23). percussione “ad libitum” (crotali) che sottolinea la chiarezza dell’elemento aereo con il suo argentino vibrare e la complessa gamma timbrico/armonica che ne scaturisce. Il parallelismo con il modello imitativo tradizionale può ancora proseguire e, a partire da questo punto, si può individuare una combinazione degli elementi precedenti, diretti e rovesciati, enuncianti il testo “val la pena” in uno “stretto”, che crea tensione ritmica e crescendo e porta a un primo culmine espressivo alle parole “esser stati traditi” dove, per la prima volta, si crea una sorta di episodio omoritmico/ recitativo di grande effetto e pathos. Anche le voci si calmano e si fanno ora luminose, reiterando insistentemente la lunga nota acuta fa, dalla quale prendono forma sottili ornamenti discendenti che, dolcemente, muovendosi in un soffio terso di vento, si dipanano… “ritrovando al respiro i ricordi più lievi” e concludendo la composizione con un suono grave cantato a “bocca semichiusa” dai contralti. La tensione espressiva cede poi un poco, lasciando spazio ancora al caratteristico soggetto melodico imitato, che si ammorbidisce e si stempera alla “dolcezza” imposta dal testo. È, infine, ancora il soprano che si eleva, per la seconda volta, alla nota più alta richiesta “pur di uscire a quel cielo” dove, nella misura 33 della versione a cappella, esordisce la il teatro prima del teatro mont Monteverdi e la verità musicale di Dario Tabbia direttore di coro e docente di esercitazioni corali al conservatorio di torino Innumerevoli sono gli studi che, negli ultimi decenni, musicisti e musicologi hanno dedicato a Claudio Monteverdi e alle sue opere. Oggi disponiamo di una grande quantità di materiali, analisi, saggi e revisioni critiche che consentono all’interprete o allo studioso di avvicinarsi alla sua musica con sufficiente consapevolezza. Eppure, chiunque abbia avuto occasione di eseguire le sue composizioni non ha potuto evitare un impatto emozionale talmente forte da creare un coinvolgimento non solo estetico, in certi casi addirittura fisico. Molte persone, musicisti e non, mi hanno confidato di restare talmente coinvolti dall’ascolto o dall’esecuzione di certi brani al punto di non poter controllare la propria emozione. Monteverdi stesso, nella prefazione al Combattimento di Tancredi e Clorinda afferma che in occasione della prima esecuzione il pubblico fu quasi «per gettare le lagrime», non diversamente dal pianto di pochi mesi fa di una giovane allieva al suo primo ascolto dell’opera, senza che la stessa riuscisse a darsene ragione. Cercare di spiegare perché la sua musica riesca a emozionarci così tanto a distanza di secoli è tanto ambizioso quanto inutile, ma rimane un fatto indiscutibile. Eppure i suoi madrigali, da un punto di vista puramente tecnico, non presentano novità assolute: non c’è un uso della dissonanza diverso o più ardito rispetto ad altri autori e neppure novità strutturali che prima non fossero già state sperimentate. Tuttavia c’è un qualcosa di apparentemente non spiegabile che riesce a entrare in contatto con la nostra componente emotiva e nervosa più nascosta. Ma perché? In realtà quanto prima affermato circa la non assoluta originalità è, ovviamente, in parte inesatto. Con Monteverdi si apre una strada nuova (quella da lui stesso indicata come seconda prattica) che vede nel testo poetico la più autentica forza ispiratrice, ma anche quest’ultima caratteristica non può essere attribuibile al solo Monteverdi. Ciò che cambia, invece, è la sua capacità unica di leggere il testo nelle sue implicazioni reali, sceniche, teatrali appunto. In molti dei suoi madrigali è possibile riconoscere piccoli quadri, “scene liriche” nelle quali i personaggi vivono e agiscono come uomini veri e propri. Si può quindi ben comprendere la scelta di privilegiare testi che offrano già in partenza queste soluzioni. Si veda, a proposito, la grande attenzione dedicata alle opere del nova et vetera 25 Guarini e, in particolare, al suo Il Pastor fido da cui moltissimi passi sono stati estrapolati e musicati. Figure quali Amarilli e Mirtillo, Silvio e Dorinda nella commedia pastorale, Armida e Rinaldo, Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme del Tasso acquistano nella musica monteverdiana vita propria: parlano, soffrono e amano come veri esseri umani e non come arcadiche figure appartenenti a un mondo ideale. La realizzazione musicale è attentissima a rispettare il carattere di questi personaggi: melodie, ritmi e alterazioni sono in ogni momento sorprendentemente coerenti con l’espressione poetica. Nulla è gratuito, superfluo o generico. Amarilli per convincere Mirtillo del proprio amore non può che dire quelle parole e quindi non può cantare altre note. Ciò che prova realmente si rivela grazie a un’inflessione melodica o a un’alterazione inattesa. Quando nel celebre O Mirtillo del quinto libro Amarilli si preoccupa di rassicurare l’amato della sincerità e intensità del proprio amore, in corrispondenza del passo “se vedessi qui dentro come sta il cor di questa” Monteverdi sceglie di alterare in senso ascendente e quindi rafforzativo una nota del cantus proprio in corrispondenza della parola “dentro”. Una semplice alterazione, nulla di più, ma che arriva nel momento giusto, all’apice dell’espressione e diventa proprio ciò di cui Mirtillo ha necessità. Egli non deve temere: quella nota, quella parola è sinceramente ricca e piena d’amore. È questo un classico esempio di quella che viene definita alteratio causa pulchritudinis, non necessaria al contrappunto, indispensabile invece alla verità musicale che, per Monteverdi in primis, diventa importante tanto quanto il mezzo tecnico usato per realizzarla. In cosa consiste dunque la straordinaria forza espressiva della sua musica? Personalmente ritengo che la capacità di sintesi fra testo e realizzazione musicale rappresenti uno degli aspetti più interessanti. Raccogliendo un’ eredità espressiva che egli stesso faceva risalire a Cipriano de Rore, Monteverdi evita accuratamente le trappole che immagini testuali e poetiche offrono al compositore più superficiale e ingenuo. Molti sarebbero gli spunti che si presterebbero a una pittura musicale, a un’enfasi, a un madrigalismo, ma cedere al virtuosismo contrappuntistico potrebbe distrarre l’attenzione dell’ascoltatore dal climax espressivo, dall’autentico significato cui tende il testo poetico, dalla verità insomma. Con grande sicurezza egli punta dritto al cuore dell’espressione musicale e la raggiunge con mezzi tanto semplici quanto efficaci. È pittura a tinte forti quella di Monteverdi, senza sfumature o macchie, ricca di colori accesi come quelli che caratterizzano gran parte della pittura veneziana della fine del Cinquecento nella quale il colore, appunto, è considerato mezzo espressivo e non più decorativo, al pari della disposizione prospettica delle figure o del loro significato simbolico. Nella sua musica grande importanza acquista poi il ritmo, utilizzato anch’esso come strumento di grande possibilità comunicativa. Partendo dal concetto di pulsazione come equivalente del battito cardiaco, egli elabora questo concetto alterando i valori ritmici in corrispondenza di altrettanti mutamenti emozionali contenuti nel testo. Sa bene che le emozioni più vere, i sentimenti più intensi quali la pena amorosa, il dolore, la gioia, la sofferenza alterano la frequenza dei nostri battiti. Una musica che tenda a una sincera rappresentazione della vita affettiva e materiale non può quindi essere rappresentata da una pulsazione regolare. I ritmi puntati, sincopati, irregolari, fino ai famosi concitati impiegati così efficacemente nell’ottavo libro (vedi in particolare il Combattimento di Tancredi e Clorinda) sono utilizzati per aderire alle diverse situazioni emotive. La coerenza si spingerà fino ai limiti estremi come dimostrano le declamazioni libere di Sfogava con le stelle (quarto libro di madrigali) nel quale lo slancio amoroso non può essere rappresentato con una serie di figure ritmiche precise perché significherebbe “controllare” il fervore declamatorio dell’amante appassionato; nel celebre Lamento della ninfa (ottavo libro di madrigali) egli stesso avverte che la necessità di mettere in partitura il brano (e non, come d’uso, a parti separate) deriva dal fatto che esso «va cantato a tempo dell’affetto dell’animo»: la complessità emozionale del personaggio non può consentire di cantare “a tempo” e i pastori devono poter accompagnare la ninfa nel suo sfogo inquieto. Monteverdi non è uomo che ama ipocrisie o compromessi. La pena d’amore, quella autentica, schianta e brucia, provoca in egual La distanza che intercorre tra il madrigale rappresentativo e la scena d’opera è molto breve. teverdi 26 misura dolore, gioia, affanno: il cuore non rimane indifferente di fronte a sentimenti così intensi e le alterazioni del nostro battito ne sono una prova. In altre parole egli rappresenta una poetica musicale che tende alla vera rappresentazione del mondo esterno alla coscienza: non solo amori ma anche guerre e battaglie (vedi il titolo dell’ottavo libro Madrigali guerrieri et amorosi) poiché esse fanno parte del quotidiano e non è possibile ignorarle. La musica deve descrivere il mondo circostante, nelle sue espressioni gioiose e drammatiche, senza limitarsi ad accarezzarne la superficie ma scavando nelle pieghe dell’animo, andando al cuore della verità musicale. La distanza che intercorre tra il madrigale rappresentativo e la scena d’opera è dunque molto breve. Si pensi al trittico Vattene pur, crudel contenuto nel terzo libro di madrigali nel quale la maga Armida maledice l’amato Rinaldo che la abbandona per tornare alla guerra contro i saraceni. In esso troviamo un uso del madrigalismo che appare nuovo nella sua applicazione. Il passo Gli scogli e l’onde non è la solita pittura musicale caratterizzata da scale ascendenti e discendenti che evocano alle orecchie il moto ondoso, ma acquista una forza rappresentativa tale da evocare davanti a noi la tempesta vera e propria che la maga intende scatenare contro il traditore: non è più l’elemento mare che tanti compositori avevano già descritto con melodie flessuose a essere rappresentato ma l’azione che si svolge direttamente sotto i nostri occhi. Come pure il passo cromatico che accompagna lo svenimento di Armida, nel quale non è tanto importante il moto discendente della melodia, ma l’indeterminatezza tonale che rappresenta la perdita della percezione della luce, l’offuscamento, la debolezza del tono muscolare. La forza della sua musica, quella che arriva dritta al nostro sistema nervoso, consiste in questa inscindibile unione fra semplicità del mezzo tecnico compositivo e significato testuale. Non c’è spazio per fronzoli, abbellimenti o dilatazioni formali: egli ha a cuore la descrizione fedele della realtà, non di qualcosa che le assomiglia. A dimostrazione di questo si veda come egli sia uno dei primi autori a non lasciare tanta libertà nell’esecuzione delle diminuzioni vocali, che sempre più frequentemente sono realizzate dallo stesso Monteverdi: il rischio, infatti, è che un abbellimento eseguito per semplice sfoggio virtuosistico possa togliere forza ed efficacia alla musica. Anche per questi motivi egli privilegiava voci espressive, prima ancora che belle nel senso moderno. Per Monteverdi i due termini coincidono: la voce bella è quella capace di essere espressiva, di commuovere. Non sarà fuori luogo ricordare che quando fu costretto a sostituire la giovanissima Caterina Martinelli, morta precocemente di vaiolo, la quale avrebbe dovuto essere la protagonista della Arianna, egli scelse non una cantante capace di recitare bensì un’attrice che sapesse cantare. Verrebbe da chiedersi a questo punto se uno dei motivi per cui la sua musica ci è ancora così vicina non consista proprio nel fatto che essa dia voce ai sentimenti dell’animo umano, senza finzioni, senza censure. Le sue melodie così vicine all’inflessione recitata, i suoi ritmi energici articolati su armonie costruite sui gradi forti della scala danno vita a una musica fortemente espressiva, umana. Quando la forma del madrigale diventerà stretta, quando l’estratto da un dramma pastorale sarà troppo breve allora bisognerà ricorrere a veri e propri libretti, avremo bisogno di spazi più grandi, trasferiremo le nostre vicende in un luogo che le rappresenterà e il teatro diventerà così lo spazio nel quale gli uomini sceglieranno di mettere in scena le proprie passioni, fino a deformarle. Monteverdi ci ha insegnato ad accettare la vita in tutte le sue espressioni, creando un linguaggio che partendo dal cuore arriva al cuore. Di questo, di questa musica avremo sempre bisogno. nova et vetera 27 la fuga Dalla terminologia all’analisi di Piero Caraba compositore e docente presso il conservatorio di perugia Il Kyrie del Requiem di Mozart Dopo aver chiarito la terminologia che individua gli elementi di una fuga e cercato di sgombrare il campo dai luoghi comuni e dagli errori, spesso terminologici, con cui di frequente la fuga viene trattata,1 passiamo ora all’analisi di quel particolare capolavoro che è il Kyrie del Requiem KV 626 di Mozart. È bene dire subito che si tratta di una doppia fuga, in quanto il controsoggetto invece di presentarsi assieme alla risposta, entra da subito, quasi insieme al soggetto. Prassi, questa, molto frequente e prevista come variante della fuga in tutta la trattatistica settecentesca.2 In tal caso questa seconda entrata, in luogo di controsoggetto, viene chiamata secondo soggetto, definizione che meglio determina la parità di importanza tra i due elementi, mai così evidente come in questa circostanza. Il soggetto, enunciato dai bassi sulle parole “Kyrie eleison”, prende avvio dalla nota dominante della tonalità di impianto, e pone immediatamente in evidenza l’intervallo di settima diminuita si bem-do diesis, su cui torneremo tra poco. Le successive due battute non sono altro che una scala di re minore per grado congiunto dalla sensibile do diesis alla dominante la, alla quale le crome ribattute prima e le semicrome di volta poi, imprimono una progressiva spinta dinamica. La quarta battuta è risolutoria della precedente tensione, con l’immediata discesa, sempre per grado congiunto, a partire dalla dominante appena raggiunta. Ma torniamo all’intervallo di settima diminuita, e alla tonalità di impianto: re minore. È la tonalità del Don Giovanni, e l’intervallo di settima diminuita, con l’accordo che lo prevede, caratterizza i due momenti fondamentali su cui l’opera si tende: la morte del Commendatore all’inizio del primo atto, e la sua fatale ricomparsa “da morto” nella resa dei conti finale con il protagonista. La settima diminuita nel tono di re minore nel Don Giovanni è per Mozart la porta di entrata e di uscita dagli inferi; qui, nel Kyrie, ogni volta, e con sempre maggiore efficacia, è come un sipario che si spalanca per dare spazio al secondo soggetto. Questo, nelle parole “Christe eleison”, prende avvio dalla ripercussione di tre crome, poi un inarrestabile roteare di semicrome fino al conclusivo precipitare della scala discendente (battuta 3) che, con il suo arco teso ancora una volta tra gli estremi dell’intervallo di settima diminuita si bem-do diesis va a chiudere quella porta in precedenza aperta di salto dal primo soggetto con lo stesso intervallo e le medesime note. Brevissime codette, nel primo e nel secondo soggetto, consentono di volta in volta i collegamenti con il tono delle entrate successive. Alla quarta battuta entrano i soprani e cantano la risposta al primo soggetto. Si tratta di risposta tonale. Ne è conferma la mutazione 3 dell’intervallo tra le sillabe “ri-e” della parola “Kyrie”: alla terza maggiore del soggetto (la-fa) corrisponde sulle stesse sillabe della risposta la seconda maggiore (re-do). I tenori entrano alla battuta 5, e cantano la risposta al secondo soggetto. Qui la risposta è reale, in quanto tutta alla dominante rispetto alla prima comparsa del La settima diminuita è come un sipario che si spalanca. secondo soggetto. Ci troviamo ora nella tonalità di la minore, e in questo tono, sulla battuta ottava possiamo intendere conclusa l’esposizione della fuga. A questo punto ci aspetteremmo dei divertimenti o almeno degli episodi di collegamento per consentire nuove esposizioni dei soggetti. La caratteristica di questa fuga è invece quella di essere costruita su una sequenza inarrestabile di continue riesposizioni dei due soggetti. La tecnica è questa: delle quattro voci, due sono sempre impegnate a presentare i soggetti, mentre le restanti due si producono in un contrappunto sempre diverso in ciascuna delle riesposizioni. Sono queste due voci, in pratica, a costruire i divertimenti, ma sovrapposti alle riesposizioni dei soggetti nelle diverse tonalità affini al re minore d’impianto. Nel corso della composizione il primo soggetto viene riproposto quasi consecutivamente ben dodici volte, con quell’autorevole e severo intervallo di settima diminuita che solo per due volte si stempera in una settima minore. Ciò accade nelle sole due esposizioni in tonalità maggiore: a battuta 16 (nel tono di fa maggiore) e a battuta 27 (nel tono di si bem maggiore), e sono i soprani a presentarle. Con il tono maggiore certamente 28 permane l’autorevolezza del soggetto, ma una rassicurante speranza e, se possibile, un gesto di magnificenza ancora più ampio pervade i due episodi e altrettanti respiri offrono conforto all’inflessibile progredire delle tonalità minori. Dalla battuta 33 si entra nella lunga pagina conclusiva, organizzata in poderosi stretti costruiti sul secondo soggetto, quello sul “Christe eleison”, per intenderci, con quel rocambolesco roteare di semicrome che nello stringersi delle entrate diviene letteralmente inarrestabile. C’era stato in precedenza un accenno di “stretto” del primo soggetto, quando, a battuta 29, i bassi erano entrati prima che i soprani avessero terminato la loro esposizione nel tono di si bem maggiore, costringendo i tenori alla ripresa daccapo del secondo soggetto di cui avevano appena cantato il frammento iniziale (vedi tenori, battute 28-31). Ora, nel finale, tra i tanti elementi geniali, c’è lo stretto organizzato per quinte ascendenti. L’effetto già in sé grandiosamente efficace delle entrate in successione ascendente a partire dai bassi fino ai soprani, è amplificato in modo esponenziale dall’attacco per quinte, sulle note do (bassi), sol (tenori), re (contralti), la (soprani), peraltro contro ogni regola stabilita. Un altro stretto condurrà alla cadenza conclusiva, ma con diversi intervalli di attacco. Siamo alla battuta 44, e le entrate in successione, sempre sul secondo soggetto, saranno W.A. Mozart, Kyrie da Requiem KV 626. bassi-soprani-contralti-soprani, rispettivamente sulle note la-la-mi-mi, proponendo quindi la quinta entro cui è racchiusa la tonalità dominante di quel re minore cui il finale della fuga è diretto. Finale che è preparato dalla massima sospensione possibile, concretizzata nell’accordo sul battere della misura 50. L’efficacia è data dal fatto che tale accordo, oltre a costituire cadenza evitata, 4 è un accordo di settima diminuita, quindi concentra in sé due elementi marcatamente sospensivi. La pausa di semiminima che segue fa il resto, e porta al parossismo la necessità di una risoluzione. E la risoluzione arriva, tanto liberatoria quanto priva di confini rassicuranti, con l’accordo finale a quinte vuote che spalanca l’immaginario sull’ignoto di cui è significante. 1 Vedi La Fuga, dalla terminologia all’analisi, Choraliter n° 31, gennaio aprile 2010, pp 29-31. 2 Ad esempio cfr J.G. Albrechtsberger, Gründliche Anweisungen zur Komposition, Vienna 1790. 3 Per le ragioni di tale risposta, e dunque della mutazione si veda l’articolo di Choraliter già citato in nota. 4 Ricordiamo che per cadenza evitata si intende la successione di un accordo di quinto grado di una certa tonalità seguito da accordo appartenente ad altra tonalità. nova et vetera 29 30 IL RAPPORTO TRA TESTO E MUSICA nell’interpretazione di un canto popolare di Sergio Bianchi direttore del coro val tinella e docente al conservatorio di como Capita talvolta di ascoltare esecuzioni precise nell’intonazione e nel ritmo, equilibrate nella realizzazione degli accordi, attente alla dinamica indicata, ma che sono poco coinvolgenti, ci lasciano indifferenti. Al contrario altre interpretazioni riescono a emozionarci e trascinarci nel flusso dei suoni. Come può uno stesso brano determinare reazioni così differenti? Evidentemente la situazione psicologica di chi è coinvolto come esecutore o come ascoltatore o quella determinata da una particolare circostanza non possono essere prese in considerazione, perché sono variabili imprevedibili. Concentreremo quindi la nostra attenzione su elementi esclusivamente musicali. Innanzitutto un brano vocale propone un testo letterario e quindi la sua analisi, la sua comprensione e la comprensione dei rapporti con la melodia e l’armonia sono passaggi indispensabili per uno studio serio della composizione musicale. Troppe volte il testo viene trattato come un ausilio su cui intonare una serie di suoni (quasi fosse un tropo o una sequenza di origine medioevale), oppure si canta senza capire il significato delle parole (se il testo è in lingua straniera o è scritto in un dialetto non familiare). Il risultato è che le parole vengono enunciate come se ci si trovasse davanti a un seguito di nomi, quasi fosse un elenco telefonico. Può essere un utile esperimento chiedere ai coristi (e talvolta anche ai maestri) il significato, il valore, le sfumature di un testo tante volte cantato. Risulterà interessante valutare le risposte. Occorre quindi comprendere il testo, e per far questo, per dare il giusto valore al “clima” generale e alle singole espressioni occorre individuarne le origini. A volte un testo è di autore ignoto… La maggior parte della gente ama pensare che questo tipo di musica sia cresciuta, come Topsy (personaggio del famoso romanzo di H.B. Stowe La capanna dello zio Tom), in modo spontaneo, senza un compositore. È un’idea sbagliata, perché anche una canzone o una danza popolare sono state scritte da qualcuno; il fatto è che in genere non sappiamo chi sia. Qualcuno le ha scritte – o almeno le ha inventate – poi sono passate di padre in figlio e di madre in figlia per centinaia di anni, senza necessariamente essere state messe nero su bianco”. 1 Altre volte il testo subisce modifiche, rielaborazioni nello scorrere del tempo o nelle trasmigrazioni in aree geografiche diverse. Si pensi a quanto è successo a un famosissimo canto degli alpini, Il testamento del capitano. La vera e sicura origine di quello che potremmo definire il più classico, il più nobile fra i canti degli alpini si riscontra nel canto funebre cinquecentesco Il testamento spirituale del Marchese di Saluzzo. Il Nigra ce ne tramanda le versioni in piemontese arcaico, ritenute più originali (Canti Popolari del Piemonte, Torino 1888) e già nel 1858 traccia dettagliatamente la vicenda storica a cui è legato. Michele Antonio, undicesimo marchese di Saluzzo, capitano generale delle armi francesi nel reame di Napoli, mortalmente ferito da un obice durante la difesa della fortezza di Aversa assediata dalle truppe borboniche, nel 1528, così esprime le sue ultime volontà ai soldati riuniti intorno al letto di morte: “V’aricomand la vita mia che di quat part na debie fè. L’è d’una part mandela in Fransa e d’una part sul Munferà. Mandè la testa a la mia mama, ch’a s’aricorda del so prim fiol. Mandè ’l corin a Margarita ch’a s’aricorda d’so prim amur”.2 Attraverso oscure vie il canto aveva intanto attecchito nel Trentino e nel Veneto con diversi titoli (Il capitano della Salute, Il capitano della Marina), così che nel 1886 il colonnello garibaldino N. Bolognini, ignorando il vero iter del testamento, ne pubblicò una versione grottesca, ritenuta originale del trentino, nell’Annuario della Società Alpinisti Tridentini. Ma la canzone non godrebbe dell’attuale notorietà se durante la Grande Guerra gli Alpini non se ne fossero impossessati adattandola ai loro casi, e se ancora nell’ultimo conflitto non fosse stata ripresa dai soldati. Attraverso i successivi adattamenti, ai poveri resti del Capitano furono attribuite le più disparate destinazioni (per esempio: Un part mandèla in Franza divenuta poi volta a volta: La prima parte al Re di Francia, Il primo pezzo al Re d’Italia, e ancora Il primo pezzo alla mia Patria).3 testo Non sempre il testo che cantiamo è nato contestualmente a una certa melodia. Possiamo ricordare i canti O Tannenbaum e Au Mont Blanc. La genesi del canto natalizio è interessante: – il testo della prima strofa fu composto nel 1820 da August Zarnack, con parole tratte dal canto popolare del XVI secolo: Ach Tannebaum; – il testo della seconda e terza strofa è invece opera di Ernst Anschutz, che lo scrisse nel 1824 aggiungendolo alla strofa di Zarnack; – la melodia è la stessa sulla quale, nel 1700, i goliardi tedeschi cantavano la leggenda popolare “Lauriger Horatius” che nel 1820 fu unita alla strofa di Zarnack e, più tardi, a quella di Anschutz. È curioso scoprire che nella Val d’Aosta la stessa melodia è stata utilizzata per magnificare le bellezze del monte Bianco. canto popolare O Tannenbaum Au Mont Blanc (Val d’Aosta) O Tannenbaum, o Tannenbaum, wie treu sind deine Blätter! Du grünst nicht nur Sommerszeit, nein, auch im Winter, wenn es schneit, O Tannenbaum, o Tannenbaum wie treu sind deine Blätter! ecc. O fier mont Blanc, roi des sommets, salut à ta puissance; ta flèche au dessus des guérets des pavillons de nos forêts, et des glaciers aux bleus reflets dans le grand ciel s’élance. ecc. Vi è stata quindi una trasmigrazione, attraverso chissà quali vie, di una melodia e l’adattamento di un nuovo testo. L’autore, o gli autori, di tale operazione agirono probabilmente istintivamente. La solennità della melodia tedesca sembrò loro adatta a esprimere la grandiosità e la “potenza” della vetta ritenuta la più alta d’Europa. In questo caso la musica ricrea il clima generale anche perché, trattandosi di un canto strofico, non può focalizzare espressioni o momenti particolari del testo. Questo ultimo aspetto crea un problema è particolarmente importante, perché la maggior parte delle composizioni popolari adotta un testo strofico e il compito dell’esecutore, meglio ancora dell’interprete, è quello di evitare una ripetizione sostanzialmente identica e quindi monotona. Può essere ancora interessante osservare la varietà di testi che nello scorrere del tempo sono stati inseriti su una stessa melodia. Ascoltando un famoso canto della prima guerra mondiale intitolato Ta-pum siamo portati a pensare a un inscindibile legame tra testo e musica. o Venti giorni sull’Ortigara senza cambio per dismontar ta-pum ta-pum ta-pum. E domani si va all’assalto soldatino non farti ammazzar ta-pum, ta-pum, ta-pum. ecc. L’onomatopeico “ta-pum” sta a imitare il colpo di fucile seguito dall’eco dello sparo nella valle e l’andamento calmo della linea melodica, il suo costante ripiegarsi bene si adattano al testo mesto e sconsolato. In realtà la sua origine risale a un vecchio canto di minatori, nato durante i lavori di scavo della galleria ferroviaria del Gottardo, tra il 1872 e 1880 (il “ta-pum” in quel caso si riferiva allo scoppio delle mine): 31 Dalle sei e mezza minatori che và a lavorà; ’pena giunti all’esercizio sette colpi son scoppià. Maledetto sia il Gottardo gli ingegneri che l’hanno traccià: ecc. Sulla stessa melodia sono nati in seguito una filastrocca infantile Eravamo in quindici siamo rimasti in dodici sette per fare musica e cinque per fare “ta-pum”. E un canto della resistenza Questa sera si va in azione, siamo rimasti in dodici partigiano non farti ammazzar… sette per fare musica ta-pum, ta-pum, ta-pum… e cinque per fare “ta-pum” ta-pum, ta-pum, ta-pum… ecc. Come comportarsi in questi casi? Occorre prendere in considerazione non solo il testo ma l’armonizzazione proposta confidando nell’abilità del musicista. 4 Il testo di riferimento è ovviamente quello preso in considerazione nel brano che si sta studiando anche perché è quello tenuto presente dal musicista che ne ha creato l’armonizzazione. Questo fenomeno (l’utilizzo di più testi su un’unica melodia) 32 I canti più antichi o di origine certamente popolare si ritrovano soprattutto nella prima categoria in cui è presente un unico modello melodico e armonico (La cieseta de Transacqua), mentre le composizioni più recenti, in cui si diversificano i parametri musicali per aderire maggiormente al testo, nella seconda e terza categoria (Rifugio bianco di Bepi De Marzi e Fiabe di Marco Maiero). Prendiamo in considerazione un canto strofico: La cieseta de Transacqua proposta nella armonizzazione Cauriol. Il testo così recita: As tu vis la cieseta de Transacqua col Cimon de la Pala sòra i copi? * Te g’ha i oci ciàri come l’acqua e i cavei è rizi e senza sgropi. Mi g’ho vis la cieseta de Transacqua ma ’l Cimon de la Palo no xera; * sòra i copi lustri de tant’acqua gh’era solo ’na nuvolona nera. non deve meravigliare, perché affonda le sue radici in una prassi antichissima che risale al corale luterano. Martin Lutero, per favorire la partecipazione del popolo alla liturgia attraverso il canto, adatta il testo sacro a melodie preesistenti conosciute in modo che tutti potessero intervenire con facilità. È significativo ricordare che la melodia utilizzata da Bach sui versi di Paul Gerhart in una stupenda pagina della Passione secondo Matteo, tanto bella da farci pensare a una inscindibile unione e a una creazione originaria per illustrare quel testo, è in realtà una trasformazione della melodia creata da Hans Leo Hassler per una canzone d’amore: Mein Gmuth. Ecco i testi della canzone e del corale: Nella ciesa canta Messa ’l prete sul Cimon de la Pala fischia il vento. * Cossa importa se g’ho le scarpe rote se nel fondo del cor mi son contento. La mia anima si è smarrita per colpa di una tenera ragazza. Sono completamente turbato, il mio cuore è duramente ferito. Non ho pace né di giorno né di notte. Continuamente erompo in lamenti, sospiro e a lungo piango; mi perdo d’animo nei vincoli del dolore. Oh Capo coperto di ferite e di sangue, chino sotto il peso del dolore e dello scherno! Oh Capo incoronato di spine e deriso! Oh Capo, così alto nella gloria e travolto dall’ingiuria. Io ti saluto! Entrando nel vivo del rapporto tra testo letterario e musica occorre tener presente che fondamentalmente la casistica è riconducibile a tre modelli, gli stessi adottati per la classificazione dei Lieder: – il Lied strofico semplice in cui melodia e accompagnamento (nel nostro caso: armonizzazione) sono uguali per tutte le strofe; – il Lied strofico variato in cui melodia e accompagnamento (armonizzazione) cambiano in alcune strofe; – il Lied in cui una melodia e un accompagnamento (armonizzazione) sempre nuovi seguono fedelmente il testo (durkcomponiertes Lied). Osservando la parte letteraria si può cogliere la presenza di due testi combinati fra loro (uno descrive l’ambiente, l’altro è più personale e riguarda la bellezza di una fanciulla e i sentimenti del “protagonista”) e la presenza di un punto di domanda alla conclusione del secondo verso della prima strofa. Nelle strofe successive non solo non vi è traccia del punto interrogativo, ma al contrario il testo suggerisce una situazione compiuta e ben definita. 5 canto popolare L’analisi della melodia ci permette di cogliere l’attenzione dedicata al punto di domanda evidenziato da un innalzamento della linea melodica in corrispondenza del monosillabo “oh”. L’armonizzatore opportunamente ha inserito il passaggio in un contesto tonale e armonico conclusivo utilizzando un accordo di do maggiore impiegato nella posizione melodica di terza, cioè in una disposizione che comunica un senso di apertura. (*) Risolto in modo appropriato il verso nella prima strofa, rimane il problema delle successive. Come comportarci visto il diverso significato? Ci viene in aiuto il grande scrittore tedesco Goethe che parlando di Lieder strofici così si esprime: «È compito del cantante [del coro, del direttore, diremmo noi] e non del compositore, evidenziare sulla scorta di un’unica melodia, i significati più disparati delle singole strofe…» Il brano propone un altro problema: alle battute 4 e 12 c’è una corona che si colloca alla conclusione del primo e terzo verso. Credo sia importante non dare particolare durata a tali corone 33 personale piena di ammirazione e commozione: guarda quanti fiori. La seconda osservazione riguarda la presenza nel testo dell’espressione “la-oh” (fra il terzo e quarto verso) e inserito invece ben quattro volte nella partitura. Le due osservazioni sono direttamente legate perché molte volte capita di ascoltare esecuzioni in cui il “la-oh”, tradotto in musica da valori ampi (alle battute 4 e 8 la seconda sillaba vale addirittura una minima puntata, valore utilizzato anche alla conclusione della strofa), crea ampie soste che spezzano irrimediabilmente il fluire del canto. Bepi De Marzi mostra una cura particolare nell’elaborare la melodia e l’armonia. Un’attenzione rispettosa verso il testo e la musica è fondamentale. se non si vuole spezzare il canto: il testo suggerisce una inscindibile unione fra primo e secondo verso e poi fra terzo e quarto. Una sosta eccessivamente prolungata creerebbe una cesura del tutto inopportuna. Ci conforta in questa affermazione la scelta operata dall’armonizzatore che in entrambi i casi propone un’armonia di dominante che crea un senso di sospensione e che necessita di una risoluzione. Al contrario, la conclusione dei versi pari che corrispondono alla chiusura di un concetto è affidata a un accordo di tonica prolungata per ben quattro quarti (i valori più lunghi di tutto il brano). Prendiamo ora in considerazione la composizione di Bepi De Marzi Rifugio bianco. Concentriamo la nostra indagine sui primi quattro versi: Pena passà la valle e dopo un fià de bosco se slarga i prà nel cielo, la-oh, varda quanti fiori. Si possono fare due osservazioni. Nei primi tre versi si descrive l’ambiente in cui si svolge l’escursione: il sentiero si inoltra in una valle, attraversa un bosco, e poi man mano che si sale la vegetazione diventa più contenuta sino a ridursi a soli prati. Prati che si stendono a perdita d’occhio e sembrano congiungersi con il cielo. Segue una riflessione Si osservino alcuni passaggi: – l’inizio viene affidato a due voci all’unisono, poi se ne aggiunge una terza e una quarta e in breve la fascia sonora si amplia sino a un intervallo di decima (si tenga presente che le parti scritte in chiave di violino vanno pensate una ottava sotto); quasi a voler suggerire l’aprirsi della valle; – l’espressione “se slarga i prà nel cielo” è resa con un andamento contrario delle linee melodiche dei tenori primi e dei bassi, giungendo sino al suono più acuto e all’apertura più ampia sin qui utilizzata, una tredicesima (possiamo quasi parlare di “madrigalismo”); – subito c’è un ripiegamento e il conseguente restringimento sino a una quinta su un’armonia di sopratonica di la bemolle maggiore (o di tonica di si bemolle minore); il verso successivo, quasi una riflessione ad alta voce, segna un ulteriore ripiegamento con conclusione sull’armonia di tonica di la bemolle maggiore; ma il testo non è concluso 34 – il direttore deve essere umile e deve quindi cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni (storiche e musicali) su quello che si appresta a dirigere. Toscanini sosteneva che la prima qualità di un direttore è l’umiltà! e allora De Marzi ricorre a un ennesimo “la-oh” per introdurre una situazione di apertura con l’armonia di dominante; – non è importante se l’autore sia arrivato a queste soluzioni in maniera conscia o inconscia (è sempre possibile domandarglielo), quello che conta è il dato di fatto e quindi la constatazione di una attenzione ai singoli versi che concorrono a una espressione generale; le singole frasi musicali devono quindi trovare una loro spiegazione nel contesto della strofa che a mio parere disegna un arco tensivo che trova il culmine alla battuta 11, per poi ripiegarsi nelle battute successive; – i singoli “la-oh” devono essere quindi rispettati, ma caricati di una tensione che deve condurci fino lassù, dove “se slarga i prà nel cielo”; giunti al culmine lo spettacolo non lascia indifferenti e spontanea nasce una osservazione, “varda quanti fiori”, un’osservazione che non è gridata ma che ciascuno vive dentro di sé, nel profondo del proprio cuore; risultano quindi opportune le indicazioni dinamiche che suggeriscono un diminuendo e il restringimento dello spazio sonoro. Le osservazioni proposte si basano su elementi oggettivi (melodia, armonia, ampiezza della fascia sonora, dinamica…) e nascono dall’indagine di quanto la musica propone. Spesso chi canta o dirige si lascia guidare dall’istinto, convinto che “il proprio modo di sentire” sia una guida sicura e infallibile. L’affermazione è suggestiva, occorre però tenere presenti alcuni aspetti fondamentali: – l’istinto funziona molto bene se è musicale; – il coro non è solo la somma di tante voci, ma anche di tante “teste” e i modi di intendere possono essere molto diversi; – il direttore non solo deve indicare attacchi, conclusioni, tempo dinamica, ma deve suggerire una interpretazione che è il frutto di uno sforzo comune; Un’attenzione rispettosa verso il testo e la musica è fondamentale. Si tenga ancora presente che il semplice testo letterario ha una sua musicalità, frutto del suono della parola e degli accenti della stessa. Accenti che il musicista deve rispettare se non vuole storpiarle incautamente o se non vuole ottenere effetti grotteschi. La scelta di un metro (più comunemente, ma imprecisamente definito tempo) determina una regolare successione di accenti forti e deboli che nella musica con testo letterario devono guidarci nella pronuncia e nel canto. Si osservi la cura con cui Bepi De Marzi rispetta il testo, disponendolo entro un metro ternario e scegliendo valori e melodie adatte a esaltarne il significato: Non tutti gli accenti hanno la stessa importanza. Se esiste una gerarchia all’interno della parola, ne esiste una ancora più importante all’interno della frase: pensate quale monotonia, quale antimusicalità risulterebbe da una successione di accenti tutti uguali. Un anziano insegnante di musica corale e direzione di coro del conservatorio di Milano, il compianto maestro Amerigo Bortone, ci faceva esercitare a individuare l’accento più importante di un verso e poi a costruire una melodia che rispecchiasse il risultato di quanto scoperto. Ogni compositore dotato di musicalità dovrebbe arrivare spontaneamente a elaborare una frase in cui sia presente una gerarchia di valori, di accenti. Quando ciò avviene la musica scorre fluida e “spontanea”. I mezzi con cui si possono ottenere effetti musicali sono tanti: canto popolare 35 nonostante a battuta 2 entrino i baritoni e a battuta 3 i bassi, l’aumento del numero delle voci non deve incidere sul fluire dei suoni. Così il salto discendente (do - lab) della battuta 1 non deve portare a un accento sul suono inferiore, perché, oltre a creare probabili problemi di intonazione, spezzerebbe sul nascere sia il testo sia la frase musicale. valori e ritmo, linea melodica, armonia, ampiezza della fascia sonora, collocazione nello spazio diastematico… A volte tutti convergono verso un unico risultato, altre volte occorre scoprire cosa ha privilegiato il compositore. Si osservi il primo verso. Ho evidenziato con due asterischi (*) quello che ritengo essere il culmine del verso (il termine “valle” specifica cosa si è attraversato: “pena passà” …cosa? “…la valle”). Bepi De Marzi colloca la parola valle all’inizio di una battuta su un armonia che suggerisce la dominante. Nel secondo verso mi sembra opportuno evidenziare “fià” (per l’apertura delle voci); nel terzo, il movimento contrario delle voci (soprattutto le esterne) carica di valore l’espressione “prà”, dopo di che il testo letterario si rivolge direttamente a noi, suggerendoci di osservare la moltitudine di fiori che ci circonda. La dinamica si attenua sempre di più e le voci si avvicinano fra loro restringendo lo spazio sonoro: tutto diventa più intimo e allora, dopo aver dato giusto rilievo a “quan-ti”, nulla deve turbare lo scorrere della musica. Un’ultima osservazione riguarda il tempo ternario che si presta a figure musicali di questo tipo: metà - quarto oppure quarto - quarto puntato - ottavo. La nota breve collocata al termine della battuta non deve portare alcun accento. Il terzo tempo è debole e quindi, Le osservazioni proposte possono certamente far discutere (se fossi riuscito a creare una discussione avrei raggiunto lo scopo dell’intervento, perché solo mettendosi in discussione si può crescere) e qualcuno potrebbe trovare più appropriato evidenziare altre sillabe. Come in un ascensione in montagna è fondamentale individuare i punti nevralgici di una salita (il lago, la sella, la cresta, la gola, lo scivolo di neve, il crepaccio terminale…) da cui occorre passare (o che occorre individuare) se non si vuole perdere l’orientamento, così in una interpretazione occorre stabilire un ordine di importanza degli eventi musicali (una corona, un accordo, un cambio di dinamica, un’entrata, un’espressione verbale o musicale) da cui derivano tutti gli altri che si dispongono in un ordine e secondo una logica preventivamente stabiliti. Solo una visione complessiva del pezzo riesce a dare il giusto valore ai singoli episodi, i quali, a loro volta, creano la sostanza musicale che serve a creare l’interpretazione. Possiamo concludere con un invito a leggere i testi attentamente, a cercare di avere il maggiore numero di notizie possibili sull’origine e sulle trasformazioni dei canti, ad analizzare musicalmente il brano in modo da mettersi al servizio del pezzo di musica e lasciare… che la musica parli da sola. Ci sembra illuminante la citazione di Ralph Kirckpatrick (noto clavicembalista e studioso della musica di Domenico Scarlatti): «Suonare le note non è lasciare che la musica parli da sola. Lasciare che la musica parli da sola significa che l’esecutore deve capirla, che sia in grado di identificarsi con essa nei suoi stessi termini, che tutte le sue possibilità di sentimento e d’immaginazione siano acuite e disciplinate, esercitate e controllate e spinte al limite per esprimere ciò che è insito nella musica, e non semplicemente le note o una serie di effetti esteriori». 1 L. Bernstein, Giocare con la musica, Excelsior 1881, Milano, 2007, p. 188. 2 Come canta la montagna, dal repertorio del Coro A.N.A. di Milano, Ass. Naz. Alpini - Sez. Milano, 1980. 3 Coro Monte Cauriol, Il Canzoniere, Sagep, Genova, 1985, pag. 9. 4 Quest’ultimo aspetto può portarci molto lontano, perché non riguarda solo le scelte delle armonie, del piano tonale…, ma in modo più ampio coinvolge la diversa visione e il diverso pensiero che può guidare l’armonizzazione (per coro virile, coro misto, armonie semplici con andamenti in terza e sesta, scelte armoniche più ardite, trattamento omoritmico o giochi imitativi…). 5 Il punto di domanda è presente nel testo proposto a parte, ma non è indicato nella partitura nella versione del Canzoniere del 1995, mentre è presente in quella del 2009. 36 Un’eco tra le valli Intervista ad armando corso a cura di Mauro Zuccante Gentile maestro Armando Corso, la notorietà di cui lei gode nell’ambito corale è soprattutto dovuta al fatto di essere lo storico direttore (ma potremmo dire l’anima motrice) del Coro Monte Cauriol di Genova. Partiamo perciò da qui. Un coro alpino radicato in terra di mare. Pare un controsenso. Ci spieghi. A Genova e in Liguria in generale ci sono molte associazioni alpinistiche che organizzano gite, escursioni, arrampicate, scalate anche difficili. Il C.A.I. ligure a Genova è uno dei più grossi, c’è molta passione per la montagna. Forse per un contrasto: si vive tutto l’anno in mare, ma quando si può si fanno gite; vicino sull’Appennino, oppure un po’ più lontano sulle Apuane e poi d’estate o in Valle d’Aosta o in Dolomiti. Si pratica anche molto sci. C’è molta passione per la montagna. Ci sono molti cori: sei cori di montagna, a Genova. Ma poi ci sono ancora a Savona, Imperia e qualcuno a La Spezia. Difficile negare che il canto corale alpino abbia accompagnato l’arco vitale di una generazione segnata dagli avvenimenti bellici e dalle vicende della ricostruzione. Le prospettive di apertura geografica e culturale attuali sembrano inevitabilmente allontanarci da quel passato. Nonostante ciò, si registrano segnali di ripresa di interesse verso questa forma di canto corale, proprio da parte di gruppi formati da giovani cantori. Come spiega questo fenomeno? Ritiene che il canto alpino possa avere un futuro? Certamente. Noi abbiamo cominciato con il repertorio della Società Alpinisti Tridentini. Avevamo gli spartiti e il libro del Coro della SAT. Da lì siamo partiti e siamo fortemente ancorati come base a quel tipo di canto. Naturalmente abbiamo aggiunto molte cose. Nell’ultimo Canzoniere abbiamo raccolto circa 245 armonizzazioni, la maggior parte nostre e poche di altri, in particolare di Dodero. Abbiamo sempre cercato di pescare nel canto popolare, canto di montagna, canto di gite, canto giovanile, di escursioni. Molti di noi hanno camminato per tutta la gioventù e qualcuno ancora adesso, quindi sentiamo molto questi canti. Sentiamo anche il bisogno ogni tanto di allargare. Abbiamo qualche spiritual, canti natalizi, canti religiosi e anche canti popolari di altre regioni. Naturalmente scegliamo cose molto belle. Noi riscontriamo un interesse nei giovani. Tant’è vero che noi abbiamo cominciato in 10-12 – anzi, per la verità, il primo gruppo nel 1949 era solo di 4 e sono sopravvissuto solo io di quel gruppo – però adesso siamo più di 60 e dobbiamo frenare le richieste. Abbiamo molti giovani che vogliono entrare. Forse alcuni hanno tradizione di famiglia. Non dico di canto, ma di alpinismo o escursionismo, oppure di vita militare negli Alpini. I cori alpini si formano, in genere, in ambito prettamente amatoriale; e amatoriale è, di frequente, la formazione del loro direttore. Se non sbaglio, anche lei non è musicista di professione. Crede che il presupposto di sano diletto contribuisca a valorizzare l’autenticità di chi si esprime attraverso il canto corale alpino? Sicuramente sì. Non nego che per i professionisti la musica nelle sue varie forme sia proprio la vita. Ma nel coro tutti noi abbiamo una vita professionale diversa, che va dall’operaio, al perito, al geometra, al laureato in ingegneria, come me, oppure in economia e commercio, oppure in giurisprudenza, molti in medicina. Il coro era nato a ingegneria, quando eravamo studenti. Quindi, c’è una cultura abbastanza elevata nel coro e questo l’abbiamo visto anche in altri cori di città importanti, come Milano, Trento e altre. Il fatto di essere È necessario avere molta misura, rispetto per lo stile, rispetto per questi canti. liberi, perché abbiamo altre professioni, ci rende veramente consoni con un bisogno interno di questo tipo di vocalità e di musica, che non è stato imparato in un conservatorio, ma magari cantando in montagna, cantando in gita. Io ho cominciato perché ero sfollato a Rovereto nel Trentino con i miei compagni di liceo. Abbiamo fatto gite e cantavamo in cima. Lì ho sentito alcune delle cante che non conoscevo, ad esempio Sul rifugio. In molti di noi non c’è l’aver sentito questi canti e gradirli, ma c’è l’aver vissuto la montagna, aver passato la serata fuori dal rifugio a guardare le stelle, o il plenilunio e così via. Quindi, cerchiamo di restituire qualche cosa di autentico che abbiamo dentro, che abbiamo vissuto. Di certo non si impara lo stile del canto corale alpino frequentando i conservatori di musica. A eseguire il canto alpino s’impara piuttosto sul campo, dall’esperienza diretta di chi già lo pratica. L’istruzione di un coro alpino presuppone il possesso di un insieme di perizie che non sempre coincidono con le competenze necessarie per la direzione di un coro di portraiT tipo accademico. È d’accordo? Se sì, in cosa consistono le qualità peculiari di un direttore di coro alpino? Sicuramente all’inizio c’è non una preparazione, ma un istinto e una certa musicalità da parte di tutti i cantori e del malcapitato direttore. Alle volte uno lo è perché, tra tanti ciechi, l’orbo, cioè uno che ce l’ha, diventa il re. E questo è successo a me e ad altri. Altri invece hanno una preparazione accademica nella musica. Però prevale sicuramente l’istinto che porta a cantare in questo modo chi già lo ha fatto in gita, in montagna, in rifugio o durante la gioventù, o nella vita militare. E poi affinando un po’ opportunamente le proprie istintive qualità di orecchio, canore e di vocalità porta a entrare in sintonia con questo modo di cantare, che ci permette di esprimere tanti sentimenti umani, restituire proprio umanità, che poi è la base di tutto questo discorso. Il Coro Monte Cauriol viene annoverato tra le compagini che hanno fatto la fortuna del canto alpino. Vorrei chiederle su quali aspetti espressivi lei ha lavorato più insistentemente, per differenziare lo stile del Coro Monte Cauriol da quello delle altre formazioni storiche, che potremmo definire “di riferimento” nello stesso genere corale. C’è un dato fondamentale. Su 250 armonizzazioni, più un centinaio di quelle della SAT (che non sono perciò nel nostro Canzoniere), parlo quindi di tutte quelle che noi eseguiamo, c’è per noi radicata la convinzione che un canto di questo tipo debba essere stato levigato da secoli di tradizione orale, in modo che tutte le falsità, le asperità sono state tolte e ne esce proprio qualche cosa di puro, di estremamente valido, che sentito una volta rimane nella testa di chi ha un po’ di orecchio, di musicalità. Quindi noi privilegiamo assolutamente canti non d’autore, salvo rarissime eccezioni, cito Stelutis alpinis, La Paganella, La montanara e qualche altra. Ma in generale privilegiamo i canti che sappiamo sono rimasti nelle orecchie della gente, delle famiglie. Siamo andati in giro, anche in Trentino, a farci cantare nelle osterie i canti, lo stesso a Trieste e così via. Abbiamo sentito le preferenze e anche l’entusiasmo di chi le cantava senza preparazione musicale, ma evidentemente con un orecchio di base e una certa abitudine, data una melodia, a fare a orecchio il secondo, il basso. E quindi, secondo noi, questi canti sono molto più validi degli altri, noi li privilegiamo. Sveliamo l’arcano della dizione «Armonizzazione: Cauriol», che contrassegna il maggior numero delle partiture del Canzoniere del suo coro. In verità, è lei l’autore degli arrangiamenti corali dei brani che costituiscono il grosso del repertorio del Coro Monte Cauriol. Quali sono le corrispondenze stilistiche tra le sue stesure e la prassi esecutiva del Coro Monte Cauriol? Perché non ho voluto firmare le mie armonizzazione fin da 61 anni fa? Perché ho desiderato fin dall’inizio che il coro le sentisse proprie, non mie, cioè che non ci fosse un maestro con degli altri che lo seguivano, ma che fossimo tutti uguali. Perciò ho cercato, finché qualche sciagurato non ha tirato fuori il mio nome, di non comparire. Io lo ringrazio naturalmente questo 37 Armando Corso________ Armando Corso si è laureato in Ingegneria meccanica e navale e ha pubblicato una cinquantina di lavori scientifici, ricoprendo ruoli importanti in vari istituti scientifici e di ricerca. Opera in ambito jazzistico dal 1947. Ha inciso con Albert Nicolas, Bobby Hackett e vari complessi nazionali e ha suonato in numerosi concerti e festival in Italia e all’estero, con molti fra i maggiori jazzisti stranieri, tra cui Bill Coleman, Wild Billa Davison e Joe Venuti. È fondatore e direttore dei cori Monte Cauriol, Mississippi Mainstream Group e Onde Sonore, tra gli altri. Si esibisce come solista di pianoforte e fisarmonica, tiene conferenze-concerti e presentazioni su vari temi musicali, ha fatto parte di varie commissioni artistiche ed è stato membro di giuria a molti concorsi corali nazionali. Ha ricevuto molti riconoscimenti musicali, tra cui il Diapason d’Argento nel 1992 e Il Caravaggio nel 1997. Ha vinto il premio di poesia indetto dall’Ordine del Cardo per il componimento Un canto di montagna. 38 sciagurato, questo gruppo di sciagurati, però avrei preferito di no, perché c’è nel nostro coro un forte senso di appartenenza al coro, sentiamo proprie queste canzoni. Altri non le cantano, altri le imitano magari adesso da un po’ di tempo. Ma è molto importante questo aspetto di comproprietà, di orgoglio da parte dei cantori. Volevo insomma che le sentissero proprie. Da un coro alpino c’è da aspettarsi una coerente adesione a canti popolari di derivazione storico-geografica circoscritta. Eppure, nel repertorio del Coro Monte Cauriol si annoverano alcuni sconfinamenti. Canzoni napoletane, sarde, armene, americane, gospel, pop e così via. Quali sono le ragioni di queste divagazioni? Perché ci piacciono e secondo noi sono altrettanto popolari, antiche, valide. Ne ho parlato con Silvio Pedrotti a suo tempo e mi ha detto «Fate bene. Lo dovete fare. Perché dovete anche un po’ aprire la vostra testa verso altre musicalità, altre culture». Nel caso degli spirituals, siccome io ho una parallela attività jazzistica, non ho avuto nessuna difficoltà. Anzi, siamo stati pionieri in Italia. Perché ora è pieno di cori che cantano gospel, eccetera, ma noi li cantavamo 50 anni fa. La musica non è altro che un’espressione dell’umanità, dell’uomo. Per finire, vorrei formulare la seguente questione. Abbiamo detto che i cori alpini si formano, di norma, in ambito amatoriale. Ma le origini del Coro Monte Cauriol ci portano negli ambienti colti delle aule universitarie genovesi. Analogamente, altri cori alpini si sono formati tra persone non musiciste di professione, ma comunque di estrazione colta. E aggiungo che Massimo Mila definì il Coro della SAT «il Conservatorio delle Alpi», come a volere attribuire al canto dei satini di Trento un marchio di prodotto d’arte. Insomma, l’ingrediente popolare nel genere del canto corale alpino in che misura è filtrato e valorizzato dall’anima colta di chi lo mantiene vivo? In misura massima. È importantissima la cultura di tutti i coristi, dei vice maestri, del maestro, perché è necessario avere molta misura, rispetto per lo stile, rispetto per questi canti, senza voler strafare o debordare. Molti dei coristi – me compreso – hanno fatto studi, anche studi classici – io ho avuto quella fortuna, ho fatto il liceo classico, ho studiato filosofia, ho studiato l’estetica, ho studiato Benedetto Croce – e questo mi ha insegnato tante cose, tante cose su che cosa è valido e su che cosa è invece cerebrale. Tutto sommato noi siamo dei romantici. Il Coro Monte Cauriol è formato da persone romantiche, cioè che credono che la musica non sia altro che un’espressione dell’umanità, dell’uomo: cosa c’è dentro quello che scrive, che canta, che suona, che dipinge. I suoi pensieri, i suoi sentimenti. Quando io sento un coro e dico «Ah come sono tecnicamente bravi», la cosa finisce lì. Ma ci sono stati dei cori oggi 1 – non mi vergogno a dirlo – che mi hanno fatto piangere. Ma non tutti, alcuni. Sanno esprimere l’umanità che hanno dentro. Forse questa è la chiave più importante per fare queste cose. 1 Il maestro Armando Corso ha gentilmente risposto alle domande oralmente, in una pausa dei lavori di giuria, in cui è stato impegnato nell’ultima edizione del Concorso corale “Seghizzi” di Gorizia. fragmentA 39 Ave Maria di Caccini… macché Caccini! di Mario Lanaro compositore e docente di esercitazioni corali al conservatorio di verona Quando un brano è sicuramente d’autore? Quante strade può percorrere una melodia e quindi quante trasformazioni: pensiamo a O Waly, waly, song scozzese stupendamente nobilitata dalle armonie di Britten, resa celebre a un pubblico più vasto dal delicatissimo arrangiamento di J. Taylor, in chiesa cantata come È giunta l’ora, per approdare poi alla tv come spot pubblicitario Le fattorie. Mi è capitato di arrangiare per voce e pianoforte a quattro mani la famosa Ave Maria di G. Caccini, oramai presenza fissa nei concerti corali e solistici, addirittura in concorsi e nei cd antologici dei nostri cori. È la ripetizione di un vocalizzo su un’accattivante progressione di settime, none e tredicesime, col solo saluto iniziale “A-ve Ma-ri-a”, sillabe che potrebbero essere sostituite da qualsiasi altro testo. Trascrivevo da una fotocopia, a sua volta fotocopiata da fotocopia, con le indicazioni del titolo e autore in russo e italiano, tra varie correzioni. Non ne ero convinto, volevo aggiungere di mia iniziativa “da uno spunto di G. Caccini”, ma anche così il tutto restava incerto. Con le prime ricerche arrivo dapprima a un dvd che riporta: Caccini/Vavilov e di seguito a notizie varie che riassumo: Vladimir Vavilov (5 maggio 1925 - 3 novembre 1973) chitarrista, liutista e compositore russo, attivo a San Pietroburgo. Noto come esecutore e compositore che ha la bizzarra abitudine di attribuire proprie opere ad altri compositori, del Rinascimento e del Barocco. Vavilov incide lo struggente (o meglio… di-struggente) brano per l’etichetta russa Melodiya, attribuendolo subito ad autore anonimo; la falsa attribuzione al “nostro Giulio” (che nasce, pare, a Tivoli nel 1550) risale dopo la morte dello stesso Vavilov (per la cronaca, morirà in povertà) da parte dell’organista M. Shakhin (uno degli esecutori della prima registrazione), che distribuì la partitura ad altri musicisti. In seguito, l’organista O. Yanchenko arrangiò l’aria per la cantante I. Arkhipova, che la incise nel 1987, dando al brano diffusione mondiale. Ne parlo con colleghi cantanti e un’allieva di San Pietroburgo mi conferma, un po’ divertita, che si tratta proprio di un falso. Grazie a Enrico Zanovello, collega altrettanto attento e curioso, mi son trovato tra le mani il cd Lute music (cod. CDMAN181, Manchester, www.classicalcd.ru/catalogmore. php?id=1073). Ecco le note di presentazione della raccolta: «Ristampa della raccolta di musica per liuto, che divenne una delle più grandi truffe della storia della registrazione del XX secolo. La maggior parte delle tracce registrate nel 1968 da “Melody” su LP, perpetuata in successive edizioni, proviene dalla penna dell’artista Vladimir Vavilov, Leningrado, chitarrista e compositore fallito, che nasconde deliberatamente la paternità delle composizioni. Le musiche di questo album sono spesso state utilizzate come colonne sonore, o per fondi sonori, come la canzone inglese Greensleeves, l’Ave Maria di G. Caccini o la Chanson di Francesco di Milano, da diventare veri e propri “hits”.» […] C’è da chiedersi: perché Vavilov resta nell’anonimato? Avrebbe mai immaginato tanta notorietà (e guadagno) con i suoi falsi d’autore? Mi chiedo: il fatto di trovarla nelle compilation dei vari Bocelli, Sumi Jo, Church e altri gruppi affermati è sufficiente per legittimarla? E l’aderenza stilistica? Ci convince l’armonia, la melodia, il testo appena iniziato e non sviluppato? Esistono così tanti arrangiamenti e orchestrazioni di questo brano per cui nessuno ne dubita più: è sicuramente Caccini! Originale? non saprei! Bello? ma… sai… funziona! In qualche raro caso l’indicazione è precisa, ma mai nelle nostre rassegne corali, e addirittura vengono indicate le date del povero Caccini. La cosa è ancor più grave quando questo accade in concorsi nazionali e internazionali, dove ci dovrebbe essere maggior controllo prima di accettare i brani che coro o cantante solista presentano. E il Francesco da Milano? Stessa sorte? Chiedo aiuto ai colleghi di liuto. Chiarezza, precisione, curiosità, ricerca e confronto tra diverse edizioni, desiderio di risalire alla fonte, o almeno provarci! Non accontentarci, specialmente quando il brano ci viene passato su fotocopiadafotocopiadafotoc… Un invito: nel prossimo programma di sala indichiamo: Ave Maria “di Caccini”, musica di Vladimir Vavilov (1925-1973). Grazie! E Arcadelt? Ma come… anche la sua Ave Maria è “falsa”?… se l’abbiamo sempre cantata? Questo, però, è un altro discorso. 1 Buon canto! 1 L’autore si riferisce al noto brano a 4 voci dovuto alla penna di Pierre-Louis-Pilippe Dietsch (1808-1865), contrabbassista e direttore d’orchestra. Arcadelt compose in realtà una chanson profana a tre voci (Nous voyons che les hommes), sulla base della quale il musicista francese, con l’aggiunta di una voce, scrisse la sua Ave Maria. Notizie più dettagliate su “La Cartellina”, n. ____________ (ndr) un grande festival per giovani voci grande festiv di Stefano Klamert Oltre milleduecento giovani cantori, trentatré cori scolastici provenienti da ogni parte d’Italia, undici atelier di studio guidati da altrettanti docenti di chiara fama: sono solo alcuni dei numeri che hanno segnato il grande successo – se vogliamo, anche inaspettato – della ottava edizione del Festival di Primavera, che in due finesettimana – dal 15 al 17 aprile per le scuole medie e dal 22 al 25 aprile per le scuole superiori – ha inondato di musica la cittadina di Montecatini Terme. Quale modo migliore, per cogliere la ricchezza di questa iniziativa, se non cedere la parola a chi il festival lo ha vissuto, con impegno ed entusiasmo, nello spirito de “la scuola si incontra cantando”! Il Festival di Primavera è sicuramente uno degli appuntamenti di maggior rilievo nel panorama corale nazionale, specialmente per quanto riguarda le manifestazioni dedicate ai cori scolastici. Ogni momento del festival è dedicato ai giovani, ma ognuno di questi momenti è dedicato loro in modo diverso, proprio con l’obiettivo di mostrare quanto ricca sia la musica e in particolare il canto corale. Tale ottica dovrebbe far parte di ogni direttore di cori giovanili quale strumento fondamentale per coinvolgere e valorizzare l’enorme potenziale umano presente nelle strutture scolastiche. Come sottolineato da Sandro Bergamo nell’ultimo editoriale di Choraliter, ci si lamenta spesso che le istituzioni fanno poco o niente per incentivare la musica nella scuola: vero, come è altrettanto vero che le possibilità per far crescere i giovani nella e con la musica ci sono ugualmente, e le iniziative di Feniarco e delle associazioni regionali ne sono un esempio. Due aspetti della strategia vincente di Feniarco sono da una parte il creare delle occasioni per permettere ai cori di esibirsi e confrontarsi attivamente con altre realtà corali diverse, dall’altra creare dei progetti che possano fungere da punti di riferimento per la coralità amatoriale e in particolare per quella scolastica. L’ultimo di questi progetti è il Coro Accademia Feniarco. Nato come coro laboratorio della quinta Accademia Europea per Direttori di Coro e Cantori svoltasi a Fano nel mese di settembre 2009, nella ASSOCIAZIONE serata di giovedì 22 aprile questo coro “particolare” ha inaugurato il secondo weekend del Festival di Primavera, dedicato alle scuole superiori (la settimana precedente si era svolto il festival per le scuole medie). Coro particolare per alcuni motivi, di cui mi preme sottolinearne uno: il repertorio eseguito al concerto era composto quasi interamente da brani pop (sia italiano contemporaneo che americano degli anni ’70-’80), ma gli arrangiamenti (curati per la maggior parte da Alessandro Cadario, al quale è stata affidata con successo la direzione del coro) avevano trasformato i brani originali a tutti gli effetti in madrigali: indipendenza delle voci, figure retoriche, madrigalismi e tutte le altre caratteristiche tipiche della scrittura di Monteverdi erano fortemente presenti in brani dove mai si penserebbe di ritrovarli; per citarne alcuni, Infinito (Raf), Giudizi Universali (Bersani) o Iris molti aspetti ne è molto simile, e soprattutto che sarebbe sufficiente fornire ai giovani gli strumenti necessari per poter apprezzare i diversi stili musicali sviluppatisi attraverso i secoli scorsi e che – come naturale evoluzione – hanno portato nel ’900 anche al jazz, al pop e al rock’n’roll. Nova et vetera, potremmo chiamare tale scelta, la stessa adottata da alcuni dei cori partecipanti per il proprio programma dei concerti sul territorio, che hanno spaziato dal Rinascimento al Romanticismo, dal Barocco al ’900 storico fino agli spiritual e a elaborati arrangiamenti di colonne sonore, e la buona resa delle esecuzioni ha dimostrato che i giovani d’oggi sono capaci di fare tanto anche nella (ingiustamente) bistrattata musica colta, lasciando intuire quanto ancora potranno fare se debitamente supportati dalle istituzioni. Ultimo appuntamento del festival è stato il Gran Concerto di Primavera, tenutosi, come il concerto inaugurale, presso il Palazzo dei Congressi di Montecatini Terme: in tale occasione sono stati presentati i risultati dei lavori degli atelier, iniziati il giovedì pomeriggio e svoltisi durante tutto l’arco del weekend. Ben cinque i laboratori attivati, che hanno spaziato su generi molto diversi percorrendo l’arco degli ultimi otto secoli: dalla musica medievale alla polifonia romantica, dalla polifonia rinascimentale ai canti etnici della world music fino agli elaborati arrangiamenti pop creati dal docente olandese Rogier Ijmker, il primo docente straniero della storia del Festival di Primavera. Merita spendere due parole per sottolineare alcune scelte (in particolare due) fatte dalla Feniarco in merito all’organizzazione degli atelier. La prima è stata quella di consentire l’iscrizione ai laboratori per coro e non per singolo corista, come invece accade non di rado in contesti simili: in questo modo viene data sicuramente meno libertà di scelta alla singola persona, ma in compenso è il coro come entità di gruppo (il vero destinatario del festival e degli atelier) a vivere un’esperienza in più, lavorando con un docente esperto su un genere (spesso) non molto approfondito nell’attività ordinaria durante l’anno e portando a casa un’esperienza sicuramente utile e utilizzabile da subito per il repertorio e l’attività del coro stesso. Per evitare sovraffollamenti è stato posto comunque un numero massimo (e nde val (Antonacci), che si conclude addirittura con uno stretto degno delle fughe di Bach. A proposito di Monteverdi e di madrigali, il programma prevedeva anche l’esecuzione di alcuni brani seicenteschi: un madrigale appunto di Monteverdi (Cor mio mentre vi miro), eseguito come da tradizione da un quintetto di solisti, e una villanella di Orlando di Lasso (Matona mia cara), eseguita anch’essa da un gruppo ridotto. Tale accostamento di generi così diversi potrebbe in prima battuta sembrare fuori luogo, ma alla fine si è rivelata una scelta didattica molto efficace: infatti uno degli scopi del concerto era mostrare (e dimostrare) alle nuove generazioni che la musica antica non ha nulla da invidiare ai nuovi generi (in particolare pop e rock’n’roll), anzi, per 41 42 Access! European Youth Forum on Music Musica a 360°! Access è il primo forum europeo sulla musica esclusivamente rivolto ai giovani. Si terrà dal 15 al 17 ottobre 2010 a Torino, Capitale Europea dei Giovani per il 2010. Attraverso seminari specializzati i partecipanti avranno l’opportunità di ampliare le proprie competenze e conoscenze sul mondo musicale. Access è un’iniziativa del Working Group Youth (WGY), comitato di giovani che opera all’interno dell’European Music Council. Il forum è realizzato in collaborazione con Europa Cantat Youth Committee e con Feniarco. Al forum sono invitati a iscriversi tutti i giovani di età inferiore ai 30 anni con un genuino interesse per la musica e che abbiano già maturato una certa esperienza in questo mondo. Un’opportunità per studiare, creare e lavorare in ottica europea. Sarà possibile incontrare professionisti del settore ed esplorare una vasta gamma di temi come: music and arts management, social networking, educazione musicale, musica e cambiamenti sociali, musica e politiche giovanili. Un importante risultato e di lunga durata che questo appuntamento porterà con sé sarà l’elaborazione della European Agenda for Youth and Music, un documento che definirà gli attuali interessi e le future aspirazioni dei giovani nel campo della musica in Europa e oltre. Tale programma poi sarà diffuso a livello mondiale e fungerà da riferimento per le organizzazioni musicali europee, per le politiche europee e come stimolo per i giovani. Prima della manifestazione, un forum online sarà lanciato per permettere ai partecipanti di conoscersi a vicenda e iniziare a lavorare sull’Agenda. La lingua di lavoro sarà l’inglese. Tutte le info su www.emc-imc.org minimo) di iscrizioni per ogni laboratorio, in modo che ogni docente avesse a disposizione un organico consistente con cui poter lavorare. Una cosa soprattutto mi ha colpito: non pochi sono stati i casi di coristi arrivati il giovedì pomeriggio alla prima lezione dell’atelier decisamente perplessi e un po’ “impauriti” su ciò che potevano aspettarsi da un genere musicale non in cima al loro gradimento. La cosa piacevole è stato notare che al termine del festival erano questi stessi coristi i più dispiaciuti per dover interrompere il lavoro sviluppato nei tre giorni, proprio perché un genere nuovo e apparentemente “vecchio” si è invece rivelato interessante, stimolante e coinvolgente, ancora più della musica con cui oggi siamo bombardati dai media. Altra peculiarità di questo festival è stato l’invio delle partiture degli atelier ai cori partecipanti con circa un mese di anticipo, cosicché i singoli cori potessero iniziare a leggere i brani per conto proprio e arrivare al festival con le parti già imparate; anche questa una scelta vincente della Feniarco, scelta volta a permettere al docente dell’atelier di dedicare le ore a disposizione a lavorare direttamente sul “far musica”, bypassando un lungo lavoro di lettura “a tastino” di tutti i brani (cinque pezzi a sei voci non sono pochi da leggere in meno di tre giorni…) che toglierebbe tempo prezioso all’obiettivo vero e proprio dell’atelier, cioè quello di far risaltare i tratti peculiari di un genere musicale/periodo storico, di confrontarne le diversità con altri generi e di farli apprezzare a coristi mediamente non esperti. Forse la grande importanza di questo vantaggio potenziale non è stata recepita da alcuni cori partecipanti al Festival, i quali si sono presentati alla prima prova degli atelier senza aver mai guardato le relative partiture; ciononostante, grazie alla bravura dei docenti, capaci di cogliere le difficoltà e ottimizzare i tempi, i risultati dell’intenso lavoro svolto nei tre giorni si sono visti e sono stati apprezzati da tutti gli altri partecipanti al festival e dal numeroso pubblico che ha assistito al concerto finale. Al termine della serata tutti i cori (più di 500 persone) hanno cantato assieme An Irish Blessing sotto la direzione di Lorenzo Donati: con queste parole tutti i coristi, i loro direttori, i docenti e il meraviglioso ed efficientissimo staff si sono augurati reciprocamente buona fortuna per gli impegni futuri e si sono dati l’arrivederci per l’edizione 2011. 43 cantare insieme o insieme per cantare il direttore di coro come gestore di dinamiche relazionali CANTAR di Fabiana Gatti e Simone Scerri Introduzione Il 2009 ha visto Feniarco e i suoi direttori impegnati in un progetto chiamato InDirection; in realtà la sua storia inizia nel settembre 2006, quando due psicologi amici e colleghi, Fabiana Gatti e Simone Scerri, iniziano a coltivare l’idea di occuparsi di cori dal punto di vista psicosociale. La prima, Fabiana Gatti, è docente di Tecniche di comunicazione e gestione dei piccoli gruppi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ha una solida esperienza nella ricerca sociale e nella formazione; il secondo, Simone Scerri, lavora come psicologo in ambito educativo e socio-sanitario ed è appassionato di musica corale: ha cantato in diversi gruppi vocali a cappella, dirige un coro di voci miste, conduce un laboratorio corale all’interno di un Dipartimento di Salute Mentale. Dalla loro pluriennale collaborazione nasce l’idea di formare un team di lavoro attorno a questo nuovo tema. Il contatto con Giorgio Morandi è provvidenziale per arrivare a Feniarco; l’interesse e il coinvolgimento del presidente Fornasier e dei suoi collaboratori permettono di attivare un lavoro che dura oltre due anni, necessari all’avvio vero e proprio del progetto: Fabiana Gatti e Simone Scerri sono impegnati nel mettere a punto il progetto di ricerca, lo staff di Feniarco è impegnato negli aspetti organizzativi e burocratici: dai contatti con le associazioni regionali a quelli con il Ministero. Il progetto InDirection nasce con l’obiettivo di fare emergere le abilità di natura non-musicale richieste ai direttori di coro nello svolgimento della loro attività, così da promuovere una visione più complessa della loro professione e ipotizzare nuove proposte formative a essi rivolte. Il presupposto di partenza è che il direttore si relaziona con lo strumento elettivo del coro – la voce – in modo indiretto: il suo “strumento” è 44 costituito dai cantori e dalle loro voci. Il direttore si interfaccia con il suono non solo attraverso il gesto, ma anche attraverso la relazione interpersonale che instaura con i singoli coristi e con il coro inteso come unità. Spesso i direttori sono chiamati a gestire situazioni complesse da un punto di vista organizzativo, relazionale e psicologico in senso ampio, una gestione che spesso si basa sull’intuizione personale più che su tecniche consolidate. Si è ritenuto perciò opportuno svolgere una prima fase di ricerca per portare alla luce tutti quegli aspetti che regolano la vita di un coro e che, pur non essendo di natura direttamente musicale, ne influenzano la vita: la qualità delle prove, lo stato delle relazioni interne, la qualità e la programmazione delle esibizioni pubbliche sono solo degli esempi. La poliedricità del ruolo di direttore di coro può essere valorizzata e sostenuta soltanto se gli aspetti musicali e quelli non-musicali del suo operato trovano una sinergia, dato che il buon presidio di entrambe le componenti consente a esse di rinforzarsi a vicenda; inoltre, poiché riteniamo che la coralità sia strettamente legata al benessere dell’individuo, sono state considerate tutte quelle esperienze rappresentate da cori a forte valenza sociale (cori composti da persone anziane, diversamente abili ecc.). Alla luce di quanto fin qui esposto, la fase di ricerca ha perseguito obiettivi sia di tipo conoscitivo (rilevare quali aspetti di natura non-musicale vengono vissuti dai direttori come criticità all’interno del loro lavoro; riconoscere quali strategie vengono utilizzate abitualmente dai direttori per risolvere le criticità; mettere a fuoco le specificità della Coro a valenza prevalentemente artistica conduzione di cori con attività prevalentemente sociale; verificare l’esistenza di esigenze formative specifiche da parte dei direttori, specialmente se giovani) che pragmatico (promuovere una cultura della direzione corale che ne comprenda gli aspetti psicologici e relazionali; progettare ed erogare azioni formative relative agli aspetti sopra menzionati, al fine di potenziare le abilità di leadership e gestione delle dinamiche di gruppo, rivolte in particolare ai giovani direttori; fornire strumenti utili alla conduzione di cori con attività prevalentemente sociale; migliorare la qualità del clima di gruppo nei cori con ricadute positive in termini musicali). Dal punto di vista metodologico si è scelto di realizzare una ricerca qualitativa esplorativa secondo l’approccio della Grounded theory di Glaser e Strauss (1967), al fine di costruire una teoria cucita sul fenomeno di studio, tramite un approccio induttivo e fondato sui dati. La fonte legittima dei dati sono state dunque le persone che vivono l’esperienza del dirigere un coro: il loro punto di vista costituisce la comprensione delle esperienze immediate. A questo scopo sono stati condotti otto focus group online che hanno coinvolto 71 direttori (distribuiti su tutte le regioni italiane) suddivisi rispetto ad alcune variabili che influiscono sulla gestione delle dinamiche di gruppo: età e genere dei coristi; finalità del coro. La dimensione “repertorio del coro” non è stata utilizzata per la definizione dei focus group (FG) data la sua estrema variabilità, ma è stata introdotta come argomento di discussione. Ciascun FG ha coinvolto dagli 8 ai 12 partecipanti. La composizione del campione è così sintetizzabile: Coro misto Voci pari Coro a valenza prevalentemente sociale Gli esiti del lavoro di ricerca sono confluiti in un testo corredato da note e osservazioni di matrice prettamente psicologica, edito da Feniarco. Sono state inoltre progettate e realizzate quattro edizioni di un corso di formazione articolato in due sessioni (la prima di due giorni e la seconda – followup – di una giornata). Tali corsi hanno coinvolto 89 direttori e sono stati condotti tramite tecniche attive in quattro diverse zone geografiche d’Italia (Torino, Castelfranco Veneto, Roma e Bari). La fase di ricerca I 71 direttori coinvolti grazie a Feniarco e alle associazioni corali regionali hanno partecipato alla ricerca rispondendo a una serie di domande che di settimana in settimana venivano Voci bianche Voci giovanili Voci adulte 1 1 1 Maschili 1 Femminili Eterogeneo 2 1 1 postate dai moderatori/ricercatori dei forum online: la modalità del forum consentiva ai partecipanti non soltanto di rispondere alle domande ma anche di leggere le risposte dei colleghi, andando così a commentare e creando un confronto di gruppo. Le domande andavano a toccare obiettivi, nodi critici e strategie utilizzate in diverse fasi della vita del coro (prove, pre-concerto, esibizioni pubbliche ecc.). Il corpus su cui è stata effettuata l’analisi tramite Atlas.Ti (software per l’analisi quali-quantitativa del contenuto) era di 558 messaggi. Tutto il materiale depositato nei forum è stato codificato dai ricercatori in categorie (suddivise in seguito in tre aree tematiche: il direttore, il coro e l’attività) che rispecchiano gli enti più significativi emersi. ASSOCIAZIONE Sintesi dei risultati emersi Come già detto, la logica che ha guidato la metodologia della ricerca è stata qualitativa. I dati non vanno quindi letti secondo l’ottica della significatività statistica, quanto della necessità di rintracciare la varietà dei fenomeni descritti e la loro frequenza nel campione. I dati emersi dal lavoro di codifica, pertanto, si riferiscono a informazioni dichiarate dai soggetti stessi: alcune domande lasciavano liberi i partecipanti di dire quello che ritenevano importante; quindi non sempre tutti i direttori hanno fornito le stesse informazioni. Pertanto la descrizione e l’interpretazione dei seguenti dati è avvenuta in termini assoluti e non percentuali, essendo fondata sui dati dichiarati dal campione. Sintetizziamo qui i principali dati relativi al campione della ricerca. Rispetto al genere dei direttori, hanno partecipato 42 maschi e 29 femmine, con percorsi formativi differenti ma che contemplano in molti casi l’esperienza pregressa da coristi, gli studi in conservatorio ed esperienze musicali “altre” oltre a quella corale. Sono stati reclutati principalmente direttori di giovane esperienza proprio perché questo era uno degli obiettivi del progetto – direttori che nella maggior parte dei casi svolgono questa attività da professionisti e non semplicemente come hobby. I cori di riferimento dei direttori, nella maggior parte dei casi con repertorio misto, erano diversi per numerosità con una prevalenza di cori con oltre 16 componenti. Tra le aree indagate vi è quella degli obiettivi che i direttori hanno sui loro cori, da cui emerge come preponderante il tentativo di formare un gruppo che riesca a creare al suo interno una rete di relazioni “amicali”, in cui le differenze possono essere “armonizzate” garantendo quindi la possibilità di lavorare in serenità. Poiché sono emersi numerosi obiettivi che possono essere raggruppati in tre macroaree, riteniamo utile riportare un grafico che le sintetizzi (grafIco 1): – dimensione relazionale, al cui interno si trovano le sottocategorie “amicizia <dentro>”, “amicizia <fuori>”, “divertirsi”, “armonizzare la diversità (educazione sociale)”; – dimensione individuale (espressiva), al cui interno si trovano le sottocategorie “esprimersi in musica”, “comunicare emozioni agli altri” e “divertirsi”; – dimensione oggettuale, al cui interno si trovano le sottocategorie “esibizione/concerti/incisioni”, “fare cultura”, “cura dell’intonazione e della vocalità”, “valoriz­ zazione della tradizione e interesse per repertorio corale” e “servizio (liturgia, cerimonie)”. La “dimensione oggettuale” fa infatti riferimento esplicito agli oggetti di lavoro. Rispetto ai coristi, uno dei dati fondamentali riguarda la mancanza di una loro alfabetizzazione musicale: potremmo sintetizzare dicendo che nella maggior parte dei casi direttori professionisti lavorano con coristi principianti, che paiono trovare motivazione alla partecipazione sia in aspetti sociorelazionali (“socialità/esperienze umane”, “possibilità di 200 45 Dimensione relazionale 181 180 152 160 140 127 120 Dimensione oggettuale Dimensione individuale 100 80 60 40 20 Grafico 1 Obiettivi sul coro per dimensioni 0 350 304 Fattori tecnicoorganizzativi 300 Fattori relazionali 250 200 150 131 100 50 0 Grafico 2 Fattori critici per aree esprimersi e comunicare con gli altri”, “momento di evasione”, “scoprire l’esterno”) che in aspetti prettamente musicali (“esperienze artistiche”, “migliorare le proprie abilità vocali”, “possibilità di esibirsi”, “servizio”). Interessante è stata poi l’analisi dei fattori critici emersi, che per esigenze di sintesi riportiamo qui raggruppati in due macroaree, quella relazionale e quella tecnico-organizzativa (grafico 2). Connessa ai fattori critici vi è l’analisi delle strategie comunemente utilizzate dai direttori, che anche in questo caso possono essere così sintetizzate: – strategie connesse alla dimensione emozionale/relazionale (categorie “condivisione nella scelta”, “sdrammatizzare” e “distensione”); – strategie connesse alla dimensione tecnica (categorie “prove extra per chi ha difficoltà”, “prove separate per sezioni o per sesso”, “registrazione di ogni prova e ascolto”, “parti inviate via e-mail”, “prove extra preesibizione” e “ascolto nuovo brano eseguito da altri”). Dopo una prima analisi descrittiva delle principali aree emerse, sono state condotte alcune analisi volte a verificare come le dimensioni osservate si influenzino vicendevolmente. Questo ha permesso di cogliere per esempio una sorta di omogeneità rispetto al genere dei direttori nelle aree più razionali e 46 consapevoli (le problematiche rilevate, le abilità ritenute necessarie, le strategie usate coscientemente), ma una significativa differenza su aree e atteggiamenti relazionali, meno consapevoli e per questo particolarmente significativi. Solo portando alla luce e rendendo espliciti atteggiamenti su cui non vi è chiara consapevolezza è stato poi possibile lavorare nella fase formativa. Un altro incrocio interessante è stato quello tra i “momenti” che vedono il coro impegnato (prove, pre-concerto, esibizioni, concorsi…) e tutte le categorie fin qui descritte: questo lavoro ha permesso di definire il peso dei diversi fattori critici in relazione a tali momenti, al fine di definire quali strategie siano più funzionali per trattarli. Infine anche l’incrocio tra gli obiettivi in gioco (quelli del direttore e quelli dei coristi) e i fattori critici ha guidato la riflessione nell’individuare le strategie di volta in volta più opportune. Il percorso formativo Il percorso formativo ha coinvolto 89 direttori di coro aderenti a Feniarco provenienti da tutto il territorio nazionale. La metodologia utilizzata ha previsto l’alternanza di lezioni frontali per gli aspetti teorici, role-playing, discussione di casi e auto-casi, lavori di confronto e discussione in sottogruppi e in plenaria. Il fil rouge tenuto negli incontri, costruito sulla base delle priorità emerse nella fase di ricerca, si è strutturato secondo un “tetralogo”, ossia quattro regole, quattro fattori di attenzione facilmente memorizzabili e che potessero fungere da richiamo degli aspetti più importanti per guidare un coro dal punto di vista non musicale. Se i ricercatori-formatori hanno elaborato le regole e i sottopunti in cui sono state sviluppate, sono stati i direttori nei diversi gruppi a “riempirle” con strategie, casi ed esempi pratici, che qui non riporteremo ma che sono contenute nel libro edito da Feniarco. Prima regola: sii consapevole … a. degli obiettivi che vuoi raggiungere per te stesso attraverso il coro; b. degli obiettivi che vuoi raggiungere per il coro; c. dei tuoi modelli/rappresentazioni (cosa sia un “buon” coro, un buon repertorio, una buona esibizione…). Seconda regola: riconosci la persona, riconosci le persone Insegnamento e apprendimento: durante le prove valuta sempre l’energia fisica e mentale disponibile nei coristi (attenzione ai segnali di stanchezza, al rendimento sotto la media, alla facile distraibilità ecc.) per non richiedere ciò che in quel momento è fuori dalle loro possibilità, innescando una catena negativa e per attuare eventuali strategie alternative nella gestione della prova. Fornisci feedback: di tanto in tanto da’ dei feedback ai singoli coristi, alle sezioni, al gruppo intero per rinforzare la loro motivazione e per dimostrare riconoscimento/attenzione; quando dai feedback, concentrati sull’oggetto e non sulla persona: in caso di feedback negativi, per rimarcare che è la prestazione a essere negativa e non la persona (significa che ci sono margini di miglioramento); in caso di feedback positivi, per evitare sentimenti di gelosia/invidia nel resto del gruppo. Meglio feedback positivi rivolti alle persone solo quando ci si rivolge a tutto il coro, e non alle singole persone o sezioni. Se si presenta la necessità di fornire continuamente feedback negativi, interrogati sulla tua parte di responsabilità nell’anda­ mento della situazione e, una volta individuata, esplicitala come ipotesi, cioè chiedi a tua volta dei feedback ai tuoi coristi (es: come si sentono in una data situazione, che cosa pensano della loro esecuzione, quali difficoltà incontrano ecc.). Gestione ansia pre-concerto: non sottovalutare le manifestazioni d’ansia nel pre-concerto (le tue e quelle dei coristi), non fingere che non esistano, anzi prendile in considerazione per trasformarle in un’opportunità di lavoro. Lavora con il coro dal punto di vista mentale, ricapitola i punti a cui prestare attenzione, richiama alla memoria il lavoro svolto durante le prove, ricorda al coro quali sono i suoi punti di forza su cui fare leva. Lavora con il coro dal punto di vista emotivo/fisico, se ve ne è la possibilità, proponi esercizi che stimolino il rilassamento la concentrazione di gruppo attraverso l’uso della respirazione e della voce: in questo modo lavorerai su più fronti: ridurre l’ansia, focalizzare il gruppo sull’obiettivo, lavorare sul suono. Gestione delle persone: affida alcune funzioni ai tuoi coristi disponibili a ricoprirli, laddove possibile (es: logistica, organizzazione trasferte, materiali ecc.) per costruire una “squadra” attraverso l’assegnazione di ruoli specifici e differenziati, per stimolare senso di responsabilità dei coristi verso il gruppo, per dedicarti in modo più mirato alle tue funzioni di leader: guidare il gruppo verso l’obiettivo, mantenere/conservare il gruppo, rappresentare il gruppo. Terza regola: tutela l’oggetto Condividi il senso del lavoro: ossia condividi con il gruppo di coristi gli obiettivi generali del vostro lavoro (es: programma dell’anno, scelta del repertorio, obiettivi artistici, obiettivi didattici ecc.) per aiutarli a dare un senso al percorso che svolgono insieme e a guadagnare motivazione, per ricordare (in modo indiretto ma ricorrente) che il coro non è soltanto un gruppo di amici, ma anche un gruppo di lavoro con obiettivi su cui impegnarsi, per definire i confini/identità del gruppo, stimolando il senso di appartenenza, per attivare in modo coerente e mirato le energie e le risorse dei coristi. Quando la situazione lo consente (es: se c’è tempo a disposizione) condividi con il gruppo i micro-obiettivi a cui di volta in volta lavorate, per far riconoscere nel tempo (in modo indiretto ma ricorrente) quali sono le aree su cui un coro deve lavorare (intonazione, suono, dinamiche ecc.), aumentando nei coristi consapevolezza, possibilità di autoapprendimento e di autovalutazione, per suddividere gli obiettivi generali in sotto-obiettivi più facilmente riconoscibili dai coristi (e, in questo modo anche la consapevolezza di averli/non averli raggiunti sarà più semplice da guadagnare); per rendere ASSOCIAZIONE partecipi i coristi del metodo di lavoro che vi siete dati, stimolando senso di appartenenza e motivazione. Se possibile, per spiegare/condividere gli obiettivi non dilungarti oltre il necessario (“usa poche parole per ciò che può essere spiegato con poche parole”) per offrire ai coristi tutte le opportunità fin qui descritte senza appesantirli troppo; per mantenere la concentrazione del gruppo sul lavoro musicale; per evitare far sembrare il direttore più importante della musica e/o degli obiettivi di lavoro. Quarta regola: cura le relazioni con l’esterno Gestione di funzioni: affida alcune funzioni ai tuoi coristi disponibili a ricoprirli, laddove possibile (es: logistica, organizzazione trasferte, materiali ecc.), per aumentare il riconoscimento del coro all’esterno come “gruppo di lavoro” (organizzato, competente, affidabile…), per dedicarti in modo più mirato alle tue funzioni di leader e “diluire” eventuali contrasti (salvaguardare il riconoscimento della competenza musicale del direttore). Allarga la prospettiva: favorisci momenti di scambio con altri insegnanti per stimolare la motivazione ad apprendere e ad approfondire la pratica corale; favorisci momenti di ascolto per offrire modelli di riferimento e per stimolare un atteggiamento di ricerca e la passione per la coralità; segnala ai tuoi coristi concerti, seminari e iniziative di natura corale presenti sul territorio cercando di favorirne la partecipazione, per favorire lo sviluppo sia della dimensione amicale/ socializzante del gruppo che di quella legata al lavoro musicale (in questo modo le due dimensioni si rafforzeranno a vicenda) e per stimolare un atteggiamento di ricerca e la passione per la coralità. Cura le relazioni con il presidente, famigliari dei coristi, istituzioni: quali bisogni/aspettative? Quali “linguaggi”? Quali ricadute sui coristi? Rapporta obiettivi e scelte a queste variabili, per non “dividere” il corista tra necessità differenti e troppo difficili da gestire. Conclusioni Il lavoro di ricerca e quello di formazione hanno prodotto moltissimi spunti e l’entusiasmo di coloro che vi hanno preso parte sembra dirci che il progetto si è posto nella giusta direzione, andando a toccare aspetti molto vivi nel lavoro dei direttori e su cui è quanto mai necessario portare l’attenzione. Occorre ricordare che nel contesto italiano – ma anche in quello europeo – è la prima volta che si approfondiscono con sistematicità e scientificità gli aspetti non-musicali del lavoro dei direttori di coro: quali le strade percorribili per diffondere non solo i risultati del lavoro, ma anche la cultura della direzione corale che esso può veicolare? L’iniziale incontro tra Università Cattolica e Feniarco pose il gruppo di fronte a una strada impegnativa ma appassionante: a distanza di qualche anno la soddisfazione riguarda sia gli esiti del lavoro svolto che la qualità della collaborazione reciproca. Una soddisfazione che rappresenta uno stimolo verso nuove strade da percorrere. 47 VI Convegno Nazionale delle Commissioni Artistiche Regionali Villa Manin di Passariano (Ud), 22-23 maggio 2010 L’approfondimento di temi specifici anche – e, spesso, soprattutto – grazie all’apporto di studiosi, ricercatori ed esperti del settore, unito allo spirito del confronto costruttivo tra le diverse esperienze messe in atto nelle differenti realtà, costituisce un passo importante per la crescita e lo sviluppo di qualunque attività umana. Il mondo corale, nella sua varietà e ricchezza, non fa certo eccezione. Con questo spirito, la Feniarco ripropone a cadenza biennale un convegno nazionale che coinvolge i rappresentanti delle commissioni artistiche regionali, “operatori sul campo” e portavoce delle rispettive associazioni territoriali, che nell’ultima edizione – la sesta, ormai – si sono riuniti nella prestigiosa cornice di Villa Manin a Passariano di Codroipo (Ud) il 22 e 23 maggio scorso. Due intense giornate di lavoro, articolate in due distinti momenti. Nel pomeriggio del sabato, sono stati ufficialmente presentati gli interessanti e stimolanti risultati del progetto nazionale InDirection, incentrato sullo studio degli aspetti di natura non-musicale legati alla direzione di coro. A relazionare sono stati i ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prof.ssa Fabiana Gatti e dott. Simone Scerri, già impegnati nella conduzione del progetto e autori dell’omonimo volume edito da Feniarco che ha trovato, nel convegno di Villa Manin, la sua ufficiale presentazione al pubblico. A conclusione dei lavori pomeridiani, il gradito intervento musicale del Gruppo Vocale Ansibs di Staranzano (Go), che ha offerto ai convenuti un rapido e frizzante excursus nel repertorio dei folksongs a cappella. Nella mattinata di domenica sono invece intervenuti i delegati delle Commissioni Artistiche Regionali, i quali hanno relazionato sull’attività delle rispettive regioni, evidenziando sia la varietà che contraddistingue la vita corale italiana nelle sue molteplici declinazioni sul territorio, varietà che deriva spesso dalle profonde diversità di culture, tradizioni e repertori presenti nelle nostre regioni, sia molteplici linee comuni di intervento che contraddistinguono l’attività corale associativa e che si snodano, come un unico leitmotiv, su tutto il territorio nazionale. readyTOsing ASSOCIAZIONE 49 Una preziosa fucina per la musica corale Il seminario per giovani compositori di Aosta di Luisa Antoni Tra il 18 e il 24 luglio si è svolta ad Aosta la sesta edizione del seminario per giovani compositori che ha visto la collaborazione organizzativa di diversi attori italiani e stranieri, dalla federazione nazionale Feniarco, all’organizzazione internazionale Europa Cantat, sino all’Assessorato Regionale Istruzione e Cultura della Valle d’Aosta e alla Fondazione Istituto Musicale Valle d’Aosta. A coordinare sul territorio e a tenere le fila di tutto l’Associazione regionale dei cori della Valle d’Aosta (Arcova), la cui presidente Marinella Viola è stata la prima a prendere la parola e a salutare i numerosi ospiti italiani e stranieri. Durante la conferenza stampa di presentazione dell’ambizioso progetto sono intervenuti Alvaro Vatri, vicepresidente della Feniarco, i tre docenti – la finlandese Mia Makaroff, il francese Thierry Lalo e l’italiano Pierangelo Valtinoni – e i direttori dei due cori laboratorio Carlo Pavese e Luigina Stevenin. Sin da subito si è mostrata l’estrema varietà di approcci e di offerta formativa, varietà che ha incontrato la piena adesione dei 26 partecipanti ai corsi (22 attivi e 4 uditori), provenienti da ben nove diverse nazioni. Il vicepresidente Vatri ha sottolineato che in un periodo di sviluppo della coralità, come quello che stiamo vivendo negli ultimi anni, c’è bisogno di un rinnovamento del repertorio e il fine principale di questo seminario è proprio la messa in opera di creatività musicali per comporre nuovi brani, da proporre ai cori. La particolarità del seminario di composizione corale è data dalla partecipazione di cori laboratorio che, come ha giustamente sottolineato Carlo Pavese, aiutano a farne un bottega di sperimentazione, una specie di fucina, in cui i compositori possono sentire e verificare sul campo l’effetto sonoro di ciò che mettono su carta. Un arricchimento notevole e una novità per il seminario valdostano è stata la partecipazione – quest’anno per la prima volta – del coro di bambini Canto Leggero dell’Istituto Musicale di Aosta (diretto da Luigina Stevenin) che ha coadiuvato il laboratorio di Mia Makaroff. La presenza di ben 35 giovani coristi ha indubbiamente ravvivato il corso e ha dato la possibilità ai compositori di ritagliare dei brani a misura di bambino. Oltre al coro di voci bianche è stato ospite del seminario anche il Torino Vocalensemble, diretto da Carlo Pavese, che sin dagli inizi nel 2000 è stato protagonista di numerose iniziative interessanti che lo hanno portato ad avere in repertorio ben 150 composizioni, tra cui 15 prime assolute. Il coro torinese era già stato coro laboratorio del seminario valdostano nel 2004. A inizio lavori ogni insegnante ha tracciato la via da seguire: attraverso lezioni collettive e individuali i docenti hanno saputo motivare e stimolare i compositori che in tre giorni al massimo hanno dovuto definire i propri brani. A ogni docente era affidato un ambito specifico: la Makaroff ha lavorato sulle composizioni per cori di bambini, Lalo ha curato la parte jazzistica, mentre a Valtinoni è stata affidato il compito di proporre elaborazioni su materiali dati. In un lavoro a ritmi serrati (mattino, pomeriggio e sera) si è giunti al concerto finale: ma già al secondo giorno di lavori – dopo aver funto da coro laboratorio quasi tutto il giorno – il Torino Vocalensemble si è presentato con un concerto serale alla Chiesa di Santa Croce, proponendo una scelta di brani contemporanei, il cui ascolto si è indubbiamente posto come propedeutico anche ai corsi stessi, oltre che proporsi come godimento estetico. Al concerto finale – che è stato inserito nella rassegna “Aosta Classica” e ha avuto luogo alla “Cittadella dei giovani” – hanno partecipato i due cori, il Torino Vocalensemble e Canto Leggero, e un trio jazz (il gruppo H 2O2 di Quincinetto, Torino) che ha interagito con i coristi per la parte riguardante le produzioni della bottega di vocal jazz. Oltre un’ora e mezza di musica che ha visto il coro di bambini prodursi in gesti, movimenti e recitazione, oltre che canto, e il coro di Torino che ha saputo rendere al meglio le poliedriche composizioni dei singoli corsisti. Un applauso caloroso ha gratificato gli esecutori, i docenti e i compositori, ma un applauso altrettanto caloroso va anche all’organizzazione che ha tenuto saldamente tra le mani le fila di una situazione complessa, dando a tutti il modo di realizzare al meglio le proprie potenzialità e creando anche momenti di socializzazione che hanno prodotto contatti internazionali, in cui i corsisti hanno intessuto amicizie che si spera creino in futuro scambi e confronti corali europei. 50 L’EDIZIONE DEI GRANDI NUMERI 44º Concorso nazionale corale Trofei Città di Vittorio Veneto Dal 28 al 30 maggio scorso si è svolta la quarantaquattresima edizione del concorso nazionale corale Trofei Città di Vittorio Veneto. Sarà ricordata come l’edizione dei grandi numeri: infatti, dopo il forzato stop dello scorso anno, i cori italiani sono tornati numerosi a frequentare la competizione vittoriosi e in totale la Commissione artistica ha ammesso al prestigioso appuntamento corale quarantuno complessi. Le regioni italiane rappresentate sono state dieci. Accanto alle consolidate categorie Musiche originali d’autore (11 partecipanti) e Cori di voci bianche (10 partecipanti), si è registrata un’incoraggiante adesione alla neonata categoria di Cori giovanili (12 partecipanti); inoltre, va evidenziato il ripristino della categoria Canto popolare (8 partecipanti), che, storicamente, caratterizza il concorso. Insomma, dati numerici più che rassicuranti sullo stato di salute dello storico appuntamento corale. Il favore decretato dai cori costituisce un motivo di soddisfazione per enti e persone che hanno curato l’evento. Il concorso è stato organizzato dal Comune di Vittorio Veneto e si è avvalso del patrocinio della Regione del Veneto, della Provincia di Treviso, dell’Ufficio scolastico regionale, della Feniarco, dell’Asac, della Sezione e del Coro ANA di Vittorio Veneto e del sostegno di alcuni sponsor. A caratterizzare la manifestazione di quest’anno, conferendole un’importante dimensione etica, è stato il progetto “Hospice - Casa Antica Fonte”, un’iniziativa di solidarietà che ha l’obiettivo di creare una struttura residenziale per persone affette da gravi patologie. Sul piano più squisitamente artistico va doverosamente considerato che alla quantità si è aggiunta la qualità dei cori partecipanti. Un dato, questo, che emerge oggettivamente da una prima rapida lettura delle classifiche. Infatti, la Commissione giudicatrice (composta da Franco Monego, presidente, Aldo Cicconofri, Mario Mora, Fabiana Noro e Paolo Piana) ha ritenuto di assegnare tutti i premi (di cui ben quattro attribuzioni ex aequo) e con punteggi medi piuttosto elevati. Una riflessione in merito all’istituzione del Premio speciale per il miglior coro scolastico. I cori prettamente scolastici, ai quali era riservata nelle passate edizione una manifestazione non competitiva, si sono esibiti all’interno della categoria destinata ai più consolidati cori giovanili, con esiti comprensibilmente impari. Giustamente però la Commissione giudicatrice ha voluto marcare il valore e il merito del lavoro che viene svolto nelle scuole a favore della disciplina corale. La sessione conclusiva del concorso è stata, come da tradizione, quella dell’esibizione dei cori primi classificati nelle quattro categorie (in realtà cinque cori, considerati gli ex aequo), i quali (con l’aggiunta del Coro misto Città di Roma, diretto da Mauro Marchetti, vincitore nel 2009 del Primo premio al Concorso Nazionale di Arezzo) si sono disputati il 16° Gran Premio Efrem Casagrande. Al termine dell’ascolto la Giuria si è espressa a maggioranza a favore del Coro maschile CET - Canto e tradizione di Milano, diretto da Alessandro Ledda. Clima di grande soddisfazione su tutti i fronti, dunque, nel quale trovano un eco ottimistico le accorate parole di auspicio pronunciate dalla conduttrice della manifestazione, la dott.ssa Loredana Buffoni, a favore dell’edizione numero 45 in programma per il prossimo anno. CRONACA 51 Risultati Cat. A - Progetto-programma: musiche originali d’autore 1° ex-aequo - Coro femminile Vivaldi di Roma, direttore Amedeo Scutiero Titolo del progetto: Tradizione e fratture del linguaggio nella musica corale contemporanea Il coro è ammesso di diritto al Concorso Polifonico Nazionale di Arezzo 2011. 1° ex-aequo - Coro femminile Clara Schumann di Trieste, direttrice Chiara Moro Titolo del progetto: Mahler-Lauer: Lieder und Gesange das Knaben Wunderhorn, per coro femminile e pianoforte Il coro è ammesso di diritto al Concorso Polifonico Nazionale di Arezzo 2011. 2° ex-aequo - Coro misto Insieme Corale Ecclesia Nova di Boscochiesanuova (VR), direttore Matteo Valbusa Titolo del progetto: Musica sacra nel terzo millennio Il coro ha conseguito anche il Premio al miglior coro veneto iscritto all’Asac Veneto, offerto dall’Asac. 2° ex-aequo - Coro misto Coro da Camera di Varese, direttore Gabriele Conti Titolo del progetto: Messe a confronto, aspettando il nuovo secolo 3° Coro misto Janua Vox - Accademia Vocale di Genova, direttrice Roberta Paraninfo Titolo del progetto: Ti prendo fra le mani il chiaro volto Cat. B - Progetto-programma: Canto popolare 1° (Premio Banca Prealpi) - Coro maschile CET - Canto e tradizione di Milano, direttore Alessandro Ledda Titolo del progetto: I canti popolari armonizzati da Arturo Benedetti Michelangeli per il coro della SAT di Trento (1954-1983) 2° Coro maschile Città di Ala (TN), direttore Enrico Miaroma Titolo del progetto: Il canto popolare trentino: generazioni a confronto 3° Coro misto Lojze Bratuz̆ di Gorizia, direttore Bogdan Kralj Titolo del progetto: Il canto popolare della Val Resia Cat. C - Progetto-programma riservato a cori di voci bianche 1° Coro di voci bianche Artemusica di Valperga (TO), direttrice Debora Bria Titolo del progetto: Composizioni sacre e profane dell’Ottocento e del Novecento 2° Coro di voci bianche Garda Trentino di Riva del Garda (TN), direttore Enrico Miaroma Titolo del progetto: Compositori italiani contemporanei 3° ex-aequo - Coro di voci bianche Carminis Cantores di Puegnago del Garda (BS), direttore Ennio Bertolotti Titolo del progetto: Titoli diversi dentro la stessa favola che si chiama fantasia 3° ex-aequo - Coro di voci bianche Fran Venturini di Domjo (TS), direttrice Susanna Zeriali Titolo del progetto: Girotondo intorno al mondo: il gioco della… pace Cat. D - Progetto-programma: cori giovanili 1° Coro femminile DPZ Kras̆ki Slavcek di Aurisina (TS), direttore Mirko Ferlan Titolo del progetto: Il contrappunto in epoche diverse 2° ex-aequo - Coro misto Giovanile Artemusica Vocal Ensemble di Valperga (TO), direttrice Debora Bria Titolo del progetto: Compositori del Novecento 2° ex-aequo - Coro misto I Giovani Cantori dell’Accademia Vocale di Genova, direttrice Roberta Paraninfo Titolo del progetto: Ponentemente. Per un coro che cresce 3° Coro misto Valsugana Singers di Borgo Valsugana (TN), direttore: Giancarlo Comar Premi speciali Premio al Direttore di coro dalle particolari doti interpretative, offerto dal Coro e dalla Sezione ANA di Vittorio Veneto in memoria del M° Efrem Casagrande: Matteo Valbusa, direttore dell’Insieme Vocale Ecclesia Nova di Boscochiesanuova (VR) Premio speciale per l’insieme vocale e strumentale di particolare interesse: Amazing Gospel Choir di Este (PD), diretto da Marica Fasolato. Titolo del progetto: Suggestioni e dimensione corale del canto spiritual e gospel. Premio speciale per il programma più interessante: Coro misto Janua Vox - Accademia Vocale di Genova, direttrice Roberta Paraninfo Premio speciale Hospice Casa Antica Fonte: Coro di voci bianche Fran Venturini di Domjo (TS), direttrice Susanna Zeriali Premio speciale per il miglior coro scolastico: Coro dell’Istituto Comprensivo di Lavis (TN), direttore Ludovico Conci 52 percorsi italiani al 49º Concorso internazionale Seghizzi di Rossana Paliaga Per il concorso internazionale di canto corale Seghizzi il 2010 è stato un anno importante, nel quale i festeggiamenti per il 90º anniversario di fondazione della storica associazione intitolata al musicista goriziano hanno caratterizzato il programma complementare delle manifestazioni con una serie di concerti da camera dedicati alla musica dei primi decenni del ’900. Sono già una consuetudine ultraquarantennale invece gli incontri musicologici, svolti quest’anno in forma di incontri con i musicisti della giuria internazionale, l’ultimo dei quali ha sviluppato il tema dei criteri di valutazione nei concorsi corali internazionali attraverso l’esperienza dell’elaborazione di un sistema unitario per i cantoni svizzeri esposta da Hansruedi Kämpfen. La scelta dell’argomento è stata particolarmente opportuna al termine di un concorso nel quale non sono state distanze macroscopiche, ma piccoli e fondamentali particolari a creare le graduatorie delle premiazioni con risultati a volte non pienamente condivisibili. Che si tratti della lunga lista di fattori di valutazione del protocollo di lavoro svizzero o di schede formalmente diverse ma imperniate su principi simili, il sistema riduce a una definizione razionale quanto il pubblico percepisce istintivamente con parametri essenzialmente emozionali. Un male (o un bene) necessario per poter trasformare in numeri quelle che sono a volte sfumature di differenza grazie alle quali c’è chi sale sul podio e chi si deve accontentare di un diploma di partecipazione. Hanno saputo trovare la strada della vittoria il coro sudcoreano di inossidabile precisione Pilgrim Mission (categoria musica romantica, premio per l’esecuzione di un brano di ispirazione religiosa, premio speciale per il repertorio contemporaneo e 22º Grand Prix Seghizzi) e il coro giovanile giapponese Seisen (musica contemporanea, musica di ispirazione popolare, premio voci pari), capace di un grande sfoggio di virtuosismo tecnico in rapporto all’età delle coriste. L’unico rappresentante italiano ad avere ottenuto un risultato più che soddisfacente a livello di medagliere è stato il quintetto The blossomed voice (primo premio nella categoria rinascimentale, premio Feniarco, premio gruppi cameristici e premio Corte Estense). Hanno attirato l’attenzione più di quanto non esprimano i loro secondi premi nelle graduatorie il coro femminile canadese Belle Canto (premio per il programma di maggiore interesse artistico) dall’ottima preparazione vocale, il coro lettone Maska dall’insieme elegante e armonioso (premio Nuovi talenti all’estroso, giovanissimo direttore Janis Ozols) e l’ottimo coro giovanile ungherese Magnificat, diretto dall’efficace Valeria Szebelledi (premio Usci al direttore di coro). La 49ª edizione del Seghizzi verrà ricordata per il grande ritorno dei cori italiani che dopo anni di assenza e partecipazioni sporadiche hanno deciso di confrontarsi con la coralità internazionale. Il gruppo Sant’Alene de Tula si è esibito come rappresentante della preziosa tradizione vocale sarda del canto a tenore, corredato dalla disposizione circolare e da tutti i gesti caratterizzanti del genere su un programma di brani scritti secondo i canoni del repertorio popolare e su testi dialettali dal direttore Giovanni Marongiu. La narrazione musicale con tempi e modi di antica memoria ha portato la ruvida autenticità del linguaggio del folclore in un contesto dedicato fondamentalmente a stilizzazioni colte. Si è presentato in una sola categoria per la propria natura specifica anche l’ensemble Blu Gospel di Sarego che si ispira alle modalità del gospel anche nel frequente impiego di solisti, ma senza poter fare affidamento sulle necessarie doti vocali. Il pluripremiato quintetto The Blossomed Voice di Villadossola ha presentato l’eclettismo di un ensemble che attinge al XVI e al XX secolo, forte non di voci importanti, ma di una grande compattezza d’insieme (fin dalla disposizione serrata dei cantanti), modulata su una limitata tavolozza dinamica. L’ensemble ha offerto la possibilità sempre più rara in un contesto amatoriale di ascoltare brani di epoca rinascimentale in esecuzione a parti reali, che gli è valsa la vittoria con un programma di grandi classici del genere. L’Insieme vocale Vox Cordis di Arezzo è probabilmente il gruppo che ha dimostrato più creatività e varietà nelle proprie esibizioni fin dall’esordio con quattro situazioni diverse nel CRONACA 53 programma jazz e pop e un omaggio all’amore in un percorso dal corteggiamento al matrimonio nelle elaborazioni di canti tradizionali toscani. Lorenzo Donati ha voluto mettere alla prova i propri coristi in quasi tutte le categorie, con una doppia esibizione nel repertorio rinascimentale, dove il gruppo madrigalistico è stato capace di emozionare con intensità espressiva e buona consapevolezza stilistica, e in quello contemporaneo, dove il gruppo misto si è prodotto in un repertorio vario, originale e ironico interamente basato su autori italiani tra i quali lo stesso Donati. La capacità comunicativa, la concentrazione, l’adesione dei coristi alla ricchezza di spunti e alla sensibilità musicale del direttore sono state sempre convincenti, ma il coro è stato tradito da alcune sbavature negli attacchi, nell’omogeneità e nello spessore vocale dell’insieme (particolarmente evidenti rispetto alle esigenze del repertorio romantico). Se il direttore toscano è riuscito a ottenere risultati validi plasmando un materiale vocale eterogeneo, Roberta Paraninfo ha scelto con il giovane Genova Vocal Ensemble un percorso diverso che si basa sulla selezione a priori dei coristi e sulla loro preparazione vocale. Il curioso organico da camera femminile con una sola voce maschile ha fondato le proprie esibizioni su efficaci interventi solistici o a parti reali e si è distinto per cura del suono, gusto e freschezza di espressione, inoltre per la capacità di divertirsi nel gioco musicale. Quasi l’Italia sta scoprendo l’idea stessa della competizione internazionale. impeccabile la loro prova nel repertorio barocco e classico con alcune parti dalla Messa Sub Titulo Sancti Leopoldi di J.M. Haydn. La cura del dettaglio e la versatilità del gruppo sono state confermate anche nel programma contemporaneo. Dei cinque rappresentanti italiani i tre che hanno preso parte alle principali categorie competitive delle sezioni storiche hanno saputo stare al passo con i concorrenti provenienti da Canada, Corea del Sud, Russia, Ungheria, Filippine, Lettonia, Polonia, Romania e Giappone ed è stato proprio il livello fondamentalmente omogeneo dei cori selezionati per la 54 Risultati Categoria 1a/b (Rinascimento e Barocco) 1° The Blossomed Voice (Italia) 2° Maska Youth Choir (Lettonia) 3° De la Salle University Chorale (Filippine) 4° Genova Vocal Ensemble (Italia) 5° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.) 6° Gruppo Madrigalistico Vox Cordis (Italia) XXII Grand Prix Seghizzi 2010 3° Trofeo delle Nazioni 1° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.) 2° Seisen High School Choir (Giappone) 3° Magnificat Youth Choir (Ungheria) 4° Belle Canto (Canada) 5° Maska Youth Choir (Lettonia) 6° De la Salle University Chorale (Filippine) Categoria 1c (Romanticismo) 1° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.) 2° Belle Canto (Canada) 3° Magnificat Youth Choir (Ungheria) 4° Chamber Choir of Wroclaw Medical University (Polonia) 5° Insieme Vocale Vox Cordis (Italia) 6° Genova Vocal Ensemble (Italia) Premi speciali Premio del pubblico, categoria 2a: Magnificat Youth Choir (Ungheria) Premio del pubblico, categoria 2b: De la Salle University Chorale (Filippine) Trofeo di composizione “Seghizzi”: Alessandro Kirschner Premio Voci pari: Seisen High School Choir (Giappone) Premio Feniarco al complesso italiano con il maggior punteggio: The Blossomed Voice (Italia) Premio Domenico Cieri per il programma di maggior interesse artistico: Belle Canto (Canada) Premio Rachele Basuino per la miglior esecuzione di un brano tra le composizioni polifoniche di ispirazione religiosa: Pilgrim Mission Choir (Corea del Sud) Premio Usci Friuli Venezia Giulia attribuito dalla Commissione Artistica al miglior direttore di coro: Valeria Szebelledi (Ungheria) Premio speciale Gruppi cameristici al gruppo cameristico meglio classificato nella categoria 1: The Blossomed Voice (Italia) Premio Cecilia Seghizzi per il miglior repertorio contemporaneo in particolare italiano ed europeo: Pilgrim Mission Choir (Corea del Sud) Premio Nuovi talenti: Janis Ozolos Premio per la Miglior esecuzione di un brano polifonico di un compositore della corte estense: The Blossomed Voice (Italia) Premio nazionale Seghizzi “Una vita per la direzione corale”: Franco Monego Categoria 1d (Novecento) 1° Seisen High School Choir (Giappone) 2° Magnificat Youth Choir (Ungheria) 3° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.) 4° Belle Canto (Canada) 5° Chamber Choir of Wroclaw Medical University (Polonia) 6° Coro Voci bianche del conservatorio Rostov sul Don (Russia) Categoria 2a/b (Musica leggera, jazz e blus e Musica popolare) 1° Seisen High School Choir (Giappone) 2° Belle Canto (Canada) 3° Maska Youth Choir (Lettonia) 4° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.) 5° De la Salle University Chorale (Filippine) 6° Magnificat Youth Choir (Ungheria) Categoria 3 (Musica contemporanea) Pilgrim Mission Choir (Corea del Sud) - A. Kirschner, Gloria Chamber Choir of Wroclaw Medical University (Polonia) - I. Antognini, My Song Seisen High School Choir (Giappone) - A. Cortello, Lux Aeterna competizione di quest’anno (venti in tutto) a distribuire in maniera a volte inaspettata i voti della giuria internazionale. Al di là delle impressioni in sala e ripulendo le prime reazioni a caldo da un fondo di campanilismo anche attraverso discussioni con esperti del settore e gli stessi membri della giuria, occorre accettare, con lecite riserve, la combinazione imprevedibile di sensibilità e approcci diversi dei giurati, ma soprattutto il principio fondamentale delle logiche matematiche nelle valutazioni: il buon risultato espressivo e stilistico passa attraverso la padronanza dei mezzi tecnici che sono l’unico criterio obiettivo di valutazione, quindi è automatico che un coro di grande musicalità ma con imprecisioni nell’esecuzione non potrà mai superare una “macchina da concorso”. La graduatoria è stata inoltre condizionata fortemente (e per motivi economici) dall’esigenza di riunire in una classifica unica le categorie con programma rinascimentale e barocco, come anche le categorie di elaborazioni jazz e popolari, penalizzando così gruppi che avrebbero meritato una collocazione diversa per la specifica esibizione di categoria rispetto alla classifica globale. I numeri non hanno soddisfatto le aspettative e probabilmente l’apprezzamento generale a livello di pubblico e le parole lusinghiere spese dalla giuria non ripagano il notevole investimento in questa impegnativa avventura. L’Italia sta scoprendo l’idea stessa della competizione internazionale, che non rientra negli obiettivi di molti ottimi cori amatoriali e all’interno della quale i più coraggiosi si trovano spesso scoperti nel confronto con “esperti” del settore. Il talento non manca, ma il cuore in questi casi va armato di rigore, selezione, lucidità, anche calcolo, senza rinunciare ad autenticità e creatività che, al di fuori di ogni stereotipo, ci rendono speciali. CRONACA 55 Un microcosmo di emozioni Il 39° Florilège Vocal di Tours di Rossana Paliaga concorso è riuscito a consolidare nel tempo all’interno di un territorio, dimostrando nel caso di Tours un interesse molto vivace e una base di competenza confermata da orientamenti specifici, tali da far registrare il tutto esaurito non soltanto in occasione della prova finale a programma libero, ma anche nella categoria dedicata alla musica rinascimentale che ha un significato particolare per l’antica tradizione storica e culturale della città. Tours non è una stazione di transito, ma un capolinea. Nemmeno il passeggero più distratto può sbagliare, perchè qui i treni si fermano, sotto la luminosa struttura modernista dell’architetto Laloux che nelle maioliche alle pareti ricorda al turista, se mai se ne fosse dimenticato, che si trova nel cuore della Valle della Loira, da dove si dipartono le strade verso i suoi numerosi castelli. A chi segue le orme di Leonardo nella sua ultima dimora di Amboise o di Caterina de’ Medici attraverso le arcate sull’acqua del castello di Chenonceaux si aggiungono nel mese di maggio i viaggiatori della coralità, quelli per i quali il capolinea di Tours non è un nuovo punto di partenza ma l’arrivo nel cuore di uno dei grandi momenti di confronto della coralità internazionale, il Florilège Vocal. Dal 28 al 30 maggio si è svolta la 39ª edizione di un concorso «radicato nel paesaggio della Turenna» e che secondo le parole del vicepresidente della regione Jean Germain continua da quasi quarant’anni «a far sognare senza mai cessare di reinventarsi» e che attraverso i cori partecipanti riesce a «commuovere, sorprendere e toccare il cuore». Ci è riuscito anche quest’anno, nonostante la crisi si faccia sentire sulle possibilità dei cori di viaggiare e come tutti i grandi concorsi corali internazionali è stato ancora una volta un momento di incontro e arricchimento reciproco non soltanto per i cori partecipanti, ma anche per il pubblico. Ed è proprio il pubblico a dare la misura della considerazione della quale gode la coralità amatoriale (intesa in senso alto) e del ruolo che un Le categorie Il concorso prevede quattro categorie per i cori di adulti di cui due obbligatorie a scelta del partecipante: voci miste, voci pari, gruppi vocali a voci miste (quest’anno non attivata), programma libero (che permette generalmente ai cori di esprimersi nel loro repertorio abituale). A queste va aggiunta l’unica categoria specifica per tipo di repertorio, dedicata al programma rinascimentale. I cori devono cimentarsi obbligatoriamente in una prova di qualificazione nelle quattro categorie principali che permette l’accesso alla prova finale. I cori scelti dalla giuria nella rosa dei finalisti Tours non è una stazione di transito, ma un capolinea. partecipano con una prova ulteriore all’assegnazione del Grand Prix della città di Tours. All’interno delle distribuzioni per categoria in termini di organico si sviluppano prove di programma storico dove senza obblighi precisi viene incoraggiato l’approccio a stili diversi per permettere di valutare competenza e versatilità del coro. La categoria facoltativa rinascimentale richiede chiaramente una frequentazione specifica del repertorio e una buona conoscenza delle sue caratteristiche di esecuzione, esigenze che nel campo dei cori amatoriali riducono drasticamente il numero di candidati. La novità importante dell’edizione di quest’anno è stato il perfezionamento della categoria dedicata ai cori di voci bianche con l’aggiunta della categoria specifica per i cori giovanili, entrambe costituite da 56 due prove, delle quali la seconda per il premio del pubblico. Queste categorie rivestono grande importanza come gesto di considerazione verso un settore della coralità poco valorizzato da manifestazioni di alto livello. Cori e premi Il Florilège ha scelto una sigla significativa: prima dell’inizio di ogni categoria la toccata dall’Orfeo di Monteverdi invita infatti coristi e pubblico a entrare nel vivo, quasi un richiamo simbolico e propiziatorio ad accordare la lira per incantare e lasciarsi incantare. Al difficile compito sono stati chiamati nove cori di adulti provenienti da Repubblica Ceca, Regno Unito, A brevissima distanza nel traguardo e tradito probabilmente dai rischi di uno spiccato spirito competitivo non è passato inosservato l’altro grande protagonista del Florilège 2010, il coro Mikrokosmos di Vierzon. Il gruppo, specializzato nel repertorio contemporaneo, si caratterizza per temperamento incisivo e grande ambizione; i programmi sono ricercati e virtuosistici, in un tentativo continuo di vincere sfide musicali e dimostrare una dedizione semiprofessionale all’attività corale. In questa determinazione i coristi esprimono una comunione di intenti con il fondatore del coro e direttore Loïc Pierre, rispondendo alla sua direzione decisa ed efficace con un suono Il Florilège continua a far sognare senza mai cessare di reinventarsi. Francia (con due rappresentanti), Singapore, Estonia, Spagna, Norvegia e Belgio. La giuria ha evidenziato i quattro cori che si sono distinti anche nel giudizio del pubblico. La vittoria ha sorriso ampiamente al coro Kup Talea di Tolosa (primo premio nelle categorie cori misti, a programma libero e Rinascimento), formato da giovani musicisti diretti e preparati con grande cura e serietà da Gabriel Baltes. Il Grand Prix conquistato è stato quasi un passaggio di testimone, dato che il prossimo Grand Prix europeo si svolgerà proprio nella città spagnola. Il coro dalla consistente espressività sonora ha attirato l’attenzione anche per la non comune qualità vocale dell’ottima sezione maschile e si è dimostrato capace di differenziare in maniera convincente gli stili proposti. Vitalità, precisione, intensità espressiva, flessibilità e, perché no, anche simpatia e grande energia sono le caratteristiche portate sul palcoscenico di Tours da questo coro che ha saputo conquistare pubblico e giuria con la passione di un lavoro accurato. equilibrato, grande precisione ritmica e consapevolezza esecutiva, ma è stata proprio la pur motivata ostentazione a far perdere al coro la bussola dell’espressione e del giusto equilibrio che ha portato altrove la palma della vittoria. Il medagliere probabilmente non ha soddisfatto le aspettative con un secondo premio nella categoria cori misti e un terzo premio nella categoria a programma libero. Si è distinto con la buona preparazione dei coristi e approcci meditati il gruppo Coro di Londra che ha avuto accesso al gala del Grand Prix ma si è dovuto accontentare del terzo premio nella categoria a voci miste e di un premio speciale nel repertorio rinascimentale. Il risultato non sorprende se si considera la particolarità delle scelte interpretative dell’estroso direttore Mark Griffiths che tende a costruire un fraseggio nel quale l’attenzione meticolosa ai particolari rischia di creare un effetto frammentato, tale da far perdere a volte di vista la totalità dell’arco melodico. Il coro si è espresso al meglio nel repertorio antico e in quello contemporaneo, dimostrando invece un corpo troppo esile per le esigenze del romanticismo. Il quartetto dei cori migliori è stato completato dal coro universitario Hwa chong choir di Singapore diretto da Ai Hooi Lim (secondo posto nella categoria a programma libero e premio del pubblico), un gruppo corretto e disciplinato, ma spesso portato a scivolare sulle esigenze di stile e a cedere sulla tensione della conduzione. I risultati meno soddisfacenti per qualità delle esecuzioni sono stati quelli riportati dalla categoria di cori a voci pari, dove la giuria ha deciso di non assegnare primo e secondo premio, consegnando il terzo al coro femminile Embla di Trondheim in Norvegia, gruppo affiatato e diretto con gentilezza dalla propria fondatrice Norunn Illevold Giske. Nelle categorie dedicate ai più giovani i quattro cori giovanili partecipanti provenivano da Repubblica Ceca, Ucraina e Polonia, i cori di voci bianche da Repubblica Ceca, Regno Unito, Ungheria e Ucraina. In questo contesto sono due i gruppi da ricordare: il coro femminile di voci bianche Taplow di Maidenhead (Inghilterra), secondo classificato, e il coro giovanile polacco Resonans con tutti di Zabrze che ha conquistato il primo premio e il premio per la migliore esecuzione di un brano in lingua francese. Il segreto del primo risiede nel rapporto speciale delle piccole coriste con la direttrice Gillian Dibden, una comunicazione fatta di fiducia ed entusiasmo che si trasmette al pubblico con un suono particolarmente espressivo. Il polacco Waldemar Galazka ha svolto un lavoro puntuale con il suo coro misto che si è distinto anche nella categoria non competitiva, dove ha confermato levigatezza del suono e musicalità con un programma polifonico importante. In generale la difficoltà maggiore riscontrata in queste due categorie è stata mantenere nella disciplina l’autenticità dell’entusiasmo giovanile; la maggior parte dei cori si è arenata infatti nelle secche di una correttezza piuttosto legnosa e povera di stimoli musicali. Tra i cori di voci bianche è salito sul gradino più alto del podio il CRONACA 57 cittadinanza e che mira a consolidare la popolarità della manifestazione nel territorio attraverso un contatto diretto con il grande pubblico. La Place de la Résistance ha accolto quest’anno per la prima volta il grande concerto che solitamente attira una folla numerosa, stavolta in parte dissuasa dal tempo incerto. gruppo ungherese Cantemus, apprezzato nella sua diligenza tutta femminile anche dal pubblico che gli ha assegnato il premio speciale. La giuria ha premiato inoltre la direttrice dei cori Primavera (secondo classificato nella categoria giovanile) e Rosic̆ka (voci bianche) di Brno Katarina Mas̆lejova, giudicata la migliore direttrice di coro del concorso nella sua doppia prova grazie a un bel gesto e a una prudente impostazione classica con la quale ha ottenuto la precisione di coristi educati e reattivi. I luoghi Due sono le arene principali della competizione di Tours ed entrambe indicano chiaramente quale sia il genere di considerazione auspicato dagli organizzatori nei confronti della manifestazione. Le selezioni aperte al pubblico pagante si svolgono nell’elegante cornice del Grand Théâtre di Tours, costruito nel 1869 e dotato di una sala all’italiana. La cornice è prestigiosa, l’acustica più che soddisfacente per il pubblico, sebbene sul palcoscenico i coristi lamentino difficoltà nella resa ideale dell’equilibrio d’insieme. I cori si sono esibiti anche nel capiente auditorium da mille posti dell’Espace Malraux nella vicina località di Joué-lès-Tours che è stata sede delle qualificazioni del programma libero e della rassegna di cori di voci bianche e giovanili. Il programma rinascimentale è stato valorizzato da un’eccezione adeguata e gradita sia da parte dei cori che del pubblico che comprende l’importanza di questo tipo di attenzione; alla dimensione più raccolta del genere è stato infatti destinato lo spazio ridotto del salone del Conseil Général d’Indre-et-Loire a Tours. Gli organizzatori e il pubblico locale riservano un ruolo rilevante al gran finale della manifestazione che segue le premiazioni. Tutti i cori partecipanti sono invitati infatti a esibirsi in una grande rassegna all’aperto, uno spettacolo gratuito regalato dal Florilège alla I programmi La vetrina dei concorsi internazionali è sempre una buona occasione per diffondere la letteratura corale del paese ospitante. Per i partecipanti al concorso di Tours è stato naturale mettere in campo molti autori francesi, inoltre il programma dei cori scelti per la sfida del Grand Prix deve per regolamento comprendere almeno una composizione di autore francese. Anche nella categoria dedicata al Rinascimento vige l’obbligo di interpretare un’opera che metta in musica un testo di Ronsard ed esiste la possibilità di concorrere per un premio speciale intitolato a Ockeghem (quest’anno non assegnato). La scelta di musicisti o poeti francesi apre la via anche ad altri premi speciali, tra i quali uno riservato a cori non francofoni che si distinguano per interpretazione e pronuncia di una composizione in lingua francese, scelta obbligata per la prima prova dei cori di voci bianche e giovanili. Anche il Ministero della cultura Un momento di incontro e di arricchimento reciproco. offre un premio per la migliore interpretazione di un’opera francese composta prima del 1920. In generale i programmi proposti nelle varie categorie hanno rivelato la curiosità dei direttori e la voglia di uscire da percorsi standardizzati, anche con prime esecuzioni mondiali e brani di grande effetto come l’Incantation du feu di Veljo Tormis, il cui suggestivo primitivismo è stato affrontato dal coro di Vierzon. Per quanto riguarda i cori di voci bianche e giovanili, sono stati messi alla prova da programmi molto consistenti nella categoria competitiva, ma è un peccato non siano riusciti a uscire dallo spirito competitivo nella meno condizionante categoria dedicata esclusivamente al premio del pubblico e che avrebbe dovuto soddisfare l’intento di mettere da parte i programmi “da concorso” per attirare la simpatia degli ascoltatori con esecuzioni più rilassate di repertori più accattivanti. 58 UNA VOCE DAL FLORILÈGE Intervista a Hervé Magnan Il vice-presidente del Florilège Hervé Magnan è uno dei motori ai vertici di uno staff organizzativo che ha garantito uno svolgimento sempre scorrevole e preciso del concorso in tutte le sue fasi. Alla sua conoscenza diretta delle dinamiche di questa manifestazione abbiamo affidato le risposte ad alcune curiosità. Tra i partecipanti di questa edizione abbiamo potuto ascoltare due cori francesi di ottimo livello. Possiamo definirli rappresentativi del livello medio della coralità in Francia? Negli ultimi anni abbiamo vissuto in Francia un vero e proprio rinascimento del canto corale e all’interno di questo rinnovato interesse va notata la tendenza a ricercare una certa qualità. Evidentemente il Florilège, in quanto manifestazione internazionale, esprime un livello superiore alla media, ma possiamo affermare che ci sono molti gruppi corali attivi sul territorio nazionale e tra di loro molti cori di buona qualità. Quest’anno non è stata attivata la categoria dei gruppi vocali. Una lacuna che riflette certamente una situazione riscontrabile a livello internazionale. Dal punto di vista della partecipazione i programmi di ogni concorso sono comunque e sempre legati a fattori più o meno casuali, ogni volta è un rischio. Questo riguarda anche le provenienze; quest’anno abbiamo molti partecipanti da est e nord Europa, ma la tavolozza delle nazioni cambia di anno in anno. La nostra organizzazione si fa carico di vitto e alloggio dei cori, che devono però pagarsi il viaggio. Credo che quest’anno in particolare la crisi abbia colpito tutti e questo abbia influito sulle scelte riguardo ai trasporti. In che direzione si sta sviluppando il concorso? Quest’anno abbiamo inserito una nuova categoria dedicata ai cori giovanili. Ogni anno cerchiamo di creare nuove categorie e di attirare in questo modo nuovi cori, quindi spero potremo continuare su questa strada di costante rinnovamento e sviluppo. Ovviamente non le rivelerò ancora quale sarà la novità della prossima edizione. Giuria Con la composizione della giuria internazionale il Florilège ha voluto creare un ulteriore biglietto da visita a consolidare l’immagine prestigiosa della manifestazione. La varietà delle specializzazioni e delle provenienze, i titoli artistici e onorifici, curricula importanti sembrano essere i fattori che hanno guidato la scelta degli organizzatori: il Cavaliere dell’Ordine nazionale del Merito e consigliere artistico del Florilège Valérie Fayet, i Cavalieri per meriti artistici François Bazola (direttore di coro del celebre ensemble di musica antica Les Arts Florissants) e Richard Quesnel (compositore dell’Università di Cambridge), il direttore d’orchestra e di coro sloveno, detentore di due Grand Prix, Stojan Kuret, la direttrice di una delle formazioni permanenti di Radio France Sofi Jeannin dalla Svezia, il compositore e direttore del Coro radiofonico fiammingo di Bruxelles Bo Hölten e, come rappresentante dell’Italia, il docente, direttore di coro e apprezzato compositore toscano Lorenzo Donati. A completare il gruppo di esperti che hanno valutato i cori c’erano inoltre il presidente dell’Unione corale estone Aarne Saluveer, l’esperta di cori giovanili e di voci bianche Darina Krosneva dalla Bulgaria, inoltre il rappresentante del Ministero della cultura francese Gérard Garcin e il musicologo, presidente del Florilège, Jacques Barbier nel ruolo di sovrintendente. Proprietà stilistica, padronanza tecnica, scelta del programma, qualità vocale e presentazione sono stati i criteri standard di valutazione. Meno scontati sono stati invece i ritmi di lavoro della giuria, che si sono rivelati particolarmente agili e non hanno mai fatto arenare lo svolgimento del concorso in lunghe attese per i risultati. «Evito sempre di rimanere il giorno dopo la conclusione nel luogo dove ho vissuto l’esperienza di un festival o un concorso, ogni cosa mi sembrerebbe troppo silenziosa, come svuotata», mi confessa un collega irlandese prima di tornare a casa. Ma vale sempre la pena di provare questa malinconia che ripone sensazioni e insegnamenti nel bagaglio dell’esperienza corale che non è mai fatta “soltanto” di musica. E si accostano in un intenso florilegio anche i ricordi di suoni e musiche che dal finestrino del treno del ritorno si accordano alla dolcezza del paesaggio, seguendo i percorsi dei cespugli di rose arrampicati sui muri delle piccole case bianche dai tetti d’ardesia. Anche queste immagini entrano a far parte come un delicato ornamento di profumi e colori di quell’esperienza collettiva definita tempo fa dal suo presidente «il bouquet corale immarcescibile del Florilège». CRONACA 59 Il Garda in Coro 2º concorso internazionale per cori di voci bianche Dopo cinque giorni di intensa attività, si è felicemente conclusa la seconda edizione del Concorso internazionale di voci bianche Il Garda in Coro, svoltasi dal 20 al 24 aprile a Malcesine sul Garda (Vr). La grande affluenza di cori ha promosso questa manifestazione anche a livello internazionale, quale occasione di incontro fra i bambini e ragazzi, dei loro direttori e dei numerosi appassionati arrivati appositamente a Malcesine per questa occasione. Ben 24 cori di voci bianche, provenienti da tutto il mondo si sono iscritti alla competizione e 21 di questi vi hanno preso parte nonostante i problemi causati dalle calamità naturali, che si sono ripercossi fortunatamente solo in modo lieve sulla manifestazione. Un incremento notevole, rispetto alla prima edizione sia in numero che in qualità dei cori partecipanti, confermato dalle esibizioni dei cori stessi, tra i quali erano presenti alcuni dei nomi internazionali e nazionali più prestigiosi. Il valore assoluto che le diverse compagini corali hanno potuto dimostrare nel corso delle numerose esibizioni di concorso è stato notevole. Il concorso ha quindi ampiamente confermato la sua validità internazionale, grazie alla partecipazione di cori provenienti da Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria, Russia, Lituania, Finlandia, Svezia, Germania, Austria e naturalmente dall’Italia; molte nazioni erano rappresentate da più di una formazione presente a conferma dell’ottima fama di cui gode il concorso in Italia e all’estero. La Giuria del concorso era costituita da alcuni dei più importanti nomi a livello internazionale, accuratamente scelti per questa funzione dalla Direzione Artistica del concorso, nelle persone di Voicu Popescu, direttore del coro di voci bianche della Radio di Romania e membro delle Olimpiadi Mondiali Corali, e Wilma Ten Wolde, direttore del Coro di voci bianche e giovanile d’Olanda e insegnante al Conservatorio Reale di Hague. Il maestro Bruno Zanolini non è potuto invece essere presente e il suo posto è stato preso dal maestro Orlando Di piazza, Direttore Artistico dell’associazione, insieme al maestro Enrico Miaroma. La numerosa e alta qualità dei cori presenti ha reso il lavoro sicuramente difficile, ben tre delle cinque giornate a disposizione hanno visto impegnata la giuria per la definizione e assegnazione dei numerosi premi e riconoscimenti in palio. Fra i cori premiati, si sono distinti in modo particolare, il coro a voci bianche polacco Torun Music School Children Choir - Gioia di cantare diretto da Renata Szerafin-Wójtowicz, vincitore del primo premio nella categoria repertori sacro, secondo ex-equo nella categoria repertorio profano e per questo meritevole dell’assegnazione del Gran Premio Il Garda in Coro quale coro che ha raggiunto il punteggio più alto di tutto il concorso. Il coro parteciperà di diritto al concerto inaugurale della 3 a edizione internazionale 2012. La direttrice Renata Szerafin-Wójtowicz ha ricevuto il premio speciale quale migliore direttore di tutto il concorso offerto dalle Edizioni Musicali Europee. Il coro, con una grande prova nella categoria repertorio sacro, ha saputo imporsi così con grande classe. Nella categoria repertorio profano spicca la conferma dell’importante piazzamento più alto del coro Mladinski Pevski Zbor Glasbene S̆ole Fran Korun Koz̆eljski di Velenje (Slovenia), diretto da Matjaz̆ Vehovec, vincitore della categoria e terzo classificato anche nella categoria repertorio sacro. La conferma di questo coro ricalca il successo ottenuto nel 2008 alla prima edizione internazionale del concorso Il Garda in Coro. 60 Il coro Ondrasek Czech Children Choir diretto da Josef Zajicek proveniente dalla Repubblica Ceca, ha ottenuto l’importante riconoscimento in entrambe le categorie, secondo classificato nella categoria repertorio sacro e terzo ex-equo nella categoria repertorio profano, insieme al coro di voci bianche italiano di Bergamo Gli Harmonici. Il direttore Fabio Alberti ha inoltre ricevuto il riconoscimento speciale dalla Giuria come Giovane Direttore Emergente. Fra i cori premiati troviamo infine il Coro di voci bianche della Scuola di musica di Capodistria (Slovenia) diretto da Maja Cilens̆ek, ottimo secondo classificato ex-equo nella categoria repertorio profano (il coro partecipava a un’unica categoria), e assegnatario del premio speciale Feniarco consegnato ufficilamente dal presidente Sante Fornasier, per la migliore esecuzione di un brano di autore italiano vivente (La Bici di Piero Caraba) e del premio speciale Consorzio Funivia Malcesine-Monte Baldo, per il miglior repertorio proposto nella categoria repertorio profano. Lo stesso premio, ma per il miglior repertorio proposto nella categoria repertorio sacro è stato assegnato al coro svedese Adolf Fredriks Diskantkör diretto da Karin Bäckström. Il premio speciale offerto dall’Associazione Albergatori di Malcesine per il coro proveniente dalla località più lontana è stato assegnato al coro russo Moscow Boys Choir Debut di Mosca per i quasi 3000 km percorsi e il premio speciale per il coro più giovane al coro di voci bianche Fran Venturini di Domjo-Trieste. Ottime le prestazioni anche di molti altri cori sia italiani che stranieri, seppure non risultati tra i premiati, a dimostrazione della ulteriore qualità dei gruppi partecipanti. La cerimonia di premiazione finale ha visto riunite le maggiori rappresentanze istituzionali pubbliche e private patrocinanti l’evento e la presenza ufficiale del presidente Feniarco Sante Fornasier. Numerose sono state, sia a Malcesine che nei paesi limitrofi, le proposte di intrattenimento concertistico e di svago create appositamente per i bambini durante la manifestazione, tutte coadiuvate dal valido supporto del comitato organizzatore e dell’intero staff dell’associazione Il Garda in Coro presieduta da Renata Peroni. L’edizione internazionale del concorso Il Garda in Coro, giunta quest’anno alla sua seconda edizione, tornerà a Malcesine nell’aprile del 2012. Lo spazio è ora aperto e riservato al territorio nazionale e la sua sesta edizione, in programma a Malcesine dal 19 al 22 maggio 2011. (dal comunicato stampa dell’Associazione Il Garda in Coro) 50ª Rassegna internazionale di musica sacra “Virgo Lauretana” Dal 7 all’11 aprile 2010 si è svolta a Loreto la cinquantesima edizione della Rassegna internazionale di musica sacra “Virgo Lauretana” che ha visto la partecipazione di 14 cori (oltre 500 cantori) provenienti da 11 paesi: Ungheria, Italia, Francia, Libano, Germania, Romania, Slovacchia, Grecia, Bulgaria, Polonia, Ucraina e Armenia. La commissione per la selezione dei cori partecipanti, su oltre 70 richieste di partecipazione (della quale ha fatto parte anche il vicepresidente di Feniarco Alvaro Vatri), è stata presieduta dal maestro Mons. Domenico Bartolucci, il quale ha composto, per la circostanza, una Missa Brevis in honorem Beatae Virginis Lauretanae eseguita da tutti i cori partecipanti nella solenne celebrazione a conclusione della rassegna, l’11 aprile. Monsignor Bartolucci è particolarmente legato alla Rassegna di Loreto, infatti fin dal 1961, anno della prima edizione, vi ha preso parte con la Cappella Musicale Pontificia Sistina per il concerto straordinario conclusivo. «Mi auguro che la Rassegna possa costituire un’occasione di incontro – dice Mons. Bartolucci – ma anche e soprattutto un incentivo e un impegno per tutti a lavorare in favore di un recupero dell’autentica tradizione musicale della Chiesa». La rassegna nacque nel 1961 ad opera del Comm. Augusto Castellani, allora quarantenne, presidente dell’Azienda di Turismo di Loreto, che ebbe l’intuizione, unita alla ferma volontà di istituire a Loreto, sua città natale, una manifestazione musicale di elevato livello artistico che potesse servire a promuovere il culto dell’arte musicale e al tempo stesso a far risuonare ovunque il nome di Loreto. Nel gennaio 1960 fondò così l’Ente Rassegne Musicali “Nostra Signora di Loreto” e nella settimana dopo la Pasqua, dal 6 al 10 aprile 1961, organizzò la prima Rassegna Internazionale di Cappelle Musicali. Nei quarant’anni della sua direzione, anno dopo anno, sino al 2000, si sono avvicendate a Loreto 650 corali, provenienti da 46 nazioni di 4 continenti, con oltre 25.000 cantori: un vero “incontro di popoli” nel segno del canto corale sacro. Per il “giubileo d’oro” della rassegna è stata realizzata una medaglia commemorativa, opera dello scultore Ermenegildo Pannocchia di Montelupone (Mc), che raffigura da un lato la “sagoma” della Madonna di Loreto con la dalmatica appena incisa posta sopra a un tetragramma pronto ad essere riempito di note, dall’altra parte la sagoma della Basilica lauretana dove sette canne d’organo fungono da portale, per indicare l’ingresso in chiesa e attraverso la musica sacra. I due aspetti sono stati concepiti come assolutamente complementari l’uno dell’altro, che si integrano a vicenda, in modo da costituire, con le due rappresentazioni, una unità di concetto e di pensiero. Alvaro Vatri CRONACA 61 Marco Crestani, In memoriam di Mauro Zuccante Gli studi e la passione per la musica corale hanno orientato Marco Crestani a privilegiare il coro come ideale veicolo per la propria arte. Fu compositore, direttore di coro e animatore del movimento corale. Ha scritto di lui Marco Materassi: «Una trasparente sincerità d’espressione e una solida coscienza artigianale del comporre come “servizio” reso alla musica, e nello specifico alla coralità e ai suoi cultori, appaiono essere i tratti unificanti […] di Marco Crestani». Tra i primi esiti significativi del mestiere di Marco Crestani vanno menzionate le elaborazioni di canti popolari italiani e stranieri. Al musicista marosticano va riconosciuto il merito di aver contribuito in modo significativo, alla definizione di una prassi e di uno stile corale di riferimento nel trattamento del folclore. In particolare, in Crestani si apprezza l’innesto di canti scelti da tradizioni diverse, soprattutto sarda e occitana. Indimenticabili gli arrangiamenti di Triste ei lo cèu, Tristu Passirillanti, Pasci, Angionedda e Hava nagila. Marco Crestani sapeva entrare nella sede di un coro amatoriale alpino con l’immediatezza di chi ha familiarità con quelle persone e quell’ambiente. Una volta consumato il rito della captatio benevolentiae con un paio di battute da caserma, entrava nel merito di quel genere di canto che frequentava fin dalla giovinezza e di cui conosceva a menadito le coloriture espressive. Era stato il fondatore del Coro CAI di Marostica e aveva successivamente diretto il Coro Monte Grappa di Bassano. Scudisciava le pigre ugole dei cantori con l’impeto di un capitano degli alpini. Ad ascoltare il brano E gira che te gira – sua libera invenzione sulla falsariga dei canti alpini – si coglie fino a che grado di autenticità egli avesse introiettato quel modello canoro e quello stile corale. La formazione organistica ha condotto Crestani a confrontarsi con la musica liturgica. Anche su quello che pur rimane un terreno minato (almeno dal Concilio Vaticano II a oggi), egli si è mosso con perizia, confezionando pagine in cui l’immediatezza e la semplicità del canto non risultano svilite a livello di facilità e banalità, ma conservano un certo grado di decoro musicale e ispirazione spirituale. Un fraterno legame di amicizia lo univa al collega padre Terenzio Zardini. Forse in virtù di questo, si sentiva al riparo dall’accusa di irriverenza, quando si lanciava in infuocate invettive contro l’insipienza musicale delle gerarchie ecclesiastiche. Monsignori, preti e sacrestani chitarristi non la scampavano. La produzione di Crestani tende ad assumere, negli ultimi decenni, connotati più colti: prevalgono composizioni che fanno riferimento a grandi autori della modernità (Kodaly, Hindemith), senza però dimenticare la lezione dei sommi polifonisti del passato e del canto gregoriano. La scrittura lineare, l’autonomia delle voci e la ricerca di giochi contrappuntistici e ritmici, prevalgono ora sugli aspetti armonici e timbrici. Queste le premesse che motivano la composizione dei brani più riusciti per complessità e originalità di ispirazione (Rex autem David, Antiphonae, Sequentia Paschalis, Enfant, si j’etais roi, Les compagnons). «Posso, Mauro, farmi un regalo per i miei 70 anni?!». Così sembrava giustificarsi, allorché mi annunciava l’intenzione di pubblicare Momenti di polifonia sacra e profana. Un cd monografico caparbiamente autoprodotto, che sanciva un affrancamento dalle forme corali generalmente considerate meno avvaloranti. Lo preoccupava l’apprezzamento di musicista a tutto tondo, che sapeva esprimersi parimenti nei generi alti e bassi. Fu a lungo insegnante di Cultura musicale generale presso il conservatorio di Verona. Nello spiegare le fondamenta del linguaggio musicale occidentale Marco Crestani aveva il dono della chiarezza e della semplicità. Un “maestro elementare” come non se ne trovano più. Faceva il suo mestiere con l’umiltà e con l’orgoglio di chi si fa carico di trasmettere ai principianti i rudimenti con limpida intelligibilità. «Fai i complimenti a chi ti ha insegnato in modo così chiaro la teoria armonica», mi disse Renato Dionisi alla prima lezione di composizione musicale. La fisionomia di Marco Crestani mi ricordava i lineamenti di Arnold Schönberg. Entrambi avevano un volto severo, ma gli occhi furbetti e le sopracciglia incidevano sull’ampia fronte di Crestani curvature scherzose e beffarde, tracce delle storielle d’ogni genere che sapeva raccontare con spirito irresistibile, meglio di chiunque altro. «Dài, Maestro, ’naltra barzeleta!» Una trasparente sincerità d’espressione. 62 Notizie dalle regioni A.R.C.A. Associazione Regionale Cori d’Abruzzo Via Montesecco, 56/A - Spoltore (Pe) Presidente: Gianni Vecchiati Dal canto tradizionale alla polifonia contemporanea L’importante cornice della Sala Consiliare della Provincia di Pescara ha visto lo svolgimento, il 10 aprile, dell’annuale assemblea dei soci dell’associazione regionale abruzzese con l’approvazione del bilancio consuntivo 2009 e preventivo 2010. Le varie attività svolte e illustrate nella relazione, nonostante il momento particolare attraversato dalla regione, e la crescente adesione al sodalizio, hanno provato ancora una volta la comune volontà di crescita e di condivisione del lavoro atteso da parte della coralità abruzzese. Nel corso del partecipato momento sociale è stato tenuto a “battesimo” il coro Enrich’s Pop Choir del maestro Ruggieri che ha voluto dedicare ai presenti una breve ma gradita performance e ha avuto poi largo spazio l’atteso avvenimento corale di Torino 2012 con la proiezione del filmato del Festival di Utrecht. Leofara, borgo immerso nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, dall’8 all’11 luglio ha ospitato lontano dai “rumori della quotidianità”, tra la squisita ospitalità e l’ottima cucina, la presenza di 10 direttori, provenienti da diverse regioni italiane, e di circa venti coristi convenuti per il corso “Dal canto tradizionale alla polifonia contemporanea”. Il titolo del corso suggerisce certamente l’ampio spettro musicale tracciato dal laboratorio. L’elevata professionalità e la vitalità artistica dal maestro Pier Paolo Scattolin hanno contribuito alla realizzazione di un “secondo incontro” ricco di interesse sia per quanto riguarda gli aspetti strettamente legati alla gestualità direttoriale che interpretativa. Da sottolineare la presenza di un ospite di valore innegabile, il Co.Cam.Bo (Coro da Camera di Bologna), che si è unito ai corsisti cantori e ai direttori costituendo un coro laboratorio eccezionale e invidiabile. A.R.C.C. Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe Crescere cantando e… cantare parlando! Un bel successo quello suscitato dal primo Corso di formazione corale sulle voci bianche organizzato dall’Arcc l’11 aprile a Pomigliano d’Arco, sia per il numero consistente dei 100 cantori partecipanti, sia per l’entusiasmo e la professionalità della docente Roberta Paraninfo che ha coinvolto tutti, grandi e piccoli. La presenza di molti direttori di cori e insegnanti di musica nelle scuole ha sottolineato il vero senso delle proposte formative organizzate dall’Arcc, ovvero riuscire a dare input e stimoli nuovi per formare al meglio chi si pone alla direzione di cori di voci bianche e giovanili. Il 22 e 23 maggio nella Sala Consiliare del Comune di Vallo della Lucania (Sa) si è poi tenuto il secondo Corso di formazione “Cantar-Parlando” organizzato dall’Arcc, rivolto a coristi e direttori di coro e tenuto dal docente Antonino Tagliareni. REGIONI U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia 63 A.R.C.L. Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Franco Colussi Associazione Regionale Cori del Lazio Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma Presidente: Alvaro Vatri Giovani voci nella primavera del canto Ventaglio di progetti Domenica 6 giugno presso la Sala Tripcovich di Trieste si è conclusa l’edizione 2010 di Primavera di Voci, progetto regionale dedicato ai cori di voci bianche e ai cori scolastici, organizzato dall’Usci Friuli Venezia Giulia con la collaborazione di Usci Gorizia, Usci Pordenone, Usci Trieste, Uscf Udine e Zskd-Uccs. Il grande Concerto di Gala finale ha visto la partecipazione di otto cori segnalati nell’ambito delle rassegne provinciali, tenutesi l’11 aprile a Bagnoli (Ts), il 18 aprile a Farra d’Isonzo (Go), il 25 aprile a Codroipo (Ud), l’8 maggio a Trieste e il 16 maggio a Casarsa della Delizia (Pn). L’interesse e il successo che la rassegna riscuote a ogni nuova edizione costituisce il segno tangibile di una fervida attività corale e rappresenta allo stesso tempo sia una preziosa occasione formativa per bambini e ragazzi di ogni età, che un importante momento di raccordo con le istituzioni scolastiche. Il prestigioso palcoscenico della Sala Tripcovich, forte stimolo per gli oltre duecentocinquanta piccoli cantori partecipanti al Concerto di Gala, ha offerto dunque un ricco panorama delle più giovani fasce della coralità regionale, evidenziando una buona qualità di esecuzioni e un’interessante proposta di repertori. Prosegue inoltre anche quest’anno il ciclo di Note di conversazione, incontri e dibattiti sulla musica corale, avviato nel 2009. Due gli appuntamenti svoltisi in questa prima metà dell’anno: sabato 15 maggio, nella sede di Palazzo Altan a San Vito, il prof. Giampaolo Gri dell’Università degli Studi di Udine ha tenuto una conferenza sul tema “I cori di fronte alla tradizione popolare: folklore, folklorismo, ricerca folklorica”, mentre mercoledì 23 giugno, a Udine, è stato presentato il volume “Il çant dal Friul” - Dischi e registrazioni storiche del Friuli, di Bruno Rossi, un importante lavoro di ricerca discografica ed etnografica sulle registrazioni linguistiche e musicali e sui dischi e musicassette pubblicati fino all’anno 2000 in Friuli. Ottimi i riscontri che continuano a suscitare anche la rete di Corsi di formazione per direttori di coro, organizzata con la stretta collaborazione di Usci Pordenone e Uscf Udine, e i seminari di Voce e consapevolezza corporea, che all’esplorazione della propria voce cantata coniugano l’applicazione del metodo Feldenkrais. Segnaliamo infine che in questi mesi estivi si sta concludendo la sedicesima edizione di Verbum Resonans, seminari internazionali di canto gregoriano, affiancati da un importante cartellone di concerti e messe. Un resoconto più ampio e dettagliato sarà dato sul prossimo numero. Si è riunita domenica 25 aprile l’assemblea generale dell’Arcl, convocata abitualmente due volte l’anno, per adempiere, oltre ai doveri formali, alla funzione di incontro informativo e progettuale, per passare al vaglio i progetti formativi, promozionale e di ricerca e individuare criteri condivisi da adottare nelle attività. È stato anche dato il benvenuto a 11 cori di nuova iscrizione. Il 22 e 23 maggio, all’Abbazia di Valvisciolo, si è svolto il terzo appuntamento del seminario “Elementi di canto gregoriano: Teoria e prassi”, tenuto dal prof. Nino Albarosa e organizzato in collaborazione con l’Associazione Pontina Musica Sacra e l’Associazione Culturale Arsi & Tèsi di Latina. Il seminario ha proseguito l’introduzione al repertorio gregoriano intrapresa con i seminari tenutisi a Roma e a Valvisciolo nel maggio del 2008 e del 2009. Si è proceduto considerando alcuni brani in un unico processo di approccio, secondo notazione, modalità, struttura melodico-verbale ed esecuzione in canto, anche con riferimenti al contesto liturgico. La quarta edizione della rassegna “Terrapontina in…canto”, dopo la sospensione nel 2009 per la concomitanza con il Raduno Nazionale degli Alpini, ha visto la partecipazione di sei cori, riunitisi a Latina il 17 aprile scorso, a testimonianza di una soddisfacente crescita musicale della coralità pontina. La rassegna “Corinfesta per la Festa Europea della Musica” ha coinvolto dal 19 al 22 giugno 36 cori, con appuntamenti concertistici in luoghi prestigiosi come i Mercati di Traiano e l’Aula Magna della Sapienza Università di Roma, offrendo così alla città di Roma un evento corale di notevole rilievo. Ricco e variegato il panorama repertoriale, con progetti-programma stimolanti che hanno abbracciato tutti i generi e le epoche. Felice esito anche per il Concorso corale regionale “Città di Formello”, organizzato con la collaborazione del Comune di Formello e dell’Archeoclub d’Italia e svoltosi il 27 giugno con la partecipazione di 11 formazioni, l’attivazione di 3 categorie e una giuria composta da Roberta Paraninfo (Genova), Franco Radicchia (Perugia) e Costantino Savelloni (Roma). I risultati sono consultabili sul sito www.arcl.it. Il Festival corale “Città di Formello”, con il Trofeo del Ventennale Arcl, è stato rinviato a settembre. Da segnalare infine che il bollettino mensile on-line Lazioincoro, scaricabile in pdf dal sito, si è arricchito dell’inserto a cura della Commissione Giovanile, che contiene un’intervista, un’analisi di un brano musicale e recensioni di vario genere. Per l’autunno è previsto un ulteriore restyling grafico per renderlo più omogeneo. 64 A.R.CO.M. Associazione Regionale Cori Marchigiani Via Panoramica Ardizio, 95 - Pesaro Presidente: Aldo Cicconofri Voci bianche in itinere Si è svolta a Senigallia il 15 maggio scorso la XII Rassegna regionale di cori di voci bianche. Questa manifestazione, ideata e proposta dall’Arcom, è itinerante e si svolge di anno in anno in una diversa città delle Marche. Quest’anno la candidatura della città di Senigallia è stata sostenuta dall’impegno dell’Associazione Culturale “G. Longarini” che ha maturato una bella esperienza in campo corale attraverso l’attività del suo Coro di voci bianche Do-Re-Mi-Fa-Sol. Durante la mattinata i cori dei bambini si sono esibiti ciascuno in concerto presso una della scuole della città, eseguendo per i loro coetanei repertori che comprendevano brani stilisticamente molto diversi ma tutti adatti per il pubblico a cui venivano presentati: canti popolari, filastrocche, spirituals, brani originali per cori di voci bianche su testi poetici. Il momento centrale della giornata, che prevedeva il saluto delle autorità e alcuni brani eseguiti insieme da tutti i 330 bambini partecipanti in Piazza del Duca, a causa del maltempo si è svolto in via alternativa nel Teatro La Fenice. Nel pomeriggio, sempre in teatro, i dieci cori partecipanti si sono susseguiti presentando ciascuno i brani più emblematici del proprio repertorio. A.Co.M. Associazione Cori del Molise Via Appennini - 86025 Montagano (Cb) Presidente: F. Antonio Laurelli Quando la scuola incontra il canto Sabato 15 e domenica 23 maggio a Isernia si è svolta la XVI Rassegna corale regionale dell’Acom, con la partecipazione di sei formazioni corali. La manifestazione ha riscosso grande successo di pubblico e di critica, opportunamente impreziosita dai programmi molto diversificati eseguiti dai cori partecipanti. Di particolare rilievo, il primo Festival dei cori scolastici si è tenuto il 22 aprile presso l’Auditorium annesso al Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Is). La manifestazione promossa dall’Associazione Cori Molise e dall’Ufficio Scolastico Regionale, con la collaborazione dell’Istituto Comprensivo “G.A. Colozza”, il Patrocinio della Regione, della Provincia, dell’Arcidiocesi di Campobasso e dell’Unicef (ufficio provinciale) ha visto la sensibile partecipazione di sette cori di altrettanti istituti della regione oltre al coro Coeli Lilia non partecipante al concorso e il coro francese Maitrise de Seine Maritime di Yvetot, ospite della manifestazione, radunando oltre 350 bambini e ragazzi che si sono alternati sul palcoscenico sostenuti dai loro maestri, dirigenti scolastici e genitori. FE.R.S.A.CO. Federazione Regionale Sarda Associazioni Corali Via Ariosto, 7 - Porto Torres Presidente: Antonio Sanna Per formare i formatori Dall’8 al 10 luglio si è svolto il Corso per direttori di coro di voci bianche organizzato dalla Fersaco, momento di approfondimento della tecnica della direzione corale specifica con la docente Grazia Abbà, che in particolare ha sviluppato i seguenti contenuti: le caratteristiche fisiologiche dell’apparato fonico; le caratteristiche specifiche della voce bianca; il vocalizzo: quali finalità e quale utilizzo; la tecnica vocale applicata allo studio della partitura; proposte di repertorio funzionali alla graduale acquisizione e interiorizzazione del canto polifonico. 65 + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] 66 discografia&SCAFFALE Coro del Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese Canzoni & Canzoni direttore, Alessandro Cadario «L’idea di accostare antico e moderno non è nuova, la novità di questo disco è nell’idea di arrangiamenti in stile polifonico-contrappuntistico delle canzoni pop. Realizzati come materiale didattico per ampliare il repertorio dei cori giovanili con brani pop di un certo impegno e qualità, gli arrangiamenti in stile madrigalesco vogliono anche dare coerenza al programma: quasi un’evoluzione della canzone italiana dal Rinascimento a oggi. Canzoni madrigalesche d’autore». Così il maestro Alessandro Cadario scrive nelle brevi note di presentazione del cd Canzoni & Canzoni realizzato dal Coro del Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese da lui diretto. Il cd contiene nove brani: cinque brani pop, arrangiati dallo stesso maestro Cadario, e quattro rinascimentali. Si apre con Estate di Giuliano Sangiorgi, seguita da Chi la Gagliarda di Baldassare Donato, e poi Infinito di Raf, Matona mia cara di Orlando di Lasso, Ogni mio istante di Giuliano Sangiorgi, So ben mi ch’à bon tempo di Orazio Vecchi, Giudizi universali di Samuele Bersani, Il ballerino di Giacomo Gastoldi e si chiude con Oceano di LeoZ, Sandri Malavasi. Un progetto accattivante che intercetta i gusti musicali delle giovani generazioni e li proietta ed espande in una dimensione culturale ad ampio spettro il cui esito è uno stimolo alla crescita culturale ed estetica dei giovani e la dimostrazione efficace delle valenze della pratica corale come strumento di formazione e di aggregazione. Il coro del Liceo “Cairoli” di Varese nasce nell’ambito del progetto di educazione musicale promosso fin dall’anno 2004 nell’istituto. Affidato dall’inizio alla guida di Alessandro Cadario, si caratterizza subito per una intensa attività e disponibilità al confronto che lo porta a partecipare a numerose edizioni del Festival di Primavera, organizzato da Feniarco, a realizzare tour musicali a Roma e in Liguria e a effettuare registrazioni per la Rai. Nel 2008 riceve importanti riconoscimenti a Salerno e a Varese (Solevoci Competition), a cui segue la realizzazione del cd nel giugno del 2009. L’ampia formazione musicale e le significative esperienze di direzione e composizione del giovane direttore rappresentano un fattore importante per lo sviluppo del progetto e per il consolidamento negli studenti del senso di appartenenza e di condivisione, corroborato dai successi colti nei concorsi e dai meritati apprezzamenti pubblici. La pratica corale nella scuola è un fenomeno che sta progredendo, non certo senza ostacoli, ma soprattutto rivela una sicura crescita qualitativa, grazie anche all’attenzione, agli strumenti e alle occasioni che la coralità amatoriale italiana le riserva. L’auspicio è che realtà come quella del Liceo “Cairoli”, e altre analoghe esperienze, non si disperdano una volta lasciati i banchi della scuola. Ma comunque rimane l’importanza, come sottolinea il dirigente scolastico del Liceo “Cairoli” Tam Daniela Baj, di aver offerto ai giovani l’occasione «per affinare il gusto per il bello, l’armonia e, in definitiva, per la vita». Alvaro Vatri discogr RUBRICHE Fabiana Gatti - Simone Scerri InDirection Cantare insieme, insieme per cantare: la gestione delle dinamiche interpersonali di un coro Feniarco, 2010 Feniarco e Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con il contributo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, hanno realizzato InDirection, interessante progetto di ricerca che ha indagato in modo approfondito le principali problematiche di natura non-musicale collegate alla direzione di un coro, ovvero le dinamiche di interrelazione del direttore con il gruppo. La ricerca si è concentrata sulla figura del direttore che, oltre a essere il riferimento musicale del coro, assume di fatto altri ruoli (guida del gruppo, educatore, formatore, organizzatore…) che, al pari del primo, incidono significativamente sui risultati del gruppo e richiedono una preparazione specifica. La ricerca, condotta da Fabiana Gatti e Simone Scerri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è rivolta a un campione di 90 direttori attivi in Italia che si sono confrontato in un forum on line rispondendo alle domande proposte dai ricercatori. L’indagine ha riguardato 3 aree tematiche principali: – il direttore (età, sesso, formazione, esperienza, obiettivi, abilità non-musicali); – il coro (numerosità, repertorio, numero prove settimanali, formazione dei coristi, motivazioni); – l’attività (fattori facilitanti, fattori critici, strategie) e ha prodotto interessantissimi risultati analizzati e presentati in modo chiaro e preciso nel volume. Alla fase di raccolta e analisi dei dati è seguita la fase degli incontri face to face (Torino, Castelfranco Veneto, Roma e Bari) dove i direttori hanno fatto un’esperienza di formazione attiva sperimentando ruoli, situazioni, analisi delle criticità e delle strategie per affrontarle dal punto di vista psicologico. Il 22 e 23 maggio scorsi, a Villa Manin di Passariano, in occasione del VI Convegno Nazionale Feniarco delle Commissioni artistiche regionali, Fabiana Gatti e Simone Scerri hanno presentato il volume e gli interessanti risultati della ricerca InDirection che ha evidenziato come le abilità non-musicali del 67 leader del gruppo abbiano grande rilevanza nel raggiungimento degli obiettivi musicali che ogni direttore si pone. Questo studio apre un nuovo capitolo sulla formazione del direttore: partendo dalla consapevolezza della relazione con il gruppo, dall’analisi delle dinamiche che si generano al suo interno, si arriva a comprendere che la “cura del proprio strumento coro”, essendo costituito da persone, richiede al direttore una grande capacità relazionali e comunicative. Una maggiore consapevolezza su questo piano permette infatti di supportare il gruppo, farlo rendere al meglio, gestirne le dinamiche interne e le criticità che inevitabilmente emergono, sostenere la motivazione sia del coro che delle figure chiave (direttori, presidenti, organizzatori ecc.). rafia& Carlo Berlese 68 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi “Il tempo corre via dolcemente, ma la musica ci mantiene forti… perché nel nostro cuore noi condivideremo sempre la meraviglia di un canto”. Nella calura estiva insistente, solo raramente mitigata da temporali improvvisi e brevi, il pensiero in questo momento vola in due direzioni: verso tutti coloro – individui o cori – per i quali l’estate è momento intenso di attività corale in luoghi di villeggiatura; verso i musicisti corali di pianura e città che in luglio e agosto abbandonano l’attività e tentano di temprarsi per l’inizio del nuovo anno. Per tutti l’augurio è che l’estate sia decisamente buona, foriera di messi corali abbondanti ed entusiasmanti da cogliere a lungo nella meraviglia dei nostri canti. Libri Musica di Quirino Principe, pubblicato da Electa nel 2010 (pp. 238, € 19). Non è specificamente un libro di “coralità” ma merita la segnalazione a chi della musica corale ha fatto il proprio gioioso hobby principale. Per chi ama, durante l’estate, fermarsi e leggere in santa pace è un libro in formato quasi tascabile, Musica è… da non perdere! Ben rappresenta il convinto ultimo omaggio alla musica reso da un grande Quirino Principe. Per leggerlo servono tempo, tranquillità e concentrazione. Opere d’arte figurativa e citazioni letterarie passano, una affiancata all’altra, sottolineando lo stretto rapporto che (dice lo stesso autore nell’introduzione) lega pittura e musica in un gioco di rimandi sorprendenti. Versi di Rilke, Dante, Novalis e D’Annunzio si rincorrono con gli aforismi di Hofmannstahl pescati qua e là nei romanzi di Proust e Mann sotto lo sguardo di miniature francesi, capolavori di Guardi, Liechtenstein, Renoir e Casorati contornati da statue greche. Una vera festa per lo spirito e per gli occhi. Creating Artistry Through Choral Excellence (Creare abilità artistica attraverso l’eccellenza corale) di Henry Leck, edito da Hal Leonard Publishing Corporation (27 febbraio 2009), 266 pp. Fondatore e direttore artistico del Coro di ragazzi di Indianapolis e direttore delle attività corali della Butler University, Henry Leck, con la sua dedizione all’eccellenza corale e la sua idea che i bambini possono eseguire musica con abilità artistica e conoscenza, ha influenzato migliaia di giovani musicisti e insegnanti. Questo testo globale, scritto con Flossie Jordan, è per i direttori di coro una guida intuitiva all’addestramento di chi vuole sviluppare le abilità didattiche, quelle di direzione, le tecniche di direzione, la conoscenza del repertorio e l’abilità organizzativa necessaria per avere successo. In aggiunta il libro comprende un cd-rom con decine di moduli e documenti utili per l’organizzazione di un coro di ragazzi: la selezione, l’amministrazione, i volontari del direttivo, il finanziamento dell’istituzione e molto altro ancora. Marianische Gesänge II - Marian Hymns II (Canti Mariani), 18 mottetti per voce e organo, di Autori Vari, curato da Peter Wagner ed edito da Bärenreiter (2010, Vol. 2, pp. IX-79). Una notevole curiosità del volume sono certamente i due brani di Haydn e Bruckner che presentano due esempi (ora in disuso) di canto gregoriano armonizzato alla maniera di un corale, nota per nota. Il volume è un’interessante raccolta di mottetti per voce e organo riservati al culto mariano. A seguito del primo volume riservato alla Salve Regina, questa antologia propone le tre antifone mariane Alma Redem- RUBRICHE ptoris Mater, Ave Regina Coelorum e Regina Coeli e l’inno mariano per eccellenza Ave Maris Stella. Il periodo storico preso in considerazione va dalla seconda metà del Settecento fino agli ultimi anni del secolo scorso, con i compositori M. Haydn, Mendelssohn, Adam, Liszt, Gounod, Bruckner, Rheinberger, Dvoràk, Grieg, Elgar, Strategier e Langlais. In totale sono 18 pezzi di cui dieci arrangiati dal curatore. Film The Singing Revolution (La rivoluzione del canto) «Immaginate, nel famosissimo film Casablanca, la scena in cui gli avventori francesi cantano La Marsigliese a dispetto dei tedeschi, poi moltiplicate il suo potere per un fattore di migliaia, e avete appena iniziato a immaginare la forza di The Singing Revolution». La maggior parte della gente non pensa a cantare quando fa la rivoluzione. Ma il canto è stato l’arma decisiva della scelta di centinaia di migliaia di Estoni quando con un ruolo critico ma poco conosciuto cercarono di affrancarsi da decenni di occupazione sovietica. La Rivoluzione del Canto è un ispirante resoconto della rinascita drammatica di una nazione. È la storia dell’insopprimibile aspirazione del genere umano verso la libertà e l’autodeterminazione. Se l’avesse scritta Hollywood, nessuno ci crederebbe. Eppure questa storia di speranza, di non-violenza e di perseveranza ha strappato ovazioni nei teatri di molti paesi. CD-DVD Musica da guardare? Sì, forse questa volta questa espressione si può usare. Veder Cantare può diventare un valore aggiunto se attribuito a un gruppo ultraquarantenne (40° compleanno nel 2008) come i King’s Singer. Girava una breve clip in rete, ora ecco il dvd dove vediamo che la mimica – sicuramente provata e studiata come i programmi musicali – non è qualcosa di superfluo. Da un lato ribadisce e rende ben visibile la bravura di gruppi del genere che lievita quando il virtuosismo dei singoli non è maggiore dell’affiatamento collettivo. Affiatamento che in questo caso, schietto o costruito che sia, è comunque strepitoso. Si passa da Janequin ai folksong inglesi in un programma fatto sia di brani originali, sia di trascrizioni. La bravura di dosare gli ingredienti non ci sorprende più nei King’s Singers in cui la 69 sostanza musical-polifonica è anche mimetismo vocale, voglia di divertirsi con la voce. Bravura, intonazione assoluta e precisione ritmica devono essere equipaggiate da una buona dose di autoironia, come si vede benissimo sui loro volti, nella divisa concertistica (una cravatta gialla solo apparentemente uguale per tutti!), nella sornioneria e negli ammiccamenti con cui preparano e svolgono alla perfezione i loro compiti di polifonisti senza pregiudizi di repertorio o timori tecnici. Progettare un concerto tematico Anche da noi si comincia a parlare di questo argomento. Immaginiamo di mettere insieme un programma secondo il tema “I quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco”. Premesso che si ipotizza un coro di 40 voci miste e si pensa a musica di qualsiasi periodo storico, già con una prima ricerca non è difficile trovare molti canti relativi all’acqua, ma per i rimanenti elementi i risultati sono alquanto limitati. Un ottimo primo suggerimento manda a MUSICA, la banca dati mondiale che al momento ha catalogato circa 160.000 partiture corali e che con facilità permette una ricerca tematica. Ma non è male l’idea di espandere un po’ la ricerca rendendo il tema ancor più internazionale: perché non prendere in considerazione la possibilità di aggiungere due elementi presi dalla tradizione cinese piuttosto che da quella greca? Metallo e legno (gli altri tre elementi cinesi sono terra, fuoco e acqua). Una possibile ulteriore espansione, usando le tavole periodiche, non è impossibile ma diventa difficile: probabilmente non esistono molti brani corali che parlino per esempio del “protactinium” (da “protoactinium”, un elemento chimico – dal simbolo Pa – numero atomico 91, che identifica un prodotto di decadimento dell’uranio 235, ndr). Volete un esempio concreto di programma? Da subito sappiate che molti dei brani indicati esulano dalla norma di un concerto corale classico, ma – effettivamente presentato – il programma è stato ben ricevuto, sia dal coro che lo ha studiato, sia dal pubblico che lo ha ascoltato. Eccolo: Elementi in generale: Ave Maris Stella, anonimo del IX secolo; Breaths ye saye, M. Barnwel (n. 1947). Aria: Soffia, soffia, vento d’inverno, E. Lou Demer (n. 1927); Con el viento, Rinascimento spagnolo; Cavallo Vento, P. Oliveros (n. 1932). 70 Acqua: Savo voda, tradizionale croato; La Pioggia, S. Hatfield (n. 1956); Seal, Ninnananna, E. Whitacre (n. 1970); Bobobo Songs, canto tradizionale del Ghana. Fuoco: Rise up, O flame, C. Praetorius (m. 1609); Gabhaim Molta Bride, tradizionale irlandese; Kore Chant, A. Dembska. Terra: O Virgo splendens, Spagna, XIV secolo; Quei 25 centesimi che hai pagato, S. Ogan Gunning (1910-1983), arr. M. Johnson Smith; La Terra, l’Aria, il Fuoco, l’Acqua, anonimo; Lay earth burden, D. P. Calwell/S. Ivory. Cantare lega il bimbo alla mamma e alla sua voce Piaceri negati! Cari colleghi cantori… c’è chi può! Noi… non può! «Canto in un coro e sono incinta da sei mesi. Lo scorso fine settimana ho partecipato a due concerti ed è andata molto bene. Mi sono portata appresso un cuscino bianco in una cassa bianca (le nostre sedie erano bianche) e quando dovevamo sederci mi sono seduta su di essa perché le sedie erano veramente scomode. Quando una è incinta, sa trovare molte soluzioni per stare comoda. Nel concerto ho avuto anche una parte da solista per cui, dalla fila più arretrata del coro, ho dovuto scendere verso il microfono. Con l’aiuto di qualcuno che semplicemente mi ha dato la mano è andata benissimo. Ho gustato ogni momento del concerto e ora mi sento molto più vicina ai colleghi di coro. Ciò di cui vogliono parlare è la musica che stiamo cantando e il bimbo che io porto in grembo. Una delle cose che mi ha detto il mio dottore è che, fin quando me la sento, non devo smettere di fare ciò che facevo prima di essere incinta. Io sono impegnata anche in un gruppo teatrale e andremo in scena con la nuova recitazione quando mi mancherà al parto da un mese a due settimane. Io non lascerò che l’essere incinta mi impedisca nemmeno questo. La gravidanza non è una malattia e non deve essere trattata come una cosa fragile. È un bellissimo accento alla vita! Se la vostra cantante vuole continuare a cantare, lasciatela fare. E lasciatemi dire anche che cantare può essere molto rilassante per il bambino. Io mi accorgo che ogni volta che canto o che mi siedo al pianoforte la mia bimba diminuisce molto il suo scalciare. Beh, fino a quando non tocco una nota molto alta, perché allora lei ricomincia. Il cantare è un ottimo mezzo per legare il bambino alla mamma e al suono della sua voce. È una cosa grande, credetemi!» (e-mail di Melissa Davis) Questo canto non mi piace! Fra i vari problemi che un direttore di coro si deve porre, c’è anche quello di sviluppare la fiducia dei cantori verso il maestro e per quanto riguarda la scelta qualitativa del repertorio deve avere un piano ben sviluppato. Per quanto attiene il primo aspetto, bisogna immunizzare il coro contro la pessima malattia universalmente nota come il “morbo di odio-questo-brano”. Innanzitutto bisogna che tutto il coro sia ben cosciente che, ogni brano che canta, almeno a una persona piace da matti e almeno a una persona risulta essere il RUBRICHE brano meno amato. Una musica che esprime vere emozioni colpisce delle persone vere che possono anche reagire in modi simili o addirittura opposti. Bisogna sfidare i membri del coro, addirittura prima di aver letto tutto il pezzo, a trovare che cosa ci sia di speciale in questo brano musicale perché a qualcuno possa essere piaciuto molto. Nell’Ave Verum Corpus di Byrd, cosa c’è di così speciale per cui ancor oggi molti cantori non vedono l’ora di vivere l’esperienza di studiarlo e di cantarlo? Talvolta basta avere negli occhi un amichevole sprazzo di luce mentre con un fare un po’ da carbonaro si dice: “Oh, non hai ancora scoperto cosa c’è di meraviglioso in questo brano!”. È un divertimento! Cibi, bevande e canto Un cantore attento deve chiedersi se c’è qualche connessione fra la migliore situazione di voce e ciò che si mangia o si beve prima di usarla. È bene sapere, quindi, che qualsiasi cibo o bevanda che “colpisce” certe parti del corpo o che lascia materiale in certi organi importanti per la produzione della voce va a incidere sulla voce stessa. L’alcool, per esempio, produce l’effetto di aumentare la pressione del sangue. Se preso in dose abbondante ha sulle corde vocali un effetto di sovraffaticamento. L’alcool influisce anche sul cervello il quale controlla il nostro corpo, compresi tutti i meccanismi vocali. Qualsiasi cibo e bevanda (come il latte e il cioccolato) che tende a combinarsi con la saliva e la rendono vischiosa, prima di uno spettacolo è da evitare. Cibi e bevande con effetto diuretico (quelli contenenti caffeina, per esempio) prima di uno spettacolo non vanno presi. Prima di una esibizione canora è consigliabile evitare anche cibi e bevande (come l’ananas) che rendono l’interno della bocca più… ruvido. Sentirsi a proprio agio sul palco Ecco cosa pensa sull’argomento il direttore americano Paula Roberts, di Edmonton AB.: «Vi presento alcune cose che io faccio col mio coro e che sinceramente aiutano i cantori a sentirsi a proprio agio sul palco. Innanzitutto faccio le cose a modo mio, e ai cantori deve essere ben chiaro, fin dalla vigilia del concerto, che cosa ci si aspetta da loro. Mi assicuro che siano a proprio agio e sicuri sul canto del repertorio. Noi memorizziamo tutto. Noi facciamo jazz, pop, musica latina e contemporanea che si presta a questo approccio. Fra l’altro, devono conoscere la musica! Cerco di ricreare la presentazione del palco durante le prove di coro almeno 4-6 settimane prima del concerto o anche di più 71 se dobbiamo fare qualche coreografia speciale. Questo significa sapere quanto è grande lo spazio a nostra disposizione, decidere dove devono stare le persone, usando i leggii (ma non sempre è possibile se i leggii non sono di proprietà!). Solo così non ci saranno sorprese una volta saliti sul palco. Se io dirigo, i cantori sanno che devono guardare me, non il pubblico, anche se è una canzone da mimare. Devono capire che il pubblico ci sta guardando mentre viviamo l’esperienza di fare un canto tutti insieme e c’è uno scambio diretto fra me e il coro. La regola può avere delle eccezioni, ma queste devono essere concordate in precedenza. Io so che se loro mi guarderanno saranno in grado di restituirmi ciò che io do loro. Quindi se sono rilassata, se respiro con loro, se li sostengo e li guido attraverso le emozioni e le complicazioni musicali di ogni pezzo, essi dovrebbero restituirmi lo stesso feeling. Sanno che il nostro compito è quello di raccontare la storia del canto. Questo dovrebbe portare sui loro volti l’espressione giusta. Naturalmente io stessa cerco di avere questa espressione. Essi sanno come devono salire e scendere dal palco, perché lo esercitiamo, così come insieme proviamo il nostro inchino al pubblico. Sono sicura che c’è dell’altro, ma questi sono i pensieri che mi sono venuti ora. Che vi siano utili!». In breve da… IFCM La Federazione Internazionale per la Musica Corale la scorsa primavera ha preso importanti decisioni. Per sopravvenuti impegni il presidente Lupwishi Mbuyamba ha dato le dimissioni e il Consiglio Direttivo all’unanimità ha votato Michael Anderson quale presidente ad interim e Daniel Garavano primo vicepresidente. Auguri, buon lavoro signor presidente e signor vicepresidente, anche da Mondocoro! Il 26 marzo scorso dopo 20 anni ha invece chiuso le sue attività il Centro Internazionale per la Musica Corale di Namur in Belgio, soccombendo a quella crisi economica che ha colpito tutto il mondo. IFCM pero ha garantito la continuità del Symposium Mondiale della Musica Corale che è programmato in Argentina nel 2011, del Bollettino Corale Internazionale (attualmente diretto dal maestro Andrea Angelini di Rimini), del Coro Mondiale Giovanile (World Youth Choir), della pubblicazione di Repertorio Corale internazionale, della partecipazione in Musica International (il database che al momento cataloga poco meno di 160.000 partiture corali in tutto il mondo) e in Choralnet. La Federazione Mondiale per la Musica Corale (IFCM) in col- 72 laborazione con Europa Cantat e con Gioventù Musicale Internazionale annuncia il primo Concorso di Composizione Corale “Un Brano Corale per la pace” avente lo scopo di promuovere la creazione e una ampia distribuzione di un nuovo repertorio corale e, soprattutto, di promuovere la pace fra i popoli di questa terra tramite la musica. È disponibile il regolamento (anche presso il redattore di Mondocoro). Per ora basti l’indicazione che il concorso è riservato a giovani compositori con meno di 35 anni di età. EUROPA CANTAT Nei giorni 26-28 novembre 2010 a Namur in Belgio, su invito della Federazione Corale Vallona di Bruxelles, avrà luogo l’assemblea annuale di Europa Cantat. L’evento cade a un anno di distanza dall’assemblea di Sofia che ha visto diversi momenti molto importanti per la federazione europea dei cori: rinnovo delle cariche direttive; approvazione del programma di attività per i prossimi anni; delibera di fusione delle due maggiori organizzazioni corali europee, Europa Cantat e AGEC (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände) nella nuova European Choral Association - Europa Cantat che inizierà la sua attività ufficiale nel 2011. Con la fusione le due organizzazioni si augurano di unire la loro importante conoscenza ed esperienza per offrire al mondo corale il migliore servizio possibile formando la più grande organizzazione corale europea che rafforzerà in Europa la posizione della musica corale. Il giorno 21 dicembre 2009 Europa Cantat ha lanciato la sua nuova pagina web con un nuovo design e nuove strutture. È possibile consultarla al solito indirizzo www.europacantat.org per trovarvi regolarmente importanti informazioni e aggiornamenti sulle attività del 2010 e future. Europa Cantat ha creato anche una pagina Facebook che potete trovare in www.facebook.com. L’invito è quello di diventare fan. Nell’anno in corso (il 14 e 15 maggio) è caduto il 50º anniversario di fondazione di Europa Cantat. La ricorrenza sarà ricordata come l’evento merita nel prossimo numero di Choraliter, ma già da ora anticipiamo i più cordiali auguri di buon compleanno. Lunghi articoli… in breve L’angolo del compositore di ICB (informatore di IFCM) è dedicato a “Colin Mawby davanti allo specchio”, un interessante articolo/intervista uscito dalla penna di Andrea Angelini, direttore della rivista stessa, che ha potuto intervistare il musicista in occasione del Festival Corale Internazionale di Rimini. L’articolo di due pagine fitte è arricchito dalla partitura integrale di Vox in Rama audita est che può essere liberamente fotocopiata dai lettori di ICB (ICB n. 2, 2nd Quarter 2010, pag. 31). Il mondo dei cori di ragazzi e di giovani. “Crescere cantando. Alternativa per la vita” è l’articolo di Germàn Camilo Salazar Losada, giovane manager [classe 1986!] della fondazione della Schola Cantorum di Masnizale, in Columbia. Associazione Cori della Toscana Anno XI n. 32 - maggio-agosto 2010 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Alvaro Vatri, Paolo Loss, Vera Marenco, Walter Coppola, Paolo Zaltron, Giulio Monaco, Dario Tabbia, Piero Caraba, Sergio Bianchi, Mario Lanaro, Stefano Klamert, Fabiana Gatti, Simone Scerri, Luisa Antoni, Rossana Paliaga, Carlo Berlese Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera 2010 (foto Renato Bianchini) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Editoriale Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco, hanno contribuito a dare più informazione, a far conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il nostro senso di appartenenza a un movimento culturale importante? Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli apprezzamenti che ci giungono da più parti, dall’interno della nostra associazione ma anche dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo corale. L’attività editoriale e pubblicistica di Feniarco dimostra che l’amatorialità è una dimensione giuridico-economica, non un livello qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse economiche disponibili. Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti, talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd. Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno: l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sopportare costi che, è facile intuirlo, sono più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e recando così un duro colpo alle associazioni. I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco che di musica c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre. C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica. Sandro Bergamo direttore responsabile ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon Regione Toscana 6/9 aprile 2011 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 13/16 aprile 2011 scuole superiori Italiafestival Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn www.feniarco.it n. 32 - maggio-agosto 2010 n. 32 - maggio-agosto 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi 50 cori da tutta Italia 50 cori da tutta Italia le ragioni dell’espressione gilberto bosco CANTARE Insieme insieme per cantare gorizia percorsi italiani 40 concerti con diversi repertori 1400 partecipanti 1400 partecipanti 40 concerti con diversi repertori 39º florilege vocal di tours un microcosmo di emozioni Il programma completo su www.feniarco.it Comune di Atrani Comune di Baronissi Comune di Cava dei Tirreni Comune di Fisciano Comune di Minori Feniarco Provincia di Salerno Comune di Vallo della Lucania a più voci confronto sulla vocalità del coro