RS37_antonio_de ferrariis_cap II

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Dina Colteci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo
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Cap. II
L'Umanesimo nel Salento. - Il retaggio spirituale ricevuto dal
paese di origine. - « De interpretatione Themistii ad
Hermolaum Barbarum ».
Il '400 salentino non è stato ancora esaminato a fondo dal
punto di vista degli studi umanistici. Qualche notizia interessante e utile alla ricostruzione dell'ambiente si può' spigolare
qua e là nei « Bozzetti di viaggio . del De Giorgi (l); ma chi se
ne occupò maggiormente e di proposito fu il Marti. In « Origine e fortuna della cultura salentina » (2) egli forniva un elenco di letterati, filosofi, giuristi, artisti, ecc. fioriti in quel secolo ;
ma sono semplici dati biografici e bibliografici che avrebbero
bisogno di esser discussi e allargati. In uno dei suoi ultimi libri (3) v'è un capitolo su « Alcuni caratteri del '400 salentino ».
E' uno sguardo di sintesi, talvolta geniale e brillante ; ma la
sintesi è ancora prematura : quel che occorre è il lavoro di
analisi, la ricerca paziente, la lettura, troppo spesso ingrata,
delle opere di Roberto Caracciolo, di Francesco Securo, di
Pietro Colonna, degli altri meno conosciuti.
Il. Galateo si recò a Napoli verso il 1470, poco prima o poco
dopo. I primi studi, quelli che lasciano un'impronta che dura
per tutta la vita e non può mai esser cancellata dalle alluvioni
posteriori, per tempestose che siano, li fece dunque in provincia: precisamente, per sua testimonianza, a Nardò. Di questa città e delle sue scuole parla entusiasticamente in fine del
« De Situ Japygiae ». Dice di aver fatto come i maestri di
tavola, che serbano per ultima qualche cosa migliore : « Omnis
si qua est in toto terrarum angulo disciplina a Nerito ortum
habuit... Hic et ego prima literarum fundamenta hausi. Galatana me genuit, haec urbs educavit et fovit et literis instituit (4) ».
Cos'erano queste scuole di Nardò? Sappiamo solo che nel
761 le rendite della chiesa neritina furono concesse ai basiliani,
fuggiti da Costantinopoli al tempo di Leone l'Isaurico ; questi:
(1)
(2)
(3)
(4)
Lecce, 1882.
Vol. I, Lecce, 1893, cap. VII.
Nella Terra di A. Galateo. Lecce 1931.
Coll.
p. 99.
110
Èinaséenza Saieniind
vi tennero una floridissima scuola di greco. Nel 1090 Goffredo I
ottenne da Urbano II che i basiliani fossero mandati via e sostituiti coi benedettini, i quali vi aprirono scuole di filosofia,
retorica, teologia, ecc. che nel sec. XII salirono al massimo
sviluppo (1).
Scuole monastiche, dunque, come monastica era quella che
dal sec. XII' fioriva nell'abbazia basiliana di S. Nicola di Casole,
a poche miglia da Otranto, vicino all'altra sponda ionica. Questi monaci, che, durante il Medio Evo, avevano amorosamente
ricercato e custodito e ricopiato i codici greci e latini, educando al culto della grandezza antica parecchie generazioni,
quando videro risorgere dalle vecchie carte lette con febbrile
ardore dai primi umanisti il senso pagano della vita, si spaurirono e cercarono, quanto meglio sapessero, di opporsi alla
Rinascita. La terra salentina « non solo si mantenne estranea
ai nuovi influssi, ma si ostinò nella ingrata fatica di Sisifo per
risospingere il pensiero verso il Medio Evo »: e nell'orbita ideologica e rappresentativa di questo si svolse il nostro Quattrocento, flnchè scoccò l'ora , della superba ripresa, annunziata da
Antonio Galateo.
Tutto questo secondo il Marti (2), e, a prova di quanto afferma, egli adduce il gran numero di teologi e predicatori francescani e domenicani fioriti nel Salento dal XIV al XV secolo. Ma
questi teologi e predicatori noi li conosciamo troppo poco. Non
sappiamo in che cosa precisamente consistè l'insegnamento dell'aristotelico Francesco Securo, il c Pater Academiae Patavinae »,
ma dal fatto che un Roberto Caracciolo sapeva al tempo stesso
con la sua eloquenza fascinatrice trascinar le folle incolte e
piacere al Pontano, e che un Pietro Colonna da Galatina, dotto
in greco, ebraico e caldaico, potè essere scelto a suo penitenziere da Leone X, argomentiamo ch'essi non dovevano essere poi
tutti, dei pedanti arretrati. Sarebbe invece il caso di vedere se
l'umanesimo non si svolse nel Salento con un carattere tutto
particolare e se non vi gettò radici più profonde di quel che,.
a prima vista non sembri.
(1) C. Dr GIORGI, Geografia della provincia di Lecce. Lecce 1897, Vol. I,
p. 299 e segg.
(2) Nella Terra di A. G., p. 119 e segg.
Dina Oolucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 111
Fra gli accademici della Pontaniana, il Galateo ci si presenta con una sua individualità spiccata. Cerchiamo di sceverare, fra i diversi elementi che concorsero alla sua formazione
spirituale, quelli che gli vennero dalla sua terra e dalla prima
educazione ricevuta nell'ambiente familiare e scolastico.
Anzitutto, un grande amore per tutto quello che era grecità. La piccola isola etnica e linguistica, che oggi prende il
nome di Grecia di Terra d'Otranto, nel secolo XV era molto
Più vasta. Dalla relazione spedita a Giovanni XXIII dal vescovo di Nardò Giovanni de Epifaniis risulta che nel 1410-15
c'erano in quella sola diocesi ben 14. paesi con colonie greche,
dove si celebrava il servizo divino col rito greco : fra questi,
Galatone (1). Di nessuna cosa il Galateo si è tanto vantato
quanto della sua origine italo-greca. Lo ripete nel « De nobilitate »,
nell' « Esposizione del Pater Noster », nel « De educatione », nel
« De Situ Japygiae : « Mihi non gallica aut germanica, hoc est
barbarica origo est, sed (bonorum Deorum numine) graeca et
italica » (App. 2°, pag. XII). Questo è il suo titolo nobiliare, di
cui è fierissimo : « Graeci sumus, et hoc nobis gloriae accedit ».
(Coli. Vol. Il, pag. 81). Dialetto e rito greco ai suoi tempi andavano scomparendo, con suo gran dolore, ma egli ricordava
bene che dalla Grecia erano venuti i suoi avi non « praedatores »
nè « foeneratores », come gli antenati di tutta quella massa turbolenta di baroni, flagello del povero Re, ma simpatiche
figure di uomini onesti e saggi, che avevano ben saputo conservare e trasmettere di padre in figlio il tesoro della classica
cultura. Gli piaceva nelle mattinate serene, di sulla spiaggia
idruntina o dall'eremo di S. NiceAg, veder profilarsi sul limpido
orizzonte la linea ondulata degli 'Acrocerauni; ancor più gli
piaceva, aggirandosi per le strade della sua tranquilla Gallipoli,
respirar quell'alcunchè di greco che sentiva nell'aria : c Vis dicam, Summonti? Videor mihi aut in urbe illa, quam Plato
finxit, aut Lacedaemone commorari. Sentio enim hic aliquid
Graecanicum. Agnosco, imo olfacio Graecanicos quosdam ritus... Hic, optime Summonti, feliciter viverem si sine labore
possem, si Accium, si te hic haberem, si ceteros Academicos » (2).
(1)'DE GIORGI, Bozzetti ecc., p. 344.
(2) Coll.
7 206.
Rinascenza Salentin a
E' il vecchio sogno umanistico, ma espresso con qual garbo
sorridente ! E' il vecchio ideale dell' « ocium cum dignitate », dell'equilibrio tranquillo, dell' « aurea mediocritas », ma questo greco di Puglia sa esprimerlo con un fascino nuovo, perchè insonomia, eutrapelia, èucrasia — parole predilette — non sono soltanto dei concetti per lui : son bisogno, , son vita dello spirito.
Vediamo l'influsso della scuola salentina nella formazione
filosofica del Galateo. Egli aveva una coltura estesissima. Senza
sta-re ad elencare tutte le fonti che cita, basterà dire che conosceva direttamente se non tutto, certo grandissima parte del
patrimonio di classici greci e latini posseduto dai nostri umanisti al principio del XVI secolo. La sua non è un'erudizione
mal digesta che si esplichi nell'ammonticchiar citazioni : egli
cita molto meno che non conosca. La sua multilatere produzione — e si baldi che le opere più vaste e di carattere più propriamente scientifico, quali il « De Eucrasia, » i « Problernatum » VI,
il Commento agli aforismi di Ippocrate e alle Tavole di Tolomeo, sono perdute — dimostra ch'egli poteva dirsi dotto in
qualunque ramo dello scibile. C'erano però dei campi in cui
era particolarmente versato.
A differenza di molti umanisti, la cui risorsa era quella
di girare di corte in corte, celebrando in prosa e in verso
chì meglio li pagasse, fortunati se qualche principe li assumese
al suo servizio in qualità di segretari o di precettori, il Galateo
ebbe una professione che gli permetteva di contar su se stesso
e di comportarsi con più libertà dinanzi ai principi: fu medico. La laurea la prese nel 1474 allo studio di Ferrara, ma gli
ammalati li curava già da qualche anno. Diverse volte nei suoi
scritti c'informa che alla medicina e alla filosofia aveva cominciato ad attendere sin da fanciullo, ossia — aggiungiamo — sin
da quando si trovava a Nardò. Fra medicina e filosofia c'era
a quei tempi molta amicizia. La medicina non era « una scienza
sperimentale, ma un empirismo basato su vecchie norme e su
precetti derivanti da scrittori classici (1). » Lo studioso di medicina si applicava quindi a tradurre' e chiosare testi classici, e
(1) R. CIASCA, L'arte dei medici e speziali nella storia e nel commercio fiorentino dal sec. XII al XV. Riv. di stor. delle scienze med. e natur., XVIII, Fi-
renze, 1927, p. 519.
Dina Colucci - Antonio. De FerraTiis detto il Galateo
poichè Galeno aveva fondato i il , suo +sistema sulle teorie aristoteliehei ecco che si presentava la necessità di risalire alle fonti
filosofiche e di -studiare la logica , e -la,dialettica.,Le due facoltà
di medicina e filosofia erano fuse e davano uduaicalaurea, e
spesso — nota Cíasca — la filosofia .finiva per prendere là
mano sulla! medicina. Proprio quel che accadde , allGalateo.: Se
nei.docuntenti. ufficiali della cancelleria aragonese_ ci vien; ' presentato come medico, egli però fu sopratutte filosofo. Filosofo,
naturalmente, come petevano esserle gli umanisti che si dichiaravano.
pochissima, parte alla metafisica, poca alla logica,
moltissima fua,rsua filosofia non ,era quella che «;in
captiunculis disputationiliusque,sed quae in bene beateque vivendo versatur, in contetramendis humanis (tebrus, ' Isocr est in
coémeudis àffectibus» (1). ,Se si vuol captrlikbisognaguardarlo
proprio da questo punto di vista: filosofia' morale (2). Tinto,
per, lui,. come già una . volta per i suoi dilettissimi greci, rientra
nella filosofia. A dare un'idea dei modo con cui studiava e di, quel
che cercava nei libri, giova, un passo del, suo, s Apologeticon
ad Aquitevivum .dove cosi apostrofa un medicatimi°, di quelli
the lo.ebiamavano barbaro: «, Tu philOsophiam et niedicinam
ingressus es illotis pedibus, qui vixinovisti prima Tudimenta
grantaticae....iEge et politica , et. ethica eh laistorias legi et ipsos
poétas, qui per itimada quaedans ob I echmearta non: minus quain
philosophi per (severa praecepta et legumlatores- per minaci et
tormenta vitae condueunt: Egorin cogaoseeado situ 'cooli,terrarumque sollicitus suoi » (3). Questi, sebben fatti+ «d'orla sue
eran tutti, studi preparatori a ben turare ler anime ed-eisvt
i corpi. Anche la strada che più' diritta menava a Dio era
quella della filosofia: «Erat hic vir (l'abate hasiliano :Muta)
gravissime auctoritatis.et sanctissimorum morum,.ut quirde
philosophia ad Religionem commigraverat »,(4). E',questo ,senso
vivo della sintesi, bramata e tentata dai suoi_greci,1 realizzata
dalla filosofia medioevale, ;che costituisce nocciolo di •tutta
1,'operadel7Galateo; e. chi la legge per intero non può> mien so.tarlo, E' per esso. ch'egli è .molto più viciitao,alla Scolastica di
quel che non sia sembrato sin ora a parecchi.
(1) Coli.. W, p. 183.
(2) A. DR FABRIZIO: A.
(3) Coli. III, p. 70.
(4) Con. II, p. 35.
de Ferr. Gal. pensatore ecc. p. 153.
Rinascenza Salentina
Egli fu aristotelico, con tutte le sue forze, sebbene conservasse sempre idee molto larghe e sapesse riconoscere e
amare la verità dovunque la trovasse. Credo che a fargli così
determinare la sua presa di posizione fra peripatismo, platonismo, epicureismo e stoicismo — i quattro principali settori,
mai nettamente Separati, in cui si divideva il campo della
filosofia umanistica — fosse appunto la tradizione salentina.
Fin dal primo suo lavoro che conosciamo — il « De interpretatione Themistii ad Hermolaum Barbarum », (1) scritto nell"81'
o nell"82 dalla Puglia (ove si trovava fin dal '78 e forse anche prima) — il suo aristotelismo è ben chiaro e preciso e si
rivela di, origine pugliese. E' vero ch'egli si era recato in Napoli verso il 1470, ma allora era troppo presto parche potesse subirvi l'influenza dell'aristotelismo pontiniano. Nel '74 c'era stat‘
la breve parentesi della permanenza a Ferrara e del viaggio
nell'Italia settentrionale. Di ritorno a Napoli, si era legato d'affettuosa amicizia con Ermolao Barbaro, che là si trovava : la
fisionomia intellettuale del giovane pugliese doveva già avare
assunto i suoi tratti definitivi, se il veneziano si accorse subito di avere in lui un alleato nell'animosa battaglia che si
apprestava a combattere.
Esaminiamo un po' il brevissimo carteggio fra il Barbaro
e Antonio Galateo. Esso comprende solo una lettera con cui
Ermolao dedicava al Galateo la traduzione del Commento di
Temistio alla Fisica di Aristotele, e un'altra con cui l'amico ne
lo ringraziava.
Quel primo lavoro giovanile di traduzione rappresentava
la prima pietra di un grande edificio, al quale l'umanista veneto metteva alacremente mano. La sua opera, tutta compattissima e omogenea, mirava a un unico scopo : l'abbattimento
della « barbaries media », rappresentata dall'aristotelismo degli
arabi e della degenere scolastica nordica, e il risorgimento della
filosofia e della scienza greco-romana (2). Naturalissimo che si ""
trovasse d'accordo col Galateo, che dallo zio, monaco basiliano,
e dai benedettini di Nardò era stato condotto a conoscere Ari(1) N. Semine': L'Epistola inedita del Galateo ad Ermolao Barbaro. Trascrizione, versione e note. (Arch. per gli studi storici della Med. e delle Scien.
Nat.) anno II, 1927).
(2) A. FERRIGLITO : Almorò Bd•baro. Venezia 1919, p. 96.
44'
Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 113
stotele nel testo greco e aveva pei greci tutta quella gran passione che sappiamo. 11 Barbaro scriveva a un amico : « Aristotelem totum totus excipe » (1). Ecco quel che consigliava il Galateo a Belisario Acquaviva nel De gloria contemnenda : « Si
philosophari vis... purum, sirnplicem et solum legas Aristotelem,
et universum. Qtioniam, ut dicunt, liber librum aperit... Graecos habeas codices: erunt enim tibi optimi interpretes, ubi aliquos locos nimis obscuros, aut male a nostris in latinum ver sos inveneris » (2).
La « barbaries media » non aveva invaso solo la sostanza,
ma anche la forma : col ritorno all'Aristotele greco, s'imponeva
anche il ritorno alla limpidezza, all'armonia, al bello stile greco.
Specialmente di questo, problema si occupa Ermolao nella lettera di dedica al Galateo (3).
Secondo alcuni, scrive il Barbaro, le « litterae humanae »
sono d'imbarazzo e d'impedimento, anzi addirittura contrarie
alle « maiores doctrinae », quali filosofia, matematica, scienza
del diritto : e Níhil incommodius, indignius, foedius quam perversio haec et depravatio studiorum Bisogna ricondurre la
filosofia nella vita : essa è disprezzata appunto perchè i suoi
cultori dal cervello piccino scacciano da sè l'eloquenza, « idest
cultura et elegantiam vitae ». Nessuna specie di uomini sembra
tanto ripugnare dal senso comune, tanto aver contorto e guasto il giudizio quanto coloro che si volsero alla filosofia e al diritto senza un corredo di studi più raffinati.
Com'è squisitamente umanistica la rivolta di questo erudito, questa rivendicazione della sensibilità estetica in terreno
filosofico (4), enunciata così nitidamente, guidata da un così severo e preciso intento polemico ! L'aristotelismo del settentrione
e del mezzogiorno ha influito sul carattere e sul destino del
nostro Rinascimento non meno del platonismo toscano.
(1) FUMMO, o. e., p. 103.
(2) Coll. III, pp. 88-89.
(3) Libri Paraphraseos Themistii in posteriora Aristotelis et in physioa, ecc.
interprete Ermolao Barbaro - Tarvisii 1481, p. 25: In Paraphrasin Physkes Them.
praefatio ad' A. Galatheum.
(4) FERRIGUTO, O. C., p.
154.
114
Rinascenza Salentina
Il Barbaro continua con zelo da apostolo : bisogna pensare
ai giovani, bisogna fare dinanzi agli adolescenti il paragone
fra i « novitios philosophos » e gli antichi, e far loro capire
quanta differenza ci sia. A questo deve adoperarsi « omni
studio, labore, dexteritate, prudentia » il Galateo, ed avrà il
valido aiuto del Pontano. Ermolao gli ha dedicata questa piccola opera per il loro antico e saldo vincolo e per mantenere
la promessa fattagli a Napoli, « quamquam praescriptione uti
poteramus fori et decennii ».
E' da notare che questa dedica della « Fisica » al Galateo,
che vien dopo- quella dei « Posteriora » a Sisto IV, è abbastanza più lunga di quelle che tengon dietro, dirette al Merula,
a Francesco Trono, a Girolamo Donato, a Pontico Faccino e
al Barbo. Evidentemente, quando i due giovani si erano incontrati a Napoli, si erano scambiate le loro vedute, ed Ermolao
aveva dovuto tener parola all'amico del proposito di tradurre
Aristotele e i commentatori greci. Il Galateo se n'era dichiarato
entusiasta, e forse gli aveva chiesto la dedica della prima opera.
Si vede che aspettava ansiosamente 1' « optatissimum Theinistium », perché quando finalmente — « tandem » l — gli arrivò nel
1481, rispose subito al Barbaro con una lettera affettuosa.
Gli fa anzitutto una cordiale tiratina d'orecchi per quella
« praescriptio » che ha tirata in ballo — « inter amicos non cadit ulla exceptio » - -, e qui seguono le lodi dell'amicizia, legame importantissimo per gli Accademici della Pontaniana. Poi
comincia subito a parlare di Temistio. Il Galateo ha ben chiaro
quel che il Barbaro voleva inculcare agli averroisti di Padova:
tutto ciò che Averroè ha di buono è di Temistio, o certamente
di Alessandro di Afrodisia. E' facile che il Galateo e il Barbaro avessero tutti e due appreso questo dal Gaza: non credo
che di tali questioni si occupassero i benedettini di Nardò, e
neppure i basiliani. Il Barbaro dichiara nella prefazione a Sisto IV di aver ricevuto molto dal Gaza; il de Ferrariis lo aveva
conosciuto a Napoli e ne fa le lodi in questa stessa lettera.
Penso invece ché nella Puglia il Galateo si fosse fornito della largo
cultura scolastica che iví dimostra. La scolastica s'identificava
per lui in massima parte con la « barbaries media ». Quei no•
mi inglesi e tedeschi gli suonavano male, e poi non poteva soffrire
che uomini dati sub frigido crassoque coelo » avessero Soni-
.Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo
115
merso nella nebbia nordica, con la loro perversa sottigliezza,
la sacrosanta peripatetica Scoto gli fa venire la
nausea ; ad Alberto Magno non può perdonare di essersi eretto
a censore dei greci senza conoscere il greco. Gli altri sono
« populares » e « triviales » e non mette conto occuparsene.
Una questione di forma e un sentimento d'orgoglio grecolatino gli , rendono dunque antipatica la filosofia medioevale
e lo stesso credo che accadesse anche agli altri umanisti. Alla
trascendenza e alla sintesi tomistica il Galateo non si ribellò,
e nella lettera' che esaminiamo è felice di notare che S. Tommaso, « natus in Latio », ha ammirato e seguito spesso Temistio, e non esita ad anteporre l'Aquinate a tutti i filosofi moderni, per l'acutezza dell'ingegno, per la coerenza delle sentenze
per la limpidezza della dottrina. Non esiterebbe a metterlo allo
stesso livello degli antichi (che è tutto dire se non avesse
abusato in tutte le sue opere di quella « nimia diligentia dividendi » alla quale la natura del Galateo non poteva assolutamente adattarsi.
La lettera continua, facendo le lodi della traduzione del
Barbaro : lo stesso Temistio non avrebbe potuto riuscir meglio se,
invece che in greco, avesse scritto in latino. Tale era il criterio,
con cui si usava giudicare una traduzione, e il Galateo lo conservava. Anch'egli si era accinto una volta a tradurre Alessandro d'Afrodisia e Galeno, ma poi la grandezza dell'impresa
lo aveva sp- Trentato, giacchè « molti possono tradurre, ma il tradurre bene è di pochi ». Questa sincera valutazione delle proprie forze, in un secolo quanto mai gonfio e vanitoso, e questa visione chiara di quanto occorre a chi traduca, gli fanno
molto onore.
Ed ora le lodi di Errnolao : egli ha redento la filosofia, vestendola di buon latino e di eloquenza. Ma ecco che da una
parte gli dà addosso la turba dei « philosophantes », anzi « delirantes », immersi nella tetra barbarie ; dall'altra lo tormentano
i « novici », gli « atticissantes grammaticuli » che ,osservano
con la lente ogni parola. E qui, tuoni e fulmini contro l'insano
Valla, la cui infelice « repastinatio » contro Aristotele (sono le
Disputationes dialecticae del 1439, il Galateo si propone di troncare un giorno alla radice con la falce peripatetica. Anche in
altre opere posteriori accennerà a questa stroncatura, ma non
116
Rinascenza Salentina
ne farà mai nulla. La guerra mossa dal Valla all'autorità di
Aristotele — e non solo di quello falsato dagli ignoranti discepoli — spiace al Galateo, ma nella difesa non ha buon gioco :
la fa col solito sistema delle testimonianze di scrittori antichi,
in questo caso di Cicerone e Quintiliano, prediletti dal Valla.
Riporta un sagace giudizio del l'ontano, il quale soleva dire
che Lorenzo era rimasto grammatico anche quando voleva fare
il filosofo — e poi aggiunge le sue invettive. Ma in fondo esse
sono vuote. Ha il torto di voler ridurre l'importanza dell'opera
del Valla ad una semplice anatomia di parole e di trattarlo
alla stessa stregua di quei pedantucci che pullulavano in tutta
Italia, e dei quali il Pontano prendevasi beffa tanto allegramente. Interessante è invece l'opinione del De Ferrariis sul
genere dell'eloquenza filosofica : esse dev'essere casta e vereconda, ma non per questo rustica e incolta. Bisogna usare la
« mediocritas » di Aristotele, che tanto piacque agli stessi antichi. Solo così saranno redente -dalla barbarie la teologia, la filosofia e la medicina, che ora si trovano nelle stesse condi
zioni in cui si trovavano la grammatica, la rettorica e la poetica, salvate dal Crisolora, dal Trapezunzio, dal Bessarione, ecc.
e dai latini « ad Graecos transfugae seu potius confugae » :
Gasparino, Guarino, Filelfo ecc., compreso Lorenzo Valla. Gli
avversari sono numerosi e forti, ma tutta l'accademia napoletana è schierata contro di loro. La lettera termina con le lodi
degli antichi filosofi greci : « Questi venero, questi ogni giorno
volgo e rivolgo con gli occhi e con la mente, e confesso di
essere italo-greco ». La filosofia è invenzione dei greci; quindi
ha con essi un non so che di parentela, e non si può impararla staccandosi dai greci. « Quid mihi cum gallis et cum britannis? ». Questi barbari siano scacciati dalla latinità.
Quando dunque il Galateo scrisse questa lettera e — ripeto —
su di lui non aveva ancora potuto influire molto l'ambiente
della Pontaniana, la sua posizione filosofica era già determinata :
con Aristotele contro i barbari, ossia contro britanni, galli e germani, tutta la scolastica degenere. A farlo orientare verso il
peripatetismo era stata la tradizione salentina, ancor prima dell'infiammata parola di Ermolao. Le scuole di Nardò lo avevano
educato proprio alla venerazione di quell'Aristotele greco al
quale il Barbaro si proponeva di far tornare la filosofia latina:
Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo
117
nel Salento, per necessità di svolgimento storico, era acquisito
quel che nel Veneto si presentava con carattere rivoluzionariu.
Ma al Galateo era stata anche insegnata — come vedremo —
un'altra cosa: a integrar l'Aristotele greco col commento latino.
In questa lettera lo abbiamo visto citare Temistio, Alessandro
d'Afrodisia e S. Tommaso, senza pronunziarsi sulla verità delle
tre interpretazioni:- ma più tardi vedremo come il suo Aristotele sia, in sostanza, quello tomista. La sua antipatia pel Valla,
come si vede benissimo, ha origini più profonde che non una
questione di stile. Il Valla si era scagliato contro tutta la tradizione : così sembrava confusamente al Galateo, che non poteva giudicare serenamente e a giusta distanza, come oggi giudichiamo noi. Ora, il Galateo era nato e cresciuto proprio nel
rispetto alla tradizione. Questo non ce lo deve far giudicare
un arretrato : nel '74 egli aveva potuto conquistar subito la
simpatia di uno studioso dalla tempra magnificamente umanistica, qual'era Ermolao Barbaro, e vedremo come si troverà a
suo agio nella bella compagnia Pontaniana.
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