STAGE DI FISICA - 14-19 Marzo 2011 TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA” Roberta Balestrino(1), Giorgetta Comino(2), Gianna Rovero(3), Caterina Torazza(2) (1) Liceo Scientifico Amaldi di Orbassano; (2)Liceo Scientifico Monti di Chieri; (3) AIF, Sezione di Settimo Torinese 1. Luce, colore, energia: che cosa, perché e come 2. Il colore: come separare i colori della luce con un prisma 3. Luce e colore: le onde luminose • Diffrazione della luce da un ostacolo o da una fenditura • Reticolo di diffrazione e laser • Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione 4. Luce ed energia: lo spettro luminoso • Lo spettro della luce emessa da una lampadina con filamento a incandescenza • La temperatura del filamento e la legge di Wien • Osservazione di spettri con uno spettrofotometro Richiami e approfondimenti A1. Le onde e le caratteristiche dei fenomeni ondulatori - Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio a) Onde piane e onde circolari b) La diffrazione da un ostacolo o da una fenditura c) L’interferenza d) Interferenza da più fenditure e da reticolo - Il “principio di Huygens” - L’interferenza e il principio di sovrapposizione - La diffrazione da parte di una fenditura sottile - La diffrazione da reticolo A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle 1 1. Luce, colore ed energia: che cosa, perché e come Che cos’è la luce ? La luce nella nostra esistenza ha un ruolo fondamentale: noi vediamo e soprattutto viviamo grazie ad essa; può essere descritta per mezzo di grandezze misurabili, oppure considerando gli aspetti estetici o ancora dal punto di vista fisiologico. Nei primi studi sulla luce non si era in grado di distinguere tra luce e visione, i Pitagorici ad esempio pensavano che la luce non potesse esistere indipendentemente dal soggetto che vede grazie a un “fuoco” presente in esso, il quale, uscendo dall’occhio, cade sugli oggetti rendendoli visibili. Questa confusione la ritroviamo nei bambini: quando giocano a “nascondino” a volte si “nascondono” coprendosi gli occhi con le mani, pensando di non essere visti se essi stessi non vedono. Nel corso dei secoli successivi vennero formulate diverse ipotesi sulla natura della luce: - intorno al 1500 Leonardo, osservando analogie tra fenomeni ondulatori e fenomeni luminosi, formulò per primo l’ipotesi che la luce avesse aspetti ondulatori; - nel 1600 Keplero pose fine alla “confusione“ tra luce e visione riuscendo a comprendere che le immagini si formano all’interno dell’occhio; - si giunge quindi a Newton e Huygens, contemporanei fra loro, che avevano posizioni opposte sulla natura della luce. Come emerge dai dialoghi tra Newton e Huygens, il primo pensava alla luce in termini di “particelle”, il secondo in termini di “onde”. Particella e onda sono due grandi concetti della fisica classica nel senso che possiamo associare quasi ogni branca della fisica con una o con l’altra. I due concetti sono diversi, soprattutto per quel che riguarda il trasporto di energia: la parola particella sottintende una piccolissima concentrazione di materia che trasporta energia, la parola onda sottintende una grande distribuzione di energia che riempie lo spazio in cui l’onda si muove. Oggi sappiamo che la luce è allo stesso tempo “particella” e “onda”: la chiave per arrivare a capire questo comportamento duale sta nell’associazione fra il “colore” della luce e “l’energia” trasportata dalla luce. Newton fu il primo a indicare il modo per separare la luce bianca nei suoi colori, ma bisogna ricorrere al modello ondulatorio di Huygens per avere il modo di associare al colore una grandezza fisica, la “lunghezza d’onda”, e infine occorre arrivare a Herschel, all’inizio dell’Ottocento, per capire, attraverso la scoperta della “radiazione invisibile infrarossa”, come associare colore ed energia. Ripercorriamo in tre tappe questo cammino affascinante che ci porterà a rispondere alla nostra domanda iniziale su che cos’è la luce: - ripercorriamo con Newton il percorso per separare la luce nei suoi colori, - impariamo a riconoscere e misurare il “colore” estendendo alla luce i metodi di indagine e i modelli utilizzati per caratterizzare le onde meccaniche, - misuriamo infine lo “spettro” della luce per indagare il legame fra energia e colore. 2 2. Separare i “colori” con il prisma Un prisma trasparente, messo sul cammino di un fascio di luce, lo fa deviare dalla direzione iniziale a causa dell’interazione fra la luce e il materiale trasparente di cui è formato il prisma. L’angolo di deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente dipende da un numero caratteristico del materiale detto indice di rifrazione n. A sua volta n dipende dal “colore”, con variazioni che sono piccolissime: ad esempio, fra il verde-giallo e il rosso scuro n diminuisce di circa lo 0,3%. Poiché l’angolo di deviazione cresce al crescere di n, il violetto è più deviato del blu, e questo è deviato più del verde, ecc., per cui i diversi colori si separano. y c angolo di deviazione direzione del raggio incidente infrarosso rosso prisma violetto ultravioletto Esistono dei “colori”, che il prisma è in grado di separare, che non sono visibili per il nostro occhio, ma sono rivelabili da strumenti opportuni, come vedremo più avanti: l’infrarosso, che è meno deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di sotto del rosso (di qui il suo nome “infrarosso”) e l’ultravioletto, che è più deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di là del violetto (di qui il suo nome “ultra-violetto”). L’importanza del fenomeno della dispersione, già noto ai tempi di Newton come ricordato nell’introduzione, è che dimostra che il colore è una proprietà della luce e non della materia, come l’esperienza quotidiana tenderebbe a suggerire: il prisma infatti è del tutto incolore, mentre il fascio di luce, all’uscita dal prisma, mostra di possedere tutta una successione di colori che prima non apparivano e che non possono essere stati aggiunti dal prisma. La dispersione da prisma, tuttavia, non fornisce la misura diretta di una grandezza fisica da associare a un determinato colore, che, come vedremo, è la “lunghezza d’onda” λ caratteristica di quel colore, perché l’angolo di deviazione di un certo colore dipende dall’indice di rifrazione n del tipo di vetro di cui è fatto il prisma e occorre risalire a λ attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione n del tipo di vetro. Nella misura che segue ci limiteremo perciò ad associare qualitativamente il colore all’angolo di deviazione, o meglio alla posizione y del colore sullo schermo. 3 Materiale - lampada per proiezioni - prisma su piattaforma girevole - schermo con righello Misure Posizionare il prisma sulla piattaforma girevole e aggiustare l’orientazione fino a quando si osserva chiaramente sullo schermo lo spettro dei colori. Il righello predisposto sullo schermo, che parte dal viola e va verso il rosso (asse y), serve per valutare la separazione e aiutare l’identificazione del colore, ma la posizione y di un certo colore non è legata in modo semplice alla lunghezza d’onda, come spiegato sopra. Misurare la posizione y corrispondente a un certo colore, registrare in particolare la posizione di colori ben identificati, come l’inizio della banda del colore blu, del verde, del rosso e dell’infrarosso. 4 3. Luce e colore: le onde luminose Eseguiamo alcune esperienze per convincerci che la luce presenta comportamenti ondulatori del tutto simili a quelli delle onde meccaniche e che c’è una relazione precisa fra la lunghezza d’onda e il colore della luce: questa relazione ci permetterà di associare al colore un numero preciso, non dipendente dalla percezione visiva soggettiva. La diffrazione della luce Come noto per le onde meccaniche, la diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente. Il fenomeno diventa cospicuo e dà effetti osservabili se le dimensioni dell’ostacolo sono confrontabili con la lunghezza d’onda: di qui nasce la difficoltà di osservare il fenomeno per le onde luminose che hanno lunghezze d’onda inferiori al micrometro. Per la luce gli effetti diffrattivi si manifestano, ad esempio, quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro oppure una o più fenditure micrometriche, illumina un piccolo oggetto come un capello….: l’immagine luminosa generata dall’ostacolo (oppure l’ombra se si tratta di un oggetto opaco) non è più quella “geometrica”, che ci si aspetta se il fascio si propagasse rettilineamente, ma è una figura caratteristica la cui larghezza angolare θ è descritta nell’approfondimento. Utilizzeremo come “ostacolo” un capello, perché le tipiche dimensioni di un capello sono confrontabili con quelle della lunghezza d’onda della luce visibile e quindi il fenomeno della diffrazione è facilmente osservabile. Materiale - LASER rosso e LASER verde - finestra di uscita mobile - schermo Misure Utilizzare prima il LASER rosso (λ=630 nm). - Fissare un capello trasversalmente alla finestra di uscita e spostare lentamente l’allineamento fra la finestra e la direzione del fascio fino a quando sullo schermo compare la figura di diffrazione; - misurare l’angolo θ a cui compare il minimo della figura di diffrazione; - determinare il diametro del capello utilizzando la relazione (A1) derivata negli approfondimenti fra la larghezza del cono di diffrazione e la larghezza della fenditura, a senθ = λ (A1) dove λ è la lunghezza d’onda, a rappresenta il diametro del capello e θ l’angolo a cui si osserva il minimo di intensità luminosa. Noto il valore di a, ripetere la misura con il LASER verde e determinare la lunghezza d’onda della luce verde. Ripetere entrambe le misure con un capello diverso: il diametro dipende dal colore del capello? Attenzione a chi si tinge… La misura della lunghezza d’onda con il reticolo di diffrazione Un “reticolo di diffrazione” è una lastrina di vetro o di altro materiale trasparente sulla cui superficie sono state incise delle fenditure a una distanza regolare d molto piccola, confrontabile con la lunghezza d’onda λ della luce che si vuole studiare. Come spiegato nell’approfondimento, se si fa incidere un fascio di luce monocromatica, caratterizzata quindi da una lunghezza d’onda λ ben definita, dal reticolo escono, oltre al fascio trasmesso, come avviene per qualunque lastrina a facce 5 piane, anche più fasci diffratti ad angoli θ legati alla lunghezza d’onda dalla relazione di Bragg (equazione A2 dell’approfondimento): sin θ = n λ / d (A2) dove n è un numero intero. Per n=1 si ha il “primo ordine diffrattivo”, che è normalmente quello che si studia, essendo il più intenso. fascio diffratto fascio incidente d θ θ θ θ fascio trasmesso in avanti Materiale - LASER rosso e LASER verde - finestra di uscita - reticolo da 600 linee al mm - schermo Misure Utilizzare prima il LASER rosso - Fissare il reticolo alla finestra di uscita; - osservare la figura di diffrazione che si forma sullo schermo; - individuare i due primi massimi di diffrazione e controllare che siano disposti simmetricamente rispetto allo spot di luce centrale; - se non lo sono, ottimizzare la simmetria aggiustando l’ortogonalità fra la direzione del fascio e lo schermo; - misurare le distanze dei primi massimi dallo spot luminoso centrale, calcolare gli angoli θ e la loro media; - determinare la lunghezza d’onda della luce LASER dalla relazione (A2) e confrontarla con il valore nominale (632 nm) Ripetere la misura con il LASER verde Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione Se il fascio non è monocromatico, come avviene nella luce bianca emessa da una lampada a incandescenza, il reticolo permette di separare i vari colori presenti nella luce bianca perché li diffrange ad angoli diversi, crescenti con il valore della lunghezza d’onda, come atteso in base alla relazione (A2): il rosso è quindi più deviato del blu, contrariamente a quanto avviene nella dispersione da prisma. Un’altra grossa differenza fra dispersione da prisma e quella da reticolo è che il reticolo disperde solo una piccola frazione della luce incidente perché la maggior parte dell’intensità luminosa rimane comunque nello spot luminoso centrale che non subisce deviazioni rispetto alla direzione incidente. Il reticolo ha invece un grosso vantaggio al prisma, perché con il reticolo l’angolo di deviazione è legato direttamente alla lunghezza d’onda attraverso la relazione (A2), che è universale dato che 6 dipende solo dal passo, mentre con il prisma la relazione è indiretta, dato che passa attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione che è legata al tipo di vetro. rosso blu blu primo ordine diffrattivo θ rosso primo ordine diffrattivo θ reticolo lente fenditura lampada Materiale - lampada per proiezioni - fenditura - lente convergente di distanza focale 15 (o 7,5) cm - reticolo da 600 linee al mm - schermo Misure Nell’apparato mostrato nella figura la fenditura e la lente convergente sono necessarie per collimare il fascio e definire con precisione la direzione del fascio che incide sul reticolo; si formano due figure di diffrazione, una a destra e l’altra a sinistra della direzione del fascio incidente. Dopo aver ottimizzato la simmetria fra le due figure come fatto per la misura precedente con il LASER, misurare l’angolo θ a cui si forma un determinato colore, e calcolare la lunghezza d’onda corrispondente attraverso la relazione di Bragg (A2), λ = d sin θ. Eseguire la misura per almeno quattro colori ben identificabili dello spettro, in particolare per blu, verde, giallo e rosso, cercando di identificare il centro della banda corrispondente. Riportare in una tabella i valori della lunghezza d’onda ottenuti accanto al “colore” relativo. La luce visibile ha lunghezze d’onda che vanno da circa 380 nm (1 nm=10-9m) per il violetto a circa 780 nm per il rosso scuro; il verde che sfuma verso il giallo (è il colore al quale si ha il massimo dell’intensità della radiazione solare) ha lunghezza d’onda di circa 550 nm: violetto λ (nm) → blu verde giallo arancio rosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 7 4. Luce ed energia: lo spettro luminoso Lo spettro della luce emessa da una lampadina Materiale a disposizione: 2 alimentatori 4 tester 1 lampada (tensione massima 13V) Cavi elettrici 1 prisma 1 schermo graduato con fotodiodo (*) Che cosa fare Con il prisma disposto davanti alla lampadina nella stessa posizione dell’esperimento precedente, osservare lo spettro e formulare delle congetture sull’intensità dei vari colori. Organizzare un esperimento che consenta di verificare la validità delle proprie congetture facendo scorrere il fotodiodo lungo la scala graduata. Il gruppo di lavoro si organizzi, discuta le modalità di esecuzione dell’esperimento valutando accuratamente le possibili cause di errore e dividendosi i compiti. Misurare anche il “fondo”, cioè il segnale dovuto alla radiazione presente nella stanza che arriva sullo schermo in assenza della radiazione della lampada dispersa dal prisma (lo si ottiene mascherando la faccia del prisma da cui escono i raggi dispersi); è importante conoscere il “fondo”, perché, quando si accende la lampada, questa energia va a sommarsi a quella della radiazione che giunge dalla lampada alterando la misura, dato che le due radiazioni non hanno la stessa distribuzione in funzione della posizione sullo schermo; Registrare il valore dell’intensità relativa della radiazione luminosa (monocromatica) in funzione della sua posizione “y” sulla scala graduata, e alla lunghezza d’onda in base alla corrispondenza tra posizione sullo schermo e lunghezza d’onda fatta in precedenza, anche aiutandosi con la tabella seguente; violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 → λ (nm) Riportare i dati su un grafico; discutere i risultati ottenuti confrontandoli con le proprie congetture e commentandoli con l’insegnante (*) Il fotodiodo è un dispositivo che, colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una differenza di potenziale proporzionale alla radiazione incidente. Poiché la differenza di potenziale è molto piccola, il fotodiodo è accoppiato a un amplificatore che ne amplifica linearmente il segnale che viene letto mediante un multimetro. Il fotodiodo è montato su di uno schermo graduato sul quale può scorrere mediante la rotazione di una manovella. . 8 Temperatura del filamento della lampadina e legge di wien Partendo dallo spettro ottenuto nell’esperimento precedente e utilizzando la correlazione qualitativa fra colore, posizione “y” sullo schermo e lunghezza d’onda, aiutandosi con lo schema che segue, individuare la lunghezza d’onda λmax a cui si verifica il massimo dell’intensità della radiazione violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 → λ (nm) Calcolare il valore approssimato della temperatura del filamento della lampadina secondo la legge di Wien (vedi gli “approfondimenti”). λmaxT = A (A ≈ 0,003 m⋅K) Osservazioni con lo spettrofotometro Lo spettrofotometro è uno strumento che viene usato per numerosissime applicazioni industriali, commerciali o di ricerca fondamentale, come, ad esempio, la misura degli spettri delle stelle o la composizione in colore di una vernice o l’assorbimento dei diversi colori da parte di un vetro colorato, cioè in tutte quelle misure in cui è necessario conoscere l’intensità della radiazione in funzione della lunghezza d’onda. Lo spettrofotometro che abbiamo a disposizione è un “AvaSpec-2048 Fiber Optic Spectrometer”. Consiste in una sonda che raccoglie la luce proveniente dalla sorgente, la focalizza e la convoglia in una fibra ottica che la trasporta fino a una “scatola” sigillata in cui lo spettro viene esaminato. cavo contenente la fibra ottica sonda apertura di ingresso ingresso fibra ottica Nella “scatola” il fascio viene prima disperso con un reticolo di diffrazione, simile a quello che è stato usato per misurare la lunghezza d’onda; i diversi “colori” che escono ai diversi angoli vanno a colpire una “fotocamera a CCD” con 2048 “pixels”. Ogni pixel funziona come il fotodiodo usato nell’esperimento precedente, cioè produce un segnale in tensione elettrica che è circa proporzionale all’intensità della luce incidente. Poiché ogni pixel è posizionato per raccogliere una ben determinata lunghezza d’onda, si può così ottenere, in principio, l’intensità luminosa in corrispondenza di 2048 valori di lunghezza d’onda (in realtà i valori utili che si ottengono sono circa 1300). 9 I valori delle lunghezze d’onda e delle relative intensità luminose sono poi immagazzinati in una memoria interna che è leggibile da un personal computer collegabile attraverso una “porta USB”. I dati possono anche essere copiati su un foglio EXCEL per ulteriori analisi. Rispetto al semplice fotodiodo utilizzato nell’esperimento precedente, il rivelatore ha lo svantaggio di non avere una risposta uniforme in funzione della lunghezza d’onda: è quindi necessario correggere i dati con una “curva di calibrazione” per avere la risposta corretta. La curva di calibrazione, determinata con una lampada a incandescenza, è riportata in figura. La costante di calibrazione è stata posta arbitrariamente uguale a 1 a 700 nm. Come si vede, la CCD ha un’efficienza di rivelazione maggiore di uno fra 450 nm e 700 nm, mentre è meno efficiente alle lunghezze d’onda inferiori (blu e violetto) e superiori (infrarosso). calibrazione con dati lampada a 220 V 2 1,8 1,6 costante di calibrazione 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 lunghezza d'onda (nm) Materiali Spettrofotometro: sonda, cavo con fibra ottica, “scatola” di analisi dello spettro Personal computer e cavo con connettore USB per collegamento allo spettrofotometro Reticolo di diffrazione e prisma per disperdere lo spettro LED di diverso colore, lampada a incandescenza, luce solare Che cosa fare Con lo spettrofotometro collegato al PC, puntare la sonda a diverse sorgenti; osservare e interpretare lo spettro. Osservazioni suggerite: - spettro di un LED: osservare la lunghezza d’onda a cui si verifica il picco e la sua larghezza; - spettro della lampada a incandescenza disperso con il reticolo di diffrazione: posizionare la sonda in corrispondenza di diversi colori e verificare la corrispondenza fra il valore della lunghezza d’onda registrato dalla sonda e quello calcolato in base alle misure dirette e alla legge del reticolo; - spettro della lampada a incandescenza senza dispersione: confrontare lo spettro ottenuto con lo spettrofotometro con quello misurato nell’esperimento precedente; - spettro della luce solare possibilmente in diverse ore della giornata e/o diverse condizioni di copertura del cielo, per stimare la temperatura della superficie del Sole e valutare l’effetto dell’assorbimento nell’aria (vedi scheda di approfondimento sullo spettro solare). 10 Richiami e approfondimenti A1. Le onde “Accade sovente che l’onda si allontani dal suo punto di creazione, mentre l’acqua non si muove, come le onde create dal vento in un campo di grano, dove vediamo le onde correre attraverso il campo mentre il grano rimane al suo posto” Leonardo da Vinci Come si rileva dalla frase di Leonardo, nella nostra vita ci sono onde di ogni tipo: onde nell’acqua, “onde “ nel campo di grano (facendo attenzione però che questo tipo di perturbazione non è uguale a quello delle onde nell’acqua: non nasce da una sorgente, la perturbazione cessa quando il vento cessa), onde sismiche che si propagano nella terra….. La maggior parte delle onde possono essere descritte studiando sia il comportamento delle singole particelle sia la loro propagazione nel mezzo; facendo un’analogia potremmo dire che vogliamo studiare sia la foresta sia gli alberi che la costituiscono. Onde in due dimensioni: esperienze con un ondoscopio Le onde in due dimensioni sono le più facili da indagare perché sono direttamente visualizzabili essendo tipicamente onde superficiali. Per indagarne il comportamento si può utilizzare una vasca ad onde con sistema stroboscopio. Descriviamo alcuni esperimenti e i loro risultati. Strumentazione Vasca ad onde con sistema stroboscopio (ondoscopio, vedi fig. A1 ) Le onde vengono generate trasmettendo sulla superficie dell’acqua le variazioni di pressione dell’aria ottenute tramite le vibrazioni di una membrana eccitata da un’apposita unità di alimentazione: si ottengono onde trasversali sulla superficie dell’acqua. La frequenza delle onde di pressione è compresa tra 10 Hz e 80 Hz. Ampiezza e frequenza delle oscillazioni possono essere regolate a piacere. Per ottenere un’immagine stazionaria delle onde si utilizza una lampada stroboscopica sincronizzata con la frequenza del generatore che eccita la membrana. La vasca viene collocata sotto un proiettore in modo da visualizzare le onde con un formato maggiore: in tal modo le creste delle onde si comportano come lenti convergenti in grado di creare delle linee luminose che si possono osservare sullo schermo, mentre i ventri si comportano come lenti divergenti dando luogo alla formazione di linee più scure. Dove non c’è oscillazione si ha una luminosità intermedia. Le pareti della vasca sono inclinate per eliminare l’interferenza con le onde riflesse. Per ridurre le riflessioni di disturbo viene aggiunta una goccia di sapone liquido all’acqua. Il livello dell’acqua nella vasca deve essere di circa 5 mm. fig. A1 11 Gli esperimenti a. Onde piane e onde circolari Per studiare un’onda è utile osservare il moto delle sue creste, la distanza fra le quali ci dà la lunghezza d’onda. Nel caso di un’onda bidimensionale la cresta sarà una linea, tale linea costituisce il “fronte d’onda”. ¾ Onde circolari e piane: - generare onde circolari e piane con una sorgente puntiforme e con una sorgente di forma piana, - osservare e definire il fronte d’onda e la direzione di propagazione (sempre perpendicolare al fronte d’onda), ¾ Misure: misurare la lunghezza d’onda λ, il periodo T; calcolare la frequenza f e la velocità di propagazione ( v=λ / T). Per la misura della lunghezza d’onda λ bisogna tener conto del fattore d’amplificazione β=1,65 (dato dal costruttore) fra l’onda sull’acqua e l’immagine dell’onda sullo schermo. Si contano n lunghezze d’onda sullo schermo (nλ’) ricavando quindi la lunghezza d’onda reale dividendo per il fattore di ingrandimento (λ = λ’ / β). b. Diffrazione La diffrazione è il fenomeno per cui un’onda riesce ad “aggirare” un ostacolo. ¾ Propagazione delle onde piane dietro un ostacolo Generare un fronte d’onda piano che va a urtare un ostacolo: - osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro l’ostacolo; fig. A2 - variare le dimensione dell’ostacolo e la lunghezza d’onda e prendere nota di cosa succede. ¾ Propagazione delle onde dietro una fenditura Generare un fronte d’onda piano che si propaga verso una fenditura la cui larghezza “d” può essere variata con continuità: - osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro la fenditura nei diversi casi; - prendere nota e proporre un’interpretazione. θ λ fig. A3 fig. A4 fig. A5 Conclusioni: - dato che il fronte è piano, ci attenderemmo che dietro l’ostacolo/fenditura ci fosse una zona “d’ombra” netta, si osserva invece la presenza di onde anche nelle zone d’ombra: il fronte d’onda piano, passando attraverso la fenditura, si incurva ai bordi; - si ha perciò un cambiamento della direzione di propagazione con un effetto tanto più evidente quanto più sono piccole le dimensioni della fenditura; - per una fenditura, come quella di figura A5, che ha una larghezza dell’ordine della lunghezza d’onda λ, si vede chiaramente che l’onda si propaga in direzioni che formano un angolo θ 12 diverso da zero con la direzione in avanti fino ad avere un “minimo” di diffrazione a un angolo tale che senθ ≈ λ/d (come viene derivato per la luce nell’approfondimento 2). Si può quindi concludere che il fenomeno della diffrazione diventa cospicuo quando le dimensioni della fenditura sono confrontabili con quelle della lunghezza d’onda. La figura di diffrazione può essere spiegata con il principio di Huygens, illustrato negli approfondimenti. c. Interferenza L’interferenza è il fenomeno per il quale due o più onde che si vengono a trovare nella stessa regione di spazio si sommano secondo il principio di sovrapposizione: in ogni punto ed in ogni istante gli spostamenti delle onde che si incontrano si sommano “algebricamente” formando un’onda risultante (vedasi più avanti per approfondimenti). Per studiare il fenomeno con l’ondoscopio (fig. A6) si utilizzano due sorgenti puntiformi, S’ e S”, fra di loro coerenti (stesso periodo e differenza di fase costante nel tempo). che generano due treni d’onde circolari; propagandosi, le due onde si sovrappongono dando origine a una configurazione simile a quella della fig. A7. Osservando l’immagine con angolazione quasi parallela al piano dello schermo si possono vedere delle strisce intense chiare o scure dove le onde si rinforzano (linee antinodali) ed altre grigie dove le onde si annullano (linee nodali). Nelle linee antinodali le due perturbazioni si rinforzano (interferenza costruttiva) perché in ogni loro punto arrivano assieme due creste, poi due ventri, poi ancora due creste e così via; nelle strisce nodali le due perturbazioni si annullano (interferenza distruttiva ) e in particolare vi arrivano assieme una cresta e un ventre. Per osservarle bene basta far muovere l’immagine. Dall’immagine sullo schermo dell’ondoscopio si può ricavare la condizione affinché in un punto P ci sia interferenza costruttiva o distruttiva: - si considerino le distanze di P dalle due sorgenti (PS’ e PS”) e si calcolino le differenze dei cammini (PS’PS”); - se l’interferenza è costruttiva, si osserva che tale differenza è sempre pari a un multiplo intero della lunghezza d’onda misurata, PS’ - PS” = n λ; - è pari invece a un multiplo dispari di mezze lunghezza d’onda se l’interferenza è distruttiva, PS’ - PS” = (n + 1/2) λ. fig. A6 S’ S” P fig. A7 d. Interferenza da più fenditure Per studiare questo fenomeno si immerga nella vasca l’eccitatore di onde piane le quali vanno ad urtare l’ostacolo con 4 fenditure: la figura che si osserva al di là fig. A8 delle fenditure è simile a quelle ottenute nell’esperimento precedente. Regolare la frequenza (circa 25 Hz) e ampiezza in modo da ottenere un’immagine chiara dei fronti d’onda; utilizzare un foglio di carta trasparente per riportare la posizione delle fenditure, dei massimi e la distanza dei massimi dalla fenditura. 13 Il principio di Huygens Secondo Huygens, tutti i punti che stanno su un fronte d’onda fungono da sorgenti puntiformi di un’onda circolare, avente la stessa lunghezza d’onda dell’onda incidente, che si propaga in tutto lo spazio; il fronte d’onda agli istanti successivi è dato dall’inviluppo delle onde. Esaminiamo ad esempio l’immagine della figura a fianco ottenuta con l’ondoscopio inviando un’onda piana contro una fenditura: lontano dai bordi, si ricostruisce il fronte d’onda piano che c’era prima dell’ostacolo, vicino ai bordi, l’onda è invece molto deformata e la propagazione è piuttosto simile a quella di un’onda circolare. Nella figura abbiamo preso, per semplicità, solo 4 punti sul fronte d’onda che, a un certo istante, ha l’ampiezza massima in corrispondenza dell’attraversamento della fenditura (pallini blu della figura in alto; per una simulazione più realistica avremmo dovuto prenderne molti di più). Secondo Huygens ognuno di essi diventa sorgente di un’onda circolare: nella seconda figura partendo dall’alto sono mostrate le 4 onde dopo un periodo e si vede chiaramente che il loro “inviluppo” è nuovamente un’onda piana nella parte centrale in avanti, dove tutte le onde arrivano con l’ampiezza massima allo stesso istante; vicino ai bordi, invece, in quell’istante i massimi stanno su un fronte d’onda circolare, a cui contribuiscono solo i punti molto vicini ai bordi. La stessa cosa avviene dopo due periodi (terza figura dall’alto) e dopo tre periodi (figura in basso): in avanti, l’inviluppo su un fronte d’onda piano si verifica solo nella zona centrale, mentre ai bordi si propagano onde circolari. Interferenza e principio di sovrapposizione Come ricordato sopra, l’interferenza è un fenomeno tipicamente ondulatorio, che era adeguatamente conosciuto già nel 1600-‘700 per quanto riguarda le onde meccaniche (sonore in particolare). Consideriamo due sorgenti S1 ed S2 di onde sferiche sinusoidali, che imprimono al mezzo una perturbazione periodica di periodo T1 e T2 rispettivamente. Diremo che S1 e S2 sono coerenti se T1=T2 e la differenza di fase è costante nel tempo, dove la fase φ è un angolo proporzionale alla frazione di periodo che intercorre tra il massimo dell’ampiezza dell’onda emessa da S1 e il massimo dell’ampiezza dell’onda emessa da S2. Il caso più semplice di sorgenti coerenti è rappresentato da due sorgenti che oscillano in fase => φ = 0, oppure in opposizione di fase => φ=π. Caso delle sorgenti in fase P S2 S1 14 In un dato istante si sovrappongono in un certo punto P i due impulsi provenienti da S1 ed S2: l’impulso risultante è la somma “algebrica” delle due oscillazioni. S1 S2 P Esistono diverse possibilità, le estreme sono: • interferenza costruttiva (2 creste si incontrano); gli impulsi arrivano con lo stesso segno per cui si ha un massimo dell’oscillazione. PS 2 − PS1 = nλ • interferenza distruttiva; gli impulsi hanno segno opposto: PS 2 − PS1 = (2n + 1)λ / 2 Se S1 e S2 sono coerenti ma non in fase, il fenomeno si presenta lo stesso, ma la posizione dei massimi e dei minimi sarà spostata (ad es. se sono in opposizione di fase, massimi e minimi saranno scambiati). Se S1 e S2 non sono coerenti il fenomeno si verifica ma la posizione dei massimi e dei minimi cambia nel tempo e sarà difficile da osservare. Conclusioni: 9 Il fenomeno dell’interferenza si verifica se le sorgenti che emettono il segnale sono coerenti (le sorgenti luminose naturali non sono mai coerenti). 9 In un punto P si verifica l’interferenza costruttiva se la differenza di cammino ottico è un multiplo intero della lunghezza d’onda, si verifica interferenza distruttiva se la differenza di cammino è un multiplo dispari di mezza lunghezza d’onda. La diffrazione da parte di una fenditura o di un ostacolo sottile La diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia “opaco” che “trasparente” (come ad esempio nella figura A2 per un’onda di superficie oppure quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro, una o più fenditure praticate su uno schermo, illumina un piccolo oggetto come un capello…). Il fronte d’onda viene alterato (in fase o in ampiezza) e la propagazione non è più rettilinea. Al di là dell’ostacolo i fronti d’onda interferiscono; si produce una distribuzione non uniforme di intensità (diffrazione). Non c’è nessuna distinzione fisica fra diffrazione e interferenza: l’interferenza è la sovrapposizione di poche onde, la diffrazione è la sovrapposizione di molte onde. Si può pensare la fenditura come formata da un grande numero di punti ciascuno sorgente di onde secondarie (principio di Huygens). Dividiamo la fenditura in due e consideriamo tutte le coppie di punti che distano fra di loro mezza fenditura a/2, come nella figura. Per ogni coppia di onde secondarie provenienti da punti della fenditura separati da una stessa distanza, pari ad a/2, si verificano le condizioni che esamineremo: 15 • se la differenza di cammino è pari mezza lunghezza d’onda o a suoi multipli dispari le onde interferiscono distruttivamente: (a/2) senθ = (2m+1) (λ/2), con m intero, da cui: a senθ = (2m+1) λ con m intero; • si può ripetere il ragionamento dividendo ancora in due ogni mezza fenditura e quindi con coppie di punti distanti a/4 e si ottiene interferenza distruttiva se (a/4) senθ = (2m+1)(λ/2) con m intero; da cui, moltiplicando per 4: a senθ =2(2 m +1)λ con m intero; • dunque la condizione di interferenza distruttiva (minimi di intensità) è a senθ = m λ con m intero (A1) • in corrispondenza all’asse della fenditura le onde emesse dalle sorgenti secondarie della fenditura per il principio di Huygens arrivano con lo stesso cammino a due a due e quindi in fase e si ha interferenza costruttiva e quindi un massimo centrale; • esistono poi massimi secondari ad altre angolazioni, fra i minimi precedentemente calcolati, ed hanno un’ampiezza rapidamente decrescente (il calcolo relativo alla loro posizione risulta pesante e lo omettiamo, ma possiamo osservarli sperimentalmente). Il risultato teorico è riportato nel seguente grafico dell’intensità in funzione della posizione (in ascissa è riportato a sinθ / λ): 16 La diffrazione da un reticolo Per spiegare la figura di diffrazione da parte di un “reticolo” formato da n fenditure poste a distanza d una dall’altra utilizzeremo un modello ondulatorio basato sul S2 principio di Huygens. Come sopra ricordato, secondo S1 Huygens, se su una fenditura si fa incidere un’onda piana, il reticolo si comporta come un insieme di sorgenti S puntiformi coerenti, una per ogni fenditura. Esaminiamo, ad esempio, il caso di un’onda che incide in direzione T1 T2 perpendicolare a un reticolo che ha un “passo” d (figura a T fianco). I massimi delle onde che escono da tre fenditure vicine, come S T e U della figura, dopo 1 periodo saranno U giunti in S1, T1, U1, dopo 2 periodi in S2, T2, U2, e così via. U Muovendoci quindi nella direzione in avanti, i massimi si d U2 ripresenteranno sempre, dopo un periodo, alla stessa distanza dal piano delle fenditure e quindi l’onda si propagherà in avanti nella stessa direzione del fascio incidente. Tuttavia c’è un’altra direzione θ lungo la quale le onde che escono dalle diverse fenditure non percorrono la stessa distanza, però le distanze percorse differiscono di un numero intero di lunghezze d’onda, come si vede dalle figure seguenti. θ S S1 S2 θ T T1 T2 U d U1 U2 Ad esempio, quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S1 ha già percorso una lunghezza d’onda, mentre quello della fenditura T è appena arrivato e alla fenditura U deve ancora arrivare. Così pure quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S2 ha già percorso 2 lunghezze d’onda, quello che esce dalla fenditura T è giunto in T1 e ha già percorso 1 lunghezza d’onda mentre quello della fenditura U è appena arrivato. L’angolo θ a cui ciò succede è tale che d sen θ = λ (A2) 17 Potete vederlo, ad esempio, esaminando il triangolo rettangolo TUT1, dove l’ipotenusa TU è il passo d del reticolo e l’angolo al vertice U è appunto θ . In corrispondenza di questa direzione tutte le fenditure interferiscono costruttivamente e si ha perciò un massimo di intensità. Se invece la prima fenditura non interferisce costruttivamente con la seconda, poiché le fenditure sono molto numerose, esisterà certamente una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Sia ad es. la 50° fenditura. Allora la 2° fenditura interferirà distruttivamente con la 51° e così via. Particolarità del reticolo, infatti, è che, discostandosi anche di poco dai valori di θ sopra menzionati, a causa dell’elevato numero di fenditure, si avrà subito interferenza distruttiva (buio). Se, ad esempio, la differenza di cammino ottico tra due fenditure contigue è dsinθ =(k+0,005)λ c'è una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Volendo calcolarla, la differenza di cammino ottico tra la prima e l’ennesima fenditura sarà n d sinθ = (nk+0,005n) λ. Per n=100 si avrà n d sinθ = (nk+0,5n) λ =(2nk+1)λ/2. Quindi la prima fenditura interferirà distruttivamente con la 100°, la 2° con la 101° e così via, originando una frangia scura. Se la luce incidente è monocromatica, raccogliendo su uno schermo la luce uscente dal reticolo si otterranno frange chiare e scure, in corrispondenza ai vari valori di θ. Misurando θ è possibile risalire al valore della lunghezza d’onda. Inviando luce non monocromatica, invece, essa viene scomposta nella sue componenti monocromatiche, in quanto il valore di θ corrispondente alle frange chiare è una funzione della lunghezza d'onda. 18 A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck Che la radiazione luminosa trasporti energia è esperienza quotidiana: basta mettersi al sole anche in una giornata invernale per sentire il tepore associato alla radiazione solare. Che però l’energia portata dalla radiazione sia diversa alle diverse lunghezze d’onda fu una grossa scoperta, opera di un celebre astronomo, Herschel, che all’inizio dell’Ottocento indagava sullo spettro solare. Herschel cercava di controllare, usando termometri con il bulbo direzione del infrarosso angolo di deviazione annerito, se i diversi colori raggio incidente raggi “scaldassero” tutti nello l rosso stesso modo e si accorse, prisma ponendo un prisma sul cammino di un pennello di violetto raggi solari per farli deviare, che giunge della radiazione che porta energia anche al di là del rosso, scoprendo così l’infra-rosso. I raggi infrarossi sono anzi “più caldi” degli altri, cioè fanno salire più rapidamente la temperatura del termometro, perché vengono assorbiti con maggiore efficienza dalla materia solida o liquida. Durante tutta la prima metà dell’Ottocento gli “spettroscopisti” lavorarono a classificare e riconoscere tutti gli “spettri” di colore emessi e assorbiti dalle diverse sostanze, chiarendo così il ruolo che hanno i diversi modi di interazione fra la radiazione e la materia nel determinare il colore della luce. Le leggi principali sono: - un corpo può emettere radiazione (diventare cioè una sorgente di radiazione) trasformando in energia radiante altre forme di energia (ad es. in una lampadina accesa si trasforma energia elettrica in energia radiante, attraverso diverse trasformazioni intermedie), oppure può assorbire in tutto o in parte la radiazione; se l’assorbimento è parziale, la radiazione non assorbita può essere trasmessa (corpi trasparenti) oppure diffusa, eventualmente in modo speculare (riflessione speculare); - l’intensità della radiazione emessa o assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende principalmente dalla temperatura: aumentando la temperatura aumenta l’emissione alle piccole lunghezze d’onda (lo spettro si sposta verso il violetto); - per una buona emissione nel visibile occorrono temperature di migliaia di gradi (la temperatura della superficie del Sole è stimata essere intorno a 6500 K); a temperature inferiori, l’emissione nel visibile non è apprezzabile, mentre rimane importante quella nell’IR; - a parità di temperatura, l’intensità della radiazione emessa, assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende dal corpo: ad esempio un oggetto “rosso” diffonde prevalentemente le lunghezze d’onda del rosso e assorbe gli altri colori, un oggetto “bianco” diffonde in modo circa uguale tutti i colori, un oggetto “nero” li assorbe tutti; - si ha uno “spettro di corpo nero” quando la radiazione non esce dal corpo, ma rimane al suo interno, come appunto avviene in un oggetto nero ideale; un corpo nero si ottiene idealmente con una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, all’interno della quale la radiazione viene emessa e assorbita dalle pareti in condizioni di equilibrio; - è possibile calcolare teoricamente lo spettro di copro nero partendo da principi primi statistici, cioè dall’ipotesi che la radiazione scambi casualmente energia con la materia con cui è in contato mantenendo un “equilibrio termico”. La prima formula per la distribuzione dell’intensità della 19 radiazione in funzione della lunghezza d’onda fu derivata da Wien alla fine dell’Ottocento e condusse alla legge nota come “legge di Wien”, che lega la temperatura assoluta T alla lunghezza d’onda λmax alla quale si verifica il massimo dell’intensità luminosa: λmaxT = A intensità (unità arbitrarie) dove la costante A vale circa 0,003 m⋅K. Pur non essendo rigorosamente corretta, la legge di Wien rendeva conto delle osservazioni sperimentali che indicano un legame fra la temperatura della sorgente e l’energia dell’onda elettromagnetica alle diverse lunghezze d’onda, a differenza di quanto valeva nella legge derivata precedentemente sulla base delle sole equazioni di Maxwell, in cui l’energia portata da un’onda elettromagnetica non dipendeva direttamente dalla temperatura della sorgente; - la formula teorica corretta fu derivata da UV visibile infrarosso 250 Planck nel 1901, postulando l’esistenza di 6000 K 3000 K 1000 K una nuova costante naturale, il quanto di 200 azione h, e proprio da questa formula iniziò la lunga storia della meccanica quantistica. 150 Alcuni esempi di spettri per diverse temperature sono mostrati nella figura: si 100 vede chiaramente che, in accordo con la legge di Wien, la lunghezza d’onda a cui si 50 verifica il massimo si sposta verso valori più bassi al crescere della temperatura. Lo spettro 0 0 400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000 a 6000 K è abbastanza simile allo spettro lunghezza d'onda (nm) della luce solare, il che indica che la temperatura alla superficie del Sole è circa 6000 K. Come Wien e la maggioranza dei suoi contemporanei, Planck riteneva che il processo di emissione della radiazione avvenisse ad opera di elettroni presenti all’interno del corpo che oscillavano con un’elevata frequenza. Egli si rese conto che, per spiegare i risultati sperimentali occorreva formulare alcune ipotesi che stabilivano un legame tra l’energia emessa da un singolo oscillatore e la frequenza f della radiazione, e precisamente che: • • • l’energia E della radiazione emessa da un singolo oscillatore è multiplo intero di una energia fondamentale E0 (E=nE0); l’energia E0 è proporzionale alla frequenza E0=hf dove h=6,626⋅10-34Js Queste tre ipotesi bastano per spiegare qualitativamente il significato della legge di Wien e il valore della costante A. Infatti si sa, dalla teoria cinetica dei gas, che la tipica energia di un “oscillatore” che si trova in un corpo alla temperatura assoluta T è dell’ordine di kB T, dove kB è la costante di Boltzmann, pari a circa 10-23 J/K: nell’emissione della radiazione, anche l’energia E0 del “quanto di radiazione”, dovrà essere dello stesso ordine di grandezza, quindi hf = hc/λ (c è la velocità della luce, pari a 3⋅108 m/s). Eguagliando le due energie si trova appunto che Tλ ≈hc/ kB, cioè è una costante il cui ordine di grandezza è quello della costante A della legge di Wien. L’intuizione di Planck fu poi approfondita nei lavori di Einstein sull’effetto fotoelettrico (1905) che contribuirono ad assegnare alla radiazione luminosa una natura “corpuscolare”, complementare a quella ondulatoria introducendo il concetto di “fotone” come “quanto di radiazione”: una radiazione monocromatica può anche essere vista come un flusso di fotoni, ognuno dei quali trasporta un’energia E=hf (e una quantità di moto p=E/c=hf/c, come verrà successivamente dimostrato da Compton). 20 A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle L’andamento generale dello spettro della luce di una stella, in particolare quello della luce solare, è simile allo spettro di un corpo nero alla temperatura corrispondente alla “superficie” della stella. Questo avviene non perché la superficie del Sole sia una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, come descritto sopra, ma perché si è stabilita in superficie una temperatura di equilibrio fra i meccanismi interni al Sole di trasformazione dell’energia nucleare e di quella gravitazionale in energia radiante e l’emissione dell’energia radiante che viene irradiata dalla superficie del Sole verso lo spazio esterno. Nella figura è mostrato lo spettro solare misurato in una giornata invernale serena con lo spettrofotometro Avaspec, senza apportare alcuna correzione per la sensibilità del rivelatore alle diverse lunghezze d’onda. sole1-ore15 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 300 400 500 600 700 800 lunghezza d'onda (nm) 900 1000 Nella figura che segue è invece mostrato lo spettro corretto in base alla curva di calibrazione con sovrapposta la curva di corpo nero calcolata alla temperatura che meglio si adatta (circa 5600 K). He4 Sole sole1-ore15 He3 Sole 4000 Hα Sole Hβ Sole He2 Sole 3500 He1 Sole Hγ Sole 3000 O atm 2500 2000 1500 1000 500 O, N atm 0 300 400 500 600 700 800 900 1000 lunghezza d'onda (nm) 21 Come si vede, l’andamento generale è descritto in modo ragionevole dalla curva di corpo nero, anche se la temperatura che meglio si adatta (5600 K circa) è notevolmente minore di quella stimata per la “superficie” del Sole (circa 6500 K). Ciò è dovuto all’assorbimento nell’atmosfera terrestre attraversata dai raggi, che ha uno spessore notevole in una giornata invernale, sia pure serena. Ciò appare evidente nella forte riga di assorbimento a 760 nm, dovuta all’ossigeno, e nella estesa banda di assorbimento sopra i 900 nm dovuta probabilmente sia all’ossigeno che all’azoto. Le deviazioni che si osservano alle piccole lunghezze d’onda, dove lo spettro misurato cade più rapidamente dello spettro teorico al diminuire di λ, sono invece dovute alla “diffusione Rayleigh”, secondo cui la luce viene diffusa dai gas dell’atmosfera in modo inversamente proporzionale a λ4: ad esempio, nel violetto-blu (λ≈ 400 nm) la luce è diffusa circa 6 volte di più che nel rosso (λ≈ 650 nm). L’intensità, che manca alle piccole lunghezze d’onda nei raggi che giungono in direzione del Sole, si ritrova guardando nelle altre direzioni, ed è per questo motivo che il cielo ci appare blu, perché vediamo i raggi diffusi che sono arricchiti alle piccole lunghezze d’onda rispetto ai raggi diretti. L’effetto è tanto più forte quanto più spesso è lo strato di atmosfera terrestre attraversato, come avviene ad esempio al mattino o alla sera, oppure se lo strato di aria è ricco di vapore d’acqua: in queste condizioni sono diffuse anche lunghezze d’onda maggiori, fino all’arancio o al rosso, per cui il cielo si tinge di arancio vicino alla direzione da cui provengono i raggi solari. Nello spettro sono visibili anche le righe di assorbimento che la radiazione subisce da parte dei gas presenti nell’atmosfera solare; in particolare si possono distinguere - tre righe di assorbimento dell’idrogeno nel visibile (la così detta “serie di Balmer”), Hα a 656 nm, Hβ a 487 nm e Hγ a 431 nm, - quattro righe di assorbimento dell’elio: l’elio deve il suo nome proprio al fatto che fu scoperto sul sole –helios è il nome del sole in greco– attraverso queste righe di assorbimento, che si vedevano nell’atmosfera solare mentre non erano mai state osservate in gas noti sulla Terra, perché l’elio, essendo molto leggero, sfugge dall’atmosfera terrestre. 22