TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA”

STAGE DI FISICA - 14-19 Marzo 2011
TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA”
Roberta Balestrino(1), Giorgetta Comino(2), Gianna Rovero(3), Caterina Torazza(2)
(1)
Liceo Scientifico Amaldi di Orbassano; (2)Liceo Scientifico Monti di Chieri;
(3)
AIF, Sezione di Settimo Torinese
1. Luce, colore, energia: che cosa, perché e come
2. Il colore: come separare i colori della luce con un prisma
3. Luce e colore: le onde luminose
• Diffrazione della luce da un ostacolo o da una fenditura
• Reticolo di diffrazione e laser
• Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione
4. Luce ed energia: lo spettro luminoso
• Lo spettro della luce emessa da una lampadina con filamento a incandescenza
• La temperatura del filamento e la legge di Wien
• Osservazione di spettri con uno spettrofotometro
Richiami e approfondimenti
A1. Le onde e le caratteristiche dei fenomeni ondulatori
- Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio
a) Onde piane e onde circolari
b) La diffrazione da un ostacolo o da una fenditura
c) L’interferenza
d) Interferenza da più fenditure e da reticolo
- Il “principio di Huygens”
- L’interferenza e il principio di sovrapposizione
- La diffrazione da parte di una fenditura sottile
- La diffrazione da reticolo
A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck
A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle
1
1. Luce, colore ed energia: che cosa, perché e come
Che cos’è la luce ? La luce nella nostra esistenza ha un ruolo fondamentale: noi vediamo e
soprattutto viviamo grazie ad essa; può essere descritta per mezzo di grandezze misurabili, oppure
considerando gli aspetti estetici o ancora dal punto di vista fisiologico.
Nei primi studi sulla luce non si era in grado di distinguere tra luce e visione, i Pitagorici ad
esempio pensavano che la luce non potesse esistere indipendentemente dal soggetto che vede grazie
a un “fuoco” presente in esso, il quale, uscendo dall’occhio, cade sugli oggetti rendendoli visibili.
Questa confusione la ritroviamo nei bambini: quando giocano a “nascondino” a volte si
“nascondono” coprendosi gli occhi con le mani, pensando di non essere visti se essi stessi non
vedono. Nel corso dei secoli successivi vennero formulate diverse ipotesi sulla natura della luce:
- intorno al 1500 Leonardo, osservando analogie tra fenomeni ondulatori e fenomeni
luminosi, formulò per primo l’ipotesi che la luce avesse aspetti ondulatori;
- nel 1600 Keplero pose fine alla “confusione“ tra luce e visione riuscendo a comprendere
che le immagini si formano all’interno dell’occhio;
- si giunge quindi a Newton e Huygens, contemporanei fra loro, che avevano posizioni
opposte sulla natura della luce. Come emerge dai dialoghi tra Newton e Huygens, il primo
pensava alla luce in termini di “particelle”, il secondo in termini di “onde”.
Particella e onda sono due grandi concetti della fisica classica nel senso che possiamo associare
quasi ogni branca della fisica con una o con l’altra. I due concetti sono diversi, soprattutto per quel
che riguarda il trasporto di energia: la parola particella sottintende una piccolissima concentrazione
di materia che trasporta energia, la parola onda sottintende una grande distribuzione di energia che
riempie lo spazio in cui l’onda si muove.
Oggi sappiamo che la luce è allo stesso tempo “particella” e “onda”: la chiave per arrivare a
capire questo comportamento duale sta nell’associazione fra il “colore” della luce e “l’energia”
trasportata dalla luce. Newton fu il primo a indicare il modo per separare la luce bianca nei suoi
colori, ma bisogna ricorrere al modello ondulatorio di Huygens per avere il modo di associare al
colore una grandezza fisica, la “lunghezza d’onda”, e infine occorre arrivare a Herschel, all’inizio
dell’Ottocento, per capire, attraverso la scoperta della “radiazione invisibile infrarossa”, come
associare colore ed energia. Ripercorriamo in tre tappe questo cammino affascinante che ci porterà
a rispondere alla nostra domanda iniziale su che cos’è la luce:
- ripercorriamo con Newton il percorso per separare la luce nei suoi colori,
- impariamo a riconoscere e misurare il “colore” estendendo alla luce i metodi di indagine e i
modelli utilizzati per caratterizzare le onde meccaniche,
- misuriamo infine lo “spettro” della luce per indagare il legame fra energia e colore.
2
2. Separare i “colori” con il prisma
Un prisma trasparente, messo sul cammino di un fascio di luce, lo fa deviare dalla direzione iniziale
a causa dell’interazione fra la luce e il materiale trasparente di cui è formato il prisma. L’angolo di
deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente dipende da un numero caratteristico del
materiale detto indice di rifrazione n. A sua volta n dipende dal “colore”, con variazioni che sono
piccolissime: ad esempio, fra il verde-giallo e il rosso scuro n diminuisce di circa lo 0,3%.
Poiché l’angolo di deviazione cresce al crescere di n, il violetto è più deviato del blu, e questo è
deviato più del verde, ecc., per cui i diversi colori si separano.
y
c
angolo di deviazione
direzione del
raggio incidente
infrarosso
rosso
prisma
violetto
ultravioletto
Esistono dei “colori”, che il prisma è in grado di separare, che non sono visibili per il nostro occhio,
ma sono rivelabili da strumenti opportuni, come vedremo più avanti: l’infrarosso, che è meno
deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di sotto del rosso (di qui il suo nome “infrarosso”) e l’ultravioletto, che è più deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di là del
violetto (di qui il suo nome “ultra-violetto”).
L’importanza del fenomeno della dispersione, già noto ai tempi di Newton come ricordato
nell’introduzione, è che dimostra che il colore è una proprietà della luce e non della materia, come
l’esperienza quotidiana tenderebbe a suggerire: il prisma infatti è del tutto incolore, mentre il fascio
di luce, all’uscita dal prisma, mostra di possedere tutta una successione di colori che prima non
apparivano e che non possono essere stati aggiunti dal prisma.
La dispersione da prisma, tuttavia, non fornisce la misura diretta di una grandezza fisica da
associare a un determinato colore, che, come vedremo, è la “lunghezza d’onda” λ caratteristica di
quel colore, perché l’angolo di deviazione di un certo colore dipende dall’indice di rifrazione n del
tipo di vetro di cui è fatto il prisma e occorre risalire a λ attraverso la dipendenza da λ dell’indice di
rifrazione n del tipo di vetro.
Nella misura che segue ci limiteremo perciò ad associare qualitativamente il colore all’angolo di
deviazione, o meglio alla posizione y del colore sullo schermo.
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Materiale
- lampada per proiezioni
- prisma su piattaforma girevole
- schermo con righello
Misure
Posizionare il prisma sulla piattaforma girevole e aggiustare l’orientazione fino a quando si osserva
chiaramente sullo schermo lo spettro dei colori.
Il righello predisposto sullo schermo, che parte dal viola e va verso il rosso (asse y), serve per
valutare la separazione e aiutare l’identificazione del colore, ma la posizione y di un certo colore
non è legata in modo semplice alla lunghezza d’onda, come spiegato sopra.
Misurare la posizione y corrispondente a un certo colore, registrare in particolare la posizione di
colori ben identificati, come l’inizio della banda del colore blu, del verde, del rosso e
dell’infrarosso.
4
3. Luce e colore: le onde luminose
Eseguiamo alcune esperienze per convincerci che la luce presenta comportamenti ondulatori del
tutto simili a quelli delle onde meccaniche e che c’è una relazione precisa fra la lunghezza d’onda e
il colore della luce: questa relazione ci permetterà di associare al colore un numero preciso, non
dipendente dalla percezione visiva soggettiva.
La diffrazione della luce
Come noto per le onde meccaniche, la diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni
ondulatori che si manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di
onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente. Il fenomeno diventa
cospicuo e dà effetti osservabili se le dimensioni dell’ostacolo sono confrontabili con la lunghezza
d’onda: di qui nasce la difficoltà di osservare il fenomeno per le onde luminose che hanno
lunghezze d’onda inferiori al micrometro. Per la luce gli effetti diffrattivi si manifestano, ad
esempio, quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro oppure una
o più fenditure micrometriche, illumina un piccolo oggetto come un capello….: l’immagine
luminosa generata dall’ostacolo (oppure l’ombra se si tratta di un oggetto opaco) non è più quella
“geometrica”, che ci si aspetta se il fascio si propagasse rettilineamente, ma è una figura
caratteristica la cui larghezza angolare θ è descritta nell’approfondimento.
Utilizzeremo come “ostacolo” un capello, perché le tipiche dimensioni di un capello sono
confrontabili con quelle della lunghezza d’onda della luce visibile e quindi il fenomeno della
diffrazione è facilmente osservabile.
Materiale
- LASER rosso e LASER verde
- finestra di uscita mobile
- schermo
Misure
Utilizzare prima il LASER rosso (λ=630 nm).
- Fissare un capello trasversalmente alla finestra di uscita e spostare lentamente l’allineamento fra
la finestra e la direzione del fascio fino a quando sullo schermo compare la figura di diffrazione;
- misurare l’angolo θ a cui compare il minimo della figura di diffrazione;
- determinare il diametro del capello utilizzando la relazione (A1) derivata negli approfondimenti
fra la larghezza del cono di diffrazione e la larghezza della fenditura,
a senθ = λ
(A1)
dove λ è la lunghezza d’onda, a rappresenta il diametro del capello e θ l’angolo a cui si osserva il
minimo di intensità luminosa.
Noto il valore di a, ripetere la misura con il LASER verde e determinare la lunghezza d’onda della
luce verde. Ripetere entrambe le misure con un capello diverso: il diametro dipende dal colore del
capello? Attenzione a chi si tinge…
La misura della lunghezza d’onda con il reticolo di diffrazione
Un “reticolo di diffrazione” è una lastrina di vetro o di altro materiale trasparente sulla cui
superficie sono state incise delle fenditure a una distanza regolare d molto piccola, confrontabile
con la lunghezza d’onda λ della luce che si vuole studiare. Come spiegato nell’approfondimento, se
si fa incidere un fascio di luce monocromatica, caratterizzata quindi da una lunghezza d’onda λ ben
definita, dal reticolo escono, oltre al fascio trasmesso, come avviene per qualunque lastrina a facce
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piane, anche più fasci diffratti ad angoli θ legati alla lunghezza d’onda dalla relazione di Bragg
(equazione A2 dell’approfondimento):
sin θ = n λ / d
(A2)
dove n è un numero intero. Per n=1 si ha il “primo ordine diffrattivo”, che è normalmente quello
che si studia, essendo il più intenso.
fascio diffratto
fascio incidente
d
θ
θ
θ
θ
fascio trasmesso in avanti
Materiale
- LASER rosso e LASER verde
- finestra di uscita
- reticolo da 600 linee al mm
- schermo
Misure
Utilizzare prima il LASER rosso
- Fissare il reticolo alla finestra di uscita;
- osservare la figura di diffrazione che si forma sullo schermo;
- individuare i due primi massimi di diffrazione e controllare che siano disposti simmetricamente
rispetto allo spot di luce centrale;
- se non lo sono, ottimizzare la simmetria aggiustando l’ortogonalità fra la direzione del fascio e lo
schermo;
- misurare le distanze dei primi massimi dallo spot luminoso centrale, calcolare gli angoli θ e la
loro media;
- determinare la lunghezza d’onda della luce LASER dalla relazione (A2) e confrontarla con il
valore nominale (632 nm)
Ripetere la misura con il LASER verde
Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione
Se il fascio non è monocromatico, come avviene nella luce bianca emessa da una lampada a
incandescenza, il reticolo permette di separare i vari colori presenti nella luce bianca perché li
diffrange ad angoli diversi, crescenti con il valore della lunghezza d’onda, come atteso in base alla
relazione (A2): il rosso è quindi più deviato del blu, contrariamente a quanto avviene nella
dispersione da prisma.
Un’altra grossa differenza fra dispersione da prisma e quella da reticolo è che il reticolo disperde
solo una piccola frazione della luce incidente perché la maggior parte dell’intensità luminosa
rimane comunque nello spot luminoso centrale che non subisce deviazioni rispetto alla direzione
incidente.
Il reticolo ha invece un grosso vantaggio al prisma, perché con il reticolo l’angolo di deviazione è
legato direttamente alla lunghezza d’onda attraverso la relazione (A2), che è universale dato che
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dipende solo dal passo, mentre con il prisma la relazione è indiretta, dato che passa attraverso la
dipendenza da λ dell’indice di rifrazione che è legata al tipo di vetro.
rosso
blu
blu
primo ordine
diffrattivo
θ
rosso
primo ordine
diffrattivo
θ
reticolo
lente
fenditura
lampada
Materiale
- lampada per proiezioni
- fenditura
- lente convergente di distanza focale 15 (o 7,5) cm
- reticolo da 600 linee al mm
- schermo
Misure
Nell’apparato mostrato nella figura la fenditura e la lente convergente sono necessarie per collimare
il fascio e definire con precisione la direzione del fascio che incide sul reticolo; si formano due
figure di diffrazione, una a destra e l’altra a sinistra della direzione del fascio incidente.
Dopo aver ottimizzato la simmetria fra le due figure come fatto per la misura precedente con il
LASER, misurare l’angolo θ a cui si forma un determinato colore, e calcolare la lunghezza d’onda
corrispondente attraverso la relazione di Bragg (A2), λ = d sin θ.
Eseguire la misura per almeno quattro colori ben identificabili dello spettro, in particolare per blu,
verde, giallo e rosso, cercando di identificare il centro della banda corrispondente.
Riportare in una tabella i valori della lunghezza d’onda ottenuti accanto al “colore” relativo.
La luce visibile ha lunghezze d’onda che vanno da circa 380 nm (1 nm=10-9m) per il violetto a circa
780 nm per il rosso scuro; il verde che sfuma verso il giallo (è il colore al quale si ha il massimo
dell’intensità della radiazione solare) ha lunghezza d’onda di circa 550 nm:
violetto
λ (nm) →
blu
verde
giallo
arancio
rosso
↓
↓
↓
380
550
780
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4. Luce ed energia: lo spettro luminoso
Lo spettro della luce emessa da una lampadina
Materiale a disposizione:
2 alimentatori
4 tester
1 lampada (tensione massima 13V)
Cavi elettrici
1 prisma
1 schermo graduato con fotodiodo (*)
Che cosa fare
ƒ Con il prisma disposto davanti alla lampadina nella stessa posizione dell’esperimento
precedente, osservare lo spettro e formulare delle congetture sull’intensità dei vari colori.
ƒ
Organizzare un esperimento che consenta di verificare la validità delle proprie congetture
facendo scorrere il fotodiodo lungo la scala graduata. Il gruppo di lavoro si organizzi,
discuta le modalità di esecuzione dell’esperimento valutando accuratamente le possibili
cause di errore e dividendosi i compiti.
ƒ
Misurare anche il “fondo”, cioè il segnale dovuto alla radiazione presente nella stanza che
arriva sullo schermo in assenza della radiazione della lampada dispersa dal prisma (lo si
ottiene mascherando la faccia del prisma da cui escono i raggi dispersi); è importante
conoscere il “fondo”, perché, quando si accende la lampada, questa energia va a sommarsi a
quella della radiazione che giunge dalla lampada alterando la misura, dato che le due
radiazioni non hanno la stessa distribuzione in funzione della posizione sullo schermo;
ƒ
Registrare il valore dell’intensità relativa della radiazione luminosa (monocromatica) in
funzione della sua posizione “y” sulla scala graduata, e alla lunghezza d’onda in base alla
corrispondenza tra posizione sullo schermo e lunghezza d’onda fatta in precedenza, anche
aiutandosi con la tabella seguente;
violetto
ƒ
blu
verde
giallo
arancio
rosso
infrarosso
↓
↓
↓
380
550
780
→ λ (nm)
Riportare i dati su un grafico; discutere i risultati ottenuti confrontandoli con le proprie
congetture e commentandoli con l’insegnante
(*) Il fotodiodo è un dispositivo che, colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una
differenza di potenziale proporzionale alla radiazione incidente. Poiché la differenza di potenziale è
molto piccola, il fotodiodo è accoppiato a un amplificatore che ne amplifica linearmente il segnale
che viene letto mediante un multimetro. Il fotodiodo è montato su di uno schermo graduato sul
quale può scorrere mediante la rotazione di una manovella.
.
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Temperatura del filamento della lampadina e legge di wien
Partendo dallo spettro ottenuto nell’esperimento precedente e utilizzando la correlazione qualitativa
fra colore, posizione “y” sullo schermo e lunghezza d’onda, aiutandosi con lo schema che segue,
individuare la lunghezza d’onda λmax a cui si verifica il massimo dell’intensità della radiazione
violetto
blu
verde
giallo
arancio
rosso
infrarosso
↓
↓
↓
380
550
780
→ λ (nm)
Calcolare il valore approssimato della temperatura del filamento della lampadina secondo la legge
di Wien (vedi gli “approfondimenti”).
λmaxT = A
(A ≈ 0,003 m⋅K)
Osservazioni con lo spettrofotometro
Lo spettrofotometro è uno strumento che viene usato per numerosissime applicazioni industriali,
commerciali o di ricerca fondamentale, come, ad esempio, la misura degli spettri delle stelle o la
composizione in colore di una vernice o l’assorbimento dei diversi colori da parte di un vetro
colorato, cioè in tutte quelle misure in cui è necessario conoscere l’intensità della radiazione in
funzione della lunghezza d’onda.
Lo spettrofotometro che abbiamo a disposizione è un “AvaSpec-2048 Fiber Optic Spectrometer”.
Consiste in una sonda che raccoglie la luce proveniente dalla sorgente, la focalizza e la convoglia in
una fibra ottica che la trasporta fino a una “scatola” sigillata in cui lo spettro viene esaminato.
cavo contenente
la fibra ottica
sonda
apertura
di ingresso
ingresso
fibra ottica
Nella “scatola” il fascio viene prima disperso con un reticolo di diffrazione, simile a quello che è
stato usato per misurare la lunghezza d’onda; i diversi “colori” che escono ai diversi angoli vanno a
colpire una “fotocamera a CCD” con 2048 “pixels”. Ogni pixel funziona come il fotodiodo usato
nell’esperimento precedente, cioè produce un segnale in tensione elettrica che è circa proporzionale
all’intensità della luce incidente.
Poiché ogni pixel è posizionato per raccogliere una ben determinata lunghezza d’onda, si può così
ottenere, in principio, l’intensità luminosa in corrispondenza di 2048 valori di lunghezza d’onda (in
realtà i valori utili che si ottengono sono circa 1300).
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I valori delle lunghezze d’onda e delle relative intensità luminose sono poi immagazzinati in una
memoria interna che è leggibile da un personal computer collegabile attraverso una “porta USB”. I
dati possono anche essere copiati su un foglio EXCEL per ulteriori analisi.
Rispetto al semplice fotodiodo utilizzato nell’esperimento
precedente, il rivelatore ha lo svantaggio di non avere una
risposta uniforme in funzione della lunghezza d’onda: è quindi
necessario correggere i dati con una “curva di calibrazione” per
avere la risposta corretta.
La curva di calibrazione, determinata con una lampada a
incandescenza, è riportata in figura. La costante di calibrazione
è stata posta arbitrariamente uguale a 1 a 700 nm. Come si
vede, la CCD ha un’efficienza di rivelazione maggiore di uno
fra 450 nm e 700 nm, mentre è meno efficiente alle lunghezze
d’onda inferiori (blu e violetto) e superiori (infrarosso).
calibrazione con dati lampada a 220 V
2
1,8
1,6
costante di calibrazione
1,4
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
lunghezza d'onda (nm)
Materiali
Spettrofotometro: sonda, cavo con fibra ottica, “scatola” di analisi dello spettro
Personal computer e cavo con connettore USB per collegamento allo spettrofotometro
Reticolo di diffrazione e prisma per disperdere lo spettro
LED di diverso colore, lampada a incandescenza, luce solare
Che cosa fare
Con lo spettrofotometro collegato al PC, puntare la sonda a diverse sorgenti; osservare e
interpretare lo spettro. Osservazioni suggerite:
- spettro di un LED: osservare la lunghezza d’onda a cui si verifica il picco e la sua larghezza;
- spettro della lampada a incandescenza disperso con il reticolo di diffrazione: posizionare la sonda
in corrispondenza di diversi colori e verificare la corrispondenza fra il valore della lunghezza
d’onda registrato dalla sonda e quello calcolato in base alle misure dirette e alla legge del reticolo;
- spettro della lampada a incandescenza senza dispersione: confrontare lo spettro ottenuto con lo
spettrofotometro con quello misurato nell’esperimento precedente;
- spettro della luce solare possibilmente in diverse ore della giornata e/o diverse condizioni di
copertura del cielo, per stimare la temperatura della superficie del Sole e valutare l’effetto
dell’assorbimento nell’aria (vedi scheda di approfondimento sullo spettro solare).
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Richiami e approfondimenti
A1. Le onde
“Accade sovente che l’onda si allontani dal suo punto di creazione, mentre l’acqua non si
muove, come le onde create dal vento in un campo di grano, dove vediamo le onde correre
attraverso il campo mentre il grano rimane al suo posto”
Leonardo da Vinci
Come si rileva dalla frase di Leonardo, nella nostra vita ci sono onde di ogni tipo: onde nell’acqua,
“onde “ nel campo di grano (facendo attenzione però che questo tipo di perturbazione non è uguale
a quello delle onde nell’acqua: non nasce da una sorgente, la perturbazione cessa quando il vento
cessa), onde sismiche che si propagano nella terra…..
La maggior parte delle onde possono essere descritte studiando sia il comportamento delle singole
particelle sia la loro propagazione nel mezzo; facendo un’analogia potremmo dire che vogliamo
studiare sia la foresta sia gli alberi che la costituiscono.
Onde in due dimensioni: esperienze con un ondoscopio
Le onde in due dimensioni sono le più facili da indagare perché sono direttamente visualizzabili
essendo tipicamente onde superficiali. Per indagarne il comportamento si può utilizzare una vasca
ad onde con sistema stroboscopio. Descriviamo alcuni esperimenti e i loro risultati.
Strumentazione
Vasca ad onde con sistema stroboscopio (ondoscopio, vedi fig. A1 )
Le onde vengono generate trasmettendo sulla superficie dell’acqua le variazioni di pressione
dell’aria ottenute tramite le vibrazioni di una membrana eccitata da un’apposita unità di
alimentazione: si ottengono onde trasversali sulla superficie dell’acqua. La frequenza delle onde di
pressione è compresa tra 10 Hz e 80 Hz. Ampiezza e frequenza delle oscillazioni possono essere
regolate a piacere.
Per ottenere un’immagine stazionaria delle onde si utilizza una lampada stroboscopica sincronizzata
con la frequenza del generatore che eccita la membrana. La vasca viene collocata sotto un proiettore
in modo da visualizzare le onde con un formato maggiore: in tal modo le creste delle onde si
comportano come lenti convergenti in grado di creare delle linee luminose che si possono osservare
sullo schermo, mentre i ventri si comportano come lenti divergenti dando luogo alla formazione di
linee più scure. Dove non c’è oscillazione si ha una luminosità intermedia.
Le pareti della vasca sono inclinate per eliminare l’interferenza con le onde riflesse. Per ridurre le
riflessioni di disturbo viene aggiunta una goccia di sapone liquido all’acqua.
Il livello dell’acqua nella vasca deve essere di circa 5 mm.
fig. A1
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Gli esperimenti
a. Onde piane e onde circolari
Per studiare un’onda è utile osservare il moto delle sue creste, la distanza fra le quali ci dà la
lunghezza d’onda. Nel caso di un’onda bidimensionale la cresta sarà una linea, tale linea costituisce
il “fronte d’onda”.
¾ Onde circolari e piane:
- generare onde circolari e piane con una sorgente puntiforme e con una sorgente di forma
piana,
- osservare e definire il fronte d’onda e la direzione di propagazione (sempre perpendicolare
al fronte d’onda),
¾ Misure: misurare la lunghezza d’onda λ, il periodo T; calcolare la frequenza f e la velocità di
propagazione ( v=λ / T). Per la misura della lunghezza d’onda λ bisogna tener conto del
fattore d’amplificazione β=1,65 (dato dal costruttore) fra l’onda sull’acqua e l’immagine
dell’onda sullo schermo. Si contano n lunghezze d’onda sullo schermo (nλ’) ricavando quindi
la lunghezza d’onda reale dividendo per il fattore di ingrandimento (λ = λ’ / β).
b. Diffrazione
La diffrazione è il fenomeno per cui un’onda riesce ad
“aggirare” un ostacolo.
¾ Propagazione delle onde piane dietro un ostacolo
Generare un fronte d’onda piano che va a urtare un
ostacolo:
- osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro
l’ostacolo;
fig. A2
- variare le dimensione dell’ostacolo e la lunghezza d’onda
e prendere nota di cosa succede.
¾ Propagazione delle onde dietro una fenditura
Generare un fronte d’onda piano che si propaga verso una fenditura la cui larghezza “d” può
essere variata con continuità:
- osservare l’immagine dell’onda che si ottiene dietro la fenditura nei diversi casi;
- prendere nota e proporre un’interpretazione.
θ
λ
fig. A3
fig. A4
fig. A5
Conclusioni:
- dato che il fronte è piano, ci attenderemmo che dietro l’ostacolo/fenditura ci fosse una zona
“d’ombra” netta, si osserva invece la presenza di onde anche nelle zone d’ombra: il fronte
d’onda piano, passando attraverso la fenditura, si incurva ai bordi;
- si ha perciò un cambiamento della direzione di propagazione con un effetto tanto più evidente
quanto più sono piccole le dimensioni della fenditura;
- per una fenditura, come quella di figura A5, che ha una larghezza dell’ordine della lunghezza
d’onda λ, si vede chiaramente che l’onda si propaga in direzioni che formano un angolo θ
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diverso da zero con la direzione in avanti fino ad avere un “minimo” di diffrazione a un
angolo tale che senθ ≈ λ/d (come viene derivato per la luce nell’approfondimento 2).
Si può quindi concludere che il fenomeno della diffrazione diventa cospicuo quando le dimensioni
della fenditura sono confrontabili con quelle della lunghezza d’onda. La figura di diffrazione può
essere spiegata con il principio di Huygens, illustrato negli approfondimenti.
c. Interferenza
L’interferenza è il fenomeno per il quale due o più onde che si vengono a trovare nella stessa
regione di spazio si sommano secondo il principio di sovrapposizione: in ogni punto ed in ogni
istante gli spostamenti delle onde che si incontrano si sommano “algebricamente” formando
un’onda risultante (vedasi più avanti per approfondimenti).
Per studiare il fenomeno con l’ondoscopio (fig. A6) si
utilizzano due sorgenti puntiformi, S’ e S”, fra di loro
coerenti (stesso periodo e differenza di fase costante nel
tempo). che generano due treni d’onde
circolari;
propagandosi, le due onde si sovrappongono dando origine
a una configurazione simile a quella della fig. A7.
Osservando l’immagine con angolazione quasi parallela al
piano dello schermo si possono vedere delle strisce intense
chiare o scure dove le onde si rinforzano (linee antinodali)
ed altre grigie dove le onde si annullano (linee nodali).
Nelle linee antinodali le due perturbazioni si rinforzano
(interferenza costruttiva) perché in ogni loro punto
arrivano assieme due creste, poi due ventri, poi ancora
due creste e così via; nelle strisce nodali le due
perturbazioni si annullano (interferenza distruttiva ) e in
particolare vi arrivano assieme una cresta e un ventre. Per
osservarle bene basta far muovere l’immagine.
Dall’immagine sullo schermo dell’ondoscopio si può
ricavare la condizione affinché in un punto P ci sia
interferenza costruttiva o distruttiva:
- si considerino le distanze di P dalle due sorgenti (PS’ e
PS”) e si calcolino le differenze dei cammini (PS’PS”);
- se l’interferenza è costruttiva, si osserva che tale
differenza è sempre pari a un multiplo intero della
lunghezza d’onda misurata,
PS’ - PS” = n λ;
- è pari invece a un multiplo dispari di mezze lunghezza
d’onda se l’interferenza è distruttiva,
PS’ - PS” = (n + 1/2) λ.
fig. A6
S’
S”
P
fig. A7
d. Interferenza da più fenditure
Per studiare questo fenomeno si immerga nella vasca
l’eccitatore di onde piane le quali vanno ad urtare
l’ostacolo con 4 fenditure: la figura che si osserva al di là
fig. A8
delle fenditure è simile a quelle ottenute nell’esperimento
precedente.
Regolare la frequenza (circa 25 Hz) e ampiezza in modo da ottenere un’immagine chiara dei fronti
d’onda; utilizzare un foglio di carta trasparente per riportare la posizione delle fenditure, dei
massimi e la distanza dei massimi dalla fenditura.
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Il principio di Huygens
Secondo Huygens, tutti i punti che stanno su un fronte d’onda
fungono da sorgenti puntiformi di un’onda circolare, avente la
stessa lunghezza d’onda dell’onda incidente, che si propaga in
tutto lo spazio; il fronte d’onda agli istanti successivi è dato
dall’inviluppo delle onde.
Esaminiamo ad esempio l’immagine della figura a fianco
ottenuta con l’ondoscopio inviando un’onda piana contro una
fenditura: lontano dai bordi, si ricostruisce il fronte d’onda piano
che c’era prima dell’ostacolo, vicino ai bordi, l’onda è invece
molto deformata e la propagazione è piuttosto simile a quella di
un’onda circolare. Nella figura abbiamo preso, per semplicità,
solo 4 punti sul fronte d’onda che, a un certo istante, ha
l’ampiezza massima in corrispondenza dell’attraversamento
della fenditura (pallini blu della figura in alto; per una
simulazione più realistica avremmo dovuto prenderne molti di
più). Secondo Huygens ognuno di essi diventa sorgente di
un’onda circolare: nella seconda figura partendo dall’alto sono
mostrate le 4 onde dopo un periodo e si vede chiaramente che il
loro “inviluppo” è nuovamente un’onda piana nella parte
centrale in avanti, dove tutte le onde arrivano con l’ampiezza
massima allo stesso istante; vicino ai bordi, invece, in
quell’istante i massimi stanno su un fronte d’onda circolare, a
cui contribuiscono solo i punti molto vicini ai bordi. La stessa
cosa avviene dopo due periodi (terza figura dall’alto) e dopo tre
periodi (figura in basso): in avanti, l’inviluppo su un fronte
d’onda piano si verifica solo nella zona centrale, mentre ai bordi
si propagano onde circolari.
Interferenza e principio di sovrapposizione
Come ricordato sopra, l’interferenza è un fenomeno tipicamente ondulatorio, che era adeguatamente
conosciuto già nel 1600-‘700 per quanto riguarda le onde meccaniche (sonore in particolare).
Consideriamo due sorgenti S1 ed S2 di onde sferiche sinusoidali, che imprimono al mezzo una
perturbazione periodica di periodo T1 e T2 rispettivamente. Diremo che S1 e S2 sono coerenti se
T1=T2 e la differenza di fase è costante nel tempo, dove la fase φ è un angolo proporzionale alla
frazione di periodo che intercorre tra il massimo dell’ampiezza dell’onda emessa da S1 e il massimo
dell’ampiezza dell’onda emessa da S2. Il caso più semplice di sorgenti coerenti è rappresentato da
due sorgenti che oscillano in fase => φ = 0, oppure in opposizione di fase => φ=π.
Caso delle sorgenti in fase
P
S2
S1
14
In un dato istante si sovrappongono in un certo punto P i due impulsi provenienti da S1 ed S2:
l’impulso risultante è la somma “algebrica” delle due oscillazioni.
S1
S2
P
Esistono diverse possibilità, le estreme sono:
• interferenza costruttiva (2 creste si incontrano); gli impulsi arrivano con lo stesso
segno per cui si ha un massimo dell’oscillazione.
PS 2 − PS1 = nλ
• interferenza distruttiva; gli impulsi hanno segno opposto:
PS 2 − PS1 = (2n + 1)λ / 2
Se S1 e S2 sono coerenti ma non in fase, il fenomeno si presenta lo stesso, ma la posizione dei
massimi e dei minimi sarà spostata (ad es. se sono in opposizione di fase, massimi e minimi saranno
scambiati).
Se S1 e S2 non sono coerenti il fenomeno si verifica ma la posizione dei massimi e dei minimi
cambia nel tempo e sarà difficile da osservare.
Conclusioni:
9 Il fenomeno dell’interferenza si verifica se le sorgenti che emettono il segnale sono
coerenti (le sorgenti luminose naturali non sono mai coerenti).
9 In un punto P si verifica l’interferenza costruttiva se la differenza di cammino ottico è un
multiplo intero della lunghezza d’onda, si verifica interferenza distruttiva se la differenza
di cammino è un multiplo dispari di mezza lunghezza d’onda.
La diffrazione da parte di una fenditura o di un ostacolo sottile
La diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta che
una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un
ostacolo, sia “opaco” che “trasparente” (come ad esempio nella figura A2 per un’onda di superficie
oppure quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro, una o più
fenditure praticate su uno schermo, illumina un piccolo oggetto come un capello…). Il fronte
d’onda viene alterato (in fase o in ampiezza) e la propagazione non è più rettilinea. Al di là
dell’ostacolo i fronti d’onda interferiscono; si produce una distribuzione non uniforme di intensità
(diffrazione).
Non c’è nessuna distinzione fisica fra diffrazione e interferenza: l’interferenza è la sovrapposizione
di poche onde, la diffrazione è la sovrapposizione di molte onde.
Si può pensare la fenditura come formata da un grande numero di punti ciascuno sorgente di onde
secondarie (principio di Huygens). Dividiamo la fenditura in due e consideriamo tutte le coppie di
punti che distano fra di loro mezza fenditura a/2, come nella figura. Per ogni coppia di onde
secondarie provenienti da punti della fenditura separati da una stessa distanza, pari ad a/2, si
verificano le condizioni che esamineremo:
15
• se la differenza di cammino è pari mezza lunghezza d’onda o a suoi multipli dispari le onde
interferiscono distruttivamente: (a/2) senθ = (2m+1) (λ/2), con m intero, da cui: a senθ =
(2m+1) λ con m intero;
• si può ripetere il ragionamento dividendo ancora in due ogni mezza fenditura e quindi con
coppie di punti distanti a/4 e si ottiene interferenza distruttiva se (a/4) senθ = (2m+1)(λ/2)
con m intero; da cui, moltiplicando per 4: a senθ =2(2 m +1)λ con m intero;
• dunque la condizione di interferenza distruttiva (minimi di intensità) è
a senθ = m λ
con m intero
(A1)
• in corrispondenza all’asse della fenditura le onde emesse dalle sorgenti secondarie della
fenditura per il principio di Huygens arrivano con lo stesso cammino a due a due e quindi in
fase e si ha interferenza costruttiva e quindi un massimo centrale;
• esistono poi massimi secondari ad altre angolazioni, fra i minimi precedentemente calcolati,
ed hanno un’ampiezza rapidamente decrescente (il calcolo relativo alla loro posizione risulta
pesante e lo omettiamo, ma possiamo osservarli sperimentalmente).
Il risultato teorico è riportato nel seguente grafico dell’intensità in funzione della posizione (in
ascissa è riportato a sinθ / λ):
16
La diffrazione da un reticolo
Per spiegare la figura di diffrazione da parte di un
“reticolo” formato da n fenditure poste a distanza d una
dall’altra utilizzeremo un modello ondulatorio basato sul
S2
principio di Huygens. Come sopra ricordato, secondo
S1
Huygens, se su una fenditura si fa incidere un’onda piana,
il reticolo si comporta come un insieme di sorgenti
S
puntiformi coerenti, una per ogni fenditura. Esaminiamo,
ad esempio, il caso di un’onda che incide in direzione
T1
T2
perpendicolare a un reticolo che ha un “passo” d (figura a
T
fianco). I massimi delle onde che escono da tre fenditure
vicine, come S T e U della figura, dopo 1 periodo saranno
U
giunti in S1, T1, U1, dopo 2 periodi in S2, T2, U2, e così via.
U
Muovendoci quindi nella direzione in avanti, i massimi si
d
U2
ripresenteranno sempre, dopo un periodo, alla stessa
distanza dal piano delle fenditure e quindi l’onda si
propagherà in avanti nella stessa direzione del fascio
incidente.
Tuttavia c’è un’altra direzione θ lungo la quale le onde che escono dalle diverse fenditure non
percorrono la stessa distanza, però le distanze percorse differiscono di un numero intero di
lunghezze d’onda, come si vede dalle figure seguenti.
θ
S
S1
S2
θ
T
T1
T2
U
d
U1
U2
Ad esempio, quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S1 ha già percorso
una lunghezza d’onda, mentre quello della fenditura T è appena arrivato e alla fenditura U deve
ancora arrivare. Così pure quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S2 ha
già percorso 2 lunghezze d’onda, quello che esce dalla fenditura T è giunto in T1 e ha già percorso 1
lunghezza d’onda mentre quello della fenditura U è appena arrivato.
L’angolo θ a cui ciò succede è tale che
d sen θ = λ
(A2)
17
Potete vederlo, ad esempio, esaminando il triangolo rettangolo TUT1, dove l’ipotenusa TU è il
passo d del reticolo e l’angolo al vertice U è appunto θ . In corrispondenza di questa direzione tutte
le fenditure interferiscono costruttivamente e si ha perciò un massimo di intensità. Se invece la
prima fenditura non interferisce costruttivamente con la seconda, poiché le fenditure sono molto
numerose, esisterà certamente una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Sia ad
es. la 50° fenditura. Allora la 2° fenditura interferirà distruttivamente con la 51° e così via.
Particolarità del reticolo, infatti, è che, discostandosi anche di poco dai valori di θ sopra menzionati,
a causa dell’elevato numero di fenditure, si avrà subito interferenza distruttiva (buio).
Se, ad esempio, la differenza di cammino ottico tra due fenditure contigue è dsinθ =(k+0,005)λ c'è
una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Volendo calcolarla, la differenza di
cammino ottico tra la prima e l’ennesima fenditura sarà
n d sinθ = (nk+0,005n) λ.
Per n=100 si avrà n d sinθ = (nk+0,5n) λ =(2nk+1)λ/2. Quindi la prima fenditura interferirà
distruttivamente con la 100°, la 2° con la 101° e così via, originando una frangia scura.
Se la luce incidente è monocromatica, raccogliendo su uno schermo la luce uscente dal reticolo si
otterranno frange chiare e scure, in corrispondenza ai vari valori di θ. Misurando θ è possibile
risalire al valore della lunghezza d’onda.
Inviando luce non monocromatica, invece, essa viene scomposta nella sue componenti
monocromatiche, in quanto il valore di θ corrispondente alle frange chiare è una funzione della
lunghezza d'onda.
18
A2. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck
Che la radiazione luminosa trasporti energia è esperienza quotidiana: basta mettersi al sole anche in
una giornata invernale per sentire il tepore associato alla radiazione solare. Che però l’energia
portata dalla radiazione sia diversa alle diverse lunghezze d’onda fu una grossa scoperta, opera di
un celebre astronomo, Herschel, che all’inizio dell’Ottocento indagava sullo spettro solare.
Herschel
cercava
di
controllare,
usando
termometri con il bulbo
direzione del
infrarosso
angolo di deviazione
annerito, se i diversi colori
raggio
incidente
raggi
“scaldassero” tutti nello
l
rosso
stesso modo e si accorse,
prisma
ponendo un prisma sul
cammino di un pennello di
violetto
raggi solari per farli
deviare, che giunge della
radiazione
che
porta
energia anche al di là del
rosso,
scoprendo
così
l’infra-rosso.
I raggi infrarossi sono anzi “più caldi” degli altri, cioè fanno salire più rapidamente la temperatura
del termometro, perché vengono assorbiti con maggiore efficienza dalla materia solida o liquida.
Durante tutta la prima metà dell’Ottocento gli “spettroscopisti” lavorarono a classificare e
riconoscere tutti gli “spettri” di colore emessi e assorbiti dalle diverse sostanze, chiarendo così il
ruolo che hanno i diversi modi di interazione fra la radiazione e la materia nel determinare il colore
della luce. Le leggi principali sono:
- un corpo può emettere radiazione (diventare cioè una sorgente di radiazione) trasformando in
energia radiante altre forme di energia (ad es. in una lampadina accesa si trasforma energia
elettrica in energia radiante, attraverso diverse trasformazioni intermedie), oppure può assorbire
in tutto o in parte la radiazione; se l’assorbimento è parziale, la radiazione non assorbita può
essere trasmessa (corpi trasparenti) oppure diffusa, eventualmente in modo speculare (riflessione
speculare);
- l’intensità della radiazione emessa o assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai
diversi colori) dipende principalmente dalla temperatura: aumentando la temperatura aumenta
l’emissione alle piccole lunghezze d’onda (lo spettro si sposta verso il violetto);
- per una buona emissione nel visibile occorrono temperature di migliaia di gradi (la temperatura
della superficie del Sole è stimata essere intorno a 6500 K); a temperature inferiori, l’emissione
nel visibile non è apprezzabile, mentre rimane importante quella nell’IR;
- a parità di temperatura, l’intensità della radiazione emessa, assorbita o diffusa alle diverse
lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende dal corpo: ad esempio un oggetto “rosso”
diffonde prevalentemente le lunghezze d’onda del rosso e assorbe gli altri colori, un oggetto
“bianco” diffonde in modo circa uguale tutti i colori, un oggetto “nero” li assorbe tutti;
- si ha uno “spettro di corpo nero” quando la radiazione non esce dal corpo, ma rimane al suo
interno, come appunto avviene in un oggetto nero ideale; un corpo nero si ottiene idealmente con
una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, all’interno della quale la radiazione
viene emessa e assorbita dalle pareti in condizioni di equilibrio;
- è possibile calcolare teoricamente lo spettro di copro nero partendo da principi primi statistici,
cioè dall’ipotesi che la radiazione scambi casualmente energia con la materia con cui è in contato
mantenendo un “equilibrio termico”. La prima formula per la distribuzione dell’intensità della
19
radiazione in funzione della lunghezza d’onda fu derivata da Wien alla fine dell’Ottocento e
condusse alla legge nota come “legge di Wien”, che lega la temperatura assoluta T alla
lunghezza d’onda λmax alla quale si verifica il massimo dell’intensità luminosa:
λmaxT = A
intensità (unità arbitrarie)
dove la costante A vale circa 0,003 m⋅K. Pur non essendo rigorosamente corretta, la legge di
Wien rendeva conto delle osservazioni sperimentali che indicano un legame fra la temperatura
della sorgente e l’energia dell’onda elettromagnetica alle diverse lunghezze d’onda, a differenza
di quanto valeva nella legge derivata precedentemente sulla base delle sole equazioni di
Maxwell, in cui l’energia portata da un’onda elettromagnetica non dipendeva direttamente dalla
temperatura della sorgente;
- la formula teorica corretta fu derivata da
UV visibile
infrarosso
250
Planck nel 1901, postulando l’esistenza di
6000 K
3000 K
1000 K
una nuova costante naturale, il quanto di
200
azione h, e proprio da questa formula iniziò
la lunga storia della meccanica quantistica.
150
Alcuni esempi di spettri per diverse
temperature sono mostrati nella figura: si
100
vede chiaramente che, in accordo con la
legge di Wien, la lunghezza d’onda a cui si
50
verifica il massimo si sposta verso valori più
bassi al crescere della temperatura. Lo spettro
0
0
400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000
a 6000 K è abbastanza simile allo spettro
lunghezza d'onda (nm)
della luce solare, il che indica che la
temperatura alla superficie del Sole è circa
6000 K.
Come Wien e la maggioranza dei suoi contemporanei, Planck riteneva che il processo di emissione
della radiazione avvenisse ad opera di elettroni presenti all’interno del corpo che oscillavano con
un’elevata frequenza. Egli si rese conto che, per spiegare i risultati sperimentali occorreva
formulare alcune ipotesi che stabilivano un legame tra l’energia emessa da un singolo oscillatore e
la frequenza f della radiazione, e precisamente che:
•
•
•
l’energia E della radiazione emessa da un singolo oscillatore è multiplo intero di una
energia fondamentale E0 (E=nE0);
l’energia E0 è proporzionale alla frequenza E0=hf
dove h=6,626⋅10-34Js
Queste tre ipotesi bastano per spiegare qualitativamente il significato della legge di Wien e il valore
della costante A. Infatti si sa, dalla teoria cinetica dei gas, che la tipica energia di un “oscillatore”
che si trova in un corpo alla temperatura assoluta T è dell’ordine di kB T, dove kB è la costante di
Boltzmann, pari a circa 10-23 J/K: nell’emissione della radiazione, anche l’energia E0 del “quanto di
radiazione”, dovrà essere dello stesso ordine di grandezza, quindi hf = hc/λ (c è la velocità della
luce, pari a 3⋅108 m/s). Eguagliando le due energie si trova appunto che Tλ ≈hc/ kB, cioè è una
costante il cui ordine di grandezza è quello della costante A della legge di Wien.
L’intuizione di Planck fu poi approfondita nei lavori di Einstein sull’effetto fotoelettrico (1905) che
contribuirono ad assegnare alla radiazione luminosa una natura “corpuscolare”, complementare a
quella ondulatoria introducendo il concetto di “fotone” come “quanto di radiazione”: una radiazione
monocromatica può anche essere vista come un flusso di fotoni, ognuno dei quali trasporta
un’energia E=hf (e una quantità di moto p=E/c=hf/c, come verrà successivamente dimostrato da
Compton).
20
A3. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle
L’andamento generale dello spettro della luce di una stella, in particolare quello della luce solare, è
simile allo spettro di un corpo nero alla temperatura corrispondente alla “superficie” della stella.
Questo avviene non perché la superficie del Sole sia una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa
temperatura, come descritto sopra, ma perché si è stabilita in superficie una temperatura di
equilibrio fra i meccanismi interni al Sole di trasformazione dell’energia nucleare e di quella
gravitazionale in energia radiante e l’emissione dell’energia radiante che viene irradiata dalla
superficie del Sole verso lo spazio esterno.
Nella figura è mostrato lo spettro solare misurato in una giornata invernale serena con lo
spettrofotometro Avaspec, senza apportare alcuna correzione per la sensibilità del rivelatore alle
diverse lunghezze d’onda.
sole1-ore15
4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
300
400
500
600
700
800
lunghezza d'onda (nm)
900
1000
Nella figura che segue è invece mostrato lo spettro corretto in base alla curva di calibrazione con
sovrapposta la curva di corpo nero calcolata alla temperatura che meglio si adatta (circa 5600 K).
He4 Sole
sole1-ore15
He3 Sole
4000
Hα Sole
Hβ Sole
He2 Sole
3500
He1 Sole
Hγ Sole
3000
O atm
2500
2000
1500
1000
500
O, N atm
0
300
400
500
600
700
800
900
1000
lunghezza d'onda (nm)
21
Come si vede, l’andamento generale è descritto in modo ragionevole dalla curva di corpo nero,
anche se la temperatura che meglio si adatta (5600 K circa) è notevolmente minore di quella stimata
per la “superficie” del Sole (circa 6500 K). Ciò è dovuto all’assorbimento nell’atmosfera terrestre
attraversata dai raggi, che ha uno spessore notevole in una giornata invernale, sia pure serena. Ciò
appare evidente nella forte riga di assorbimento a 760 nm, dovuta all’ossigeno, e nella estesa banda
di assorbimento sopra i 900 nm dovuta probabilmente sia all’ossigeno che all’azoto.
Le deviazioni che si osservano alle piccole lunghezze d’onda, dove lo spettro misurato cade più
rapidamente dello spettro teorico al diminuire di λ, sono invece dovute alla “diffusione Rayleigh”,
secondo cui la luce viene diffusa dai gas dell’atmosfera in modo inversamente proporzionale a λ4:
ad esempio, nel violetto-blu (λ≈ 400 nm) la luce è diffusa circa 6 volte di più che nel rosso (λ≈ 650
nm). L’intensità, che manca alle piccole lunghezze d’onda nei raggi che giungono in direzione del
Sole, si ritrova guardando nelle altre direzioni, ed è per questo motivo che il cielo ci appare blu,
perché vediamo i raggi diffusi che sono arricchiti alle piccole lunghezze d’onda rispetto ai raggi
diretti. L’effetto è tanto più forte quanto più spesso è lo strato di atmosfera terrestre attraversato,
come avviene ad esempio al mattino o alla sera, oppure se lo strato di aria è ricco di vapore d’acqua:
in queste condizioni sono diffuse anche lunghezze d’onda maggiori, fino all’arancio o al rosso, per
cui il cielo si tinge di arancio vicino alla direzione da cui provengono i raggi solari.
Nello spettro sono visibili anche le righe di assorbimento che la radiazione subisce da parte dei gas
presenti nell’atmosfera solare; in particolare si possono distinguere
- tre righe di assorbimento dell’idrogeno nel visibile (la così detta “serie di Balmer”), Hα a 656
nm, Hβ a 487 nm e Hγ a 431 nm,
- quattro righe di assorbimento dell’elio: l’elio deve il suo nome proprio al fatto che fu scoperto
sul sole –helios è il nome del sole in greco– attraverso queste righe di assorbimento, che si
vedevano nell’atmosfera solare mentre non erano mai state osservate in gas noti sulla Terra,
perché l’elio, essendo molto leggero, sfugge dall’atmosfera terrestre.
22