A10 496 Copertina: importante veduta dipinta con accurata analisi degli elementi ambientali visti da Santa Maria in Campis. Da sinistra a destra: i campanili di Santa Maria Infraportas, San Domenico, San Nicolò, San Francesco, il Palazzo Comunale, il campanile e la cupola di San Feliciano, la torre Beddini, i campanili di Sant’Agostino e San Giacomo. In primo piano le porte dell’Abate, Romana e San Feliciano. FONTE: Ascensidonio Spacca (1557–1646), Veduta di Foligno, dipinto a olio su tela cm 33 × 127. Foligno, Pinacoteca Comunale. Michelangelo Jacobilli I finti sdegni FAVOLA PASTORALE a cura di Maria Lucignano Marchegiani Presentazione di A. Maria Rodante Trascrizione di Emanuela Biagetti Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. 00173 Roma, via Raffaele Garofalo, 133 a/b tel. (06) 93781065 www.aracneeditrice.it [email protected] ISBN 978-88-548-2559-8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2009 alla Città di Foligno, culla di arte e spiritualità, nel ricordo dei miei avi Indice Presentazione di A. Maria Rodante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Introduzione di Maria Lucignano Marchegiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Note bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Criteri di trascrizione di Emanuela Biagetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 I FINTI SDEGNI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Atto Primo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Atto Secondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 Atto Terzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Atto Quarto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Atto Quinto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 7 PRESENTAZIONE Item lascio come sopra al seminario di Foligno per benefizio publico di essa città e de desiderosi di studiare, massime poveri, tutti li restanti miei libri di diverse scienze che oggi tengo in casa mia a Foligno, tanto stampati, quanto manoscritti et altri composti da me, di numero incirca 3.500, con tutte le scanzie. Così scriveva nel testamento redatto il 20 maggio 1663 il sacerdote Lodovico Jacobilli (1558–1664), circa un anno prima della sua morte. Con questo atto testamentario egli andava a completare la donazione effettuata il 24 aprile del 1662; in tal modo, tra i libri donati precedentemente e quelli lasciati per testamento, la biblioteca del Seminario di Foligno, fondato nel 1649, poteva contare il possesso di circa 8.500 unità librarie provenienti da un’unica fonte. Nonostante le alterne vicende subite nel corso del tempo, la Biblioteca Jacobilli è attualmente una splendida realtà, arricchita, ovviamente ed ampliata nei diversi settori culturali. Nella nuova e prestigiosa sede, aperta lo scorso anno, il fondo manoscritto dello Jacobilli, giunto a noi nella sua quasi totalità, a chi lo consulta, offre un buon panorama della cultura locale, rivelatore anche delle tendenze e degli interessi intellettuali inseriti nella società folignate del tempo. E se si vuol cogliere con rapidità quali essi siano, si può sfogliare l’inventario che di essi fece Faloci Pulignani, direttore della Biblioteca, inventario pubblicato nel 1930, nella collana Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, iniziata dall’umbro Giuseppe Mazzatinti. Scorrono davanti ai nostri occhi — oltre che opere autografe dello stesso Lodovico attestanti la sua multiforme attenzione per tutto lo scibile — i titoli di opere poetiche, giuridiche; opere di carattere spirituale, di astronomia, di carattere scientifico; gli autori sono diver9 10 Presentazione si, alcuni appartenenti anche ai vari rami della famiglia Jacobilli. Impossibile rimanere indifferenti di fronte all’eterogeneità dei codici, molti tuttora inediti e tutti meritevoli di essere scrutati e conosciuti da parte di studiosi dei vari soggetti ivi contenuti. Notevole, poi, è il numero dei codici dedicati al teatro: tragedie, commedie, favole pastorali attestano che questo genere letterario era molto amato e praticato, e questa tendenza corrisponde ai grandi movimenti letterari che si diffondono in questo periodo in tante altre città d’Italia, e non solo. In questo luogo così prestigioso è ben collocata l’opera letteraria di Michelangelo Jacobilli. Il codice che nell’Inventario, prima ricordato, contrassegna la sua attività letteraria, porta un titolo particolare, Schizzi letterarii, e, al suo interno, sono segnalati Vocabolario Italiano, San Feliciano. Tragedia, I Finti Sdegni, Intermezzi e altri lavori drammatici, a conferma del fatto che il genere teatrale sia preponderante nella produzione del nostro autore. Se poi si vuole accostare a queste notizie le altre che lo riguardano e che fornisce Lodovico Jacobilli in Bibliotheca Umbriae, il quadro diviene ancora più ampio, ma soprattutto più significativo, perché si viene a sapere che alcune delle opere teatrali ricordate nell’elenco citato furono anche recitate! Ed è una scoperta piacevole e intrigante: lo stesso Lodovico interpretò nella Dorilla, il ruolo di protagonista. Aveva quindici anni, ricorda il nostro sacerdote in un manoscritto nel quale trascrive la sua parte! A riprova, riportiamo un breve stralcio, da una miscellanea dello stesso Lodovico: «Dorilla, pastorale comica, recitata in Foligno l’anno 1613; S. Tomasso d’Aquino, poemetto sacro, recitato da lui nell’Accademia de’ Fulgenti in d. anno; Natività di Cristo e Passione di Christo, recitate in Foligno l’anno 1614; Turca Fida, commedia recitata in Foligno l’anno 1648 […]». Ancora Presentazione 11 una volta si può rilevare che si scrivevano — e si recitavano — commedie o tragedie o favole pastorali, in questa città. La favola I Finti Sdegni è indubbiamente una piccola gemma letteraria, come ben dimostra Maria Lucignano Marchegiani, tanto più sorprendente, quando si pensi che essa è stata scritta da un ragazzo, come egli stesso attesta. Un entroterra culturale veramente notevole ha alimentato la fantasia del giovane, entroterra che, tuttavia, non deve troppo meravigliare. Il padre di Michelangelo, il giurista Vincenzo, è autore di un numero notevolissimo di opere eterogenee, quasi tutte manoscritte e presenti nella Biblioteca Jacobilli, e quasi tutte inedite. Anch’egli è scrittore di teatro, e le sue commedie manoscritte autografe sono in corso di stampa, in edizione critica, con l’introduzione di Maria Lucignano Marchegiani. Questa attività teatrale, così intensa a Foligno, porta necessariamente a chiederci quali e dove fossero i luoghi in cui le opere prendevano vita e dove erano ascoltate ed applaudite. Possiamo anche fare riferimento ai Palazzi nobiliari di questa città, al cui interno uno spazio ben preciso era dedicato al teatro; poteva essere la corte, all’esterno, oppure una stanza specifica, nella quale, in occasioni particolari, l’autore presentava la sua opera. Opere ricche di richiami mitologici, anzi, quasi un vero e proprio culto per la mitologia e per il mondo classico, come ben traspare non solo dai testi presi in esame, ma anche dalle grandiose testimonianze pittoriche che decorano i saloni dei numerosi palazzi nobiliari. E la favola di Michelangelo, così ben illustrata dalla Marchegiani in ogni passo, in ogni momento sia liricamente intenso, sia più popolareggiante, non è solo mero divertimento letterario, ma testimonianza di uno spessore culturale notevole che ci porta a riflettere e ci invita a conoscere meglio questa città; saremmo tentati di scrivere che questa favola ne diviene anche una specie di biglietto da visita. 12 Presentazione Foligno ha vissuto il suo splendore sotto la Signoria dei Trinci e la traccia più vistosa é ben visibile nello splendido e monumentale Palazzo, ormai quasi completamente restaurato. Quando Foligno entra a far parte dello Stato pontificio, rimane una città di notevole importanza non solo per i contatti con Roma, ma perché è una città posta su un nodo viario di rilievo, anche per le strade santoriali e per il collegamento tra il Tirreno e l’Adriatico; una città con una Fiera della durata di due mesi, che richiamava gente anche dall’Europa; una città che celebrava il Carnevale con giostre equestri, tra la gioia di coloro che volevano divertirsi e lo sdegno di coloro opponevano un Controcarnevale — siamo in clima postridentino, fortemente sentito in città — santificato da processioni con la recita di Misteri; una città nella quale le processioni stesse divenivano un vero e proprio atto teatrale all’aperto, sia per la sontuosità dell’arredo urbano, sia per la partecipazione in massa della gente, e l’attività teatrale era comunque presente, sia nell’evento sacro, sia nell’evento profano. Se queste sommarie notazioni destano curiosità e desiderio di saperne di più, è da leggere lo studio più recente dello storico Fabio Bettoni, nel volume Lodovico Jacobilli e gli “Annali” della città di Foligno, nel quale egli ha messo ben in luce la Foligno del tempo, vista come una Roma parva, una “piccola Roma”. C’è tanto da scoprire e tanto da conoscere se si vuole dare spazio e dedicare attenzione a luoghi e a nomi meno altisonanti, e fuori dal circuito consueto; indagare su una cultura, stigmatizzata talvolta a torto come provinciale o di riecheggiamento delle grandi capitali, può far conoscere invece testi, umori, strati culturali che ne svelano le caratteristiche, la qualità e la specificità e consentono un raccordo col passato storico più conosciuto e conclamato. Più che mai meritorio è lo studio effettuato dalla Marchegiani, perché con la competenza che caratterizza la sua atti- Presentazione 13 vità di studiosa della Pastorale, ha inserito un autore sconosciuto nella grande corrente letteraria e teatrale del secondo Cinquecento, indicandone i rapporti, anche più sottili, con i grandi autori, e quelli in certo senso innovatori con la Commedia Improvvisa, e, nel contempo, con la sua sensibilità raffinata, induce il lettore a porgere attenzione sia ai passi propriamente lirici, sia a quelli più corposi. Ne scaturisce un quadro dove tutti i particolari sono singolarmente esaminati, ma sapientemente incastonati nella visione di insieme. Particolarmente commovente è l’attenzione con la quale la Marchegiani descrive l’amore-morte di Semele, il senso dell’impotenza che colpisce anche il sommo Giove e quello della paternità, salvaguardata a tutti i costi. Significativo è lo spazio che dedica alla struttura dei Cori e degli Intermedii, che rapporta con competenza ad un autore veneziano, Francesco Andreini. La favola del dodicenne Michelangelo non poteva trovare una “sistemazione” più convincente e più significativa, e la studiosa offre, in tal modo, una risposta egregia a quanto scrisse nel 1995 Piero Lai a conclusione di un suo saggio relativo ad un’altra deliziosa opera letteraria di Michelangelo, mi riferisco all’epitalamio Espero e la notte (1636), citato dalla Marchegiani. Egli scrive: «Il silenzio, ingiustamente, l’avvolge tuttora». Con piacere possiamo concludere: non più il silenzio, ma un risveglio, grande risveglio suscitato dall’interesse e dall’ impegno di una valida studiosa non folignate, alla quale tutti siamo e dobbiamo essere grati. Anna Maria Rodante INTRODUZIONE 1. Il teatro italiano di fine Cinquecento Dal Poliziano al Tasso, nel corso di due secoli in particolar modo ricchi di fermenti culturali e innovazioni, la drammaturgia pastorale compie un percorso segnato da profondi mutamenti. Nata nel contesto di una cultura umanistica, volta a recuperare l’eredità classica, arricchita dalle conquiste del pensiero medioevale, essa propone, sotto forme allegoriche, molto spesso attinte dal mito e in linea con il rinnovamento storico del secolo, problematiche e messaggi ad un pubblico elitario, aristocratico e spesso cortigiano. Sin dal suo primo apparire nel maturo Quattrocento e poi nel corso del Cinquecento, molteplici furono gli influssi della drammaturgia contemporanea sulla Favola Pastorale: dagli esiti della Sacra Rappresentazione, ancora vivi nel Poliziano, alle più ardite proposte di rinnovamento del teatro del secolo XVI, varie spinte innovatrici gradualmente la modificarono e la resero sempre più articolata e composita. Per tutto il XVI secolo, mentre il teatro comico e tragico vivevano una stagione di felice creatività, la pastorale, per il suo carattere originario squisitamente letterario, non sempre trovò giusta collocazione ambientale e valutazione critica. Naturalmente, non mancarono eccezioni, come l’Aminta e il Pastor Fido, ad esempio, creazioni queste da considerarsi a sé, per la loro eccezionalità non solo nell’ambito della storia del teatro, ma della stessa poesia. Verso la fine del secolo, proprio negli anni dell’apparizione della favola “ferrarese”, che maturò con il “portento” tassiano, in molti drammi pastorali apparvero evidenti variazioni e interferenze che alterarono il tessuto originario bosche15 16 Introduzione reccio e mitologico-sentimentale, come, ad esempio, performances comiche e realistiche del tutto nuove, e chiare contaminazioni da altre forme drammaturgiche, atte a modellare l’originale meccanismo attoriale e compositivo. Angelo Ingegneri, teorico della storia e fortuna della Pastorale, nel suo celebre Discorso del 1598, evidenziò l’importanza di tale osmosi teatrale che rese la Favola più agile e godibile nella sua sopravvivenza, e nel contempo la commedia e tragedia contemporanee modernizzate e rinnovate nel confronto con quella. Quando poi fece irruzione sulle scene la Commedia Improvvisa, intorno alla metà del Cinquecento, gli stessi protagonisti spesso utilizzarono tematiche boscherecce, affiancandole a quelle comiche, sulle quali modellarono la loro espressività di attori e improvvisatori. Fu questo un momento di grandi trasformazioni e innovazioni quasi rivoluzionarie, come Pier Maria Cecchini nel 1616 avvertì, soprattutto quando apparvero le donne nelle prime Compagnie professionistiche dell’Improvvisa. Infatti, tale innovazione comportò un allargamento del repertorio e favorì l’utilizzo dei vari generi drammatici, tra i quali la Pastorale che, pur continuando a sopravvivere attraverso vari esperimenti, subì nella struttura originaria inevitabili trasformazioni che alterarono le originali caratteristiche. Adriano Valerini, nell’orazione In morte della Divina Signora Vincenza Armani, comica Eccellentissima1, attribuisce all’Armani l’introduzione delle Pastorali nel repertorio rappresentativo dei comici dell’arte, e avverte intelligentemente l’importanza di tale operazione che vivificava e modernizzava le loro non comuni capacità inventive. Nel 1581, a Verona, fu pubblicata la Mirtilla, favola boschereccia di Isabella Andreini, ispirata all’Aminta del Tasso. Tale 1. La commedia dell’arte e la società barocca. La professione del teatro, Roma 1991. Introduzione 17 documento, messo in scena dalla celebre Compagnia dei Gelosi, attesta chiaramente l’interscambio spontaneo esistente tra le forme della produzione drammatica “alta” e l’attività teatrale dell’Improvvisa. Infatti, la Mirtilla appare come un organismo drammatico in cui la scrittura letteraria della Pastorale e quella scenica propria dell’Improvvisa s’intrecciano secondo i moduli rappresentativi di quest’ultima: «i comici Gelosi [mostrano] ai comici venturi il vero modo di comporre e di recitar Comedie, Tragicomedie, Tragedie, Pastorali»2. Nel terzo atto della succitata favola, ad esempio, allo stupro della ninfa Fille da parte del satiro, vanificato proprio dal vigore fisico della stessa ninfa che riesce a sconfiggere la cieca bestialità del seduttore, corrisponde la scena in cui il capraio Gorgo si presenta bestialmente affamato. Il suo lungo monologo è un’esaltazione idilliaca dei piaceri della mensa che prevalgono su quelli dell’amore. La suprema voluttà di Gorgo è la gola, cui soggiacciono gli altri sensi. Nel tratteggio di questo personaggio e del suo sensuale mondo, l’Andreini opera un abile accostamento di vari elementi descrittivi, sì da raggiungere un’epopea gastronomica, che ci riconduce al Pulci e al Rabelais, utilizzando elementi vari, popolareschi e rusticani, alcuni propri anche delle Sacre Rappresentazioni e delle Pastorali ferraresi. A tale disegno caricaturale si accompagna abilmente quello di figure femminili soavi ed eteree, che gareggiano e si dilettano con canti armoniosi e danze. E ancora: a conclusione della Mirtilla, appare evidente un altro elemento chiarificatore del processo di contaminazione, un topos, cioè, cui rimarrà fedele ogni compositore di Pastorali dal XVI secolo in poi: il tema della felicità raggiunta dopo tanti affanni d’amore e il formarsi di belle coppie di amanti. Amore, perturbatore di cuori, presente quasi sempre nei prologhi e negli 2. F. ANDREINI, Le bravure del Capitano Spavento, a cura di R. Tessari, Giardini, Pisa 1987, pp. 3-9. 18 Introduzione epiloghi, è, alla fine, fautore di perfetti accordi e felici imenei, regolatori delle passioni e del sesso. In tal modo, l’istanza moralizzatrice della contemporanea società trionfa con il contributo artistico del nuovo teatro, ove commedia, tragedia e favola pastorale, avvalendosi di moderne tecniche rappresentative, si collocano in una prospettiva di rinnovamento che aderisce alle esigenze del pubblico. 2. La Favola Pastorale di Michelangelo Jacobilli: I Finti Sdegni3. «Finita la retroscritta pastorale a 27 aprile 1604, dell’età mia anni dodici, mesi 6, giorni 6»: tale annotazione autografa appare a conclusione della favola pastorale di Michelangelo Jacobilli, finora inedita4. 3. Michelangelo Jacobilli nacque a Foligno (Perugia) nel 1591 da famiglia aristocratica e ricca. Suo padre Vincenzo fu giureconsulto e letterato raffinato: compose in latino e in volgare ben 88 opere, alcune delle quali teatrali e di notevole interesse artistico. Di Michelangelo conosciamo ciò che Ludovico, suo lontano cugino e biografo (1598-1644), ci tramanda. Anch’egli fu un famoso erudito, e il suo nome è tuttora legato a quello della Biblioteca folignate, nella quale giacciono tuttora preziosi manoscritti. Interessante è la biografia di Michelangelo, che ci illumina su molti aspetti della famiglia. Apprendiamo che, sin da giovanissimo, il nostro seguì le orme paterne nell’amore delle lettere e del teatro. Una delle sue prime composizioni fu la Favola Pastorale Dorilla, ora perduta, che ebbe l’onore d’essere rappresentata nel Palazzo Comunale di Foligno. Molteplici sono le sue composizioni andate perdute, frutto della la sua attività di canonico nella Cattedrale della Città, tra le quali le due Sacre Rappresentazioni Natività e Passione di Cristo, i due poemetti sacri, S. Tommaso d’Aquino e Cecilia, la tragedia Il martire Feliciano, dedicata al Santo, protettore della Città, e un epitalamio, Espero e la notte, composto per le nozze di un suo parente e definito da Piero Lai «un vero capolavoro, un piccolo e prezioso gioiello» (in Bollettino Storico Foligno XIX, 1955, pp.663-670). A soli dodici anni compose la Pastorale I Finti Sdegni, come egli stesso attesta nella stessa Favola, ricordando quella paterna Amorosi Sdegni. Fu anticipatore di future soluzioni sceniche e compositive, per le quali utilizzò anche la sua non comune padronanza musicale. Morì probabilmente intorno al 1649. 4. Il manoscritto è conservato in buono stato presso la Biblioteca Jacobilli di Foligno, segnatura di collocazione A.I.26, misura cm. 11 × 15, ed è rilegato in pergamena. La scrittura è leggibile, seza cancellature o correzioni. Introduzione 19 Il Prologo inaugura la Favola secondo il canone classico: Apollo in abito pastorale1 Chi crederia ch’in pastorali spoglie fosse nascosto un Dio così potente! Confrontando tale inizio con l’incipit dell’Aminta del Tasso rinveniamo una sorprendente e signficativa somiglianza: Amore in abito pastorale Chi crederia che sotto umane forme e sotto queste pastorali spoglie fosse nascosto un dio? La lezione del grande della Gerusalemme sembra essere accolta dal giovinetto Michelangelo, e l’incipit sopra citato lo dimostra. Infatti, non è il solo luogo della Favola dal quale traspare una conoscenza approfondita della poesia tassiana, e nel contempo ammirazione e ossequio, come rivelano timbri e tonalità che ci riconducono alla magica atmosfera dell’Aminta. Il Prologo continua: Apollo, dopo aver celebrato se stesso nella sua divina potenza, presenta l’autore che, benché inesperto fanciullo di appena dodici anni, ha composto «questa semplice e rozza pastorale». Il dio fa poi riferimento alla collocazione geografica dell’azione scenica, Foligno, tratteggiando un ambiente di particolare suggestione, cornice naturale alla personalità del giovanissimo compositore, letterato aristocratico. «Questo fiume, che qui vedete è ‘l vostro Tupino, ver’onor della fulgida cittade, questa città che sta vicino al fiume è il vostro vago e nobile Foligno». La Favola procede per cinque atti, conclusi ciascuno con Canti Corali e Intermedi. Nel primo atto, appare Arcadio, pastore innamorato di Amarilli, che confessa all’amico Caprino le sue pene d’amore; 20 Introduzione intorno, vari protagonisti maschili e femminili, ciascuno con la propria fisionomia, tratteggiati secondo il canonico schema erotico–sentimentale dell’amore infelice e conteso. Sembra che Michelangelo voglia ripercorrere la strada della tradizione classica, utilizzando topoi propri dell’antica Pastorale, rivisitati dalla sua sensibilità poetica poliedrica, anche se ancora inevitabilmente un po’ immatura, ma che porge orecchio alle istanze della nuova drammaturgia. Negli atti seguenti, fino alla conclusione della Favola, si è travolti da un coacervo di situazioni e avventure, casi strani, scene grottesche, espressioni d’amore e di gelosia, canti e danze: tutto ci diverte e nel contempo ci sorprende. L’amore, nelle sue svariate manifestazioni, è comunque il filo conduttore della complicata trama, ma quello idealizzato e sognato sembra essere il più seducente e caro al giovane poeta. E con tale ispirazione egli plasma soprattutto le creature femminili, le giovani fanciulle innamorate delle quali sembra egli stesso innamorato, per le quali sceglie nomi propri della drammaturgia pastorale che evocano la natura e l’innocenza, e che, in particolare, ci riconducono nell’atmosfera dorata di tassiana memoria: Amarilli, Tebrina, Lesbina sono le prime che ci vengono incontro con i loro sospiri e le loro fughe, risvegliano in noi la nostalgia della grande poesia ferrarese della quale Michelangelo dimostra d’essere affascinato. La sua attenzione tuttavia si rivolge anche a moti del cuore di diversa natura e a tematiche più realistiche, come l’amore sensuale che si esaurisce e svanisce nel suo nascere e lascia un sorriso amaro e un languore triste, e la vita quotidiana, disegnata con realismo e descrittivismo preciso, a volte persino graffiante, che danno spessore all’azione drammatica. Il tratteggio psicologico è sempre curato e attento e trova riscontro in quello ambientale, quasi sempre bucolico, nel quale spiccano caratteri sanguigni e sensuali di alcuni personaggi di matrice comica. Così, ad Arcadio, tormentato Introduzione 21 amante di Amarilli, e al suo amico Montano, sullo sfondo di una natura testimone silente, si contrappone Caprino che, sin dal suo primo apparire, evoca un mondo realistico, corposo e sensuale, che contrasta con la levità dello scenario naturalistico e la sensibilità del suo amico innamorato. Caprino ha smarrito un capretto, ha perso un suo bene, anzi, il suo bene. Accanto a lui sono altri personaggi di simile statura e segnati da evocatrici denominazioni, come, ad esempio, la moglie Nespoletta, che il volgare Ursacchio bacia e stringe con sensuale voluttà, e Selvaggio, anch’egli sconvolto dall’amore per Amarilli. Quanto materiale drammatico e quale suggestione fantasiosa! Non manca neanche il riferimento alla conoscenza degli astri, allora in voga, – e non solo allora! – che il giovane compositore utilizza con la sua effervescente creatività, contrastando affermazioni di tono illuministico esaltanti l’“esperienza”. Ecco, a tal proposito, le parole che Tebrina rivolge ad Amarilli per distrarla dall’amore per Arcadio, del quale anch’ella è innamorata: «Tu credi ch’Arcadio t’ami è ver? Credolo anch’io, ma se l’esperienza unica madre della ragion non se ne fa, non credolo» (Atto III, scena I). Il gioco drammatico avvince e diverte: il lettore lo segue nel suo divenire, incuriosito dalle molteplici suggestioni d’eruditi riferimenti. I toni dell’Improvvisa fanno capolino qua e là, e di questi sembra che Jacobilli voglia far sfoggio attraverso un sapiente tratteggio realistico figurale e ambientale, come avviene soprattutto dal terzo atto in poi: infatti, scene e personaggi di timbro boschereccio sono sempre più relegati nei passaggi di pura sentenziosità o utilizzati per espressioni di scontato sentimentalismo. Il mondo di languore e nostalgia bucolica di lontana memoria emerge soltanto fugacemente, con pennellate rapide, e sembra solo passivamente accettato, come, ad esempio, nelle parole di Arcadio, innamorato d’Amarilli: 22 Introduzione ARCADIO: Ahi lasso, io moro, o caro mio tesoro, perché fuggi da me cruda e spietata, da me che t’amo, ingrata? Ahimé, ch’è pur fuggita, ahimé la sua partita mi lascia morto vivo, poiché di lei son privo, di lei ch’era il mio core e la mia vita, e facendo partita dal mio corpo il mio core resta senza la vita e senza amore. Ahi lasso, oimè Tebrina, io vengo meno… (Atto IV, scene III, IV). Dal fascino del rinnovato teatro Michelangelo sembra senza dubbio essere catturato. La Commedia Improvvisa dei nuovi comici con le sue proposte, la spontaneità inventiva, la creatività sbrigliata, la gioia del vivere si traducono spesso nella sua Favola in scene e personaggi che portano il segno di tale simpatia: gli abbracci furtivi e sensuali, le figurazioni femminili provocanti e aggressive che sollecitano desiderio ed ebbrezza; le scene di vita quotidiana, allegre e spensierate, immediate e semplici: è questo un impasto compositivo multitematico, a volte disordinato, espressione d’immaginazione vivace e aspirazione infantile alla felicità tutta ancora da gustare. Il timbro pastorale elegiaco e melanconico è sostituito da uno festoso che domina l’espressione poetica e si spegne nei canti degli amanti felici. Il sogno d’amore ad ultimo diviene realtà, ma cos’è questa se non finzione d’un gioco al quale siamo tutti invitati a partecipare, ove lo “sdegno” può essere “finto”, e ciascuno è attore nel grande “teatro del mondo”? Il quinto e ultimo atto, come prevedibile, è costruito in funzione della vicenda e il giovane compositore coglie l’occasione per sfoggiare, ancora una volta, la sua non comune erudizione, facendo ricorso persino al tema dell’agnizione, tanto caro al teatro classico. Tebrina, a conclusione della Favola, ricorda con tristezza il suo passato, confessa di chiamarsi Filli, e viene riconosciuta come figlia da Montano, che l’abbraccia con commozione e affetto paterno. Anche il sogno d’amore di Amarilli e d’Arcadio si avvera, assieme a quello di Tebrina e di Selvaggio: ninfe, pastori e satiri, una natura solare e in festa Introduzione 23 commentano la felicità dei protagonisti, secondo lo schema della nuova moralizzata pastorale. Gli amanti realizzano i loro amori leciti: Cupido non è più simbolo di turbamento e inquietudine, e l’accordo tra Venere e Amore si ricompone nella celebrazione di nozze felici. Passione e sesso trovano così giusto equilibrio, in ossequio alle istanze della contemporanea società moralizzatrice, che richiede dall’arte testimonianze nelle quali lo scarto tra mondo ideale e reale si assottiglia sempre più, divenendo codice artistico. 3. Cori e Intermedi Sulla scia della tradizione, ogni atto de I Finti Sdegni si conclude con un madrigale cantato dal Coro, che si sofferma con riflessioni liriche sull’azione drammatica rappresentata. Ad ogni Canto Corale fa seguito un Intermedio di tutt’altra ispirazione: la tematica pastorale è completamente abbandonata e, come per un gioco d’invenzione raffinato, viene proposta una favola mitologica, lontana e preziosa, un amore tragico, un dramma a sé stante in forte e apparente contrasto con la Favola: l’amore di Giove e Semele e la nascita di Bacco. Alle prime battute, con una certa sorpresa teniamo dietro a tale mutamento di tonalità drammatica, che in un secondo tempo riconosciamo complementare a quello della Favola. Infatti, il mito dell’amore di Giove e di Semele, contrastato e tragico fino alla morte, e la nascita di Ino, futuro Bacco, sembrano del tutto avulsi dal contesto pastorale e costruiti con assoluta autonomia. Tuttavia, il mondo metastorico degli Intermedi ci riconduce a quello della Favola. Le figure delle divinità, Giove, Giunone, Semele, pur presentate sulla scena nella loro regalità celestiale, sono tratteggiate umanamente nelle loro passioni, i loro tormenti, i loro sogni, sicché la sto- 24 Introduzione ria divina sembra rispecchiare, in una dimensione ultraterrena, passionale e tragica, quella umana, divertente e scherzosa, dei personaggi della Pastorale. L’amore domina il dramma: Giove ama Semele, Giunone ama Giove ed è folle di gelosia per il tradimento del suo sposo; Semele decide di morire per amore; la nascita di Ino e l’amore di Giove per il figlioletto nobilitano la figura dell’Olimpio, purificano la sua passione e riconducono a proporzioni terrene la maestosità divina. La vicenda mitologica, che scandisce trasversalmente la Pastorale, ha così una sua specificità compositiva: essa rispecchia una tensione ideologica e morale che esalta il contenuto della Favola nella giustapposizione del destino divino a quello umano. Tale tematica drammatica proposta da Jacobilli, sollecitata da chiare finalità estetiche e morali insieme, non era rara nell’ambito della drammaturgia pastorale dell’epoca. A tal proposito, e soltanto per un rapido riferimento, possiamo ricordare due Favole, quasi contemporanee, di Francesco Andreini, edite a Venezia nel 1611, l’Alterezza di Narciso e l’Ingannata Proserpina, nelle quali l’autore utilizza il mito con chiara finalità simbolica ed etica. Nella prima Favola infatti appaiono le tematiche mitologiche di Eco e Narciso, l’uno mutato in sasso, l’altro in fiore. La ninfa, abbandonata dal crudele pastore, nella quinta scena del secondo atto, non ragiona più per il dolore e compie strazianti gesti rivolti a Giove per comunicargli il suo amore, privata com’è della parola da Giunone, sospettosa del tradimento del dio. Dopo l’Andreini altri compositori di minore importanza proposero tematiche mitologiche che, come sostegno a quelle pastorali, esaltavano valori e finalità etiche e artistiche dell’età. Il dramma mitologico degli Intermedi prende l’avvio con l’apparizione in scena di Giunone, “adornamente vestita”, che Introduzione 25 racconta le sue pene d’amore per il tradimento di Giove, suo sposo, innamorato di Semele, e quindi inventa uno stratagemma per smascherarlo. Il dialogo tra Giunone e Semele è segnato da una felice creatività: delicato è il tratteggio psicologico delle due creature dominate dall’Amore e, in particolare, commovente è quello di Semele, alla soglia della maternità, per la quale il giovane poeta non nasconde la sua simpatia. Il richiamo alla tematica della Favola è facilmente ravvisabile, perché le passioni divine sono proposte in modo speculare a quelle terrene, e il“finto sdegno”del cuore umano, che alla fine della Favola cede alla gioia, è tragedia e dolore divini negli Intermedi, scavalcando ogni collocazione temporale. Semele muore per mano di Giove, suo amante, dopo aver disperatamente desiderato di vedere il suo fulgore, ma muore donando la vita e la sua morte, il suo cupio dissolvi, è una dimensione estatica che trascende il terreno. Il corpo della ninfa, ormai inerte, è affidato da Giove a Mercurio affinché lo trasporti «invisibilmente […] nel palazzo di Cadmo rege», ove troverà il suo sepolcro, e lì la memoria eternatrice. Da Semele nasce Ino, futuro Bacco, la vita nelle sue molteplici e contraddittorie forme. Il Coro, che conclude il V Atto, celebra Amore: Miseri amanti abbiate in Amor fede, che dopo ‘l servir vostro avrete dalle amate ogni mercede, perché lo crudo mostro d’esser crudele finge, qual tigre od orso o sfinge a tutti appassionati e mesti amanti per provar s’in amor sono costanti, ma poi il pietoso Amore dolcezza gustar fa non più dolore. Dunque per veri segni d’Amore prendete questi FINTI SDEGNI. Tosto che il madrigale sarà cantato da i dilettevoli musici, comparisce in palco Giove imperiale vestito con in braccio Ino e le Ninfe Nereidi e Giove comincia il quinto intermedio. 26 Introduzione Nel quinto e ultimo Intermedio, la tragedia di amore e morte di Giove e Semele sembra ormai lontana. Il frutto del loro amore, il bimbetto Ino, viene affidato dal padre alla zia materna che, a sua volta, per proteggerlo e sottrarlo alle ire della gelosa Giunone, lo affiderà alle Ninfe, che avranno cura di lui e lo chiameranno Bacco, secondo il volere del padre. Il canto melodioso di queste cancella ogni tristezza, evocando una dimensione di catarsi e felicità raggiunte: Partita Ino le Ninfe cantano le seguente ottava: Degno figliol di Semele e Giove noi nodrirenti come figlio nostro acciò crescendo facci gran prove e alle superbe genti abbassi il rostro, tu farai poi cose stupende e nove, onde gloria sarai del secol nostro da noi e da ogn’un Bacco sarai nomato e Iddio sarai del vin da ogn’un bramato. La Pastorale così si conclude con particolare suggestione poetica. Lontana è ormai la tragedia divina, risolti i “finti sdegni” umani. Il giovane compositore sembra dar termine con un sorriso alla sua Favola, nella quale mito e realtà umana trovano accordo in una felice sintesi. 4. Conclusioni Nel panorama della drammaturgia del primo Barocco, la Pastorale di Michelangelo Jacobilli riveste particolare importanza, perché “miscela” vari generi drammatici in un complesso impasto compositivo. Frutto di indiscussa genialità precoce, alla ricerca di esperienze culturali quanto mai eterogenee, la Favola, nel panorama della drammaturgia di fine Cinquecento evidenzia elementi innovativi che troveremo dominanti nel matu- Introduzione 27 ro teatro barocco. L’intreccio boschereccio, divertente e apparentemente disimpegnato, presenta pluralità di contaminazioni dal contemporaneo teatro: molteplici infatti sono gli slittamenti che caratterizzano il testo, rendendolo un vero “contenitore”di innovazioni, spesso problematiche, che non sfuggono a un’attenta lettura e che non sempre facilitano la comprensione immediata di tale documento, semplice soltanto a prima vista. Infatti, il tratteggio del comico, del tragico, del boschereccio si alternano nei rapidi scorci rappresentati, ove gli eventi e i vari personaggi, in particolare quelli femminili, trovano la loro collocazione naturalistica. La trama, non sempre facile da seguire, assume spesso il timbro di un divertissement, nel quale il lettore più volte rischia di perdersi e confondersi. Tuttavia, i Canti Corali, a conclusione di ciascun atto, nella loro funzionalità compositiva, offrono l’occasione di uno stacco, un momento cioè di riflessione dopo tanta materia drammatica offerta, e aprono la strada agli Intermedi che fanno seguito. Con questi si muta il timbro poetico: ricalcando una strategia compositiva già nota nel teatro del Cinquecento, l’azione drammatica si carica di allegoria e culti richiami. Il tempo reale viene abbandonato e utilizzato quello metastorico; la vicenda narrata nella Favola viene giustapposta al mito dell’amore di Giove e Semele, nel quale il dramma d’amore dei personaggi della Pastorale, ora doloroso e ora ridicolo, ma comunque frutto di “sdegni” scherzosi, si muta in tragedia dolorosa. L’originalità degli Intermedi appare subito evidente: l’interferenza continua del mito alla fine di ciascun atto, dopo il Canto Corale, non può considerarsi casuale, perché apertamente rivela la finalità di un necessario rinnovamento del messaggio drammatico, che il nostro avverte con notevole anticipo e denuncia con la sua scelta compositiva. 28 Introduzione Nel corso del XVII secolo, infatti, le espressioni artistiche mutano gradualmente linguaggio, in linea con le istanze ideologiche ed etiche del secolo, come attestano l’iconografia, la letteratura, la musica e quindi il teatro. Tale progetto estetico, che propone un continuo confronto tra cielo e terra attraverso le varie strategie di rappresentazione, è già presente nel giovanissimo Jacobilli, che si cimenta nella trattazione della materia drammatica pastorale con intento di modernizzarla, tanto che il teatro barocco sembra già tutto presente nella sua Favola. Il mito di Giove e Semele e della nascita di Bacco gli porge l’opportunità per cimentarsi in tale ardita prova, utilizzando una tematica di notevole impatto emozionale. Dall’Orfeo del Poliziano, e poi attraverso molteplici e varie espressioni teatrali posteriori, la drammaturgia pastorale ha privilegiato spesso forti tematiche, valori assoluti, esemplificati dalla mitologia. Tralasciando ogni riferimento al teatro della classicità, l’utilizzo dei grandi miti d’amore e morte, ad esempio, che il teatro pastorale umanistico aveva già proposto nel suo primo apparire, e che erano tornati poi sulla scena drammatica pastorale del Cinquecento, in Jacobilli ricompaiono con rinnovata valenza e modernità: negli Intermedi della sua Favola, infatti, la rarefatta contemplazione di tali tematiche, in una dimensione esistenziale fuori della storia, trova giustificata collocazione e significato. Essi, nella continuità di una significativa tradizione drammaturgica, concorrono alla realizzazione d’un messaggio teatralmente impegnato, come in un gioco intellettualmente raffinato. Il prezioso magistero del nuovo teatro, etico e artistico insieme, è presente già nel giovane Michelangelo: la dimensione umana e la soprannaturale, comica e tragica, sono a confronto, coesistono l’una accanto all’altra, in un contrasto che non è più contrasto per la loro stretta complementarietà. Introduzione 29 Così, mentre il mondo elegiaco e scherzoso pastorale, articolato sotto la spinta della fantasia, alla fine della Favola trova sintesi nella felicità e nel sorriso dei vari personaggi che concludono la loro “finzione”, il dolore e il tragico destino degli amanti divini si sublimano nell’esaltazione della vita, nella forza vitale del piccolo Bacco e nella memoria della tomba, che supera l’oblio. Gli dei sono resi simili agli uomini, scendono in terra per soffrire con loro, mentre gli uomini rivolgono a loro lo sguardo, come in una scultura marmorea, per cercare conforto e riscattare il loro dolore. È negli Intermedi quindi che possiamo cogliere il significato riposto della Favola, semplice e complessa, vecchia e nuova insieme, che stupisce e sorprende per il suo inatteso messaggio sull’orizzonte della drammaturgia dell’incipiente Barocco. È un documento drammatico particolare, unico per la precocità del compositore, ma non soltanto: infatti, questa piccola Pastorale impegna il lettore in uno scavo progressivo per rinvenire tesori molteplici sotto veste semplice, che ancor oggi ci affascinano per candore e verità, e che possiamo gustare e considerare a buon ragione un autentico dono di un poeta finora sconosciuto. Maria Lucignano Marchegiani