A10
496
Copertina: importante veduta dipinta con accurata analisi degli elementi ambientali visti da Santa Maria in Campis.
Da sinistra a destra: i campanili di Santa Maria Infraportas, San Domenico, San Nicolò, San Francesco, il Palazzo
Comunale, il campanile e la cupola di San Feliciano, la torre Beddini, i campanili di Sant’Agostino e San Giacomo. In
primo piano le porte dell’Abate, Romana e San Feliciano. FONTE: Ascensidonio Spacca (1557–1646), Veduta di Foligno,
dipinto a olio su tela cm 33 × 127. Foligno, Pinacoteca Comunale.
Michelangelo Jacobilli
I finti sdegni
FAVOLA PASTORALE
a cura di
Maria Lucignano Marchegiani
Presentazione di
A. Maria Rodante
Trascrizione di
Emanuela Biagetti
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.
00173 Roma, via Raffaele Garofalo, 133 a/b
tel. (06) 93781065
www.aracneeditrice.it
[email protected]
ISBN
978-88-548-2559-8
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 2009
alla Città di Foligno,
culla di arte e spiritualità,
nel ricordo dei miei avi
Indice
Presentazione
di A. Maria Rodante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
Introduzione
di Maria Lucignano Marchegiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Note bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Criteri di trascrizione
di Emanuela Biagetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
I FINTI SDEGNI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Atto Primo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
Atto Secondo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
Atto Terzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Atto Quarto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
Atto Quinto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
7
PRESENTAZIONE
Item lascio come sopra al seminario di Foligno per benefizio publico di essa città e de desiderosi di studiare, massime poveri, tutti li
restanti miei libri di diverse scienze che oggi tengo in casa mia a
Foligno, tanto stampati, quanto manoscritti et altri composti da me,
di numero incirca 3.500, con tutte le scanzie.
Così scriveva nel testamento redatto il 20 maggio 1663 il
sacerdote Lodovico Jacobilli (1558–1664), circa un anno prima
della sua morte. Con questo atto testamentario egli andava a
completare la donazione effettuata il 24 aprile del 1662; in tal
modo, tra i libri donati precedentemente e quelli lasciati per
testamento, la biblioteca del Seminario di Foligno, fondato
nel 1649, poteva contare il possesso di circa 8.500 unità librarie provenienti da un’unica fonte.
Nonostante le alterne vicende subite nel corso del tempo,
la Biblioteca Jacobilli è attualmente una splendida realtà,
arricchita, ovviamente ed ampliata nei diversi settori culturali. Nella nuova e prestigiosa sede, aperta lo scorso anno, il
fondo manoscritto dello Jacobilli, giunto a noi nella sua quasi
totalità, a chi lo consulta, offre un buon panorama della cultura locale, rivelatore anche delle tendenze e degli interessi
intellettuali inseriti nella società folignate del tempo. E se si
vuol cogliere con rapidità quali essi siano, si può sfogliare
l’inventario che di essi fece Faloci Pulignani, direttore della
Biblioteca, inventario pubblicato nel 1930, nella collana
Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, iniziata
dall’umbro Giuseppe Mazzatinti. Scorrono davanti ai nostri
occhi — oltre che opere autografe dello stesso Lodovico attestanti la sua multiforme attenzione per tutto lo scibile — i
titoli di opere poetiche, giuridiche; opere di carattere spirituale, di astronomia, di carattere scientifico; gli autori sono diver9
10
Presentazione
si, alcuni appartenenti anche ai vari rami della famiglia Jacobilli.
Impossibile rimanere indifferenti di fronte all’eterogeneità
dei codici, molti tuttora inediti e tutti meritevoli di essere
scrutati e conosciuti da parte di studiosi dei vari soggetti ivi
contenuti. Notevole, poi, è il numero dei codici dedicati al
teatro: tragedie, commedie, favole pastorali attestano che
questo genere letterario era molto amato e praticato, e questa
tendenza corrisponde ai grandi movimenti letterari che si
diffondono in questo periodo in tante altre città d’Italia, e
non solo.
In questo luogo così prestigioso è ben collocata l’opera letteraria di Michelangelo Jacobilli. Il codice che nell’Inventario,
prima ricordato, contrassegna la sua attività letteraria, porta
un titolo particolare, Schizzi letterarii, e, al suo interno, sono
segnalati Vocabolario Italiano, San Feliciano. Tragedia, I Finti
Sdegni, Intermezzi e altri lavori drammatici, a conferma del fatto
che il genere teatrale sia preponderante nella produzione del
nostro autore.
Se poi si vuole accostare a queste notizie le altre che lo riguardano e che fornisce Lodovico Jacobilli in Bibliotheca Umbriae, il quadro diviene ancora più ampio, ma soprattutto più significativo, perché si viene a sapere che alcune delle opere teatrali ricordate nell’elenco citato furono anche recitate! Ed è una
scoperta piacevole e intrigante: lo stesso Lodovico interpretò
nella Dorilla, il ruolo di protagonista. Aveva quindici anni, ricorda il nostro sacerdote in un manoscritto nel quale trascrive la
sua parte!
A riprova, riportiamo un breve stralcio, da una miscellanea
dello stesso Lodovico: «Dorilla, pastorale comica, recitata in
Foligno l’anno 1613; S. Tomasso d’Aquino, poemetto sacro, recitato da lui nell’Accademia de’ Fulgenti in d. anno; Natività di
Cristo e Passione di Christo, recitate in Foligno l’anno 1614; Turca
Fida, commedia recitata in Foligno l’anno 1648 […]». Ancora
Presentazione
11
una volta si può rilevare che si scrivevano — e si recitavano —
commedie o tragedie o favole pastorali, in questa città.
La favola I Finti Sdegni è indubbiamente una piccola
gemma letteraria, come ben dimostra Maria Lucignano Marchegiani, tanto più sorprendente, quando si pensi che essa è
stata scritta da un ragazzo, come egli stesso attesta. Un entroterra culturale veramente notevole ha alimentato la fantasia
del giovane, entroterra che, tuttavia, non deve troppo meravigliare. Il padre di Michelangelo, il giurista Vincenzo, è
autore di un numero notevolissimo di opere eterogenee,
quasi tutte manoscritte e presenti nella Biblioteca Jacobilli, e
quasi tutte inedite. Anch’egli è scrittore di teatro, e le sue
commedie manoscritte autografe sono in corso di stampa, in
edizione critica, con l’introduzione di Maria Lucignano Marchegiani.
Questa attività teatrale, così intensa a Foligno, porta necessariamente a chiederci quali e dove fossero i luoghi in cui
le opere prendevano vita e dove erano ascoltate ed applaudite. Possiamo anche fare riferimento ai Palazzi nobiliari di
questa città, al cui interno uno spazio ben preciso era dedicato al teatro; poteva essere la corte, all’esterno, oppure una
stanza specifica, nella quale, in occasioni particolari, l’autore
presentava la sua opera. Opere ricche di richiami mitologici,
anzi, quasi un vero e proprio culto per la mitologia e per il
mondo classico, come ben traspare non solo dai testi presi in
esame, ma anche dalle grandiose testimonianze pittoriche
che decorano i saloni dei numerosi palazzi nobiliari. E la favola di Michelangelo, così ben illustrata dalla Marchegiani in
ogni passo, in ogni momento sia liricamente intenso, sia più
popolareggiante, non è solo mero divertimento letterario, ma
testimonianza di uno spessore culturale notevole che ci porta
a riflettere e ci invita a conoscere meglio questa città; saremmo tentati di scrivere che questa favola ne diviene anche una
specie di biglietto da visita.
12
Presentazione
Foligno ha vissuto il suo splendore sotto la Signoria dei
Trinci e la traccia più vistosa é ben visibile nello splendido e
monumentale Palazzo, ormai quasi completamente restaurato.
Quando Foligno entra a far parte dello Stato pontificio,
rimane una città di notevole importanza non solo per i contatti con Roma, ma perché è una città posta su un nodo viario di rilievo, anche per le strade santoriali e per il collegamento tra il Tirreno e l’Adriatico; una città con una Fiera
della durata di due mesi, che richiamava gente anche
dall’Europa; una città che celebrava il Carnevale con giostre
equestri, tra la gioia di coloro che volevano divertirsi e lo sdegno di coloro opponevano un Controcarnevale — siamo in
clima postridentino, fortemente sentito in città — santificato
da processioni con la recita di Misteri; una città nella quale le
processioni stesse divenivano un vero e proprio atto teatrale
all’aperto, sia per la sontuosità dell’arredo urbano, sia per la
partecipazione in massa della gente, e l’attività teatrale era
comunque presente, sia nell’evento sacro, sia nell’evento profano. Se queste sommarie notazioni destano curiosità e desiderio di saperne di più, è da leggere lo studio più recente
dello storico Fabio Bettoni, nel volume Lodovico Jacobilli e gli
“Annali” della città di Foligno, nel quale egli ha messo ben in
luce la Foligno del tempo, vista come una Roma parva, una
“piccola Roma”.
C’è tanto da scoprire e tanto da conoscere se si vuole dare
spazio e dedicare attenzione a luoghi e a nomi meno altisonanti, e fuori dal circuito consueto; indagare su una cultura,
stigmatizzata talvolta a torto come provinciale o di riecheggiamento delle grandi capitali, può far conoscere invece testi,
umori, strati culturali che ne svelano le caratteristiche, la qualità e la specificità e consentono un raccordo col passato storico più conosciuto e conclamato.
Più che mai meritorio è lo studio effettuato dalla Marchegiani, perché con la competenza che caratterizza la sua atti-
Presentazione
13
vità di studiosa della Pastorale, ha inserito un autore sconosciuto nella grande corrente letteraria e teatrale del secondo
Cinquecento, indicandone i rapporti, anche più sottili, con i
grandi autori, e quelli in certo senso innovatori con la Commedia Improvvisa, e, nel contempo, con la sua sensibilità raffinata, induce il lettore a porgere attenzione sia ai passi propriamente lirici, sia a quelli più corposi. Ne scaturisce un
quadro dove tutti i particolari sono singolarmente esaminati,
ma sapientemente incastonati nella visione di insieme.
Particolarmente commovente è l’attenzione con la quale la
Marchegiani descrive l’amore-morte di Semele, il senso dell’impotenza che colpisce anche il sommo Giove e quello della
paternità, salvaguardata a tutti i costi. Significativo è lo spazio che dedica alla struttura dei Cori e degli Intermedii, che
rapporta con competenza ad un autore veneziano, Francesco
Andreini.
La favola del dodicenne Michelangelo non poteva trovare
una “sistemazione” più convincente e più significativa, e la
studiosa offre, in tal modo, una risposta egregia a quanto
scrisse nel 1995 Piero Lai a conclusione di un suo saggio relativo ad un’altra deliziosa opera letteraria di Michelangelo, mi
riferisco all’epitalamio Espero e la notte (1636), citato dalla
Marchegiani.
Egli scrive: «Il silenzio, ingiustamente, l’avvolge tuttora».
Con piacere possiamo concludere: non più il silenzio, ma
un risveglio, grande risveglio suscitato dall’interesse e dall’
impegno di una valida studiosa non folignate, alla quale tutti
siamo e dobbiamo essere grati.
Anna Maria Rodante
INTRODUZIONE
1. Il teatro italiano di fine Cinquecento
Dal Poliziano al Tasso, nel corso di due secoli in particolar
modo ricchi di fermenti culturali e innovazioni, la drammaturgia pastorale compie un percorso segnato da profondi
mutamenti. Nata nel contesto di una cultura umanistica, volta a recuperare l’eredità classica, arricchita dalle conquiste del
pensiero medioevale, essa propone, sotto forme allegoriche,
molto spesso attinte dal mito e in linea con il rinnovamento
storico del secolo, problematiche e messaggi ad un pubblico
elitario, aristocratico e spesso cortigiano.
Sin dal suo primo apparire nel maturo Quattrocento e poi
nel corso del Cinquecento, molteplici furono gli influssi della
drammaturgia contemporanea sulla Favola Pastorale: dagli
esiti della Sacra Rappresentazione, ancora vivi nel Poliziano,
alle più ardite proposte di rinnovamento del teatro del secolo
XVI, varie spinte innovatrici gradualmente la modificarono e
la resero sempre più articolata e composita. Per tutto il XVI
secolo, mentre il teatro comico e tragico vivevano una stagione di felice creatività, la pastorale, per il suo carattere originario squisitamente letterario, non sempre trovò giusta collocazione ambientale e valutazione critica. Naturalmente, non
mancarono eccezioni, come l’Aminta e il Pastor Fido, ad esempio, creazioni queste da considerarsi a sé, per la loro eccezionalità non solo nell’ambito della storia del teatro, ma della
stessa poesia.
Verso la fine del secolo, proprio negli anni dell’apparizione della favola “ferrarese”, che maturò con il “portento” tassiano, in molti drammi pastorali apparvero evidenti variazioni e interferenze che alterarono il tessuto originario bosche15
16
Introduzione
reccio e mitologico-sentimentale, come, ad esempio, performances comiche e realistiche del tutto nuove, e chiare contaminazioni da altre forme drammaturgiche, atte a modellare
l’originale meccanismo attoriale e compositivo. Angelo Ingegneri, teorico della storia e fortuna della Pastorale, nel suo
celebre Discorso del 1598, evidenziò l’importanza di tale osmosi teatrale che rese la Favola più agile e godibile nella sua
sopravvivenza, e nel contempo la commedia e tragedia contemporanee modernizzate e rinnovate nel confronto con
quella.
Quando poi fece irruzione sulle scene la Commedia Improvvisa, intorno alla metà del Cinquecento, gli stessi protagonisti spesso utilizzarono tematiche boscherecce, affiancandole a quelle comiche, sulle quali modellarono la loro espressività di attori e improvvisatori. Fu questo un momento di
grandi trasformazioni e innovazioni quasi rivoluzionarie,
come Pier Maria Cecchini nel 1616 avvertì, soprattutto quando apparvero le donne nelle prime Compagnie professionistiche dell’Improvvisa. Infatti, tale innovazione comportò un
allargamento del repertorio e favorì l’utilizzo dei vari generi
drammatici, tra i quali la Pastorale che, pur continuando a
sopravvivere attraverso vari esperimenti, subì nella struttura
originaria inevitabili trasformazioni che alterarono le originali caratteristiche. Adriano Valerini, nell’orazione In morte della
Divina Signora Vincenza Armani, comica Eccellentissima1, attribuisce all’Armani l’introduzione delle Pastorali nel repertorio
rappresentativo dei comici dell’arte, e avverte intelligentemente l’importanza di tale operazione che vivificava e modernizzava le loro non comuni capacità inventive.
Nel 1581, a Verona, fu pubblicata la Mirtilla, favola boschereccia di Isabella Andreini, ispirata all’Aminta del Tasso. Tale
1. La commedia dell’arte e la società barocca. La professione del teatro, Roma 1991.
Introduzione
17
documento, messo in scena dalla celebre Compagnia dei Gelosi, attesta chiaramente l’interscambio spontaneo esistente tra
le forme della produzione drammatica “alta” e l’attività teatrale dell’Improvvisa. Infatti, la Mirtilla appare come un organismo drammatico in cui la scrittura letteraria della Pastorale
e quella scenica propria dell’Improvvisa s’intrecciano secondo
i moduli rappresentativi di quest’ultima: «i comici Gelosi
[mostrano] ai comici venturi il vero modo di comporre e di
recitar Comedie, Tragicomedie, Tragedie, Pastorali»2.
Nel terzo atto della succitata favola, ad esempio, allo stupro della ninfa Fille da parte del satiro, vanificato proprio dal
vigore fisico della stessa ninfa che riesce a sconfiggere la cieca
bestialità del seduttore, corrisponde la scena in cui il capraio
Gorgo si presenta bestialmente affamato. Il suo lungo monologo è un’esaltazione idilliaca dei piaceri della mensa che prevalgono su quelli dell’amore. La suprema voluttà di Gorgo è
la gola, cui soggiacciono gli altri sensi. Nel tratteggio di questo personaggio e del suo sensuale mondo, l’Andreini opera
un abile accostamento di vari elementi descrittivi, sì da raggiungere un’epopea gastronomica, che ci riconduce al Pulci e
al Rabelais, utilizzando elementi vari, popolareschi e rusticani, alcuni propri anche delle Sacre Rappresentazioni e delle
Pastorali ferraresi. A tale disegno caricaturale si accompagna
abilmente quello di figure femminili soavi ed eteree, che
gareggiano e si dilettano con canti armoniosi e danze. E ancora: a conclusione della Mirtilla, appare evidente un altro elemento chiarificatore del processo di contaminazione, un topos,
cioè, cui rimarrà fedele ogni compositore di Pastorali dal XVI
secolo in poi: il tema della felicità raggiunta dopo tanti affanni d’amore e il formarsi di belle coppie di amanti. Amore, perturbatore di cuori, presente quasi sempre nei prologhi e negli
2. F. ANDREINI, Le bravure del Capitano Spavento, a cura di R. Tessari, Giardini, Pisa
1987, pp. 3-9.
18
Introduzione
epiloghi, è, alla fine, fautore di perfetti accordi e felici imenei,
regolatori delle passioni e del sesso. In tal modo, l’istanza
moralizzatrice della contemporanea società trionfa con il contributo artistico del nuovo teatro, ove commedia, tragedia e
favola pastorale, avvalendosi di moderne tecniche rappresentative, si collocano in una prospettiva di rinnovamento che
aderisce alle esigenze del pubblico.
2. La Favola Pastorale di Michelangelo Jacobilli:
I Finti Sdegni3.
«Finita la retroscritta pastorale a 27 aprile 1604, dell’età
mia anni dodici, mesi 6, giorni 6»: tale annotazione autografa
appare a conclusione della favola pastorale di Michelangelo
Jacobilli, finora inedita4.
3. Michelangelo Jacobilli nacque a Foligno (Perugia) nel 1591 da famiglia aristocratica e ricca. Suo padre Vincenzo fu giureconsulto e letterato raffinato: compose in
latino e in volgare ben 88 opere, alcune delle quali teatrali e di notevole interesse artistico. Di Michelangelo conosciamo ciò che Ludovico, suo lontano cugino e biografo
(1598-1644), ci tramanda. Anch’egli fu un famoso erudito, e il suo nome è tuttora legato a quello della Biblioteca folignate, nella quale giacciono tuttora preziosi manoscritti. Interessante è la biografia di Michelangelo, che ci illumina su molti aspetti della
famiglia. Apprendiamo che, sin da giovanissimo, il nostro seguì le orme paterne nell’amore delle lettere e del teatro. Una delle sue prime composizioni fu la Favola
Pastorale Dorilla, ora perduta, che ebbe l’onore d’essere rappresentata nel Palazzo
Comunale di Foligno. Molteplici sono le sue composizioni andate perdute, frutto
della la sua attività di canonico nella Cattedrale della Città, tra le quali le due Sacre
Rappresentazioni Natività e Passione di Cristo, i due poemetti sacri, S. Tommaso
d’Aquino e Cecilia, la tragedia Il martire Feliciano, dedicata al Santo, protettore della
Città, e un epitalamio, Espero e la notte, composto per le nozze di un suo parente e
definito da Piero Lai «un vero capolavoro, un piccolo e prezioso gioiello» (in
Bollettino Storico Foligno XIX, 1955, pp.663-670). A soli dodici anni compose la
Pastorale I Finti Sdegni, come egli stesso attesta nella stessa Favola, ricordando quella paterna Amorosi Sdegni. Fu anticipatore di future soluzioni sceniche e compositive,
per le quali utilizzò anche la sua non comune padronanza musicale. Morì probabilmente intorno al 1649.
4. Il manoscritto è conservato in buono stato presso la Biblioteca Jacobilli di
Foligno, segnatura di collocazione A.I.26, misura cm. 11 × 15, ed è rilegato in pergamena. La scrittura è leggibile, seza cancellature o correzioni.
Introduzione
19
Il Prologo inaugura la Favola secondo il canone classico:
Apollo in abito pastorale1
Chi crederia ch’in pastorali spoglie fosse nascosto un Dio così potente!
Confrontando tale inizio con l’incipit dell’Aminta del Tasso
rinveniamo una sorprendente e signficativa somiglianza:
Amore in abito pastorale
Chi crederia che sotto umane forme e sotto queste pastorali spoglie
fosse nascosto un dio?
La lezione del grande della Gerusalemme sembra essere accolta dal giovinetto Michelangelo, e l’incipit sopra citato lo
dimostra. Infatti, non è il solo luogo della Favola dal quale traspare una conoscenza approfondita della poesia tassiana, e nel
contempo ammirazione e ossequio, come rivelano timbri e
tonalità che ci riconducono alla magica atmosfera dell’Aminta.
Il Prologo continua: Apollo, dopo aver celebrato se stesso
nella sua divina potenza, presenta l’autore che, benché inesperto fanciullo di appena dodici anni, ha composto «questa
semplice e rozza pastorale». Il dio fa poi riferimento alla collocazione geografica dell’azione scenica, Foligno, tratteggiando un ambiente di particolare suggestione, cornice naturale
alla personalità del giovanissimo compositore, letterato aristocratico. «Questo fiume, che qui vedete è ‘l vostro Tupino,
ver’onor della fulgida cittade, questa città che sta vicino al
fiume è il vostro vago e nobile Foligno».
La Favola procede per cinque atti, conclusi ciascuno con
Canti Corali e Intermedi.
Nel primo atto, appare Arcadio, pastore innamorato di
Amarilli, che confessa all’amico Caprino le sue pene d’amore;
20
Introduzione
intorno, vari protagonisti maschili e femminili, ciascuno con
la propria fisionomia, tratteggiati secondo il canonico schema
erotico–sentimentale dell’amore infelice e conteso. Sembra
che Michelangelo voglia ripercorrere la strada della tradizione classica, utilizzando topoi propri dell’antica Pastorale, rivisitati dalla sua sensibilità poetica poliedrica, anche se ancora
inevitabilmente un po’ immatura, ma che porge orecchio alle
istanze della nuova drammaturgia.
Negli atti seguenti, fino alla conclusione della Favola, si è
travolti da un coacervo di situazioni e avventure, casi strani,
scene grottesche, espressioni d’amore e di gelosia, canti e
danze: tutto ci diverte e nel contempo ci sorprende. L’amore,
nelle sue svariate manifestazioni, è comunque il filo conduttore della complicata trama, ma quello idealizzato e sognato
sembra essere il più seducente e caro al giovane poeta. E con
tale ispirazione egli plasma soprattutto le creature femminili,
le giovani fanciulle innamorate delle quali sembra egli stesso
innamorato, per le quali sceglie nomi propri della drammaturgia pastorale che evocano la natura e l’innocenza, e che,
in particolare, ci riconducono nell’atmosfera dorata di tassiana memoria: Amarilli, Tebrina, Lesbina sono le prime che ci
vengono incontro con i loro sospiri e le loro fughe, risvegliano in noi la nostalgia della grande poesia ferrarese della quale
Michelangelo dimostra d’essere affascinato.
La sua attenzione tuttavia si rivolge anche a moti del
cuore di diversa natura e a tematiche più realistiche, come
l’amore sensuale che si esaurisce e svanisce nel suo nascere e
lascia un sorriso amaro e un languore triste, e la vita quotidiana, disegnata con realismo e descrittivismo preciso, a
volte persino graffiante, che danno spessore all’azione drammatica. Il tratteggio psicologico è sempre curato e attento e
trova riscontro in quello ambientale, quasi sempre bucolico,
nel quale spiccano caratteri sanguigni e sensuali di alcuni
personaggi di matrice comica. Così, ad Arcadio, tormentato
Introduzione
21
amante di Amarilli, e al suo amico Montano, sullo sfondo di
una natura testimone silente, si contrappone Caprino che, sin
dal suo primo apparire, evoca un mondo realistico, corposo
e sensuale, che contrasta con la levità dello scenario naturalistico e la sensibilità del suo amico innamorato. Caprino ha
smarrito un capretto, ha perso un suo bene, anzi, il suo bene.
Accanto a lui sono altri personaggi di simile statura e segnati da evocatrici denominazioni, come, ad esempio, la moglie
Nespoletta, che il volgare Ursacchio bacia e stringe con
sensuale voluttà, e Selvaggio, anch’egli sconvolto dall’amore
per Amarilli. Quanto materiale drammatico e quale
suggestione fantasiosa! Non manca neanche il riferimento
alla conoscenza degli astri, allora in voga, – e non solo allora! – che il giovane compositore utilizza con la sua effervescente creatività, contrastando affermazioni di tono illuministico esaltanti l’“esperienza”.
Ecco, a tal proposito, le parole che Tebrina rivolge ad Amarilli per distrarla dall’amore per Arcadio, del quale anch’ella
è innamorata: «Tu credi ch’Arcadio t’ami è ver? Credolo
anch’io, ma se l’esperienza unica madre della ragion non se
ne fa, non credolo» (Atto III, scena I).
Il gioco drammatico avvince e diverte: il lettore lo segue
nel suo divenire, incuriosito dalle molteplici suggestioni
d’eruditi riferimenti. I toni dell’Improvvisa fanno capolino
qua e là, e di questi sembra che Jacobilli voglia far sfoggio attraverso un sapiente tratteggio realistico figurale e ambientale, come avviene soprattutto dal terzo atto in poi: infatti, scene e personaggi di timbro boschereccio sono sempre più relegati nei passaggi di pura sentenziosità o utilizzati per espressioni di scontato sentimentalismo. Il mondo di languore e
nostalgia bucolica di lontana memoria emerge soltanto fugacemente, con pennellate rapide, e sembra solo passivamente
accettato, come, ad esempio, nelle parole di Arcadio, innamorato d’Amarilli:
22
Introduzione
ARCADIO: Ahi lasso, io moro, o caro mio tesoro, perché fuggi da me
cruda e spietata, da me che t’amo, ingrata? Ahimé, ch’è pur fuggita,
ahimé la sua partita mi lascia morto vivo, poiché di lei son privo, di
lei ch’era il mio core e la mia vita, e facendo partita dal mio corpo il
mio core resta senza la vita e senza amore. Ahi lasso, oimè Tebrina,
io vengo meno… (Atto IV, scene III, IV).
Dal fascino del rinnovato teatro Michelangelo sembra senza dubbio essere catturato. La Commedia Improvvisa dei
nuovi comici con le sue proposte, la spontaneità inventiva, la
creatività sbrigliata, la gioia del vivere si traducono spesso
nella sua Favola in scene e personaggi che portano il segno di
tale simpatia: gli abbracci furtivi e sensuali, le figurazioni
femminili provocanti e aggressive che sollecitano desiderio
ed ebbrezza; le scene di vita quotidiana, allegre e spensierate,
immediate e semplici: è questo un impasto compositivo multitematico, a volte disordinato, espressione d’immaginazione
vivace e aspirazione infantile alla felicità tutta ancora da
gustare. Il timbro pastorale elegiaco e melanconico è sostituito da uno festoso che domina l’espressione poetica e si spegne
nei canti degli amanti felici. Il sogno d’amore ad ultimo diviene realtà, ma cos’è questa se non finzione d’un gioco al quale
siamo tutti invitati a partecipare, ove lo “sdegno” può essere
“finto”, e ciascuno è attore nel grande “teatro del mondo”?
Il quinto e ultimo atto, come prevedibile, è costruito in funzione della vicenda e il giovane compositore coglie l’occasione per sfoggiare, ancora una volta, la sua non comune erudizione, facendo ricorso persino al tema dell’agnizione, tanto
caro al teatro classico. Tebrina, a conclusione della Favola, ricorda con tristezza il suo passato, confessa di chiamarsi Filli,
e viene riconosciuta come figlia da Montano, che l’abbraccia
con commozione e affetto paterno. Anche il sogno d’amore di
Amarilli e d’Arcadio si avvera, assieme a quello di Tebrina e
di Selvaggio: ninfe, pastori e satiri, una natura solare e in festa
Introduzione
23
commentano la felicità dei protagonisti, secondo lo schema
della nuova moralizzata pastorale. Gli amanti realizzano i
loro amori leciti: Cupido non è più simbolo di turbamento e
inquietudine, e l’accordo tra Venere e Amore si ricompone
nella celebrazione di nozze felici. Passione e sesso trovano
così giusto equilibrio, in ossequio alle istanze della contemporanea società moralizzatrice, che richiede dall’arte testimonianze nelle quali lo scarto tra mondo ideale e reale si assottiglia sempre più, divenendo codice artistico.
3. Cori e Intermedi
Sulla scia della tradizione, ogni atto de I Finti Sdegni si
conclude con un madrigale cantato dal Coro, che si sofferma
con riflessioni liriche sull’azione drammatica rappresentata.
Ad ogni Canto Corale fa seguito un Intermedio di tutt’altra
ispirazione: la tematica pastorale è completamente abbandonata e, come per un gioco d’invenzione raffinato, viene proposta una favola mitologica, lontana e preziosa, un amore
tragico, un dramma a sé stante in forte e apparente contrasto
con la Favola: l’amore di Giove e Semele e la nascita di
Bacco.
Alle prime battute, con una certa sorpresa teniamo dietro
a tale mutamento di tonalità drammatica, che in un secondo
tempo riconosciamo complementare a quello della Favola.
Infatti, il mito dell’amore di Giove e di Semele, contrastato e
tragico fino alla morte, e la nascita di Ino, futuro Bacco, sembrano del tutto avulsi dal contesto pastorale e costruiti con
assoluta autonomia. Tuttavia, il mondo metastorico degli Intermedi ci riconduce a quello della Favola. Le figure delle divinità, Giove, Giunone, Semele, pur presentate sulla scena
nella loro regalità celestiale, sono tratteggiate umanamente
nelle loro passioni, i loro tormenti, i loro sogni, sicché la sto-
24
Introduzione
ria divina sembra rispecchiare, in una dimensione ultraterrena, passionale e tragica, quella umana, divertente e scherzosa, dei personaggi della Pastorale.
L’amore domina il dramma: Giove ama Semele, Giunone
ama Giove ed è folle di gelosia per il tradimento del suo sposo; Semele decide di morire per amore; la nascita di Ino e
l’amore di Giove per il figlioletto nobilitano la figura dell’Olimpio, purificano la sua passione e riconducono a proporzioni terrene la maestosità divina. La vicenda mitologica, che
scandisce trasversalmente la Pastorale, ha così una sua specificità compositiva: essa rispecchia una tensione ideologica e
morale che esalta il contenuto della Favola nella giustapposizione del destino divino a quello umano.
Tale tematica drammatica proposta da Jacobilli, sollecitata
da chiare finalità estetiche e morali insieme, non era rara nell’ambito della drammaturgia pastorale dell’epoca. A tal proposito, e soltanto per un rapido riferimento, possiamo ricordare due Favole, quasi contemporanee, di Francesco Andreini, edite a Venezia nel 1611, l’Alterezza di Narciso e l’Ingannata
Proserpina, nelle quali l’autore utilizza il mito con chiara finalità simbolica ed etica. Nella prima Favola infatti appaiono le
tematiche mitologiche di Eco e Narciso, l’uno mutato in sasso,
l’altro in fiore. La ninfa, abbandonata dal crudele pastore, nella quinta scena del secondo atto, non ragiona più per il dolore
e compie strazianti gesti rivolti a Giove per comunicargli il
suo amore, privata com’è della parola da Giunone, sospettosa del tradimento del dio. Dopo l’Andreini altri compositori
di minore importanza proposero tematiche mitologiche che,
come sostegno a quelle pastorali, esaltavano valori e finalità
etiche e artistiche dell’età.
Il dramma mitologico degli Intermedi prende l’avvio con
l’apparizione in scena di Giunone, “adornamente vestita”, che
Introduzione
25
racconta le sue pene d’amore per il tradimento di Giove, suo
sposo, innamorato di Semele, e quindi inventa uno stratagemma per smascherarlo. Il dialogo tra Giunone e Semele è segnato da una felice creatività: delicato è il tratteggio psicologico
delle due creature dominate dall’Amore e, in particolare, commovente è quello di Semele, alla soglia della maternità, per la
quale il giovane poeta non nasconde la sua simpatia. Il richiamo alla tematica della Favola è facilmente ravvisabile, perché le
passioni divine sono proposte in modo speculare a quelle terrene, e il“finto sdegno”del cuore umano, che alla fine della Favola
cede alla gioia, è tragedia e dolore divini negli Intermedi, scavalcando ogni collocazione temporale. Semele muore per mano
di Giove, suo amante, dopo aver disperatamente desiderato di
vedere il suo fulgore, ma muore donando la vita e la sua morte,
il suo cupio dissolvi, è una dimensione estatica che trascende il
terreno. Il corpo della ninfa, ormai inerte, è affidato da Giove a
Mercurio affinché lo trasporti «invisibilmente […] nel palazzo
di Cadmo rege», ove troverà il suo sepolcro, e lì la memoria
eternatrice. Da Semele nasce Ino, futuro Bacco, la vita nelle sue
molteplici e contraddittorie forme.
Il Coro, che conclude il V Atto, celebra Amore:
Miseri amanti abbiate in Amor fede,
che dopo ‘l servir vostro
avrete dalle amate ogni mercede,
perché lo crudo mostro
d’esser crudele finge,
qual tigre od orso o sfinge
a tutti appassionati e mesti amanti
per provar s’in amor sono costanti,
ma poi il pietoso Amore
dolcezza gustar fa non più dolore.
Dunque per veri segni
d’Amore prendete questi FINTI SDEGNI.
Tosto che il madrigale sarà cantato da i dilettevoli musici, comparisce in
palco Giove imperiale vestito con in braccio Ino e le Ninfe Nereidi e Giove
comincia il quinto intermedio.
26
Introduzione
Nel quinto e ultimo Intermedio, la tragedia di amore e
morte di Giove e Semele sembra ormai lontana. Il frutto del
loro amore, il bimbetto Ino, viene affidato dal padre alla zia
materna che, a sua volta, per proteggerlo e sottrarlo alle ire
della gelosa Giunone, lo affiderà alle Ninfe, che avranno cura
di lui e lo chiameranno Bacco, secondo il volere del padre. Il
canto melodioso di queste cancella ogni tristezza, evocando
una dimensione di catarsi e felicità raggiunte:
Partita Ino le Ninfe cantano le seguente ottava:
Degno figliol di Semele e Giove
noi nodrirenti come figlio nostro
acciò crescendo facci gran prove
e alle superbe genti abbassi il rostro,
tu farai poi cose stupende e nove,
onde gloria sarai del secol nostro
da noi e da ogn’un Bacco sarai nomato
e Iddio sarai del vin da ogn’un bramato.
La Pastorale così si conclude con particolare suggestione
poetica. Lontana è ormai la tragedia divina, risolti i “finti sdegni” umani. Il giovane compositore sembra dar termine con
un sorriso alla sua Favola, nella quale mito e realtà umana
trovano accordo in una felice sintesi.
4. Conclusioni
Nel panorama della drammaturgia del primo Barocco, la
Pastorale di Michelangelo Jacobilli riveste particolare importanza, perché “miscela” vari generi drammatici in un complesso impasto compositivo.
Frutto di indiscussa genialità precoce, alla ricerca di esperienze culturali quanto mai eterogenee, la Favola, nel
panorama della drammaturgia di fine Cinquecento evidenzia elementi innovativi che troveremo dominanti nel matu-
Introduzione
27
ro teatro barocco. L’intreccio boschereccio, divertente e apparentemente disimpegnato, presenta pluralità di contaminazioni dal contemporaneo teatro: molteplici infatti sono
gli slittamenti che caratterizzano il testo, rendendolo un vero “contenitore”di innovazioni, spesso problematiche, che
non sfuggono a un’attenta lettura e che non sempre facilitano la comprensione immediata di tale documento, semplice
soltanto a prima vista. Infatti, il tratteggio del comico, del
tragico, del boschereccio si alternano nei rapidi scorci rappresentati, ove gli eventi e i vari personaggi, in particolare
quelli femminili, trovano la loro collocazione naturalistica.
La trama, non sempre facile da seguire, assume spesso il
timbro di un divertissement, nel quale il lettore più volte
rischia di perdersi e confondersi. Tuttavia, i Canti Corali, a
conclusione di ciascun atto, nella loro funzionalità compositiva, offrono l’occasione di uno stacco, un momento cioè
di riflessione dopo tanta materia drammatica offerta, e
aprono la strada agli Intermedi che fanno seguito. Con questi si muta il timbro poetico: ricalcando una strategia compositiva già nota nel teatro del Cinquecento, l’azione drammatica si carica di allegoria e culti richiami. Il tempo reale
viene abbandonato e utilizzato quello metastorico; la vicenda narrata nella Favola viene giustapposta al mito dell’amore di Giove e Semele, nel quale il dramma d’amore dei
personaggi della Pastorale, ora doloroso e ora ridicolo, ma
comunque frutto di “sdegni” scherzosi, si muta in tragedia
dolorosa.
L’originalità degli Intermedi appare subito evidente: l’interferenza continua del mito alla fine di ciascun atto, dopo il
Canto Corale, non può considerarsi casuale, perché apertamente rivela la finalità di un necessario rinnovamento del
messaggio drammatico, che il nostro avverte con notevole
anticipo e denuncia con la sua scelta compositiva.
28
Introduzione
Nel corso del XVII secolo, infatti, le espressioni artistiche
mutano gradualmente linguaggio, in linea con le istanze
ideologiche ed etiche del secolo, come attestano
l’iconografia, la letteratura, la musica e quindi il teatro. Tale
progetto estetico, che propone un continuo confronto tra
cielo e terra attraverso le varie strategie di rappresentazione,
è già presente nel giovanissimo Jacobilli, che si cimenta nella
trattazione della materia drammatica pastorale con intento
di modernizzarla, tanto che il teatro barocco sembra già tutto
presente nella sua Favola. Il mito di Giove e Semele e della
nascita di Bacco gli porge l’opportunità per cimentarsi in tale
ardita prova, utilizzando una tematica di notevole impatto
emozionale.
Dall’Orfeo del Poliziano, e poi attraverso molteplici e varie
espressioni teatrali posteriori, la drammaturgia pastorale ha
privilegiato spesso forti tematiche, valori assoluti, esemplificati dalla mitologia. Tralasciando ogni riferimento al teatro
della classicità, l’utilizzo dei grandi miti d’amore e morte, ad
esempio, che il teatro pastorale umanistico aveva già proposto nel suo primo apparire, e che erano tornati poi sulla scena
drammatica pastorale del Cinquecento, in Jacobilli ricompaiono con rinnovata valenza e modernità: negli Intermedi
della sua Favola, infatti, la rarefatta contemplazione di tali
tematiche, in una dimensione esistenziale fuori della storia,
trova giustificata collocazione e significato. Essi, nella continuità di una significativa tradizione drammaturgica, concorrono alla realizzazione d’un messaggio teatralmente impegnato, come in un gioco intellettualmente raffinato. Il prezioso magistero del nuovo teatro, etico e artistico insieme, è
presente già nel giovane Michelangelo: la dimensione umana
e la soprannaturale, comica e tragica, sono a confronto, coesistono l’una accanto all’altra, in un contrasto che non è più
contrasto per la loro stretta complementarietà.
Introduzione
29
Così, mentre il mondo elegiaco e scherzoso pastorale, articolato sotto la spinta della fantasia, alla fine della Favola trova
sintesi nella felicità e nel sorriso dei vari personaggi che concludono la loro “finzione”, il dolore e il tragico destino degli
amanti divini si sublimano nell’esaltazione della vita, nella
forza vitale del piccolo Bacco e nella memoria della tomba,
che supera l’oblio. Gli dei sono resi simili agli uomini, scendono in terra per soffrire con loro, mentre gli uomini rivolgono a loro lo sguardo, come in una scultura marmorea, per cercare conforto e riscattare il loro dolore.
È negli Intermedi quindi che possiamo cogliere il significato riposto della Favola, semplice e complessa, vecchia e nuova insieme, che stupisce e sorprende per il suo inatteso messaggio sull’orizzonte della drammaturgia dell’incipiente Barocco. È un documento drammatico particolare, unico per la
precocità del compositore, ma non soltanto: infatti, questa
piccola Pastorale impegna il lettore in uno scavo progressivo
per rinvenire tesori molteplici sotto veste semplice, che ancor
oggi ci affascinano per candore e verità, e che possiamo gustare e considerare a buon ragione un autentico dono di un
poeta finora sconosciuto.
Maria Lucignano Marchegiani