geografia umana - Blog-ER

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Etnografia
La parte settentrionale dell'Africa, comprendente il Sahara, è abitata da popoli caucasoidi, perlopiù berberi e
arabi, che costituiscono circa il 25% degli abitanti del continente. A sud del Sahara vivono popolazioni bantu
che rappresentano circa il 70% della popolazione africana, mentre alcune tribù di khoisan, san (un tempo
chiamati boscimani) e koi-koi (gli ottentotti di un tempo), discendenti probabilmente dagli strati del più arcaico
popolamento, si trovano nell'Africa orientale. I pigmei, anch'essi discendenti da antichissime popolazioni
confinate nelle foreste pluviali, sono concentrati nel bacino del Congo. Originariamente insediati nelle regioni
meridionali, oggi vivono in Africa cinque milioni di discendenti degli europei. La popolazione indiana, che
tocca il milione di unità, è stanziata prevalentemente lungo le coste orientali e in Sudafrica.
In Africa sono stati classificati più di tremila gruppi etnici, presso i quali prevale l'istituzione della famiglia
estesa. In gran parte del continente la famiglia è collegata a una società allargata tramite gruppi parentali, quali i
clan, che tendono a escludere i matrimoni endogeni: i loro membri si sposano cioè fuori dal gruppo. Spesso il
villaggio è costituito da un singolo gruppo parentale di discendenza maschile o femminile.
Demografia
Nonostante l'estesa superficie, l'Africa è abitata da appena il 13% della popolazione mondiale. Nel 2004 la
popolazione del continente era stimata in 875 milioni di abitanti, con una densità media di 29 abitanti per km².
Questo dato considera vaste aree praticamente disabitate, quali i deserti del Sahara e del Kalahari, e aree più
limitate, quali la valle del Nilo, in cui la densità demografica è molto elevata. Se si calcola la popolazione che
vive in aree coltivabili o produttive, la densità media aumenta a circa 139 abitanti per km².
La popolazione del continente è stanziata prevalentemente lungo le coste settentrionali e occidentali, nelle aree
comprese nei bacini fluviali del Nilo, del Niger, del Congo e del Senegal, e nell'altopiano dell'Africa orientale.
Il paese più popoloso dell'Africa è la Nigeria (137.253.130 abitanti nel 2004).
In Africa il tasso di crescita demografica raggiunge il 2,02% annuo, a fronte di un tasso dello 0,01% in Europa
e di un tasso di quasi la metà (1,07%) in America settentrionale. Alla diffusione dei servizi sanitari, a partire
dalla seconda guerra mondiale, si deve il netto decremento del tasso di mortalità, che è del 14,60‰, ma varia
considerevolmente da paese a paese. In gran parte dei paesi africani, circa la metà della popolazione ha un'età
inferiore ai 15 anni.
La popolazione africana è prevalentemente rurale: solo il 37% degli abitanti vive infatti in centri urbani.
L'Africa settentrionale è la regione più urbanizzata; esistono tuttavia singoli paesi con elevati livelli di
urbanizzazione, come la Repubblica del Congo (67%), mentre grandi metropoli sono situate in ogni parte del
continente. Le città africane che hanno una popolazione superiore al milione di abitanti sono Il Cairo (la più
popolosa metropoli africana), Alessandria e Giza in Egitto; Algeri in Algeria; Tripoli in Libia; Casablanca in
Marocco; Lagos e Ibadan in Nigeria; Douala e Yaoundé in Camerun; Luanda in Angola; Addis Abeba in
Etiopia; Abidjan in Costa d'Avorio; Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo; Mogadiscio in
Somalia; Nairobi in Kenya; Dar es Salaam in Tanzania; Omdurman in Sudan; Harare in Mozambico;
Johannesburg, Città del Capo e Soweto in Sudafrica.
La crescita urbana è stata particolarmente rapida a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Si è altresì
verificato un consistente flusso migratorio, in particolare di africani provenienti dall'Africa centrale, verso i
distretti minerari e industriali di paesi quali lo Zambia, lo Zimbabwe e il Sudafrica, e di africani delle regioni
settentrionali e occidentali verso l'Europa, in particolare la Francia e l'Italia. In anni recenti, lo scoppio di guerre
civili in alcuni paesi africani – in Angola, Mozambico, Etiopia, Sudan, Liberia e Ruanda – ha causato
spostamenti di massa delle popolazioni, simili agli esodi determinati da siccità e carestie. In Africa esiste la
maggiore concentrazione mondiale di profughi, comprese le popolazioni che si spostano all'interno dei propri
paesi e quelle che ne attraversano la frontiera cercando protezione.
Religione
Oggi il cristianesimo è probabilmente la religione più diffusa dell'Africa. Il cattolicesimo venne introdotto nelle
regioni settentrionali del continente nel I secolo; nel IV secolo si diffuse in Sudan e in Etiopia, fu soppiantato
nel VII secolo dall'islamismo e si riaffermò soltanto nel XIX secolo – affiancato dalle varie forme di
protestantesimo –, per via delle conquiste europee e dell'opera dei missionari. In Etiopia e in Egitto permane
l'antichissima Chiesa copta.
L'islam, professato da circa il 40% della popolazione, fu introdotto dai conquistatori arabi: si diffuse
inizialmente nell'Africa settentrionale e, nei secoli successivi, lungo il corso del Nilo, la costa orientale e
nell'Africa occidentale, seguendo le piste carovaniere che approdavano a città (come Oualata, Timbuctu, ecc.)
che erano al tempo stesso centri commerciali e centri religiosi. La prima scuola di diritto islamica, quella
sunnita di orientamento malikita, predomina in gran parte dell'Africa musulmana, eccetto che in Egitto, nel
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Corno d'Africa e sulla costa orientale africana.
Circa il 15% delle popolazioni africane pratica esclusivamente religioni locali o indigene, tendenzialmente
animiste, e sia il cristianesimo sia l'islamismo hanno assimilato pratiche autoctone. Sono sorti inoltre alcuni
movimenti religiosi indigeni, nati dalla fusione con credenze e riti cristiani. Guidati da singoli profeti, questi
gruppi separatisti si sono diffusi in tutta l'Africa, ma la loro presenza appare più estesa e influente nell'Africa
meridionale e centrale.
Nell'Africa settentrionale e meridionale vivono inoltre piccole comunità ebraiche; tra queste i falascià, che fino
agli anni Ottanta del Novecento erano insediati in Etiopia. Minoranze di fede induista, buddhista e taoista sono
disseminate nell'Africa orientale e meridionale.
ECONOMIA
La popolazione africana prima dell'età coloniale era dedita all'allevamento, all'agricoltura di sussistenza e, in
misura minore, all'artigianato e al commercio. Gran parte dei mercati erano locali, sebbene numerosi stati
avessero per secoli sviluppato sistemi di scambio a lunga distanza, specializzazioni produttive, reti di
comunicazione e commercio, e complessi organismi governativi che regolavano il flusso mercantile. Fra questi
stati si annoveravano i regni del Sahel, legati ai traffici con il Mediterraneo attraverso il Sahara, del Ghana, di
Songhai, di Kanem-Bornu nell'Africa centroccidentale e di Grande Zimbabwe nell'Africa meridionale; i traffici
mercantili transahariani, che erano iniziati prima dell'epoca romana, continuarono fino al XIX secolo.
In Africa oro, noci di cola, rame, piume di struzzo e sale furono le principali merci d'esportazione per centinaia
d'anni prima della colonizzazione europea. L'imporsi del dominio europeo, a partire dal XVIII secolo,
determinò subito un incremento della domanda di schiavi, richiesti in quantità di gran lunga superiori rispetto
alle epoche precedenti: ne derivarono gravi distorsioni e scompiglio nella vita politica e culturale delle società
africane, oltre alla deportazione di milioni di persone dalle regioni centrali e occidentali del continente. La
colonizzazione determinò la domanda estera di nuovi prodotti agricoli e minerari e la migrazione interna di
forza lavoro; furono costruiti nuovi e più veloci sistemi di comunicazione, furono introdotte tecnologia e colture
europee, non sempre vantaggiose. Si sviluppò così un'economia di scambio. Le industrie e l'artigianato locale –
manufatti tessili e in ferro, ad esempio – spesso non reggevano la concorrenza con le merci europee.
Si svilupparono industrie di trasformazione oltre che nuovi porti e centri amministrativi imposti dalla nuova
organizzazione del territorio e dai modelli di vita di tipo urbano. Sorsero industrie di beni di consumo per
soddisfare le più recenti esigenze del mercato. Un tratto distintivo dell'economia africana è la coesistenza di
economie di sussistenza e di economie di scambio moderne. La crescita futura dipende dalla disponibilità di
capitali d'investimento, dalla domanda mondiale di materie prime locali e dall'equità dei loro prezzi, dalla
disponibilità di fonti di energia, dalla dimensione dei mercati locali, da una possibile copertura del debito estero
che paralizza tante economie africane e dalla volontà dei paesi industrializzati di abbattere le barriere
commerciali per i beni prodotti e lavorati in Africa.
Agricoltura
Nonostante l'espansione del commercio e dell'industria, gli africani rimangono prevalentemente occupati
nell'agricoltura e nella pastorizia. Nell'Africa settentrionale e nordoccidentale avena, orzo e mais sono le più
importanti colture cerealicole. Datteri, olive e agrumi sono frutto delle principali colture arboree; si coltivano
anche numerose specie di ortaggi. Capre, asini, pecore, cammelli e cavalli sono animali da allevamento.
Nella regione del Sahara i pastori nomadi allevano cammelli e capre e i pochi agricoltori stanziati nelle oasi
coltivano datteri e cereali. A sud del Sahara, nei territori del Sahel e nelle più fertili aree occupate dalle savane,
l'agricoltura itinerante – una pratica secondo la quale piccoli appezzamenti vengono ricavati incendiando tratti
di savana, ripuliti e coltivati per essere poi abbandonati dopo alcuni anni – è ancora praticata, ma via via va
lasciando il posto a un'agricoltura stabile. Mais, sorgo, miglio e, lungo i fiumi, il riso sono i principali cereali
coltivati nella fascia a nord delle foreste pluviali.
Negli ambienti forestali più piovosi subentra la produzione di igname, manioca e banane, coltivati soprattutto
negli altipiani costieri e nelle aree a foresta dell'Africa centrale; l'allevamento non può essere praticato in queste
ultime zone, infestate dalla mosca tse-tse, presente in circa un terzo del continente. Per tradizione, il possesso di
animali da allevare rimane tuttora indice di un relativo benessere economico e sociale.
L'agricoltura orientata al mercato è diffusa in tutto il continente. Si producono derrate alimentari per i mercati
urbani locali, mentre chiodi di garofano, caffè, ananas, cotone, cacao, zucchero, tè, mais, caucciù, agave,
arachidi, olio di palma e tabacco sono fra i prodotti agricoli da sempre destinati all'esportazione e all'industria.
Negli ultimi vent’anni si è assistito a un significativo sviluppo della coltivazione di nuovi prodotti per i mercati
occidentali, soprattutto europei: fagiolini, agrumi, rose e altri fiori, kiwi. Nell'Africa orientale e meridionale
estese piantagioni e tenute agricole, spesso di proprietà di società straniere o europee, sono sfruttate per la
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coltivazione di agrumi, tabacco, tè e altri prodotti destinati all'esportazione.
Silvicoltura e pesca
Circa un quarto del territorio africano è ricoperto da foreste, dalle quali le popolazioni locali traggono legname
utilizzato come combustibile per gli usi domestici; spesso ciò è causa di preoccupanti processi di degrado
forestale, soprattutto intorno alle città. Importante è, dal punto di vista economico, la produzione di legni
pregiati, perlopiù destinati all'esportazione. Il Gabon è il principale produttore di okumè, un legno usato per la
fabbricazione del compensato; la Costa d'Avorio, la Liberia (prima della guerra civile), il Ghana e la Nigeria
sono i principali esportatori di legno duro, molto ricercato dai mercati occidentali, ma ormai le aree di
produzione sono in via di esaurimento.
La pesca è praticata soprattutto nei laghi della Rift Valley; la pesca di mare è diffusa principalmente per il
consumo locale e ha notevole rilievo commerciale in Marocco, Mauritania, Senegal, Namibia, Mozambico e
Sudafrica.
Risorse minerarie
L'attività estrattiva rappresenta la voce più importante per il commercio estero africano e le industrie del settore
sono fra le più sviluppate del continente. Quasi la metà delle entrate provenienti dal commercio dei minerali è
fornita dal Sudafrica, dove si trova la maggior concentrazione di miniere d'oro e diamanti, oltre che di cromo,
amianto, carbone e rame.
Altri paesi importanti per l'attività estrattiva sono: Libia (petrolio), Nigeria (petrolio, gas naturale, carbone e
stagno), Namibia (diamanti, uranio), Algeria (petrolio, gas naturale, minerali di ferro), Zambia e Repubblica
Democratica del Congo (rame, cobalto, piombo e zinco), Zimbabwe (oro, amianto, carbone, cromo, minerali di
ferro e nichel) e Ghana (oro, bauxite e diamanti).
Si estrae petrolio anche lungo le coste africane occidentali, nel bacino del Gabon, nella Repubblica del Congo,
nella Repubblica Democratica del Congo e in Angola. Ricchi giacimenti di uranio si trovano soprattutto in
Sudafrica, nel Niger, nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana e nel Gabon.
Nella Repubblica Democratica del Congo si trova inoltre la più grande riserva mondiale di radio. Circa il 20%
delle riserve mondiali di rame sono concentrate in Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica e
Zimbabwe. Repubblica Democratica del Congo e Zambia possiedono anche il 90% dei presunti giacimenti di
cobalto del pianeta, mentre la Sierra Leone è dotata delle maggiori riserve di titanio.
I tre quarti dell'oro mondiale provengono dall'Africa; i principali produttori sono Sudafrica, Zimbabwe,
Repubblica Democratica del Congo e Ghana. In tutte le regioni del continente si trovano minerali ferrosi. Gran
parte della ricchezza mineraria dell'Africa è stata ed è tuttora gestita da grandi gruppi multinazionali. Negli anni
recenti i governi africani hanno acquisito quote sempre maggiori di compartecipazione nelle operazioni
economiche all'interno dei propri paesi.
Industria
Dalle industrie estrattive (minerali e petrolio) derivano quelle di trasformazione, quali raffinerie e fonderie,
dislocate in quasi tutti i paesi ricchi di minerali e dotati di adeguate disponibilità di energia. Il Sudafrica è il più
industrializzato dei paesi africani, anche se ormai gran parte di essi sono dotati di infrastrutture industriali;
Zimbabwe, Nigeria e i paesi nordafricani dispongono di distretti industriali di notevoli dimensioni.
L'industria pesante (metallurgica, meccanica e dei materiali per il trasporto) è concentrata nell'Africa
meridionale e in Nigeria. Centri industriali significativi si sono sviluppati anche in Kenya, Egitto, Marocco e
Algeria. Le industrie minerarie hanno avuto una crescita notevole nella Repubblica Democratica del Congo e
nello Zambia; Kenya e Costa d'Avorio hanno promosso soprattutto l'industria tessile, leggera e dei materiali da
costruzione. In altri paesi l'attività industriale si limita alla produzione o al montaggio di beni di consumo, quali
scarpe, biciclette, prodotti tessili, alimentari e bevande. Simili industrie hanno spesso un'attività ridotta a causa
della richiesta relativamente modesta del mercato. I tentativi dei paesi africani di sviluppare ulteriormente il
settore industriale, soprattutto nell’ambito della trasformazione dei prodotti agricoli d'esportazione al fine di
incrementarne il valore aggiunto, sono stati considerevolmente ostacolati dal protezionismo dei paesi
industrializzati, che impongono pesanti tariffe su tali beni. Un altro ostacolo agli scambi commerciali è inoltre
rappresentato dall'esiguo sviluppo delle vie di comunicazione fra i paesi del continente, le quali, costruite in età
coloniale, hanno un'impostazione funzionale agli interessi dei singoli stati.
Energia
Nigeria, Libia, Algeria e Angola sono i principali produttori africani di petrolio; essi, insieme ad altri paesi,
come il Gabon, ne sono anche esportatori. Le esportazioni di gas naturale dall'Africa fanno capo all'Algeria. La
produzione di carbone è concentrata soprattutto in Zimbabwe e in Sudafrica, benché numerosi altri paesi ne
posseggano cospicue riserve (ad esempio, il Botswana), non ancora sfruttate a causa della mancanza di mercati.
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Quasi tutto il carbone estratto in Africa è destinato al consumo interno.
Gli aumenti del prezzo del petrolio negli anni Settanta del Novecento ebbero ripercussioni negative per molti
paesi africani, poiché acuirono gravi problemi relativi alla bilancia dei pagamenti e al debito estero. L'elevato
potenziale di produzione di energia idroelettrica del continente è sfruttato solo in parte a causa degli alti costi di
costruzione, dell'inaccessibilità dei siti e della loro distanza dai mercati. Dopo gli anni Cinquanta sono state
tuttavia costruite la grande diga di Assuan sul fiume Nilo, principalmente destinata però ad ampliare il territorio
irriguo, la diga sul fiume Volta e le dighe di Kariba e Cabora Bassa sullo Zambesi; anche il grandioso "Piano
delle Acque" in via di realizzazione in Lesotho prevede lo sfruttamento di energia idroelettrica.
Commercio
Le economie di gran parte dei paesi africani sono affidate all'esportazione di uno o pochi altri prodotti, e ciò le
rende deboli ed esposte a notevoli rischi. I flussi commerciali sono orientati perlopiù verso i paesi
industrializzati, interessati all'acquisto di materie prime e all'esportazione di beni industriali e di consumo. Il
commercio fra gli stati africani è limitato dalla natura concorrenziale più che complementare dei loro prodotti e
in misura decrescente dalle barriere commerciali (tariffe doganali e di cambio). Un ulteriore ostacolo è
rappresentato dalle valute, che hanno circolazione solamente all'interno di ciascun paese o di alcuni gruppi di
paesi: ciò costringe a regolare gran parte degli scambi con il dollaro statunitense o la sterlina britannica.
Quasi tutte le ex colonie britanniche continuano a godere di relazioni di libero scambio con il Regno Unito e a
conservare le proprie riserve monetarie a Londra. Le ex colonie francesi hanno perlopiù mantenuto stretti
legami con la Francia e appartengono per la maggior parte all'area monetaria del franco CFA (Comunità
finanziaria africana). Inoltre, quasi tutti gli stati africani intrattengono rapporti economici con l'Unione Europea,
in virtù della Convenzione di Lomé, e beneficiano di riduzioni delle tariffe doganali. Pochi organismi
economici interafricani si sono formati e hanno avuto successo. I più duraturi sono la Comunità economica
degli stati dell'Africa occidentale e la Comunità economica degli stati centroafricani; quelli di maggior successo
sono la Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale e l'Area di scambio preferenziale degli stati dell'Africa
orientale e meridionale. L'Unione Africana (UA) promuove inoltre il commercio e lo sviluppo economico.
STORIA
Si ritiene comunemente che l'Africa sia stata la culla della razza umana, come testimoniano le scoperte
archeologiche e, in anni più recenti, alcune indagini genetiche. Circa 5 milioni di anni or sono nell'Africa
meridionale e orientale viveva un tipo di ominide, parente stretto, sotto il profilo evolutivo, degli uomini
odierni. Oltre 1,5 milioni di anni fa questo ominide, che era in grado di fabbricare utensili di pietra, si sviluppò
nelle forme più avanzate. L'Homo sapiens apparve in Africa oltre 200.000 anni or sono.
La prima grande civiltà africana ebbe inizio nella valle del Nilo intorno al 5000 a.C., dove nacquero
insediamenti stabili basati sull'agricoltura, che trassero beneficio dalle inondazioni del Nilo per l'irrigazione e la
formazione di nuovi suoli. La necessità di controllare le piene del Nilo portò gradualmente alla costituzione di
complessi organismi statali, sorretti da elaborati sistemi politici e religiosi (vedi Antico Egitto). Il regno d'Egitto
intrattenne rapporti con le altre civiltà mediterranee e, in minore misura, con quelle africane per molti secoli.
Nell'alta valle del Nilo si svilupparono le civiltà di Meroë e di Axum.
Nel periodo compreso tra la fine del III secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C., Roma conquistò l'Egitto,
Cartagine e altre regioni dell'Africa settentrionale; queste aree divennero i granai dell'impero romano (vedi
Africa proconsolare). La dominazione romana dell'Africa settentrionale ebbe termine nel V secolo con la
conquista dei vandali. Nel VI secolo la regione entrò a far parte dell'impero bizantino.
L'epoca degli imperi e delle città-stato
Gli eserciti islamici invasero l'Africa nel decennio successivo alla morte di Maometto, avvenuta nel 632, e
rapidamente schiacciarono la resistenza bizantina in Egitto.
Dalle loro basi in Egitto gli arabi invasero gli stati berberi a occidente e nell'VIII secolo conquistarono il
Marocco. Mentre i berberi della costa cominciarono a convertirsi all'Islam, molti altri si ritirarono nelle
montagne dell'Atlante o, più oltre, nel Sahara. Le minoranze arabe istituirono ordinamenti autocratici in Algeria
e in Marocco. Anche gli stati cristiani di Alwa e Maqurra, nel territorio dell'attuale Sudan, caddero in mano
araba, mentre solo il regno cristiano di Nobazia fu abbastanza forte da resistere agli invasori e impose la
conclusione di un trattato che gli assicurò l'indipendenza per 600 anni. Lungo la costa i conquistatori arabi
restarono una piccola minoranza dominante per diversi secoli.
Gli scambi commerciali attraverso il Sahara, praticati da millenni, ricevettero nuovo impulso nel corso dell'VIII
secolo. I capi delle carovane e gli uomini di religione diffusero nuovi valori politici, religiosi e sociali presso i
popoli che incontravano lungo la via. I musulmani penetrarono in Africa anche dallo Yemen e fondarono una
serie di città-stato quali Adal e Haràr: il Mar Rosso divenne così dominio dei mercanti musulmani.
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Sulla costa dell'Africa settentrionale emersero numerose dinastie rivali. Nell'VIII secolo i musulmani
nordafricani conquistarono gran parte della penisola iberica. All'epoca delle crociate pochi stati islamici molto
progrediti dominavano il Mediterraneo meridionale e orientale. Nel secolo XIV il Sudan cristiano fu sconfitto
dagli eserciti dei mamelucchi di Egitto. L'Egitto a sua volta venne conquistasto dagli ottomani nel 1517; il
potere reale rimase tuttavia nelle mani dei mamelucchi che governarono il paese fino al 1798, anno in cui
furono sconfitti da Napoleone I. Gli etiopi furono sopraffatti dalle forze del sultanato di Adal, ma nel 1542
sconfissero i musulmani con l'aiuto del Portogallo.
Numerosi regni sorsero nell'Africa occidentale e, precisamente, nella regione del Sahel; la loro economia si
basava sul controllo delle vie commerciali transahariane. Oro e schiavi, provenienti dalle regioni più a sud,
venivano ceduti in cambio di tessuti, utensili, sale e armi che giungevano da settentrione.
Il primo di questi stati, il regno del Ghana, era sorto intorno al V secolo d.C. nel territorio dell'attuale
Mauritania. Nell'XI secolo il Ghana s'impadronì delle vie commerciali che si estendevano dal Marocco a nord
fino alle foreste litoranee e alle zone aurifere dell'Africa occidentale, a sud. I nomadi berberi della
confederazione Sanhaja (la parte centrale della Mauritania odierna) rappresentavano il legame principale fra il
Ghana e le regioni a nord. Dopo la conquista delle coste nordoccidentali africane, gli arabi iniziarono a sfruttare
queste vie commerciali. All'inizio dell'XI secolo presso la corte del Ghana si trovavano consiglieri musulmani e
numerosi mercanti di fede islamica. Alla fine dell'XI secolo il regno del Ghana fu conquistato dagli Almoravidi,
che in seguito si spinsero anche a nord alla conquista del Marocco e della Spagna. Durante il XII secolo il regno
di Sosso del Fouta Djalon, già vassallo del Ghana, prese il sopravvento nella regione, ma cadde sotto il dominio
dell'impero del Mali intorno al 1240.
Situato intorno ai tratti superiori dei fiumi Senegal e Niger, l'impero del Mali si sviluppò all'inizio dell'XI
secolo da un gruppo di tribù mande. Alla metà del secolo XIII, lo stato conobbe un periodo di espansione sotto
la guida del sovrano Sundjata Keita e si convertì all'islam. L'impero del Mali raggiunse l'apogeo sotto Musa,
che compì un pellegrinaggio alla Mecca nel 1324-25, strinse relazioni diplomatiche con Tunisi e con l'Egitto e
fece arrivare nell'impero numerosi studiosi e artigiani musulmani; dall'epoca di Musa in avanti, il Mali
comparve nelle carte geografiche. Dopo il 1400 l'impero cadde in declino e nel ruolo di stato guida emerse il
Songhai, nel Sudan occidentale (zona del Sahel). Il periodo di maggiore espansione di questo stato coincise con
il regno di Sonni Alì e Askia Muhammad; durante il regno di quest'ultimo l'Islam conobbe una grande fioritura
a corte e Timbuctu divenne uno dei principali centri della cultura islamica, famosa per la sua università e il
commercio di libri. Attratti dalla ricchezza del regno, gli eserciti di al-Mansur del Marocco annientarono Gao,
la capitale del Songhai, nel 1591. In seguito al crollo del Songhai, numerosi piccoli regni tentarono di stabilire
un dominio sul Sudan occidentale, ma ne conseguirono solamente conflitti permanenti e declino economico.
A est del Songhai, tra il fiume Niger e il lago Ciad, sorsero e si svilupparono le città-stato degli hausa e il regno
di Kanem-Bornu. Gli stati hausa (Biram, Daura, Katsina, Zaria, Kano, Rano e Gobir) ebbero origine prima del
X secolo; dopo la caduta del Songhai, il commercio transahariano si indirizzò verso oriente, dove finì sotto il
controllo di Katsina e Kano. Queste città divennero centri di floridi commerci e prospera vita urbana. L'Islam fu
introdotto negli stati hausa nel XIV secolo.
Il regno di Kanem-Bornu esisteva già nell'VIII secolo quale stato dalla struttura incerta, a nord e a est del lago
Ciad. Inizialmente fu dominio di una popolazione nomade, gli zaghawa, sopraffatta in seguito dalla dinastia dei
saifawa. I nuovi dominatori si convertirono all'Islam nel secolo XI. Alla fine del XIV secolo, spinti
dall'invasione della regione da parte dei bulala, i sultani del Kanem si spostarono nel Bornu. Il sovrano più noto
del Bornu fu Idris Aluma (1580-1617). Al suo apogeo, il Kanem-Bornu controllava le vie commerciali del
Sahara orientale, che collegavano l'Africa centrale alla Libia e all'Egitto; alla metà del secolo XVII ebbe
tuttavia inizio il suo lento declino.
Durante l'epoca dei grandi imperi sudanesi (X-XVI secolo), la vita di contadini, pastori e pescatori rimase
praticamente immutata, e questi continuarono a praticare le religioni tradizionali. L'islam si diffuse nei grandi
centri urbani, tra le classi sociali più elevate e gli stranieri. Dalla fine del XV secolo ebbe inizio la predicazione
dei nomadi arabi kunta e, alla metà del secolo XVI, le confraternite della Qadiriyya cominciarono a diffondere
l'Islam in tutto il Sudan occidentale. All'incirca nello stesso periodo i fulani, un popolo di pastori nomadi,
migrarono verso oriente dalla regione senegalese del Futa Toro, conquistando numerosi fedeli all'Islam. L'Islam
tuttavia subì un certo declino presso le classi dominanti, tanto che dinastie non islamiche regnarono in alcune
vecchie roccaforti musulmane fino al secolo XVIII.
Agli inizi del XIX secolo l'islam riprese vigore nel Futa Toro e in altre regioni africane, spesso come reazione
alla penetrazione coloniale europea, e si diffuse tra i fulani, i mandingo, i soso e i tukolor. Rovesciate le antiche
dinastie, sorsero stati teocratici che diffusero l'islam in nuove regioni. Negli stati hausa, Usuman dan Fodio
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guidò una rivolta contro i fulani i quali, fra il 1804 e il 1810, scacciarono i sovrani hausa e diedero origine a
nuove dinastie. Ma un tentativo di incursione nel Bornu incontrò la resistenza, coronata da successo, del capo
religioso al-Kanemi. Dopo la morte di Usuman, il potere passò nelle mani del figlio Muhammad Bello (1817).
Un altro stato teocratico si formò in Macina nel 1818 a opera di Seku Ahmadu, che lanciò un jihad contro i
bambara animisti e creò un regno che abbracciava l'intera regione del fiume Niger, da Djenné a Timbuctu.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1844, gli succedette il figlio, ma nel 1862 lo stato cadde nelle mani di un altro
riformatore islamico, al-Hajj Umar, che creò il vasto impero tukolor nella regione del Senegal.
Le prime testimonianze storiche dell'Africa orientale compaiono nel Periplo del Mare Eritreo (compilato da un
marinaio greco intorno al 100 d.C.), che descrive la vita economica della regione e i suoi legami con il mondo
al di là dell'Africa. Durante il primo millennio dell'era cristiana immigranti indonesiani raggiunsero le coste del
Madagascar impiantando nuove coltivazioni, in particolare quella delle banane, e nuovi sistemi di irrigazione.
Popoli di lingua bantu si insediarono nell'immediato interno organizzandosi in clan e assimilando i popoli
khoisan. Mercanti arabi si insediarono sulla costa, avviando l'esportazione di oro, avorio e schiavi e in seguito
fondarono alcune città-stato, tra cui Mogadiscio, Malindi, Lamu, Mombasa, Kilwa, Pate e Sofala. Le classi
dominanti erano formate da meticci arabo-indo-africani; la popolazione era di etnia bantu, perlopiù ridotta in
schiavitù. Queste città-stato mercantili erano orientate verso il mare e il loro influsso politico sui popoli
dell'interno fu praticamente inesistente fino al XIX secolo.
Gli stati complessi e progrediti della regione dei laghi conobbero i primi sviluppi nel secolo XIV, ma ben poco
si conosce della loro storia più antica. Secondo alcuni, i popoli cusciti scesero dagli altipiani etiopici per
dominare gli indigeni bantu. Si ritiene che cusciti siano gli antenati dei popoli tutsi degli odierni stati di
Tanzania, Ruanda e Burundi. Situati fra i laghi Vittoria ed Edoardo, i primi regni fiorirono prima del 1500,
allorché furono sopraffatti da una prima ondata di popoli luo, provenienti dal Sudan. Tra i grandi stati che si
formarono nella regione, quello del Bunyoro fu il più potente fino alla seconda metà del XVIII secolo. In
seguito iniziò l'espansione del Buganda; fu allora istituita una complessa burocrazia centralizzata, in base alla
quale gran parte dei capi dei distretti e delle organizzazioni territoriali erano nominati dal re (il kabaka).
Più a sud, nel Ruanda e nel Burundi, un'aristocrazia di allevatori tutsi dominò i popoli bantu, dal XVI secolo in
poi.
A partire dal IX secolo nella savana congolese popoli di lingua bantu fondarono comunità di agricoltori. In
alcune regioni si sviluppò uno scambio commerciale con la costa orientale, soprattutto di rame e avorio. Nel
corso del XIV secolo fu fondato il regno del Congo, che dominava una regione dell'attuale Angola, compresa
tra i fiumi Congo e Loge e tra il fiume Cuango (Kwango) e l'Atlantico. Qui si sviluppò un complesso sistema
politico che faceva capo a numerosi governatori provinciali e, in ultima istanza, a un sovrano scelto fra i
discendenti del re fondatore Wene.
Nella zona fra il corso superiore del Kasai e il lago Tanganica, intorno al 1500 i piccoli regni bantu furono uniti,
dal mitico capo Nkongolo, in un impero. La mancanza di adeguati strumenti di centralizzazione causò tuttavia
ripetute lotte dinastiche e scissioni fra gli stati. Intorno al 1600 un giovane erede della dinastia abbandonò il
regno e fondò l'impero lunda, che ebbe brevissima vita. I membri della casa reale partirono così alla conquista
di nuovi territori e fondarono i regni di Bemba, Kasanje e Kazembe. Quest'ultimo, il più esteso e potente degli
stati luba-lunda, fra il 1750 e il 1850 dominò lo Shaba meridionale e parti dell'altopiano dello Zimbabwe.
La tradizione orale e l'archeologia non consentono una conoscenza precisa del popolamento dell'Africa australe.
Gli shona, discendenti dei karanga, costituirono vari regni a partire dall'XI secolo, in particolare quello dello
Zimbabwe. Essi si organizzarono in seguito in varie federazioni, tra cui la più nota è il regno di Mwene Mutapa,
la cui prosperità si basò sull'oro e sul commercio del rame. Al suo apogeo, nel secolo XVI, l'influenza del regno
si estendeva dal fiume Zambesi al Kalahari, all'oceano Indiano e al fiume Limpopo.
Prima del secolo XIX alcuni popoli di lingua bantu avevano allontanato o assimilato popolazioni khoisan e
costituito numerosi stati. All'inizio del XIX secolo la pressione demografica e lo scoppio di carestie portarono a
una serie di guerre e di migrazioni su larga scala (le mfecane) che coinvolsero tutta l'Africa meridionale e
centrale. Le mfecane ebbero inizio intorno al 1816, quando il re zulu Chaka sviluppò nuove tecniche militari e
si impegnò in guerre di conquista contro i popoli vicini. Le tribù sconfitte migrarono dalle regioni sudorientali
dell'Africa meridionale e, avendo appreso nuove tecniche di battaglia dagli zulu, annientarono popoli che
vivevano in regioni più remote e che, a loro volta, furono costretti a cercare nuove terre. Gli ndwandwe, guidati
da Sobhuza, si spinsero a nord dove, intorno al 1820, fondarono il regno Swazi. Anche gli ngoni si spinsero a
nord, attraversando il Mozambico e oltrepassando il lago Malawi; nel 1848 costituirono cinque regni che
compirono ripetute incursioni fra il lago Vittoria e lo Zambesi. Un altro gruppo, guidato da Soshangane, migrò
nel Mozambico meridionale, dove fondò lo stato di Gaza nel 1830 circa. I kololo migrarono verso nord, dove si
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scontrarono con i lozi. Gli ndebele si spinsero a occidente (1824-1834) e a nord (1837) nella regione
dell'odierno Zimbabwe, fondando un regno nel Matabeleland.
L'imperialismo europeo
Con Enrico il Navigatore, i portoghesi iniziarono l'esplorazione delle coste africane. Numerose spedizioni
vennero organizzate a partire dal 1420, e ciascuna ampliò la conoscenza della costa africana in direzione sud
fino a quando, nel 1497-98, Vasco da Gama doppiò il Capo di Buona Speranza.
Le esplorazioni dei portoghesi obbedivano a diversi impulsi: sete di conoscenza, desiderio di conquista, ricerca
di potenziali alleati contro la minaccia islamica e speranza di scoprire nuove e lucrose rotte commerciali verso
oriente. Ai portoghesi seguirono gli inglesi, i francesi e gli olandesi, che sconvolsero i sistemi economici e
politici esistenti e avviarono lo sfruttamento delle risorse delle regioni africane e la tratta degli schiavi.
I portoghesi fondarono numerosi insediamenti commerciali lungo la costa africana occidentale: il principale fu
El Mina, sorto sulla Costa d'Oro nel 1482. Di fatto gli europei ritenevano che soltanto questa zona e le regioni
del Congo e di Luanda fossero favorevoli ai commerci. Oro, avorio, derrate alimentari e schiavi africani
venivano scambiati con ferro, armi da fuoco, tessuti. I portoghesi attirarono i mercanti di altri paesi europei, i
quali, nel XVI secolo, crearono nuove postazioni commerciali o cercarono di monopolizzare i traffici esistenti.
Nell'Africa occidentale i nuovi sviluppi del commercio ebbero considerevoli ripercussioni. In precedenza le
rotte commerciali erano dirette a nord, attraverso il Sahara, soprattutto verso il mondo musulmano; in seguito il
flusso mercantile cominciò a dirigersi verso la costa e, quando gli stati della savana decaddero sotto il profilo
economico, gli stati situati sul mare accrebbero le loro ricchezze e il loro potere. In breve tempo entrarono in
conflitto tra loro per il controllo delle rotte commerciali e per l'acquisizione delle nuove armi da fuoco
introdotte dagli europei.
Con l'inizio del commercio degli schiavi verso le Americhe i conflitti per il controllo dei traffici mercantili
africani si acuirono. Durante i quattro secoli in cui si praticò la tratta degli schiavi, milioni e milioni di africani
furono vittime di questo traffico di vite umane. Il primo regno importante che trasse profitto dalla tratta degli
schiavi fu il Benin. Dalla fine del secolo XVII esso fu soppiantato dai regni del Dahomey e dell'Oyo.
Alla metà del XVIII secolo gli ashanti assursero a principale potenza africana. Durante il regno dell'asantehene
(re) Osei Kojo (1764-1777), gli eserciti ashanti si spinsero verso le stazioni commerciali europee situate lungo
la Costa d'Oro. Essi si assicurarono regolari rifornimenti di armi da fuoco che utilizzarono per espandersi a nord
e combattere contro il Dahomey per il dominio delle frontiere orientali. Più a est il regno yoruba di Oyo
tramontò alla fine del XVIII secolo, con lo scoppio della guerra civile e l'intervento delle forze fulani dal nord.
Intorno al 1835 la capitale imperiale venne abbandonata e nella battaglia di Oshogbo (1840 ca.) i fulani furono
respinti. Le guerre civili durarono fino al 1893, quando il regno yoruba si disgregò in numerosi stati rivali.
Al volgere del secolo XVIII la Gran Bretagna iniziò ad assumere un atteggiamento contrario alla tratta degli
schiavi, e dopo la risoluzione di Mansfield del 1772, la Gran Bretagna decise di fondare in Africa occidentale
una colonia destinata agli ex schiavi. Il primo tentativo (1787-1790) a St George's Bay (nell'attuale Sierra
Leone) fallì; un secondo tentativo fu compiuto dagli abolizionisti che, nel 1792, fondarono Freetown. Dopo
aver proibito la tratta degli schiavi nel 1807, i britannici fecero di Freetown un'utile base per condurre
operazioni navali contro tale commercio; nel 1808 la Sierra Leone divenne una colonia della corona britannica.
L'esempio della Sierra Leone attrasse gli americani interessati all'emancipazione dei neri e, all'inizio del 1822,
l'American Colonization Society fondò una colonia, la Liberia, nel vicino Capo Mesurado.
Il disegno britannico di sopprimere il commercio degli schiavi (per ragioni sia umanitarie sia economiche: gli
schiavi fornivano alla concorrenza manodopera a basso costo) trovò espressione nei tentativi di riorientare il
commercio africano verso altre esportazioni, ad esempio l'olio di palma, nel rafforzamento dell'attività
missionaria e nell'imposizione della legge della Gran Bretagna su territori precedentemente posseduti da
mercanti britannici. Tali sviluppi coinvolsero spesso il Regno Unito in conflitti con gli stati africani e lo
indussero a dichiarare la propria sovranità su crescenti porzioni di territorio. Nel 1821 il governo britannico
assunse il controllo di una serie di fortificazioni in Costa d'Oro. Due anni dopo, scoppiò la prima di una serie di
guerre fra britannici e ashanti, che durò fino al 1826; questi conflitti si sarebbero protratti a lungo: i britannici
riuscirono a sottomettere stabilmente gli ashanti solo nel 1900. Nel delta del Niger, in Nigeria, l'abolizione della
schiavitù determinò lo sviluppo del commercio dell'olio di palma e la necessità di fondare un porto; i britannici
erano inoltre ansiosi di allontanare i mercanti di schiavi dagli stati del delta (Calabar, Bonny e Brass). Nel 1852,
di conseguenza, essi costrinsero il sovrano di Lagos ad accettare la protezione britannica e nel 1861 Lagos fu
annessa dal Regno Unito quale colonia della corona.
Nell'Africa centrale e orientale l'influenza europea ebbe conseguenze diverse. Giunti sulla costa congolese e
angolana verso la fine del XV secolo, i portoghesi si allearono subito con i sovrani del Congo che si
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convertirono al cristianesimo e cercarono di creare uno stato ispirato alle istituzioni occidentali. Il loro
proposito fallì a causa delle guerre fratricide e dell'introduzione, da parte dei portoghesi, della tratta degli
schiavi. Ben presto la regione fu teatro di aspri conflitti e, nel corso del secolo XVI, il regno crollò. Più a sud i
portoghesi fondarono Luanda, nel 1575, e la utilizzarono come base per penetrare nell'interno dell'Angola: da
qui proveniva circa la metà degli schiavi inviati nelle Americhe. Approdati sulla costa africana orientale, i
portoghesi cercarono di ostacolare il flusso commerciale verso il mondo musulmano, con il risultato che molte
città-stato vennero distrutte, altre furono occupate e l'intera regione si trovò ad affrontare una profonda crisi.
Nel 1698 la costa orientale africana tornò sotto il dominio di governanti locali, ma durante il XVIII secolo
passò sotto il controllo dei sultani dell'Oman. All'inizio del XIX secolo il sultano Sayyid Said, sovrano
dell'Oman, trasferì la sede del sultanato a Zanzibar, sfruttata in seguito per rafforzare il controllo sulla costa,
penetrare all'interno e commerciare con gli stati della regione dei laghi. I tentativi britannici di controllare il
commercio degli schiavi in Africa orientale, di minor rilievo rispetto alla tratta gestita dagli europei in Africa
occidentale, culminarono in un trattato, siglato nel 1822, che proibiva la vendita di schiavi a sudditi di paesi
cristiani. Il trattato non pose tuttavia fine alla tratta: moltissimi africani furono catturati e destinati alle
piantagioni di chiodi di garofano a Zanzibar e ai mercati del Medio Oriente.
In Etiopia l'arrivo dei portoghesi aveva ostacolato la conquista musulmana. Nel 1542 gli etiopi respinsero i
musulmani con l'aiuto dei portoghesi, che, nel 1632, in seguito a dispute religiose, furono cacciati dal regno
etiope. In seguito l'Etiopia entrò in un periodo di isolamento e di declino e venne frazionata in una serie di
piccoli regni governati da signori locali (i cosiddetti ras). Teodoro II, con l'aiuto del clero, nel 1855 sottomise
gran parte dei feudatari e fondò un impero.
I portoghesi ignorarono in larga misura l'Africa meridionale, ma i loro rivali, gli olandesi, a partire dal 1652
valorizzarono la zona quale scalo sulla via delle Indie. Per un breve periodo i coloni furono incoraggiati a
insediarsi intorno a Città del Capo; si svilupparono così una nuova cultura e un nuovo popolo, i boeri o
afrikaner. Nonostante l'opposizione del governo di Londra, i boeri iniziarono a penetrare nell'interno per cercare
terre migliori e, dopo il 1815, per sfuggire al controllo britannico. Durante queste incursioni si imbatterono
negli zulu e in altri popoli bantu con i quali entrarono in conflitto per il possesso dei territori. Nel corso delle
loro migrazioni i boeri furono tra i primi bianchi a esplorare le regioni interne dell'Africa.
Alla fine del XVIII secolo l'interesse per la scienza e la ricerca di nuovi mercati diedero impulso a una nuova
epoca di esplorazioni. L'esploratore britannico James Bruce giunse alla sorgente del Nilo nel 1770, mentre il
suo conterraneo Mungo Park esplorava (1795 e 1805) il corso del fiume Niger. L'esploratore tedesco Heinrich
Barth si avventurava nella parte occidentale del Sahel sudanese, mentre il missionario scozzese David
Livingstone esplorava il fiume Zambesi e nel 1855 attribuiva il nome di Vittoria alle cascate che la popolazione
locale chiamava Musi-Ua-Tonya ("il fiume che tuona"). Seguivano gli esploratori (e talvolta li precedevano) i
missionari cristiani e, al loro seguito, i mercanti.
All'ampliamento degli interessi privati europei in Africa corrispose il maggiore coinvolgimento dei loro
governi. I francesi cominciarono la conquista dell'Algeria e del Senegal nei primi decenni del secolo XIX, ma
l'occupazione sistematica dell'Africa tropicale avvenne soltanto nella seconda metà del secolo. Nel 1876 il re
Leopoldo II del Belgio istituì l'Associazione internazionale del Congo, una società privata per l'esplorazione e
la colonizzazione della regione diretta da Henry Morton Stanley. Dal 1880 al 1905 gran parte dell'Africa fu
suddivisa tra Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Portogallo. Dal 1884 la forte rivalità fra le
potenze europee in cerca di ulteriori acquisizioni territoriali e i limiti mal definiti delle loro diverse società
costituivano una minaccia per le relazioni internazionali. Per risolvere questi problemi fu convocato il
congresso di Berlino, al quale parteciparono delegati delle nazioni europee e degli Stati Uniti.
Durante il congresso (1884-85) le potenze europee definirono la loro sfera di influenza e stabilirono le norme
per la futura occupazione delle coste africane e per la navigazione dei fiumi Congo e Niger. Fu stabilita inoltre
la norma in base alla quale, quando una potenza acquisiva nuovi territori in Africa o assumeva il protettorato di
una regione del continente, avrebbe dovuto darne notizia alle altre potenze firmatarie. Durante i successivi 15
anni le nazioni europee sottoscrissero numerosi trattati, con i quali si dava attuazione e si modificavano le
disposizioni della conferenza. Due furono sottoscritti dalla Gran Bretagna nel 1890: il primo, con la Germania,
delimitava le sfere di influenza delle due potenze in Africa; il secondo, con la Francia, riconosceva gli interessi
britannici nella regione fra il lago Ciad e il fiume Niger e legittimava l'influenza francese nel Sahara. Altri
accordi, in particolare quelli fra Gran Bretagna e Italia del 1891, tra Francia e Germania del 1894 e fra Gran
Bretagna e Francia del 1899, definirono ulteriormente i limiti delle varie società europee operanti in Africa.
5.2.7 La resistenza africana
Nessuno stato africano presenziò al congresso di Berlino e nessuno di essi fu tra i firmatari degli accordi che ne
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scaturirono. Quando fu possibile, le decisioni prese in Europa vennero contrastate al momento della loro
applicazione sul suolo africano. I francesi affrontarono una rivolta in Algeria (1870) e incontrarono forti
resistenze (1881-1905) ai loro tentativi di controllare il Sahara. Nel Sudan occidentale il sovrano mandinka
Samory Touré e Ahmadu, il figlio e successore di al-Hajj Umar dello stato tukolor, cercarono di conservare
l'indipendenza, ma entrambi furono sconfitti dai francesi: Ahmadu nel 1893 e Samory cinque anni dopo. Il
Dahomey venne occupato dalle forze francesi nel 1892; la regione del Wadai fu l'ultima a cadere nelle mani
della Francia nel 1900.
Gli amministratori britannici incontrarono un'analoga resistenza da parte di boeri e zulu in Africa australe, negli
anni 1880-81 e 1899-1902 (vedi Guerra anglo-boera). I coloni britannici e boeri conquistarono il Matabeleland
nel 1893 e, tre anni dopo, sia i matabele (ndebele) sia gli shona si ribellarono. A più riprese, nel 1893-94, nel
1895-96 e nel 1900, scoppiarono rivolte nella regione degli ashanti e in Sierra Leone (1897). Anche la
conquista britannica degli stati fulani-hausa incontrò resistenza (1901-1903). Il Sokoto insorse nel 1906. I
tedeschi affrontarono l'insurrezione degli herero nell'Africa sudoccidentale (1904-1908).
Soltanto gli etiopi guidati dall'imperatore Menelik II (regnante nel periodo 1889-1909) resistettero con successo
alla conquista europea, annientando le truppe italiane nella battaglia di Adua nel 1896.
Il nazionalismo africano
Una volta conquistati e pacificati i territori, le amministrazioni europee diedero avvio allo sviluppo dei sistemi
di trasporto per facilitare l'imbarco delle materie prime provenienti dalle regioni dell'interno e destinate
all'esportazione; le potenze coloniali istituirono anche sistemi fiscali che prevedevano il pagamento delle
imposte in natura o attraverso forme di lavoro non remunerato per la costruzione delle infrastrutture. Entrambe
queste politiche erano bene avviate quando scoppiò la prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto, i territori
tedeschi nell'Africa occidentale e sudoccidentale furono conquistati e in seguito affidati in mandato dalla
Società delle Nazioni alle varie potenze alleate. Migliaia di africani furono arruolati o impiegati come portatori
dagli eserciti alleati. L'opposizione alla guerra si limitò alla ribellione di breve durata di John Chilembwe
(1915), un prete africano, nel Nyasaland (oggi Malawi).
Dopo la prima guerra mondiale lo sfruttamento delle colonie fu mitigato dagli sforzi volti a fornire alle
popolazioni un'istruzione e servizi sociali di base. Le colonie con insediamenti di bianchi, quali l'Algeria, la
Rhodesia meridionale (oggi Zimbabwe) e il Kenya, furono tuttavia dotate di importanti organi di autogoverno.
La Rhodesia meridionale divenne una colonia britannica con un proprio governo autonomo nel 1923, ma gli
africani non ebbero diritto di voto.
Negli anni fra le due guerre mondiali cominciarono a emergere numerosi movimenti africani di protesta e
nazionalisti, per iniziativa di gruppi di africani educati in Occidente, ma soltanto in Algeria e in Egitto nacquero
partiti di massa. L'Etiopia, che aveva resistito con successo alla colonizzazione europea, perse la sua libertà a
causa dell'invasione italiana del 1936 e non riconquistò l'indipendenza fino alla seconda guerra mondiale. Con
lo scoppio della guerra gli africani combatterono negli eserciti degli Alleati, di cui le colonie sostennero la
causa. I combattimenti nel continente ebbero termine nel maggio del 1943.
La nuova Africa
Dalla seconda guerra mondiale le potenze coloniali europee uscirono economicamente e psicologicamente
indebolite, mentre era cresciuto il ruolo internazionale delle superpotenze statunitense e sovietica. Nelle colonie
francesi dell'Africa settentrionale, dal 1947 in poi si sviluppò un forte movimento nazionalista. La rivoluzione
algerina ebbe inizio nel 1954 e proseguì fino al 1962, anno in cui il paese ottenne l'indipendenza, già raggiunta
dal Marocco e dalla Tunisia nel 1956. Nell'Africa subsahariana francese il presidente Charles De Gaulle aveva
cercato di prevenire i movimenti nazionalistici garantendo agli abitanti dei territori d'oltremare lo status di
cittadini a pieno titolo e consentendo a deputati e senatori di ciascun territorio di sedere nel Parlamento
francese. Ma i limiti al diritto di voto e alla rappresentanza di ciascun territorio si rivelarono inaccettabili.
Nelle colonie britanniche il ritmo del cambiamento accelerò dopo la guerra. Cominciarono ad apparire partiti di
massa che accoglievano la schiera più ampia possibile di gruppi sociali, etnici ed economici. Nel Sudan, i
disaccordi fra l'Egitto e la Gran Bretagna circa l'orientamento dell'autogoverno sudanese indussero i britannici a
concedere l'indipendenza nel 1954. Durante gli anni Cinquanta gli esempi delle nazioni di recente
indipendenza, la rivolta dei Mau-Mau in Kenya e l'abilità di alcuni leader popolari africani come Kwame
Nkrumah produssero nuovi impulsi indipendentisti. Il Ghana ottenne l'indipendenza nel 1957, la Guinea nel
1958. Nel solo 1960 nacquero ben diciassette nazioni africane sovrane.
Alla fine degli anni Settanta quasi tutta l'Africa era indipendente. I possedimenti portoghesi – Angola, Capo
Verde, Guinea-Bissau e Mozambico – raggiunsero finalmente l'indipendenza nel 1974-75, dopo anni di violenti
conflitti. La Francia rinunciò alle isole Comore nel 1975 e Gibuti ottenne l'indipendenza nel 1977. Nel 1976 la
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Spagna abbandonò il Sahara Spagnolo, che fu poi suddiviso fra Mauritania e Marocco; qui però si continuò a
combattere una dura guerra per l'indipendenza. La Mauritania cedette la sua parte nel 1979, ma il Marocco,
prendendo il sopravvento sull'intero territorio, continuò a combattere il locale Fronte Polisario.
Lo Zimbabwe conquistò l'indipendenza nel 1980. L'ultimo grande possedimento coloniale nel continente, la
Namibia, conseguì l'indipendenza nel 1990. Ma si dovette attendere il 1994 perché la maggioranza nera in
Sudafrica ottenesse la propria "indipendenza" grazie a un governo democraticamente eletto.
L'Africa uscì dal periodo coloniale in una situazione di grave crisi economica, politica e sociale. Inoltre, gran
parte dei paesi africani conservò le frontiere tracciate arbitrariamente sul finire del secolo XIX dai diplomatici e
dagli amministratori europei. In molti casi i gruppi etnici vennero divisi dai confini nazionali e spesso la lealtà
nei confronti dei gruppi fu molto più forte di quella verso lo stato: la ripercussione immediata fu lo scoppio di
violente ribellioni e conflitti etnici in molti paesi (ad esempio la guerra del Biafra).
Per evitare conflitti etnici e cercare di mantenere l'equilibrio interno, molte tra le nuove democrazie divennero
ben presto dei regimi autoritari a partito unico, la cui sopravvivenza dipendeva dal sostegno finanziario e
militare delle superpotenze. I regimi africani si caratterizzarono tuttavia per un'estrema instabilità e per il
sovente cambio di guardia attraverso cruenti pronunciamenti militari.
Anche lo sviluppo economico rappresentò un problema insormontabile per la nuova Africa. Benché gli stati
africani disponessero di cospicue risorse naturali, pochi avevano i mezzi finanziari necessari a sviluppare le loro
economie. Spesso le imprese private straniere considerarono troppo rischiosi gli investimenti in queste regioni
instabili e l'unica possibilità per molti paesi africani di accedere a crediti fu quella di rivolgersi ai paesi
industrializzati e agli istituti finanziari internazionali, con i quali contrassero un enorme debito, che finì per
condizionare enormemente le già esigue possibilità di sviluppo economico e sociale; negli anni Ottanta, la
restituzione di questi prestiti portò pressoché alla bancarotta molte economie africane.
Nel frattempo le aspettative delle nazioni africane per un migliore tenore di vita sono aumentate. Mentre il
prezzo delle merci e di altri prodotti d'importazione è cresciuto costantemente, altrettanto non è accaduto per il
prezzo sui mercati mondiali di gran parte dei principali prodotti africani. La recessione mondiale dei primi anni
Ottanta ha moltiplicato le difficoltà che avevano avuto inizio con l'aumento dei prezzi del petrolio negli anni
Settanta. I gravi problemi negli scambi internazionali e il fardello del debito estero hanno aggravato il
malcontento delle popolazioni. Negli anni Ottanta la carestia e la siccità hanno colpito le regioni centrali e
settentrionali del continente e milioni di profughi sono stati costretti ad abbandonare la propria patria in cerca di
cibo, accrescendo i problemi dei paesi che li hanno accolti.
Alla fine degli anni Ottanta e all'inizio dei Novanta il protrarsi di conflitti locali in Ciad, Somalia, Sudan, nella
regione sahariana, nell'Africa meridionale e un po' ovunque nel continente ha causato la destabilizzazione dei
governi, l'arresto del progresso economico e la perdita di migliaia di vite umane. Al termine della guerra civile
in Etiopia nel 1991, in Eritrea si è formato un governo autonomo che nel 1993 ha dichiarato l'indipendenza del
paese. Nell'aprile del 1994, dopo la morte in un incidente aereo dei presidenti del Ruanda e del Burundi, sono
scoppiati aspri conflitti fra i due principali gruppi etnici del Ruanda, gli hutu e i tutsi.
A causa delle sue precarie istituzioni e del protrarsi della grave crisi economica il peso politico internazionale
dell'Africa è ulteriormente diminuito e attualmente il continente sta vivendo da una parte un violento scontro di
interessi economici e culturali tra gli Stati Uniti e la Francia, dall'altra il tentativo del fondamentalismo islamico
di imporre la propria egemonia in vari paesi.
Nei primi anni Novanta la fine del regime di segregazione razziale nel Sudafrica di Nelson Mandela ha
suscitato nuove speranze nel continente africano.
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