IL GIUSTO PROCESSO - Liceo Classico "F. Petrarca"

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IL GIUSTO PROCESSO
“Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona:
«a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto». Nel Lager, dove l’uomo è
solo e la lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua
è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti.” (Primo Levi)
LICEO STATALE “F. PETRARCA” LICEO CLASSICO LICEO MUSICALE Via Cavour, 44 - 52100 Arezzo (AR) tel 0575 22675 fax 0575 20397 e-mail
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1
3ª Lezione

La libertà di pensiero.
Percorso tra i Processi famosi nella storia dell’umanità:
“Il processo a Socrate”

Crimini contro la pace. Crimini di guerra. Crimini contro
l’umanità.
Percorso tra i Processi famosi nella storia dell’umanità:
“Il processo di Norimberga”
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LA LIBERTA’ DI PENSIERO
L’ampio riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero,
contenuto nell’articolo 21, comma 1, della nostra Costituzione: “Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione”, evidenzia quale fondamentale rilievo assuma
tale libertà in un regime democratico.
Appare evidente, infatti, non solo che un regime in cui non sia possibile
manifestare liberamente il proprio pensiero non può certamente essere
definito democratico ma, anche, che la «democraticità» di un ordinamento è
direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del
pensiero viene riconosciuta ed in concreto attuata.
Ciascuno di noi è del tutto libero di esporre il proprio pensiero, assumendone
le relative responsabilità qualora commetta un illecito o un reato (ad esempio
violando la riservatezza di altre persone, o un segreto professionale,
diffondendo notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine
pubblico).
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IL DIRITTO ATTICO
Nell’ Ellade non esisteva un diritto unitario paragonabile al diritto
romano, vi era invece una molteplicità di differenze, sia nella
nozione che nella applicazione del diritto, che rispecchiava le
diverse forme di società. Tali strutture diversificate di diritto sono
state dagli studiosi definite come “Diritti greci” - “Diritto ellenistico” “Diritto greco comune” - “Diritto greco ed ellenistico”.
Per “Diritto attico” si intende il diritto degli Ateniesi dell’epoca
classica (V – IV sec. a.C.). Ad Atene non esisteva una categoria di
giuristi come a Roma, la disciplina del diritto attico è stata ricostruita
ricavandola da ciò che ci hanno lasciato filosofi, oratori, storiografi e
scrittori.
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Il processo nel diritto attico
Il processo si svolgeva dinanzi ad una giuria composta da un numero elevato
di giudici estratti a sorte (variabile da 201 a 601 membri). Si potevano
produrre essenzialmente quattro tipi di prove: 1. documenti scritti recanti il
testo delle leggi; 2. atti e documenti scritti diversi dalle leggi; 3. testimonianza;
4. giuramento.
Anche l’espressione più pura della democrazia, cioè il giudizio popolare,
presentava il rischio della corruzione, dato che non vi era mai la garanzia della
genuinità dei giudizi, né della formazione della giuria.
Il dibattito si svolgeva attraverso i discorsi pronunciati direttamente dalle parti,
prima dall’accusatore e poi dall’accusato. Nel processo attico non esistevano
gli avvocati, si potevano invece utilizzare dei soggetti che parlassero in proprio
favore (amici o parenti). Era anche uso portare in processo i familiari ed i
bambini per attirare le simpatie dei giudici o per commuoverli.
Socrate, nel processo a lui fatale, non ha quindi difensori, egli stesso
costruisce e declama l’arringa, la propria «apologia».
Una volta terminati i discorsi si arrivava alla votazione. In caso di parità di voti
il processo si concludeva con l’assoluzione dell’accusato.
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IL PROCESSO A SOCRATE:
le accuse→ tra pretesti giuridici e vere motivazioni
Nel 399 a. C. Socrate (470/469 – 399 a. C.) viene processato a seguito dell’accusa
di empietà formulata contro di lui da alcuni suoi concittadini.
L’accusa di empietà, nella sua genericità, era molto pericolosa perché, non
corrispondendo ad un preciso reato definito dalle leggi ateniesi, era rimessa alla
definizione e al riconoscimento da parte dei giudici.
L’accusa era articolata in tre punti: 1) non credere agli dei tradizionali; 2) introdurre
nuove divinità, minando così i fondamenti stessi della tradizione ateniese; 3)
corruzione dei giovani.
Accanto ed oltre le accuse che gli vengono ufficialmente mosse, Socrate, in realtà,
è inviso a molti dei suoi concittadini per la sua ricerca che implica un continuo
interrogare ed interrogarsi.
Socrate è la coscienza critica di Atene, una presenza così ingombrante e
pericolosa da spingere il potere a farlo tacere condannandolo a morte. Si tratta,
quindi, di un processo contro l’uso “rivoluzionario” della parola.
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SOCRATE: FIGURA «SCOMODA» PER LA
DEMOCRATICA ATENE
Ad Atene si riconosce una notevole libertà di parola, sia ai commediografi,
come Aristofane, che prendevano spunto dalle vicende a loro
contemporanee per i testi delle opere, sia ai filosofi. Ma Socrate
rappresenta l’emblema della filosofia come attività sovversiva, analisi
critica e rovesciamento di valori vecchi e nuovi. Quando sarà chiamato a
difendersi, Socrate ribadirà con forza le proprie convinzioni, in particolare
l’esigenza che il filosofare si dispieghi come indagine critica, libera da
condizionamenti.
Nel riferire il capo di accusa mosso contro il filosofo ateniese, Senofonte
riferisce di un «demone» in cui Socrate credeva, inteso dai suoi accusatori
come una «nuova divinità».
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IL PROCESSO A SOCRATE:
l’autodifesa
Socrate si difende da solo, come prevedeva la legge ateniese, e non ricorre
neppure ai servizi dei “logografi”, cioè di quegli esperti di materie giudiziarie che
scrivevano, a pagamento, orazioni di accusa o di difesa.
Questo il contenuto ed il senso del discorso di autodifesa di Socrate: etica contro
utile; dovere sociale contro interesse privato; ricerca della verità contro le false
apparenze.
“Ebbene, cari giudici, bisogna che anche voi abbiate buone speranze avanti alla morte. E
dovete pensare una cosa in particolare: che a una persona buona non può capitare nulla di
male, né in vita né in morte. Le cose che lo riguardano non vengono trascurate da Dio. E se
voi dite che io vi ho punito, e vi ho arrecato dei dolori, insegnando ai vostri figli di curarsi
prima della virtù che delle ricchezze - poiché è dalla virtù che nascono tutte le ricchezze e
tutti i beni per tutti gli uomini, in privato e in pubblico - fate così voi con i miei figli quando
diverranno adulti. Puniteli! E procurate loro gli stessi dolori che ho procurato voi, se si
prenderanno cura delle ricchezze e della vanità prima che della virtù. E se penseranno di
valere qualcosa mentre in realtà non valgono niente, rimproverateli. Se farete questo mi
avrete reso giustizia. A me e ai miei figli. Ma ormai è giunta l'ora di andare. Io a morire e voi
invece a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio è oscuro a tutti, meno che a Dio”.
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8
IL PROCESSO A SOCRATE:
la condanna
L'Areopago vota, a stretta maggioranza, la colpevolezza di Socrate. Secondo
la legge ateniese, l'imputato e gli accusatori dovevano formulare due proposte
di pena, vagliate successivamente dal tribunale. Gli accusatori propongono la
condanna a morte.
Socrate, ironicamente, chiede un vitalizio d'onore dallo stato.
La seconda votazione vede Socrate condannato a morte per avvelenamento,
con maggioranza più ampia rispetto alla prima votazione, perché molti di
coloro che avevano votato a suo favore gli si volgono contro.
Tra i doveri primari di ogni cittadino Socrate pone il rispetto della legge, anche
quando questa è applicata in modo ingiusto. Respinge, quindi, il principio che
antepone al rispetto della legge, il dovere di aiutare gli amici e per questo
rifiuta il piano di fuga che i suoi sostenitori avevano predisposto per lui.
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9
L’APOLOGIA DI SOCRATE
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LE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA
In una enunciazione connotata da una grande tradizione storica e ideologica
come l’articolo 3 della nostra Costituzione (comma 1: Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali), viene volutamente utilizzato il termine “razza”, tale parola
rivela oggi un connotazione dispregiativa, ed in tale sua accezione negativa si
tende a evitarla. Il costituente l’ha invece consapevolmente e scientemente
adoperata al fine di evocare i numerosi ed odiosi provvedimenti del regime
fascista contro la «razza ebraica». Si riporta di seguito una rassegna di titoli di
leggi adottate in Italia tra il 1938 e il 1942:
“ Provvedimenti nei confronti di ebrei stranieri” (Regio decreto-legge n. 1381 del 1938)
“ Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” (Regio decreto-legge n. 1390 del 1938)
“ Provvedimenti per la difesa della razza italiana” (Regio decreto-legge n. 1728 del 1938)
“ Disciplina delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica” (Legge n. 1504 del 1939)
“ Disposizioni in materia testamentaria, nonché sulla disciplina dei cognomi nei confronti degli appartenenti alla
razza ebraica” (Legge n. 1055 del 1939)
“ Esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo” (Legge n. 517 del 1942)
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ANTIFASCISMO E COSTITUZIONE ITALIANA
La nostra Costituzione presenta come connotato identificativo ed essenziale
l’antifascismo; tale elemento, caratterizzante dell’intero impianto, può essere
desunto dallo stesso processo storico che l’ha generata.
La rottura con il regime trova una enunciazione emblematica nel testo
costituzionale laddove nelle Disposizioni transitorie e finali (XII) si vieta la
riorganizzazione del disciolto partito fascista «sotto qualsiasi» forma. Non si
tratta di una norma con la quale mostrare o dimostrare una rivalsa nei
confronti degli sconfitti, tale da bandirli dalla Repubblica in via definitiva e
solenne. Il significato della norma è sostanziale e si pone come coerente
proseguimento e rafforzamento dei valori e dei principi che hanno fondato una
nuova forma di convivenza.
Il partito fascista non era solo la formazione politica dei vinti, ma era la
struttura portante di uno Stato totalitario che, in quanto tale, non tollerava
alcuna opposizione o dissenso.
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IL TRIBUNALE DI NORIMBERGA
La scelta della città dove celebrare il processo ebbe un significato altamente
simbolico. Norimberga era stata la sede delle grandi adunanze naziste e dei
congressi annuali del partito nazista. E’ in tale città che furono emanate nel
settembre del 1935 le Leggi di Norimberga, con le quali, come una sorta di tragica
anticipazione della soluzione finale, veniva dato avvio alla persecuzione contro gli
ebrei.
L’8 agosto del 1945 venne siglato l’accordo di Londra (tra: U.S.A., Francia, Gran
Bretagna e U.R.S.S.) con il quale nasceva ufficialmente, a Norimberga, il Tribunale
Militare Internazionale.
Limiti di detto Tribunale: non è un Tribunale Internazionale perché comprende solo
giudici delle quattro potenze vincitrici e non anche giudici provenienti da paesi
neutrali; non è un Tribunale Militare perché un solo giudice, quello sovietico, era
giudice militare (affermazioni del giudice Antonio Cassese, primo Presidente del
Tribunale Internazionale dell’Aja per la Jugoslavia).
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LE PROBLEMATICITA’ DEL
PROCESSO DI NORIMBERGA
Il processo di Norimberga, visto e analizzato come «uno dei processi più
importanti della storia», in quanto espressione della coscienza universale,
fondò il suo giudizio e la sua sentenza su leggi create post factum.
Poiché gli atti compiuti dai nazisti sfuggivano a qualsiasi previsione di
legge, i vincitori rivestirono contemporaneamente il ruolo di giudici e di
legislatori creando, per esplicita previsione dell’art. 2 dell’Accordo di
Londra, lo Statuto – anche detto Carta – del Tribunale Militare
Internazionale che stabilì le regole di costituzione, giurisdizione e funzione
del Tribunale.
Il processo di Norimberga (20 novembre 1945 – 1 ottobre 1946) rappresenta
l’esasperazione della confusione tra giustizia e politica.
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LE PROBLEMATICITA’ DEL
DIRITTO PENALE INTERNAZIONALE
I tratti delineati dalla dottrina penalistica configurano l’immagine di un Diritto
penale internazionale «esemplare», un diritto che segue percorsi poco
ortodossi, che mostra vistosi slittamenti dalla fattispecie astratta al caso
concreto, che si rivela refrattario ad ogni tentativo di sistematizzazione e che è
contaminato da una innegabile componente politica.
Tali problematicità sono emerse in maniera emblematica e significativa nel
momento genetico della giustizia penale internazionale: Norimberga, dove fu
celebrato un processo non immune da contraddizioni.
Il rigore dogmatico non risulta praticabile nell’ambito della disciplina del diritto
penale internazionale. Gli stessi giudici internazionali ammoniscono che non è
corretto “incorporare” soluzioni interpretative o principi propri di singoli
ordinamenti nazionali nel sistema unico del diritto penale internazionale,
occorrendo piuttosto cercare i “denominatori comuni” al maggior numero
possibile dei sistemi conosciuti.
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IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’
DELLA LEGGE PENALE
Il criterio di irretroattività in materia penale trova esplicito
riconoscimento a livello costituzionale, l’art. 25, comma 2, così
infatti dispone: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.”
Esso rappresenta un fondamentale principio di civiltà giuridica, un
essenziale strumento di garanzia per il cittadino contro i possibili arbitri del
legislatore. (Nullum crimen, nulla poena sine lege praevia)
In diritto penale il principio di irretroattività non presenta carattere assoluto,
sussiste, infatti, anche il principio di retroattività della norma più favorevole
al reo.
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IL PROCESSO DI NORIMBERGA
visto dalla parte degli accusatori
Il processo a carico dei principali gerarchi nazisti ebbe inizio il 20 novembre
1945. Il primo giorno di udienza fu dedicato alla lettura degli atti di accusa, i
capi di imputazione erano quattro: 1. cospirazione (preparazione di un piano
comune per l’esecuzione degli altri tre crimini); 2. crimini contro la pace; 3.
crimini di guerra; 4. crimini contro l’umanità.
Adolf Hitler, cancelliere della Germania e principale responsabile di tutti i
crimini, Heinrich Himmler, capo della SS (Sigla del tedesco Schutz-Staffel
«schiera di protezione», milizia speciale tedesca destinata a compiti di polizia
durante il regime nazionalsocialista in Germania) e della polizia, e Joseph
Goebbels, il capo della propaganda nazista, si erano suicidati e, quindi, il
processo di Norimberga non ebbe come imputati loro che erano stati i
maggiori protagonisti del Terzo Reich.
La decisione «Sono competente a giudicarti perché come vincitore ho deciso
di processarti» trova fondamento e sostanza nell’Accordo di Londra che
individuò Norimberga come sede del processo ai crimini contro l’umanità, ai
crimini di pace e ai crimini di guerra perpetrati dai nazisti.
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IL PROCESSO DI NORIMBERGA
visto dalla parte degli accusati
Quando nel settembre del 1945 gli avvocati difensori tedeschi giunsero a
Norimberga non avevano nulla a disposizione. L’accusa, invece, aveva già
sequestrato tutti gli archivi e i documenti in qualche modo noti,
setacciandoli con un esercito di funzionari in cerca di prove a carico. I
difensori ebbero accesso solo a questo materiale, mentre non ebbero,
nonostante le reiterate richieste, alcuna possibilità di consultare gli archivi
dove avrebbero potuto cercare il materiale a discarico (avvocato Otto
Kranzbuhler, difensore di Donitz, in A. Demandt, Processare il nemico).
Al processo di Norimberga il collegio di difesa sollevò l’eccezione secondo
cui il processo era irrituale e illegittimo in quanto si svolgeva in forza di una
legge successiva ai fatti contestati e, dunque, senza base normativa nel
diritto internazionale.
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LE OPINIONI SUL PROCESSO DI NORIMBERGA
ESPRESSE DA DUE ESPONENTI
DEL GIORNALISMO ITALIANO
“Se Norimberga non raggiunse l’effetto che si proponeva - quello di
suscitare una esecrazione adeguata agli orrori che rivelava - fu perché
venne recepita come castigo del vincitore sul vinto ” (Indro Montanelli).
“La sentenza doveva insegnare alcuni principi, che poi hanno avuto
poche applicazioni: non basta per rendere lecita un’azione malvagia
l’ordine superiore; il soldato ha il dovere di ribellarsi piuttosto che
compiere gesti inumani. Non esistono più autorità che non possano
essere chiamate a rispondere delle loro scelte” (Enzo Biagi)
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CRIMINI CONTRO LA PACE
Per crimini contro la pace si intende il disegno, la preparazione, l’inizio
e la condotta di una guerra di aggressione, o di una guerra in
violazione dei trattati ed accordi internazionali.
I “crimini contro la pace”, previsti nell’art. 6 lett. a dell’Accordo di
Londra, furono definiti dal Tribunale di Norimberga come i «supremi
crimini internazionali, che racchiudono in sé tutti gli altri mali»
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20
CRIMINI DI GUERRA
Per crimini di guerra si intende la mancata tutela di tutti quei soggetti che
prendono, non prendono più parte, o non hanno preso parte ad un
conflitto. Rientrano in detta categoria le violazioni delle leggi ed usanze di
guerra come, ad esempio, i maltrattamenti dei prigionieri di guerra,
l’uccisione di ostaggi, il saccheggio delle proprietà pubbliche o private, la
distruzione ingiustificata di città e villaggi, e ogni devastazione non dettata
da necessità militari.
A differenza dei crimini contro l’umanità, la cui attivazione può avvenire a
prescindere dall’esistenza o meno di un conflitto in corso, nel caso dei
crimini di guerra l’evento bellico è essenziale affinché si possa configurare
questo reato.
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21
CRIMINI CONTRO L’UMANITA’
Efferati delitti come lo sterminio degli ebrei, l’imposizione di lavori
forzati, le deportazioni di massa non possono essere inquadrati nelle
categorie internazionali dei crimini contro la pace e dei crimini di
guerra.
Non potevano essere ricondotti nella categoria dei “crimini di guerra”
poiché non erano stati commessi contro le forze armate o i civili dello
Stato estero contro cui era condotta la guerra, le vittime potevano
infatti essere gli stessi cittadini tedeschi perseguitati in quanto ebrei, o
cittadini di Stati alleati con la Germania. E non potevano neppure
essere qualificati come “crimini contro la pace” mancando in essi
l’elemento della politicità dell’aggressione.
La definizione di questa nuova categoria di crimini fu data per la prima
volta nella Carta del Tribunale di Norimberga.
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22
IL PROCESSO DI NORIMBERGA
(video: La storia siamo noi)
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23
IL PROCESSO DI NORIMBERGA – IL VERDETTO
(video: La storia siamo noi)
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24
Riepilogo
(idee e spunti per porsi interrogativi)

L’umanità avverte costantemente la necessità di non lasciare impuniti i
responsabili di gravissimi, odiosi, orrendi crimini quali, di certo, sono stati
quelli perpetrati contro gli ebrei. La punizione è, però, vera e certa quando è
dettata dalla Giustizia, non da forme di giustizialismo. La giustizia si oppone
alla faziosità della politica ed alla violenza della guerra, perché è la ricerca di
uno spazio di imparzialità, è il ricorso a principi giuridici capaci di dirimere le
controversie, neutralizzare i conflitti, condurre alla piena, pacifica convivenza.

Socrate appare come il portatore di valori inconciliabili con la cultura
dell’epoca, per questo si ritiene che debba essere messo in condizione di non
nuocere: screditandolo, qualora riconosca i suoi torti; oppure condannandolo
a morte, nel caso rifiuti di mutare le proprie posizioni. Questo accadeva nella
democratica Atene, oggi, in uno Stato di diritto, chi apre spiragli, o veri e propri
squarci, su mondi corrotti dalla violenza di idee ed azioni, riesce ad essere
tutelato nella libera espressione del suo pensiero?
(prof.ssa Rosanna Pecoraro)
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