Martedì 21 gennaio 2014 ore 20.30 7 Stagione 2013-2014 Sala Verdi del Conservatorio Sentieri selvaggi Carlo Boccadoro direttore Cristina Zavalloni soprano Ghedini - Adagio e Allegro da concerto Gentilucci - Le clessidre di Dürer Einaudi - The Apple Tree Boccadoro - Box of Paints prima esecuzione assoluta, commissione della Società del Quartetto Berio - Folk Songs Con il sostegno di Il concerto è registrato da RAI Radio3 Di turno Marco Bisceglia Alberto Mingardi Sponsor istituzionali Stagione 2013-14 Con il contributo di Con il patrocinio e il contributo di Soggetto di rilevanza regionale Sponsor Ciclo Beethoven Progetto “Verso il futuro, dal nostro passato” Con il patrocinio di Con il sostegno di Sponsor Media parthner In collaborazione con È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Si raccomanda di: • disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista. Il programma è pubblicato sul nostro sito web il venerdì precedente il concerto. Giorgio Federico Ghedini (Cuneo 1892 - Nervi 1965) “Adagio e allegro da concerto” (1936) per flauto, clarinetto, corno, arpa, violino, viola, e violoncello (ca. 10’) Il programma del concerto di Sentieri selvaggi, in apparenza molto eterogeneo, cammina in realtà sul filo di un sottile rapporto tra maestri e allievi della musica italiana del Novecento. Il primo lavoro infatti è di un autore come Giorgio Federico Ghedini, che ha rappresentato uno dei pochi punti di riferimento per i giovani musicisti cresciuti sotto il Fascismo e finiti allo sbando nel caotico tracollo del regime provocato dalla guerra. Luciano Berio, ultimo autore in programma, rappresenta il campione di questa generazione, che ha imparato da Ghedini l’esattezza espressiva nella scrittura musicale e la bellezza morale di un metodo di lavoro scrupoloso e artigianale. Ghedini si era formato alla scuola di musicisti colti e moderni come Alfredo Casella e Gianfrancesco Malipiero, dimostrando una grande apertura verso le forme più spregiudicate della musica europea e soprattutto una forte coscienza storica della tradizione italiana. «Ghedini – scriveva Berio in un testo raccolto da Stefano Parise – è l’unico musicista italiano che ha gettato un ponte tra il barocco italiano e il nostro secolo, tant’è che qualcuno ha parlato in proposito di “neo-barocchismo” ghediniano». L’altro corno della personalità di Ghedini è l’altissimo senso di responsabilità verso la tecnica musicale, che nella sua produzione si manifesta sempre come un obbligo morale dell’artista. Da questo punto di vista la musica di Ghedini è stata influenzata in primo luogo dall’esempio dei colleghi francesi, Ravel e Debussy in testa. Adagio e allegro da concerto è modellato in maniera evidente su un fortunato lavoro del primo, l’Introduction et allegro per arpa, flauto, clarinetto e quartetto d’archi. Il settimino di Ghedini però toglie dall’organico un violino al quartetto d’archi e lo sostituisce con un corno, che dà nerbo al registro grave e conferisce al suono un’aura più romantica. Il lavoro è dedicato a una delle prime allieve di Ghedini, Barbara Giuranna, che lo stesso anno, nel 1936, aveva presentato alla Biennale di Venezia un Allegro da concerto per nove strumenti. L’Adagio esprime un intenso lirismo, incarnato dalla lunga melodia del clarinetto che domina il diafano tessuto sonoro. Il canto, indicato come “molto dolce e sognante”, diventa più appassionato nella parte centrale, dove la scrittura s’increspa con il tremolo della viola e il ritmo sincopato dei pizzicati di violoncello e arpa. L’Allegro invece rappresenta un’elegante parodia di una danza popolare, piena di vivacità e di energia. I ritmi s’intrecciano in una sorta di chiassosa e pittoresca festa paesana, con una scrittura brillante nella quale spicca la presenza concertante dell’arpa. La tensione dionisiaca nel movimento sfocia infine nel canto spiegato prima del clarinetto e poi di violino e violoncello, che conducono all’apoteosi finale con una grande cadenza nell’apollinea luminosità di la bemolle maggiore. Armando Gentilucci (Lecce 1939 - Milano 1989) “Le clessidre di Dürer” (1985) per clarinetto, violino, violoncello e pianoforte (ca. 11’) Prima esecuzione: Bilbao, 1 novembre 1986 Pur non essendo un allievo diretto di Ghedini, anche Armando Gentilucci è stato influenzato dall’esempio di rigore morale e perfezionismo tecnico dell’intransigente maestro. Gentilucci ha studiato infatti al Conservatorio di Milano negli anni in cui Ghedini ha diretto l’istituto, dal 1951 al 1962. La parabola artistica di Gentilucci, scomparso prematuramente a soli 50 anni, ha toccato diverse fasi, da un modernismo di stampo bartókiano alla stagione dell’impegno politico e oltre, compreso un severo esame di coscienza sui pericoli e i paradossi di una retorica della neo-avanguardia. Le clessidre di Dürer è un lavoro di musica da camera che appartiene all’ultimo periodo della produzione di Gentilucci, segnato dal fantasma della grande opera Moby Dick, terminata prima di morire ma mai rappresentata. Il titolo prende spunto dalla famosa incisione di Dürer Melanconia I, dove al di sopra della figura femminile campeggia una clessidra, tradizionale simbolo dello scorrere del tempo. Molti lavori di Gentilucci ruotano infatti attorno al concetto di tempo, che emerge in definitiva come uno dei temi principali della sua produzione. In uno scritto degli ultimi anni, Gentilucci citava una frase di una lettera di Melville a Sophia Amelia Hawthorne: «La vita è come un lungo stretto di Dardanelli, con le rive ricoperte di quei fiori luminosi che noi piantiamo per coglierli; però le rive sono troppo alte così andiamo alla deriva sperando in un approdo e siamo spinti invece in mare aperto». Il sentimento della deriva del tempo si manifesta anche nelle Clessidre di Dürer, con analoga sofferenza emotiva e un pari senso di stoica rassegnazione. Gentilucci affida l’espressione di questo flusso di coscienza soprattutto alla trama sonora del quartetto, che intreccia un intenso dialogo timbrico fino a toccare le regioni più estreme dei vari strumenti. Il desiderio di definire con chiarezza la forma si rivela nella necessità di articolare la scrittura attorno ad alcuni elementi strutturali, come la sovrapposizione degli intervalli di settima maggiore e di quinta. Tuttavia alla fine il lavoro si sfarina in una impercettibile nebbia sonora provocata dal pedale di risonanza del pianoforte, rischiarata a tratti dalla flebile epifania di minuscole figure, come gocce di luce nel tenue grigiore del nulla. Ludovico Einaudi (Torino 1955) “The Apple Tree” (1995) per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte (ca. 10’) Prima esecuzione: Glasgow, 11 maggio 1997 Troppo lontano nel tempo per avere un rapporto diretto con Ghedini, Ludovico Einaudi è stato invece allievo di Berio, che lo ha anche avuto come assistente per l’allestimento dell’opera La vera storia al Teatro alla Scala nel 1982. A partire dagli anni Novanta, Einaudi ha sviluppato un linguaggio sempre più influenzato dalle molteplici suggestioni della popular music, che s’innestavano sul corpo di una scrittura di matrice classica. The Apple Tree rappresenta un esempio molto eloquente delle concezioni estetiche di Einaudi. Nella prima fase della sua nuova produzione, l’autore ha esplorato soprattutto il regno del pianoforte, sul quale poteva esercitare un controllo diretto del suono. Man mano però il perimetro delle sue ricerche tendeva ad allargarsi anche in altre direzioni, come chiarisce lo stesso Einaudi a proposito della genesi di The Apple Tree: «M’interessava di offrire una composizione scritta in un linguaggio d’oggi a un ensemble classico, che avesse forse la curiosità di uscire dal repertorio solito e desiderasse qualche cambiamento. Il lavoro è concepito in un movimento unico e si sviluppa come una canzone, con strofe e ritornelli». Come risulta evidente, Einaudi aveva deciso di rifiutare una certa modernità, nella quale peraltro egli stesso era cresciuto, come se avesse bisogno di recuperare una verginità dell’ascolto dopo l’abbuffata di complessità degli anni Settanta. I punti di riferimento adesso sono i linguaggi provenienti dal mondo anglosassone, i maestri del minimalismo americano e le colonne sonore di Michael Nyman. The Apple Tree è un lavoro composto attraverso la combinazione di una serie di elementi di base, come un segmento diatonico della scala di sol minore e un frammento cromatico discendente, ripetuti attraverso varie sovrapposizioni e variazioni ritmiche, all’interno di un fraseggio rigorosamente articolato in maniera simmetrica (2 + 2 battute). L’approccio di Einaudi tuttavia mitiga gli aspetti più ruvidi e freddi di queste tendenze, manifestando viceversa una naturale inclinazione verso l’espressione lirica che addolcisce le linee melodiche e ammorbidisce i contorni delle armonie. Carlo Boccadoro (Macerata 1963) “Box of Paints” per flauto e ensemble (ca. 13’) I – II – III – IV. Allegro molto Prima esecuzione assoluta, commissione della Società del Quartetto Carlo Boccadoro è nato l’anno successivo a quello in cui Ghedini aveva chiuso la sua lunga carriera di didatta. Anch’egli tuttavia rappresenta uno dei frutti, come Einaudi e Berio, del Conservatorio di Milano, che il Maestro aveva in larga misura influenzato prima come insegnante di composizione e poi come Direttore. Il lontano influsso di Ghedini si avverte soprattutto in una visione molto pragmatica dell’atto creativo, che deve corrispondere sempre a un rapporto diretto e consapevole del far musica. La maggior parte dei lavori di Boccadoro nasce da una relazione con gli esecutori, in primo luogo con i musicisti dell’ensemble Sentieri selvaggi, da lui stesso fondato insieme a Filippo Del Corno e Angelo Miotto nel 1997. Box of Paints, scatola di colori, è una sorta di concerto da camera ritagliato sulle qualità della flautista dell’ensemble, Paola Fre, che suona nei primi due movimenti il flauto in sol, nel terzo il flauto in do e nell’ultimo l’ottavino. Il lavoro ricalca a grandi linee l’articolazione classica del concerto, con una parte iniziale più elaborata, formata dai primi due movimenti, un tempo lento di carattere lirico al centro e un finale di scrittura molto ritmica e nervosa. Il rapporto tra il solista e gli altri musicisti è segnato da alcuni momenti di libertà assoluta, specie nel primo e nel terzo movimento, in cui gli strumenti si muovono in maniera indipendente dal direttore. La scrittura delicata e trasparente, in contrasto con l’abituale stile sanguigno di Boccadoro, acuisce il senso di un’improvvisazione, nella quale il flauto gioca di volta in volta con l’uno o l’altro strumento. All’inizio, per esempio, sono le percussioni a intrecciare una sorta di dialogo con il solista, mentre gli altri strumenti si limitano a imprimere qualche leggero segno armonico sullo sfondo. Nel secondo invece si sviluppa tra il flauto e il clarinetto un rapporto più strutturato, che si allarga verso la fine anche al pianoforte. L’adagio rappresenta il cuore espressivo del lavoro. Qui il carattere aleatorio prende il sopravvento, sempre però all’interno di uno sfondo armonico omogeneo. Il registro più acuto del flauto in do fa volteggiare il solista con grande leggerezza, sospinto da un costante moto perpetuo dei due strumenti ad arco e dall’alito di una impercettibile brezza armonica proveniente da clarinetto, pianoforte e vibrafono. L’estremo lirismo dell’adagio forma un netto contrasto con la pungente scrittura dell’ultimo tempo, Allegro molto. Il rapporto tra solista e ensemble è sottoposto all’ordine cogente del ritmo, in una sorta di danza fantasiosa e animata. Il suono squillante dell’ottavino spicca sullo sfondo di figure ritmiche elettrizzanti e terse, svanendo alla fine nel silenzio con un’ultima volatina di note. Luciano Berio (Imperia 1925 - Roma 2003) “Folk Songs” (1964) per voce e 7 strumenti (ca. 24’) Black is the colour (USA) - I wonder as I wander (USA) - Loosin yelav (Armenia) - Rossignolet du bois (Francia) - A la femminisca (Sicilia) - La donna ideale (Italia) - Ballo (Italia) - Mottetu de tristura (Sardegna) Malurous qu’o un fenno (Auvergne, Francia) - Lo fiolaire (Auvergne) Azerbaijan love song Prima esecuzione: Oakland, California, 1964 Luciano Berio ha scritto, a proposito di Folk Songs: «Ho sempre provato un senso di profondo disagio ascoltando canzoni popolari (cioè espressioni popolari spontanee) accompagnate dal pianoforte. È per questo e, soprattutto, per rendere omaggio all’intelligenza vocale di Cathy Berberian che nel 1964 ho scritto Folk Songs per voce e sette esecutori e, successivamente, per voce e orchestra da camera (1973)». All’epoca della prima esecuzione di Folk Songs, il matrimonio con Cathy Berberian era sul punto di terminare, ma questo non ha messo in discussione il rispetto e la stima reciproca tra i due artisti. Berio aveva già scritto due di queste canzoni, La donna ideale e Ballo, nel 1947, mentre studiava con Ghedini al Conservatorio, dove avrebbe conosciuto in seguito la futura moglie. L’attrazione per il mondo sonoro della musica “popolare”, che Bartók avrebbe definito forse contadina, risale agli inizi della parabola artistica di Berio, ma si è definita in maniera più chiara anche grazie al rapporto creativo con Cathy Berberian, che gli aveva trasmesso dell’attrazione per gli elementi fonetici del linguaggio. Il ciclo di Berio ha un carattere diverso, rispetto all’antica e diffusa prassi della trascrizione di canti popolari, che in genere tende a ricondurre le peculiari caratteristiche di una cultura musicale all’interno di uno stile più familiare. L’epoca dei Folk Songs era anche quella delle prime ricerche sul patrimonio musicale del Mezzogiorno e di altre culture subordinate di studiosi come Alan Lomax, Diego Carpitella, Roberto Leydi, che avevano portato alla luce un mondo sonoro sconvolgente e irriducibile a categorie antropologiche tradizionali. Berio ha tentato a sua volta d’interpretare in maniera creativa una serie di fenomeni musicali, che dimostravano la moltiplicità delle strutture linguistiche. Il lavoro di Berio su questi object trouvé è una vera e propria ri-composizione, che lascia emergere le tracce della storia depositate su queste espressioni della cultura popolare. Oreste Bossini Luciano Berio Folk Songs 1. Black is the color… Nero è il colore… Black is the color of my true love’s hair his lips are rosy something fair the sweetest smile and the kindest hands; I love the grass where-on the stands. Nero è il colore dei capelli del mio amore le labbra ha di un bel rosa, il più dolce dei sorrisi e le mani più gentili; amo l’erba su cui poggia i piedi. I love my love and well he knows I love the grass where-on he goes if he no more on earth will be ‘t will surely be the end of me. Amo il mio amore, e ben lo sa amo l’erba su cui cammina se non dovesse esser più a questo mondo per me certo sarebbe la fine. Black is the colour… Nero è il colore… 2. I wonder as I wander… Mi meraviglio mentre vago… I wonder as I wander out under the sky how Jesus our Savior did come for to die for poor ordn’ry people like you and like I I wonder as I wander out under the sky. Mi meraviglio mentre vago là fuori sotto il cielo come abbia potuto Gesù, il Salvatore, venir qua a morire per povera gente comune come te e me. Mi meraviglio mentre vago là fuori sotto il cielo. When Mary birthed Jesus ‘t was in a cow stall with wise men and farmers and shepherds and all, but high from the Heavens a star’s light did fall, the promise of ages it then did recall. Quando Maria mise al mondo Gesù era in una stalla, con re magi e contadini e pastori e così via, ma dall’alto dei Cieli cadeva la luce di una stella, ricordando le profezie antiche di secoli. Se Gesù avesse voluto una cosa qualunque, a star in the sky or a bird on the wing, una stella in cielo o un uccello in volo, If Jesus had wanted of any wee thing, or all of God’s angels in Heav’n for to sing, he surely could have had it ‘cause he was the king. o tutti gli angeli di Dio in Paradiso a cantare, l’avrebbe avuta di certo, poiché era il re. 3. Loosin yelav La luna è alta Loosin yelav en saaretz saree partor gadareetz shegleeg megleeg yeresov paervetz kedneen loosnidzov. La luna è alta sulla collina proprio in cima alla collina con la sua luce rossa e rosea rischiara splendidamente la terra. Jan ain loosin jan ko loosin ja ko gaelor sheg yereseen. Cara luna, cara la tua luce caro il tuo volto rotondo e roseo. Xavarn arten tchòkatzav oo el kedneen tchògatzav loosni loosov halatzvadz moot amberi metch maenadz. Prima il buio regnava avvolgendo la terra il chiardiluna l’ha ricacciato fra le nuvole nere. Jan ain loosin… Cara luna… 4. Rossignolet du bois Piccolo usignolo del bosco Rossignolet du bois, rossignolet sauvage, apprends-moi ton langage, apprends-moi-z à parler, apprends-moi la manière comment il faut aimer. Piccolo usignolo del bosco, piccolo usignolo selvatico, insegnami la tua lingua, insegnami a parlare, insegnami il modo in cui si deve amare. Comment il faut aimer je m’en vais vous le dire, faut chanter des aubades deux heures après minuit, faut lui chanter: la belle, c’est pour vous réjouir. Come si debba amare adesso vi dirò: cantando serenate due ore dopo mezzanotte, cantarle: o carina, è per darvi gioia. On m’avait dit, la belle, que vous avez des pommes, des pommes de renettes qui sont dans vot’ jardin. Permettez-mois, la belle, que j’y mette la main. Mi avevan detto, carina, che avevate certe mele, delle mele renette che sono nel vostro giardino. Permettete, carina, che io le tocchi. Non, je ne permettrai pas que vous touchiez mes pommes, prenez d’abord la lune et le soleil en main, puis vous aurez les pommes qui sont dans mon jardin. No, mai permetterò che tocchiate le mie mele, prima prendete la luna e il sole con le mani, poi avrete le mele che sono nel mio giardino. 5. A la femminisca Alla maniera delle donne E Signuruzzu miu faciti bon tempu ha iu l’amanti miu’ mmezzu lu mari l’arvuli d’oru e li ntinni d’argentu la Marunnuzza mi l’av’aiutari, chi pozzanu arrivòri ‘nsarvamentu. E comu arriva ‘na littra ma fari ci ha mittiri du duci paroli comu ti l’ha passatu mari, mari. E caro Signore, dateci il bel tempo, il mio innamorato è in mezzo al mare con l’albero d’oro e le vele d’argento la Madonnina me lo deve aiutare a giungere a salvamento. E se arriva una lettera, che ci metta due paroline dolci, come hai attraversato il mare. 6. La donna ideale La donna ideale L’ómo chi mojer vor piar, de quatro cosse de’ espiar. La primiera è com’ el è naa, l’altra è se l’é ben accostumaa, l’altra è como el è forma, la quarta è de quanto el è dotaa. Se queste cosse ghe comprendi, a lo nome di Dio la prendi. L’uomo che vuol prender moglie, di quattro cose si deve assicurare. La prima da che famiglia venga, poi se è ben educata, poi ancora che aspetto ha, la quarta quanti soldi porti. Se di queste cose ti accerti, prendila, in nome di Dio. 7. Ballo La la la la la la… Amor fa disviare li più saggi e chi più l’ama meno ha in sé misura. Più folle è quello che più s’innamura. La la la la la la… Amor non cura di fare suoi dannaggi co li suoi raggi mette tal calura che non può raffreddare per freddura. 8. Mottetu de tristura Canzone triste Tristu passirillanti comenti massimbilas. Tristu passirillanti e puita mi consillas a prangi po s’amanti. Passerotto triste quanti ricordi. Passerotto triste se puoi consolami piango per il mio amore. Tristu passirillanti cand’happess interrada Tristu passirillanti faimi custa cantada cand’happess interrada. Passerotto triste quando sarò sottoterra Passerotto triste canta per me questa canzone quando sarò sottoterra. 9. Malurous qu’o uno fenno Sfortunato chi ha moglie Malurous qu’o uno fenno, malurous qué n’o cat! Qué n’o cat n’en bou uno, qué n’o uno n’en bou pas! Tradèra ladèrida rèro… Sfortunato chi ha moglie, sfortunato chi non ce l’ha! Chi non ce l’ha, ne vuole una, chi ce l’ha non la vorrebbe! Trallallera… Urouzo lo fenno qu’o l’omé qué li cau! Urouz’ inquéro maito o quèlo qué n’o cat! Tradèra ladèrida rèro… Felice la donna che ha un uomo che le piaccia! Felice ancor di più quella che non ce l’ha! Trallallera… 10. La fiolaire La filatrice Ton qu’èré pitchounèlo gordavè loui moutous. Lirou lirou lirou… Lirou la diri tou tou la lara. Quand’ero piccina badavo alle pecore. Lirù lirù lirù… Obio ‘no counoulhèto è n’ai près un postrou. Lirou lirou lirou… Avevo una conocchia e chiamai un pastore. Lirù lirù lirù… Per fa lo biroudèto mè domond’ un poutou. Lirou lirou lirou… Per far la guardia mi chiese un bacio. Lirù lirù lirù… E ièu soui pas ingrato: en lièt d’un nin fau dous! Lirou lirou lirou… E io non sono ingrata: invece d’uno glie ne diedi due! Lirù lirù lirù… 11. Azerbaijan Love Song Da maesden bil de maenaes Di dilamnanai ai naninai Go shadaemae hey ma naemaes yar Go shadaemae hey ma naemaes Sen ordan chaexman boordan Tcholoxae mae dish ma naemaes yar Tcholoxae mae dish ma naemaes Kaezbe li nintché dirai nintché Lebleri gontchae derai gontchae Kaezbe linini je deri nintché Lebleri gontcha de le gontcha Na plitye korshis sva doi Ax kroo gomshoo nyaka mae shi Ax pastoi xanaem pastoi Jar doo shi ma nie patooshi Go shadaemae hey ma naemaes yar Go shadaemae hey ma naemaes Sen ordan chaexman boordan Tcholoxae mae dish ma naemaes yar Tcholoxae mae dish ma naemaes Kaezbe li nintché dirai nintché Lebleri gontchae derai gontchae Nie didj dom ik diridit Boost ni dietz stayoo zaxadit Ootch to boodit ai palam Syora die limtchésti snova papalam. Cathy Berberian, soprano, prima moglie di Luciano Berio, trovò questa canzone su un disco. Fatta eccezione per un passaggio in lingua russa, in cui, come le spiegò un amico, l’amore viene paragonato ad una stufa, la canzone è in un dialetto asiatico dell’Azerbaijan. Cathy Berberian trascrisse sillaba per sillaba senza conoscere la lingua azera. I versi sono quindi intraducibili. Cristina Zavalloni soprano Cristina Zavalloni nasce a Bologna. Di formazione jazzistica, intraprende a diciotto anni lo studio del belcanto e della composizione presso il Conservatorio della sua città. Per molti anni si dedica anche alla pratica della danza classica e contemporanea. Si esibisce nei più importanti teatri, in stagioni concertistiche e festival jazz di tutto il mondo. Collabora stabilmente con il compositore olandese Louis Andriessen che ha scritto per lei alcuni dei suoi più recenti lavori. È interprete di prime esecuzioni di Carlo Boccadoro, Luca Mosca, Emanuele Casale e James McMillan del quale ha interpretato la prima statunitense di Raising Sparks alla Carnegie Hall di New York. Frequenta il repertorio barocco collaborando con registi e coreografi quali Mario Martone e Alain Platel. Le sue più recenti collaborazioni in ambito jazzistico includono Jason Moran e Benoit Delbecq. Nel 2012 è stata ospite speciale del Premio Django Reinhardt dell’Académie du Jazz de France, ha debuttato al Grande Auditório della Fundação Gulbenkian di Lisbona, al Teatro Nazionale di Roma ed è stata protagonista della prima statunitense di Anais Nin di Louis Andriessen. Nel maggio 2012 ha debuttato alla Beijing Concert Hall e ha partecipato al progetto Strange Fruit di Fabrizio Cassol al KVS e al Théâtre National di Bruxelles. In ottobre ha debuttato al Konzerthaus di Vienna nell’ambito del 100° anniversario di Pierrot Lunaire di Schönberg, con Moonsongs di Uri Caine e ha chiuso l’anno con il ritorno a Mosca alla Moscow International House con i Virtuosi Italiani, e un’esibizione a Bangkok con Federico Mondelci e la Bangkok Symphony Orchestra. Ha inaugurato il 2013 con una master class di canto a Cartagena (Colombia), e a seguire il debutto nel progetto Barocco! con il gruppo Brass Bang! (Paolo Fresu, Gianluca Petrella, Steve Bernstein, Marcus Rojas), la ripresa di Moonsongs di Uri Caine al Teatro Comunale di Modena. Tra i progetti futuri due importanti debutti nell’ambito delle celebrazioni del centenario della nascita di Benjamin Britten: The rape of Lucrezia a Ravenna, Reggio Emilia e al Maggio Musicale Fiorentino e The turn of the screw al Teatro Comunale di Bologna. Proseguirà nella tournée di presentazione del suo ultimo progetto discografico, La donna di cristallo, assieme alla Radar Band. Ha pubblicato per Egea Records gli album Idea (2006), Tilim - Bom (2008), Solidago (2009), La donna di cristallo (2012). È per la prima volta ospite della nostra Società. Carlo Boccadoro direttore Carlo Boccadoro ha studiato al Conservatorio “G. Verdi” di Milano dove si è diplomato in pianoforte e strumenti a percussione. Nello stesso istituto ha studiato composizione con diversi insegnanti, tra i quali Paolo Arata, Bruno Cerchio, Ivan Fedele e Marco Tutino. Dal 1990 la sua musica è presente in tutte le più importanti stagioni musicali italiane (Teatro alla Scala, Accademia di Santa Cecilia, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Biennale di Venezia, Teatro Filarmonico di Verona, Teatro Regio di Torino, MITO/Settembre Musica, Teatro Carlo Felice di Genova, Mittelfest, Teatro Comunale di Bologna, Ferrara Musica, Aterforum, Maggio Musicale Fiorentino, Orchestra della Toscana, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Accademia Filarmonica Romana, Teatro Massimo di Palermo e molte altre). La sua musica è stata inoltre eseguita in molti paesi tra i quali Francia, Spagna, Germania, Olanda (Concertgebouw di Amsterdam), Inghilterra, Scozia (Royal Academy di Glasgow), Stati Uniti (Bang on A Can Marathon, Aspen Music Festival, Monday Evening Concerts di Los Angeles), Giappone. Luciano Berio gli ha commissionato nel 2001 per l’Accademia di Santa Cecilia un’opera per ragazzi, La Nave a tre piani, andata in scena nella stagione 2005/2006 e successivamente ripresa al Teatro Regio di Torino. Per il teatro ha inoltre composto il balletto Games (Teatro alla Scala, coreografia di Fabrizio Monteverde) e quattro opere di teatro musicale. Nel 1998 il progetto europeo “Il suono dei parchi” coordinato da Enzo Restagno, Roman Vlad, Gerard Grisey, George Benjamin e Louis Andriessen gli ha commissionato il brano Über allen Gipfeln per 10 strumenti. Nel 2003 il suo brano Bad blood per pianoforte e 5 strumenti è stato selezionato dalla RAI per partecipare alla Tribuna internazionale dei Compositori dell’UNESCO. Nel 2009 è uscito il disco Carlo Boccadoro (RaiTrade). Nel 2011 gli sono stati commissionati diversi brani per alcune manifestazioni e stagioni musicali: Variazioni per orchestra per l’Orchestra Filarmonica della Scala, Point of view commissionato dalla Wayne State University di Detroit, Ritratto di musico per la Gewandhaus Orchester di Lipsia diretta da Riccardo Chailly, Soul Brother n. 1 per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. È tra i fondatori del progetto culturale Sentieri selvaggi. È per la prima volta ospite della nostra Società. Sentieri selvaggi Paola Fre flauto - Mirco Ghirardini clarinetto Dimer Maccaferri corno - Elena Gorna arpa Andrea Dulbecco e Luca Gusella percussioni Piercarlo Sacco violino e viola - Paolo Fumagalli viola Aya Shimura violoncello Andrea Rebaudengo pianoforte Sentieri selvaggi viene fondato nel 1997 da Carlo Boccadoro, Angelo Miotto e Filippo Del Corno, insieme ad alcuni tra i migliori musicisti italiani, per avvicinare la musica contemporanea al grande pubblico. Il debutto dell’ensemble a Milano registra il tutto esaurito. Fin dall’esordio i concerti di Sentieri selvaggi si caratterizzano per le informali presentazioni parlate di ogni brano. In 15 anni di attività ha avviato collaborazioni con i più importanti compositori della scena internazionale quali Lang, Andriessen, MacMillan, Glass, Bryars, Nyman, Wolfe, Vacchi, che hanno scritto partiture per l’ensemble o gli hanno affidato prime esecuzioni italiane dei loro lavori. Il gruppo ha inoltre contribuito a promuovere una nuova generazione di compositori italiani, a partire dai fondatori Boccadoro e Del Corno per arrivare a Antonioni, Colasanti, Mancuso, Montalbetti e Verrando. Dal 1998 Sentieri selvaggi è ospite regolare delle più prestigiose stagioni musicali italiane (Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Teatro alla Scala, Biennale di Venezia), di importanti eventi culturali del nostro paese (Festival della Letteratura di Mantova, Notte Bianca di Roma, Festival della Scienza di Genova) e di festival internazionali (Bang On A Can Marathon di New York, SKIF Festival di San Pietroburgo). A Milano il gruppo è partner dal 1998 di Teatridithalia che ospita i concerti nelle proprie sedi teatrali e, dal 2005, organizza una stagione di musica contemporanea con concerti, incontri, master class, incentrata ogni anno su uno specifico nucleo tematico. Con l’intento di diffondere la musica contemporanea in contesti inusuali Sentieri selvaggi collabora anche con scrittori, architetti, scienziati, video-maker, attori, registi, musicisti rock e jazz, realizzando progetti in spazi alternativi come gallerie d’arte, piazze, strade, centri commerciali e università. Il catalogo di produzioni editoriali e discografiche del gruppo conta oltre 10 titoli realizzati per Einaudi, RaiTrade, MN Records, Velut Luna, Sensible Records. Dal 2003 incide in esclusiva per Cantaloupe Music, etichetta newyorkese fondata da Bang On A Can, per la quale ha realizzato 4 CD l’ultimo, Zingiber, è dedicato alla nuova creatività musicale italiana. Capitolo importante nel lavoro di Sentieri selvaggi sono poi le produzioni di teatro musicale tra cui Io Hitler di Filippo Del Corno, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Michael Nyman, The Sound of a Voice di Philip Glass. L’ensemble è per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimo concerto: Martedì 28 gennaio 2014, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Enrico Dindo violoncello Le Suites per violoncello solo di Bach sono entrate nel repertorio soltanto nel Novecento, grazie alla leggendaria figura di Pablo Casals. In precedenza erano considerate un lavoro didattico e privo di un carattere artistico in grado di interessare il pubblico. Oggi invece le Suites rappresentano un punto di riferimento obbligato per qualunque interprete, che spesso torna più volte a misurarsi con questi capolavori nel corso della carriera. Oggi è il turno di Enrico Dindo, uno dei migliori rappresentanti della scuola strumentale italiana, che affronta il primo dei due concerti in cui ha distribuito l’Integrale. Nella prima serata Dindo interpreta le Suites di numero dispari, anche per un motivo pratico. La Quinta Suite, infatti, prevede la scordatura del violoncello, ovvero l’intonazione della corda più acuta in sol invece che in la. Un passaggio così brusco renderebbe poi difficile riportare in breve tempo l’intonazione allo stato ordinario, quindi la soluzione più conveniente è di impaginare il programma in modo da chiudere il concerto con la Suite in do minore. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - [email protected]