UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTA' DI PSICOLOGIA
Corso di laurea in Scienze Psicologiche dello sviluppo
e dell’educazione
Elaborato finale
“L’intelligenza musicale: dati a sostegno della sua esistenza
e relazione con l’attività del cantare.”
“The musical intelligence: evidence for the existence and
relationship with the activity of singing.”
Relatore
Laureanda
Prof.ssa Berti Anna Emilia
Veronese Chiara
_____________________
Matricola 417805
Anno Accademico
2010 – 2011
I
NDICE
1. INTRODUZIONE
2. CHE COSA S’INTENDE PER INTELLIGENZA MUSICALE NEGLI STUDI
DI HOWARD GARDNER SULLE INTELLIGENZE MULTIPLE.
3. NEUROANATOMIA MUSICALE E SVILUPPO.
4. INTELLIGENZA MUSICALE E RICERCA.
5. INTELLIGENZA MUSICALE E CANTO NELLA RICERCA.
6. LE PROVE DELL’ESISTENZA DELL’INTELLIGENZA MUSICALE NEL
CANTO ATTRAVERSO LE RICERCHE DI NEUROPSICOLOGIA E GLI
IDIOT SAVANTS.
7. LO STATO DI FLUSSO E IL CANTO CORALE
8. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
APPENDICE A. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA MUSICA.
APPENDICE B. PARAMETRI DELL’INTELLIGENZA MUSICALE SPECIFICI
DEL CANTO E DEL CANTO CORALE
BIBLIOGRAFIA
1.
INTRODUZIONE
La tesi di questo elaborato si basa sulla domanda: l’intelligenza musicale esiste?
Se sì, come si manifesta nel canto? L’argomento scelto ha a che fare con la mia
professione di vocal coach: insegno dizione, impostazione della voce, canto moderno e
canto corale. Le persone con cui interagisco hanno età (dai 3 ai 54 anni), esperienze,
esigenze e voci differenti, ma tutte vengono a lezione per imparare ad usare lo
strumento “voce” al meglio. La motivazione all’apprendimento è sicuramente alta,
soprattutto all’inizio del percorso di educazione vocale, ma le prestazioni dei soggetti
sono molto diverse. Già dal primo incontro ci si potrebbe interrogare sull’esistenza di
un’intelligenza musicale, poiché di fronte alla stessa lezione e alle medesime richieste,
gli allievi producono risposte molto dissimili rispetto a quelli che sono i parametri
fondamentali del canto: intonazione, respirazione, ritmo, musicalità, espressività, timbro
della voce e percezione del suono.
A mio avviso, i fattori che possono produrre effetti così vari da persona a persona sono
numerosi, indipendentemente dall’esistenza o meno di un’intelligenza musicale. Il
primo fattore è la quantità di tempo che il soggetto ha trascorso a contatto con la musica
sin dalla nascita, in particolare nell’età evolutiva. Il secondo fattore è la qualità del
tempo passato in compagnia della musica: il soggetto ha studiato musica, è figlio d’arte,
ha partecipato ad attività di natura musicale, ha o non ha ascoltato musica, che tipo di
musica ha ascoltato e ascolta. Il terzo fattore è l’età in cui il soggetto è entrato in
relazione con la musica. Il quarto fattore è la motivazione: che cosa ha spinto e induce
tuttora il soggetto a studiare musica; quali sono i suoi obiettivi. Il quinto fattore è la
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qualità delle esperienze musicali, dal punto di vista emotivo: il soggetto ha avuto un
approccio positivo o negativo, si è sentito a suo agio nell’apprendimento della musica,
si è sentito sottovalutato. Il sesto fattore è la qualità delle esperienze musicali dal punto
di vista dell’apprendimento: il soggetto si sente tecnicamente competente oppure no, ha
avuto relazioni appaganti con i suoi insegnanti di musica. Il settimo fattore è la
predisposizione caratteriale: il soggetto è particolarmente timido, soffre la
competizione, vuole dominare, ecc. L’ultimo fattore è la propriocezione dello strumento
voce: che cosa pensa il soggetto della propria voce, quanto è consapevole del proprio
strumento, che rapporto ha con la sua voce. Come si evince da questa breve panoramica,
i fattori che secondo me stimolano i soggetti a produrre un determinato risultato
musicale canoro sono molti e tutti contribuiscono alla resa finale, ma non bastano per
spiegare l’esistenza dell’intelligenza musicale.
Dalla mia esperienza personale posso dire che, in effetti, i fattori sopra citati non
sono sufficienti a spiegare alcune caratteristiche che io stessa ho manifestato molto
prima di ricevere una formazione musicale. Fin da bambina ho mostrato la capacità di:
creare melodie da qualsiasi musica, di produrre un arrangiamento a più voci e di
riprodurre una melodia dopo un solo ascolto. Come spiegare questo tipo di capacità
musicali in una bambina che non ha ricevuto una cultura musicale e non ha ascoltato
musica in casa?
Nel mio percorso di vocal coach ho incontrato diverse persone e i quesiti si
moltiplicano: perché per alcuni è così difficile memorizzare una melodia e per altri è
questione di pochi ascolti; perché a parità di conoscenze musicali alcuni riescono ad
intonare tutti gli intervalli ed altri sono incapaci di intonarne certi; perché alcuni
riescono a trasportare una melodia un tono sopra senza pensare e per altri questa
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operazione risulta impossibile; perché alcuni riescono perfettamente nell’esecuzione dei
vocalizzi e non riescono ad applicare le stesse regole al cantato. Ho sentito persone
stonate, che attraverso l’esercizio e la tecnica vocale hanno imparato l’intonazione. Ho
incontrato persone senza il senso del ritmo ed ho notato che per loro è molto più
difficile imparare, ma anche in questo caso ho visto dei progressi. Ho conosciuto
persone con l’orecchio assoluto e devo dire che si distinguono per un’intonazione
eccellente e una spiccata arguzia musicale. Ho visto persone con un gusto musicale
sorprendente, ma incapaci di produrre e riprodurre anche solo parzialmente musica. Ho
riscontrato in alcuni cantanti la capacità di trasmettere emozioni attraverso la propria
performance e la totale incapacità di altri che determina un’esecuzione piatta e priva
d’interesse.
La cosa più interessante in assoluto che ho notato è che il tipo di errori commessi
dalle diverse tipologie di persone ha un modus operandi preciso ed è questo che
m’induce a pensare che esistano persone dotate d’intelligenza musicale e altre no o in
misura minore. Le prime non commettono errori d’intonazione, di ritmo e di percezione
del suono (se non in alcune occasioni), le seconde commettono questo tipo di errori con
regolarità. Questo non significa che le persone che, secondo me, sono dotate
d’intelligenza musicale non commettano errori, infatti, possono sbagliare la
respirazione, la posizione del suono, l’espressività e l’interpretazione di un determinato
brano, ma commettono principalmente questo tipo di errori che sono ben diversi da
quelli citati in precedenza. Infatti, questi ultimi riguardano la tecnica vocale e le
possibili rigidità fisiche e psicologiche del cantante neofita, mentre gli altri errori hanno
a che fare con la musica nel vero senso della parola.
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Un’altra osservazione che ho potuto fare, nel mio percorso di vocal coach e
cantante, è che quando un soggetto raggiunge lo stato di flusso (Csikszentmihalyi 1990)
cantando, la sua prestazione vocale raggiunge livelli d’eccellenza mai toccati prima. Il
flusso è quello stato in cui il soggetto è totalmente immerso nell’attività che sta
svolgendo, al punto di sentirsi uno con essa e di perdere la cognizione di spazio e
tempo. Questa particolare osservazione mi ha fatto riflettere e mi sono chiesta se il
flusso possa stimolare lo sviluppo delle capacità musicali e quindi l’intelligenza
musicale. È da queste considerazioni che prende avvio la ricerca bibliografica che mi ha
condotto a confermare l’iniziale idea che esista una forma d’intelligenza squisitamente
musicale, di cui siamo quasi tutti in parte dotati, ma alcuni particolarmente.
L’interesse per quest’argomento si basa sulla convinzione che se esistono delle
intelligenze specifiche, è bene indagarle in modo preciso, creando gli strumenti adeguati
e soprattutto conoscendone approfonditamente i meccanismi, in modo da poterle
sviluppare e potenziare. La consapevolezza e la conoscenza, oltre all’empatia, sono alla
base del buon insegnamento e per questo dedico l’ultima parte alla Teoria del flusso.
Per sviluppare la tesi, ho concentrato l’attenzione su alcuni concetti chiave:
intelligenza, intelligenza musicale, abilità musicali, canto, canto corale e flusso.
Il primo riferimento utile che mi è apparso è il libro di Howard Gardner (1983-2006)
sulla teoria delle intelligenze multiple, da cui sono partita analizzando la definizione
d’intelligenza in generale e poi d’intelligenza musicale. Una volta studiato e compreso il
lavoro di Gardner, ho iniziato a sviluppare l’argomento, cercando nuovo materiale. La
linea che ho seguito, sia per l’indagine, che per la stesura della tesi stessa, è l’insieme di
criteri che Gardner ha indicato per definire il concetto d’intelligenza come facoltà
autonoma. Questo mi ha permesso di individuare alcuni testi che spiegano la natura dei
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meccanismi mentali nella musica, la teoria musicale e la straordinarietà nel fare musica
di persone con deficit neurologici di vario tipo. Per la tesi, quindi, ho usato una serie di
volumi dedicati ad aspetti psicologici e neuropsicologici della musica e una serie di
articoli relativi all’intelligenza musicale e allo stato di flusso. I volumi che ho scelto
rappresentano una valida sintesi di recenti studi fatti sull’argomento dalla
neuropsicologia e dalla psicologia applicata alla musica. Durante la ricerca ho usato la
banca dati PsycINFO della biblioteca della facoltà di Psicologia di Padova,
selezionando solo materiale pubblicato dall’anno duemila ai giorni nostri. Le parole
chiave che ho utilizzato sono: “musical intelligence”, “cognitive ability”, “music”,
“singing” e “flow”. Ho trovato anche degli articoli attinenti all’intelligenza musicale,
anche se il numero di ricerche sull’argomento è esiguo. Infine, ho collegato le mie
esperienze personali, i dati raccolti e i testi letti, per integrare il tutto e dare una visione
chiara, sintetica ed esaustiva dell’argomento.
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2.
CHE COSA S’INTENDE PER INTELLIGENZA
MUSICALE NEGLI STUDI DI HOWARD GARDNER
SULLE INTELLIGENZE MULTIPLE
La teoria dell’intelligenza musicale è parte della teoria delle intelligenze multiple
di Howard Gardner (1983). Gardner non è l’unico ricercatore che ha parlato di capacità
intellettuali autonome e ad aver affrontato questo tema da un punto di vista psicobiologico, ma è sicuramente stato uno dei primi, e, a quanto mi risulta, il solo ad aver
incluso tra esse un’intelligenza musicale. Per tali motivi in questo capitolo presento una
sintesi del suo lavoro.
Gardner sostiene che esistono delle facoltà intellettuali umane (frames of mind)
che sono relativamente indipendenti e autonome le une dalle altre e che ha denominato
intelligenze. Queste intelligenze sarebbero otto: verbale-linguistica, musicale, logicomatematica, visuo-spaziale, corporeo-cinestetica, intrapersonale, interpersonale e
naturalistica. Attualmente Howard Gardner sta considerando anche un’intelligenza
esistenziale. Questo lavoro sulle intelligenze multiple è partito da due linee di ricerca
specifiche che Gardner ha affrontato per un periodo di dodici anni: il Project Zero di
Harvard, concernente la capacità di fare uso di simboli in bambini normali o dotati, in
particolar modo nelle arti, e la ricerca presso il Medical Center della Veterans
Administration a Boston, sulla perdita di capacità cognitive in individui colpiti da
lesioni cerebrali. Gardner ha, poi, utilizzato e messo in relazione anche altri studi su
soggetti dotati, bambini prodigio, pazienti con lesioni cerebrali, bambini e adulti
normali, idiots savants, esperti in diverse attività e persone appartenenti a culture
diverse.
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L’approccio su cui si basano Howard Gardner e colleghi (David Feldman, David
Olson e Gavriel Salomon) si focalizza sul sistema dei simboli umani implicati nella
cognizione e nell’elaborazione delle informazioni. Questa prospettiva ha ripreso gli
studi di Piaget e ha allargato il numero e il tipo di simboli studiati, comprendendo anche
quelli di tipo musicale, spaziale, corporeo e personale. L’idea è che esistano ambiti,
come quello logico-matematico ben studiato da Piaget, che sono universali e ambiti che
sono unici, come quelli che si riferiscono a una persona o a un piccolo gruppo. Lo
studio di questo secondo tipo di ambiti (unici) ha lo scopo di rendere disponibile un
insieme di informazioni e di progressi, solitamente riservati solo ad una cerchia ristretta
di soggetti, anche ad altri individui. In quest’approccio, notevole importanza è attribuita
alla cultura e alla possibilità che offre di coltivare una certa propensione manifestata
verso un determinato ambito. Questo gruppo di ricercatori ha indagato i simboli,
seguendo diverse vie, con lo scopo generale di individuare i “tipi naturali” di sistemi di
simboli (interdipendenti o indipendenti) e la loro rappresentazione nel sistema nervoso.
2.1. IL CONCETTO DI INTELLIGENZA
Con il termine intelligenza Gardner intende la capacità/competenza intellettuale
di creare, risolvere o trovare problemi, facendo così spazio alla produzione di nuova
conoscenza. Queste forme d’intelligenza relativamente autonome devono rispondere a
determinate caratteristiche biologiche e psicologiche. I criteri adottati da questo
ricercatore per individuare le intelligenze multiple sono:
 la possibilità di isolare una determinata facoltà mentale come conseguenza di un
danno cerebrale;
 la presenza e lo studio di casi di individui eccezionali, come gli idiots savants o i
prodigi, che presentano profili molto diseguali di abilità o deficit;
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 l’esistenza di un’operazione o di un insieme di meccanismi centrali, relativi a una
determinata facoltà intellettuale umana e la relativa localizzazione neurale;
 la storia di sviluppo caratteristica, sia per soggetti normali che dotati;
 la storia evolutiva;
 le prove a sostegno fornite da compiti psicologici sperimentali;
 le prove a sostegno fornite dai risultati psicometrici;
 il fatto che una determinata facoltà mentale tende a codificarsi “naturalmente” in
un sistema di simboli.
2.2. INTELLIGENZA MUSICALE
Secondo Gardner l’intelligenza musicale è la capacità di percepire, discriminare,
trasformare ed esprimere forme musicali. In breve essa consiste in:
 apprezzamento per la struttura della musica e del ritmo;
 capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni, timbri e ritmi;
 sensibilità verso i suoni e i modelli vibratori;
 riconoscimento, creazione e riproduzione di suono, ritmo, musica, toni e
vibrazioni;
 apprezzamento delle caratteristiche qualità dei toni, dei timbri e dei ritmi.
L’intelligenza musicale, all’interno della teoria delle intelligenze multiple, è una delle
prime facoltà mentali a emergere, secondo Gardner e la sua indipendenza è più che
comprovata dall’osservazione dei bambini prodigio. La precocità musicale può
manifestarsi grazie alla partecipazione a un programma d’istruzione ben progettato (ad
esempio il metodo per strumento a corde di Suzuki), alla possibilità di vivere in una
famiglia in cui si respira musica o si fa musica, a una malattia invalidante.
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2.2.1. LE COMPONENTI DELL’INTELLIGENZA MUSICALE
Secondo Gardner l’intelligenza musicale comprende le seguenti componenti:
 tono o melodia;
 ritmo, armonia e melodia;
 timbro;
 l’ascolto/l’udito;
 aspetti affettivi.
Per affrontare lo studio dei modi di percezione degli schemi musicali, Gardner ha
analizzato come sono elaborate le componenti costitutive della musica presentando ai
soggetti segmenti musicali piuttosto consistenti. I campioni musicali utilizzati erano
abbastanza lunghi, ma comunque manipolabili sperimentalmente in modo sistematico,
parti musicali brevi e incomplete o pezzi corti con un ritmo e una chiave chiari. Ai
soggetti veniva chiesto di raggruppare brani con il medesimo ritmo o la stessa chiave
oppure di completare le parti mancanti. Lo studio psicologico della musica può, quindi,
come per il linguaggio, avvenire sia basandosi sui singoli elementi costitutivi, sia
combinandoli in strutture più grandi, frasi o brani musicali, che sottostanno a
determinate regole.
2.2.2. SVILUPPO DELLA COMPETENZA MUSICALE
Secondo Mechthild Papousek e Hanus Papousek (1982, citati in Gardner 1983) i
bambini sono in grado di imitare già a due mesi tono, contorno melodico, e intensità del
canto della loro madre e a quattro mesi le strutture ritmiche (i bambini sono più
predisposti a cogliere aspetti della musica che del linguaggio). A diciotto mesi
cominciano a emettere spontaneamente serie corte di suoni che utilizzano intervalli di
seconde, terze minori, terze maggiori e quarte e iniziano a riprodurre parti di canzoni
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sentite. A tre o quattro anni i bambini hanno appreso le melodie della loro cultura di
appartenenza e perdono l’abitudine della produzione spontanea musicale.
Secondo Gardner, nel canto si notano molto di più che nel linguaggio differenze
individuali durante lo sviluppo. All’età di due o tre anni, alcuni bambini possono
ricordare segmenti piuttosto lunghi di una canzone, mentre altri sono in grado solo di
avvicinarsi alla giusta intonazione; ritmo e parole rappresentano un compito più facile
alla portata di quasi tutti i bambini; altri ancora a cinque o sei anni hanno difficoltà nel
riprodurre linee melodiche intonate; all’età di sei anni i bambini sono in grado di
riprodurre una canzone secondo lo schema musicale e la giusta intonazione. Con la
scolarizzazione lo sviluppo musicale in generale si ferma, a causa della scarsa attività
scolastica volta all’apprendimento della musica.
Un altro apporto interessante, secondo Gardner, è quello di Jeanne Bamberger,
musicista e psicologa dello sviluppo al Massachusset Institute of Technology.
Analizzando lo sviluppo del pensiero musicale seguendo le linee di Piaget, ha visto che
esso possiede regole e un’organizzazione indipendente, tanto da non essere assimilabile
dal pensiero logico matematico o linguistico. Nei soggetti dotati di talento musicale vi è
un cambiamento, abile ed esperto, tra le differenti rappresentazioni di un compito
musicale (la performance o l’ascolto o la lettura dello spartito). La Bamberger (1982,
citata in Gardner 1983) ha distinto due approcci all’elaborazione musicale:
- know that, intuitivo, dove l’attenzione è diretta alla globalità della melodia, tipico del
bambino più piccolo;
- know how, è il passaggio a un’analisi formale delle strutture della musica.
Il passaggio da un approccio all’altro è necessario, ma può essere motivo di resistenza
nei bambini prodigio che manifestano il loro talento attraverso la via intuitiva.
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Sempre secondo la Bamberger, esistono due periodi critici nello sviluppo di un bambino
che studia seriamente musica: a nove anni, quando passa a uno studio più metodico
dello strumento e iniziano le prime rinunce e nell’adolescenza, quando si trova a
interrogarsi se seguire o no la strada del musicista.
Secondo Gardner diversi sistemi (il più importante è il metodo Suzuki)
testimoniano il fatto che le capacità musicali non sono solo innate e per pochi, ma
possono essere stimolate efficacemente dalla cultura. Inoltre, ci sono casi in cui i
bambini hanno sviluppato abilità musicali straordinarie, nonostante la totale assenza di
un ambiente familiare favorevole (Rubistein, bambini autistici, i compositori che già a
dieci anni tendono a comporre, modificare, riscrivere i pezzi che suonano). Questo non
significa che la genetica non abbia il suo ruolo in quest’ambito, basti pensare che alcune
famiglie hanno generato personalità musicali di grande rilievo (Mozart, Bach, Haydn).
2.2.3. ASPETTI EVOLUTIVI E NEUROLOGICI DELLA MUSICA
Per Gardner il primo parallelismo che si può fare è quello tra il canto degli esseri
umani e quello degli uccelli. Ci sono specie di volatili che eseguono un singolo canto,
secondo un linguaggio “comune” posseduto anche dai membri sordi. Altre specie hanno
una varietà di forme canore che si manifestano secondo gli stimoli ambientali. Il tipo di
canto emesso dagli uccelli si è evoluto, passando da una forma di sottocanto, per
divenire un canto plastico e infine prendere la forma del canto vero e proprio tipico di
quella specie. Questo ricorda lo sviluppo della specie umana, dove i bambini passano da
un iniziale stato di pre-lallazione fino alla produzione di canti veri e propri, anche se gli
umani hanno una varietà di produzione canora che va ben oltre la limitata performance
dei volatili.
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Per quanto riguarda l’aspetto neurologico, il canto degli uccelli è lateralizzato in modo
regolare a sinistra nel cervello, perciò una lesione in quest’area provoca l’incapacità di
cantare. Il cervello dei diversi volatili presenta una notevole variabilità e questo si
manifesta poi con una differenza nel repertorio canoro. Per gli esseri umani le cose
stanno diversamente: la maggior parte delle capacità musicali sono localizzate
nell’emisfero di destra, questo si evince chiaramente nei test di ascolto biauricolare in
soggetti che non sono esperti musicali (n.b. gli esperti musicali hanno un’attivazione
maggiore dell’emisfero sinistro in situazione di problem solving). Gardner sottolinea
che il canto non è prerogativa solo della specie umana, ma nell’uomo è peculiare la
presenza di alcune capacità esclusive come quella di riconoscere le altezze relavive e
assolute dei suoni o di saper apprezzare le trasformazioni musicali e di avere una
rappresentazione neurale decisamente varia. Ovviamente, il canto degli uccelli non è
paragonabile a quello umano, ma i due hanno in comune la capacità di esprimersi
attraverso suoni che comunicano qualcosa, che è compreso dagli altri membri della
specie.
I ricercatori hanno dimostrato che i meccanismi e i processi di musica e
linguaggio sono indipendenti. Diana Deutsch (1975, citata in Gardner 1983), studiosa
della percezione della musica, ha mostrato che i meccanismi di apprendimento e
memorizzazione della melodia sono diversi da quelli del linguaggio. Ha presentato a dei
soggetti sequenze di suoni distinti da toni diversi da memorizzare seguiti da stimoli
d’interferenza. I risultati mostrano che se il materiale d’interferenza è costituito da
suoni, allora la percentuale di errore di memorizzazione è del 40%, se invece si tratta di
materiale di disturbo verbale l’errore è del 2%. Anche lo studio su soggetti con lesioni
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cerebrali dimostra l’indipendenza delle capacità musicali da quelle del linguaggio
parlato: si può essere afasici, ma mantenere intatte le capacità musicali e viceversa.
2.2.4. TALENTI MUSICALI INSOLITI
Secondo Gardner la letteratura presenta un panorama ampio di soggetti che
possiedono un talento musicale insolito: idiots savants, autistici, persone affette da
sindrome di Williams, enfants prodige e soggetti che possiedono l’orecchio assoluto.
Lo studio sugli idiots savants musicali mostra che già da piccoli essi sono spesso
in grado di ripetere i toni anche dopo un solo ascolto: cantano intonati ed hanno
un’eccezionale memoria tonale. Anche gli individui autistici hanno una capacità
pressoché perfetta di riconoscimento tonale.
Gardner sostiene che un’altra prova è fornita dal fatto che l’intelligenza musicale
non è legata esclusivamente al sistema uditivo perfettamente funzionante, per esempio
l’organizzazione ritmica permette ai sordi di avere un punto d’ingresso nel mondo
dell’esperienza musicale.
2.2.5. RAPPORTO CON ALTRE COMPETENZE INTELLETTUALI
Gardner considera l’intelligenza musicale una competenza intellettuale a sé,
perché non è vincolata alla presenza di oggetti fisici del mondo circostante, ma è astratta
come il linguaggio e si fonda sul sistema uditivo-vocale. È un sistema che ha i suoi
simboli e non ha particolari fini di comunicazione, pur essendo un elemento centrale
comune nell’esperienza dell’uomo, perciò è d’interesse generale capire la natura
dell’importanza dell’intelligenza musicale.
Secondo molti compositori esiste un legame profondo tra musica e capacità di
movimento, per meglio dire la musica è considerata un’estensione del linguaggio del
corpo. In effetti, i bambini spesso reagiscono alla musica con una sorta di danza. Un
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altro tipo di associazione fatta di sovente è tra musica e capacità spaziali. Entrambe
queste abilità sono localizzate nell’emisfero destro e secondo alcuni questo è anche il
motivo per cui sono in un numero maggiore i compositori maschi rispetto alle femmine
(che è risaputo abbiano minore abilità nei compiti di tipo spaziale). Un’altra relazione
supposta è tra la musica e la matematica, per l’analogia esistente tra i due linguaggi
simbolici, nell’interesse per le proporzioni, per i rapporti fra le parti, per gli schemi
ricorrenti. Inoltre, la musica è in relazione con emozione e motivazione e perciò a
livello cerebrale ci sono delle connessioni anche subcorticali, oltre che corticali.
Infine, la musica oltre ad avere tutte queste analogie con altre forme d’intelligenza, si
distingue totalmente da esse perché il suo scopo primario e i meccanismi e processi
sottostanti sono ben diversi e distintamente articolati.
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3.
NEUROANATOMIA MUSICALE E SVILUPPO
In questo capitolo affronto il tema dei meccanismi centrali, relativi
all’intelligenza musicale, la loro localizzazione neurale (uno dei parametri che Gardner
indica per definire il concetto d’intelligenza) e lo sviluppo delle capacità musicali nel
bambino.
Daniel Levitin (2006), neuroscienziato e docente presso l’Università
McGill a Montreal in Canada, ha indagato che cos’è e come opera la musica nel nostro
cervello. Secondo lo studioso l’attività musicale stimola l’attivazione e la coordinazione
di gran parte del cervello e dei sottosistemi neurali.
3.1. CAPACITÀ MUSICALI E AREE CEREBRALI
Quali sono le aree e le strutture cerebrali che maggiormente si attivano con la
musica? Secondo Levitin le aree principali coinvolte nell’ascolto e nella produzione di
musica sono la corteccia prefrontale, la corteccia motoria, la corteccia sensoriale, la
corteccia uditiva, la corteccia visiva e il cervelletto (si veda fig. 1). Inoltre, le principali
strutture che operano nella produzione e nell’ascolto della musica sono: l’ippocampo, il
corpo calloso, il cervelletto, l’amigdala e il nucleus accumbens (si veda fig. 2).
L’autore analizza le principali attività cerebrali legate alla musica e le sintetizza
in questi termini:
 l’ascolto parte dalle strutture subcorticali (nuclei cocleari, tronco encefalico,
cervelletto) e prosegue verso la corteccia uditiva dei due emisferi. Quando
l’ascolto riguarda musica nota vengono coinvolti anche l’ippocampo (sede della
memoria musicale), la corteccia frontale anteriore e il lobo frontale.
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 la capacità di battere il piede ascoltando musica prevede l’attivazione della
corteccia motoria e dei circuiti del timing (cioè la capacità di “sentire” il tempo)
del cervelletto.
 l’atto di suonare coinvolge i lobi frontali (sedi della pianificazione), la corteccia
motoria nella parte posteriore del lobo frontale e la corteccia sensoriale per il
feedback tattile.
 la capacità di leggere lo spartito coinvolge la corteccia visiva che si trova nel
lobo occipitale.
 la percezione e l’analisi dei toni avvengono grazie alla corteccia uditiva.
 per ascoltare e ricordare i testi musicali si attivano i centri del linguaggio (area di
Broca e Wernicke), il lobo temporale e frontale.
 la capacità di provare emozioni coinvolge il centro delle regioni primitive del
verme cerebellare, l’amigdala e il nucleus accumbens.
 per finire, le aspettative musicali (ovvero gli schemi mentali che permettono
all’inidividuo di conoscere le regole della musica della propria cultura di
appartenenza) si creano attraverso la corteccia prefrontale.
Un altro studioso, Gottfried Schlaug (2003, citato in Levitin 2006),
neuroscienziato di Harvard, ha osservato, attraverso i suoi studi con la risonanza
magnetica funzionale, che il cervello di un esperto di musica si differenzia ed è
distinguibile chiaramente da quello di un non professionista. Il cervello del musicista ha
la parte frontale del corpo calloso significativamente più ampia (soprattutto se l’inizio
degli studi è stato precoce) rispetto ai non musicisti. Anche il cervelletto è più grande e
la materia grigia è più voluminosa della norma nelle aree uditive, motorie e
visuospaziali della corteccia e del cervelletto. Ciò conferma l’ipotesi che l’esercizio e lo
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studio portino alla bilateralizzazione delle operazioni musicali e definisce, secondo
Levitin, l’esistenza del cervello del musicista.
Non esiste una regione della musica: il cervello ha la capacità di lavorare in
parallelo, di integrare e coordinare tutte le informazioni. Inoltre, il cervello è dotato
delle straordinarie capacità di autoriorganizzazione e di neuroplasticità, che si attivano
ogni volta che va incontro a nuove esigenze. Questo spiega perché determinate aree
siano più sviluppate nei musicisti o perché i professionisti di questo settore che abbiano
avuto dei traumi o delle menomazioni possono riuscire a tornare a suonare.
Figura 1. Aree pricipali del
cervello che si attivano
nell’ascolto e nella
produzione della musica.
Figura 2. Principali centri di
attivazione del cervello
nell’ascolto e nella produzione
della musica.
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COME FUNZIONA LA NEUROANATOMIA MUSICALE?
Il mondo fisico non sempre fornisce al cervello informazioni complete e questo vale
anche per le informazioni uditive, perciò il sistema uditivo deve operare un
completamento percettivo. Tale fenomeno è stato studiato e teorizzato da Richard
Warren (1970, citato in Levitin 2006), psicologo cognitivista, attraverso una
dimostrazione. Warren, dopo aver registrato una frase, ne sostituì una parte con rumore
bianco1. Tutti i soggetti che parteciparono all’esperimento e ascoltarono quella versione,
asserirono di aver sentito sia il rumore bianco sia la frase intera. Alcuni, però, non
1
Il rumore bianco è un particolare tipo di rumore caratterizzato dall'assenza di periodicità e
da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze. Nella pratica però il rumore bianco non esiste: si
tratta di un'idealizzazione teorica, poiché nessun sistema è in grado di generare uno spettro uniforme per
tutte le frequenze esteso da zero a infinito.
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sapevano collocare dove avevano sentito il rumore bianco, mentre la maggior parte di
essi sosteneva che il rumore bianco era separato dalla frase. Da ciò si evince che il
sistema uditivo aveva colmato la lacuna e aveva distorto l’informazione percettiva
creando due diversi gruppi percettivi (stream). Il valore di questo processo è, da una
parte, adattativo (dalla distinzione di un suono da un altro, infatti, può dipendere la vita
o la morte) ed evolutivo dall’altra (per la selezione sessuale) e dimostra, secondo me,
come l’intelligenza musicale abbia il suo processo evolutivo specifico.
3.2. MECCANISMI E PROCESSI RELATIVI AGLI ELEMENTI BASE
DELLA MUSICA
I meccanismi e i processi relativi agli elementi di base della musica sono
numerosi. In questo paragrafo descrivo solo alcune di queste capacità, che sono state
accuratamente spiegate da Levitin (2006), per sottolineare che benché siano spesso
comuni e inconsapevoli, sono molto più sviluppate in alcuni soggetti rispetto ad altri a
dimostrazione che l’intelligenza musicale esiste.
3.2.1. CAPACITÀ RELATIVE AL TONO
La maggior parte degli esseri umani dai cinque anni in poi è in grado di riconoscere una stonatura (stecca), ma solo pochi sanno individuare di che nota si tratta o di
quale tono si doveva trattare (ad esempio chi possiede l’orecchio assoluto). Anche la
capacità di riconoscere come simili due toni distanti un’ottava2 è comune a tutte le
culture musicali ed è addirittura presente in alcuni animali, come scimmie e gatti.
Un’altra abilità di cui siamo dotati, ma generalmente inconsapevoli, è la capacità di
riconoscere la “frequenza fondamentale”(F0, vedi appendice B). Ogni tono è formato da
2
L’ottava è formata dalla ripetizione delle note da Do a Do e corrisponde al fenomeno percettivo di
circolarità delle frequenze dei toni (hanno un rapporto di 2:1), ovvero quella “sensazione di tornare a
casa”, come dice D.J.Levitin (2006), ogni volta che doppiamo la frequenza di un suono.
19
una frequenza fondamentale, cioè dalla vibrazione più lenta e quindi grave e dagli
“ipertoni” (armonici), le frequenze più veloci, che sono i multipli della “frequenza
fondamentale” (vedi fig. 3 appendice B). Il cervello risponde a questi impulsi tramite la
corteccia uditiva, che sincronizza la velocità di eccitazione dei neuroni, adibiti alle
risposte delle diverse frequenze. Questo processo dà luogo al riconoscimento della
“frequenza fondamentale” e al fenomeno di “ripristino della fondamentale mancante”:
quando un suono è presentato solo con i suoi “ipertoni”, il soggetto lo percepisce come
se ci fosse anche la “fondamentale”. Petr Janata (1997, citato in Levitin 2006),
professore associato e ricercatore del dipartimento di psicologia dell’Università della
California ha sperimentato e dimostrato la presenza di questo fenomeno anche nei
barbagianni.
3.2.2. CAPACITÀ RELATIVE AL TIMBRO
La capacità di riconoscere il timbro negli esseri umani è nota, ma nella musica
assume un aspetto distinto. In linea di massima ogni strumento si distingue da un altro
(un sax da una voce) per la serie caratteristica di ipertoni che possiede, ma Schaeffer
(1968, citato in Levitin 2006), compositore d’avanguardia, scoprì che la capacità dei
soggetti di riconoscere uno strumento musicale è seriamente compromessa quando
l’attacco del suono è stato rimosso. Nei suoi esperimenti, Schaeffer fece ascoltare a più
soggetti delle registrazioni di diversi strumenti dopo averne tagliato con una lametta
l’attacco. Nella maggior parte dei casi i soggetti non riuscirono a riconoscere gli
strumenti. Questo significa che l’attacco3 è fondamentale per il riconoscimento di un
timbro musicale.
3
L’attacco è dato da quei pochi secondi in cui un musicista o un cantante iniziano a suonare. È il respiro
e l’inizio del canto o l’archetto che si appoggia al violino.
20
3.2.3. CAPACITÀ RELATIVE AL RITMO E AL TEMPO
A livello neurale suonare a ritmo uno strumento sembra una capacità innata
nell’essere umano. Levitin e Cook (1996, citati in Levitin 2006) eseguirono un
esperimento per verificare se ciò corrispondeva a realtà. Chiesero a dei soggetti di
cantare a memoria le canzoni pop o rock che preferivano, al fine di misurare quanto le
prestazioni dei soggetti si avvicinassero all’esecuzione originale. I risultati mostrarono
che la maggior parte dei soggetti eseguì la prova canora con un tempo entro il 4% di
quello effettivo. Questo esperimento dimostrò quindi che la percezione e riproduzione
del ritmo è piuttosto fedele nell’essere umano. Non sempre, però, le persone battono il
tempo proprio nel punto in cui lo batterebbe un musicista e così si crea l’effetto
sincopato o backbeat (un ritmo che esiste nel rock e accenta il secondo e il quarto battito
anziché il primo e il terzo).
Il nostro cervello tende a dare un metro ai suoni (Oliver Sacks 2007-2008)
poiché ha bisogno di regolarità: si pensi per esempio al ticchettio dell’orologio e allo
sgocciolare del rubinetto. Invece, per la percezione del tempo (44, ¾, ecc.) esiste un
processo di quantizzazione, così definito da Erik Clarke (1999, citato in Levitin 2006),
cioè un meccanismo neurale che raggruppa le pulsazioni simili, ecco perché
distinguiamo una marcia da un valzer ed ecco perché la composizione musicale si basa
su tempi ben precisi.
Un’altra capacità del cervello è la trasposizione melodica, cioè la capacità di
cantare, suonare e riconoscere un brano musicale eseguito in una tonalità diversa
dall’originale o con tempo e strumenti diversi. È stata scoperta da Christian von
Ehrenfels (1988, citato in Levitin 2006) e fa parte dei “principi di raggruppamento”
della Gestalt. Questi principi trattano, tra le altre cose, come il sistema uditivo
21
raggruppa le proprietà del suono per dar luogo alla percezione del suono e delle sue
regole. Si pensi ad esempio come il suono si raggruppa durante l’esecuzione di
un’orchestra: non percepiamo i singoli strumenti, ma l’insieme. Il sistema uditivo
raggruppa i suoni attraverso le informazioni fornite dagli ipertoni in maniera automatica
ed è in grado di distinguere due diversi strumenti o se la stessa nota è suonata da
strumenti diversi. Sono differenti i raggruppamenti che il sistema uditivo opera a livello
del cervello (per tono, per timbro, per intensità, per provenienza del suono), ma questi
processi, che sono abbastanza indipendenti, si possono modificare attraverso esperienza
e attenzione, che permettono un controllo cosciente e cognitivo.
3.3. IL CERVELLO DEL CANTANTE
Il canto attiva aree specifiche del cervello? Se sì, quali? La ricerca Auditorymotor mapping for pitch control in singers and nonsingers (Jeffery A. Jones e Dwayne
Keough, 2008) dimostra che il cantare, seguito da un feedback inalterato, attiva
specifiche aree del cervello. Le porzioni di cervello che si attivano durante il canto (sia
per i cantanti di professione che per i non cantanti) sono le aree bilaterali del sistema
uditivo, la corteccia motoria, l’area supplementare motoria, la corteccia cingolata
anteriore, il talamo, l’insula e il cerebellum. Il canto comporta, quindi, l’attivazione di
varie parti del cervello (si veda la figura 3):
∞ corteccia sensomotoria primaria bilateralmente (nell’articolazione dei
movimenti);
∞ aree motorie secondarie;
∞ gangli della base;
∞ talamo;
∞ striato ventrale;
22
∞ verme cerebellare;
∞ midollo allungato connesso ai nuclei dei nervi cranici V (trigemino), IX
(glossofaringeo), X (vago), XII (ipoglosso), che sono associati alla fonazione
e all’articolazione;
∞ corteccia uditiva primaria bilateralmente;
∞ aree uditive associative bilateralmente;
∞ area di Broca e di Wernicke e le loro omologhe;
∞ alcune aree che sono in relazione con il processo legato all’emozione (insula
anteriore e corteccia cingolata anteriore).
Nessuna area presenta una particolare lateralizzazione, anzi è evidente che l’attività del
canto coinvolge equamente entrambi gli emisferi cerebrali. Da qui, forse, deriva
l’eccezionale qualità del cantare, utilizzata come tecnica riabilitativa e di potenziamento
della memoria nei soggetti affetti da Alzheimer (Simmons-Stern, Budson, Ally 2010).
Figura 3. Aree cerebrali attive durante il canto. Kleber, Birbaumer, Veit, Trevorrow,
Lotze (2007).
23
3.4. BAMBINO E MUSICA
Levitin (2006) sostiene che l’esposizione durante l’infanzia dei bambini alla
musica è decisiva nell’influenzare la crescita e il gusto musicale del bambino stesso. Già
nel grembo materno il bambino sente i suoni e questo processo inizia a cinque mesi.
Alexandra Lamont (2001, citata in Levitin 2006) ha dimostrato che i bambini di un anno
riconoscono e preferiscono la musica che hanno sentito nell’utero. Questo indica due
cose interessanti: la capacità di memorizzare presente nel feto e quanto l’ambiente e la
cultura siano influenti sullo sviluppo delle preferenze del bambino, già dalla condizione
fetale.
Secondo Trehub (2003, citata in Levitin 2006) la caratteristica saliente della
musica per i bambini è il profilo melodico, essi, infatti riescono a trovare similarità o
differenze in 30 secondi di ritenzione (il su e giù del tono). Inoltre, i bambini
preferiscono gli intervalli consonanti a quelli dissonanti e riconoscono più facilmente
una quarta giusta o una quinta giusta, da un intervallo dissonante come il tritono.
Trehub (2003, citata in Levitin 2006) ha dimostrato anche che le scale con distanze
diseguali (come quella maggiore) sono più facilmente elaborate e memorizzate dai
bambini. Scale e cervello, quindi, si sono evoluti insieme: secondo Levitin (2006)
infatti, la scala maggiore è disposta in un modo simile agli armonici.
Fin dalla prima infanzia le vocalizzazioni spontanee dei bambini sembrano un
canto. Il gusto musicale dei bambini inizia a formarsi verso i 2 anni, dapprima
preferendo canzoni dall’armonia semplice e prevedibile. Secondo Posner (1994, citato
in Levitin 2006) questo avviene perché i lobi frontali e il cingolo anteriore non sono
ancora del tutto sviluppati, perciò l’attenzione simultanea non è presente. Infatti, fino
agli 8 anni i bambini hanno difficoltà a cantare a più voci. Dai 10 anni, il bambino inizia
24
a sviluppare il proprio gusto musicale. Si è visto che l’Alzheimer (Levitin 2006) che
danneggia la memoria, in molti casi non cancella i ricordi delle canzoni imparate a 14
anni. A 18-20 anni si ha il proprio gusto e questo ha a che fare anche con l’interazione
sociale: la musica a quest’età diventa un fatto sociale che crea condivisione o
distinzione dal gruppo di coetanei ed entra a far parte integrante dell’identità. Da questo
momento lo sviluppo delle connessioni neurali rallenta; ecco perché sarebbe importante
insegnare musica precocemente.
3.5. LE ASPETTATIVE MUSICALI
Secondo Levitin (2006) il cervello ha la capacità innata di apprendere le regole e
i modi della musica della cultura d’appartenenza. Nei primi anni di vita il bambino è
stimolato da un’infinità di input. Durante la crescita le connessioni neurali che si sono
formate nell’infanzia vengono sfoltite trattenendo e fissando solo ciò che è essenziale.
Dal quinto mese di gravidanza, inizia il processo di formazione degli schemi mentali
che consente al bambino di riconoscere le scale musicali: a 5 anni ad esempio è in grado
di riconoscere le progressioni di accordi. Questi schemi fanno percepire come “strana”
la musica diversa da quella della cultura di appartenenza e creano dei vocabolari che
permettono di distinguere generi, stili, ritmi, progressioni di accordi, ecc. Sono gli
schemi musicali che interagiscono con la memoria e danno luogo alle aspettative
musicali.
Il cervello è in grado di elaborare schemi e funziona attraverso di essi e questo
genera la sua preferenza per ciò che è conosciuto rispetto allo sconosciuto. Questo
fenomeno conferma nuovamente l’importanza del ruolo svolto dalla cultura di
appartenenza e dall’imprinting ricevuto in età evolutiva.
25
Le aspettative musicali spiegano il principio gap fill, che è stato individuato dai
teorici della musica, secondo cui in una sequenza di toni se una melodia fa un bel salto,
in giù o in su, l’ascoltatore si aspetta che la nota successiva inverta la rotta. I
professionisti della musica utilizzano questi schemi per produrre sorpresa nello
spettatore, come quando il compositore viola una serie di accordi o il numero delle
battute di una frase, o come quando i musicisti improvvisamente suonano in metà
tempo, o aumentano l’intensità e poi inaspettatamente smettono di suonare. L’effetto di
rottura delle aspettative è piacevole solo quando il cambiamento prodotto non è radicale
ed è limitato.
Ogni genere ha le sue regole: più musica ascoltiamo, più le assorbiamo e anche
ciò che non ci piaceva, perché sconosciuto e poco compreso, può diventare familiare e
apprezzato. I suoni, i ritmi, i timbri, le armonie, ecc. che troviamo solitamente gradevoli
sono un’estensione delle nostre precedenti esperienze musicali positive; questo perché
gli schemi conosciuti generano sicurezza e quest’ultima influenza la scelta musicale. La
musica, grazie ai suoi schemi, può modificare l’umore e rendere lo spettatore
vulnerabile: ecco perché il famoso “lasciarsi andare” ha a che fare proprio con il
bisogno di sentirsi sicuri. La musica offre queste sicurezze e permette di provare
liberamente emozioni.
26
4.
INTELLIGENZA MUSICALE E RICERCA
Dopo la pubblicazione della Teoria delle Intelligenze Multiple di Howard
Gardner (1983), la ricerca scientifica si è occupata di indagare questa teoria e le
conseguenze che può avere soprattutto sul piano educativo. Non esistono al momento
studi specifici riguardo a canto e intelligenza musicale e solo quest’ultima è stata
oggetto di studio solamente di qualche indagine. Una, ad esempio, è la ricerca intitolata
Musical aptitude and multiple intelligences among Chinese gifted students in Hong
Kong: Do self-perceptions predict abilities? di David W. Chan (2007). In questa
ricerca Chan indagò su un gruppo di studenti musicalmente dotati (298), di età
compresa tra i 7 e i 17 anni, attraverso due strumenti: lo SMIP-24 (Student Multiple
Intelligence Profile, costruito da Chan per misurare l’autopercezione delle abilità
secondo la teoria delle intelligenze muliple) e il MAP4 (Musical Aptitude Profile). Lo
scopo di Chan era di analizzare se l’autopercezione dell’intelligenza musicale fosse o
meno una variabile predittiva delle attitudini musicali. Attraverso questo studio l’autore
mostrò che esisteva una correlazione positiva tra intelligenza musicale autopercepita e
attitudini musicali, in particolare al livello d’istruzione primario. Partendo da questo
risultato Chan ha evidenziato che questa variabile poteva essere un punto di partenza
valido nella procedura di identificazione dei talenti, specialmente al livello di istruzione
primario. Inoltre, il ricercatore ha specificato, che per fare in modo che l’autopercezione
musicale sia in futuro uno strumento utile per predire anche la performance e il
4
Il MAP è uno strumento di misura delle attitudini musicali. È composto di 250 item suddivisi in tre test
di valutazione: uno per il tono, uno per il ritmo e uno per la sensibilità musicale. Ai soggetti viene chiesto,
ad esempio, di ascoltare e comparare una coppia di frasi musicali (una prima frase musicale corta e una
seconda che fa da risposta) e di decidere se le due suonano simili o differenti, se hanno ritmo identico o
diverso o qual è fra le due la frase più musicale.
27
processo creativo musicale, sarebbe stato necessario aggiungere attività individuali
d’interpretazione creativa nell’improvvisazione e nella composizione musicale.
Un altro esempio di ricerca sull’intelligenza musicale è l’articolo Creativity or
musical intelligence? A comparative study of improvisation/improvisation performance
by European and African musicians di Joseph Matare (2009, docente e ricercatore
dell’Istituto Europeo di Musica Africana di Neuburg e della facoltà di Pedagogia
all’Università di Freiburg, in Germania). Matare ha trattato l’importanza rivestita dalla
cultura nello sviluppo dell’intelligenza musicale dal punto di vista del problem solving,
mettendo l’arte dell’improvvisazione musicale in relazione con la creatività in musicisti
di due continenti, Europa e Africa. È partito dalla citazione di Gardner sul concetto
d’intelligenza: “un potenziale bio-psicologico di processare informazioni che possono
essere attivate in un contesto culturale per risolvere problemi o creare prodotti che sono
di valore in una certa cultura” (Gardner, 1999, 33-34, citato in Matare 2009). Matare ha
indagato la capacità di problem solving dell’intelligenza musicale; come e quanto
l’expertise determina lo sviluppo dell’intelligenza musicale; come la cultura di
appartenenza influenza lo sviluppo dell’intelligenza musicale. Lo studio ha coinvolto 24
musicisti, di cui 12 europei e 12 africani. Questi musicisti sono furono divisi in 3
gruppi: principianti, esperti e professionisti che vivevano facendo musica. Ogni
musicista potè scegliere lo strumento con cui suonare: gli europei optarono per chitarra,
piano, recorder, flauto, tromba, double basso, sassofono e voce, mentre gli africani per
voce, mbira (lamellofono), chitarra e tamburi. Il compito assegnato ai soggetti era di
improvvisare due brani musicali, che furono registrati e in seguito riascoltati due volte.
Durante la fase di riascolto i soggetti furono intervistati. I risultati mostrarono che,
28
effettivamente,
esistono
delle
diversità
nell’approccio
all’improvvisazione,
nell’interpretazione del compito e nei criteri specifici di problem solving adottati.
I musicisti africani avevano un approccio all’improvvisazione basato sulla
spiritualità, sull’importanza attribuita al proprio Paese d’origine e sulla forma musicale
africana. Le strategie di problem solving dei musicisti si fondavano su immagini e stati
emotivi. Per i principianti, l’improvvisazione si sviluppava in direzione degli stati
emotivi da cui originava e ritornava creando immagini culturali, personali o sociali. I
musicisti esperti, invece, andavano oltre, cercando di fare un’autoanalisi, esplorando i
sogni, la comunicazione con gli spiriti e con Dio. I professionisti iniziavano a loro volta
con immagini e stati emotivi, ma l’improvvisazione era vissuta principalmente come
occasione ed evento per raccontare una storia, fare filosofia, criticare e discutere i valori
sociali.
I musicisti europei avevano un approccio all’improvvisazione basato sulla relazione
tra performance e pubblico, sull’espressione, sull’interpretazione e sulla comunicazione
di qualche significato. Le strategie di problem solving si fondavano sulle conoscenze
tecniche musicali, sulle regole e sulle competenze necessarie. Per via di questo tipo
approccio di i musicisti principianti e quelli esperti percepivano il compito di
improvvisazione come un processo rischioso, che richiedeva l’adozione di strategie di
sicurezza, per evitare di commettere errori. Quindi, l’improvvisazione consisteva in una
musica piuttosto semplice che conteneva qualche abbellimento ornamentale e si
limitava ad un’interpretazione coerente del pezzo. I professionisti, invece, coordinavano
improvvisazione, conoscenza della musica e reazione del pubblico come un processo
decisionale proprio dell’improvvisazione, che non gli impediva di provare un senso di
libertà, anche se il processo mentale d’improvvisazione non era mai libero.
29
L’eccezionalità si aveva quando il musicista professionista andava un passo più avanti a
questo processo ottenendo uno stato meditativo, attraverso il quale conscio e inconscio
avevano il potenziale di promuovere la trascendenza5.
L’improvvisazione dei musicisti africani era libera, spontanea ed emotiva, mentre
quella degli europei era limitata e costantemente monitorata. Nell’improvvisazione
africana non si nominavano la musica e le sue regole, ma gli stati emozionali profondi
messi in relazione con spiritualità e cultura. Nell’improvvisazione europea, invece, la
cosa più importante era proprio la musica e le sue regole.
I risultati di questa ricerca mostrarono in definitiva, che:
∞ la natura dell’intelligenza musicale e del comportamento ad essa connesso è
veramente comprensibile solo all’interno del contesto culturale di appartenenza
che determina il percorso, i processi e i valori attribuiti allo sviluppo della
conoscenza e della percezione musicale;
∞ esiste uno sviluppo dell’intelligenza musicale indipendente dalle differenze
culturali, poiché la capacità d’improvvisazione cresce con l’esperienza (sia i
professionisti europei che africani rivelarono una tecnica d’improvvisazione
maggiore e più sviluppata dei principianti e degli esperti).
Queste ricerche consolidano la tesi che l’intelligenza musicale esiste, è
incrementabile e che la cultura è un fattore di estrema importanza per il suo sviluppo.
Secondo me sarebbe utile indagare altre differenze culturali legate all’intelligenza
musicale e all’improvvisazione. Ad esempio, si potrebbe studiare anche la cultura
musicale orientale più spirituale, oltre alla cultura europea più concettuale e quella
africana più istintiva. Inoltre, sarebbe stimolante osservare, attraverso la risonanza
5
La trascendenza descritta da Matare è, secondo me, molto simile allo stato di flusso definito da Mihaly
Csikszentmihalyi (1990).
30
magnetica funzionale, se lo studio di Matare produce delle differenze nelle aree
cerebrali che si attivano. Inoltre, sarebbe interessante scoprire se esistano delle
differenze culturali tra musicisti autodidatti, diplomati al conservatorio e in scuole
private.
31
5.
INTELLIGENZA MUSICALE E CANTO NELLA RICERCA
Il canto è prodotto da un complesso e articolato processo che coinvolge tratto
vocale, sistema respiratorio, connessioni corticali e neurali, sistema propriocettivo e
uditivo, riflessi e feedback uditivo (vedi appendice B). Quest’ultimo svolge tre ruoli:
riceve e rende disponibili le informazioni più importanti per svolgere i compiti sonori;
diventa indispensabile quando i suoni vengono mascherati, ad esempio in presenza di
rumore di fondo; è il mezzo attraverso il quale la pianificazione motoria e il sistema di
controllo calibrano i modelli interni della produzione sonora. Una ricerca che tratta lo
studio di quest’ultima funzione del feedback uditivo è Auditory-motor mapping for
pitch control in singers and nonsingers di Jones e Keough (2008). L’indagine, pur non
essendo espressamente dedicata all’intelligenza musicale, evidenzia l’esistenza di
meccanismi neurali specifici delle capacità musicali, in particolare canore, perciò
fornisce dati a sostegno dell’esistenza di un’intelligenza esclusivamente musicale.
6.1. LE MAPPE NEURALI, IL PARADIGMA DEL FAF E IL FEEDBACK
UDITIVO NEI CANTANTI E NEI NON CANTANTI
La ricerca condotta da Jones e Keough (2008) aveva come obiettivo lo studio dei
processi di base che sottostanno al comportamento del canto. I ricercatori si sono basati
sul presupposto che esistono dei modelli interni nel cervello (mappe neurali), che
mettono in relazione i comandi motori, la muscolatura e il feedback sensoriale. Jones e
Keough (2008) si sono avvalsi del paradigma di feedback a frequenza alterata (FAF)6
6
FAF (Frequency Altered Feedback): è l’alterazione/mascheramento della frequenza fondamentale (F o)
del feedback uditivo. Burnett (1997, 1998, citato in Jones e Keough 2008) ha dimostrato che i cantanti in
seguito al FAF hanno una risposta di compensazione. In particolare, quando i cantanti sentono la loro F o
alterata, in alto o in basso, spostano la frequenza della loro Fo nella direzione opposta alla perturbazione.
32
per esaminare l’esistenza dei modelli interni, le differenze nelle mappe neurali di
cantanti e non cantanti e l’effetto di queste mappe sulla produzione canora.
I ricercatori sono partiti dalle seguenti ipotesi: sia i cantanti che i non cantanti
sono soggetti all’effetto di compensazione conseguente all’alterazione della Fo; i
cantanti hanno un’abilità maggiore nella riproduzione del tono e sono più resistenti al
fattore di mascheramento del tono; i cantanti possiedono dei modelli interni riguardanti
i toni (Fo) e il sistema motorio di controllo estesi e consolidati, che contribuiscono a
questa resistenza7.
Per la ricerca furono esaminate 40 donne di età compresa tra i 18 e i 27 anni, di
queste 20 erano cantanti e 20 non cantanti. Il compito dei soggetti era di produrre la
sillaba cantata /ta/ della durata di 2 secondi, in 2 blocchi di 60 sessioni, precedute da 5
sessioni di prova con il mormorio e Fo di “sol” inalterata. L’esperimento consisteva di
due condizioni: una di controllo composta da 60 sessioni col feedback inalterato e
un’altra sperimentale composta da 10 sessioni con fedback inalterato, 30 sessioni con
l’alterazione della Fo (abbassata di 1 semitono) e 20 sessioni finali con feedback
inalterato. Inoltre, furono usate due condizioni di produzione canora: l’emissione
esclusivamente di “sol” e l’emissione prima di “sol” e poi di “fa” (“fa” solo nelle ultime
20 sessioni). Le condizioni “sol-sol” e “sol-fa” furono studiate separatamente.
7
È interessante notare che, in una ricerca precedente sul feedback uditivo seguito da mascheramento del
tono (Watts 2003, citato in Jones e Keough 2008) si era visto che nei compiti di accoppiamento dei toni
(pitch matching) i non cantanti dotati rispondevano bene tanto quanto i cantanti e avevano, addirittura,
risposto meglio quando il feedback uditivo era invariato. Questo mostra, secondo me, come l’intelligenza
musicale sia effettivamente presente e l’attività canora ne rappresenti un buon esempio.
33
Nella condizione “sol-sol” la Fo emessa dai soggetti nella condizione
sperimentale era più alta rispetto a quella emessa dagli stessi nella condizione di
controllo, a causa delle risposte di compensazione all’alterazione della Fo nel feedback
uditivo. I non cantanti compensavano di più nelle fasi iniziali della condizione
sperimentale rispetto ai cantanti, mentre i cantanti producevano una Fo più alta dei non
cantanti nelle fasi di test finale.
Nella condizione “sol-fa” i risultati furono molto simili, anche se i valori della Fo
nella condizione sperimentale durante la fase di cambiamento erano molto più alti sia
per i cantanti che per i non cantanti.
I risultati confermarono le ipotesi di Jones e Keought e i ricercatori conclusero
che:
 i non cantanti compensano di più nelle prime fasi della condizione sperimentale,
perché sono più soggetti all’influsso del feedback uditivo alterato;
 i cantanti compensano meno nelle prime fasi della condizione sperimentale,
perché possiedono dei modelli interni che fanno da resistenza al FAF;
 esiste un effetto successivo per i cantanti, ma non per i non cantanti, a causa
dell’avvenuta ricalibrazione del modello interno durante l’esposizione al FAF.
Infatti, quando il FAF scompare i cantanti sono meno accurati dei non cantanti
nella riproduzione della Fo, ma se viene chiesto loro di cantare una nota diversa
sono più precisi dei non cantanti. Perciò esiste un radicato modello interno e la
rappresentazione interna della mappatura neurale, tra la produzione del tono e il
sistema motorio, può essere modificata da una breve esposizione al FAF.
Le differenze riscontrate tra cantanti e non cantanti concordano con le
osservazioni fatte da altri due studiosi: Zarate e Zatorre (2005, citati in Jones e Keough
34
2008).
Attraverso
la
risonanza
magnetica
funzionale,
questi
neuroscienziati
evidenziarono come durante il canto seguito da un feedback inalterato si attivano le aree
bilaterali del sistema uditivo, la corteccia motoria, l’area supplementare motoria, la
corteccia cingolata anteriore, il talamo, l’insula e il cerebellum sia per i cantanti che per
i non cantanti. Quando Zarate e Zatorre chiesero ai soggetti di non ignorare il feedback
FAF, sia i cantanti che i non cantanti svilupparono l’attività del lobo parietale inferiore
(area che rappresenta l’errore processuale). I cantanti mostrarono, però, una maggior
attivazione del giro temporale superiore, del solco temporale superiore e dell’insula
destra. Questo indica che i cantanti avevano messo in atto un aumento delle analisi del
feedback uditivo. Infine, quando fu chiesto di compensare il FAF, i cantanti
svilupparono l’attivazione della corteccia cingolata anteriore, del solco temporale
superiore, dell’insula, del putamen, del presma e del lobulo parietale inferiore, perché si
era creata la necessità di un’integrazione audio-vocale che istantaneamente si mettesse
in relazione con i modelli interni.
Anche in questo studio, come nel precedente, i cantanti avevano un sistema di
controllo e d’integrazione audio-vocale molto più sviluppato dei non cantanti e la
compensazione incrementava con l’aumentare dell’esposizione al FAF, per effetto della
ricalibrazione dei modelli interni per la Fo.
Come premesso, queste ricerche dimostrano come l’attività del cantare attivi
aree cerebrali specifiche e come esista una mappatura neurale nei cantanti che coordina
intonazione, produzione vocale e feedback uditivo. Sarebbe interessante analizzare se
questa mappatura neurale operante nei cantanti sia presente anche nei non cantanti
dotati musicalmente.
35
6.
LE PROVE DELL’ESISTENZA DELL’INTELLIGENZA
MUSICALE NEL CANTO ATTRAVERSO LE RICERCHE
DI NEUROPSICOLOGIA E GLI IDIOT SAVANTS
Seguendo l’ottica di Howard Gardner l’intelligenza musicale può essere
considerata una facoltà a sé perché è possibile isolarla a seguito di un danno cerebrale,
per la presenza e lo studio di casi d’individui eccezionali, come gli idiot savants o i
prodigi, che presentano profili molto diseguali di abilità o deficit.
Di seguito, riporto alcuni casi e studi che Oliver Sacks ha esaminato e descritto
nel suo libro “Musicofilia” (2007, 2008). Dal mio punto di vista, questi dati sono a
sostegno dell’esistenza dell’intelligenza musicale e permettono di delineare quanto essa
sia complessa, articolata e, soprattutto, quanto si distingua da altre facoltà, in particolare
dal linguaggio. Lo stesso Sacks asserisce nel penultimo capitolo del suo libro
“Musicofilia” (2007, 2008):
Il fatto che l’intera panoplia dei talenti musicali potesse essere sviluppata in
modo così impressionante in persone deficienti (a volte gravemente) nell’intelligenza
generale dimostrava - proprio come lo dimostrano anche le facoltà isolate dei savants
musicali – che è effettivamente possibile parlare di una «intelligenza musicale»
specifica, come Howard Gardner aveva a suo tempo postulato nella teoria delle
intelligenze multiple (p. 415, trad. It).
6.1. L’AMUSIA
L'amusia (mancanza di armonia) è l'incapacità biologica di comprendere,
eseguire ed apprezzare la musica. È una patologia dovuta a motivi di origine cerebrale,
congeniti (presenti alla nascita) o acquisiti più tardi (per danni cerebrali, ad esempio).
36
Ne è affetto circa il 4% della popolazione. Esistono diverse forme di amusia ma le tre
distinzioni principali sono: “recettiva”, “esecutiva”, “interpretativa”.
Oliver Sacks (2007, 2008) descrive e definisce i vari tipi di amusia, tra cui:
 l’amusia al ritmo che generalmente si riscontra dopo un ictus all’emisfero
sinistro. È bene rilevare però che una sordità totale al ritmo è rara perché è una
capacità piuttosto distribuita nel cervello.
 l’amusia tonale riguarda solo il 5% della popolazione perché anche se molti
soggetti non sono in grado di cantare intonati, ne sono consapevoli. Nell’amusia
tonale il soggetto non solo non si rende conto di stonare, ma può anche non
riuscire a riconoscere una stonatura in altri. Nonostante questo deficit egli
riconosce il linguaggio, a testimonianza che l’elaborazione tonale nel linguaggio
segue vie diverse rispetto a quelle della musica. Comunque, nell’amusia tonale il
piacere del canto e della musica non è perso.

l’amusia totale è caratterizzata dall’incapacità di percepire le note come suono e
quindi è impossibile per il soggetto poter apprezzare la musica.
 la distimbria è l’incapacità di riconoscere i timbri. Essa può essere legata sia
all’incapacità di riconoscere l’altezza dei suoni oppure presentarsi come un
deficit isolato. Anche in questo caso ci si può domandare se questo abbia
ripercussioni sulla capacità nel linguaggio parlato. Belin e Zatorre (2000, citati
in Sacks 2007, 2008) hanno mostrato che nella corteccia uditiva ci sono aree
selettive per la voce diverse da quelle selettive per i timbri musicali.
 l’amusia per la melodia è stata delineata grazie agli studi di Isabel Peretz (1990,
citata in Sacks 2007, 2008) e consiste nell’incapacità di riconoscere le altezze
37
dei suoni. Questo tipo di amusia, di norma, è associata a lesioni dell’emisfero
destro.
 l’amelodia o sordità melodica è l’incapacità di riconoscere melodie pur
riuscendo a distinguere i toni. La musica per i soggetti affetti da amelodia perde
il suo significato perché viene a mancare il senso musicale. Per capire meglio
questo tipo di deficit neurologico, cito “il caso del professor B.” riportato da
Sacks (2007, 2008). Il “professor B.” era un talentuoso contrabbassista che fu
colpito da un ictus, che lo portò, a novantun anni, a diventare amelodico. Il suo
linguaggio parlato, la percezione delle altezze del suono e del ritmo rimasero
intatte, ma non riusciva più a riconoscere una melodia semplice come Happy
birthday se cantata o suonata. Allo stesso tempo, però egli era in grado non solo
di identificare le melodie leggendole su spartito, ma anche di cantarle. Di fatto, il
deficit del “professo B.” era un problema di elaborazione uditiva: non riusciva a
memorizzare una serie di toni ascoltati.
 l’amusia congenita è caratterizzata dalla compromissione della capacità di
riconoscimento e discriminazione dei suoni e in alcuni casi anche da distimbria.
Haydn e Zatorre (2006, citati in Sacks 2007, 2008) mostrarono che i soggetti con
amusia congenita avevano uno sviluppo ridotto dell’area della sostanza bianca
nel giro frontale inferiore destro (area coinvolta nella codificazione delle altezze
musicali e nella memoria melodica). “Il caso della signora L.” descritto da Sacks
(2007, 2008) mostra bene gli effetti dell’amusia congenita. “La signora L.” era
una donna settantenne che non aveva mai “sentito” la musica. Fin da bambina
aveva vissuto in un ambiente musicale: tutti in famiglia suonavano almeno uno
strumento; il padre le aveva comprato ogni genere di dischi per farle apprezzare
38
la musica; a scuola la facevano cantare. Eppure per “la signora L.” la melodia
era qualcosa di sconosciuto. Sebbene fosse una donna con notevole senso
ritmico (sapeva ballare il tip tap) e pur essendo di professione maestra, non
riusciva nemmeno a riconoscere Happy birthday: per lei la musica era rumore e
quando le veniva chiesto di descriverla, la paragonava al rumore di pentole e
tegami rovesciati sul pavimento.
 l’amusia cocleare consta nell’incapacità di percepire le altezze corrette delle
note. È causata da un trauma intenso della coclea, dall’invecchiamento o dalla
sordità cocleare congenita. Oliver Sacks presenta “il caso di Jacob”, un
compositore settantenne affetto da amusia cocleare nel registro acuto del
pianoforte. Jacob percepiva le note acute un quarto di tono circa sopra alla
frequenza originale. L’uomo, che non voleva smettere di comporre, riuscì a
correggere in alcuni casi le note percepite distorte grazie alla plasticità del
cervello, alla ricchezza della sua intelligenza musicale e alla volontà di dirigere
l’attenzione verso la nota interessata. Questo caso fa riflettere su come
l’intelligenza musicale possa sopperire ai danni cocleari, anche se l’avanzare
dell’età porta, inevitabilmente, questi soggetti a un peggioramento.
6.2. PERDITA DELLA CAPACITÀ, TOTALE O PARZIALE, DI PROVARE
EMOZIONI LEGATE ALLA MUSICA
Un’estinzione transitoria della capacità di provare emozioni legate alla musica
può verificarsi in seguito a commozione cerebrale, quando tutte le altre capacità
musicali sono intatte. Dopo un ictus all’emisfero destro, in taluni casi, si crea un
disinteresse per la musica e la sua percezione diviene piatta. Blood e Zatorre (2001,
citati in Sacks 2007, 2008) indicarono che esiste una rete corticale e sottocorticale molto
39
estesa che ha a che fare con l’emozione legata alla musica, che si distingue dalla
reattività emozionale in generale. Un esempio di incapacità di provare emozioni per la
musica sono i soggetti con Sindrome di Asperger. Questi individui hanno le parti
mediali del cervello coinvolte nell’emozione scarsamente sviluppate, in particolare
l’amigdala (area molto importante nel cervello dei musicisti). “Il caso di Temple
Grandin” (Sacks, 2007, 2008) ne è un esempio. Temple era una scienziata autistica,
affetta dalla Sindrome di Asperger, ella seppur era in grado di apprezzare
intellettualmente Bach, contemporaneamente non riusciva ad emozionarsi durante un
concerto in cui veniva suonata un’opera di quell’autore.
6.3. L’ORECCHIO ASSOLUTO E LA MUSICALITÀ
Chi possiede l’orecchio assoluto (meno di un individuo su diecimila) è in grado
di distinguere immediatamente l’altezza specifica di una qualsiasi nota percepita, senza
usare meccanismi mentali di confronto. Questa qualità si possiede fin dalla nascita e si
stima che i soggetti che possiedono l’orecchio assoluto riescano a distinguere
mediamente oltre settanta note. Per chi possiede questa dote è naturale riconoscere e
denominare le note con facilità.
In base ad alcuni dati statistici, l’orecchio assoluto risulta essere più comune
nella popolazione dei musicisti; il periodo critico per il suo sviluppo è prima degli otto
anni; spesso è legato alla precocità dell’educazione musicale. Esso si associa alla cecità
(il 50% dei bambini nati ciechi o che hanno perso la vista nel primo anno di vita
possiede l’orecchio assoluto) e correla con il linguaggio della cultura di appartenenza (i
bambini mandarini hanno più probabilità di avere l’orecchio assoluto rispetto agli
statunitensi, dato che la loro lingua possiede una varietà tonale notevole).
40
Gottfried Schlaugh e colleghi (1995, citati in Sacks 2007, 2008) dimostrarono
che i musicisti con orecchio assoluto presentano un’asimmetria volumetrica tra i due
emisferi per il planum temporale (struttura deputata alla percezione del linguaggio
verbale e della musica). Attraverso la risonanza magnetica funzionale, questi studiosi
videro che i soggetti dotati di orecchio assoluto avevano una maggiore attività nelle aree
associative della corteccia frontale.
Per un musicista avere l’orecchio assoluto è un grande vantaggio, soprattutto per
un compositore e un cantante, ma non è indispensabile. Inoltre, possedere l’orecchio
assoluto non significa necessariamente essere dei buoni musicisti o possedere
l’intelligenza musicale. Infatti Sacks (2007, 2008) riporta “il caso di Cordelia”, l’unica
di tre sorelle che possedeva l’orecchio assoluto. Nonostante questa capacità, le dita
snodate perfette per suonare il violino e la capacità di leggere lo spartito senza
difficoltà, quando suonava sembrava una principiante. Cordelia non possedeva la
musicalità, cioè la capacità di suonare con gusto e senso critico e non era neanche in
grado di distinguere la buona musica da quella mediocre suonata da altri.
6.5. CANTO E LINGUAGGIO
Sacks (2007, 2008) propone alcuni casi interessanti, specifici del canto, che
mostrano come l’intelligenza musicale e quella verbale-linguistica abbiano vie neurali
diverse e come, allo stesso tempo, il canto possa essere un buon trainig per favorire il
linguaggio verbale deficitario. Uno di questi casi è “Samuel S.”, un quasi settantenne,
colpito da una grave afasia causata da un ictus. Samuel non riusciva più ad esprimersi
verbalmente e con la logopedia non otteneva progressi. La situazione mutò quando egli
iniziò con la musicoterapia: in due mesi il soggetto riuscì ad acquisire un linguaggio
telegrafico.
41
Linguaggio e musica, quindi, si avvalgono degli stessi meccanismi di fonazione
e articolazione e delle stesse analisi dei flussi dei suoni. Ma allo stesso tempo,
l’elaborazione cerebrale del linguaggio segue una via distinta da quella della musica. Ad
esempio, un danno all’area di Wernicke può produrre solamente afasia o afasia
accompagnata da amusia. Quando i soggetti sono colpiti solo da afasia, sono in grado di
cantare, non solo a livello melodico, ma anche canzoni vere e proprie con i relativi testi.
Per questi soggetti colpiti solo da afasia è possibile l’introduzione di un nuovo
linguaggio dotato di significato, benchè povero e telegrafico, attraverso la
musicoterapia. Un altro esempio di utilizzo della musicoterapia, è relativo ai bambini
autistici che presentano difficoltà nel produrre o comprendere il linguaggio verbale. In
questo caso i bambini, non avendo un deficit nell’espressione musicale, possono cantare
e il linguaggio messo in musica diventa comprensibile. Anche i balbuzienti riescono a
cantare senza problemi, quindi attraverso la musicoterapia imparano a parlare in modo
cantilenante e questa tecnica permette loro di raggiungere una comunicazione fluente.
Infine, i pazienti con afasia non fluente (perdita sia del vocabolario, sia del ritmo e
dell’inflessione del linguaggio verbale) raggiungono i risultati migliori attraverso la
musicoterapia e l’uso del canto per riprendere ad esprimersi.
Perché il canto aiuta i soggetti afasici? Secondo uno studio di Pascal Belin
(1996, citato in Sacks 2007, 2008) i soggetti afasici presentavano un’inibizione dell’area
di Broca e contemporaneamente un’iperattività dell’area omologa nell’emisfero destro.
Belin vide che la tecnica della terapia dell’intonazione melodica8 impediva l’iperattività
nell’emisfero destro della porzione speculare all’area di Broca e amplificava le
8
La terapia dell’intonazione melodica è una tecnica musicoterapica che è stata ideata da Martin Albert
nel 1973. Questa tecnica consta, in una prima fase, nell’insegnare a cantare canzoni o brevi frasi ai
soggetti con problemi nel linguaggio verbale. In una seconda fase gli elementi musicali sono eliminati
gradualmente affinchè il paziente riesca ad acquisire in parte il linguaggio verbale.
42
connessioni frontotemporali destre permettendo ai soggetti di produrre una forma di
linguaggio seppur rudimentale.
6.6. LA SINDROME DI WILLIAMS
I soggetti affetti da sindrome di Williams sono individui loquaci, socievoli,
aperti all’interazione sociale, senza paura degli estranei e dotati musicalmente. Il loro
quoziente intellettivo è inferiore a 60 e il loro cervello è il 20 per cento più piccolo del
normale. In particolare, i soggetti con sindrome di Williams hanno i lobi occipitale e
parietale ridotti, mentre i lobi temporali sono normali o più grandi della norma. La
corteccia uditiva è più grande e il planum temporale è più sviluppato a sinistra. Inoltre,
dagli studi di Bellugi e Levitin (1998, citati in Sacks 2007, 2008) si è visto che questi
soggetti, in generale, hanno un’attivazione neurale più ampia nel tronco cerebrale, nel
cervelletto e nell’amigdala rispetto sia ai soggetti normali che ai musicisti. Il cantare e il
suonare sono attività quasi onnipresenti nella quotidianità di questi soggetti e la cosa
che su tutte li contaddistingue è la loro necessità di suonare con gli altri e per gli altri.
6.7. GLI IDIOT SAVANTS
Sacks (2007-2008) afferma che la musicalità è la forma di talento più comune
negli idiot savants. La straordinarietà sta nel fatto che questi soggetti, molto spesso
autistici e a volte ritardati, eccellono in maniera straordinaria in una facoltà. Gli idiot
savants spesso hanno problemi di vista e una dominanza anomala per l’emisfero destro.
Di solito queste capacità eccezionali emergono prima dei 10 anni, ma a volte anche più
tardi e sono sempre di tipo concreto.
Sacks descrive “il caso di Martin”, un bambino nato normale, che all’età di tre
anni contrasse una meningite. Questa infezione gli causò crisi epilettiche, spasticità agli
arti e alla voce, un deficit d’intelligenza e l’alterazione della personalità.
43
Contemporaneamente però, Martin sviluppò delle facoltà musicali nuove: l’orecchio
assoluto, una memoria musicale straordinaria (ricordava le melodie, ma anche le parti di
ogni singolo strumento e voce che sentiva) e la capacità di capire le regole della musica
con estrema facilità e immediatezza.
44
7.
LO STATO DI “FLUSSO” E IL CANTO CORALE
Lo stato di flusso è stato descritto e studiato da Mihaly Csikszentmihalyi (1990),
uno psicologo e ricercatore dell’Università di Chicago. Si tratta di uno stato in cui il
soggetto perde la cognizione di tempo e spazio, immergendosi totalmente nell’attività
che sta svolgendo per diventare un tutt’uno con essa. Il soggetto che si trova in questo
stato riesce a raggiungere l’eccellenza nella prestazione.
Il flusso è caratterizzato da un’assenza di sforzo, da un’attenzione rilassata e
diretta completamente al compito, da un estraniamento verso se stessi, da un’assenza di
emozioni che potrebbero distrarre, da una riduzione dell’attività cerebrale e da un senso
profondo di gratificazione. Secondo Daniel Goleman, il flusso è “la massima
espressione dell’intelligenza emotiva”. Il flusso è un fenomeno ben documentato in
musicisti e cantanti, ma anche in chirurghi, scienziati, giocatori di scacchi e altri
professionisti. In generale, però, è il mondo dell’arte la corsia preferenziali dove accade
questo tipo di questo fenomeno.
Il flusso è anche uno strumento di apprendimento molto importante. Per chiarire
quest’ultima affemazione è necessario spiegare nel dettaglio alcune delle caratteristiche
sopra elencate, secondo l’ottica di Csikszentmihalyi (1990). Per “assenza di sforzo” il
ricercatore intende che l'impegno profuso dal soggetto è “leggero”, cioè, il compito nel
quale in soggetto è impegnato durante l’attività in stato di flusso, è ben bilanciato: non è
né troppo semplice, quindi noioso, né troppo difficile, quindi ansiogeno. L’individuo in
stato di flusso si dimentica di sé, poiché la sua attenzione è diretta interamente al
compito, quindi sia i movimenti che i pensieri sono relativi esclusivamente a ciò che il
soggetto sta facendo e questo spiega anche perché l’attività cerebrale sia ridotta. Inoltre,
45
affermando che il flusso è gratificante di per sé, Csikszentmihalyi (1990) vuol
significare che dedicarsi a un’attività che induce questa condizione, è sufficiente per
stimolare lo stato stesso e generare una sensazione di benessere nell’individuo. Infine,
lo stato di flusso necessità di una notevole capacità di concentrazione ed è privo di
interferenze emotive, tranne quando si presenta il sentimento positivo e altamente
motivante dell’estasi. Csikszentmihalyi (1990) sostiene, inoltre, che per stimolare il
flusso sono importanti la scelta del compito e l’acquisizione di abilità in un ambito
specifico. Sono questi ultimi due fattori che permettono poi al soggetto in stato di flusso
di accedere all’eccellenza.
Howard Gardner (2006) sostiene che lo stato di flusso va incoraggiato come
metodo di apprendimento poiché stimola sentimenti positivi. Secondo il ricercatore, per
un educatore sarebbe utile riuscire a trovare quello che maggiormente piace al bambino
e poi lasciarglielo fare, dato che sono proprio le attività attitudinali, per cui un soggetto
è portato, che solitamente inducono ad un stato di flusso. Lo studioso inoltre ritiene che
l’integrazione della Teoria delle Intelligenze Multiple con la Teoria del flusso sarebbe
un buon punto di partenza per la pedagogia. Infatti, se un insegnante riuscisse ad avere
un quadro chiaro delle capacità del bambino, sarebbe allora nella condizione di
stimolare l’allievo in modo mirato, favorendone lo stato di flusso spontaneo. In sintesi,
il flusso è un buon metodo di apprendimento perché presuppone il superamento del
livello di conoscenza iniziale: il soggetto, invero, si troverà a superare i propri limiti e
ad approfondire sistematicamente la materia di suo interesse.
Patrick K. Freer (2009) della Georgia State University ha indagato l’esperienza
dello stato di flusso nel canto. I soggetti di questa ricerca furono sei ragazzi di età
compresa tra i 14 e i 19 anni, impegnati nell’attività corale, in una scuola privata del
46
sud-est degli Stati Uniti. Di questi due avevano cantato continuativamente; due avevano
cantato per un determinato periodo e poi si erano ritirati dall’attività corale; due non
avevano mai cantato. Ogni ragazzo fu sottoposto ad un’intervista in tre diversi incontri,
ognuno dei quali intervallati da due settimane di pausa e ciascuno della durata di 30
minuti. Lo scopo dell’intervistatore, nell’analizzare i resoconti dei soggetti, era quello di
delineare un ritratto di come essi partecipavano all’attività corale, di scoprire se erano
coinvolti con la musica anche al di fuori della scuola e se nutrivano speranze di far parte
del mondo musicale anche dopo il diploma scolastico. Inoltre, il ricercatore volle
scoprire se l’attività corale avesse prodotto delle esperienze positive in questi sei
soggetti.
Queste
interviste
furono
analizzate,
successivamente,
con
l’HyperRESEARCHTM (un software di analisi qualitativa ideato da Csikszentmihalyi,
1990) per confrontare le esperienze positive raccontate dai ragazzi con le qualità
caratteristiche dello stato di flusso.
Attraverso l’analisi dei resoconti dei sei ragazzi Freer (2009) concluse che
l’attività corale aveva prodotto esperienze positive per cinque dei sei giovani sottoposti
all’indagine. Inoltre, i loro resoconti misero in luce cosa fosse necessario per ottenere
un’esperienza di flusso durante l’attività del canto corale. Per i soggetti era
fondamentale avere degli obiettivi chiari (sia per quelli relativi al coro, sia per quelli
individuali cioè propri di ogni singolo corista); saper equilibrare il rapporto tra sfida e
competenze e sviluppare un senso di autonomia e sicurezza di sé. Dall’analisi delle
interviste emerse anche che, per i ragazzi l’insegnante aveva un ruolo importante nel
favorire l’insorgere delle condizioni necessarie al flusso. In particolare, gli studenti
ritenevano indispensabile ricevere dei feedback immediati e specifici sulle performance
canore, essere stimolati alla competizione, essere motivati ad impegnarsi, sentirsi
47
apprezzati sia come singolo che come coro, essere stimolati all’uso di tecniche
cooperative di studio e infine, essere incoraggiati ad escogitare da soli il modo per
superare le sfide.
Infine, Freer (2009) descrisse che cosa accadeva durante l’esperienza di flusso ai
soggetti intervistati mentre erano impegnati nell’attività di cantare in coro. La prima
cosa che Freer notò fu che la produzione musicale del singolo riusciva a fondersi
totalmente con quella dell’ensemble. In secondo luogo, il ricercatore vide che i singoli
studenti erano in grado di monitorare e aggiustare il loro canto coordinandosi al suono
dell’ensemble. Terzo, il repertorio e la tecnica dei soggetti miglioravano producendo
delle prove corali artisticamente valide. Egli notò anche che lo stato di flusso emergeva
più frequentemente nella fase finale delle prove del coro e che ciò era possibile solo
quando si veniva a creare il giusto equilibrio tra la sfida presentata al coro e le effettive
capacità dei singoli. Infine, annotò che i soggetti che riportavano esperienze corali
positive, le associavano alle sensazioni di gioia e di piacere percepite durante lo
svolgimento di tale attività, manifestando un reale e sincero coinvolgimento per la
musica che si traduceva in desiderio di partecipare ad attività musicali anche al di fuori
del contesto scolastico.
Questa ricerca conferma che lo stato di flusso permette di ottenere risultati
eccellenti nell’attività che si sta svolgendo, altrimenti difficili da raggiungere. Infatti,
per un cantante corista riuscire a “fondere” la propria performance vocale con quella del
resto del coro è il massimo risultato possibile che egli può ottenere con il suo strumento
(la voce). Inoltre Freer mostra, tramite la stessa testimonianza dei soggetti, com’è
fondamentale, per gli studenti, il sostegno da parte dell’insegnante di coro al fine di
riuscire a raggiungere il flusso, con lo scopo non solo di provare benessere, ma di
48
migliorare le performance e sentirsi quindi competenti e sicuri. In quest’ottica è chiaro
che l’intelligenza musicale può essere stimolata ottimamente dal flusso, soprattutto se
gli educatori sviluppano negli allievi una ricerca dello stato di tale stato e il talento
musicale è individuato precocemente.
49
8.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Esiste o non esiste l’intelligenza musicale? Da studi, libri e ricerche riportate in
questo elaborato, si può ben dire che ha senso parlare d’intelligenza musicale e, ancor di
più, che è necessario approfondire il suo studio, specialmente in relazione al canto.
Questo perché il canto è il primo strumento che si inizia a suonare, già nello stadio della
pre-lallazione, ed è l’unico facente parte del corpo stesso dell’essere umano. Poiché sia
il canto che l’intelligenza musicale sono così precoci, è sicuramente d’interesse generale
capire quanto siano legati e si influenzino a vicenda. Ad esempio, potrebbe essere
interessante dedicarsi allo studio dei bambini, dalla condizione di feto a quella di
cantante in erba, per rispondere alla domanda sul perché esistano gli stonati9. Dipende
dall’ascolto o meno della musica in gravidanza e nei primi mesi di vita? Dipende dalla
qualità della stimolazione materna durante le prime fasi di lallazione o dalla sua
assenza? Dipende da una minore attivazione cerebrale delle attività coinvolte nella
riproduzione del tono oppure no?
Quello che emerge leggendo questo elaborato è che l’intelligenza musicale è
composta di una gran quantità di capacità specifiche e che possiede vie neurali proprie,
distinte in larga parte anche dalle vie del linguaggio verbale. Sarebbe fondamentale
proseguire gli studi di neuroanatomia musicale attraverso la risonanza magnetica
funzionale, che è uno strumento indispensabile per scoprire sempre più nel dettaglio le
localizzazioni neurali delle diverse capacità musicali. Anche l’ulteriore sviluppo della
neuropsicologia sarebbe necessario per comprendere sempre più in profondità
9
È stonato un soggetto che non riesce a riprodurre correttamente un tono, ma che non ha un’amusia
tonale.
50
l’intelligenza musicale e i suoi meccanismi. Questo perché lo studio dei soggetti con
deficit neurologici e l’applicazione del canto come musicoterapia si sono dimostrati
molto interessanti ai fini di una riabilitazione, ma anche per ricercare tecniche utili alla
prevenzione di determinate patologie degenerative (come ad esempio lo studio
sull’Alzheimer di Simmons-Stern, Budson, Ally, 2010). Anche le diverse ricerche
psicologiche portate a termine sono indispensabili per riflettere e continuare a indagare
su determinate capacità musicali. Ad esempio, se si considera lo studio di Saffran e
Griepentrog (2001, citati in Sack 2007-2008) sull’orecchio assoluto, sorge spontaneo
porsi dei quesiti che se indagati farebbero nuova luce su tale capacità. Secondo i due
studiosi, l’orecchio assoluto sarebbe una qualità universale che si perde nell’arco del
primo anno di vita in favore del linguaggio e della capacità di riconoscere le melodie,
anche con tonalità trasposte. Dando per certa, quindi, l’esistenza dell’intelligenza
musicale, che sappiamo operare indipendentemente dal linguaggio, ci potremmo
chiedere se l’orecchio assoluto si possa mantenere con un buon training vocale precoce.
Ci potremmo anche domandare se i modi usati dalla madre per rispondere alla lallazione
del bambino potrebbero essere la via per mantenere nel tempo l’orecchio assoluto.
Sappiamo che il “maternese”, il linguaggio usato dalla madre con il proprio bambino, è
largamente modulato nel tono proprio per semplificare la comunicazione con il piccolo.
Emerge chiaramente da questo elaborato che non tutti possiedono la stesse abilità
musicali, benché sia innata, in tutti i soggetti sani, la capacità di apprendere le
caratteristiche e le regole musicali della propria cultura di appartenenza. È altresì chiaro
che è sicuramente l’esperienza che forma le vie neurali della musica, quindi più un
soggetto sviluppa conoscenza e si dedica alla pratica, maggiori sono le vie neurali che
vengono a formarsi. Inoltre, è fondamentale il feedback uditivo per creare i modelli
51
interni (mappe neurali) che guidano il completamento di un determinato compito
musicale, come ad esempio l’emissione vocale di uno specifico tono. Infine, è la
plasticità del cervello che permette ai soggetti di sopperire ad eventuali deficit
neurologici.
L’esperienza maturata attraverso lo studio della musica, i modelli interni, la
plasticità cerebrale, il sistema di attivazione cerebrale delle aree specifiche deputate a
determinate capacità, insieme alla propria tradizione culturale sono tutti elementi che
compongono l’intelligenza musicale. Da ciò si evince che l’esperienza da sola non è
sufficiente a chiarire la complessità dell’intelligenza musicale e non basta a rispondere
ai quesiti che ancora rimangono aperti. Ad esempio come si può spiegare, unicamente
sulla base dell’esperienza acquisita, che un individuo dotato di orecchio assoluto, di
eccezionale abilità di lettura dello spartito e di un’ottima elasticità nei movimenti delle
mani non riesca ad essere musicale e quindi sia incapace di produrre buona musica.
Sarebbe interessante dar vita ad uno studio che mettesse a confronto, tramite la
risonanza magnetica funzionale, le aree che si attivano, suonando uno strumento o
cantando, in soggetti dotati di musicalità e soggetti privi di musicalità.
Per quanto riguarda il canto è un’esperienza musicale straordinaria e alla portata
di quasi tutti. È un’attività che chiama in causa il senso d’identità e l’intelligenza
musicale di un individuo. Sarebbe d’interesse generale perciò indagarne i processi e i
meccanismi, già dal quinto mese di gravidanza, per capire come si forma l’intelligenza
musicale e come si può rafforzare il suo processo di crescita.
L’intelligenza musicale nel canto è legata anche al tipo di rapporto che l’allievo ha
con l’insegnante, che può stimolare o danneggiare irrimediabilmente il suo sviluppo. Il
canto è espressione di sé ed è l’unico strumento in cui il soggetto si trova a diretto
52
contatto con il pubblico, senza strumenti esterni che facciano da barriera protettiva
all’altrui giudizio. Nel canto si è soli con la propria voce! Questo fa intuire come
un’eccellente relazione con l’insegnante sia fondamentale per acquisire le sicurezze
indispensabili per affrontare un’esibizione emotivamente preparati e sereni.
Tali considerazioni portano anche a capire quanto il flusso (Csikszentmihalyi,
1990) sia un buon metodo d’apprendimento. Esso non è soltanto un modo per
apprendere meglio nel canto, ma è anche la via per raggiungere l’eccellenza e quindi
quello stato di “grazia” che permette a un artista di essere tale. Infatti, il canto non è
solo avere una bella voce, ma richiede concentrazione, attenzione, motivazione e il
raggiungimento di obiettivi realistici, nel senso che le proprie aspirazioni si dovrebbero
coordinare con la presa di coscienza delle proprie capacità. Quasi tutti possono cantare,
ma solo alcuni sono degli artisti. Molte sono le difficoltà per chi intraprende seriamente
il canto. Infatti, il cantante si trova a fare i conti con la percezione della propria voce da
due punti di vista: la propriocezione, che si ottiene con l’orecchio interno; e l’ascolto
della voce, che avviene con l’orecchio esterno attraverso il riverbero del teatro o grazie
a un monitor o a uno strumento di registrazione. Ecco che il soggetto si trova davanti
alla necessità di riuscire a integrare i due tipi d’informazione, per conoscere e sviluppare
la propria intelligenza musicale specifica del canto.
Infine, ma non meno importante, c’è il lavoro emotivo, che ha a che fare col
processo di sviluppo dell’idea di sé. Anche in questo caso è necessaria un’integrazione
tra intelligenza musicale e lavoro psicologico dell’individuo. Il canto è la coordinazione
in parallelo di più aree della sfera mentale individuale, è parte dell’intelligenza musicale
stessa ed è l’insieme di tutti i processi propriocettivi attivati dall’atto fisico del cantare
stesso. Con il canto siamo di fronte ad una “realtà” così ampia e in parte inesplorata in
53
tutte le sue sfaccettature, che merita di essere indagata sempre di più con lo studio
dell’intelligenza musicale e della musicoterapia.
Concludendo, esiste l’intelligenza musicale? Sì, esiste alla luce di quanto trattato
in questo elaborato. E ha senso indagarla dal punto di vista del canto per i motivi visti
pocanzi. Si può affermare inoltre che esistono delle peculiarità del canto
nell’intelligenza musicale, basti pensare alle aree specifiche del cervello che si attivano
durante l’attività del cantare. L’intelligenza musicale specifica del canto si può
stimolare per mezzo di una pedagogia che incoraggi lo stato di flusso (Csikszentmihalyi,
1990). Inoltre, grazie all’avvento di nuovi studi, forse si potrà avere una quantità
maggiore di buoni cantanti, magari anche musicali e dotati di orecchio assoluto. Una
buona pedagogia permette lo sviluppo dell’intelligenza musicale fornendo delle abilità
apprezzate non solo nella vita presente del soggetto, ma anche in quella futura. Infine, il
canto è un ottimo strumento riabilitativo e sembra possa anche rafforzare la memoria
nei pazienti affetti da Alzheimer (Simmons-Stern, Budson, Ally, 2010)! Perciò via libera
agli approfondimenti tra canto e intelligenza musicale e a una pedagogia basata sulle
intelligenze multiple (Gardner, 1983) e sulla teoria del flusso.
54
APPENDICE A.
ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA MUSICA
Gli elementi di base della musica sono: il tono, l’intervallo, il ritmo, il tempo, il
metro, il profilo melodico, il timbro, l’intensità e il riverbero. Quando questi si
combinano danno luogo ad altri quattro elementi di ordine superiore: il metro, la
tonalità, la melodia e l’armonia.
Il tono, l’intensità e il timbro sono le tre caratteristiche fondamentali del suono.
Il tono è l’altezza del suono, una rappresentazione mentale che mette in relazione
una sequenza di eventi fisici: la frequenza fondamentale (Fo) di un determinato suono
percepito (una nota suonata) con la posizione di quel tono sulla scala musicale. Ciò che
permette al nostro cervello di ricevere l’informazione sul tono è la vibrazione del
timpano. Corde lunghe e spesse producono suoni gravi, al contrario corde corte e sottili
creano una vibrazione più veloce (acuti); questo principio vale anche per le corde
vocali, non solo per gli strumenti musicali come ad esempio il pianoforte. Gli studi in
Fisica hanno evidenziato che il suono produce un’onda sonora formata da molecole
d’aria che vibrano alla stessa frequenza del suono. Queste molecole raggiungono il
timpano e da lì poi, con una determinata sequenza di eventi, si spingono fino al cervello.
L’udito umano va dai 20 fino ai 20000 Hz udibili. Sono le combinazioni dei diversi toni
a dare forma alla melodia e alla capacità comunicativa della musica.
L’intensità (volume) è l’ampiezza delle vibrazioni prodotte da uno strumento in
un dato momento di esecuzione.
Il timbro, detto anche “colore” del suono, è dato dalle caratteristiche tipiche di
un determinato strumento: il materiale di cui è fatto, le casse di risonanza, gli ipertoni. Il
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timbro definisce, all’interno dello stesso strumento, i cambiamenti che si producono
nell’ambito dell’estensione tonale.
L’intervallo è la distanza tra un tono e l’altro.
Il ritmo è l’organizzazione dei suoni prodotti in raggruppamenti secondo regole
di precise.
Il tempo è la velocità con cui si esegue una determinata composizione e il
numero di movimenti che devono essere contenuti in ciascuna misura.
Il profilo melodico è l’andamento generale di una melodia.
Il riverbero è la qualità di amplificazione dell’ambiente dove avviene la
performance musicale.
Il metro è dato dalla combinazione di ritmo e intensità, quindi dalla durata dei
suoni e dagli accenti forti e deboli che all’interno di un determinato tempo si
organizzano in determinati raggruppamenti (tarantella – marcia – valzer).
La tonalità, invece, è data dal tono (da cui parte la scala) e dal modo, cioè da come
si succedono toni e semitoni della scala (i modi sono due: maggiore e minore nella
musica occidentale). Nella musica moderna essa è fissata da una determinata
progressione di accordi e dalla nota fondamentale della melodia.
La melodia è l’organizzazione orizzontale del brano musicale, in altre parole il
tema musicale su cui si svolge. È data dalla successione di note e dal rapporto che
intercorre tra gli intervalli.
L’armonia è l’organizzazione verticale del brano musicale ed è data da due o più
suoni emessi contemporaneamente. Essa è la struttura musicale su cui si poggia la
melodia, vale a dire quella sequenza d’intervalli o accordi che non sono il tema
principale della composizione.
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E per ultimi, ma non meno importanti, ci sono gli aspetti affettivi della musica
che sono dati dalla capacità di produrre emozioni e stati d’animo.
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APPENDICE B.
PARAMETRI DELL’INTELLIGENZA MUSICALE SPECIFICI
DEL CANTO E DEL CANTO CORALE
Secondo Welch e Sundberg (2002), il canto è una capacità presente in tutte le
culture musicali conosciute ed è l’unico strumento che, per essere suonato, ha bisogno
di una notevole consapevolezza propriocettiva, dato che non è visibile e che le
caratteristiche fisiche, da cui dipende, cambiano nel corso della vita.
Il canto è ritenuto il primo strumento musicale che l’uomo abbia utilizzato. Alla
base del canto c’è la capacità di emettere con precisione una frequenza fondamentale
(Fo), ossia una nota. Il processo avviene grazie al controllo della voce che si ottiene
coordinando la cooperazione dei muscoli intrinseci ed estrinseci della laringe e
dell’apparato respiratorio. Questo controllo è, a sua volta, consentito dal complesso
sistema corticale e cerebrale e dalla sua relazione col sistema propriocettivo, uditivo e
con i meccanismi riflessi. A tutto ciò si aggiungono i meccanismi non riflessi, come il
feedback uditivo, che sono fondamentali per sviluppare e mantenere il controllo vocale.
Il “sistema canto” è caratterizzato dalla straordinaria plasticità della voce, che permette
l’uso di varie tecniche o la realizzazione di timbriche e generi diversi. Secondo Welch e
Sundberg (2002), lo strumento del canto è composto da tre componenti fondamentali:
l’apparato respiratorio, le corde vocali e il tratto vocale.
I PARAMETRI DEL CANTO
I parametri del canto sono: gli aspetti tecnici (fisici, fisiologici, propriocettivi);
l’interpretazione; l’espressione; la comunicazione psicologica e l’ambiente.
I PARAMETRI TECNICI
I parametri tecnici del canto sono:
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-
Fisici: tratto vocale, corde vocali, intonazione, estensione, suono (produzione,
proiezione, controllo, intensità, suono timbrato in tutti i registri e i livelli
dinamici), coordinazione, memoria, capacità di ascolto ottimale, funzionamento
dell’orecchio;
-
Fisiologici: respirazione, postura, rilassamento-tensione, bilanciamento e
coordinazione;
-
Propriocettivi: coordinazione di aspetti fisici e fisiologici, equilibrio, coerenza
timbrica
nell’esecuzione,
precisione
ritmica,
intonazione,
articolazione,
dinamica del suono, timing, percezione e correzione di errori.
L’INTERPRETAZIONE
L’interpretazione è:
∞ autenticità nel capire e produrre un genere, uno stile;
∞ accuratezza nella lettura e/o memorizzazione dello spartito;
∞ analisi e realizzazione delle intenzioni dell’autore;
∞ coerenza musicale nel tempo, nel fraseggio, nella dinamica;
∞ comprensione dell’intera struttura armonica.
L’ESPRESSIONE
L’espressione è:
∞ capacità di comprendere e produrre gli aspetti emozionali, umorali dei personaggi
dell’opera interpretata; comunicare i punti di svolta e i momenti fondamentali
dell’opera;
∞ sensibilità nelle relazioni tra le parti;
∞ uso appropriato dei toni, dei colori, della luce e dell’ombra e della
drammatizzazione.
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LA COMUNICAZIONE
La comunicazione consiste nella capacità di creare una relazione con i membri
dell’ensemble e di esibire una naturalezza nella performance data dalla confidenzapadronanza con lo strumento. La comunicazione è intesa anche come la capacità di
attrarre l’attenzione del pubblico e di mantenerla. In definitiva, essa altro non è che pura
proiezione dell’espressività, dell’interpretazione e delle caratteristiche strutturali della
composizione che si sta eseguendo.
GLI ASPETTI PSICOLOGICI
Gli aspetti psicologici che sono legati all’attività canora sono: l’attenzione, la
concentrazione, la tendenza al successo, il carisma, la personalità, la sicurezza di sé,
l’emozione, l’emotività, la reazione allo stress e agli errori.
L’AMBIENTE
L’ambiente è costituito dal luogo fisico, dove avviene la performance canora.
Ogni setting canoro ha uno specifico modo di assorbire e diffondere la voce e il tipo di
riverbero presente. Quest’aspetto è di notevole rilevanza perché determina il tipo di
feedback uditivo che il cantante avrà durante l’esecuzione, fattore di fondamentale
importanza per la performance canora, dato che è l’orecchio che dirige la voce e la sua
qualità.
IL TRATTO VOCALE
Il tratto vocale, dalle mie conoscenze, è costituito dalle due corde vocali
contenute nella laringe e coperte da una membrana mucosa. Le corde vocali compiono
due movimenti principali: di abduzione (glottide aperta), quando si respira in silenzio e
di adduzione (glottide chiusa), quando c’è fonazione.
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figura 1. Abduzione (silenzio), adduzione
(fonazione).
Le parti del tratto vocale sono: la laringe, il ventricolo della laringe, le corde
vocali, la faringe, il velo palatino, le cavità orali, quelle nasali, la lingua e la mandibola.
Tutti questi elementi insieme danno vita al timbro.
LA RESPIRAZIONE
La respirazione è l’equilibrio e la coordinazione di ampliamento della cassa
toracica nell’inspirazione, con essa si ottiene un abbassamento del diaframma e uno
spostamento in avanti della parete addominale. Essa permette il controllo
nell’espirazione della pressione subglottica, nonché del flusso d’aria che mette in
vibrazione le corde vocali producendo la fonazione.
figura 2. L’apparato respiratorio
LA VOCE
La voce è la percezione della vibrazione delle corde vocali prodotta dall’aria e
dalla pressione subglottica che passa attraverso il tratto vocale ed esce dalla bocca. Il
suono della voce è acusticamente ricco, avendo una frequenza fondamentale (Fo) e i
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relativi ipertoni, determinati dal tratto vocale e in particolare dalla posizione della
faringe, della lingua, dalle labbra e dall’ampiezza dell’apertura della bocca (di qui il
canto armonico).
figura 3. Il suono: fondamentale
più armonici.
La voce corale in particolare tende a evidenziare meno le armoniche del suono
prodotto per creare un’unica voce, ecco perché non tutti i cantanti sono adatti al coro.
Una vocalità particolarmente ricca di armonici può cantare solo da solista, perché
all’interno del coro emerge rispetto alle altre voci.
L’INTONAZIONE
L’intonazione è la capacità di produrre i toni con l’esatto numero di vibrazioni
necessarie. È data dall’abilità di discriminazione dei toni, dalle capacità uditive, in
particolare dell’orecchio destro (Tomatis, 1987) e dall’abilità di accoppiamento dei toni.
Naturalmente, un esperto avrà una mappa tonotopica e un numero di connessioni neurali
tali da individuare più abilmente, velocemente e esattamente i toni, rispetto al meno
esperto. Infine, la capacità di discriminare la melodia dall’apparato armonico è
fondamentale per produrre un suono intonato all’interno del contesto musicale.
62
Notevole importanza riveste il sistema uditivo, in particolare l’orecchio destro
(Tomatis, 1987) che permette al cantante di cantare senza fatica perché costantemente
diretto dal proprio feedback uditivo. Non a caso oggi, nel canto moderno sono stati
inseriti come strumenti professionali di feedback gli ear-monitor (auricolari che
permettono al cantante di ascoltare la propria voce e gli strumenti direttamente nelle
orecchie). Questi nuovi mezzi di feedback uditivo hanno in molti casi risolto situazioni
di cantanti non molto intonati in studio di registrazione e in spettacoli dal vivo.
LA PROPRIOCEZIONE
La propriocezione è la capacità di percepire e comandare il proprio strumento
voce, non solo le corde vocali, ma anche i muscoli estrinseci, il volto, gli addominali, il
diaframma, ecc.
IL GROOVE
Il groove (Levitin, 2006) unisce in sé sia gli aspetti tecnici (ritmo, estrazione
metrica, timing, melodia) che la comunicazione. È quell’abilità di “far suonare il pezzo”
(detto nel gergo dei musicisti), cioè di rendere la pulsazione del brano non scontata, ma
con un forte slancio. Tale abilità deriva dalla capacità di estrazione metrica. Dallo studio
sui neurolesi è risultato chiaro che ritmo ed estrazione metrica hanno sede in luoghi
diversi: il primo nell’emisfero sinistro e la seconda in quello destro. Si è visto anche che
l’elaborazione delle melodie, avviene a sua volta indipendentemente rispetto al metro e
al ritmo ed è presente, in generale, nel lobo temporale destro e nell’emisfero di destra
del cervello. È interessante notare che il cervelletto (coinvolto anche nell’emozione) è
implicato nella capacità di timing, di tenere il tempo, a sua volta determinante del
groove. Ecco, forse, perché il groove non è solo una capacità tecnica, ma è anche
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considerato qualcosa in più che ha a che fare con la performance, lo stato emotivo del
momento e il talento dell’artista.
PARAMETRI DEL CANTO PER IL CORISTA
Tutti i parametri sopra citati fanno parte integrante delle caratteristiche
dell’intelligenza musicale sia di un cantante solista, sia di un membro di un coro. In
quest’ultimo caso, però è bene fare delle specificazioni, perché la voce da strumento
invisibile deve trasformarsi anche in strumento “inudibile”.
Secondo Ternstrom e Karna (2002), notevole importanza assume la capacità di
bilanciare il volume o intensità del suono, per preservare la salute delle corde vocali e
per creare una sola voce. Per riuscirci il corista ha bisogno di saper regolare lo spazio tra
sé e il suo vicino, avere un riverbero adeguato, gestire la propria potenza vocale.
All’interno del coro la propria voce può essere mascherata dagli altri, perciò la
propriocezione è fondamentale anche attraverso la vibrazione ossea, il controllo
muscolare e la ricerca dell’angolo di ascolto che permette di udire la propria voce. La
capacità di ascolto deve estendersi all’insieme di voci che compongono il coro, questo
richiede una coordinazione accurata di più abilità tra cui quelle di comunicazione e
interpretazione.
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