Capitolo
8
La corrente
1. Spostamento di carica in un filo metallico
Dopo l’elettrostatica, affronteremo adesso lo studio del moto ordinato d’insieme delle cariche, un fenomeno possibile solo nei materiali conduttori: in particolare ci concentreremo
su quelli metallici. Sappiamo che nei metalli l’ultimo elettrone non viene utilizzato nei legami chimici fra gli atomi e così rimane libero di muoversi fra gli ioni del reticolo cristallino. Si viene in tal modo a formare una sorta di mare di carica negativa: indicheremo con n
il numero di elettroni liberi in un metro cubo di materiale, detti elettroni di conduzione. Ad
esempio nel rame:
nrame  8.47  1028 elettroni di conduzione/m 3
Il mare degli elettroni di conduzione si comporta come un liquido, cioè ha volume proprio e
non può essere compresso, quindi il valore di n non cambia da punto a punto del conduttore, quale che sia lo stato di moto delle particelle. Materiali differenti sono invece caratterizzati da valori diversi di n . Daremo al conduttore metallico la forma di un filo, in
modo da poter incanalare facilmente, nella direzione da noi desiderata, ogni eventuale
spostamento globale del mare degli elettroni di conduzione.
 La Controfisica
In alcuni metalli come l’alluminio e
lo zinco, il mare di elettroni è così
popolato che quasi tutti i posti disponibii sono occupati. Fra gli elettroni rimangono però alcuni spazi
vuoti, un po’ come delle poltrone
libere in una sala di teatro colma di
spettatori. Quando il mare di elettroni si sposta vediamo questi posti
vuoti scorrere indietro, e tutto va
come se tali spazi fossero dei portatori positivi di carica, detti lacune.
Il mare degli elettroni di conduzione nel filo metallico è fermo?
Va detto subito che, anche se il filo metallico è in equilibrio elettrostatico, gli elettroni di
conduzione si spostano disordinatamente in tutte le direzioni in conseguenza della temperatura del materiale. Le velocità tipiche di agitazione termica sono elevate, infatti già a
temperatura ambiente abbiamo:

vT
vT  105 m/s
del
Tuttavia si tratta di velocità individuali, cioè il mare di elettroni nel suo insieme non subisce ioni
reticolo
spostamenti. Ponendo una immaginaria rete entro il metallo, se gli elettroni fossero pesci,
ogni secondo la attraverserebbero mediamente in uguale numero sia in un verso che
nell’altro: la velocità media associata a tale moto risulta cioè nulla.
Esercizi
1. Stimare la velocità quadratica media del moto di agitazione termica degli elettroni di
conduzione vT utilizzando il modello di gas perfetto.
231
elettroni di
conduzione
A temperatura ambiente T  293 K , essendo me  9.11  1031 kg si ha:

E
1
3
m v 2  kBT  vT 
2 e T
2

E
me

3  1.38  1023  293 m
 1.15  105 m/s
31
s
9.11  10
Come possiamo mettere in moto d’insieme gli elettroni di conduzione del filo?

E

E
velocità reale degli

elettroni lungo E
vD
t
filamento
di tungsteno

vD
3kBT
gas
inerte

vD
Per produrre un movimento collettivo degli elettroni lungo la direzione del filo è ne
cessario instaurare al suo interno un campo elettrico E parallelo alle pareti del filo
stesso. Tralasciando per il momento il problema di come sia possibile creare un campo con tali caratteristiche, osserviamo che sotto la sua azione gli elettroni si mette
rebbero in moto uniformemente accelerato per l’azione della forza eE (cioè in verso opposto al campo) e, dopo aver percorso un breve tratto, urterebbero contro il
primo ione reticolare sul loro cammino1. Da qui ripartirebbero per urtare di nuovo,
in un moto “a singhiozzo”, la cui velocità crescerebbe e decrescerebbe bruscamente,
come nel grafico a lato. Una conseguenza di questi urti è di riscaldare il filo conduttore per le vibrazioni prodotte nel reticolo formato dagli ioni fermi: un fenomeno
detto effetto Joule. I bulbi delle lampadine ad incandescenza contengono un filamento
di un materiale chiamato tungsteno, così sottile da rendere l’effetto Joule intenso al
punto che quando gli elettroni sono forzati a scorrervi dentro, raggiunge una temperatura di 2500 °C , alla quale viene emessa luce visibile. Se l’energia fornita
dall’accelerazione dovuta al campo elettrico è piccola rispetto a quella di agitazione termica
(cioè per temperature non elevate), possiamo assumere che dopo ogni urto
l’elettrone riemerga con una velocità orientata casualmente (cioè che la velocità nella

direzione di E riparta ogni volta da zero) e stimare la velocità media di questo moto
d’insieme. Si può dimostrare che in tali condizioni si ha una velocità media proporzionale al campo elettrico, detta velocità di deriva vD , ed il suo valore risulta dell’ordine di:
vD  104 m/s
 La Controfisica
Il moto di deriva degli elettroni è più
lento della lancetta dei minuti
dell’orologio!
Il significato di vD è bene illustrato nel grafico precedente. La velocità di deriva è
molto minore di vT : il moto ordinato d’insieme degli elettroni è assai lento rispetto a
quello individuale dovuto all’agitazione termica. Un conduttore in cui applicando un
campo elettrico si può produrre un moto d’insieme delle cariche con velocità media
proporzionale al campo stesso si dice conduttore ohmico.
Cosa si intende con il termine corrente elettrica ?
 La Controfisica
Attenzione! È improprio usare
l’espressione “la corrente che fluisce
(o che scorre) in un conduttore”. La
parola corrente significa già da sola
scorrimento di carica, quindi sarebbe
come se dicessimo: “ lo scorrimento
di carica che scorre nel circuito”.
Diremo invece: “la corrente nel
conduttore” , oppure “la carica che
fluisce (scorre) nel conduttore”.
Si chiama corrente elettrica I il quantitativo di carica che attraversa la sezione di un conduttore nell’unità di tempo. Se questo quantitativo rimane costante nel tempo in un
punto del filo, la corrente elettrica si dice stazionaria e può essere misurata tramite il
rapporto fra la carica Q che attraversa la sezione considerata nell’intervallo t e
la durata dell’intervallo stesso:
Corrente elettrica stazionaria
è il quantitativo costante di carica che attraversa la sezione di un conduttore in un
secondo:
Q
I 
t
1
Più precisamente dovremmo dire che urta contro le irregolarità del reticolo cristallino. Infatti, se il reticolo fosse perfettamente uguale a se stesso, esiste un risultato nell’ambito ella meccanica quantistica, detto teorema di Bloch che mostra come un elettrone non incontra ostacoli lungo il suo cammino in un cristallo perfettamente periodico.
232
e le sue unità di misura sono Coulomb al secondo, C/s , a cui nel Sistema Internazionale
viene assegnato il nome2 di ampere, ed il simbolo A .
Com’è legata la corrente in un filo alla velocità di deriva degli elettroni?
In un intervallo di tempo di durata t gli elettroni di conduzione, in moto alla velocità di

deriva vD , si saranno spostati di un tratto vD t , in verso opposto a quello di E a causa 
E
della loro carica negativa. Indiciamo con A la sezione del filo perpendicolare alle pareti.

Nel tempo t , si sarà mosso, nel verso di vD , un cilindro di carica negativa di volume:

vD

vD  t
volume  area di base  altezza  AvD t
Considerato che ogni metro cubo di tale volume contiene n elettroni di conduzione, nel
tempo t avranno attraversato la sezione un quantitativo di particelle pari al prodotto
n  volume  nvD tA . Dividendo per t si ha il numero di elettroni che ogni secondo
A
scavalcano la sezione:
nAvD

vD  t
Per ogni elettrone che avanza rimane una lacuna, cioè lo spazio che esso lascia vuoto, e
quindi tutto va come come se questo spazio si fosse mosso in direzione opposta
all’elettrone stesso. In un filo metallico neutro, lo spazio lasciato vuoto dall’elettrone corrisponde ad una carica positiva e  1.60  1019 C . Per motivi di convenienza si preferisce immaginare che lo spostamento di carica non sia dovuto agli elettroni, ma a queste
particelle positive immaginarie. Il vantaggio è di non avere un segno meno
nell’espressione della corrente, il cui valore si ottiene quindi moltiplicando il numero
nAvD di lacune che scavalcano la sezione ogni secondo, per carica e di ciascuna:
I  neAvD
 La Controfisica
Le unità di misura della corrente sono
sempre ampere, anche nel membro di
destra in questa formula. Infatti, essendo [n]=[m-3] risulta:
[neAvD]= m-3Cm2 ms-1=Cs-1=A
Questa equazione dice che la corrente aumenta al crescere della quantità di carica per unità di volume, ed al crescere della sezione del filo. In base ad essa, maggiore è la velocità
dei portatori, più è grande la corrente: risultato intuitivo poiché una maggiore velocità
significa che è maggiore la carica che riesce a passare in ogni secondo.
Esercizi
2. In un filo di rame di diametro 1.20 mm è sede di una corrente I  0.850A . Calcolare
la velocità di deriva degli elettroni ed il numero di elettroni che ogni secondo attraversano
una sezione del filo.
La sezione del filo misura:
A  R 2  3.14  ( 1  1.20  103 )2 m2  1.13  106 m2
2
usando il numero di portatori di carica per il rame, n  8.47  1028 elettroni/m3 e ricordando che e  1.60  1019 C , dalla formula per la corrente si ottiene:
I
0.850
vD 

m/s  5.55  105 m/s
neA 8.47  1028  1.60  1019  1.13  106
ed il numero di elettroni che passano la sezione del filo ogni secondo vale:
I
0.850
nAvD  
elettroni/s  5.31  1018 elettroni/s
19
e
1.60  10
2
Da scriversi minuscolo e senza accenti, come tutte le unità del SI, a differenza del nome dello scienziato francese AndréMarie Ampère (1775-1836) in cui onore è stata scelta la denominazione dell’unità di corrente.
233
Per generare corrente il filo viene svuotato dei suoi elettroni di conduzione?

E
No, gli elettroni non vengono “consumati” allo scopo di produrre corrente! Del resto
se delle particelle negative venissero progressivamente distrutte avremmo violato il
principio della conservazione della carica, e al contempo staremmo producendo un
Universo sempre più positivo. Allo stesso modo, se in qualche punto del percorso
della corrente, ad esempio nel bulbo di una lampadina, si accumulassero eccessi di
carica, il bulbo diverrebbe progressivamente negativo ed arresterebbe la corrente.
Quindi per non avere accumuli di elettroni, la corrente dev’essere la stessa in tutto il
filo, e pertanto il campo elettrico che la produce deve avere intensità uniforme lungo di esso.
Ciò che accade è che gli elettroni vengono mantenuti in moto in un percorso che
dev’essere chiuso ad anello, al quale viene dato il nome di circuito elettrico. Lo scorrimento di carica lungo il filo in un circuito elettrico è un processo continuo in cui
non viene mai raggiunta una condizione di equilibrio elettrostatico. Si dice che gli
elettroni di conduzione si trovano in uno stato stazionario, cioè che la loro velocità di
deriva in ogni punto del circuito non cambia al passare del tempo.
Quale ruolo svolge la batteria in un circuito elettrico?
I
Come sappiamo, il campo elettrico non è in grado di mettere in moto delle particelle
cariche in un percorso chiuso, quindi per mantenere corrente in un circuito occorre
un dispositivo che assolva a questo compito: la batteria. All’esterno la batteria presenta due localizzazioni di carica in corispondenza dei suoi estremi, detti poli, e produce
al suo esterno il campo caratteristico di un dipolo, che già conosciamo. Le funzioni
della batteria sono quelle di una pompa, ed i fili elettrici ricordano delle tubature che
la natura ci fornisce preventivamente riempite di acqua (in questo caso gli elettroni
di conduzione). La batteria non crea né distrugge elettroni, li mette soltanto in movimento lungo di un percorso chiuso: possiamo pensare ad essa come a qualcosa di
simile al nostro cuore, che non crea il sangue ma lo mantiene in circolazione.
I

vD
I

E

E

vD

E genera
il moto delle cariche nel filo,
ma dentro alla batteria
lo contrasta
Cosa accade all’interno della batteria?
Dentro ad una batteria reale avvengono delle reazioni chimiche, il cui dettaglio ora
non affronteremo: il loro scopo è di mantenere una differenza di potenziale tra i due
poli della batteria, ovvero far sì che presso il polo a potenziale più basso, il polo negativo, vi sia sempre un eccesso di elettroni e viceversa vi sia un difetto di elettroni
presso il polo a potenziale più alto, il polo positivo. Se inseriamo la batteria in un circuito, gli elettroni in eccesso sul polo negativo, spinti dal campo elettrico generato
dalla differenza di potenziale tra i poli, lasceranno quest'ultimo e si sposteranno

all'interno del filo verso il polo positivo con velocità pari alla velocità di deriva vD .
Nel contempo le reazioni chimiche all'interno della batteria, per mantenere la differenza di potenziale tra i poli, preleveranno della carica negativa dal polo positivo e,
lavorando in opposizione al campo elettrico, la trasportano al polo negativo facendo
chiudere il giro della carica all'interno del circuito. Possiamo farci un’idea del principio di funzionamento attraverso il modello meccanico in figura, formato da una cinghia rotante che preleva gli elettroni dal polo positivo, dove andrebbero accumulandosi e li trasporta nuovamente su quello negativo da cui si sono staccati. La cinghia

compie lavoro contro il campo elettrico, infatti E dentro la batteria ostacola il completamento del percorso ad anello da parte degli elettroni di conduzione, che invece
tende a produrre nel filo. Fintanto che con una manovella manteniamo in rotazione
la cinghia in modo da avere una separazione di carica nei due poli, avremo corrente
nel circuito. In base alla convenzione che la corrente è dovuta a fittizie cariche positive, mentre gli elettroni scorrono dal polo negativo a quello positivo, la corrente ha verso opposto, come se delle particelle positive facessero il percorso inverso, dal positivo al negativo.
234
Gli elettroni di conduzione nel filo si spingono l’un l’altro come palline in un tubo?
La nostra esperienza sulla scala degli oggetti ci conduce all’idea errata che produrre
corrente sia come spingere una fila di palline dentro ad un tubo. È necessario aver
chiaro che “spingersi l’uno con l’altro” sulla scala delle particelle significa interagire
tramite la forza elettrostatica, perché al livello microscopico non esistono azioni “a contatto”. Sulla scala degli oggetti, spinte e pressioni sembrano avvenire a contatto, ma
sulla scala delle particelle sono sempre riconducibili a forze elettrostatiche. Quando il
nostro piede calcia un pallone, o la nostra mano accompagna una porta, sono le cariche degli elettroni nelle molecole degli oggetti che, respingendosi reciprocamente,
impediscono ai corpi di compenetrarsi e danno l’idea di due cose che si toccano, si
spingono o si urtano. Pertanto gli elettroni nel filo di un circuito non si spingono l’un
l’altro ma, come già abbiamo detto, sono messi in moto da un campo elettrico.

Fione

Felettrone
Chi origina il campo che tiene in moto gli elettroni nel filo?
Come sappiamo, qualunque campo elettrico viene prodotto da cariche localizzate,
quindi anche quello che accelera gli elettroni nel filo sede di corrente. Tuttavia abbiamo visto che all’interno di un filo metallico non possano esserci accumuli di carica, perché ostacolerebbero la corrente, e che il materiale è da considerarsi neutro.
Questo comporta che per ogni repulsione elettrostatica che l’elettrone riceve da un
altro elettrone a lui prossimo, ci deve essere anche attrazione da parte di uno ione del
reticolo cristallino, e così le due azioni – repulsiva ed attrattiva – si compensano. E’
quindi nulla la forza elettrostatica complessiva che mediamente agisce sugli elettroni
ad opera delle particelle cariche interne al filo, cioè gli elettroni non possono spingersi
perché la loro repulsione è cancellata dall’attrazione da parte degli ioni positiivi nei
nuclei. Il campo elettrico nel filo non è pertanto prodotto da cariche localizzate al
suo interno, e quindi le sue sorgenti dovranno trovarsi altrove.
Dove sono localizzate le cariche che producono questo campo parallelo al filo?
Se, come abbiamo visto, le cariche che generano il campo che mette in moto gli elettorni non risiedono dentro al filo, esiste solo un altro posto dove possono localizzarsi,
e cioè sulla sua superficie. È tuttavia davvero curioso che, da un punto di vista pratico,
generare una distribuzione di carica capace di produrre un campo nel filo, ovunque
parallelo alle sue pareti, in grado di seguirne ogni complicato avvolgimento, risulti
un’operazione quasi automatica. È sufficiente connettere i capi del filo ai poli della
batteria ed immediatamente gli elettroni di conduzione si mettono in moto. Ma
com’è possibile che dentro ad un filo che può estendersi anche molto lontano dalla
batteria, che può essere piegato ed addirittura annodato, si formi sempre questo
campo sorprendentemente uniforme e parallelo alle pareti? Per rispondere immaginiamo di avere inizialmente il filo diviso in due, e ciascuna metà sia connessa ad
un polo della batteria: solo nel momento in cui collegheremo le due parti si stabilirà
corrente, ed il circuito, come si dice, sarà chiuso. Abbiamo così inserito nel circuito
un dispositivo che taglia il filo e lo riunisce, chiamato interruttore. Prima della chiusura dell’interruttore però, il sistema è un conduttore in equilibrio elettrostatico, cioè
le linee del campo della pila, là dove c’è il filo, saranno distorte rispetto a quelle di
 
un dipolo3, in modo che all’interno del metallo risulti E  0 , come la condizione di
equilibrio richiede. Poiché ognuna delle due porzioni di filo costituisce una sorta di
“prolungamento” del polo carico, sulla superficie del filo a contatto col polo positivo si localizzeranno delle cariche positive - come accade per ogni conduttore carico
in equilibrio -, e negative sulla superficie dell’altra metà. Adesso colleghiamo i due
fili: le cariche nei capi si annulleranno reciprocamente quando questi entrano a contatto, lasciando tutt’intorno al filo un “tubo” di carica che va gradualmente da positivo a negativo, con una brusca variazione di segno nella regione di contatto. La
3
Una coppia di cariche uguali di segno opposto si chiama dipolo: il suo campo è raffigurato nel capitolo precedente.
235
 La Controfisica
Le cariche sui poli della batteria non
possono essere le sole responsabili
del campo che genera la corrente.
Infatti esse producono il campo
tipico di un dipolo, ma come è facile
verificare con un semplice circuito di
una lampadina ed una pila, avvicinando la lampadina alla pila, dove il
campo dovrebbe essere più intenso,
non cambia la luminosità, e quindi
non cambia la corrente. Allo stesso
modo è possibile piegare il filo in
modo che il verso della corrente sia
addirittura perpendicolare (o anche
contrario) a quello del campo di
dipolo della batteria, come nella figura, e non osservare mutamenti di
luminosità.

E

E


E 0


E 0
interruttore
aperto
I

E

E
scomparsa della carica che era sui capi fa sì che l’equilibrio elettrostatico nel metallo venga
meno e compaia un campo non nullo all’interno. Il moto dei primi elettroni in corrispondenza della giuntura sotto la spinta di questo campo, diluisce la carica superficiale in
quel punto e rende meno brusco il passaggio da cariche superficiali di segno positivo a quelle di segno negativo.

E
interruttore
chiuso

E
Che direzione e che verso ha questo campo che compare dopo la chiusura?
La direzione e il verso di tale campo nella regione di contatto si intuiscono considerando che lungo tutta la superficie del filo vi è una serie di anelli carichi, ognuno dei
quali genera un campo che, lungo il suo asse, ha direzione uscente dall’anello se po
sitivo, entrante in esso se negativo. Un calcolo dettagliato per l’intensità di E di un
anello lungo l’asse mostra che esso decresce con la distanza dal centro dell’anello, e
che è tanto più intenso quanto più grande è la carica totale sull’anello4. Quindi due
anelli consecutivi di uguale segno producono due campi contrapposti, ma di intensità differente se le cariche totali su ciascuno di essi sono diverse, così che il risultato

della sovrapposizione è un vettore E diretto dall’anello maggiormente carico verso
quello meno carico, come in figura. Questo è proprio il campo che occorre per mettere in moto le cariche lungo il fllo, ed è sempre parallelo ad esso, per quanto lo si annodi o ci si allontani dalla batteria.
Ma se i fili sono carichi, perché non esercitano attrazione tutt’intorno?
La quantità di carica sulla superficie del filo necessaria per mettere in moto gli elettroni di conduzione è davvero esigua e non può produrre effetti attrattivi o repulsivi
osservabili sulla scala degli oggetti. Si tratta infatti di eccessi di carica dell’ordine di
quella di qualche elettrone, per cui i fili nei normali circuiti elettrici possono praticamente essere considerati neutri.
Il processo di sistemazione delle cariche sulla superficie del filo è istantaneo?
Non esistono processi istantanei in natura, ma la massima velocità con cui hanno
luogo le interazioni è quella della luce, che qui esprimiamo in unità facili da visualizzare:
velocità della luce = trenta centimetri ogni nanosecondo
 La Controfisica
Quando fate una telefonata su lunga
distanza, l’elettone che spingete dal
microfono ad esempio a Roma, non
è lo stesso che batte sull’altoparlante
della cornette che si trova a Milano
anzi, in una conversazione di un’ora
quell’elettrone non fa nemmeno in
tempo ad uscire dalla stanza!
( 1ns  109 s , un miliardesimo di secondo). Appena si chiude il circuito, il campo
elettrico continua ad essere nullo quasi ovunque nel filo, tranne che nelle vicinanze
della giuntura, dove le cariche si sono già sistemate. Questo campo appena generato
conferisce proprietà allo spazio occupato dal filo alla velocità della luce, e quindi, visto che per percorrere distanze di centimetri bastano pochi nanosecondi, è quasi
immediato l’effetto sugli altri elettroni del mare. Per avere gli anelli di carica
tutt’intorno al filo, nessuna delle cariche si sposta se non di distanze infinitesime
verso la superficie, creando a loro volta campo elettrico nella porzione di filo sotto di
loro. Quando accendiamo la luce chiudendo il circuito con l’interruttore, in qualche
nanosecondo gli spostamenti microscopici degli elettroni sulla superficie del metallo
generano il campo elettrico nel filo, e questo mette subito in moto tutti gli altri elettorni di conduzione.
Ma gli elettroni partono dalla pila per raggiungere la lampadina?
Dovremmo ormai aver chiaro che non è così! A dispetto della rapidità con cui si instaura il campo elettrico nei fili, non va dimenticato che il moto globale del mare di
elettroni di corrente è lentissimo: alla velocità di deriva, una singola parricella impiega ore a percorrere interamente un circuito di modeste dimensioni. Questo non è
4

2
2 3/2
Risulta: E  kQz /(R  z )
dove z è la distanza, lungo l’asse, dal centro dell’anello, ed R il suo raggio.
236
un problema perché gli elettroni nella pila (o nell’interruttore) non devono raggiungere
la lampadina. Il filamento del bulbo è già pieno di elettroni: tutto ciò che occorre è che
si stabilisca l’appropriata carica sulla superficie del filamento, ed anche quegli elettroni si porranno subito in marcia dando vita alla corrente.
Esercizi
3. Calcolare quanto tempo impiega un elettrone a percorrere completamente il filo
lungo 2 m di una lampadina da comodino.
Assumendo per la velocità di deriva il valore vD  104 m/s presentato all’inizio
del capitolo, si ha:
s
2
t 

s  2  104 s  5 ore e mezza
vD
104
2. Leggi di Ohm e forza elettromotrice
Abbiamo visto che si dicono conduttori ohmici quelli in cui la velocità di deriva delle cariche vD è proporzionale al campo elettrico. La costante di proporzionalità si chiama mobilità, dipende dal tipo di materiale, e si indica con la lettera greca  (mi):

vD   E
I metalli rientrano nella categoria dei conduttori ohmici (purché le temperature non
siano troppo elevate). Il conduttore ohmico è però un caso speciale: in generale, non
tutte le sostanze né tutti gli stati di aggregazione vi rientrano: i gas, ad esempio, non
sono conduttori ohmici.
Come sono legate corrente e differenza di potenziale in un conduttore ohmico?

Inserendo la relazione vD  |E | nella formula I  neAvD troviamo che la corrente

in un conduttore ohmico è proporzionale al campo elettrico I  neA|E | . Poiché ri-
V
sulta più semplice misurare le differenze di potenziale che non i campi, consideriamo un tratto lungo L di un conduttore ohmico di sezione A , e dalla formula
Es  V /s , esprimiamo l’intensità del campo al suo interno in funzione della
L
differenza di potenziale V ai suoi capi:

V
E 
L
inserendo questi risultati nella relazione già ricavata I  neAvD abbiamo che la corrente in un conduttore ohmico è proporzionale alla differenza di potenziale ai suoi
capi:

A
I  ne  V

L 
Il reciproco della costante di proporzionalità che lega I a V si dice resistenza elettrica e
si indica con la lettera R , cioè R  L /neA . Vale quindi la seguente:
237
 La Controfisica
Chiaramente possiamo ribaltare questa formula e riscrivere la prima legge di Ohm come:
∆V=RI
tuttavia è preferibile non perdere di
vista la relazione di causa ed effetto ricordando che è la corrente ad essere
prodotta dalla differenza di potenziale ai capi di un conduttore, e non
viceversa.
A
Prima legge di Ohm
La corrente in un conduttore ohmico è direttamente proporzionale alla differenza di potenziale applicata ai suoi capi:
V
I 
R
Si vede bene il significato della parola resistenza: maggiore è il valore di R , minore sarà la
corrente nel conduttore a parità di differenza di potenziale V applicata ai suoi capi. Le
dimensioni fisiche della resistenza sono definite dalla prima legge di Ohm, e la corrispondente unità è chiamata ohm ed ha per simbolo la lettera greca òmega maiuscola  . Risul-
I
tan  1

R
ta: [R ]  []  [ V ][ A]1 . In un piano con la differenza di potenziale in ascisse e la corrente
in ordinate, la prima legge di Ohm è raffigurata una retta di coefficiente angolare 1/R .
V
Esercizi
4. Una differenza di potenziale di 15.0 V viene applicata ai capi di una resistenza
R  10.0  . Calcolare la corrente all’interno della resistenza ed il valore di differenza di
potenziale che la ridurrebbe ad un terzo di tale valore.
Dalla prima legge di Ohm si ha semplicemente:
V
15.0
I 

A  1.50 A
R
10.0
Poiché la corrente in un conduttore ohmico è direttamente proporzionale alla tensione
applicata ai capi, si vede subito che per avere un terzo di corrente bisogna applicare un
terzo della differenza di potenziale: V  5.00 V , I  0.500 A .
Che interpretazione possiamo dare della corrente e della differenza di potenziale?
grande V
piccola I
grande I
piccola V
metallo
 [m]
argento
1.62  108
rame
1.69  108
oro
2.35  108
alluminio 2.75  108
tungsteno 5.25  108
ferro
9.68  108
Sappiamo che il potenziale elettrostatico misura le proprietà di una regione di spazio
in termini di energia per unità di carica, cioè il valore di V nel punto P corrisponde al
numero di joule di energia che vengono conferiti ad ogni coulomb di carica che poniamo in P . Analogamente, la differenza di potenziale V fra i capi di un pezzo di
filo (o di un qualsiasi dispositivo elettrico) misura quanto di tale capacità di conferire energia ad ogni coulomb di carica è stata utilizzata dal dispositivo stesso (oppure
dissipata per riscaldare il filo). Immaginando la batteria come una pompa che porta
l’acqua in alto dentro a dei tubi, la differenza di potenziale fra due punti sarebbe la
loro differenza di altezza, mentre la corrente I indicherebbe invece quanti litri
d’acqua vi passano ogni secondo. Un valore elevato di tensione e bassa corrente può
essere immaginato come la cascata delle Marmore, cioè molto alta ma che porta poca
acqua, viceversa “bassa tensione e grande corrente” sarà la cascata del Niagara, cioè
un dislivello modesto ma che riversa molta acqua.
Come si può calcolare la resistenza di un tratto di filo?
La resistenza elettrica è una grandezza che in un unico numero riassume sia le caratteristiche geometriche del filo ( A , L ) sia le proprietà del materiale adoperato (  , n , e ). Si
usa però separare gli aspetti geometrici da quelli fisici introducendo la resistività specifica ,
indicata con la lettera greca rho   1/ne . In tal modo otteniamo una relazione semplice per calcolare la resistenza di un tratto di filo metallico, visto che tutte le proprietà microscopiche del materiale sono riassunte dal valore di  :
Seconda legge di Ohm
La resistenza di un tratto di filo metallico è direttamente proporzionale alla lunghezza ed
inversamente proporzionale alla sezione:
L
R
A
238
R
Le dimensioni fisiche della resistività sono definite dalla seconda legge di Ohm e risultano
[ ]  [][ m ] . Nella tabella a fianco riportiamo qualche valore: si noti il basso  del rame
che ne fa il migliore fra i conduttori metallici economici.
simbolo
della resistenza
Quale ambito di validità hanno le leggi di Ohm?
Le leggi di Ohm non sono principi fondamentali della natura, ma si applicano solo ad una
ristretta categoria di dispositivi, che vengono detti resistenze (o anche resistori) e raffigurati con il simbolo qui a lato. Qualunque pezzo di filo metallico è senz’altro una resistenza,
il cui valore può essere calcolato tramite la seconda legge di Ohm. Però si realizzano industrialmente dei componenti per circuiti aventi il valore di resistenza desiderato, in forma
di piccoli cilindri con dentro ossidi metallici e carbone, aventi due terminali metallici. Eccettuati tali dispositivi specifici, i componenti circuitali non sono in genere ohmici: non è ohmico, come vedremo, un condensatore: raddoppiando la tensione ai suoi capi non si ha il
raddoppio della corrente che entra ed esce. Una batteria non è ohmica: la differenza di potenziale ai suoi capi si mantiene costante, indipendentemente dall corrente al suo interno.
Dobbiamo quindi ricordare che la validità della legge I  V /R è limitata ai soli componenti circuitali costruiti appositamente, quali le resistenze.
Esercizi
5. Un elettrodotto è costruito con dei cavi di rame di sezione A  2.50 mm2 . Ad una
distanza ignota d dalla centrale elettrica un guasto pone in contatto i cavi, così che
questi formano un unico percorso avanti e poi indietro lungo 2d . Per individuare la
posizione del guasto senza ispezionare la linea, si decide di applicare una differenza
di potenziale V  100 V fra i capi alla centrale, e si osserva che viene prodotta nei
cavi una corrente I  2.60 A . Calcolare la distanza d alla quale dev’essere inviata la
squadra di riparazione.
d
I due cavi in contatto hanno nel loro insieme una resistenza R che può essere calcolata tramite la prima legge di Ohm:
V
100 V
R

 38.5 
I
2.60 A
dalla seconda legge di Ohm si ricava invece una formula per d :
2d
RA
R

d
A
2
Il valore della resistività del rame può essere letto dalla tabella precedente, mentre
per l’area dobbiamo trasformare in metri quadrati:
  1.69  108   m
A  2.50 mm2  2.50  106 m2
Inserendo tutti questi valori abbiamo:
RA  38.5  2.50  106 
3
d
 
 m  2.85  10 m  2.85 km
2
 2  1.69  108 
6. Si deve realizzare una resistenza di 20.0  utilizzando del filo di alluminio avente
diametro d  0.0240 cm . Calcolare quanti metri di filo occorrono.
[R: 32.9 m ]

E punta nel verso
in cui il potenziale decresce :
V  V1  V2  ... V
V+
239

E
V2

E

E
Come possiamo valutare i trasferimenti di energia che hanno luogo in un circuito?

Percorrendo un filo nel verso della corrente elettrica, poiché il campo E punta nl verso
in cui V decresce, il valore del potenziale diminuisce gradualmente, partendo dal valore che assume nel polo positivo della batteria fino ad arrivare a quello nel polo negativo. Questa variazione continua di potenziale genera il campo che accelera gli
elettroni di conduzione, i quali guadagnano così energia cinetica. L’energia cinetica
viene da loro ceduta lungo il tragitto sotto varie forme, ad esempio quando urtano il
V1
dispositivo
elettrico

E
V
V6
V3
V4
V5
 La Controfisica
Per visualizzare la formula P=I∆V
pensiamo all’energia come a dei panini a bordo di tanti furgoni. Un
furgone sarà 1 coulomb di carica, ed
il numero di panini che contiene,
l’energia che esso trasporta. Poniamo che I indichi quanti furgoni
consegnano il pane ad un supermercato ogni secondo, mentre ∆V sia il
numero di panini trasportati da ciascuno. Il prodotto del numero di
furgoni al secondo per il numero di
panini a bordo di ciascuno, produce
il numero di panini che ogni secondo sono consegnate al supermercato,
cioè l’energia che esso riceve ogni
secondo.
PANE
reticolo di cariche positive e questo, posto in vibrazione, aumenta la sua temperatura, oppure quando viene convertita in energia meccanica nei motori elettrici. In ogni
caso, fra i capi di un dispositivo in cui passa una corrente I c’è una differenza di potenziale
V , e la corrente è diretta, come il campo elettrico, dai potenziali maggiori verso i
minori. Ora, mentre il valore di I ci informa su quanti coulomb di carica passano ogni
secondo, la differenza V ci dice quanta energia ciascun coulomb di carica consegna al
dispositivo stesso. Infatti V esprime il cambiamento di energia potenziale per unità
di carica prima e dopo il passaggio nel dispositivo, quindi è l’energia che gli elettroni
hanno ceduto al dispositivo stesso. Possiamo scrivere una formula che esprima la
potenza del dispositivo cioè l’energia che viene trasferita ogni secondo dalla batteria al
dispositivo utilizzatore:
 numero di coulomb  energia che ciascun coulomb

  

potenza  
 

che passano ogni secondo  consegna al dispositivo 
PANE
sostituendo i simboli alle parole, ed usando per la potenza la lettera P :
P  I V
 La Controfisica
Quando acquistiamo il lavoro dalle
compagnie elettriche, lo paghiamo
mediamente qualche decina di centesimi di euro al kilowattora. Il contatore energetico di una abitazione
normalmente eroga una potenza
massima di 3.3kW. Utilizzatori termici o che compiono lavoro meccanico, come forni, scaldabagno, lavastoviglie, stufe, lavatrici consumano
una potenza che va da 1kW a 3kW ,
mentre dispositivi più piccoli come
lampadine, televisori e PC potenze
da 20W a 200W circa.
Nel Sistema Internazionale, all’unità di misura dell’energia per unità di tempo è assegnato il nome watt ed il simbolo W , cioè 1W  1A  1V  1J /s . Per far funzionare
dispositivi elettrici quali lampadine, motori eccetera viene quindi trasferita energia
dal generatore verso gli utilizzatori: più energia si consegna ad un utilizzatore
nell’unità di tempo, maggiore è il lavoro che questo potrà eseguire ogni secondo. La
formula P  I V mostra che a garantire una potenza elevata non è né una grande
caduta di potenziale né una grande corrente, ma un elevato valore del loro prodotto
Esercizi
7. Un motore elettrico utilizza una corrente di 2.00 A quando ai suoi capi viene stabilita un differenza di potenziale di 6.00 V . Calcolare l’energia che occorre per farlo
funzionare un quarto d’ora.
Possiamo tradurre i dati numerici del problema in linguaggo colloquiale dicendo che
ogni secondo il motore viene attraversato da un quantitativo di carica pari a 2.00 C ,
e che ognuno di questi coulomb cede al motore stesso un’energia di 6.00 J . Pertanto
la potenza del motore, cioè l’energia che esso utilizza ogni secondo, risulta:
P  I V  2.00 A  6.00 V  12.0 W
moltiplicando la potenza per l’intervallo temporale di un quarto d’ora, espresso in
secondi, si ha l’energia complessiva P t necessaria al motore:
t  (15  60) s  900 s
P t  12.0 W  900 s  1.08  10 4 J
Come si scrive il bilancio dell’energia per una resistenza?
La formula P  I V è valida per qualsiasi dispositivo elettrico, ma nel caso di un
dispositivo ohmico, come una resistenza di valore R , possiamo inserire in essa la
prima legge di Ohm V  RI ed ottenere le due espressioni equivalenti:
P  I 2R
P
da usare a seconda che sia nota I oppure V .
240
V 2
R
Cos’è un kilowattora?
È un’unità di misura per il lavoro usata commercialmente al posto del joule, e che si riferisce
al tempo misurato in ore. Il kilowattora è formato da mille wattora (simbolo Wh ), ed il
lavoro in wattora si ottiene moltiplicando la potenza in watt per il tempo espresso in ore. Ad
esempio per tenere accesa un’ora e mezza una lampadina da 100 W occorre un lavoro di
(1.5  100) Wh  150 Wh . Poiché in un’ora vi sono 3600 s , se lavoriamo alla potenza di
un watt, in un’ora abbiamo prodotto un lavoro di 3600J  1 Wh , quindi :
1 kWh  3.6  106 J
Esercizi
8. Un asciugacapelli elettrico da 800 W funziona sfruttando l’effetto joule che riscalda un filamento di resistenza R . Sapendo che la tensione di rete a vale 220 V si calcoli R ed il valore della corrente al suo interno.
Usando entrambe le formule valide per la potenza dissipata da un conduttore ohmico si ha:
P
V 2
R
P  I 2R
 R
 I 
V 2
2202

  60.5 
P
800
P

R
800
A  3.64 A
60.5
9. Calcolare quanto costa complessivamente tenere accesa una lampada da 100 W
per dodici ore ed una stufa da 1.50 kW per quattro ore, sapendo che la compagnia
elettrica vende l’energia a 30 centesimi al kilovattora. Esprimere il consumo energeti[R: 2.59  107 J,2.16 euro ]
co anche in joule.
10. Calcolare la resistenza e l’intensità di corrente in uno scaldabagno da 0.950 kW
di potenza collegato alla rete casalinga a 220 V . Calcolare quanti joule e quanti kilovattora di energia consuma se viene tenuto acceso per tre ore. Calcolare quanta potenza dissiperebbe se venisse collegato ad un impianto dove la tensione vale 150 V .
[R: 50.9 , 4.32 A,1.03  107 J,2.85 kWh, 442 W ]
11. Un bollitore elettrico collegato alla rete domestica a 220 V funziona sfruttando
l’effetto Joule in una resistenza da 50.0  . Esso viene utilizzato per portare la temperatura di 2.50 kg di acqua da 20.0C fino a 95.0C . Si calcoli per quanto a lungo
dev’essere tenuto acceso il bollitore, supponendo trascurabile l’acqua evaporata, e
ricordando che il suo calore specifico è 4186 J /kgC .
[R: 13.5 minuti ]
Che relazione c’è fra potenza, resistenza e luminosità in una lampadina?
La potenza dissipata da una lampadina ad incandescenza ne determina la luminosità: una lampada da 100 W è più luminosa di una da 60 W . Una maggiore potenza
implica una minore resistenza dato che P  V 2 /R ed il valore della resistenza figura a denominatore. Le lampadine ad incandescenza però non seguono bene la legge di Ohm perché la loro resistenza diminuisce con la temperatura. Infatti al crescere
della temperatura si rendono liberi molti più elettroni che vanno ad aggiungersi al mare di
conduzione. Una lampada alogena (vedi a lato) a 70 W che funziona alla differenza di
potenziale 220 V , quando è accesa (e cioè la temperatura del filamento sta ad oltre
2500 C ) ha una resistenza di 50  . Per la stessa lampada, a freddo, usando le leggi
di Ohm si ha: R  V 2 /P  (2202 / 70)   691  .
241
 La Controfisica
Una lampada alogena ha il bulbo
riempito di un gas alogeno, come lo
Iodio, il Kripto, lo Xeno. Questi
hanno la proprietà di aggregare a sé
facilmente un elettrone prendendolo
da altre sostanze, allo scopo di completare l’orbitale più esterno
dell’atomo. Un alogeno nel bulbo
quindi raccoglie le particelle di tungsteno evaporate dal filamento, forma
un alogenuro di tungsteno, che successivamente si rideposita sul filamento e ne prolunga la vita riportandovi gli atomi liberati.
 La Controfisica
La scelta di ridurre la resistenza dei
cavi aumentando la loro sezione fu
uno dei motivi per cui le centrali
elettriche di Thomas Edison persero la cosiddetta “guerra delle correnti”. L’America
della seconda
metà dell’Ottocento vide contrapposti due sistemi
di trasmissione
dell’energia elettrica: quello di Edison e quello del fisico Nikola Tesla
(e l’industriale George Westinghouse). Il sistema di Tesla mirava a ridurre le dissipazioni negli elettrodotti alzando la tensione di trasporto,
quello di Edison invece diminuendo
la resistenza dei cavi aumentandone
la sezione. Quando il prezzo del
rame sul mercato s’impennò, Edison
si trovò in grande svantaggio rispetto
al suo concorrente. Prima di capitolare egli tentò la via di gettare discredito sull’alta tensione di Tesla, facendo leva sulla pericolosità di quel
sistema. Nel tentativo di risvegliare
la paura collettiva, Edison eseguì
delle pubbliche dimostrazioni di
come gli animali venivano folgorati
dall’alta tensione (il video Electrocuting
an elephant del 1905 è tutt’oggi disponibile sul web). Quando poi gli venne chiesto di progettare un dispositivo moderno per le esecuzioni capitali, egli realizzò la sedia elettrica, appositamente concepita per utilizzare
l’alta tensione di Tesla.
Perché l’energia elettrica viene trasportata a differenze di potenziale elevate?
Spostare energia elettrica dalla centrale dove viene prodotta, fino alle nostre abitazioni, richiede una linea di trasmissione, cioè un apparato di fili lungo anche molti chilometri, che stabilisca un collegamento elettrico fra le due località. Poiché questo
enorme circuito è caratterizzato anch’esso da una sua resistenza complessiva, nel
tragitto una frazione dell’energia prodotta sarà dissipata nell’effetto joule di riscaldamento dei fili della linea.
Esercizi
12. Stimare la potenza che si dissiperebbe per trasportare energia ad un appartamento che utilizza 100 A , partendo ad una centrale elettrica distante 1 km , se il trasferimento avvenisse alla normale differenza di potenziale di 220 V della rete casalinga.
Si assuma che i fili di rame abbiamo una resistenza di 8  ogni chilometro.
Portare energia ad 1 km dalla centrale richiede 2 km di filo, e se il trasporto avvenisse con una differenza di potenziale di 220 V anche fra i cavi di trasmissione, dovremmo avere la loro interno la stessa corrente di 100 A utlizzata in casa. Quindi si
dissiperebbe una potenza:
P  I 2 R  1002 (8  2) W  1.6  105 W ,
cioè quasi dieci volte maggiore di quella resa disponibile a 220 V nell’ appartamento:
P  IV  (100  220) W  2.2  104 W .
La potenza si esprime nella forma P  I V , quindi una stessa P può essere trasportata nella linea tramite diversi di valori di differenza di potenziale e di corrente,
purché abbiano lo stesso prodotto I V . Proponiamoci quindi di scoprire quali sono i valori di I e V che permettono di trasferire quanto più possibile inalterata
una certa potenza P dalla centrale all’utilizzatore finale, cioè di rendere minima la
dissipazione nel trasporto. Schematizziamo l’elettrodotto che trasmette l’energia con
un’unica resistenza complessiva RT che comprenda l’effetto di tutti i cavi5. La potenza dissipata per riscaldamento risulta6 allora I 2RT . Pertanto se vogliamo che arrivi ai punti di utilizzazione una potenza P , dalla centrale dobbiamo immettere nella linea una potenza maggiore, cioè P  RT I 2 , che contenga anche la parte destinata
ad essere dissipata. Chiamiamo efficienza della linea di trasmissione il rapporto:
efficienza =
potenza che giunge alle abitazioni
potenza totale erogata dalla centrale

P
P  RT I 2
come si vede tale rapporto èsempre minore di 1, e più grande esso risulta, migliore è
il trasferimento di potenza. Nel caso ideale in cui l’efficienza valga 1 , tutta la potenza erogata dalla centrale è disponibile alle abitazioni.
Per aumentare l’efficienza possiamo ridurre la resistenza della linea?
Riducendo il valore di RT , diminuisce I 2RT e potremmo in tal modo raggiungere
facilmente il nostro scopo di diminuire la dissipazione. Questa soluzione non è tuttavia praticabile oltre un certo limite, in quanto, come si vede dalla seconda legge di
5
La resistenza dei cavi degli elettrodotti è dell’ordine di qualche ohm ogni chilometro.
6
L’altra espressione VT /RT non può essere utilizzata se non si conosce la differenza di potenziale VT ai capi di
2
RT , che è pari alla differenza fra il V che si ha alla centrale e il VU che i ha nel punto di utilizzo.
242
Ohm R  L /A , perché un cavo abbia bassa resistenza, dev’essere grande la sua sezione A e quindi grande il suo peso. Ad una riduzione eccessiva di RT conseguirebbero enormi difficoltà tecniche nella realizzazione della linea stessa, e un incremento notevole dei costi del materiale. La soluzione consiste quindi nel ridurre
quanto più possibile la corrente I nella linea, mantenendo però fissa la potenza trasportata. Dall’equazione P  I V vediamo che un basso valore di corrente richiede un
elevato valore della differenza di potenziale, in modo che resti costante il loro prodotto. Per questo motivo le linee di trasmissione sono sempre in alta tensione, cioè con
valori di V che possono raggiungere anche i 300000 V . Valori così elevati di differenza di potenziale non sono però pratici nelle centrali e nei punti di utilizzazione,
quindi si fa uso di dispositivi che alzano la tensione quando l’energia viene immessa
nella linea di trasmissione, e la riabbassano in prossimità dei punti di utilizzo7.
Esercizi
13. Una centrale elettrica deve fornire ad uno stabilimento industriale una potenza
P  180 kW facendo uso di cavi la cui resistenza complessiva vale RT  0.200  . Si
calcoli se sia più conveniente far giungere l’energia ad una differenza di potenziale
di 480 V allo stabilimento, oppure di 120 V , confrontando l’energia dissipata nei
due casi e l’efficienza della linea di trasmissione.
Se vogliamo che lo stabilimento fruisca, in entrambi i casi, di una stessa potenza
P  180 kW , la corrente complessiva che lo attraversa dovrà avere un valore diverso a seconda della differenza di potenziale che si sceglie:
180  10 3
P  V  I  180  10 W  (120 V)I  I 
A  1.50  103 A
120
300000 V
centrale
220 V
3
180  103
A  375A
480
questo stesso valore di corrente percorre i cavi, dissipando nei due casi:
P  V  I  180  103 W  (480 V)I  I 
Pdiss  I 2R  [(1.50  103 )2  0.200] W  450 kW
Pdiss  I 2 R  [3752  0.200] W  28.1 kW
pertanto nei due casi la centrale dovrà erogare una potenza complessiva:
PTOT  P  Pdiss  180 kW  450 kW  630 kW


simbolo
della batteria
PTOT  P  Pdiss  180 kW  28.1 kW  208 kW
e come si riconosce facilmente, l’efficienza della linea di trasmissione è maggiore se il
potenziale è più alto:
P
180 W
P
180 W

 0.286  28.6%

 0.865  86.5%
PTOT
630 W
PTOT
208 W
 La Controfisica
Come si scrive il bilancio dell’energia per una batteria?
La batteria restituisce l’energia iniziale ad ogni coulomb di carica che ha terminato il
percorso. Ciascun pacchetto da un coulomb fa il pieno di energia al polo positivo,
compie un percorso e raggiunge il polo negativo solo quando ha vuotato completamente il “serbatoio”, e qui la batteria provvede nuovamente a riempirlo. Per farlo attinge all’energia di alcune reazioni chimiche, quindi, mentre gli utilizzatori estraggono energia potenziale elettrica dalle cariche per convertirla in forma meccanica o
termica, la batteria preleva energia dalle reazioni chimiche e la trasferisce alle cariche
come energia potenziale elettrica. L’energia che la pila consegna ad ogni coulomb di carica si chiama “forza” elettromotrice della pila o fem , più precisamente si dice:
7
Questi dispositivi, detti trasformatori, però funzionano solo per correnti la cui intensità varia nel tempo come una sinusoide, che vengono dette correnti alternate.
243
Nell’analogia proposta in precedenza, la fem esprime il numero di panini che vengono caricati su ogni
camion dal fornaio.
PANE
PANE
Forza elettromotrice di una pila ( fem )
Il lavoro svolto dalla pila per portare un coulomb di carica dal terminale negativo al
terminale positivo, contro le forze del campo elettrico.

E

E

E

E
Come si capisce dalla sua definizione, la “forza” elettromotrice non è una forza, ma un
lavoro per unità di carica, pertanto la sua unità di misura è il volt, come per il potenziale. Essa porta un nome inadeguato perché concepito al tempo in cui gli scienziati
non avevano ancora ben chiaro il funzionamento dei circuiti elettrici.
Che relazione eiste fra la fem e la differenza di potenziale tra i poli della batteria?
La differenza di potenziale V  V V fra i terminali della batteria è uguale proprio alla sua fem perché, pensando ad un coulomb di carica che parte fermo nel polo negativo, e giunge fermo al positivo, il teorema dell’energia cinetica ci assicura che
è nullo il lavoro totale eseguito su di esso. Poiché tale lavoro è composto di quello motore
da parte del campo generato dalle reazioni chimiche nella pila ( L  fem ) e di quello
resistente da parte del campo elettrico ( L  V ), si ha:
carbone
I






LTOT  V  fem  K  0
elettroni
zinco
pasta di cloruro
di ammonio

fem  V  V V
Tuttavia l’interpretazione che si deve dare della differenza di potenziale misurata
fra i capi di una batteria, è concettualmente opposta a quella relativa al valore V
ai capi di una resistenza. Infatti, mentre in un utilizzatore l’energia viene prelevata
da ogni coulomb di carica e consegnata al dispositivo (che la trasforrma in energia
meccanica o la cede in forma di calore), nella pila l’energia viene sottratta al dispositivo
(cioè alla reazione chimica) e trasferita alle cariche.
Come funziona una batteria?
rame
zinco


elettroni
acido
solforico
++
-e
++
Cu
-e
Zn

SO
4
membrana
porosa
Lo zinco perde più ioni positivi quindi A
diviene negativo rispetto al rame. Gli elettroni ristabiliscono la neutralità passando al rame per il filo, e qui neutralizzano gli ioni ++ di rame in soluzione, che
si depositano sull'elettrodo. Ad impedire
che la soluzione diventi positiva presso il
rame e negativa presso lo zinco c'è un setto
poroso che fa passare solo gli ioni negativi


di acido SO4 in eccesso .
Come sappiamo, l’energia non può essere creata, e la batteria non fa eccezione: essa
semplicemente la estrae da quella stipata nei legami chimici delle sostanze, sfruttando
la differenza fra livelli energetici in materiali diversi. Praticamente qualsiasi coppia
di conduttori solidi, detti elèttrodi, può funzionare - più o meno efficacemente - come
batteria. È sufficiente immergerli in una opportuna soluzione liquida, oppure in
una pasta conduttrice, detta elettrolìta: ad esempio alluminio e rame in acqua e sale,
zinco e grafite in succo di frutta, una moneta di rame ed un chiodo di zinco infilati in
un limone, od in una patata (meglio se bollita), e così via. I due elettrodi si sciolgono
pian piano nella soluzione elettrolita, cioè perdono alcuni ioni positivi del reticolo cristallino perché ciò risulta conveniente dal punto di vista energetico, e così rimane su di
loro un eccesso di elettroni. Siccome sostanze diverse vengono intaccate dalla soluzione elettrolita in maniera differente, uno dei due elettordi finisce per rilasciare ioni
positivi in misura maggiore dell’altro, ed acquistare quindi un maggior eccesso di
elettroni. Ad esempio nella pila di rame (Cu) e zinco (Zn) in soluzione di acido solforico ( H 2 SO 4 ), l’elettrodo di zinco finisce per essere più ricco di elettroni rispetto a
quello di rame, e quindi diviene negativo rispetto ad esso. L’eccesso di elettroni conferisce un potenziale elettrostatico alla sostanza utilizzata: si usa misurare questi potenziali elettrodici rispetto ad un elettrodo di riferimento8: i conduttori meno carichi di
elettroni rispetto a lui hanno potenziali positivi, quelli più carichi di elettroni hanno
potenziali negativi, come in tabella. Una coppia di elettrodi in soluzione viene detta
cella: la forza elettromotrice di una cella non dipende dalla sua grandezza, ma solo dalla
8
Si tratta del cosiddetto elettrodo di idrogeno cioè una barra di platino in una qualunque soluzione acida che gorgoglia idrogeno attorno ad essa.
244
potenziale
sostanza elettrodico
differenza fra i potenziali elettrodici. Più celle collegate formano una pila od una batteria a seconda della disposizione geometrica: qui useremo i termini come sinonimi.
litio
3.04 V
potassio
2.93 V
sodio
2.71 V
Esercizi
14. Calcolare la forza elettromotrice di una cella di rame e zinco, cioè una coppia di
elettrodi di tali materiali immersa in soluzione elettrolitica di acido solforico.
alluminio
1.66 V
zinco
0.76 V
ferro
0.45 V
Come si legge in tabella, il potenziale del rame rispetto all’elettrodo di riferimento
vale 0.34 V mentre quello dello zinco 0.76 V quindi la differenza di potenziale
fra i due, a vuoto, quando sono immersi in una stessa soluzione vale:
fem  (0.34  0.76) V  1.10 V
piombo
0.13 V
rame
0.34 V
mercurio
0.80 V
argento
0.80 V
platino
1.18 V
Che significato hanno le varie dimensioni delle pile?
La forza elettromotrice è stabilita dalla chimica dei materiali, però più estesi sono gli
oro
1.30 V
elettrodi, maggiore è la carica che essi rilasciano, e cioè la corrente che da quella cella
si può ottenere. La diffusissima cella a zinco e carbone, ha una forza elettromotrice di






1.5 V . Essa viene commercializzata in diverse dimensioni, corrispondenti a differenti capacità di corrente, una grandezza che viene misurata in amperora (Ah) , e che 0V
1.5V
4.5V
3V
esprime la carica massima erogabile dalla cella. La dimensione più piccola, detta ministilo, è da circa 0.6 Ah : questo numero indica la possibilità di servirsi della pila per
generare una corrente da 0.6 A per un’ora, oppure da 0.3 A per due ore e così via.
serie
La dimensione più grande, detta torcione, è invece da 8 Ah .

Come possiamo collegare più celle?




Più celle possono essere messe in serie, cioè con i poli in contatto a segni alternati, in
modo da addizionare le forze elettromotrici, ad esempio dentro ad una radio dove
occorrono 4.5 V oppure 6.0 V . La configurazione in serie non aumenta la massima
corrente che possiamo produrre: batterie in serie sono attraversate dalla stessa corrente, pari a quella che ne produrrebbe una sola. Se invece colleghiamo più celle in
parallelo, cioè con i poli di segno uguale tutti connessi fra loro, è come se formassimo una nuova batteria, ai cui capi risulta la stessa differenza di potenziale di ciascuna di esse, ma capace di produrre una corrente che è la somma di quelle generate
dalle singole.

15. Si deve costruire una batteria per un motorino che richiede 2.0 A alla tensione di
3.0 V . Avendo a disposizione celle da 1.5 V , in ciascuna delle quali non deve aversi
più di 1.0 A di corrente, che configurazione possiamo utilizzare? Quanto durerà la
batteria, se ciascuna cella ha una capacità di corrente di 2.0 Ah ?






 1A
 1.5 V
Per rispettare il vincolo di 1.0 A di corrente per cella, occorrerà disporre almeno due
celle in parallelo. Ai capi del parallelo avremo la stessa tensione della singola cella,
cioè 1.5 V : per arrivare ai 3.0 V richiesti dal motore dobbiamo porre in serie due
blocchi da due celle in parallelo, in modo da addizionare le differenze di potenziale.
La configurazione è proposta a lato. Poiché in ogni cella abbiamo 1.0 A di corrente e
la capacità di corrente è 2.0 Ah , le singole celle cessano di funzionare dopo due ore,
e con esse l’intera batteria.
16. Due celle, ognuna di forza elettromotrice 1.50 V e capacità di corrente 0.600 Ah ,
poste in serie, fanno passare in un dispositivo elettrico 2.00  1018 elettroni al secondo.
Calcolare il valore della corrente, della potenza erogata, e per quanto il dispositivo
resterà acceso prima di scaricarle.
[R: 0.320 A, 0.960 W, 2.00 h ]
245
1.5V
1.5V
parallelo
2A
1.5V
3.0V
1A
2A
 La Controfisica
Una batteria “stilo” da 1.5V costa
40cent e può erogare 1.1Ah. Se le
facciamo produrre una corrente da
1.1A per un’ora eroga una potenza:
VI = (1.5V)(1.1A) = 1.65 W
e cioè 1.65Wh di energia, che ci costano 40cent. Se volessimo acquistare 1 kWh in batterie spenderemmo:
(1000/1.65)0.40 = 242 euro
Cifra da confrontare con i 30cent al
chilovattora ai quali viene venduta
l’energia domestica.
3. Le leggi dei circuiti




simbolo del
generatore
simbolo della
batteria
 La Controfisica
Di carattere solare e gioioso, il fisico
tedesco Gustav Kirchhoff (18241887) passò buona parte della sua
vita sulla sedia a rotelle in seguito ad
un incidente.
L’avvento della corrente elettrica ha reso possibile all’uomo trasportare rapidamente
energia a distanze che possono essere anche molto grandi. Le cariche di segno diverso vengono separate in continuazione da dipositivi come le batterie ed i generatori: le
batterie si avvalgono di reazioni chimiche per rimuovere continuamente elettroni dal
terminale negativo e portarli su quello positivo, i generatori invece realizzano lo
stesso scopo sfruttando i fenomeni del magnetismo, che studieremo più avanti. La separazione di carica è un modo di incamerare energia, che poi verrà rilasciata nei
modi che vogliamo noi ed alla distanza che desideriamo dal generatore. Uno di questi modi è far scorrere gli elettroni dentro ad un filo, spinti dal campo elettrico che
punta da regioni a maggior potenziale verso quelle a valori minori. Durante lo spostamento parte della loro energia viene trasformata in agitazione termica delle particelle nel filo, il quale si riscalda. L’effetto di riscaldamento può essere sfruttato direttamente, in dispositivi come le stufe elettriche, od indirettamente, arrivando ad emissioni luminose come nelle lampadine ad incandescenza. La combinazione dei dispositivi elettrici in cui passa corrente è detta circuito: scopriremo adesso in che modo i
principi fisici dell’elettricità si traducono in alcune leggi specifiche che governano il
comportamento dei circuiti, dette leggi di Kirchhoff.
Quali elementi geometrici si possono individuare in un circuito?
Lo studio dei circuiti risulta facilitato se si individuano, al loro interno, tre strutture
geometriche fondamentali, che permettono di tradurre in modo semplice le leggi
fondamentali dell’elettricità. Queste strutture sono:
NODO: un punto del circuito in cui confluiscono tre o più conduttori.
RAMO: un tratto di circuito compreso far due nodi consecutivi.
MAGLIA: un percorso chiuso nel circuito che non ripassi negli stessi punti.
E
F
G
D
C
H

A

B
Esercizi
17. Si individuino quanti sono i nodi, i rami e le maglie del circuito a lato.
Dalla figura emerge che tre conduttori confluiscono solo nei punti C, E, H, G, che
quindi sono gli unici nodi del circuito. Per quanto riguarda A, B, D, F si tratta di angoli retti disegnati per comodità grafica, ma che nella realtà sono interni ad un unico
conduttore. Senza alterare il significato fisico del disegno, A, B, D, F potrebbero essere sostituiti da tratti curvi.
Individuati i nodi consecutivi, si hanno quindi i quattro rami GC (passante per A, B e
la batteria), GE, CE, EH, HC.
I possibili percorsi chiusi che non ripassano per gli stessi punti sono invece le sette
maglie ABCGA, ABDFA, ABDEHGA, CDEHC, HEFGH, CDFGC, ABCHEFA.
La conservazione della carica regola il valore della corrente nei circuiti?
I1  I 2  I 3
I4
I3  I4
I1
I3
nodo
I2
Ogni ramo, anche se al suo interno contiene più elementi, deve essere visto come un
unico conduttore ininterrotto. Quindi il flusso di carica in un ramo non può cambiare
punto da punto a punto perché gli elettroni di conduzione non hanno modo di uscire od
entrare. In un circuito avremo quindi tanti diversi valori di corrente quanti sono i suoi rami.
Entrando in un nodo la corrente si divide, ma la legge di conservazione della carica
prevede che istante per istante non possa uscire dal nodo un quantitativo di carica
diverso da quello che vi è entrato. In caso contrario infatti, dovremmo supporre delle
sorgenti o dei pozzi nel nodo stesso, ed inoltre un accumulo – positivo o negativo fermerebbe la corrente. Pertanto la legge di conservazione della carica si traduce nella
seguente proprietà dei circuiti:
246
Legge di Kirchhoff dei nodi
La somma delle correnti entranti in un nodo è uguale alla somma delle correnti
uscenti:
Ientranti  I uscenti
 La Controfisica
Più in generale, la carica non può
accumularsi in nessun punto ed è
una quantità conservata, quindi in
ogni punto del circuito - non solo nei
nodi - la corrente che entra deve
essere uguale a quella che esce.
Esercizi
18. Calcolare il valore della corrente I 4 in relazione ai valori in figura, e ripetere il
I4
calcolo nel caso in cui raddoppi d’intensità la corrente I 1 .
La somma delle correnti entranti nel nodo in figura deve essere uguale alla somma
delle correnti uscenti, quindi:
I1  I 4  I 2  I 3
I 3  3A
I 1  6A
I 2  4A
sostituendo i valori otteniamo:
6A  I 4  4A  3A  I 4  6A  4A  3A  1A
Raddoppiando il valore di I 1 invece abbiamo:
12A  I 4  4A  3A  I 4  12A  4 A  3A  5A
I3
Il che significa che I 4 non può essere entrante, come raffigurato, ma uscente.
19. Con riferimento alla figura a margine, sapendo che I 2  4.35A e che I 3  3.65A
si calcolino le intensità delle correnti I 1 ed I 4 .
I1
I4
I2
[R: 8.00A ]
La conservatività del campo elettrico regola le cadute di potenziale nei circuiti?
Come sappiamo, la forza elettrostatica, essendo conservativa, compie sempre lavoro
nullo su di un percorso chiuso, cioè la circuitazione del campo elettrico vale zero. Se
quindi si parte da un punto A e si segue una maglia qualsiasi del circuito, tornati al
punto A il potenziale dovrà assumere nuovamente lo stesso valore iniziale VA . La
VA
situazione è simile a quello che accade se, partendo dal tetto A di un palazzo dove
la nostra altezza rispetto alla strada risulta VA , scendiamo per le scale fino al piano
terra, percorriamo un tratto nel cortile, poi risaliamo sul tetto con l’ascensore: al termine del giro non potremmo che ritrovarci ad avere la stessa altezza VA iniziale.
Questa proprietà viene di solito espressa dicendo che percorrendo una maglia di circuito, è nulla la somma delle cadute di potenziale, cioè la somma delle differenze V
che si hanno scavalcando ciascun componente durante il nostro giro:
Legge di Kirchhoff delle maglie
La somma delle cadute di potenziale in una maglia di circuito è sempre nulla:
(V )maglia  0
VA
1
V1
V2 2
Come si applica la legge delle maglie?
Si percorre interamente una maglia, partendo da un suo punto al cui potenziale si
assegna un nome, ad esempio VA . Facendo attenzione a non confondere il verso di
percorrenza con quello delle correnti, si somma al valore iniziale del potenziale la caduta
V che ogni volta si ha scavalcando un componente, e quando siamo tornati al risultato di partenza, si impone che il potenziale sia di nuovo VA .
247
V3
3
VAV1V2 V3VA
Come si calcola la caduta di potenziale scavalcando una batteria?
V
f

La caduta di potenziale ai capi di una batteria non dipende dal verso della corrente che
l’attraversa. Dobbiamo infatti immaginare ogni batteria come se fosse una scaletta
che sale dal polo negativo a quello positivo. Quindi risulta sempre V V  fem ,

V
indipendentemente dal fatto che la corrente segua il verso che vorrebbe la batteria,
oppure vada in verso opposto perché viene forzata a farlo da un altro generatore di
maggior forza elettromotrice. Allo stesso modo, forzare dell’acqua dentro ad un tubo
a risalire un gradino, che invece tenderebbe naturalmente a farla scorrere in verso
opposto, non cambia il verso di salita del gradino. Se quindi, percorrendo la maglia, andiamo dal polo positivo al polo negativo, avremo V  V V  fem ; viceversa,
f  V V
I
VA
VB
scavalcando il generatore dal negativo al positivo, risulta V  V V  fem .
VA VB RI
Come si calcola la caduta di potenziale scavalcando una resistenza?
I
VA
La caduta di potenziale ai capi della resistenza dipende dal verso della corrente che
l’attraversa. La resistenza va immaginata come una cascata, dove l’acqua, cioè la corrente, va sempre da punti a potenziale più alto verso punti a potenziale più basso. È
quindi fondamentale saper distinguere il verso della corrente da quello in cui stiamo
girando la maglia e quindi scavalcando la resistenza. Se scavalchiamo R nello stesso
verso della corrente abbiamo una caduta V  RI , se la risaliamo contro il verso
della corrente avremo V  RI .
VB
VA VB RI
R
VA
Esercizi
20. Applicare il principio delle maglie al circuito in figura, percorrendolo a partire
dal punto A, prima in verso orario e poi in verso antiorario.
Il giro orario scavalca la resistenza nel verso della corrente, quindi:
VA  RI  f2  f1  VA
I


f1


f2
il giro antiorario scavalca la resistenza contro il verso della corrente, quindi:
VA  f1  f2  RI  VA
Come si riconosce subito, le due equazioni sono uguali.
Quando due resistenze si dicono collegate in serie?
A
R1
R2
Due o più resistenze si dicono collegate in serie fra un punto A ed un punto B quando,
per andare da A a B non incontriamo nodi, e dobbiamo necessariamente passare per
ciascuna di esse. Le resistenze in serie sono attraversate dalla stessa corrente.
B
I
A tutti gli effetti esterni (corrente nella serie, potenza dissipata, differenza di potenziale ai
capi della serie) due o più resistenze in serie possono essere sostituite da una sola resi-
R1
stenza equivalente RE . Il valore di RE dev’essere tale da permettere il passaggio della
I


f
R2
stessa corrente I della serie, se sottoposta alla stessa differenza di potenziale della serie.
Per le due resistenze in serie qui a lato, percorrendo la maglia abbiamo
f  V1  V2  0 , da cui:
f  V1  V2  R1I  R2I  (R1  R2 )I
e quindi, se si sostituisce al posto di un certo numero di resistenze in serie un’unica
resistenza pari alla somma:
RE  R1  R2  ...
essa assorbirà la medesima corrente I  f /(R1  R2  ...) e dissiperà la stessa potenza della serie.
248
Come si ripartisce la tensione in una serie di resistenze?
Si dice che due o più resistenze in serie costituiscono un partitore di tensione, visto che
la tensione complessiva si ripartisce ai capi di ciascuna in modo direttamente proporzionale al
valore della resistenza stessa, come si vede dalla formula sopra, in cui V1  R1I e
R1
V2  R2I , mentre I è la stessa.
R2
Una pila consuma di più collegata ad una serie di resistenze o ad una sola di esse?
Collegare due o più resistenze in serie è come allungare la prima resistenza: lo si vede bene matematicamente osservando che la resistenza equivalente è pari alla loro
somma. La resistenza equivalente è quindi più grande della maggiore delle resistenze presenti, con la conseguenza che nella serie si ha meno corrente di quella che avremmo nelle singole resistenze collegate da sole alla stessa batteria. Possiamo fare un’analogia
idraulica immaginando di voler svuotare un serbatoio posto in alto, tramite due tubature di diversa sezione, saldate in serie. La resistenza maggiore è rappresentata dal
tubo più stretto, la minore da quello più largo. Sarà il tubo stretto a determinare il
flusso di acqua complessivo, limitando così il liquido che sarebbe fluito attraverso il
solo tubo a sezione grande. Se ai capi di una batteria di forza elettromotrice f colleghiamo la resistenza equivalente, dissipiamo meno potenza di ciascuna delle singole
resistenze collegate da sole, come emerge dalle formule:
Pserie  f 2 /RE
P1  f 2 /R1
A
P2  f 2 /R2
R1
in cui la potenza della serie è la minore essendo quella che ha il maggior denominatore. Quindi la pila consuma meno se collegata alla serie.
R2
Quando due resistenze si dicono in parallelo?
B
Due o più resistenze si dicono collegate in parallelo fra un punto A ed un punto B
quando possiamo andare da A a B attraversando soltanto una qualunque di esse. Ai
capi delle resistenze collegate in parallelo è applicata la stessa differenza di potenziale.
A
I

A tutti gli effetti esterni (corrente che entra nel parallelo, potenza dissipata, differenza di
potenziale complessiva ai capi del parallelo) due o più resistenze in parallelo possono essere sostituite da un’unica resistenza equivalente RE . Il valore di RE dev’essere tale da
permettere il passaggio della stessa corrente complessiva I quando viene sottoposta alla
stessa differenza di potenziale ai capi del parallelo. Con riferimento alle due resistenze in
parallelo nel circuito a lato, applicando la legge dei nodi al nodo A :
I  I1  I 2 
1
f
f
1 

 f   
R1 R2
 R1 R2 
e quindi sostituendo al posto del parallelo un’unica resistenza di valore RE tale che:
1
1
1


RE
R1 R2
 RE 
R1R2
R1  R2
si ha che quando RE viene sottoposta alla stessa differenza di potenziale f che c’è ai
capi del parallelo, essa assorbirà la medesima corrente I  I 1  I 2 complessiva e
dissiperà conseguentemente la stessa potenza del parallelo.
249
f

I1
I2
R1
 La Controfisica
L’impianto di casa
è
chiaramente
collegato in parallelo,
altrimenti
dovremmo
accendere sempre
tutti i dispositivi
per farne funzionare uno solo.
220V
R2
Come si ripartisce la corrente in un parallelo di resistenze?
Si dice che più resistenze in parallelo costituiscono un partitore di corrente, in cui la
corrente complessiva che entra nel nodo del parallelo si ripartisce in maniere inversamente
proporzionale alle resistenze stesse, come si vede dalle formule usate sopra, in cui
I 1  f /R1 ed I 2  f /R2 . Quindi in un parallelo di due resistenze di cui una è molto
R2
R1
più grande dell’altra, la corrente in quella grande può essere trascurata, cioè si commette solo un piccolo errore se si assume che la resistenza equivalente coincida con la
minore delle due.
Una pila consuma di più collegata ad un parallelo di resistenze o ad una sola di esse?
 La Controfisica
La resistenza equivalente ad un parallelo è più piccola della più piccola
delle resistenze presenti: ad esempio,
la resistenza equivalente ad un parallelo di due resistenze uguali ad R
vale R/2, di tre resistenze uguali ad
R vale R/3 e così via.
Collegare una seconda resistenza in parallelo ad una prima è come fornire alla batteria una nuova strada attraverso cui può far scorrere carica. In un’analogia idraulica
possiamo pensare ad un serbatoio che si svuota in una vasca, al quale viene aggiunto
un secondo rubinetto R2 affiancato al primo R1 : come il flusso di acqua cresce, così
cresce la corrente. Questo si vede bene matematicamente osservando che la resistenza equivalente alla serie:
 R2 
R1R2
RE 
 R1  
 R  R 
R1  R2
 1
2 
è più piccola della minore delle resistenze presenti (quindi fa passare maggior corrente a
parità di V ). Supponendo infatti che la minore resistenza sia R1 , si vede nella
formula che essa viene moltiplicata per il fattore R2 /(R1  R2 )  1 . Per quanto riguarda la potenza, se ad una stessa pila di forza elettromotrice f colleghiamo un parallelo di resistenza equivalente RE , oppure le singole R1 ed R2 si ha:
Pparallelo  f 2 /RE
P1  f /R12
P2  f /R22
e si vede che la potenza del parallelo è la maggiore, essendo quella che ha il minor
denominatore. Quindi la pila consuma di più se collegata al parallelo. In altri termini, come da un serbatoio posto in alto esce più acqua se gli faccio un secondo buco,
così la batteria è costretta ad erogare più potenza nel parallelo rispetto a quanto farebbe mettendo una sola delle due resistenze.
Esercizi
21. Con riferimento alla figura, calcolare il valore della resistenza equivalente ad
R2


f
R1
R3
R1  150  , R2  250  ed R3  350  da connettere ai terminali della batteria
f  12.0 V . Calcolare l’energia dissipata dal circuito in mezz’ora di utilizzo.
Il circuito presenta due nodi e tre rami. Le resistenze R2 ed R3 sono poste di seguito sullo stesso ramo e quindi in serie. Sono equivalenti a:
R23  R2  R3  (150  250)   400 
valore, come si vede, maggiore di ciascuna delle due resistenze. A sua volta R23 si
trova in parallelo ad R1 quindi le due sono equivalenti a:
R123 
R1R23
R1  R23

150  400
  109 
150  400
valore inferiore a ciascuna delle due resistenze in paralellelo. R123  109  è la resistenza equivalente al circuito dal punto di vista dei terminali della batteria. La potenza dissipata risulta:
250
P
R1
V 2
f2
12.02


W  1.32 W
R123
R123
109
e quindi in mezz’ora di utilizzo, pari a 1800 s , il circuito consuma:
f
P t  (1.32  1800)J  2.38  103 J
R2


22. Dopo aver trovato la resistenza equivalente vista dai terminali della batteria, si
calcoli la potenza dissipata dal circuito a lato, sapendo che R1  500  , R2  250 
ed R3  150  ed f  30.0 V .
R3
[R: 2.84 W ]
23. Il circuito qui raffigurato, contenente le tre resistenze RA  2RB  RC dissipa una
RA
potenza P  6.00 W . Sapendo che f  12.0 V si calcoli il valore delle tre resistenze.
[R: 18.0 , 36.0 ,18.0  ]


f RB
RC
24. Si dica se è possibile un circuito con un’unica batteria, in cui a due resistenze in
serie viene applicata la stessa differenza di potenziale, e se è possibile un circuito in
cui in due resistenze in parallelo ci sia la stessa corrente.
[R]
I
25. Tre resistenze del valore R1  30.0  , R2  40.0  , R3  20.0  sono collegate
B
prima in serie e successivamente in parallelo ad una batteria di fem  24.0 V . Calcolare la differenza fra la potenza dissipata nei due casi.
[R: 56.0 W ]
26. Si consideri un circuito a forma di cubo avente una resistenza di valore R su ogni
spigolo. Si calcoli la resistenza equivalente da porre fra i nodi A e B, ragionando su
come si ripartisce la corrente I entrante in A ad ogni nodo lungo il percorso, ed osservando che il valore di uscita in B dev’essere uguale a quello d’ingresso.
[R: 56 R ]
I
A
Cosa succede alla luminosità di due lampadine in serie?
La luminosità di una lampadina è espressa dalla potenza da essa dissipata. Se si collegano in serie ad una battteria due lampadine di uguale resistenza R (come A e B
in figura), esse risultano meno brillanti di una delle due collegata da sola alla stessa
batteria. Infatti con due lampade in serie aumenta la resistenza complessiva vista
dalla batteria, e quindi diminuisce la corrente erogata, passando da I  f /R ad
I   f / 2R  I /2 . La potenza di ciascuna lampada passa allora da

I
A
f 
B
P  RI 2 a
P   R(I )2  P /4 . Se invece le resistenze delle lampade sono differenti, quanto più
piccola è la resistenza di una rispetta all’altra, tanto meno essa risulterà brillante rispetto all’altra, visto che la potenza vale rispettivamente PA  I 2RA e PB  I 2RB e
la corrente nella serie è la stessa.
Cosa succede alla luminosità di due lampadine in parallelo?
Prendiamo in esame il circuito a lato. Prima della chiusura dell’interruttore la corrente vale I  f /R , dopo la chiusura, se le lampade sono di pari resistenza, la corrente

totale raddoppia, divenendo I   f /RE  f /( 1 R)  2I . Dopo la chiusura, le due
f 
2
lampadine A e B ora in parallelo, si comportano come segue:
(1) Se di uguale resistenza, esse sono brillanti quanto una di esse collegata da sola alla stessa
batteria. Infatti la differenza di potenziale ai capi di ciascuna lampada è sempre f e
quindi la potenza dissipata da ciascuna ancora f 2 /R . Chiaramente la batteria che
deve alimentarle entrambe si esaurisce più rapidamente.
(2) Sono più brillanti delle stesse lampadine collegate in serie. Infatti nel caso della serie
abbiamo visto che la differenza di potenziale ai capi di ciascuna lampada è minore di
251
I
A
B
f , mentre nel parallelo resta sempre pari ad f . Dalla formula P  V 2 /R si vede
allora che dissipano maggior potenza quando sono in parallelo
(3) Quanto più una delle due ha piccola la resistenza in rapporto all’altra, tanto più è brillante, e tanta più potenza deve erogare la pila. Infatti, essendo la differenza di potenziale
pari ad f per entrambe, la potenza vale f 2 /RA per la prima ed f 2 /RB per la seconda, cioè tanto maggiore quanto minore è il denominatore.
Esercizi
I
27. Le tre lampadine A, B e C sono identiche, e quando sono accese hanno resistenza
R . Cosa succede alla luminosità di A e di B se l’interruttore viene chiuso?
A

f 
B
C
Quando l’interruttore viene chiuso aumenta la corrente I nella batteria perché si è
offerta una via aggiuntiva al passaggio delle cariche dal polo positivo al negativo.
Ne segue che A diventa più brillante perché vi passa più corrente di prima. La resistenza complessiva e la corrente nella batteria (trascurando la resistenza interna)
cambiano da:
interruttore aperto: RA  RB  2R  I  f/ 2R
interruttore chiuso: RA  RparalleloBC  R  RR /(R  R)  (3 / 2)R 
I   2f/ 3R
e quindi la corrente aumenta di un fattore I  /I  (2f/ 3R)/(f/ 2R)  4 / 3 . Al contrario
B diventa più debole in quanto la nuova corrente


4
3I
si divide in due pozioni uguali
essendo uguale la resistenza che ha di fronte, e così B è attraversata da
C
1
2
 43 I  23 I
cioè due terzi della corrente originale.
f
B
28. Le tre lampadine A, B e C sono identiche. Ad un certo momento si brucia il filamento di B. Si spieghi cosa succede alla luminosità di A e di C.
[R: A più fioca,C più luminosa ]
A
29. Un garage con l’impianto a 220 V è illuminato da quattro lampadine identiche, e
ciascuna da accesa ha una resistenza R  60.0  . Per aumentare la luminosità
dell’ambiente si decide di disporre le stesse lampadine in parallelo. Calcolare
l’incremento di spesa in un’ora di utilizzo (costo dell’energia: 30.0 cent/kWh ).
[R: 0.909 euro ]
Una batteria reale ha una sua resistenza interna che dissipa parte della potenza?
fem 

I
r
I
La batteria ideale fornisce sempre la stessa differenza di potenziale, indipendentemente dal carico che vi si attacca. Ma come si verifica facilmente, la differenza di potenziale ai capi della battteria può decrescere leggermente se si chiede ad essa di erogare più corrente: ad esempio quando si tenta di mettere in moto l’auto con i fari accesi. La luce si affievolisce in conseguenza della diminuzione di potenziale ai capi
dovuta alla richiesta di maggior corrente per far funzionare anche il motorino di accensione. Non va infatti dimenticato che la corrente si stabilisce anche all’interno della
batteria stessa, cioè nella soluzione elettrolitica che la costituisce, la quale, come ogni
materiale, presenta resistenza al passaggio di carica. Si schematizza allora la batteria
reale come composta di una batteria reale in serie ad una resistenza interna, solitamente indicata con il simbolo r . Quando la batteria viene chiusa su di un qualunque utilizzatore, al passaggio di corrente I nella batteria si deve avere una caduta di potenziale I  r ai capi della resistenza interna. Questa caduta va sottratta alla forza
elettomotrice, e quindi a circuito chiuso si avrà ai capi della batteria la differenza di potenziale minore che non a circuito aperto.
252
Quando una corrente I va dal polo negativo al polo positivo9 dentro ad una batteria
reale, la differenza di potenziale fra i suoi poli è minore della forza elettromotrice:
V  fem  rI
La resistenza interna aumenta con l’utilizzo della batteria, e quando raggiunge un valore
tale da impedirne l’utilizzo, diciamo che la batteria è scarica.
Esercizi
30. Una batteria avente fem  3.60 V ha una resistenza interna r  0.300  . Viene
collegata ad una resistenza esterna R  4.50  . Calcolare la differenza di potenziale
che si misura fra i poli della batteria.
fem 

Le due resistenze, quella interna e quella estena sono in serie, in esse si ha corrente:
fem
3.60
I 

A  0.800 A
Rr
4.20  0.300
Quindi fra i poli della batteria si misura:
V  fem  rI  (3.60  0.800  0.300) V  3.36 V
r
R
In che condizioni si può estrarre la massima potenza da una batteria reale?
Consideriamo il semplice circuito raffigurato in precedenza, dove ai capi di una batteria reale di forza elettromotrice f , avente resistenza interna r , viene collegata una
resistenza R , detta anche resistenza di carico. La resistenza interna r non è mai nulla,
e fa si che non si possa trasferire al carico R tutta l’energia, ma che una parte di essa
venga dissipata all’interno della batteria in forma di calore. Ci chiediamo dunque
quale sia il valore di R che permetta di estrarre dalla batteria la potenza massima
possibile, oppure, che è lo stesso, di minimizzare le dissipazioni. La corrente nel circuito vale I  f /(r  R) , da cui si ricavano facilmente sia la potenza fornita ad R , sia
P dissipata
quella dissipata da r , entrambe che variano al variare di R stesso:
nella batteria
PR  I 2R  f 2
R
Pr  I 2r  f 2
(r  R)2
r
(r  R)2
In questa formula, se R è nulla, risulta nulla anche la potenza, mentre all’estremo
opposto, quando R è molto più grande di r (così che possiamo porre r  0 ), risulta
P  f 2 /R cioè la potenza tende a zero per grandi carichi. Come si vede rappresentando la curva, il massimo si ha per R  r , cioè la massima potenza viene estratta
quando la resistenza esterna eguaglia quella interna. In tali condizioni risulta che alla
resistenza R viene trasferita una potenza P  f 2 / 4R . Non va dimenticato però che
contemporaneamente, una stessa potenza è dissipata all’interno della batteria, essendo il circuito un partitore di tensione che divide a metà fra le due resistenze la
forza elettromotrice. Per l’estrazione della massima potenza bisogna pertanto dissipare la metà dell’energia in forma di calore nella batteria o nel generatore. Non è
quindi detto che porre R  r sia la condizione più conveniente: in generale nelle
centrali elettriche il carico è maggiore delle resistenze interne, in maniera da mimimizzare le dissipazioni. Ma se dobbiamo trasferire un segnale elettrico fino ad
un’antenna che lo irraggi, nel trasporto dal generatore ad essa tramite un lungo filo
detto cavo coassiale, la resistenza di uscita dal generatore, quella del cavo per unità di
lunghezza e quella di ingresso presentata dell’antenna è bene che siano uguali. In tal
modo si rende più efficiente il processo perché per il segnale è come se si proseguisse
9Se
invece con un generatore esterno, forziamo la corrente ad andare dal polo positivo a quello negativo anche dentro alla
batteria, la differenza di potenziale ai suoi capi risulta maggiore della forza elettromotrice, sempre di un valore pari ad Ir.
253
trasferita
ad R
f2
4R
r
R
nello stesso conduttore. In caso contrario si avrebbero indesiderate riflessioni del segnale nei punti di raccordo. Lo stesso criterio si segue per il trasferimento di correnti
corrispondenti a segnali audio o video.
V
simboli del
voltmetro
Come si effettua una misura di differenza di potenziale?
V
I
I
I I
 La Controfisica
Inserire un voltmetro in un circuito
è come bucare un’enorme conduttura di acqua con un tubicino per farvi
passare un po’ di liquido e reimmetterlo subito dopo nel flusso
A
simboli
dell ' amperometro
Il voltmetro è lo strumento che usiamo per misurare la differena di potenziale fra due punti
in un circuito: il numero V che esso fornisce ci informa sulla differenza di energia fra
un coulomb di carica che entra nella regione considerata ed uno che ne esce. Esso è dotato
di due puntali metallici che debbono essere posti in contatto con il circuito nei due punti
di ingresso ed uscita che delimitano la regione ai capi della quale desideriamo misurare
V . Perché la misura abbia senso, ai capi del voltmetro dobbiamo avere la stessa differenza di potenziale che c’è ai capi della porzione di circuito in esame, quindi il contatto
sarà fatto in maniera che il voltmetro risulti in parallelo rispetto ad essa. Per effettuare la
misura lo strumento deve prelevare una frazione I  della corrente I presente nel tratto
di circuito interessato, frazione che dev’essere la più piccola possibile per non alterare
troppo l’oggetto della misura. Pertanto il voltmetro, che è a sua volta un circuito, dovrà
offrire una elevata resistenza al passaggio di carica, molto maggiore di quella fra i capi della
regione da misurare. Solo così infatti avremo I   I . Maggiore le resistenza interna, migliore sarà il voltmetro: un voltmetro ideale avrà resistenza interna infinita.
Come si effettua una misura di corrente?
A
I
 La Controfisica
L’amperometro va inserito in un
circuito come farebbe un bambino
che desidera entrere in un girotondo,
cioè aprendo il cerchio e stringendo
una persona nella mano sinistra ed
una nella amano destra.
f

Esercizi
31. Si trovi il valore di tensione che si legge sul voltmetro in figura ed il valore di corrente
che si legge sull’amperometro sapendo che f  12.0 V , R1  10.0  , R2  22.0  ,

V
R3
Lo strumento che si utilizza per misurare un valore di corrente in un ramo del circuito è
detto amperometro. Il valore I che esso fornisce informa su quanta carica attraversa la sezione di quel ramo in un secondo. L’amperometro è dotato di due terminali metallici, e
poiché deve essere attraversato da una corrente uguale a quella che si desidera misurare,
esso deve essere inserito in serie a tutti i dispositivi nel ramo in esame. Per farlo è necessario interrompere materialmente il circuito in un punto e ricollegare fra loro i due capi tramite l’amperometro stesso. Per non alterare il valore di corrente da misurare,
l’amperometro dovrà pertanto offrire ad esso bassa resistenza, molto minore di quella degli altri dispositivi nel ramo. Minore le resistenza interna, migliore sarà l’amperometro: un
amperometro ideale avrà resistenza interna nulla.
R3  16.0  .
R1
A
R2
Le tre resistenze sono in serie e ad esse è posto in serie anche l’amperometro. Assumendo
che il voltmetro sia ideale possiamo trascurare la piccola frazione di corrente che esso sottrae e calcolare la lettura prevista per l’amperometro:
f
12.0
I 

A  0.250 A
R1  R2  R3
48.0
La lettura V del voltmetro è invece la differenza di potenziale ai capi della serie delle
due resistenze R1 ed R2 , che si ottiene moltiplicando la resistenza equivalente alla serie
A
per la corrente nel ramo:
V  (R1  R2 )I  [(10.0  22.0)  0.250] V  8.00 V
f
R3


V
R1
R2
32. Si consideri il circuito a lato dove l’interruttore è aperto. Sapendo che f  10.0 V ,
R1  15.0  , R2  25.0  , R3  35.0  si dica che misure si leggono sul volmetro e
sull’amperometro. Si calcoli quindi come queste misure variano chiudendo l’interruttore.
[R: 10.0V, 0.286A, 3.75V, 0.286A ]
254
Come si “risolve” un circuito?
Supponendo di dover calcolare il valore delle correnti in un circuito di cui siano noti
tutti i componenti, si procede seguendo tre passi:
(1) Si identificano i nodi nel circuito, e a partire da questi, i rami che li collegano, e si
associa un valore di corrente ad ogni ramo. Il verso delle correnti sarà inizialmente a
nostro a piacere, purché non risulti che tutte le correnti entrino od escano in uno
stesso nodo, che sarebbe impossibile.
(2) Si applicano sia il principio dei nodi sia quello delle maglie, finché non si ottengono tante equazioni quante sono le correnti da determinare
(3) Si risolve il sistema così scritto e se una o più correnti risultano avere segno negativo significa che non abbiamo indovinato il verso nella nostra assegnazione iniziale,
che quindi provvederemo a cambiarlo sul disegno del circuito.
Esercizi
33. Sapendo che nel circuito in figura si ha
 La Controfisica
Una differenza di potenziale fra due
punti di un circuito non può mai
superare la forza elettromotrice della
batteria (o la somma delle forze elettromotrici di tutte le batterie presenti). Proprio come la differenza di
altezza fra due finestre non può superare l’altezza complessiva del palazzo!
R1

f2

f1  12.0V , f2  15.0V , R1  100  ,
R2  200  , R3  300  , si calcoli il valore della corrente in ciascuno dei rami e la 
differenza di potenziale fra i due nodi che esso presenta.

R2
f1
Il circuito presenta solo due punti in cui confluiscono almeno tre conduttori, cioè i
nodi A e B in figura. Ci sono in tutto tre percorsi indipendenti che portano da A in B:
il ramo che contiene f1 ed R1 , la cui corrente chiamiamo I 1 ; il ramo che contiene so-
R1
A

lo R2 , la cui corrente chiamiamo I 2 , ed infine il ramo che passa per f2 ed R3 , alla
cui corrente diamo nome I 3 . Scegliamo a nostro piacere un verso per ciascuna di
queste tre corrrenti, purché non risultino tutte entranti o tutte uscenti da un nodo, 
che sappiamo essere impossibile. Per quei versi che si riveleranno non coincidere con 
quelli reali, otterremo un segno negativo alla fine dei nostri calcoli.
Ci occorrono ora tre equazioni indipendenti per ricavare le tre incognite I 1 , I 2 I 3 , la
R3
I1
I2
R2
f2

I3
f1
B
prima delle quali sarà che la corrente entrante in un nodo deve risultare uguale a
quella uscente. Scegliamo il nodo A :
I1  I 2  I 3

A
f2

Osserviamo che non possiamo ottenere un’equazione indipendente da questa applicando la legge delle correnti al nodo B, in quanto si ottiene sempre: I 2  I 3  I 1 .
I2
La seconda equazione sarà invece data dal fatto che la somma delle cadute di potenziale lungo un percorso chiuso dovrà essere nulla. Partiamo quindi da A e percorriamo in verso orario la maglia contenente, nell’ordine, f2 , R3 ed R2 . All’inizio il po-
R2
I3
R3
B
tenziale sarà VA , e lo stesso valore dovremo ritrovare alla fine:
VA  f2  R3I 3  R2I 2  VA  f2  R2I 2  R3I 3
R1
Notiamo che andando dal polo positivo a quello negativo di f2 il potenziale deve
diminuire, (quindi a VA abbiamo sottratto f2 ) indipendentemente dal fatto che il circuito forzi la corrente nel verso opposto.
Per avere la terza equazione giriamo in verso orario la maglia che, partendo da A contiene, nell’ordine, R2 , f1 ed R1 , ed applichiamo di nuovo il principio che al termine
di un percorso chiuso si ritrova il potenziale di partenza VA :
VA  R2I 2  f1  R1I1  VA  f1  R1I 1  R2I 2
Risolviamo ora il sistema delle due ultime equazioni, inserendo la relazione fra le
correnti I 1  I 2  I 3 :
f  R I  R I
I  (R I  f )/R
2 2
3 3
2 2
2
3
2
  3

f1  R1(I 2  I 3 )  R2I 2
f1  R1I 2  R1 (R2I 2  f2 )/R3  R2I 2


255
A


I1
I2
R2
f1
B
R3
R1
A

f2

27.3 mA

f1

R2
46.4
mA
19.1
mA
I  (R2I 2  f2 )/R3
I 3  (R2I 2  f2 )/R3
  3

f1  f2 (R1 /R3 )  I 2 (R1  R2  R1R2 /R3 )
12.0  15.0  1  I 2 (300  100  2 )
3
3


I 3  [(200  0.0464  15.0)/ 300] A
I 3  19.1 mA
R3 
 
I 2  0.0464 A
I 2  46.4 mA


Si ha infine:
I 1  I 2  I 3  (46.4  19.1) mA  27.3 mA
B
Il segno negativo indica che il verso ipotizzato per I 3 è opposto a quello reale, quindi poniamo I 3  19.1 mA e cambiamo il verso nel disegno. Per il calcolo della differenza di potenziale fra i nodi, scegliamo uno qualunque dei rami che li collega, ad
esempio quello contenente R2 , e scriviamo le cadute di potenziale:
f1

B
VA  R2I 2  VB  VA VB  R2I 2  (200  0.0191) V  3.82 V
R2
34. In relazione al problema precendente, si verifichi che si ottiene la stesso risultato
per VA VB calcolando le cadute di potenziale lungo gli altri due rami.
[R]

R1
f2

A
35. Nel circuito a fianco risulta f1  15.0V , f2  10.0V , R1  1.50  , R2  2.50  . Si

calcoli la differenza di potenziale fra i punti A e B e la potenza dissipata da R1 .
B
[R: 2.5A, 6.3V, 3.1W ]
C
R1
R2
f2


f1
A


f3
R1
f1




f2
R2
24mA
f

R

R

R3
R

36. Si consideri il circuito proposto qui a lato dotato di interruttore, in cui abbiamo
f1  3.00V , f2  4.00V , R1  2.00  , R2  6.00  . Si calcoli come cambia la differenza di potenziale dei punti B e C rispetto al punto A, prima e dopo la chiusura
dell’interruttore.
[R]
37. Si scrivano, senza risolverle, tre equazioni indipendenti che permettano di ricavare i valori delle correnti in ogni ramo del circuito qui a lato, supponendo noti i valori
delle resistenze R1 , R2 , R3 e delle forze elettromotrici f1 , f2 , f3 .
[R]
38. Due scaldabagni elettrici da 1400W il primo, e 1100W il secondo, vengono accesi in parallelo per quattro ore in un impianto domestico a 220V , e consumano
5.00 kWh . Calcolare le loro resistenze, e l’energia che consumerebbero se venissero
posti in serie prima di essere connessi all’ impianto.
[R]
39. Una batteria di forza elettromotrice f  12.0 V ha collegato in serie un fusibile,
cioè un dispositivo con un sottile filo metallico che fonde se la corrente supera un valore massimo di 24.0 mA . Si calcoli il numero massimo di resistenze uguali
R  4.00 k  che possono essere poste in parallelo alla serie di batteria e fusibile,
come in figura, senza che quest’ultimo fonda.
[R: 8 ]
40. Un ferro da stiro da 800 W progettato per un impianto da 220 V dev’essere utilizzato in un impianto da 110 V . Calcolare il valore della resistenza da mettere in serie al ferro da stiro per poterlo adoperare.
[R]
RB

f1

RA
f2
L 41. Un circuito come in figura ha f1  12.0V , RA  20.0  , RB  10.0  . Quando
l’interruttore viene chiuso si osserva che la lampadina L non si accende. Sapendo

che la lampadina spenta ha resistenza RL  300  , calcolare f2 . Se poniamo un’altra

lampadina identica in serie ad L , cambia il valore di f2 che non le fa accendere?
[R: 4.00 V,no ]
256
4. Carica e scarica di un circuito RC
Il processo di carica di un condensatore non è istantaneo, occorre del tempo perché le cariche si depositino sulle armature, ed analogamente non è istantaneo quello
di scarica: ci occuperemo ora di descriverli. Va innanzitutto considerato che qualsiasi
circuito contenente un condensatore, compreso il più semplice composto da un’unica
maglia, deve avere anche una sua resistenza, dovuta al filo ed ai contatti elettrici.
Consideriamo dunque il circuito a lato, detto circuito RC , dove la resistenza complessiva è stata resa esplicita tramite un componente R . Come vedremo, la possibilità di variare R permette di controllare i tempi dei processi di carica e di scarica, e
rende il circuito RC utile per produrre correnti variabili nel tempo. Poniamo quindi
1
2
C
R
che sulle armature ci sia la carica Q0 ed analizziamo il processo di scarica che ha
luogo dopo la chiusura dell’interruttore. Nella realtà sappiamo che i portatori di ca- 1
rica sono gli elettroni, ma come al solito assumeremo che la corrente sia dovuta allo
spostamento di cariche positive fittizie, che si muovono in verso opposto a quello
2
degli elettroni.
R
Cosa succede subito dopo la chiusura dell’interruttore?
i(t)
C
VC
Finché l’interruttore è aperto (posizione 1) si ha fra le armature una differenza di potenziale V0  Q0 /C . Quando l’interruttore viene portato nella posizione 2, il condensatore funge da generatore tentando di spostare le cariche positive in eccesso su di
un’armatura fino a bilanciare quelle negative in eccesso sull’altra, che si trova a potenziale minore. Il processo funziona un po’ come quando si rilascia una molla compressa. I capi della resistenza sono collegati ciascuno ad un’armatura, quindi fra di
loro si ha sempre la stessa differenza di potenziale che c’è ai capi di C . Questo significa che, per la prima legge di Ohm, all’inizio si stabilisce in R una corrente:
I0 
V0
R

Q0
RC
Cosa accade col procedere dello spostamento delle cariche positive?
Iniziamo a contare i secondi dall’istante t  0 della chiusura dell’interruttore, ed
indichiamo con Q(t ) la carica che al tempo t si trova sull’armatura positiva del condensatore. Il passaggio di corrente comporta la diminuzione di Q(t ) perché è proprio dal
condensatore che vengono prelevate le particelle cariche che attraversano R . Chiamiamo Q la variazione di Q(t ) in un certo intervallo di tempo t : essendo una
diminuzione dovrà risultare Q  0 . La carica Q staccatasi dall’armatura positiva attraverserà una qualunque sezione del circuito nello stesso intervallo t (altrimenti avremmo accumuli in qualche punto). Indicando10 con i(t ) la corrente in quel
momento, presa positiva se diretta dall’armatura “+” all’armatura “-“, possiamo
scrivere:
Q
i(t )  
t
dove il segno negativo è stato inserito perché è Q  0 , mentre vogliamo i(t )  0 in
quanto ha il verso da noi scelto come positivo. Al diminuire di Q(t ) diminuisce la
differenza di potenziale Q(t )/C ai capi del condensatore che, come abbiamo detto, è
10
Abbiamo adoperato il simbolo
i
(minuscola) a significare che la corrente non rimane costante nel tempo.
257
 La Controfisica
Ricorda che la capacità, cioè il rapporto:
C=Q(t)/VC(t)
è una grandezza costante, caratteristica del condensatore, cioè dipendente solo dalla sua geometria e dai
materiali adoperati, ma non dalla quantità di carica depositata né dal tempo trascorso. Per questo si può scrivere
VC(t)= Q(t)/C in ogni istante.
in ogni istante uguale a quella ai capi di R . Quest’ultima si scrive Ri(t ) in base alla
prima legge di Ohm. Uguagliando le due differenze di potenziale abbiamo:
VC (t ) 
Q(t )
Q
 Ri(t )  R
C
t

Q
1

 Q(t )
t
RC
Cosa dice questa relazione?
Questa relazione lega la corrente Q /t alla carica Q(t ) sulle armature tramite
una costante di proporzionalità: il numero 1/RC . Ciò significa che queste due
grandezze variano nello stesso modo, al diminuire della carica residua diminuisce pure
la corrente. Il rapporto Q /t è però anche la rapidità con cui cala la quantità di
carica in eccesso sulle armature, cioè quanta carica esce dall’armatura “+” e si porta
sulla “-“ ogni secondo che passa. Pertanto anche questa rapidità dipende dalla carica
ancora presente sulle armature. Se dividiamo per Q(t ) ambo i membri dell’ultima
 La Controfisica
In fisica sono comuni questi processi in cui si ha che il cambiamento
di una quantità avviene con una rapidità che dipende dal quantitativo
già presente. Ad esempio la diminuzione della pressione atmosferica per
metro di salita in quota dipende dalla
pressione a quella quota; oppure il
numero di decadimenti radiativi per
secondo in un campione di uranio
dipende dal numero di atomi che
ancora non hanno decaduto.
espressione otteniamo un rapporto che misura la rapidità di variazione della carica
sulle armature in modo relativo, cioè rispetto al totale Q(t ) :
Q /t
1


Q(t )
RC
Il rapporto a primo membro è la frazione del totale della carica che esce dal condensatore nell’unità di tempo. Infatti i rapporti fra grandezze in fisica si leggono come
quantitativo del numeratore associato ad una unità del denominatore. In questo caso
specifico abbiamo: al numeratore la carica che esce, e ben due denominatori:
l’intervallo di tempo in cui essa esce e la carica ancora presente. Quindi questo rapporto esprime quanta carica esce per ogni secondo trascorso e per ogni coulomb presente.
L’equazione trovata ci dice che tale frazione è costante nel tempo. Se ad esempio nel
primo secondo esce dal condensatore una frazione pari al cinque per cento del totale,
anche in ognuno dei secondi successivi sarà il cinque per cento del totale a lasciare il
condensatore. Chiaramente, poiché il totale diminuisce progressivamente, mantenere
costante la frazione al cinque per cento significa avere un quantitativo di fuoriuscita diverso ogni secondo, e quindi sempre più piccolo col passare del tempo, visto che Q(t )
si va facendo più piccola.
Qual è l’espressione matematica per Q(t) ?
La matematica ci mostra che ogni volta che abbiamo una grandezza che varia nel tempo
con una rapidità proporzionale al quantitativo già presente, allora la legge che descrive
come essa cresce (o diminuisce) rispetto alla variabile t è quella in cui t figura ad
esponente di un numero compreso fra 2 e 3 ed indicato con le lettera e  2.718...
(ad infinite cifre decimali). In particolare risulta che nel processo di scarica del condensatore appena esaminato si ha:
Q(t )
Q0
Q(t )  Q0e t /RC
0.37Q 0
In un piano cartesiano con il tempo in ascisse e la carica in ordinate, si vede bene che
RC
t
all’istante iniziale la carica vale Q(0)  Q0e 0  Q0 , mentre per tempi molto lunghi
Q(t )  0 . La quantità Q /t (sempre negativa) costituisce la pendenza della retta
tangente alla curva y  Q(t ) , infatti se t è breve rispetto alla durata del fenomeno,
il coefficiente angolare della retta tangente si può scrivere m  y /x  Q /t .
L’equazione precedente ci dice che questa pendenza è in ogni punto proporzionale al
valore di Q(t ) in quel punto. Quindi all’inizio, quando Q(t ) è grande, avremo una
curva molto ripida, poi trascorso molto tempo la curva diverrà praticamente orizzon258
tale, cioè a pendenza zero, poiché Q(t ) si approssima a zero sempre di più. Essendo
Q(t )
corrente nella resistenza uguale alla pendenza di questa curva cambiata di segno,
i(t )  Q /t , anch’essa sarà elevata all’inizio, e poi via via sempre più debole.
Q0
Che interpretazione si può dare della costante RC ?
 grande
La costante RC che figura nell’esponente della legge per Q(t ) , si indica con la lettera
greca  (tau), ha le dimensioni di un tempo:
0.37Q 0
 piccolo
 V  C   C 
   
     F   
  s 
 A   V   C/s 
  
 

t
e si dice costante di tempo del circuito. Maggiore è il valore di   RC meno ripida
risulta la curva Q (t ) . La costante   RC rappresenta infatti il tempo che occorre
alla carica sul condensatore per scendere al 37% del suo valore iniziale Q0 :
Q( )  Q0eRC /RC  Q0e 1  0.37Q0
Quindi, più breve è  , prima la carica si riduce al 37% del valore iniziale, più ripida
è la curva. La costante di tempo è in particolare legata alla pendenza iniziale della
curva, infatti all’istante t  0 la pendenza può essere ricavata dalla relazione precedente: Q /t  Q0 /RC . Questo valore è il coefficiente angolare della retta11 che
I (t )
taglia le ordinate in Q0 , e la sua intersezione con l’asse dei tempi vale proprio RC .
I0
I (t )  I 0e t /RC
Quanto impiega il condensatore a scaricarsi completamente?
Anche se il tempo ideale di scarica è infinito, si osserva che il condensatore è quasi 0.37I 0
completamente scarico per t  4 . Questa discrepanza con la teoria si spiega ricorRC
t
dando che tutta la procedura ha fatto uso dall’approssimazione secondo cui l’intera
carica del condensatore si dispone solo sulle superfici affacciate delle armature, traVC (t )
scurando gli effetti al bordo. Ciò ha avuto il vantaggio di consentire l’introduzione
della capacità come una costante del condensatore, ma ora ci presenta il piccolo
V0
prezzo da pagare in termini di imprecisione nel tempo di carica complessivo.
VC (t )  V0e t /RC
Quali sono le espressioni matematiche per la corrente ed il potenziale?
0.37V0
Sostituendo nell’espressione di Q(t ) l’uguaglianza fra la differenza di potenziale ai
RC
capi di condensatore e resistenza, VC (t )  Q(t )/C  Ri(t ) troviamo le corrispondenti
t
leggi per la corrente e per il potenziale:
i(t ) 
Q
Q(t )
 0 e t /RC  I 0et /RC
RC
RC
VC (t ) 
Q(t ) Q0 t /RC

e
 V0et /RC
C
C
i(t)
I grafici corrispondenti a queste leggi sono qualitativamente analoghi a quello della
carica, con identico significato anche di RC . Come si vede la corrente si annulla per I 0
tempi molto lunghi (teoricamente in un tempo infinito).
Quale significato ha l’area sotto alla curva della corrente di scarica?
i(5s)
Q0
L’area sotto alla curva i(t ) si può esprimere per mezzo della somma delle aree dei
rettangoli di base t ed altezza i(t ) . Poiché | i(t ) | Q /t allora ogni rettangolo i(3)
ha per area il piccolo incremento di carica Q , infatti:
5 s 10 s
11La
tangente alla curva in (0;Q0), di coefficiente angolare m=-Q0/RC, ha equazione Q=-(Q0/RC)t+Q0
259
3
4
5
t
| i(t ) | 
Q
t

Q  t  | i(t ) |  base  altezza
L’area totale eguaglia dunque la carica Q0 che all’inizio era accumulata sul condensatore, ed è approssimativamente pari a:
Q0  t1  i(t1 )  t2  i(t2 )  ...
f

1

Come funziona invece il processo di carica di un condensatore?
2
C
R
f

1

2
R
i(t)
C
Consideriamo ora il circuito a lato, in cui si ha un condensatore scarico che deve essere caricato tramite una batteria. Come già fatto per il circuito di scarica, la resistenza complessiva del filo e dei contatti elettrici è stata resa esplicita tramite un componente R . Quando l’interruttore viene portato nella posizione 2, immediatamente si
depositano cariche positive12 sull’armatura collegata con il polo positivo del generatore, perché si trova a potenziale inferiore rispetto ad esso. Per lo stesso motivo, contemporaneamente altre cariche positive si staccano dalla seconda armatura per portarsi sul polo negativo del generatore, che si trova a potenziale minore dell’armatura.
Col procedere del depositarsi di altre cariche positive sull’armatura “+” le nuove arrivate vengono respinte da quelle già presenti ed analogamente quelle positive che
desiderano lasciare l’armatura “-“ sono trattenute dall’eccesso di cariche negative
che lì esiste. Il processo rallenta progressivamente, per arrestarsi quando le due armature si sono portate al potenziale dei rispettivi poli del generatore, e fra di esse si
è riprodotta la forza elettromotrice f della batteria.
Ma il circuito è interrotto dal condensatore: come può esserci corrente?
È così, il circuito è interrotto dal condensatore, quindi durante questo processo non
sta realmente circolando carica. Se infatti considero una superficie fra le armature del
di C , essa non viene attraversata da nessuna particella. Tuttavia, per ogni portatore
che giunge sull’armatura positiva, ce n’é uno uguale che si stacca da quella negativa
e quindi tutto va come se il circuito fosse sempre continuo anche in corrispondenza di C .
Che relazione c’è fra la carica sul condensatore e la corrente nel circuito?
Indichiamo con Q (t ) la quantità di carica che, dall’istante t  0 in cui l’interruttore
è stato chiuso, fino all’istante t , è passata attraverso una sezione del filo e si è depositato sull’armatura positiva del condensatore. Sia poi Q la quantità di carica che
attraversa la sezione del filo nell’intervallo t , in modo che i(t )  Q /t misuri la
corrente nel circuito, presa positiva se diretta dal “+” al “-“ della batteria. Infine indichiamo con VC (t )  V V la differenza, variabile nel tempo, fra il potenziale
dell’armatura positiva e quello dell’armatura negativa ed applichiamo la legge delle
maglie di Kirchhoff partendo dal polo negativo del generatore:
f  Ri(t ) VC (t )  0
Sapendo che in ogni istante il potenziale e la carica sono legati dalla capacità
VC (t )  Q(t )/C , dall’equazione precendente si verifica subito che la differenza di
potenziale ai capi della batteria è uguale alla somma delle differenze di potenziale ai
capi del condensatore ed ai capi della resistenza:
12
Seguiamo sempre la convenzione che la corrente sia dovuta a fittizie cariche positive mobili, di valore assoluto uguale a
quella dell’elettrone, identificabili con le lacune che lo spostamento di elettroni lascia dietro.
260
f  Ri(t ) 
Q(t )
C
Guardando questo risultato, poiché f non cambia mai, mentre la carica si accumula sul
condensatore, i(t ) deve necessariamente diminuire affinché il secondo membro dell’
equazione resti costante. Quindi negli istanti iniziali, quando è Q(t )  0 abbiamo
i(0)  I 0  f /R , cioè la corrente nella resistenza è quella che si avrebbe se al posto di
C ci fosse un tratto di cortocircuito, cioè un pezzetto di filo a resistenza zero. Per
tempi molto lunghi invece la corrente diminuisce fino ad annullarsi perché la carica
raggiunge il suo valore massimo, che è quello ottenibile ponendo i(t )  0
nell’equazione, cioè:
Q(t )
fC
Qmax  fC
0.63 fC
 t
RC )
Q(t ) fC (1e
Quale legge esprime l’andamento della carica su C in funzione del tempo?
Inserendo nella relazione trovata con Kirchhoff, l’espressione per la corrente
i(t )  Q /t otteniamo una relazione che lega la rapidità Q /t con cui aumenta
RC
t
la carica sulle armature, alla differenza fra il valore massimo fC che la carica può
raggiungere ed il valore Q(t ) già presente:
Q
1

[fC  Q(t )]
t
RC
Questa equazione, simile a quella del processo di carica, ammette anch’essa una soluzione di tipo esponenziale:
Q(t )  fC (1  e
t /RC
VC (t )
f
0.63f
RC
Utilizzando i precedenti risultati f  Ri(t )  Q(t )/C e VC (t )  Q(t )/C otteniamo:
i(t ) 
f t /RC
e
R
 t
RC )
VC (t ) f (1e
)
VC (t )  f (1  e t /RC )
f
R
Gli andamenti di Q , V ed i in funzione del tempo sono rappresentati nelle figure a
f
0.37
margine.
R
t
I (t )
I (t ) 
f t /RC
e
R
RC
Come possiamo leggere questi grafici?
All’inizio del processo di carica il condensatore si comporta come un tratto di corto
circuito (cioè un pezzo di filo ideale con resistenza zero), infatti si stabilisce nel circuito una corrente pari ad f /R , che è quella che avremmo se C non ci fosse. Poi man
mano che la carica si accumula, la corrente viene sempre più ostacolata finché non
cessa del tutto. Quindi dopo un tempo molto lungo il condensatore agisce come un
tratto di circuito aperto, cioè un componente a resistenza infinita. La differenza di potenziale fra le armature invece, parte da un valore nullo e cresce con la carica depositata su di esse, finché , in un tempo idealmente infinito, non diviene pari a quella
fornita dalla batteria, che costituisce il valore massimo raggiungibile. In un’analogia
idraulica, se i fili fossero dei tubi pieni di acqua, la batteria sarebbe una pompa ed il
condensatore uno scomparto allargato con in mezzo una membrana elastica che si
tende fino a che la forza elastica di richiamo non eguaglia la spinta esercitata dalla
pompa. A questo punto il condensatore è carico di energia potenziale e può esser fatto scaricare rimuovendo la pompa e sostituendola con un tubo.
261
t
pompa
membrana
elastica
R1
C
Esercizi
42. Nel circuito a lato si ha R1  15 k , R2  30 k ed f  9.0 V . Si stimi il valore
della corrente (1) immediatamente dopo la chiusura dell’interrutore, (2) dopo che è
trascorso un tempo molto lungo.
R2
f

Sappiamo che appena chiuso l’interruttore il condensatore agisce come un tratto di
cortocircuito, cioè un pezzo di filo a resistenza nulla, pertanto è come se avessimo
solo le due resistenze R1 ed R2 in parallello. Calcoliamo la loro resistenza equivalen-

te e da questa la corrente:
R1R2
15  30
f
9.0
RE 

k  10 k  I 

A  0.90 mA
R1  R2
15  30
RE
10  103
Viceversa, trascorso un tempo molto lungo il condensatore si comporta come un circuito aperto, pertanto è come se il ramo contenente R1 non ci fosse:
Q(t )
fC
 piccolo
 grande
0.63 fC
I 
f
9.0

A  0.30 mA
R2
30  103
Che interpretazione si può dare della costante RC?



t
La costante   RC ha un significato anaolgo a quello rivestito nel processo di scarica: più è breve più è rapido il fenomeno. In questo caso  rappresenta il tempo
che occorre a Q(t ) per raggiungere il 63% del suo valore massimo fC :
Q(t )  fC (1  e t /RC )  fC (1  e1 )  0.632 fC
oppure, analogamente,  esprime il tempo che occorre alla differenza di potenziale
fra le armature per raggiungere il 63% del suo massimo f . Quando t   la corrente i(t ) è invece scesa al 37% del valore iniziale f /R .
Esercizi
43. Si calcoli la costante di tempo di un circuito RC in cui è C  100 μF R  220 k
ed il tempo che esso impiega a caricarsi fino al cinquanta per cento della differenza
di potenziale massima f fornita dalla batteria.
Risulta:
  RC  (220  103 )(100  106 ) s  22.0 s
Imponiamo che V (t )  f (1  e t /RC ) si a pari al 50% del suo valore massimo f :
fC (1  e t /RC ) 
1
2
fC  e t /RC 
1
2
t  RC ln( 1 )  22.0  (0.693) s  15.2 s
2
Quali usi pratici sono possibili per un condensatore?
Il condensatore innanzitutto serve a separare due porzioni di circuito che devono
stare a potenziale differente. A questo va però aggiunto che esso svolge il ruolo di un
dispositivo che, controllando la resistenza di scarica, può produrre scariche brevi ed
intense oppure lunghe e diluite nel tempo. Come già vedemmo infatti, con una colorita analogia possiamo pensare al circuito RC come all’analogo elettrico dello sciacquone del gabinetto: accumula acqua per poi rilasciarla tutta insieme (un flusso di
acqua costante che scaricasse lo stesso liquido, non avrebbe uguale effetto). Se il
valore di  è reso piccolo da una opportuna scelta di R , il condensatore produce
una scarica breve ed intensa, come nel caso della macchina defibrillatrice (una pila
sul cuore non sarebbe lo stesso!) oppure dei flash fotografici, (in cui esiste anche un
tempo di carica). Il condensatore viene sfruttato nei dispositivi che producono
262
fenomeni intervallati nel tempo, cioè circuiti che si avviano quando si supera un
dato potenziale di innesco, raggiunto in un tempo che dipende dalla costante  , e
superato il quale si ha la scarica. Ad esempio il temporizzatore del tergicristallo può
avere maggiore o minore ritardo quando con la manopola variamo la costante  di
un circuito RC , così che questo impiega un tempo differente a caricarsi. Lo stesso
principio si adopera per le frecce nelle auto o per i pacemaker nel cuore.
Esercizi
44. Un pacemeker cardiaco deve stimolare il cuore al ritmo del suo battito di 75 im- f
pulsi al minuto. Calcolare quante volte al secondo si deve raggiungere il potenziale R
d’innesco del pacemaker e la costante di tempo del circuito RC da adoperare.
i(t )
scarica lenta
("batteria" in PC e TV)
 grande
Trasformiamo:
75
impulsi/s  1.25 impulsi/s
60
quindi si deve raggiungere il potenziale d’innesco ogni:
1
RC 
s  0.80 s
1.25
 piccolo
t
scarica veloce
(defibrillatore, flash)
Viceversa, con una scelta di valori elevati per R e C , la costante di tempo può
essere resa molto grande, così che il circuito di scarica viene adoperato come batteria.
In questo caso esso produce una corrente praticamente costante per lunghissimo
tempo. Ne sono esempi gli orologi del PC oppure le memorie della TV, alimentati da
un condensatore che viene caricato quando l’apparecchio è acceso. Il motivo per cui
è pericoloso aprire questi apparecchi se non si è esperti, è che toccando un
condensatore potremmo farlo scaricare attraverso il nostro corpo producendo una
corrente anche molto grande.
Esercizi
45. Si consideri un dispositivo formato da un’unica maglia con due resistenze in serie, di valore R1  150 k ed R2  250 k , un condensatore C  200 μF ed una
R1
f
 
batteria di forza elettromotrice f  4.50 V . L’interruttore viene chiuso ed il condensatore si carica attraverso le due resistenze. Calcolare la costante di tempo del processo, il valore massimo della carica sul condensatore, ed il tempo che occorre affinché sulle armature si depositi il 75.0% di tale massimo di carica.
R2
C
Il dispositivo funziona come se fosse un unico circuito RC di resistenza pari a quella
equivalente alla serie:
RE  R1  R2  150 k  250 k  400 k
Il valore massimo della carica è quindi:
Qmax  fC  (4.50  200  106 ) C  900 μC
La costante di tempo vale:
  REC  (400  10 3 )(200  106 ) s  80.0 s
Imponiamo che Q(t )  fC (1  e t /RC ) si a pari al 75.0% del suo valore massimo fC :
fC (1  et /RC )  0.750  fC  e t /RC  0.250
t  RC ln(0.250)  80.0  (1.39) s  111 s
R1
f
46. Nel circuito a lato, si ha una batteria di f  18.0 V , due resistenze R1  300  ,
R2  600  ed un condensatore C  100 nF in parallelo ad R2 . Si calcoli la corrente
nelle resistenze e la carica sulle armature del condensatore, dopo un tempo molto
263
 
R2
C
lungo dalla chiusura dell’interruttore, quando, conclusa la fase iniziale di carica, C
può considerarsi un tratto di circuito aperto.
Trascorso un tempo lungo dalla chiusura dell’interruttore, ed esaurita la fase di carica, C diviene un tratto di circuito aperto ed R1 , R2 costituiscono una serie. Calcoliamo la corrente nelle due resistenze:
f
18.0
I 

A  0.0200 A
R1  R2
300  600
Il condensatore ed R2 sono in parallelo quindi ai loro capi c’è la stessa diffeenza di
potenziale. Applicando la prima legge di Ohm ad R2 si ha:
VR  IR2  (0.0200  600) V  12.0 V  VC
2
f
e da questa possiamo ricavare la carica sulle armature del condensatore:
 
R1
R2
Q  C VC  (100  109  12.0) C  1.20  106 C  1.20 μC
C1
C2
47. Nel circuito in figura risulta f  12.0 V , C1  0.400 μF , C2  0.600 μF ed
R1  20.0  , R2  40.0  . Si calcoli la corrente nelle resistenze e le cariche sui con-
densatori una volta che si è conclusa la fase iniziale di carica e quindi i due condensatori possono considerarsi dei tratti di circuito aperto.
[R: 0.200 A,2.88 μC ]
f
 
RA
RB
CA
CB
48. Nel circuito in figura risulta f  18.0 V
RA  3.00  , RB  4.00  . Si calcoli la corrente nelle resistenze e le cariche sui con-
densatori una volta che si è conclusa la fase iniziale di carica.
[R: 2.57 A, 308 μC, 515 μC ]
f
C1
 
C2
R1
R2
CA  40.0 μF , CB  50.0 μF ed
49. Si calcoli la carica sui due condensatori C 1  10.0 nF e C 2  30.0 nF in figura
dopo che si è conclusa la fase di carica, sapendo che R1  500  ed R2  600  e che
[R: 63.5 nC,229 nC ]
la forza elettromotrice vale f  14.0 V .
50. Si calcoli la carica che ci sarà sui due condensatori C A  60.0 nF e C B  80.0 nF
f
 
R
CA
C B in figura quando sarà trascorso un tempo molto lungo dalla chiusura
dell’interruttore, sapendo che R  400 k  ed f  36.0 V . Calcolare dopo quanti
millisecondi dalla chiusura dell’interruttore si raggiungerà l’ 80.0% di tale carica.
[R: 2.16 μC,2.88 μC,90.2 ms ]
I (t ) [A]
51. Nel grafico a lato è rappresentato l’andamento della corrente in funzione del
tempo durante il processo di scarica di un circuito RC alimentato da una batteria di
forza elettromotrice f  9.00 V . Si calcolino i valori della resistenza, del condensatore, e della corrente I 1 .
[R: 30.0 k, 66.7 μF, 0.0111 A ]
0.0300
I1
2.00
t [s ]
52. Dato un circuito RC avente R  4.00 k , C  120 μF ed f  6.00 V , calcolare
la costante di tempo, la carica massima sulle armature, e la corrente iniziale. Si rappresenti l’andamento nel tempo, dopo la chiusura dell’interruttore, della differenza
di potenziale, e della carica sulle armature.
[R: 0.480 s,7.20 μC,1.50 mA ]
R
f
 
C1
53. Nel circuito a lato si ha
C2
f  18.0 V , C1  20.0 pF , C 2  50.0 pF , ed
R1  5.00 M . Calcolare la differenza di potenziale ai capi della resistenza, sia im-
mediatamente dopo la chiusura dell’interruttore, sia quando è trascorso un tempo
molto lungo.
[R: 0 V, 0 V ]
264