Quando improvvisiamo, siamo tutti ciechi Un percorso didattico fra improvvisazione, vocalità e cecità di Mirio Cosottini [email protected] Premessa Quest’articolo è la sintesi di un percorso di studio e di lavoro iniziato a ottobre del 2014 e terminato nel luglio del 2015 a completamento del TFA (Tirocinio Formativo Attivo), utile per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento di Educazione Musicale nelle Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado1. Esso riassume i momenti basilari del TFA, l’attività di tirocinio osservativo, l’attività didattica e infine la riflessione metodologica. I tre momenti sono logicamente distinti ma sostanzialmente connessi. Difatti, durante la fase osservativa ho iniziato a fare pratica attiva e allo stesso tempo a riflettere sulle metodologie e i metodi d’insegnamento. Dunque, da una parte i vari momenti del TFA sono distinti, e tale consapevolezza è necessaria per progettare il proprio percorso formativo e per orientarlo in modo razionale, dall’altra essi sono anche collegati, non si può pensare di osservare una classe senza riflettere sul rapporto fra i metodi d’insegnamento dell’insegnante disciplinare e i possibili metodi, dunque senza fare metodologia. Infine l’osservazione di una classe di ragazzi suscita interrogativi ai quali è importante provare a rispondere cercando di intervenire nelle dinamiche dei processi d’insegnamento. Ecco perché, nell’articolo, alcune questioni ritornano in momenti diversi, come a sottolineare che alcuni concetti, o procedure, rappresentano dei punti di riferimento che hanno guidato le mie attività. Fra questi posso citare l’improvvisazione musicale, la vocalità e la cecità. Questi ambiti d’indagine hanno preso corpo durante le ore di lezione, nei momenti di osservazione della classe e nella riflessione. Con il tempo hanno acquisito un carattere strutturale e hanno condizionato tutta la mia attività. 1 Ho svolto il TFA presso il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze Motivazioni e finalità Il progetto didattico che ho realizzato ha il nome di Sound Shadows. Esso nasce in seguito all’osservazione diretta della classe IIA, dalle sue dinamiche interne, dalle esigenze scolastiche e dalla presenza di una ragazza cieca. All’inizio ho pensato di lavorare esclusivamente sulla vocalità poiché la professoressa di Educazione Musicale ha valorizzato negli anni tale pratica. A tal fine era necessario esplorare pratiche vocali alternative all’esecuzione di canti dal repertorio proposto dai testi scolastici e dunque ho pensato di concentrarmi sull’improvvisazione vocale. La presenza della ragazza cieca mi ha suggerito la possibilità di unire l’improvvisazione vocale alla cecità. Esistono già in letteratura esercizi utili ai ciechi che sfruttano il potenziamento della percezione uditiva. Essi riguardano soprattutto la capacità di orientarsi e discriminare le forme e gli ostacoli. Mi è sembrato interessante trascurare l’aspetto riabilitativo e terapeutico per valorizzare l’aspetto estetico musicale. Il potenziamento della percezione uditiva consente di sperimentare esercizi che acquistano valore estetico musicale in combinazione con la loro vocazione performativa. La proposta progettuale dunque tiene conto di questi fattori e costituisce un progetto didattico di educazione musicale che include come conseguenze naturali il problema della disabilità e dell’inclusività. La finalità del progetto è l’indagine del rapporto fra improvvisazione musicale, vocalità e cecità grazie all’utilizzo di appositi esercizi d’improvvisazione vocale. Il progetto prende spunto dalla vocalità e intende stabilire una triangolazione virtuosa fra vocalità, improvvisazione e cecità. La vocalità ci consente di iniziare a sperimentare con uno “strumento musicale” a disposizione di ogni ragazzo. La pratica dell’improvvisazione musicale facilita la partecipazione di gruppo in un contesto di musica d’insieme e tende a rafforzare il gruppo classe. La cecità è un’occasione per iniziare un percorso inclusivo e interdisciplinare. Obiettivi didattici e svolgimento - Eseguire improvvisazioni vocali a partire da determinate consegne. - Potenziare la percezione acustica a partire dallo studio della propria voce. - Sperimentare tecniche di orientamento, di comunicazione e di esplorazione ambientale in condizione di cecità. - Comprendere la dinamica dei processi improvvisativi e le implicazioni che hanno rispetto alla cecità. - Curare alcuni problemi vocali quali l’intonazione, l’emissione vocale e l’ascolto. - Riflettere sul concetto d’inclusività, in rapporto alla disabilità e in particolare alla cecità. Il progetto prevede una prima fase di lavoro sui giochi d’improvvisazione vocale, una seconda fase in cui saranno scelti, insieme ai ragazzi, alcuni giochi vocali che valorizzano il rapporto di natura estetica fra musica e cecità; una terza fase di studio di questi giochi e di registrazione audio-videografica, infine una quarta fase di elaborazione dei testi e di montaggio audio/video. Metodi d’insegnamento Per la realizzazione del progetto ho previsto di intervenire con una modalità operativa di tipo collettivo, quindi prendendo insieme tutta la classe oppure sottogruppi di ragazzi. Nella fase di esecuzione dei giochi vocali ho diviso i ragazzi in gruppi di 8-10 membri. L’esperienza di apprendimento è stata di tipo laboratoriale. La mia funzione d’insegnante ha alternato momenti di “guida” (formatore-regista) a momenti di “partecipazione attiva” (formatore-tutor) alle attività proposte. In generale ho optato per un metodo euristico-guidato nella trasmissione delle conoscenze (metodo più vicino all’idea di ricerca-azione), grazie al quale ho suggerito occasioni di riflessione sotto forma di problemi da risolvere. E’ chiaro che il ruolo del ragazzo è stato maggiormente attivo anche se il processo di elaborazione delle soluzioni più lento. Ho presentato i giochi vocali in modo verbale, senza l’ausilio di supporti cartacei, segni linguistici o notazioni musicali, ho spiegato brevemente quali erano le regole che stavano alla base di ogni gioco d’improvvisazione vocale (senza prevenire comportamenti devianti che l’esperienza mi ha insegnato). Ho usato l’idea del patto educativo fra insegnante e alunno (secondo il quale è bene esplicitare all’inizio gli obiettivi e i modi per raggiungere tali risultati in modo da coinvolgere il ragazzo in un procedimento che non lo vede strumento ma fine del lavoro educativo) al fine di rendere più consapevoli i ragazzi delle loro acquisizioni. L’attuazione del progetto La fase di svolgimento mi ha visto impegnato nella classe IIA della Scuola Secondaria di Primo Grado dell’Istituto Mochi di Levane. Gli incontri sono stati numerosi per un totale di 30 ore di lezione. Nella prima fase degli incontri ho introdotto la tematica del rapporto fra vocalità e cecità facendo riferimento all’esperienza del pedagogista Augusto Romagnoli. Ho letto alcune parti del suo libro (Romagnoli 2002) e fatto alcuni esercizi ivi contenuti come ad esempio l’esercizio del lancio della monetina sul pavimento che il ragazzo bendato deve trovare. I ragazzi si sono dimostrati molto interessati. I loro commenti erano di stupore e meraviglia per la loro capacità di trovare la moneta ascoltando il suono prodotto dal rotolare oppure dal percuotere il pavimento. Altro esercizio interessante è stato indovinare la forma di alcune figure geometriche semplici (triangolo, quadrato e cerchio), ascoltando unicamente il suono prodotto dal gesso sulla lavagna. In un’altra occasione ho chiesto se secondo loro era possibile dedurre la forma degli oggetti utilizzando l’udito. Ho diviso i ragazzi in gruppi e li ho fatti riflettere sul problema in modo autonomo dando circa cinque minuti di tempo alla fine del quale hanno scritto su carta un breve periodo che confermava o smentiva tale ipotesi e ne dava una spiegazione. Le risposte sono state prevalentemente negative. Alla fine ho letto il paragrafo del libro di Romagnoli Ragazzi ciechi nel quale spiega come sia possibile capire la forma degli oggetti grazie all’“ombra sonora” che producono. Abbiamo fatto alcuni esempi elementari cercando di capire come alcuni oggetti posti davanti al viso rispondevano diversamente dal punto di vista acustico. In un’altra occasione ho fatto praticare esercizi di “riscaldamento” vocale (e di consapevolezza vocale) facendoli cantare bendati all’interno della classe in modo che scoprissero come i vari punti della classe generassero contesti acustici differenti (sullo stile del gioco del risveglio della stanza in Tosto 2009). Alla fine di ogni esercizio aprivo la discussione in modo che i ragazzi verbalizzassero le sensazioni provate e le appuntassero alla lavagna confrontandole. Nessuna delle loro sensazioni era quella “giusta”, ciascuno era libero di esporre la sua specifica sensazione e di comprenderne il valore. Dopo alcuni incontri ho cominciato a strutturare alcuni giochi d’improvvisazione vocale e a provarli con i ragazzi. L’ideazione dei giochi risente delle proposte vocali contenute in Jeux Musicaux di Reibel, dei giochi vocali in Geometrie Vocali di Cappelli/Tosto e dei giochi musicali contenuti in Capirci 2007. Molto brevemente voglio riportare alcuni di questi giochi. L’autore fa una differenza fra “educazione alla musica” e “educazione attraverso la musica”. Egli sostiene che l’apprendimento della musica deve allargare il proprio orizzonte in modo da diventare un apprendimento volto all’educazione in generale “di conseguenza, i contenuti pedagogici ed i procedimenti didattici sono validi in quanto utili a promuovere la crescita della personalità dell'alunno, considerata in tutte le sue componenti”. Sulla base di ciò egli imposta i suoi percorsi educativi che tengono conto della cecità. Ed elenca alcuni esercizi fra cui il giuoco del vocalizzo, la ripetizione di un breve frammento melodico per imitazione alzando e abbassando le braccia per coordinare l’aspetto motorio con quello uditivo; la ritmazione, l’insegnante propone un piede ritmico e i ragazzi lo imitano (con i piedi, le mani, lo schiocco delle dita ecc. a detta di Capirci i bambini ciechi lo trovano molto stimolante perché investe molteplici timbri); la drammatizzazione delle canzoncine, in cui un testo viene prima cantato dai bambini e poi viene drammatizzato; il giuoco della finestra, l’insegnante apre una finestra metaforica che i ragazzi riempiono di cose (oggetti, animali, passanti, macchine, ecc..), poi ne realizzano i vari soggetti personificandoli e associando a ciascuno una musichetta (l’insegnante può decidere di suonare ciascuna delle musiche e determinare la successione dell’entrata dei vari personaggi); il gatto ghiottoncello, in cui un bambino deve mimare il passo felpato del gatto che va per rubare i biscotti dalla dispensa (Capirci lo ritiene molto utile per i ciechi dal momento che spesso i loro movimenti sono tutt’altro che leggeri); il quadro, un gioco che sollecita i ragazzi a immaginare il contenuto figurato di un quadro, poi ad associare a ciascun contenuto alcune parole di un numero prestabilito di sillabe, infine a ritmare sulla metrica delle sillabe la loro pronuncia consecutiva; la galleria delle statue, l’insegnante propone l’ascolto di un brano, poi vengono discusse le sue caratteristiche emotive e infine i ragazzi tentano di far vivere di emozione la loro posizione statuaria (“vivere la scultura” dice Capirci); il giuoco delle foglie, mutuato dalla marcia delle ombre in cui l’insegnante suona una marcetta e i ragazzi escono dall’aula come ombre silenziose. Nel caso del gioco delle foglie l’insegnante soffia verso i ragazzi che se ne vanno come fossero foglie al vento. Molto spesso l’autore sottolinea l’aspetto creativo dei giochi e soprattutto lo stimolo alla creatività dei ragazzi che la musica induce in loro. Da tutta questa serie di stimoli ho elaborato i seguenti giochi vocali: Illuminare il silenzio Il gruppo è in cerchio. I partecipanti emettono un suono cercando di non sovrapporsi agli altri. Variante: un altro gruppetto secondario, che si tiene per mano, emette un suono-segnale quando la regola è violata dal gruppo primario (prima eseguito con i numeri, poi con il suono “boing”, poi con il gruppo di controllo che cantava “buum!”) Suono silenzio (Cappelli/Tosto 1993) Il gruppo è distribuito nello spazio. I partecipanti, seguendo ognuno un proprio ritmo interiore, alternano suoni accompagnati dal movimento a momenti di assoluto silenzio e immobilità. Gli interventi non sono sincronici. Camminata sonora Il gruppo sceglie un accordo. Camminare tenendo il suono tutto il tempo del respiro, poi fermarsi, respirare e riprendere a camminare cantando. (A piccoli gruppi, ho fatto intonare i partecipanti sulla triade di Do maggiore. Si sono divertiti. Si muovevano in modo fluido. Io e la professoressa abbiamo evitato che sbattessero. Con la mano ho fatto capire che la differenza nella percezione del suono consente loro di individuare gli ostacoli, come se fossero un radar). Convergenza (Reibel 1984) Iniziare da un accordo libero, poi cambiando a poco a poco l’intervallo, tentare di raggiungere un unisono. Attrazione sonora Ai quattro lati della stanza disporre quattro musicisti che emettono ripetutamente un suono con uno strumento. Gli altri sono disposti al centro della stanza e decidono di camminare verso il suono che preferiscono cantandolo con la voce. Il gioco è stato eseguito con due ragazzi che lanciavano segnali sonori agli altri membri i quali sceglievano liberamente verso chi dirigersi. Seme cieco Disporsi a terra come a imitare un seme. Iniziare a emettere suoni che esprimono la crescita di questo seme, la sua evoluzione e infine la sua morte. I ragazzi si sono divertiti. Ho iniziato con l’accompagnamento musicale, poi facendoli cantare. Una ragazza ha commentato dicendo che era divertente vedere i ragazzi assumere forme diverse a loro insaputa. In seguito ho evitato di suonare il pianoforte e ho lasciato che la loro emissione vocale “guidasse” la crescita, la maturità e la morte del seme (una metafora del corpo dei ragazzi). Discussione incrociata Il gruppo si dispone a semicerchio (e poi sparso). Scegliere un testo (una frase). Ciascuno dice interamente o parzialmente il testo nel modo che ritiene opportuno, cantando, pronunciando, spezzando le sillabe, allungando le vocali etc.. Specchio vocale L’esercizio dello specchio è un classico gioco teatrale in cui una persona agisce di fronte a un’altra persona che imita i movimenti come fosse il riflesso di uno specchio. Nel caso dello specchio vocale, chi “guida” propone dei suoni vocali (melodici, timbrici, onomatopeici ecc.) che devono essere rieseguiti il più fedelmente possibile da chi funge da “specchio”. L’esercizio può dunque essere svolto bendando i due esecutori. Variante: l’esercizio può essere fatto anche in gruppo, a coppie, cercando di ascoltare ciò che eseguono le altre coppie e proporre emissioni vocali congrue. Variante della Camminata Sonora: l’unisono cieco. Bendare gli esecutori, emettere vocalmente un suono lungo. Scegliere uno dei suoni fra quelli che si odono passeggiando, se si ritiene preferibile al proprio. Nel caso si raggiunga un unisono, smettere di cantare e fermarsi. Dopo svariate esecuzioni di questi giochi vocali ho deciso di concentrarmi soltanto su tre di questi, Illuminare il Silenzio, la Camminata Sonora e il Seme Cieco. Ho fatto eseguire i giochi a tutti i ragazzi, spesso facendo dei sottogruppi di otto/dieci ragazzi alla volta. Il video di documentazione Ho deciso di realizzare un video documentativo dell’attività. Per motivi acustici (la rumorosità dell’ambiente), ma anche logistici (il rischio di arrecare disturbo alle altre attività scolastiche) ho deciso di effettuare la documentazione con pochi ragazzi, compresa la ragazza cieca. Nella fase di ripresa delle immagini mi hanno aiutato l’insegnante disciplinare e l’insegnante di sostegno. Nel video appaiono comunque tutti i ragazzi poiché ho realizzato alcune riprese durante le esercitazioni in classe. Prima d’inziare le riprese ho realizzato uno schematico storyboard per ottimizzare i tempi di lavoro. Le riprese sono state fatte da me e da uno dei ragazzi. Storyboard Gioco vocale: Illuminare il Silenzio 1) Dettagli delle mani e delle bocche che si aprono per cantare. Non si vedono ancora le bende. 2) In primo piano la bocca, in secondo piano si vede la testa di un altro ragazzo bendato che canta (sfocato). Il ritmo delle immagini è lento, e i suoni vocali non rispondono al ritmo delle immagini. 3) Ora si vedono teste bendate che cantano, frontali. Il ritmo delle immagini è sincrono con i suoni emessi. 4) Sullo sfondo il gruppo che canta, di fronte un ragazzo bendato che dice: “quando improvvisiamo è come illuminare il silenzio” Fade out su nero Gioco vocale: la Camminata Sonora 1) Fade in, sul volto di un nuovo ragazzo bendato. Inizia a cantare, la telecamera lo segue all’indietro. Poi si allarga l’inquadratura e si vedono anche gli altri che camminano bendati. 2) Dettaglio sul ragazzo che si ferma di fronte ai ragazzi “contenitori”. 3) La camera segue il movimento dei ragazzi, entra fra loro, li segue, li incrocia. 4) La camera segue un ragazzo che poi si ferma e dice “quando improvvisiamo è come camminare per strada” fade out a nero Gioco vocale: Seme Cieco 1) Fade in. Tutti distesi. Telecamera bassa a inquadrare un dettaglio di un volto. La telecamera si alza e inquadra tutti i ragazzi distesi. Poi iniziano lentamente ad alzarsi cantando. 2) Dettagli sui volti, sulle mani, sulla bocca, sui piedi, sulle gambe. 3) Panoramiche 4) Il suono finisce quando sono in piedi. Tutti si tolgono la benda ridendo (rallenty). 5) Manisha si toglie la benda e dice “quando improvvisiamo siamo tutti ciechi” Le frasi degli attori Quando improvvisiamo è come illuminare il silenzio (When we improvise is like enlighten the silence) Quando improvvisiamo è come camminare per strada (When we improvise is like walking on the street) Quando improvvisiamo siamo tutti ciechi (When we improvise we are all blind) Ogni testo contenuto nel video è stato tradotto in inglese per facilitarne la diffusione. Il brano finale è “Blind Seed” che è stato composto insieme ai ragazzi durante uno dei giochi d’improvvisazione. La melodia, molto semplice, è stata elaborata in gruppo, sull’accompagnamento che suonavo durante il gioco. In una seconda fase ho registrato le voci utilizzando un registratore di qualità. Valutazioni e considerazioni finali Il progetto di tirocinio attivo è stato il fulcro della mia attività di tirocinante. In esso si condensavano tutti i miei obiettivi formativi e di approfondimento metodologicodidattico dell’educazione musicale. La possibilità di lavorare sul tema della vocalità e dell’improvvisazione musicale mi ha consentito di approfondire tematiche basilari per l’educazione musicali. La vocalità è un punto di partenza imprescindibile dell’educazione musicale e storicamente lo è stata anche per la pratica dell’improvvisazione musicale (i primi metodi d’improvvisazione strumentale derivavano dalla pratica vocale). Il tema della cecità mi ha aperto un’ulteriore finestra sui rapporti fra vocalità e improvvisazione gettando inediti ponti trasversali e multidisciplinari. Sia la vocalità, sia l’improvvisazione, sia la cecità erano a mio parere esigenze educative che valeva la pena affrontare. Il corpo insegnante e la classe dei ragazzi hanno seguito con attenzione il percorso di svolgimento del progetto, facendo domande e mettendosi in gioco in prima persona. Dai commenti verbali dei ragazzi ho dedotto che l’esperienza vocale e di potenziamento della percezione acustica hanno messo sotto una nuova luce il problema della disabilità. Allo stesso tempo i ragazzi hanno intuito che i nostri modi di agire talvolta hanno caratteristiche d’imprevedibilità che mettono tutti sullo stesso piano, nel caso specifico, vedenti e non vedenti. Improvvisare musicalmente è un’attività che disabilita (più o meno parzialmente) alcune nostre funzioni, come la capacità di prevedere ciò che accadrà e quindi di poter curare l’avvicendamento degli eventi. Il processo improvvisativo ci mette alla prova sia rispetto alla nostra capacità di orientamento del “discorso” musicale, sia alla capacità di costruire la nostra “identità musicale” nel momento stesso in cui la mettiamo in gioco. Queste dimensioni penetrano nella coscienza dei ragazzi per essere incarnate in comportamenti e decisioni determinanti per la costruzione della loro identità musicale. Uno spazio particolare voglio dedicare al resoconto dell’attività didattica che Manisha, la ragazza non vedente, ha verbalizzato. Di seguito ho inserito la trascrizione dal Braille fatta dalla sua insegnante di sostegno. Il primo esercizio che ho fatto con i miei compagni di classe è stato quello di dire “boing” a turno rispettando i tempi di ciascun compagno. Mi è piaciuto perché mi sono sentita tranquilla ad ascoltare le voci dei miei compagni che conosco e perché sono abituata in classe a rispettare i tempi quando una persona parla. Il secondo esercizio è stato la “camminata sonora”, dovevo muovermi e orientarmi nello spazio ascoltando le voci o cambiando direzione quando mi veniva messo davanti agli occhi una mano del prof.. Non mi è piaciuto molto questo esercizio perché avevo paura di cadere e non mi sentivo sicura quando camminavo. Mi muovevo lentamente e non vedevo l’ora che l’esercizio finisse. Il terzo esercizio è stato quello del “seme vocale”, ho fatto finta di essere un seme di una piantina che cresceva sempre più mano a mano che alzavo il tono della mia voce. All’inizio non cantavo perché mi vergognavo un po’ dato che sono una ragazza timida poi però ho provato a tirare fuori la voce anche se con il timbro basso. Ho provato una sensazione di libertà, soprattutto nei movimenti perché da terra mi sono alzata. L’esperienza dell’improvvisare è particolare, io di solito preferisco che qualcuno mi dica cosa fare e muovermi. Ho spesso avuto paura di cadere in questi esercizi. Radi Manisha Ci sono molti aspetti interessanti nelle sue riflessioni, - il sentirsi tranquilla di fronte al suono delle voci dei compagni (che lei conosce) - il fatto che è abituata a rispettare i tempi quando una persona parla (l'esercizio non chiede il rispetto di tempi stabiliti, ma il rispetto di un tempo che via via si costituisce) - il fatto che la camminata sonora non le sia piaciuta perché aveva paura di cadere e non si sentiva sicura - il fatto di aver provato una sensazione di libertà alzandosi insieme al "crescere" della voce (nei fogli scritti con la dattilo braille usa il termine "tono" e poi "timbro" curiosamente. La prima volta pare riferirsi alla frequenza, la seconda non è chiaro, lei ha omesso la parola "basso" che però ha aggiunto la professoressa a penna. E' come se la volontà di alzare la frequenza della voce sia stata bloccata dalla meraviglia di sentir uscire un suono timbricamente "scuro"). La libertà è divenuta una libertà di movimento. - la riflessione sull'improvvisare, e il preferire che qualcuno le dica cosa fare (affidarsi è quasi sinonimo di sicurezza per lei, una sicurezza che è legata principalmente all'equilibrio - paura di cadere). Purtroppo non ho raccolto la verbalizzazione dell’esperienza degli altri ragazzi ma ho soltanto il ricordo delle loro reazioni. A mio avviso, le osservazioni di Manisha possono valere anche per i ragazzi vedenti anche se la consapevolezza finale di Manisha, sulla particolarità dell’improvvisazione, legata al fatto che preferisce che qualcuno le dica cosa fare, la differenzia leggermente dai suoi compagni. Essa punta l’accento sul carattere “istruttivo” dell’educazione, Manisha è abituata a essere istruita su cosa ma soprattutto su come bisogna fare, anche rispetto ad attività che un vedente impara in modo indiretto (vedendo, per imitazione). L’improvvisazione musicale ci porta a considerare come alla base dei nostri apprendimenti ci sia un processo di autoformazione; di fronte all’incertezza del futuro dobbiamo essere in grado di prendere una decisione in conformità a ciò che siamo in quel momento. Io credo che la tiflologia possa considerare positivamente la dinamica del processo improvvisativo rispetto alla capacità di agire in modo autonomo, auto-istruttivo e auto-formativo. Ciò non significa isolarsi dall’esterno per agire soltanto con le proprie forze, al contrario, significa valorizzare l’agire degli altri (improvvisazione collettiva) per trovare in sé le risorse per agire autonomamente. Riflessioni metodologico-didattiche: Improvvisazione musicale e cecità Il rapporto fra musica e cecità è ben noto ed è possibile contare su una bibliografia orientativa che ci consente di indagarne i vari ambiti d’interesse, storico, educativo, didattico e artistico2 . Non si può dire altrettanto del rapporto fra improvvisazione musicale e cecità. Il nostro passato è costellato di numerosi musicisti non vedenti, alcuni 2 Per il reperimento della bibliografica sul rapporto fra musica e cecità voglio ringraziare la Biblioteca Italiana per i Ciechi - Centro di Documentazione Tiflologica, nella persona di Elisabetta Franchi e Francesco Giacanelli. dei quali hanno fatto la storia della musica, basti pensare a Francesco Landino (De Pirro, 1968). Di essi conosciamo le loro capacità esecutive, compositive e improvvisative. La tiflologia si è concentrata sul valore dell’educazione musicale dei ragazzi non vedenti, accanto a quello della scrittura, della lettura e della matematica; dopo l’invenzione del sistema di scrittura Braille e del Codice musicale in Braille, i non vedenti hanno potuto accedere a un vasto repertorio musicale e hanno potuto intraprendere autonomamente la stessa attività compositiva. Per i non vedenti, fare il musicista, è diventata una delle opportunità professionali più ambite. Molto presto gli studiosi hanno cominciato a circoscrivere i problemi legati all’apprendimento della notazione musicale Braille soprattutto in rapporto al contesto scolastico, e ad approfondire la pedagogia dell’insegnamento musicale. Purtroppo l’attività dell’improvvisazione musicale non ha ricevuto la stessa attenzione da parte degli studiosi. Tralascio i motivi di tale trascuratezza che forse vanno ricercati analizzando da una parte il valore e il peso che la composizione musicale ha avuto nella cultura musicale occidentale, un valore che ha prevalso sia in ambito estetico che pedagogicodidattico, dall’altra la naturale tendenza della tiflologia a studiare i processi educativi nell’ottica della interazione (conformazione) a un mondo già strutturato sul modello delle persone normo dotate. L’improvvisazione musicale è quel processo che mette in discussione sia il rapporto fra opera musicale e composizione, sia l’adesione a un sistema di norme musicali che regolano la prassi musicale. Io ritengo che l’agire improvvisativo e l’agire cieco 3 abbiano caratteristiche comuni sulle quali conviene riflettere per le loro implicazioni pedagogiche ed estetiche. Da ciò si evince che non parlerò dell’improvvisazione come prodotto (musicale) e della cecità come status (di persona con disabilità) ma in entrambi i casi come processi dell’agire. Mi limiterò a descrivere tali proprietà e accennare alle implicazioni pedagogiche sulla base della mia concreta esperienza di laboratorio musicale. L’improvvisazione musicale è considerata da alcuni come un viaggio, e “l’incertezza può essere assunta come la caratteristica dominante di questo viaggio nel suono” (Vitali 2004: 9). Non solo, ma questa incertezza non riguarda un semplice stato d’animo, ma un elemento determinante nella costituzione dell’identità musicale di un individuo. Allo stesso modo, anche la persona non vedente è investita in pieno dalla possibilità di 3 Per Agire cieco intendo la capacità di compiere un’azione coscientemente da parte della persona non vedente o ipovedente. dialogare con il suono nell’attesa dell’imprevedibile, e tale condizione assume i connotati di uno status esistenziale precario e incerto. La persona non vedente, a causa della sua menomazione, percepisce con più forza la dinamica del gioco dell’improvvisazione, un gioco pericoloso in cui è facile smarrirsi nel tentativo di esplorare territori sconosciuti con il rischio di non ritrovare la via di casa (Sparti 2010). Sembra quasi che l’improvvisazione musicale esemplifichi uno dei problemi fondamentali del non vedente, in altre parole l’orientamento, la possibilità di perderlo e il continuo esercizio per acquisirlo. Nell’Ospizio Margherita per i ciechi a Roma, Augusto Romagnoli aveva un programma preciso d’insegnamento, “è evidente che non erano materie principali la lettura, il calcolo e gli altri insegnamenti della scuola comune. Questi si davano come premio; e forse anche per ciò era rapido il profitto. Materia principale era l’orientamento.” (Romagnoli 2002: 75). Il programma minimo per l’ammissione alla terza classe prevedeva che le alunne sapessero uscire dall’Ospizio, dirigersi in alcuni luoghi esterni e “saper tornare a casa da qualunque punto del podere”. E’ essenziale per un cieco intraprendere un cammino, seguire una direzione e saper tornare nel luogo di partenza; lo smarrimento, è sinonimo d’immobilità e sofferenza. L’improvvisazione musicale è emblematica di un processo che implica l’imprevedibilità come sua caratteristica essenziale e il fallimento come sua conseguenza negativa. Ciò poiché nel processo dell’improvvisazione la creazione e la performance coincidono, non solo agiscono nello stesso tempo, ma sono il medesimo evento. Ecco perché il processo dell’improvvisazione è sorprendente ma soprattutto imprevedibile. Prima di essere fatto, ciò che sarà fatto non è conosciuto né conoscibile “beacause it will exist only through and thanks to the performance. Or better still: it is the performance” (Bertinetto 2011: 94-95). Orientarsi nel processo improvvisativo è possibile proprio nella coincidenza fra creazione ed esecuzione. Ciò implica una capacità interpretativa del contesto, delle regole che lo governano e delle convenzioni intersoggettive. Analogamente, per un non vedente, orientarsi significa interpretare una data situazione rispetto alle sue caratteristiche temporali e spaziali, al riconoscimento di riferimenti esterni, alla memoria di percezioni e ricordi che entrano nel presente per essere reinterpretati e rimessi in gioco. L’agire improvvisativo e l’agire cieco hanno in comune l’autopoiesis (auto-costruzione) e l’auto-referenzialità. Ogni agire condiziona il significato di ciò che è accaduto; ciò che è appena successo diventa la nuova struttura interpretativa delle azioni successive in un continuo feedback che si rifà a se stesso ma arricchendosi ogni volta dall’interno. L’agire cieco non è dunque sinonimo di agire senza ragione o senza sapere dove andare a parare (alla cieca), ma piuttosto un agire fiducioso del proprio carattere costruttivo e normativo. Orientarsi non significa necessariamente ricordare la disposizione dei mobili in una stanza oppure un percorso stradale in modo tale da ripercorrerlo in sicurezza, orientarsi significa inserire le proprie percezioni in un processo auto-interpretativo e auto-normativo, cambiare i modi della nostra percezione del mondo per cambiare il nostro modo di agire. In questo senso il processo di orientamento è auto-regolante e per questo motivo, a mio parere, Romagnoli considerava prioritario apprendere i modi con cui orientarsi piuttosto che le materie prettamente cognitive. Il carattere imprevedibile dell’improvvisazione musicale è una forma di cecità rispetto a ciò che potrà accadere, nella consapevolezza che ciò che accade e orienta il mio agire vive di questa incertezza e di questa si alimenta. Analogamente, il non vedente compie le sue azioni nell’incessante reinterpretazione delle sue percezioni, nell’incertezza che il suo orientamento possa venir meno se non addirittura perdersi del tutto. L’imprevedibilità che unisce improvvisazione e cecità porta con sé un’interessante conseguenza: l’importanza del momento presente. Il passato e il futuro si contraggono in un presente che li contiene entrambi, il passato sembra non voler andarsene e il futuro non voler fuoriuscire. Nel presente si consumano passato e futuro, il presente è il luogo nel quale l’improvvisazione si svolge, non esistono due improvvisazioni identiche poiché la condizione spaziotemporale è parte integrante del suo essere (situazionalità) (Sparti 2007: 133). Così il cieco, per il fatto di non vedere quali oggetti ostacoleranno il suo cammino, e dunque di pre-vedere cosa lo aspetta e cosa accadrà di lì a poco, tende a vivere e a intensificare il momento presente, le sue qualità, la somiglianza o la differenza nelle percezioni, al fine di allargare le maglie del presente e aprirlo al futuro. La ricchezza del presente apre al non vedente la possibilità di guardare oltre, in avanti, e più si è capaci di entrare dentro noi stessi e le proprie percezioni, maggiore possibilità si ha di allungare “lo sguardo” in avanti per “immaginare” il corso degli eventi e il loro rapporto con le cose4. Ne sono testimonianza gli esperimenti di percezione della forma 4 Ecco come nell’antica grecia l’aedo (ᾄδω, cantare), il cantante, poeta e vate, era rappresentato come un cieco capace di entrare a fondo nella propria anima e dunque entrare in contatto con l’anima del tutto e il messaggio degli Dei. degli oggetti grazie all’analisi delle percezioni acustiche. Il non vedente è capace di percepire la forma degli oggetti grazie all’analisi acustica dello spazio circostante e in particolare a causa di quello che Romagnoli chiama l’ombra sonora che gli oggetti proiettano, “Una volta, per esempio, passeggiando con un amico pittore a Villa Borghese, gli feci osservare l’ombra della fontana dei cavalli marini, attraverso gli alberi, l’ombra sonora, voglio dire, la quale restava assolutamente oscura, quando, camminando, il nostro orecchio si trovava dietro gli alberi, poi si faceva udire via via più forte e distinta, sfiorando i tronchi sino a raggiungere l’intensità piena degli interstizi e a dileguare con opposto ritmo in prossimità degli alberi successivi” (Romagnoli 2002: 203). Il livello di potenziamento della percezione acustica ha consentito a Romagnoli di descrivere, in un articolo del 1909 con una certa minuziosità l’interno di San Pietro a Roma suscitando scalpore e qualche perplessità (Romagnoli 2002: 205-210). La costante attenzione verso il presente è un altro punto in comune fra l’esperienza della cecità e il processo dell’improvvisazione musicale. Come vedremo, la vocalità è una delle funzioni (insieme agli altri sensi) che consente all’agire cieco di “raccogliersi intorno al presente” poiché la voce è direttamente legata all’ascolto e alla percezione acustica. La voce produce suoni tenuti e fluttuanti, che orientano l’ascolto verso il presente (Reibel 1984: 70). Grazie alla vocalità il non vedente influisce sul totale delle sue percezioni sensoriali innescando un feedback virtuoso con l’ascolto. Potremmo dire che la funzione vocale si riorienta a stretto contatto con l’ascolto generando un processo auto-regolativo che caratterizza in modo specifico l’agire cieco5. Riassumendo, l’improvvisazione musicale presenta interessanti analogie con l’agire cieco; entrambi i processi condividono le caratteristiche d’imprevedibilità e situazionalità poiché entrambi hanno caratteristiche autopoietiche e legate al momento presente. Il mio intervento metodologico poggia su queste considerazioni e introduce la vocalità come quella funzione che aumenta la sensibilità percettiva e sollecita l’autoregolazione dell’organismo (Tosto 2009: 46). 5 Sul rapporto fra funzione vocale e auto-regolazione si veda Rohmert 2003. Giochi vocali e cecità Il gioco vocale è semplicemente un’esperienza d’improvvisazione vocale. E’ interessante paragonare due approcci per certi versi antitetici, del concetto di “gioco”, quello di Reibel, descritto nel suo libro Jeux Musicaux, e quello di Fiorella Cappelli e Ida Maria Tosto, contenuto nel loro volume Geometrie Vocali. Nel caso di Reibel, il termine “gioco” indica un’attività d’invenzione musicale che associa strettamente il gesto al pensiero: «Lorsque nous parlons de “jeu”, il ne s’agit plus du jeu d’un instrument au sens habituel, faisant appel à des gestes précis, parfois stéréotypés pour jouer (ou plutot reproduire) de la musique déjà écrite sur partition; il s’agit de tout autre chose: prendre un corps sonore (instrument non registré, non spécialisé pour une musique de hauteur par exemple) ou utiliser la voix et se livrer à une activité d’invention musicale qui associe étroitement le geste à la pensée» (Reibel 1984: 20). Il rapporto fra gesto e pensiero è sinergetico, il pensiero guida ma è contemporaneamente guidato dal gesto inedito, personale. Il risultato è una sorta di liberazione del suono dalle maglie di un pensare “algebrico” della musica, con l’intento di gettare nuovi semi, spunti di nuove possibilità sonore. Dice Reibel: «Au moment où la langue musicale se perd pour tenter de se recréer autrement, avec d’autres principes, le jeu permet de “parler” la musique» (Reibel 1984: 21). La possibilità di perdersi è possibile nella rottura della regola, ma non è tanto il pensiero a dettare il porre, il modificare o il rompere la regola, quanto il gesto, che esprime un gran novero di forme, espressioni simboliche del nostro modo di percepire il mondo. Il corpo sonoro, il mezzo strumentale o la vocalità, sono le condizioni che permettono al gesto di giocare in anticipo sul pensiero nell’afferrare la realtà dei fenomeni e nel permetterne la loro astrazione. Il gioco di Reibel dunque ha un valore perché ci consente di far musica nel mentre che la inventiamo. I modi con cui l’invenzione prende forma (il modo in cui è suscitata, prende forma, viene analizzata e genera opere) darà luogo a punti di vista e discipline diverse che si occuperanno della percezione del suono, della descrizione delle forme sonore, del movimento, dell’analisi musicale, della psicologia dei comportamenti. Secondo Reibel, è grazie alla pratica musicale che possiamo collegare la creatività alla pedagogia. Il suo punto di vista non esclude la componente concettuale ma intende porre la lente della gestualità sull’invenzione musicale. Nel caso di Fiorella Cappelli e Ida Maria Tosto, il termine “gioco” evidenzia un altro aspetto fondamentale del fare improvvisazione musicale, quello della regola, e l’improvvisazione si presenta come un “gioco di regole”. Il loro punto di partenza è un’analogia con il lavoro di Eigel e Winkler, i due scienziati tedeschi che nel 1986 pubblicarono l’affascinante libro “Il gioco – Le leggi naturali governano il caso” (Eigen M., Winkler R., 1986). Il gioco è quel fenomeno naturale che è alla base di ogni evento, frutto di caso e necessità. La fissazione delle regole iniziali è caratterizzante di ogni gioco, esse possono essere conosciute e studiate. Il gioco però non è l’insieme delle regole o l’insieme dei casi che le esemplificano, ma entrambi allo stesso tempo. Il peso della regola comunque pare giocare un ruolo di primo piano nel concetto di “gioco” delle due autrici, «conoscere la regola [è] un passaggio obbligato se si vuol “imparare” a giocare» (Cappelli F., Tosto I.M., 1993). In una stretta saldissima fra musica e linguaggio (dimensione quest’ultima in cui la regola costituisce l’elemento generativo a livello sintattico e semantico) la musica riconosce nella regola il suo procedimento costruttivo intrinseco «E’ dunque la logica compositiva, sia pure trattata nelle linee essenziali e, se necessario, a livelli elementari, la chiave per accedere all’affascinante gioco dell’invenzione musicale, qualunque sia il livello di competenza linguistica dei giocatori» (Cappelli, Tosto 1993: 11). Il rischio è che l’immaginazione si appoggi in modo sterile alla memoria, e «la memoria porta alla luce cose risapute, sentite o viste, un po’ come i ruminanti rigurgitano l’erba» (Cappelli, Tosto 1993: 11). Queste considerazioni sono analoghe a quelle che Boulez espresse nei confronti dell’improvvisazione musicale considerandola complessivamente una sorta di composizione mal riuscita. La “logica compositiva” è prioritaria alla “logica della spontaneità” nel caso dell’improvvisazione musicale. Il filosofo Andy Hamilton mette a confronto l’estetica dell’imperfezione (basata sulla spontaneità) e l’estetica della perfezione (basata sulla composizione) in rapporto all’improvvisazione musicale. Secondo Hamilton entrambi sbagliano nell’identificare l’improvvisazione musicale con la “composizione istantanea”, e non riconoscono che la preparazione (e la memoria) e la pratica di un improvvisatore sono intese come essenziali per evitare di suonare cose che già si conoscono (Hamilton 2007: 204-205). La logica compositiva adottata da Cappelli e Tosto guarda con più fiducia a un’estetica della perfezione, in cui si riconosce grande valore ai procedimenti compositivi. Ciò non significa una mortificazione dell’immaginazione ma il tentativo di riportarla alla ricchezza generativa delle forme e delle regole musicali, i giochi proposti «sono un invito a ideare nuove soluzioni, a trovare forme diverse dello stesso principio, a individuare dei modi per trasgredire la regola» (Cappelli, Tosto, 1993: 12). La posizione di Ida Maria Tosto assunta in Tosto 2009 mi sembra più ricca di sfumature e più complessa a proposito del rapporto fra pratica improvvisativa e gioco musicale; perde d’importanza il rapporto fra composizione e improvvisazione e il processo improvvisativo (e il gioco musicale) s’inserisce fra le pratiche di auto-regolazione delle funzioni umane, come quella della vocalità. Il significato del termine “gioco” guarda con interesse alla tripartizione fatta da Piaget che Delalande ha poi assunto come base per la definizione di “condotta musicale”. Purtuttavia, il concetto d’improvvisazione rimane ancora legato alla pratica del gioco con regole nel momento in cui, all’interno del laboratorio vocale, il gruppo decide di dar forma alla materia vocale e sonora. Nel momento in cui ho elaborato i giochi d’improvvisazione vocale, mi sono posto il problema di come intendere il concetto di “gioco”. Il mio tentativo è stato quello di far tesoro della riflessione di Reibel ma anche delle considerazioni di Cappelli/Tosto. Da una parte ho mantenuto stretto il rapporto fra sensorialità, percezione, vocalità e sonorità; dall’altra non ho rinunciato al momento “formante” della pratica improvvisativa e quindi all’importanza del rapporto fra regola e superamento della regola. Esiste una tensione fra la consapevolezza percettiva, caratteristica dei processi d’apprendimento, e l’imprevedibilità del potenziale formante del suono, caratteristico dei contesti artistici. I giochi d’improvvisazione devono alimentare questa tensione non rinunciando alla potenzialità del gesto sonoro né alla formatività che genera l’adozione di una regola. Il gioco d’improvvisazione vocale deve dispiegare questa tensione nel tempo della sua esecuzione, e tale dispiegamento sta tutta nel suono che tale processo incarna; è il suono, la manifestazione di questa tensione. La tiflologia e in particolare la pedagogia hanno elaborato alcuni giochi ed esercizi utili per l’educazione dei ragazzi non vedenti, giochi che integrano lo sviluppo sensomotorio, l’immaginazione e il suono. Dal mio punto di vista essi integrano anche processi di tipo improvvisativo, vediamo perché. Augusto Romagnoli pensa che educare al moto e al gioco i non vedenti sia prioritario. Il contesto è quello dell’educazione fisica ma l’intervento educativo coinvolge in pieno il problema della cecità. Uno dei primi esercizi (“esercizio” è un termine usato in modo sostanzialmente equivalente a “gioco”) è il “correre dietro qualcuno”. Il rumore dei passi di chi corre davanti è di eccitamento e di guida per chi sta dietro. Nel fare questo esercizio chi corre davanti produrrà una serie numerosa di suoni eterogenei, dal battito delle mani, ai rumori vocali, al calpestio, all’uso di sonagli o altri strumenti sonori. Non tutti i suoni o i rumori sono buoni a tale scopo, in particolare lo strepitio può essere fastidioso e generare confusione nel non vedente. I suoni e i rumori sono diversi anche per il non vedente che percepisce i rumori e attiva funzioni motorie differenti. Il rapporto fra qualità sonora e reazione senso-motoria è stretto (perché ci abbassiamo repentinamente o ci copriamo la testa in presenza di un’esplosione?), esso consente di interpretare la qualità dello spazio circostante, il tipo di propagazione del suono, l’ampiezza spaziale, la sua rifrazione, la forma dell’ambiente, il suo colore, la forma e la consistenza dei materiali e degli oggetti presenti. Grazie all’udito il non vedente inizia un’operazione d’interpretazione del mondo in continuo feedback con la sua reazione senso-motoria. Romagnoli consiglia di imparare a correre avendo una guida di fronte per evitare la sensazione di “lanciarsi nel vuoto” (Romagnoli 2002: 43). Egli ammette che la sensazione di lanciarsi nel vuoto può benissimo essere piacevole, ma deve implicare uno sviluppo del senso muscolare e dell’immaginazione superiore. Questo perché mentre il vedente, mentre corre, vede scorrere all’indietro gli oggetti circostanti, il cieco non ha punti di riferimento durante la corsa e dunque si sente come gettato nel vuoto. Come si vede questo “lanciarsi nel vuoto” è un processo analogo a quello che gli improvvisatori compiono quando suonano. Prendiamo a prestito le parole del sassofonista Steve Lacy per confermare questa analogia: «There is a freshness, a certain quality that can only be obtained by improvisation, something you cannot possibly get by writing. It is something to do with the edge. Always being on the brink of the unknown and being prepared for the leap. And when you go out there have all your years of preparation and all your sensibilities and your prepared means but it is a leap into the unknown» (Weiss 2006: 51). La preparazione per affrontare ciò che non si conosce è importante, per il musicista improvvisatore come per il cieco. Servono anni di grande preparazione per poi lanciarsi nel vuoto senza perdere se stessi, la fiducia nelle proprie capacità ma soprattutto la capacità di tornare a casa, condizione che adesso assume accomuna sia il gioco musicale sia quello pedagogico del non vedente. Oltre al “correre dietro qualcuno”, Romagnoli elenca altri giochi interessanti fra cui “il giuoco del tramvai”, “il giuoco della ronda e dei ladri”, “il castello dalle sette mura”, “il giuoco della sfida e dei prigionieri” e il “giuoco del soldo”. Quest’ultimo consiste nel far ruzzolare una moneta e nel raccoglierla. I vari modi di farla cadere (ruzzolare, gettare) determinano vari modi di orientamento e localizzazione della moneta. Se la moneta ruzzola, provoca una scia sonora e il non vedente associa il punto di localizzazione al suono perdurante e alle sue caratteristiche di riflessione nell’ambiente. Se la moneta è gettata, il rumore percussivo provocato dall’impatto con il terreno valorizza il decadimento del suono dal quale si capisce la forma dell’ambiente circostante e il punto di arresto della moneta. Di nuovo il sistema neuro-muscolare entra in relazione all’udito e alla capacità di orientare l’ascolto. Sebbene questi esercizi (o giochi) possano rientrare fra i giochi di tipo senso-motorio e dell’immaginazione, io li considero già implicati dal concetto d’improvvisazione musicale, per la natura dei processi impliciti in tali attività. Il “lanciarsi nel vuoto” è qualcosa che il cieco deve imparare a fare, come del resto l’improvvisatore. Il valore pedagogico ed estetico del gioco vocale A questo punto è chiaro come il gioco vocale e in particolare il gioco d’improvvisazione vocale abbia sia un valore pedagogico sia estetico. Esso ha un valore senso-motorio che stimola il sistema neuro-muscolare; la vocalità interagisce con la risposta motoria e ne trae beneficio in un processo d’invenzione continua. Dal punto di vista simbolico, il gioco vocale ci consente di utilizzare le nostre immagini e le nostre convinzioni grazie alla gestualità. In tal senso, la pedagogia italiana ha dato notevoli contributi, «ciò che accomuna le varie proposte è il proposito di rendere consapevoli gli alunni delle convenzioni culturali in base alle quali si creano le associazioni fra eventi sonori e vissuto extra-musicale: sinestesie, pratiche sociali, abitudini culturali, reazioni psicoorganismiche, ecc. sono gli aspetti sui quali, di volta in volta, essi sono invitati a riflettere per comprendere il senso (o i sensi) del messaggio musicale e i meccanismi cognitivi e culturali che ne consentono l’interpretazione» (Deriu 2002: 815). Infine, dal punto di vista estetico, il gioco vocale acquista un carattere formante e formativo nella dinamica del rapporto fra regole e trasformazione (e sostituzione) della regola. La direzione che caratterizza il gioco vocale è quella che porta dallo sviluppo senso- motorio alla simbolizzazione per finire all’assunzione di scelte esteticamente rilevanti. L’improvvisazione è il processo grazie al quale questo percorso è possibile; essa consente di mantenere il polso sul presente affinché noi possiamo lanciarci verso ciò che non conosciamo. Nei giochi d’improvvisazione vocale il suono “materializza” la diversità dei punti di vista, dei modi di percepire e di muoversi. Ognuno di noi ha il suo modo di sentire e immaginare; il non vedente non può contare sulla vista e le sensazioni, e le immagini che egli si forma hanno caratteristiche diverse, «chi sa che anzi da queste diversità non siano destinate a nascere nuove risorse alle scienze ed alle arti per la scoperta dei nuovi aspetti del vero e nuove forme del bello?» (Romagnoli 2002: 205). I giochi d’improvvisazione fra canto e cecità I giochi d’improvvisazione vocale scelti e realizzati nel mio progetto Sound Shadows sono tre: 1) Illuminare il silenzio. I partecipanti emettono un suono con la voce cercando di non sovrapporsi agli altri. 2) La camminata sonora. I partecipanti camminano tenendo un suono vocale. 3) Il seme cieco. I partecipanti si dispongono a terra, come a imitare un seme poi iniziano a emettere suoni che simbolizzano la crescita di questo seme, la sua evoluzione e infine la sua morte, nel canto e nel corpo. Questi esercizi si trovano in letteratura, in forme più o meno analoghe. La camminata sonora è un esercizio che è possibile trovare in forma analoga nel libro di Vitali, dal titolo Piazza di notte (Vitali 2004: 56), oppure nel libro di Reibel dal titolo Volume mobile (Reibel 1984: 44). In quest’ultimo caso, il problema della cecità non è importante mentre lo è quello spaziale e del movimento. Un gioco vocale simile alla Camminata sonora è anche quello incluso nel volume La voce musicale di Marida Tosto. Qui è posto l’accento sull’importanza dell’agire cieco, «muoversi nello spazio solamente grazie al suono aguzza l’udito rendendolo più sensibile a tutte le sfumature sonore» (Tosto 2009: 136). Il gioco vocale del Seme cieco è un gioco che lavora sull’immaginazione, stimola la sensibilità corporea e il controllo vocale poiché la crescita dell’organismo è legata a doppio filo con l’evoluzione del suono vocale. La postura che via via si modifica è influenzata da come la voce prende corpo ed equilibrio. Allo stesso tempo la voce si modifica reagendo al tipo di movimento e di posizione che il corpo assume. Il feedback fra immaginazione e vocalità è mediato dal gesto e da questo è alimentato. La dimensione estetica che il gioco comporta consente di tenere alto il profilo qualitativo di ciò che accade. Tutti questi aspetti vanno a costituire il gesto improvvisativo e quello compositivo. Tutti e tre i giochi vocali che ho proposto intendono valorizzare la relazione fra improvvisazione e cecità. Partendo da una riflessione intorno al primo esercizio intendo esemplificare come il valore degli elementi pedagogici e didattici impliciti nel rapporto fra agire improvvisativo e agire cieco. Il risultato estetico degli esercizi è importante. Il valore formativo non è scisso da quello estetico. Dunque, i giochi proposti sono interessanti per un non vedente, ma sono fondamentalmente utili per chiunque intenda formarsi musicalmente. Il primo è un gioco vocale che coinvolge l’ascolto e la capacità di scegliere il momento opportuno per cantare. D’altra parte, la logica della scelta non dipende da considerazioni formali o strutturali del gioco, neanche da strategie condivise. Ciascuno “sente” quando è il momento opportuno di cantare, (si affida a un’idea di tempo più vicina a καιρός, piuttosto che a χρόνος o αἰών6). Fra un suono e l’altro possono esserci silenzi lunghi o brevi; silenzi, non pause. In un contesto nonlineare come questo, il suono fa risuonare il silenzio che diviene “materiale”. L’ascolto si concentra molto sulla materia del silenzio alla ricerca del momento giusto per ridare spessore a questo. Imparo il suono dal silenzio. Il problema di quando iniziare a cantare (e quando finire di cantare) è un problema importante per un improvvisatore. Si potrebbe pensare che c'è un momento “giusto” in cui iniziare a cantare e un momento in cui smettere. La stessa cosa avviene quando si discute in gruppo. Ad esempio, intervenire troncando la frase di un altro, oppure sovrapporre la propria voce a quella altrui, è qualcosa di sbagliato, che viola le norme di una corretta discussione di gruppo. Quest’analogia tiene anche in campo musicale, ma la consapevolezza di non “poggiare” il suono nel momento opportuno non deve sottomettersi alla regola che lo stabilisce. L'improvvisazione è quel campo d’indagine musicale nel quale le regole sono prese in considerazione, ma spesso sono violate oppure messe da parte per far spazio a nuove regole. A volte la dissoluzione di una 6 Kairos, Chronos e Aion sono i vari modi in cui si manifesta il tempo nell’antica Grecia. Kairos è il tempo del “momento giusto”, Chronos il tempo misurato e Aion il tempo eterno. regola apre la strada per la costituzione di un'altra. Inoltre, le regole del buon dialogo musicale si costituiscono il più delle volte durante la discussione stessa. Anche l'idea di errore connessa a quella di violazione di una regola si confà alle condizioni proprie di un contesto d’improvvisazione. Mentre nella composizione musicale la regola è esplicita e l'errore è individuabile e cancellabile, nell'improvvisazione musicale la regola è spesso implicita e l'errore impossibile da cancellare. In certi stili d’improvvisazione, come nel jazz, l'errore è valutato come una ghiotta occasione per farne una virtù, e dall’errore si costruiscono nuovi scenari musicali e nuove regole. D'altra parte, il tipo di regole di cui stiamo parlando è il tipo lineare di regole che ad esempio riguardano la buona condotta delle voci nella scrittura contrappuntistica, oppure la buona successione armonica nella modulazione. Analogamente, attaccare nel momento giusto per un improvvisatore, può significare entrare alla fine del solo precedente in un blues, oppure usare la scala musicale adeguata rispetto agli accordi del brano. Ma le regole interne di una composizione o di un’improvvisazione musicale non sono soltanto di natura lineare. Esse riguardano anche invarianze e dunque caratteristiche della musica che permangono nel tempo. Il “rispetto” di un’invarianza durante un’improvvisazione non è analoga al rispetto di una regola di tipo lineare. Tale rispetto può prescindere dal rapporto di consequenzialità degli eventi musicali, non dipende in sostanza dalle implicazioni che vedono legate le note una all'altra. Ciò significa che possiamo prescindere dalla preoccupazione di star producendo il suono “giusto”, se per giusto s’intende quel suono e soltanto quel suono che rispetta una qualche regola lineare stabilita dalla tradizione o stipulata per convenzione, viceversa ogni suono sarà quello giusto se rientra nel novero delle trasformazioni possibili rispetto a una certa invarianza. L'invarianza musicale inoltre è qualcosa che ogni improvvisatore individua secondo la sua cultura musicale e la sua estetica musicale. Questo significa che qualsiasi invarianza è “buona” per “poggiarvi” sopra un suono, e il rispetto di un’invarianza non è qualcosa di prescritto poiché avviene nel momento stesso dell'improvvisare. Quindi, un improvvisatore può rientrare nell'ambito del giusto e dello sbagliato secondo un insieme di regole di tipo lineare ma può anche prescindere da tali regole e adeguarsi a un’invarianza nel momento stesso in cui egli la individua pensando alla sua tenuta, secondo tutte quelle scelte che rappresentano trasformazioni possibili di tale invarianza. In tal caso non c’è un giusto o uno sbagliato ma un esemplificare una possibilità eventuale. Dunque sia la regola sia l'errore appaiono ridimensionati nella loro funzione secondo la direttrice lineare oppure nonlineare. Ecco che la preoccupazione di “quando entrare” è una preoccupazione che deve lasciare il posto alla consapevolezza dei suoni che in ogni momento presente io emetto, una coscienza potremmo dire costruttiva, anziché conservativa. Il gioco vocale dell’Illuminare il Silenzio ci consente di concentrarsi sul suono, sul tempo e sul silenzio per agire. Ma quest’azione non avviene in conformità a una qualche logica compositiva (non ci sono frasi musicali che dobbiamo considerare e rispettare, non ci sono antecedenti e conseguenti, non ci sono pause) ma dall'ascolto accurato, forte, del suono e delle sue qualità. C'è un esercizio molto interessante per due musicisti di Vinko Globokar (Globokar 1986) che stabilisce di iniziare a suonare cercando di attaccare nello stesso momento, quasi il contrario di quello appena descritto (con i musicisti posti di spalle). Fra un suono l’altro si fa una pausa per poi tentare di nuovo di attaccare insieme. Dopo un po’ (si può sperimentare facilmente), dopo circa due o tre tentativi, l’esercizio riesce, i due musicisti attaccano insieme. Globokar dice che il tempo da soggettivo diventa intersoggettivo. Allo stesso modo, il gioco dell’Illuminare il Silenzio riesce nel momento in cui è il silenzio che diventa intersoggettivo, il suono “illumina” brevemente il silenzio sul quale il suono di ogni partecipante si poggia (e ognuno viene “chiamato” dal silenzio a cantare proprio per mantenere la presenza del silenzio nel tempo). Il fatto che i partecipanti fossero bendati (come ciechi) fa convergere l’ascolto sul momento presente e amplifica la “drammaticità” dell’agire improvvisativo. Il bisogno di agire diviene un dovere di agire, la scelta è soggettiva ma allo stesso tempo guidata. Si sceglie di agire ma non è chiaro se si sceglie quando agire. In questi casi è molto meglio non pensare in modo lineare, piuttosto concentrarsi sulla natura del presente sonoro (del silenzio) e lasciar che il silenzio tiri fuori il suono dalla voce. La cecità entra nell’esercizio come analogia di un agire che risponde alle stesse regole, l’imprevedibilità e il valore del momento presente. Conclusioni Sulla base dei risultati ottenuti, dal punto di vista didattico sarebbe interessante in futuro approfondire il rapporto fra cecità, vocalità e improvvisazione musicale in un laboratorio musicale specifico. Alla fase di consapevolezza del rapporto fra cecità e gioco d’improvvisazione e all’esecuzione di alcuni giochi d’improvvisazione vocale, farei seguire un approfondimento delle strategie per costruire collettivamente altri giochi vocali, analizzerei le reazioni dei ragazzi non vedenti rispetto al valore formativo dei giochi proposti, sia dal punto di vista senso-motorio che estetico musicale. Dal punto di vista pedagogico, l’improvvisazione musicale potrebbe aprire un percorso d’indagine interessante e utile alla tiflologia; nel rapporto fra esperienza del presente e incertezza del futuro (imprevedibilità) il cieco può trovare le ragioni profonde della propria “versione del mondo”7 e aprire la strada per costruirsene una diversa, altrettanto viva e non per forza vincolata da quella dei vedenti. Ecco perché tutto è nato dal suono della dattilo braille, la prima volta che sono entrato in classe alla presenza di Manisha. Quel suono ha spinto il silenzio della lezione di musica in una dimensione inconsueta, per me disorientante, che mi ha costretto a cercare un senso possibile per “tornare a casa” e comprendere ciò che stava succedendo, facendo un percorso che gli improvvisatori e i non vedenti compiono ogni volta che agiscono. 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