la responsabilità dell`impresa giornalistica ex d.lgs. 8

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INDICE-SOMMARIO
ABBREVIAZIONI .............................................................................................. 5
PREMESSA...................................................................................................... 9
CAPITOLO I
LA RESPONSABILITÀ PENALE NEGLI ORGANI COLLEGIALI
1. La responsabilità penale dei componenti di organi collegiali. ................ 13
2. Il principio di personalità dell’illecito di cui all’art. 27, comma 1, della
Costituzione. ............................................................................................... 16
3. (Segue): Il concetto di “terzo” nel diritto penale. .................................... 27
4. “Reato collegiale” e concorso di persone nel reato. ................................. 33
5. Organi collegiali e attività giornalistica: tutela costituzionale e
dimensione sovranazionale. ........................................................................ 34
6. L’attività giornalistica come attività di impresa. ................................... 42
7. Impresa giornalistica e profili di responsabilità alla luce dell’attuale
panorama normativo. ................................................................................. 53
CAPITOLO II
LA TRADIZIONALE RESPONSABILITÀ PENALE NEL DIRITTO
PENALE DELLA STAMPA
1. La responsabilità penale del direttore del periodico ex art. 57 c.p. ........ 61
2. (Segue) Il criterio di imputazione soggettiva dell’evento. ....................... 65
3. L’esigenza di predisporre un meccanismo di controllo. .......................... 77
4. (Segue) Il ricorso alla delega di funzioni. ............................................... 78
5. L’ “automatismo” della responsabilità del direttore. .............................. 84
6. Direttore di giornale e mezzi di diffusione dell’informazione diversi dalla
carta stampata: responsabilità penali a confronto. .................................... 95
7. Il principio di personalità dell’illecito e il trattamento sanzionatorio
riservato al direttore dall’art. 57 c.p. ........................................................ 105
8. Le ulteriori ipotesi di responsabilità del direttore: a) il direttore autore
dello scritto; b) il concorso di persone nel reato. ....................................... 109
9. La responsabilità penale del direttore di giornale negli ordinamenti
stranieri. ................................................................................................... 111
1
10. (Segue): a) il sistema francese. ........................................................... 112
11. (Segue): b) l’ordinamento spagnolo. .................................................... 116
12. (Segue): c) l’ordinamento tedesco. ....................................................... 118
13. La fattispecie di omesso impedimento dei reati commessi col mezzo
della stampa nei progetti di riforma del codice penale italiano. .............. 120
CAPITOLO III
LA RESPONSABILITÀ DELL’IMPRESA GIORNALISTICA EX D.LGS. 8 GIUGNO 2001, N.
231?
1. Il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e il catalogo dei reati-presupposto. ...... 125
2. L’opportunità di inserire i reati commessi dal giornalista fra i reatipresupposto della responsabilità ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. ........... 135
3. Le soluzioni in ambito comparatistico: A) i sistemi di civil law. ......... 151
4. (Segue): a) il sistema francese. ............................................................. 152
5. (Segue): b) l’ordinamento spagnolo. ...................................................... 156
6. (Segue): c) il sistema tedesco. ............................................................... 160
7. B) I sistemi di common law: a) l’ordinamento inglese. ......................... 163
8. (Segue): b) il sistema statunitense........................................................ 166
9. L’interesse o il vantaggio dell’impresa giornalistica derivante dal reato
del giornalista. .......................................................................................... 168
10. I soggetti in posizione apicale e sottoposti all’altrui direzione all’interno
dell’impresa giornalistica. ........................................................................ 175
11. I modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i
reati-presupposto. ..................................................................................... 181
12. L’organismo di vigilanza all’interno dell’impresa giornalistica. ......... 189
13. Applicabilità all’impresa giornalistica del sistema sanzionatorio
delineato dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. ............................................... 192
14. (Segue) La pubblicazione della sentenza di condanna come specifica
sanzione diretta all’impresa giornalistica. ............................................... 198
CAPITOLO IV
DALLA RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE
ALLA RESPONSABILITÀ DELL’IMPRESA GIORNALISTICA: UN’ALTERNATIVA ALLA
SANZIONE PENALE
1. La possibilità di eliminare dal panorama normativo italiano l’art. 57 c.p.
.................................................................................................................. 203
2. Il necessario bilanciamento tra la libertà di espressione e l’esigenza di
prevenzione dei reati. ............................................................................... 205
2
3. Dal “danno criminale” al “danno civile”: la costituzione di parte civile nei
confronti dell’impresa giornalistica sottoposta a procedimento ai sensi del
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. ..................................................................... 211
4. Tutela dell’onore: un’alternativa alla sanzione penale. ........................ 215
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................... 217
3
ABBREVIAZIONI
AA.VV. = Autori vari.
Annali di dir. e proc. pen. = Annali di diritto e procedura penale.
app. = appendice.
App. = Corte di appello.
Arch. pen. = Archivio penale.
art. = articolo.
artt. = articoli.
Ass. = Corte di assise.
Ass. app. = Corte di assise di appello.
cap. = capitolo.
Cass. civ. = Cassazione civile.
Cass. pen. = Cassazione penale.
Cass. S.U. = Cassazione Sezioni Unite.
c.c. = codice civile.
C.E.D. Cass. = Centro Elettronico di Documentazione della
Suprema Corte di Cassazione.
cfr. = confronta.
cit. = citato.
Corte cost. = Corte costituzionale.
Corte eur. dir. uomo = Corte europea dei diritti dell’uomo
Cost. = Costituzione.
c.p.c. = codice di procedura civile.
c.p.m.g. = codice penale militare di guerra.
c.p.m.p. = codice penale militare di pace.
c.p.p. = codice di procedura penale.
Crim.L.R. = Criminal Law Review.
d.d.l. = disegno di legge.
Digesto pen. = Digesto delle discipline penalistiche.
Dir. & Giust. = Diritto e giustizia.
Dir. pen. e processo = Diritto penale e processo.
5
D.l. = decreto legge.
D.lgs. = decreto legislativo.
d.P.R. = decreto del Presidente della Repubblica.
Enc. dir. = Enciclopedia del diritto.
Enc. for. = Enciclopedia forense.
Enc. giur. = Enciclopedia giuridica Treccani.
Foro it. = Il Foro italiano.
G.I.P. = Giudice per le indagini preliminari.
G.U.P. = Giudice dell’udienza preliminare.
Giur. cost. = Giurisprudenza costituzionale.
Giur. it. = Giurisprudenza italiana.
Giur. merito = Giurisprudenza di merito.
Giust. pen. = La Giustizia penale.
Guida al dir. = Guida al diritto.
Indice pen. = L’Indice penale.
JW = Juristische Wochenschrift.
l. = legge.
Leg. pen. = La legislazione penale.
n. = numero.
NJW = Neue Juristische Wochenschrift
Noviss. dig. it. = Novissimo digesto italiano.
Nuovo dig. = Nuovo digesto italiano.
op. cit. = opera citata.
op. ult. cit. = ultima opera citata.
parag. = paragrafo.
p.m. = pubblico ministero.
pt. g. = parte generale.
pt. s. = parte speciale.
r.d.l. = regio decreto legge.
Riv. dir. proc. = Rivista di diritto processuale.
Riv. it. dir. e proc. pen. = Rivista italiana di diritto e procedura
penale.
Riv. it. dir. pen. = Rivista italiana di diritto penale.
Riv. it. med. leg. = Rivista italiana di medicina legale.
Riv. pen. = Rivista penale.
Riv. trim. dir. pen. econ. = Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia.
6
s. = seguente.
Sc. pos. = La Scuola positiva.
Sez. = sezione.
ss. = seguenti.
SZtrR =
Trib. = Tribunale.
t.u. = testo unico.
v. = vedi.
vol. = volume.
ZStW = Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissenschaft.
7
PREMESSA
Affrontare, in chiave comparatistica, il tema della
responsabilità penale negli organi collegiali, con particolare
riguardo all’Europa continentale ed agli ordinamenti di common
law, significa approfondire un argomento centrale e complesso
dell’attuale dibattito giuridico. Infatti, il fenomeno della
collegialità - sia nel settore pubblico sia in quello privato risponde alla finalità di risolvere le molteplici problematiche
derivanti dall’articolazione delle moderne organizzazioni
economico-sociali e si assiste ad un sempre più frequente ricorso,
da parte delle pubbliche amministrazioni e dei privati, a moduli
organizzativi complessi, tendenti ad una capillare distribuzione
di competenze e di poteri in capo a organi collegiali.
Nell’ambito di tali organizzazioni complesse la struttura
pluripersonale dell’organo collegiale assume un rilievo
meramente interno, mentre attraverso l’adozione di una
deliberazione le volontà particolari delle singole persone fisiche che appaiono all’esterno come soggetto unico - si fondono in
un’unica volontà: quella dell’ente di appartenenza. Il tema della
responsabilità penale personale dei componenti degli organi
collegiali che operano in seno a società o alla pubblica
amministrazione manifestando la volontà dell’ente di
appartenenza ed, in particolare, l’imputabilità sul piano
psicologico di reati ad ogni membro dell’organo amministrativo
della società (magari assente o dissenziente rispetto all’opinione
di maggioranza che si estrinseca nella delibera formale), appare
una questione particolarmente problematica.
9
Premessa
Nel settore pubblico, ad esempio, spesso i singoli
componenti degli organi di governo locale – a causa della
mancanza di una specifica competenza professionale – non sono
in grado di valutare e ponderare nella loro totalità tutte le
implicazioni delle delibere che formalmente concorrono ad
approvare e che, in definitiva, finiscono per costituire
espressione anche della loro volontà. Innumerevoli sono stati i
casi di amministratori pubblici elettivi sottoposti a procedimenti
penali per delibere solo formalmente a loro imputabili. O ancora,
nell’ambito delle amministrazioni delle società l’effettiva
collegialità sovente cede il posto ad una prassi in cui le decisioni
sono assunte da pochi membri del consiglio e solo formalmente
condivise dagli altri amministratori che talvolta accettano le
cariche per puro prestigio. Non poche difficoltà si pongono,
allora, nell’imputazione dell’illecito penale in presenza di un
fatto di reato scaturito dall’attività di un organo pluripersonale
che rischia di “estendersi” all’intero organo collegiale.
Tale tema, però, è intimamente connesso anche alla
problematica relativa alla eventuale responsabilità degli enti.
Mentre gli ordinamenti di civil law tentano di restare ancorati ai
principi che costituiscono il tradizionale sostrato del loro diritto
penale e civile, nel mondo anglosassone la responsabilità penale
delle persone giuridiche è indiscussa e connotata dalla incisività
del sistema sanzionatorio: nei sistemi giuridici anglosassoni la
responsabilità penale delle universitas era, ed è, un dato
acquisito. La corporate criminal liability rimarca l’impatto lesivo
degli interessi individuali e collettivi delle attività criminali
delle grandi imprese. Negli ordinamenti di common law si sta
assistendo ad una fase di “espansione” della responsabilità
penale degli enti – siano essi pubblici o privati – poiché il
corporate crime affonda le sue radici sul concetto di
immedesimazione tra ente ed individuo che per esso agisce (1).
(1) Invece, la possibile configurabilità della responsabilità penale delle
persone giuridiche, alla luce della disciplina introdotta dal D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, è ipotesi difficilmente configurabile nel nostro ordinamento per
il principio societas delinquere non potest.
10
Premessa
Naturalmente, poiché i profili tratteggiati sono troppo
estesi per essere esaustivamente trattati, è necessario effettuare
una scelta di approfondimento selettivo. Alla luce di tali
considerazioni, la tematica della responsabilità penale negli
organi collegiali nell’Europa continentale e negli ordinamenti di
common law può essere più proficuamente considerata
all’interno dell’attività di impresa e, più segnatamente, nel
settore dell’impresa giornalistica. In tale ambito, infatti, si pone,
da un lato, il problema della responsabilità “professionale” dei
giornalisti e delle redazioni di giornalisti nelle quali questi
operano, cioè nell’organo collegiale (comitato di redazione) e dei
rapporti di questo con la direzione del giornale; dall’altro, si
pone la questione inerente all’eventuale responsabilità degli
organi collegiali della struttura societaria proprietaria del
giornale (consigli di amministrazione, collegi sindacali).
L’attività giornalistica non si esaurisce, infatti, nell’attività
professionale esercitata da un singolo professionista, poiché essa
si inserisce in un più ampio contesto di natura imprenditoriale:
nel momento in cui la libertà di espressione del proprio pensiero
diviene frutto dell’attività di informazione, il luogo naturale in
cui quest’ultima si svolge coincide quasi sempre con una
organizzazione che si identifica nell’impresa editoriale. La
manifestazione del pensiero, infatti, oltre che esercizio di una
libertà individuale, può costituire anche oggetto di un’attività
economica esercitata in forma di impresa. Talvolta, però, gli
episodi diffamatori perpetrati attraverso la pubblicazione di
articoli giornalistici, possono essere ricondotti a vere e proprie
forme di criminalità di impresa. Non è raro, infatti, che la
pubblicazione di determinati articoli consenta a quotidiani o a
periodici a tiratura nazionale di incrementare le vendite: la
ripetuta pubblicazione di articoli lesivi dell’onore e della
reputazione potrebbe essere il frutto di mirate scelte d’impresa
poste in essere nell’interesse e a vantaggio della stessa impresa
editoriale o della c.d. linea editoriale del giornale (magari per
11
Premessa
ragioni di competizione politica o di concorrenza economica). In
tale ottica sembra opportuno approfondire, da un lato, la
compatibilità dell’art. 57 del codice penale (2) con il principio di
personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, comma
1, Cost. (3); dall’altro, in un’ottica de iure condendo e
mantenendo comunque ferma la responsabilità penale
dell’autore dell’articolo, l’opportunità di eliminare dal sistema
normativo l’art. 57 c.p., tenuto anche conto dell’imprescindibile
inserimento dell’attività giornalistica all’interno dell’attività
imprenditoriale. Il panorama normativo esistente, infatti, offre
uno strumento idoneo a reprimere i fenomeni sopra descritti: il
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità
amministrativa degli enti. Il legislatore, allora, potrebbe
valutare l’opportunità di inserire i reati a mezzo stampa fra i
reati-presupposto della responsabilità dell’impresa giornalistica.
In tal modo - rispetto al mero controllo del direttore richiesto
dall’art. 57 del codice penale - l’adozione di modelli di
organizzazione e di gestione potrebbe contribuire a superare le
perplessità che connotano il fenomeno in esame proprio
attraverso
la
configurabilità
di
una
responsabilità
amministrativa della impresa giornalistica.
Proprio per chiarire gli aspetti sopra sinteticamente
illustrati è necessaria una indagine in chiave comparatistica,
anche alla luce delle recenti tendenze alla armonizzazione in
materia penale delle legislazioni dei Paesi appartenenti
all’Unione Europea.
(2) Che prevede la responsabilità del direttore o vicedirettore per
omesso controllo sul contenuto della pubblicazione.
(3) Secondo cui «la responsabilità penale è personale».
12
CAPITOLO I
LA RESPONSABILITÀ PENALE NEGLI ORGANI COLLEGIALI
SOMMARIO: 1. La responsabilità penale dei componenti di organi collegiali – 2.
Il principio di personalità dell’illecito di cui all’art. 27, comma 1, della
Costituzione. – 3. (Segue): Il concetto di “terzo” nel diritto penale. 4 –
“Reato collegiale” e concorso di persone nel reato – 5. Organi collegiali
e attività giornalistica: tutela costituzionale e dimensione
sovranazionale. – 6. L’attività giornalistica come attività di impresa. –
7. Impresa giornalistica e profili di responsabilità alla luce dell’attuale
panorama normativo.
1. La responsabilità penale dei componenti di organi
collegiali.
L’attuale realtà economico-sociale impone, con sempre
maggiore frequenza, il ricorso a strutture organizzative in cui la
presenza di organi collegiali assume un’importanza sempre più
significativa, stante l’irrinunciabile necessità di procedere ad
una sistematica ripartizione di ruoli e poteri finalizzata ad un
efficace funzionamento delle strutture, sia pubbliche che private,
all’interno delle quali essi operano.
In un’ottica penalistica le problematiche emergenti
dall’osservazione di tale fenomeno, e che appaiono degne di
approfondimento, sono molteplici e ricavabili dal concreto
funzionamento del “sistema collegiale”. Basti pensare, ad
esempio, al momento in cui una deliberazione collegiale di un
provvedimento amministrativo si inserisce nel decorso causale
realizzativo del delitto di abuso di ufficio (1). In tal caso non
(1) Cass. pen. Sez. VI, 1.2.1990, Papale, in C.E.D. Cass., n. 183188
secondo cui «ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 323 c.p., l’abuso
può commettersi pure mediante l’apporto del singolo pubblico ufficiale a
risoluzioni collegiali, giacché anche la partecipazione ad un atto collegiale è
esercizio dell’attività del pubblico ufficiale».
13
La responsabilità penale negli organi collegiali
pochi problemi si pongono a proposito dell’individuazione della
responsabilità penale individuale della singola persona fisica che
partecipa alla formazione di un atto collegiale: il pericolo più
insidioso è che nel procedere all’attribuzione delle responsabilità
ci si fermi alle qualifiche formali. Il fenomeno non può essere
sottovalutato, soprattutto con riferimento alle realtà societarie,
in cui gli organi di gestione e di controllo sono composti da una
pluralità di soggetti riuniti in collegio.
La giurisprudenza, sovente, allettata da soluzioni
generaliste, finisce col procedere alla «parificazione assurda
delle responsabilità individuali nell’ambito di organi collegiali,
nell’indifferenza alle dinamiche e alle logiche organizzative
reali» (2); ed è, così, giunta a chiamare a rispondere per
bancarotta fraudolenta tutti gli amministratori e i sindaci di un
istituto di credito sulla base di un omesso esercizio di quei poteri
che, secondo i giudici, sarebbero stati idonei a prevenire il
perpetrarsi degli atti distrattivi del patrimonio sociale (3). In
particolare, secondo la Corte di merito «l’atteggiamento
positivamente connivente degli amministratori si pone quale
fatto oggettivamente collegato da adeguato nesso causale
all’illecita attività dell’amministratore delegato, collocandosi alla
serie causale produttiva dell’evento quale momento di
rafforzamento della volontà criminosa del suddetto organo
sociale» (4). L’accertamento del nesso causale viene, quindi,
messo in discussione fino al punto di essere considerato quasi
“implicito” nello stesso comportamento omissivo. Né tantomeno
(sempre nell’ambito del medesimo caso concreto) è andato esente
da responsabilità penale l’amministratore assente alle riunioni
di consiglio, a nulla rilevando che si trovasse all’oscuro di ciò che
(2) A. ALESSANDRI, Un esercizio di diritto penale simbolico: la tutela
penale del risparmio, in AA. VV., La legge per la tutela del risparmio. Un
confronto tra giuristi ed economisti, a cura di P. Abbadessa e F. Cesarini,
Bologna, 2007, 185.
(3) Trib. Milano, 16.4.1992, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1995, 1477,
confermata da App. Milano, 10.6.1996, ivi, 1998, 571.
(4) Trib. Milano, 16.4.1992, cit.
14
La responsabilità penale negli organi collegiali
si stava deliberando all’interno dell’organo collegiale di
appartenenza. Ecco che allora un soggetto appartenente
all’organo collegiale, pur non avendo partecipato alla discussione
che ha preceduto la deliberazione, viene chiamato a rispondere
del reato commesso attraverso l’adozione della delibera stessa
(5). E simili rilievi valgono anche per l’amministratore
dissenziente che abbia omesso di fare annotare il proprio
dissenso nei termini prescritti dalla legge. Nell’ambito
dell’organo di gestione, si è inoltre posto il problema circa la
possibile rilevanza in sede penale dell’annotazione del dissenso
espresso dall’amministratore secondo le modalità indicate dal
terzo comma dell’art. 2392 c.c. Sul punto la Suprema Corte ha
affermato che l’annotazione ex art. 2392, terzo comma, c.c.
farebbe venire meno la responsabilità penale in quanto «gesto di
indubbio peso probatorio anche per il versante penale poiché
l’amministratore avrebbe attestato l’interruzione del legame
concorsuale con gli altri autori del reato» ( 6) e, pertanto, laddove
nell’ipotesi in cui l’amministratore dissenziente osservasse
quanto prescritto dalla norma civilistica non potrebbe essere
ritenuto responsabile dell’illecito penale eventualmente
realizzato con la deliberazione dell’organo collegiale. Ma è chiaro
che una condotta informata al rispetto dei principi civilistici non
sembra possa dispiegare un automatico effetto liberatorio anche
in sede penale. Anziché procedere ad una valutazione, in
concreto, di tutti i comportamenti dei singoli membri che
compongono l’organo collegiale ed accertarne l’incidenza sul
piano dell’elemento oggettivo e soggettivo, parte della
giurisprudenza preferisce rifugiarsi dietro più “comodi” principi
di diritto civile. Ecco che allora, soprattutto nell’ambito del
diritto penale societario, si registra la tendenza a precostituire
celate forme di responsabilità di posizione.
Quanto sin qui affermato consente di evidenziare il
duplice profilo dal quale il problema della responsabilità penale
(5) Cass. pen. Sez. VI, 31.1.1989, Imperato, in Riv. pen., 1990, 882.
(6) Cass. pen. Sez. V, 5.11.2008, Ferlatti, in C.E.D. Cass., n. 45513.
15
La responsabilità penale negli organi collegiali
negli orgni collegiali può essere osservato: il rispetto del
principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art.
27 della Costituzione e l’istituto del concorso di persone nel
reato, disciplinato dagli artt. 110 e ss. del codice penale. Il
principio costituzionale di personalità dell’illecito, infatti, e il
concorso di persone nel reato costituiscono due capisaldi del
diritto penale che - sebbene apparentemente sembrano tendere
verso direzioni opposte - rappresentano un irrinunciabile punto
di osservazione della problematica in esame (7).
2. Il principio di personalità dell’illecito di cui all’art. 27,
comma 1, della Costituzione.
Non può negarsi che l’intero sistema penale vada riletto e
interpretato attraverso il “filtro” della Costituzione (8). La
(7) A fronte di una vastissima letteratura italiana e straniera
sull’istituto del concorso di persone nel reato, non sembra riservarsi
particolare attenzione per la tematica della responsabilità penale dei singoli
per la delibera collegiale. Sul tema, ma in riferimento al solo aspetto causale:
U. GIULIANI BALESTRINO, Problemi generali dei reati societari, Giuffrè,
Milano, 1978, 134; M. DONINI, La partecipazione al reato tra responsabilità
per fatto proprio e responsabilità per fatto altrui, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1984, 175; F. MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale e delle
riserve obbligatorie per legge, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura
di A. Alessandri, Ipsoa, Milano, 2002, 310. Da ultimo, cfr. F.M. DE MARTINO,
Sulla responsabilità dei singoli negli organi collegiali, in Giust. pen., 2008, II,
585.
Nella dottrina tedesca, a proposito dei criteri di imputazione della
responsabilità per la partecipazione alla formazione di delibere collegiali
criminose B. WEIßER, Kausalitäts- und Täterschaftsprobleme bei der
strafrechtlichen
Würdigung
pflichtwidriger
Kollegialentscheidungen ,
Duncker & Humblot, Berlin, 1996.
(8) Così S. CANESTRARI- L. CORNACCHIA- G. DE SIMONE, Manuale di
diritto penale, Il Mulino, Bologna, 2007, 41.
Circa la necessità di postulare uno stretto collegamento tra l’art. 27,
comma 1, Cost. e le problematiche generali inerenti alle scelte di
16
La responsabilità penale negli organi collegiali
dottrina è pressoché unanime nel riconoscere l’indiscutibile
incidenza dei principi costituzionali sull’attività di esegesi delle
norme penali e anche il codice penale, nonostante costituisca un
corpus normativo assai pregevole e sistematicamente ben
costruito, necessita della “bussola” costituita dai principi
costituzionali (9). Dalla sua entrata in vigore ad oggi la
Costituzione ha assunto sempre maggiore importanza, sia in
riferimento alle singole norme penali incriminatrici, sia,
soprattutto, in ordine alla stessa teoria generale del reato. A
differenza dello Statuto Albertino – una costituzione “corta” che
non menzionava in modo specifico il diritto penale – essa
annovera al suo interno una serie di disposizioni che si pongono
alla base del sistema penale e, tra questi, un’importanza
fondamentale assumono gli articoli 25 e 27 (10). Sia il principio di
legalità che quello di personalità della responsabilità penale,
infatti, si connotano per una immediata ed essenziale rilevanza
nei confronti del legislatore penale e dell’interprete.
Se da un lato, però, la Costituzione contempla lo spettro
dei principi del nostro ordinamento positivo e ha dato contributi
decisivi all’affermazione e alla difesa di garanzie liberali in
campo penale, dall’altro non può e non deve negarsi che tali
principi sono suscettibili di molteplici opzioni interpretative (11).
criminalizzazione cfr. G.A. DE FRANCESCO, Il principio della personalità della
responsabilità penale nel quadro delle scelte di criminalizzazione , in Riv. it.
dir. proc. pen., 1996, 21.
(9) Così A. CADOPPI – P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale, pt. g.,
3ª ed., Cedam, Padova, 2007, 60.
(10) B. ROMANO, Guida alla parte generale del diritto penale , Cedam,
Padova, 2009, 26 e 168 ss.
Sui riferimenti alla materia penalistica rinvenibili all’interno della
Costituzione cfr. M. SPASARI, Diritto penale e Costituzione, Giuffrè, Milano,
1966.
(11) I principi costituzionali hanno gradualmente assunto un sempre
maggiore rilievo anche all’interno della stessa manualistica di diritto penale
ponendosi, in un primo momento, come «conferma» di principi già contenuti
nel codice penale per giungere infine ad essere considerati come irrinunciabili
punti di riferimento per una «trattazione del diritto penale che non voglia
17
La responsabilità penale negli organi collegiali
Proprio con riferimento al primo comma dell’art. 27 Cost. non
poche difficoltà si pongono all’interprete che intende cimentarsi
nell’attribuire un significato a tale disposizione (12). Ciò, del
resto, è confermato dal fatto che sia nella dottrina penalistica
che nella giurisprudenza della Corte costituzionale il principio di
personalità ha assunto una molteplice dimensione semantica,
frutto di visioni differenti. Diverse, infatti, sono state le
interpretazioni che, dall’entrata in vigore della Costituzione ad
oggi, hanno avuto ad oggetto la disposizione di cui si discute, ma
la presenza di molteplici visioni della norma è comprensibile
poiché la lettera del primo comma dell’art. 27 Cost. di per sé non
fornisce all’interprete dei sicuri punti di riferimento: essa può
«conciliarsi vuoi con l’interpretazione oggettiva, vuoi con quella
soggettiva» (13). Tale disposizione è stata definita, infatti, una
classica «norma aperta, in grado cioè di recepire contenuti
sempre nuovi assecondando i progressi della scienza penalistica
e delle scienze ad essa complementari» (14).
rischiare di essere scientificamente obsoleta e insensatamente lontana dallo
stesso diritto vivente»: G. FLORA, Il rilievo dei principi costituzionali nei
manuali di diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 1187.
(12) La lettura della locuzione la responsabilità penale è personale
«rivela una desolante laconicità». L’efficace espressione è di A. ALESSANDRI,
Commento all’art. 27, comma 1 Cost., in Commentario della Costituzione.
Rapporti civili (art. 27 – 28), a cura di G. Branca – A. Pizzorusso, Bologna Roma, 1991, 4. L’A. afferma altresì che la norma si colloca in una posizione di
«cerniera» tra le altre statuizioni penalisticamente rilevanti.
(13) G. VASSALLI, Responsabilità penale per i reati commessi col mezzo
della stampa, Giuffrè, Milano, 1969, 80. Gli stessi costituenti palesarono non
poche preoccupazioni sulla possibilità che l’espressione contenuta nel primo
comma dell’art. 27 Cost. potesse determinare l’insorgere di equivoci
interpretativi tanto da proporne l’eliminazione.
Data la partizione delle norme costituzionali in precettive (suscettibili
o meno di immediata applicazione) e programmatiche si iniziò
immediatamente a discutere sul valore precettivo o programmatico della
norma de qua.
(14) G. FLORA, «La responsabilità penale personale» nelle sentenze
della Corte costituzionale, in «Temi», Riv. giur. it., 1974, 276. L’A. precisa che
tale tipologia di norme è molto frequente nell’ambito della normativa
18
La responsabilità penale negli organi collegiali
È noto che sulla base di una visione restrittiva, la
dottrina, inizialmente, ha ritenuto che l’art. 27, comma 1, Cost.
si limitasse a fissare il divieto di responsabilità per fatto altrui
(15). In tale ottica l’attribuzione della responsabilità penale
troverebbe fondamento nella sussistenza di un fatto proprio
ravvisabile grazie alla presenza di un nesso di causalità
materiale tra la condotta del soggetto e l’evento. Il fatto, cioè,
può considerarsi proprio di un soggetto e, quindi, non altrui,
quando alla sua realizzazione questi abbia dato un qualsiasi
contributo: il criterio causale, pertanto, garantirebbe il rispetto
costituzionale poiché proprio le norme costituzionali, ancor più di quelle
ordinarie, sono formulate in modo da consentire l’ampliamento dell’ambito
della loro efficacia in armonia con l’incessante evoluzione delle esigenze
dell’individuo e della società. Pertanto ritiene l’art. 27 Cost. suscettibile di
una triplice diversa interpretazione: divieto di responsabilità per fatto altrui;
divieto di responsabilità per fatto proprio incolpevole; divieto di
responsabilità per fatto proprio incolpevole e necessità di commisurare la
responsabilità alla personalità dell’autore.
(15) P. NUVOLONE, Le leggi penali e la costituzione, Milano, 1953, 33;
G. VASSALLI, Sulla legittimità costituzionale della responsabilità obiettiva per
fatto proprio, in Giur. cost., 1957, 1005.
Anche la Corte costituzionale nell’arco di circa un ventennio ha
sostanzialmente condiviso tale visione considerando il principio di personalità
dell’illecito come espressione della responsabilità per fatto proprio intesa
come divieto di responsabilità per fatto altrui. Tra le pronunce che possono
ricondursi a tale visione: Corte cost., 4.4.1985, n. 102, in Foro it., 1985, I,
1914; Corte cost., 21.3.1974, n. 88, in Giust. pen., 1974, I, 213; Corte cost.
21.12.1972, n. 190, in Giust. pen., 1973, I, 80; Corte cost., 5-8.7.1971, n. 167,
in Giust. pen., 1972, I, 53; Corte cost., 11-17.2.1971, n. 20, in Giust. pen.,
1971, I, 214; Corte cost., 18-24.5.1967, n. 62, in Giust. pen., 1967, I, 423;
Corte cost., 9-3.6.1965, n. 54, in Giust. pen., 1964, I, 257.
L’interpretazione del comma 1 dell’art. 27 della Costituzione nel suo
primo significato di divieto di responsabilità per fatto altrui (sia per fatti
della collettività o anche semplicemente non propri) fu ritenuta del tutto
pleonastica, se non anacronistica, trattandosi di un principio entrato nel
sentimento giuridico universale più di un secolo e mezzo prima dell’entrata in
vigore della Costituzione. Tra i primi a sostenere tale assunto A. CASALINOVO,
Norme penali nel progetto di Costituzione della repubblica italiana, in Giust.
pen., 1947, I, 49.
19
La responsabilità penale negli organi collegiali
del principio costituzionale di responsabilità per fatto proprio,
nel senso di divieto di responsabilità per fatto altrui (16).
L’originaria lettura del primo comma dell’art. 27 della
Costituzione si è essenzialmente concentrata solo su uno degli
aspetti emergenti dalla norma in questione: la responsabilità
per fatto proprio. Ci si è accontentati della riferibilità del fatto al
soggetto sul piano del nesso causale per ritenere risolto il
problema dell’imputazione oggettiva della responsabilità penale
(17).
Secondo un’ulteriore impostazione, poi, la responsabilità
penale può dirsi personale solo se il soggetto agente sia in grado
di esercitare un dominio personale sul fatto: tra il primo e il
secondo deve potersi individuare una relazione di evitabilità
(16) Prendendo le mosse dai lavori preparatori, a proposito dell’art. 27,
comma 1, Cost. – nella consapevolezza che le convinzioni dei compilatori non
possano assumere una portata vincolante per l’interprete – sembrerebbe
emergere che l’Assemblea costituente, al fine di evitare il ripetersi delle
tragiche esperienze della seconda guerra mondiale, avesse inteso bandire le
cosiddette «pene collettive» (l’estensione della responsabilità ai familiari
innocenti di appartenenti a determinate correnti politiche, la responsabilità
collettiva nelle punizioni esemplari, le deportazioni di massa e simili).
L’inserimento di un principio di così «elementare giustizia» era, secondo
alcuni, dovuto all’esigenza di «dare un solenne monito alle generazioni
venture, a cagione della esperienza di un recente passato»: D. FOLIGNO, Il
principio costituzionale della responsabilità personale e la responsabilità del
direttore di giornale periodico, in Riv. pen., 1956, I, 768. Tuttavia, nonostante
la posizione di quella dottrina che considera tale visione «un pericoloso errore
di prospettiva storica e giuridica» in quanto in tali casi ci si trova di fronte a
crimini contro l’umanità e non a violazioni del principio di responsabilità
penale personale poiché il loro esercizio non risultava legato ad alcun potere
di natura giurisdizionale (A. ALESSANDRI, Commento all’art. 27, comma 1
Cost., cit., 61), non sembra insensato ritenere contemplata nella Costituzione
anche una affermazione di tale tenore.
(17) Per la tesi che assimila il principio di responsabilità per fatto
proprio con la sussistenza di un nesso causale tra l’azione o l’omissione del
soggetto e l’evento v. P. NUVOLONE, Le leggi penali, cit., 33, 120; G. VASSALLI,
Sulla legittimità costituzionale, cit., 1005.
20
La responsabilità penale negli organi collegiali
finalistica. Sarebbe proprio quest’ultima a identificare il
carattere personale della responsabilità penale (18).
La lettura tradizionale, invece, interpreta l’aggettivo
«personale», oltre nel senso di necessaria presenza di un nesso
causale tra la condotta e l’evento, nella ulteriore accezione di
«colpevole»: l’attenzione degli studiosi, infatti, si è
essenzialmente focalizzata sul profilo soggettivo del reato (19). A
tal proposito, però, l’atteggiamento della Corte costituzionale
sino ad oggi è stato caratterizzato dallo sforzo di dimostrare che
le forme di responsabilità che vengono sottoposte al suo giudizio
di costituzionalità non si presentano come ipotesi di
responsabilità oggettiva (20).
(18) A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Priulla, Palermo, 1960, 410; ID.,
Fatto, condotta illecita e responsabilità oggettiva , in Riv. it. dir. e proc. pen.,
1985, 645 ss.; F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, Giuffrè, Milano,
1984, 68; S. ARDIZZONE, I reati aggravati dall’evento. Profili di teoria
generale, Giuffrè, Milano, 1984, 205; V. MILITELLO, Rischio e responsabilità
penale, Giuffrè, Milano, 1988, 258.
(19) Tra gli altri: G. FLORA, «La responsabilità penale personale», cit.,
277; F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., 5a ed., Cedam, Padova, 2007, 285.
(20) Il concetto di rimproverabilità del fatto assume una portata
centrale nella storica sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale (in
Foro it., 1988, I, 1385, con nota di G. FIANDACA, Principio di colpevolezza ed
ignoranza scusabile della legge penale: “prima lettura” della sentenza n.
364/88; in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 686, con nota di D. PULITANÒ, Una
sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza) e viene
ulteriormente specificato nella successiva pronuncia n. 1085 del medesimo
anno (in Foro it., 1989, I, 1378 con nota di A. INGROIA, Ulteriori sviluppi del
riconoscimento costituzionale del principio di colpevolezza: parziale
incostituzionalità del furto d’uso) nella quale si sottolinea che «non soltanto
risulta indispensabile, ai fini dell’incriminabilità, il collegamento (almeno
nella forma della colpa) tra soggetto agente e fatto ma risulta altresì
necessaria la rimproverabilità dello stesso soggettivo collegamento». E
pertanto «perché l’art. 27, primo comma, Cost, sia pienamente rispettato e la
responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti
e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della
fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè, investiti dal
dolo o dalla colpa) ed e altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti
elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente
21
La responsabilità penale negli organi collegiali
A distanza di più di un ventennio dalle sentenze n. 364 e
n. 1085 del 1988 la Corte costituzionale non è intervenuta – così
come invece ci si sarebbe aspettato – dichiarando
l’incostituzionalità di quelle che vengono tradizionalmente
considerate le ipotesi di responsabilità oggettiva presenti nel
nostro ordinamento (21). Ecco che allora ancora oggi è possibile
disapprovati». Da ultimo, infine, va segnalata Corte cost., 24.7.2007, n. 322,
in Dir. pen. e processo, 2007, 1461, con nota di L. RISICATO, L’errore sull’età
tra error facti ed error iuris: una decisione “timida” o “storica” della Corte
costituzionale?; in Fam. e dir., 2007, 979, con nota di P. PITTARO, La consulta
introduce nei reati sessuali l’ignoranza inevitabile dell’età del minore ; in
Cass. pen., 2008, 21, con nota di G. ARIOLLI, L’ignoranza dell’età della vittima
nell’ambito dei delitti contro la libertà sessuale: un necessario
contemperamento tra il principio di colpevolezza e le esigenze di tutela
dell’intangibilità sessuale dei soggetti deboli . Si tratta della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 609-sexies c.p. - secondo cui l’autore di atti
sessuali con minore infraquattordicenne non può invocare a propria scusa
l’ignoranza dell’età della persona offesa - sollevata in riferimento all’art. 27,
primo e terzo comma, Cost. e ritenuta inammissibile dalla Corte
costituzionale. Quest’ultima, nonostante abbia riconosciuto la correttezza
delle premesse argomentative del remittente, ha preferito optare per
l’inammissibilità della questione per mancata verifica della possibilità di
un’interpretazione secundum constitutionem della norma impugnata e
l’inadeguatezza della motivazione in ordine alla rilevanza della questione nel
giudizio a quo. Pertanto, alla luce della sentenza n. 364 del 1988 non è
possibile ritenere sancita dall’art. 609-sexies c.p. una presunzione assoluta,
iuris ed de iure, della conoscenza dell’età del minore infraquattordicenne, ma
occorre interpretare la norma nel senso che, nei reati sessuali ivi previsti “il
colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona
offesa, a meno che non si tratti di una ignoranza inevitabile”. Il problema
sarà procedere alla verifica dell’effettivo contenuto di tale “inevitabilità” dal
momento che la Corte costituzionale non ha fornito precise indicazioni in tal
senso. Sulla questione, che si inserisce, tra l’altro, nella più ampia tematica
dell’intangibilità sessuale di soggetti considerati, in ragione dell’età, incapaci
di una consapevole autodeterminazione agli atti sessuali e particolarmente
esposti ad abusi v., per tutti, B. ROMANO, Delitti contro la sfera sessuale della
persona, 4ª ed., Cedam, Padova, 2009, 157 ss.
(21) La «forza demolitrice» delle sentenze della Corte costituzionale
«non si è spinta oltre»: B. ROMANO, Guida alla parte generale, cit., 306.
22
La responsabilità penale negli organi collegiali
affermare che «le innovative pronunce della Corte, mentre sono
di rilevantissima importanza sul piano dei principi, hanno inciso
direttamente su zone marginali del sistema penale e soprattutto
della sua prassi applicativa» (22).
Nonostante un fatto di reato appaia, prima facie,
imputabile ad un soggetto sotto il profilo del dolo o della colpa
potrebbe non essere comunque rispettata la responsabilità per
fatto proprio essendo indispensabile, in via preliminare,
attribuire oggettivamente il fatto materiale al suo autore
soprattutto nel momento in cui un soggetto del quale si intende
accertare la responsabilità penale “entra in contatto” con il fatto
di un terzo. Solo successivamente occorrerà verificare la
sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al primo:
l’imputazione oggettiva rappresenta un profilo indipendente e
prioritario rispetto all’imputazione soggettiva e come tale deve
costituire oggetto di un’autonoma indagine (23). Invece, l’oblio
che ha “fagocitato” il principio di responsabilità penale per fatto
proprio del singolo soggetto ha indotto la dottrina ad
“accantonare” anche il suo significato “uguale e contrario”, cioè il
divieto di responsabilità per fatto altrui, per dedicarsi allo studio
del significato evolutivo dell’art. 27, comma 1, Cost.: il principio
di colpevolezza inteso come divieto di responsabilità oggettiva. E
quello che avrebbe dovuto costituire il punto nodale – la
responsabilità per fatto proprio – è stato, per così dire, assorbito
dal problema della responsabilità oggettiva. Ma i concetti di
Interessante sarebbe verificare inoltre, ma ciò esula dall’oggetto della
nostra indagine, come negli ultimi cinquanta anni la Corte costituzionale si
sia avvalsa dei principi costituzionali per procedere al controllo di legittimità
sulle norme penali. A questo proposito ci appaiono condivisibili le
osservazioni di E. BELFIORE, La giurisprudenza costituzionale attaverso al
lente del penalista, in Principi costituzionali in materia penale e fonti
sovranazionali e fonti sovranazionali , a cura di D. Fondaroli, Cedam, Padova,
2008, 47.
(22) A. ALESSANDRI, Commento all’art. 27, comma 1 Cost., cit., 79.
(23) In tal senso, M. DONINI, Il principio di colpevolezza, in AA. VV.,
Introduzione al sistema penale, vol. I, 3ª ed., Giappichelli, Torino, 2006, 251.
23
La responsabilità penale negli organi collegiali
responsabilità per fatto altrui e responsabilità oggettiva non
sono identificabili: «nei casi di responsabilità oggettiva il
soggetto risponde sempre per fatto proprio e l’anomalia consiste
nel fatto che l’evento è riferito all’agente prescindendo dal dolo o
dalla colpa, nella responsabilità per fatto altrui si prescinde
anche dal nesso di causalità materiale e l’anomalia consiste
proprio nel rispondere per l’illecito di terzi» (24). È proprio
quest’ultimo aspetto che sembra essere meritevole di rinnovata
attenzione: il divieto di responsabilità penale per fatto altrui
quale contenuto minimo dell’art. 27, comma 1, Cost. (25).
Prevalentemente, però, si ritiene che il significato minimo
di divieto assoluto di responsabilità per fatto altrui, attribuito
originariamente al primo comma dell’art. 27 della Costituzione,
banalizzi il significato innovativo del disposto costituzionale, non
trovando alcuna conferma nella legislazione penale; disconosca
l’irrinunciabile esigenza di colpevolezza; contrasti col finalismo
rieducativo della pena essendo privo di ogni logica sottoporre a
rieducazione un soggetto cui non può essere mosso alcun
rimprovero per l’evento causato; non trovi alcuna conferma nella
celeberrima pronuncia n. 364 del 1988 della Corte costituzionale
(26). Tali argomentazioni, che hanno condotto la dottrina ad
(24) Così F. MANTOVANI, La responsabilità per i reati commessi a
mezzo della stampa nella nuova disciplina legislativa, in Arch. pen., 1959, I,
38. Del resto, anche la stessa Corte costituzionale in più di un’occasione (v.,
tra le tante, Corte cost., 8.7.1957, n. 107, in www.cortecostituzionale.it e
Corte cost., 13.5.1965, n. 42, in C.E.D. Cass., n. 2361) ha confermato la
differenza intercorrente tra queste due forme di responsabilità.
(25) Su tale nuovo approccio al principio di personalità della
responsabilità penale v. B. ROMANO, Guida alla parte generale, cit., 168 ss.
Responsabilità penale per fatto proprio e divieto di responsabilità penale per
fatto altrui rappresentano due aspetti del medesimo concetto poiché, se da un
lato il principio di responsabilità personale viene inteso, per così dire, in
positivo, come responsabilità per fatto proprio, dall’altro, esso è da intendersi,
in negativo, come divieto di responsabilità penale per fatto altrui.
(26) F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 2007, 285. In senso
analogo G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, pt. g., 5a ed., Zanichelli,
Bologna, 2007, 628.
24
La responsabilità penale negli organi collegiali
abbandonare tale prospettiva, sarebbero condivisibili qualora si
ritenesse che il divieto di responsabilità penale per fatto altrui
debba costituire l’unico significato della norma costituzionale. Al
contrario, in questa sede non si intende ovviamente
disconoscerne il contenuto anche in termini di colpevolezza, ma
lo si vuole leggere in modo da sottolineare la possibile incidenza
del fatto del terzo nella individuazione della responsabilità
penale di un altro soggetto. Prospettiva che non sembra possa
essere trascurata (27): «il principio di personalità non ammette
letture parziali. Come è riduttivo scorgervi solo l’affermazione
del criterio materiale, altrettanto inattendibile è relegare
quest’ultimo solo sullo sfondo, o almeno in posizione marginale,
per spostare il fulcro del giudizio sulla riprovevolezza della
Gesinnung» (28).
Attenta dottrina ha posto in risalto come tale tematica sia
emersa nel dibattito dottrinale più come «convitato di pietra»
che come argomento meritevole di un’accurata riflessione ( 29).
(27) Nel momento in cui un soggetto “entra in relazione” con il fatto di
un terzo non è sempre agevole individuare con certezza i criteri in base ai
quali è possibile chiamarlo a rispondere penalmente. Probabilmente
occorrerebbe, in primo luogo, soffermarsi, così come suggerito dalla dottrina
(G. DE VERO, Corso di diritto penale, vol. I, Giappichelli, Torino, 2004, 160)
sul fatto che così come non è sufficiente che una cosa (mobile o immobile) non
sia altrui perché possa ritenersi propria di un soggetto, al tempo stesso si
rende necessario verificare «il grado di appartenenza del fatto al soggetto
candidato alla sanzione penale ancora dopo la previa esclusione di una sua
riferibilità a persona diversa».
(28) A. ALESSANDRI, Commento all’art. 27, comma 1 Cost., cit., 86.
(29) L. CORNACCHIA, Concorso di colpe e principio di responsabilità
penale per fatto proprio, Giappichelli, Torino, 2004, 4. Secondo l’A. il vero
significato di responsabilità personale intesa come responsabilità per fatto
proprio e conseguente divieto di responsabilità per fatto altrui sarebbe da
intendersi nel senso che «ciascuno risponde solamente nei limiti della propria
sfera di competenza e mai al di là di essi» (ID., op. ult. cit., 119). La norma
giuridico-penale posta a fondamento del rimprovero viene considerata come
norma di rango costituzionale e «costitutiva di status» nel senso che da un
lato, essa rappresenta espressione diretta del principio di responsabilità
personale di cui all’art. 27, come «regola che lo concretizza» e, dall’altro,
25
La responsabilità penale negli organi collegiali
Invece, gli stimoli che determinano l’insorgere di tale
interrogativo traggono la loro origine anche dalla prassi
applicativa poiché è soprattutto in tale sede che occorre
verificare se il principio della responsabilità penale personale sia
concretamente applicato o se la sua portata finisca col risolversi
in un mero enunciato teorico costituendo semplicemente
“l’impalcatura” del dover essere del diritto penale.
Non va dimenticato, poi, che il principio della
responsabilità individuale pone non pochi interrogativi se
rapportato alla dimensione plurisoggettiva dei crimini
internazionali. Anche il diritto penale internazionale,
originariamente elaborato sul modello concettuale della
responsabilità dello Stato, ha dovuto misurarsi con un nuovo
modello di responsabilità orientato proprio sulla responsabilità
personale e, per transitività, con le corrispondenti problematiche
che nei diritti penali nazionali sono alla base della costruzione
teorica e della concreta disciplina della responsabilità
dell’individuo. Infatti, già a partire dalla Carta del Tribunale
Militare Internazionale di Norimberga fino a giungere allo
Statuto della Corte Penale Internazionale, è andata
progressivamente
consolidandosi
la
costruzione
della
responsabilità penale internazionale dell’individuo. Tale
costruzione, però, non può assolutamente prescindere dalle
irrinunciabili garanzie che devono guidare ogni forma di
responsabilità che sia pienamente legittima secondo i principi
democratici, ponendo il principio di personalità dell’illecito al
centro del sistema del diritto penale moderno. Il rischio di
costruire modelli di attribuzione del fatto basati sulla
riconosce in capo ai suoi destinatari lo status di soggetto di diritto, ovvero un
prisma di posizioni giuridicamente riconosciute dall’ordinamento (ID., op. ult.
cit., 95 ss.). In tale ottica, si considera essenziale individuare
preliminarmente i soggetti «competenti» per la gestione dei rischi concernenti
lo status loro riconosciuto dall’ordinamento: il principio di responsabilità per
fatto proprio troverebbe attuazione attraverso la selezione dei soggetti
responsabili secondo «una precisa scansione dei doveri giuridici ad essi
facenti capo» (ID., op. ult. cit., 112).
26
La responsabilità penale negli organi collegiali
partecipazione al gruppo e l’affacciarsi di forme di imputazione
collettiva costituiscono problematiche di rilevante spessore sul
piano del diritto penale internazionale. Il rimprovero personale
come perno attorno al quale ruota l’imputazione, pertanto,
rappresenta una della questioni più spinose anche all’interno di
tale settore in cui l’illecito rischia di divenire sempre più
“impersonale”.
Nonostante si ammetta che lo Statuto della Corte Penale
Internazionale contempli un sistema di imputazione oggettivosoggettiva dei fatti di reato, ci si trova comunque dinanzi ad una
«sistematica sui generis, non definitivamente stabilizzata e non
ancora sottoposta al concreto vaglio giudiziale» (30). Forse una
valorizzazione dell’aspetto concorsuale e delle fattispecie
associative potrebbe essere d’ausilio per l’elaborazione di un
sistema
di
imputazione
dell’illecito
che
garantisca
effettivamente il rispetto del principio di personalità.
3. (Segue): Il concetto di “terzo” nel diritto penale.
Poiché, proprio per le ragioni suesposte, nell’accertamento
della responsabilità penale di un soggetto non è possibile
trascurare l’eventuale incidenza del fatto del terzo, si rende
necessario specificare il significato che il concetto di “terzo” può
assumere per il diritto penale. Se per il diritto civile “terzo” è chi
non è parte o non è soggetto di un rapporto giuridico, per il
diritto penale tale termine potrebbe assumere diverse coloriture.
Può essere inteso come colui che pone in essere un fatto di reato
e con il quale un altro soggetto di cui si intende accertare la
responsabilità penale non è assolutamente entrato in contatto o,
(30) S. MANACORDA, Imputazione collettiva e responsabilità personale ,
Giappichelli, Torino, 2008, 145. Si veda altresì R. SICURELLA, Per una teoria
della colpevolezza nel sistema dello
Internazionale, Giuffrè, Milano, 2009.
27
statuto
della
Corte
Penale
La responsabilità penale negli organi collegiali
che dir si voglia, in relazione (31); oppure può essere adoperato
per indicare, con maggiore utilità, un soggetto diverso, altro,
rispetto a colui del quale si intende accertare la responsabilità
penale ma che si pone in relazione con questo.
Nell’accogliere, naturalmente, la seconda prospettiva –
poiché solo lo studio del rapporto tra due soggetti, e le loro
rispettive condotte, che, per diverse ragioni, possono “entrare in
relazione” potrebbe presentare dei risvolti meritevoli di
approfondimento – il concetto di “terzo” finisce comunque per
comprendere al suo interno una categoria di soggetti piuttosto
variegata.
In tale ottica il pensiero corre immediatamente al
concorso di persone nel reato, poiché - secondo i principi generali
che regolano tale istituto - il correo risponde sia del fatto proprio
che del fatto di un altro soggetto per il semplice, consapevole
inserimento nello svolgimento della vicenda criminosa, mediante
condotte preparatorie o esecutive, preventive o successive,
purché psicologicamente o materialmente funzionali alla
realizzazione dell’evento (32). In ulteriori ipotesi, poi, il codice
penale attribuisce rilievo alle “relazioni tra individui”: ad
(31) Ma, in tal caso, ovviamente, nessun interesse avrebbe per lo
studioso di diritto penale soffermarsi sulla possibile configurabilità di tale
responsabilità atteso che fra i due soggetti non sussiste alcun legame ma
un’assoluta estraneità.
(32) Il tema è notoriamente più complesso di quanto possa apparire ad
una prima lettura. A proposito del concorso morale di persone nel reato è
stato osservato che «poiché ogni condotta ha necessario bisogno di un aspetto
subiettivo e di uno obiettivo, l’unica spiegazione possibile della punibilità del
mero concorso morale è che lo stesso attinga comunque, sia pur
indirettamente la realizzazione comune». La questione, allora, si pone «sulla
verificazione di quella “fetta” di accadimento materiale dovuta anche al
soggetto che non ha partecipato fisicamente e non ha fornito neppure i mezzi.
La spiegazione è nella circostanza che, sebbene non abbia fornito i mezzi, egli
si è fornito di un “mezzo” quello del partecipe (o dei partecipi) che pone in
essere l’aspetto materiale della condotta illecita, e su di esso ha influito,
ottenendo mediatamente la realizzazione»: B. ROMANO, Guida alla parte
generale, cit., 383.
28
La responsabilità penale negli organi collegiali
esempio, quando un soggetto si serve di un’altra persona per
commettere il reato, facendo ricorso alla violenza (art. 46,
comma 2, c.p.), alla minaccia (art. 54, ultimo comma, c.p.),
all’inganno (art. 48 c.p.) ovvero mettendola in stato di incapacità
(art. 86 c.p.). Gli esempi appena riportati, ovviamente, non
possono essere considerati forme di responsabilità per fatto
altrui poiché in tali ipotesi di causazione di un fatto di reato da
parte del terzo se, da un lato, il fatto è materialmente posto in
essere da un terzo soggetto, dall’altro è possibile affermare che
tale fatto possa considerarsi proprio. Infatti, in tali casi il codice
penale attribuisce rilievo alla relazione tra diversi soggetti in cui
l’uno utilizza l’altro come strumento per la realizzazione di un
illecito penale.
Escluse le ipotesi appena menzionate, allora, la
responsabilità penale per fatto del terzo è configurabile nel
momento in cui un soggetto viene chiamato a rispondere
penalmente di un fatto posto in essere da un altro individuo solo
perché ricopre una ben precisa qualifica soggettiva
non
tenendosi in considerazione alcuna divisione dei compiti e dei
ruoli: in altri termini, si imputa ad un soggetto un evento
cagionato da un terzo e a lui non ricollegabile nemmeno sotto il
profilo oggettivo. È evidente che non è possibile affidare al
comportamento futuro di un terzo l’assunzione di una
responsabilità penale frutto dell’applicazione di un sistema di
attribuibilità dell’evento basato sulla mera qualità di un
soggetto o sul suo ritrovarsi in una determinata situazione
fattuale. Se così fosse si dovrebbe concludere come, del resto, già
sostenuto in passato, che accanto alla “normale” responsabilità
personale di colui che ha commesso il fatto potrebbe configurarsi
una
responsabilità
personale
di
posizione
ancorata
all’assunzione libera e volontaria di una qualità giuridica alla
quale inerisce il rischio della responsabilità: aver accettato tale
29
La responsabilità penale negli organi collegiali
rischio renderebbe automaticamente personale la responsabilità
anche se l’illecito è stato posto in essere da altri (33).
In virtù di quanto sino ad ora affermato e vista l’assenza
di un obbligo di carattere generale gravante sui cittadini di
impedire che terzi, responsabili delle loro scelte, realizzino
condotte penalmente rilevanti, appare naturale richiamare il
principio di affidamento (34). Tale principio si presenta, infatti,
intimamente connesso al principio di responsabilità penale
personale intesa nel suo significato originario di divieto di
responsabilità penale per fatto altrui. Naturalmente, solo una
corretta applicazione del principio di affidamento può garantire
il pieno rispetto del principio della personalità dell’illecito.
Infatti, qualora, ad esempio, si intendesse in senso
eccessivamente ampio il dovere di diligenza, prudenza e perizia
posto a carico del singolo come obbligo di regolare il proprio
comportamento in funzione del rischio di condotte altrui, si
rischierebbe di dar luogo ad una responsabilità per fatto altrui:
un’eccessiva estensione degli obblighi di diligenza sino a
richiedere un controllo dell’altrui attività non può ammettersi
come regola generale. L’affidamento nel corretto comportamento
di altri soggetti, non solo permette che ciascun individuo, libero
dalla «costante preoccupazione di controllare l’altrui operato»,
svolga al meglio le proprie mansioni, ma consente di
(33) In tal senso P. NUVOLONE, Le leggi penali e la costituzione, cit., 31
ss.
(34) Colui che agisce nel rispetto dei doveri di diligenza è legittimato a
“fare affidamento” su un comportamento ugualmente diligente del terzo la cui
condotta interferisce con la sua. In questo modo il singolo può confidare nel
fatto che gli altri membri della collettività non strumentalizzeranno le sue
azioni allo scopo di commettere reati ma adempiranno a tutti i doveri di
diligenza cui sono tenuti. In ogni caso, l’aver reso possibile ad altri (fuori dai
casi di concorso nel reato o di controllo sulle organizzazioni criminali) la
realizzazione di un reato, non determina per il soggetto l’insorgere di alcuna
responsabilità. Così A. PAGLIARO, Principi di dir. pen., pt. g., Giuffrè, Milano,
2003, 380. L’A., specificando tale assunto, evidenzia come il principio di
affidamento possa considerarsi una particolare applicazione del concetto di
rischio consentito.
30
La responsabilità penale negli organi collegiali
contemperare il principio della responsabilità penale personale
con la specializzazione e la divisione dei compiti (35). Il
Vertrauensgrundsatz, elaborato dalla dottrina tedesca nel
periodo nazionalsocialista, fu sviluppato con specifico
riferimento al problema della circolazione stradale ( 36). Ed è
proprio all’interno di settori come quelli della circolazione
stradale e del lavoro in équipe (37) che il principio in parola ha
assunto il massimo della sua portata: ogni conducente può fare
affidamento sul rispetto delle regole da parte degli altri
conducenti. Solo quando percepisca (o divenga percepibile) la
mancata osservanza delle regole da parte del terzo il conducente
ha l’obbligo a sua volta di porre in essere manovre di emergenza
per evitare danni (per es. chi si accorge per tempo che un veicolo
marcia contro mano ha l’obbligo di fermarsi; il titolare del diritto
di precedenza ha l’obbligo di eseguire le manovre idonee ad
evitare incidenti se percepisce tempestivamente che altro
conducente sfavorito non gli concede la precedenza). La
giurisprudenza italiana, invece, ha tradizionalmente attribuito
l’onere in capo al conducente di un veicolo di prevedere anche le
infrazioni e i comportamenti illeciti altrui escludendo
(35) MANTOVANI, Colpa, in Digesto pen., vol. II, Utet, Torino, 1988,
311; ID., Diritto penale, pt. g., cit., 343.
(36) Tale espressione si deve a H. GÜLDE, Der Vertrauensgrundsatz als
Leitgedanke des Straßenverkehrsrechts, in JW, 1938, 2785.
(37) Occorre precisare che nei casi in cui una medesima attività è
svolta in équipe da più il concetto di affidamento assume carattere diverso a
seconda del tipo di attività svolta, delle specializzazioni, competenze e
capacità degli altri partecipi, delle modalità e difficoltà dell’attività
intrapresa. I componenti di una équipe chirurgica avranno un ben diverso
livello di affidamento rispetto agli automobilisti che si trovino a percorrere la
medesima strada. Così come ben diversa considerazione dovrà avere
l’eventuale condotta colposa da parte del capo équipe rispetto a quella dei
chirurghi che si trovino in posizione subordinata e l’attività dei partecipi ad
un intervento chirurgico rispetto all’attività degli specialisti: Cass. pen. Sez.
IV, 14.11.2007, Pozzi, in C.E.D. Cass., n. 238957.
31
La responsabilità penale negli organi collegiali
l’operatività dell’affidamento (38). Solo di recente, sempre in
materia di circolazione stradale, la Cassazione ha mostrato
un’apertura verso tale principio, definendolo «pietra angolare
della responsabilità colposa» e applicazione del principio del
rischio consentito, da riconoscere sia in riferimento alla colpa
specifica che a quella generica, con riferimento al requisito della
prevedibilità in concreto (39).
Ma la possibilità di invocare il principio di affidamento si
scontra, da un lato, con la sua possibile applicabilità
esclusivamente nell’ambito di zone di rischio autorizzato, in
contesti leciti ma pericolosi e, dall’altro, con il limite costituito
dalla eventuale presenza di un’espressa disposizione di legge che
preveda in capo ad un soggetto l’obbligo di impedimento di
eventi cagionati dalla condotta di terze persone determinando,
così, l’insorgere di una posizione di garanzia. Difatti, il limite
riconosciuto a tale principio è quello per cui esso non opera in
presenza di una situazione giuridica in cui il soggetto è tenuto a
porre in essere un’attività di controllo e vigilanza, il che, quindi,
gli impedisce giuridicamente di fare generico affidamento sul
corretto comportamento di altri soggetti (40).
(38) Si vedano, ad esempio, Cass. pen. Sez. IV, 28.10.1993,
Iannacchero, in Arch. giur. circ., 1994, 384; Cass. pen. Sez. IV, 18.3.1996,
Lado, in Cass. pen., 1997, 1014.
(39) Cass. pen. Sez. IV, 8.10.2009, Minunno, in Cass. pen., 2010, 3201,
con nota di R. RUSSO, Sul principio di affidamento in materia di circolazione
stradale.
(40) Secondo F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, cit., 169 ss,
nel caso in cui il comportamento del terzo si presenti come doloso, il principio
dell’affidamento non sarebbe invocabile da chi sia destinatario di un obbligo
di controllo in virtù di una norma che gli imponga di provvedere
specificamente al controllo di determinate fonti di pericolo cui il terzo possa
servirsi per porre in essere la propria condotta; o da chi risulta essere titolare
di un obbligo di protezione di uno specifico bene giuridico che potrebbe essere
dolosamente aggredito dalla condotta di un altro soggetto. In presenza di una
condotta colposa del terzo, poi, il criterio dell’affidamento alla diligenza altrui
non potrebbe operare laddove si prospettino circostanze concrete che
rimuovano le ragioni che legittimano l’aspettativa di un corretto
32
La responsabilità penale negli organi collegiali
4. “Reato collegiale” e concorso di persone nel reato.
Come anticipato, la tematica della responsabilità penale
in seno agli organi collegiali risulta intimamente connessa, oltre
che al principio di personalità dell’illecito penale, anche
all’istituto del concorso di persone nel reato.
Preliminarmente occorre precisare che da tempo è stata
superata, e dai più respinta, la categoria del c.d. “reato
collegiale”, ovvero quel reato commesso «non da persone che si
uniscono allo scopo di commettere uno o più reati ma da persone
già costituite dalla legge in collegio, come organo di una persona
giuridica pubblica o privata, per compiere atti giuridici leciti,
anzi doverosi, di natura amministrativa, giudiziaria o di diritto
privato, le quali persone, nell’esercizio delle loro funzioni,
commettono uno o più reati» in cui la condotta di ciascun
soggetto riceverebbe «l’impronta di fatto punibile dal verificarsi
della condotta altrui» (41).
Tuttavia, la possibilità di configurare una responsabilità
penale riferita indistintamente a tutti i membri del collegio per
il solo fatto di far parte dell’organo rischia di divenire, nella
prassi, un fenomeno tutt’altro che sporadico. La giurisprudenza
più avveduta ha avvertito la necessità di precisare che «la
commissione di reati societari o fallimentari mediante atto
collegiale non è costante ma eventuale, potendo detti reati
comportamento di tale soggetto; né tantomeno nel caso in cui il soggetto che
si affida la comportamento diligente del terzo abbia agito in modo superficiale
o negligente.
(41) D. RENDE, Disposizioni penali su società e consorzi , in
Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja – G. Branca, Libro V, Del
lavoro (artt. 2555 - 2642), Zanichelli, Bologna, 1947, 47 ss. Per una critica alla
teoria del reato collegiale v., per tutti, L. CONTI, I soggetti, in Trattato di
diritto penale dell’impresa, diretto da A. Di Amato, vol. I, Cedam, Padova,
1990, 255.
33
La responsabilità penale negli organi collegiali
essere realizzati anche da una sola persona (organo
amministrativo unipersonale) e perfino da un solo sindaco;
perciò non può assurgere a caratteristica distinta di una
particolare categoria di reati (reato collegiale), ma può solo
integrare una modalità del concorso di più persone nel
medesimo reato; essendo la responsabilità penale personale e
non potendo concepirsi alcuna forma di responsabilità collettiva,
si dovrà accertare caso per caso, con riferimento all’operato di
tutti i membri del collegio, se vi sia stata una partecipazione
dolosa al reato, nella forma tipica del concorso, ovvero se tale
dolosa partecipazione debba escludersi per taluni di essi» (42).
Pertanto, nel corso della presente indagine dovremo
necessariamente verificare come siano utilizzate ed applicate le
norme di cui agli artt. 110 ss. del codice penale. Si tratta, come è
noto, di norme che nel nostro ordinamento, a stretta legalità
formale, assolvono una vera e propria funzione incrminatrice:
dunque, occorre interpretarle con particolare attenzione e
severità. In altri termini, proprio da una indagine “sul campo”,
su un settore di approfondimento necessariamente circoscritto,
potrebbero venire utiti indicazioni, tali da consentire – in via
induttiva – considerazioni più generali.
5. Organi collegiali e attività giornalistica:
costituzionale e dimensione sovranazionale.
tutela
Alla luce della complessità e dell’ampiezza della tematica
della responsabilità penale all’interno degli organi collegiali sin
qui emersa, è pertanto necessario procedere ad un ulteriore
approfondimento selettivo.
(42) App. Napoli, 5.12.1988, Mottura, in Riv. pen. economia, 1990, 183,
con nota di G. GUIDA, Il reato di falso in bilancio e la valutazione degli
immobili.
34
La responsabilità penale negli organi collegiali
Certamente l’attività di impresa rappresenta il luogo
all’interno del quale l’attività svolta dagli organi collegiali
assume un ruolo centrale, ma è sullo specifico settore
dell’impresa giornalistica che appare interessante focalizzare
l’attenzione. In tale ambito, infatti, si pone, da un lato, il
problema della responsabilità “professionale” dei giornalisti e
delle redazioni di giornalisti nelle quali questi operano, cioè
nell’organo collegiale (comitato di redazione) e dei rapporti di
questo con la direzione del giornale; dall’altro, si pone la
questione inerente all’eventuale responsabilità degli organi
collegiali della struttura societaria proprietaria del giornale
(consigli di amministrazione, collegi sindacali). L’attività
giornalistica non si esaurisce, infatti, nell’attività professionale
esercitata da un singolo professionista, poiché essa si inserisce
in un più ampio contesto di natura imprenditoriale: nel
momento in cui la libertà di espressione del proprio pensiero
diviene frutto dell’attività di informazione, il luogo naturale in
cui quest’ultima si svolge coincide quasi sempre con una
organizzazione che si identifica nell’impresa editoriale. La
manifestazione del pensiero, infatti, oltre che esercizio di una
libertà individuale, può costituire anche oggetto di un’attività
economica esercitata in forma di impresa.
Nel panorama normativo italiano non è dato rinvenire una
definizione diretta e specifica di attività giornalistica; tuttavia è
possibile ricavarne la nozione dalla lettura sistematica di alcune
disposizioni contenute nella legge 3 febbraio 1963, n. 69,
sull’ordinamento della professione di giornalista (43). In
(43) L’organizzazione professionale dei giornalisti fu disciplinata per la
prima volta dalla legge 31 dicembre 1925, n. 2307, che aveva istituito
l’Ordine dei giornalisti prevedendo la costituzione di Albi professionali tenuti
presso le singole Corti di appello e demandando ad un successivo regolamento
la predisposizione della disciplina per la relativa iscrizione. Tuttavia, la legge
3 aprile 1926, n. 563, che instaurava l’ordinamento corporativo, ne impedì
l’attuazione e le funzioni concernenti la gestione degli Albi furono attribuite
al sindacato unico fascista dei giornalisti.
35
La responsabilità penale negli organi collegiali
particolare, dall’art. 2 della legge appena richiamata – che
disciplina i diritti e i doveri dei giornalisti – è possibile dedurre
che l’attività giornalistica consiste nella diffusione di notizie, di
commenti alle notizie stesse e, più in generale, di opinioni.
Secondo la giurisprudenza civile di merito per attività
giornalistica deve intendersi quella prestazione di lavoro
intellettuale, della sfera della espressione originale o di critica
rielaborazione del pensiero, la quale, utilizzando il mezzo di
diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare ad una
massa differenziata di utenti idee, convinzioni o nozioni,
attinenti ai campi più diversi della vita sociale, politica,
economica, spirituale, scientifica e culturale, ovvero notizie
raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunte da
valutazione critica (44).
Il fine primario dell’attività giornalistica, dunque, viene
usualmente ricondotto all’attività di informazione e, sebbene
nessun articolo della Costituzione italiana le riservi un espresso
richiamo, sono vari i profili costituzionali ad essa inerenti (45).
Come precisato, la normativa attuale di riferimento è la legge 3
febbraio 1963, n. 69. Tale corpus legislativo, però, sin dalla sua entrata in
vigore, è stato tacciato di incostituzionalità. Da un lato, è stata messa in
dubbio l’istituzione di un Ordine e di un Albo dei giornalisti alla luce di
quanto disposto dal primo comma dell’art. 21 Cost. che garantisce a tutti la
libertà di espressione e con ogni mezzo di diffusione; dall’altro, si è
prospettato un contrasto con gli artt. 18 e 39 Cost. in quanto la presenza di
un Ordine dei giornalisti potrebbe colpire sia la libertà di associazione sia la
libertà sindacale della categoria giornalistica. La Corte costituzionale, però,
sino ad oggi, ha fatto salva l’organizzazione della professione giornalistica
così come delineata dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69. Le poche pronunce di
illegittimità costituzionale, invece (Corte cost., 23.3.1968 n. 11, in Giur. cost.,
1968, 311; Corte cost., 10.7.1968, n. 98, in Giur. cost., 1968, 1554), hanno
avuto ad oggetto esclusivamente aspetti marginali dell’ordinamento della
professione di giornalista non intaccando l’impianto originario della legge. Su
tali questioni S. FOIS, Giornalisti, in Enc. dir., vol. XVIII, Giuffrè, Milano,
1969, 706.
(44) Cass. civ., 2.2.1982, n. 625, in Riv. dir. lav., 1983, II, 359.
(45) Secondo L. PALADIN, Problemi e vicende della libertà di
informazione nell’ordinamento giuridico italiano, in La libertà di
36
La responsabilità penale negli organi collegiali
Tradizionalmente se ne riconduce la ratio all’art. 21 della
Costituzione, essendo tale norma rivolta a disciplinare gli
aspetti fondamentali della libertà di espressione del pensiero e
della stampa (46). Si è, così, proceduto ad un’interpretazione
della norma costituzionale che ha condotto alla piena
equiparazione tra manifestazione del pensiero e diffusione di
fatti, notizie, informazioni sino al riconoscimento di una vera e
propria «libertà di informazione» (47). Anche la Corte
costituzionale, nel definire la libertà di manifestazione del
pensiero «pietra angolare» dell’ordinamento democratico, ne ha
riconosciuto la perfetta coincidenza con la libertà di informare,
poiché la prima ricomprende tanto il diritto di informare, quanto
il diritto di essere informati (48): la libertà di manifestazione del
informazione, a cura di L. Paladin, Utet, Torino, 1979, 6, il “disinteresse”
della Costituzione per la tematica dell’informazione non è casuale ma
rappresenta il frutto della tendenza dell’Assemblea costituente di rimuovere i
divieti e i vincoli che caratterizzavano la legislazione fascista piuttosto che
«affrontare in positivo le implicazioni sociali della libertà di stampa e di
pensiero».
(46) Anche lo Statuto albertino conteneva un riferimento alla
disciplina della libertà di espressione segno, questo, che la libertà di
manifestazione del pensiero come libertà costituzionale fu originariamente
concepita come libertà strettamente individuale. L’art. 28 dello Statuto
considerava la sola libertà di espressione a mezzo stampa mentre l’art. 21
della Costituzione repubblicana fa ricorso ad una formula più generale
facendo riferimento, oltre che alla parola e alla stampa, ad ogni altro mezzo
di diffusione.
In dottrina è stato posto in evidenza come la libertà di manifestazione
del pensiero e la libertà di stampa «non sono due diverse libertà da cui
promanino due diversi diritti ma si tratta del medesimo diritto di libertà
come si atteggia nella sua dimensione sostanziale e in quella strumentale»:
M. POLVANI, La diffamazione a mezzo stampa, 2ª ed., Cedam, Padova, 1998,
99.
(47) Sulla libertà di informazione nei contributi dottrinali degli anni
cinquanta e sessanta v. L. PALADIN, Problemi e vicende della libertà di
informazione, cit., 8 ss.
(48) In Corte cost., 17.4.1969, n. 84, in C.E.D. Cass., 1969 e Corte cost.,
24.3.1993, n. 112, in Foro it., 1993, I, 1339 il primo comma dell’art. 21 Cost. è
stato fatto assurgere a fondamento di un complessivo diritto all’informazione,
37
La responsabilità penale negli organi collegiali
pensiero trova infatti tutela non solo nel momento dell’ideazione
ma anche in quello in cui il pensiero stesso viene esternato e
reso noto ai terzi (49). L’esercizio dell’attività informativa,
pertanto, gode di una tutela di rango costituzionale poiché il
discorso
narrativo
implica
operazioni
intellettuali
contraddistinte da una indispensabile componente soggettiva,
come la scelta dei dati rilevanti e la loro conseguente
interpretazione, rappresentando, quindi, il frutto di elaborazioni
mentali che vengono rese note agli altri individui, frutto, cioè,
della manifestazione di pensiero. Non sempre, però, il concetto
di “stampa” può essere automaticamente associato e ricondotto
all’espressione del pensiero ed all’attività informativa e, come
tale, costituzionalmente garantito. L’osservazione, che prima
facie potrebbe apparire banale, non è priva di risvolti pratici. A
titolo esemplificativo basti pensare all’ipotesi in cui si proceda al
sequestro preventivo di riviste, siti internet, materiale
documentale e informatico poiché attraverso la pubblicazione di
determinati annunci si è proceduto alla realizzazione di condotte
illecite inerenti al favoreggiamento e allo sfruttamento della
prostituzione. A tal proposito, recentemente, un giudice del
strutturato nei suoi aspetti attivi e passivi. Nello stesso senso: Corte cost.,
14.07.1988, n. 826, in C.E.D. Cass., 1988; Corte cost., 21.7.1981, n. 148, in
C.E.D. Cass., 1981; Corte cost., 28.7.1976, n. 202, in C.E.D. Cass., 1976.
In dottrina si è precisato che la distinzione tra libertà di
manifestazione del pensiero e libertà di informare non debba condurre verso
l’erronea conclusione di ritenere quest’ultima avulsa dalla tutela fornita dal
primo comma dell’art. 21 della Costituzione, infatti la narrazione dei fatti, da
un lato, e l’espressione del pensiero, dall’altro, «costituiscono un unicum che
acquisisce valenze giuridiche diverse, a seconda che sia oggetto di
manifestazioni individuali, oppure dell’attività dei mezzi di comunicazione di
massa. Libertà, nel primo caso, e diritto di informare nell’altro, nell’interesse
della collettività ad acquisire notizie»: C. CHIOLA, Manifestazione del pensiero
(libertà di), in Enc. giur., vol. XIX, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma,
1990, 2.
(49) Sui rapporti tra illecito penale e libertà di parola e, in particolare,
sulle forme di criminalizzazione del discorso pubblico cfr. C. VISCONTI, Profili
penali del discorso pubblico, Giappichelli, Torino, 2008.
38
La responsabilità penale negli organi collegiali
riesame aveva accolto la richiesta di revoca del provvedimento di
sequestro di riviste ed altro materiale osceno proprio nell’ambito
di un procedimento penale per sfruttamento e favoreggiamento
della prostituzione considerando tale misura incompatibile con
la tutela di manifestazione del pensiero attraverso la stampa.
Decisione annullata dalla Suprema Corte che invece ha
precisato che in tal caso la “stampa” costituisce solo il veicolo del
messaggio pubblicitario, ed, in quanto tale, non si inquadra nel
diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost.
costituendo un mezzo pubblicitario da valutare in sé (50).
Da un punto di vista sovranazionale poi, non ci si può
esimere dal richiamare l’art. 19 della Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo secondo cui «ogni individuo ha diritto alla
libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non
essere molestato per la propria opinione, e quello di cercare,
ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e
senza riguardo a frontiere» e, sulla falsariga di tale disposizione,
il Patto sui diritti civili e politici del 1966 il quale sancisce che la
libertà di espressione comprende «la libertà di ricercare, ricevere
e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a
frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma
artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta».
Anche nell’art. 10 della Convenzione europea per i diritti
dell’uomo e le libertà fondamentali è possibile rinvenire il
fondamento della libertà di espressione e di informazione. La
norma, infatti, riconosce come profilo della libertà di espressione
«la libertà di ricevere e di comunicare informazioni e idee» e
contempla specificamente, quale facoltà rientrante nel diritto di
espressione, la libertà «di comunicare informazioni ... senza
ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza
considerazione di frontiera» (51). Con specifico riguardo
(50) Cass. pen. Sez. III, 27.9.2007, Bassora, in C.E.D. Cass., n. 237818.
(51) In particolare, l’art. 10 CEDU prevede che «1. Ogni persona ha
diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la
libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna
39
La responsabilità penale negli organi collegiali
all’attività giornalistica, la giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo ha affermato che «la stampa gioca un ruolo
primario in una società democratica: pur non dovendo
oltrepassare certi limiti, nondimeno essa ha il compito di
comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue
responsabilità, informazioni e idee su tutte le questioni di
interesse generale» (52). Secondo la Corte, la collettività ha il
diritto ad essere informata da una stampa chiamata al ruolo di
«cane da guardia della giustizia» (53).
In materia di libertà di espressione giornalistica la Corte
europea ha posto in essere valutazioni rigorose delle condizioni
che giustificano un’ingerenza statale nell’esercizio di tale libertà.
In tale ambito, infatti, il margine di apprezzamento di cui
godono le autorità nazionali, secondo la Corte, va limitato
proprio dall’interesse di una società democratica di consentire
alla stampa di svolgere il citato ruolo di «cane da guardia»,
tenendo ben presente che «la libertà giornalistica comprende
anche il ricorso ad una certa dose di esagerazione e persino di
da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il
presente articolo noti impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di
autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
2. L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità,
può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o
sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società
democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine
pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la
protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la
divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e la
imparzialità del potere giudiziario».
(52) Corte eur. dir. uomo, 21.1.1999, Fressoz e Roire, in Foro it., 2000,
IV, 165.
(53) Tale metafora è stata utilizzata dalla Corte a partire dalle
sentenze Corte eur. dir. uomo, Observer Guardian c. Regno Unito, 26.11.1991
e Sunday Times c. Regno Unito, 26.11.1991, in Publications de la Cour
Europénne des Droits de l’Homme, Série A, n. 216, e 217.
40
La responsabilità penale negli organi collegiali
provocazione» (54). Ecco che, in tale ottica, la giurisprudenza
della Corte europea sull’art. 10 della CEDU si presenta
abbastanza severa e rigorosa. In diverse occasioni la Corte ha
avuto modo di pronunciarsi a proposito della libertà di
espressione, anche in casi che hanno visto l’Italia come
protagonista. Tra questi ricordiamo i casi Perna c. Italia (55) e
Riolo c. Italia (56). Nella prima pronuncia un giornalista era
stato condannato in sede penale in quanto autore di uno scritto
diffamatorio ai danni di un magistrato (57). Nonostante la Corte
europea avesse ravvisato in tale condanna una ingerenza nel
diritto alla libertà di espressione ha comunque ritenuto la
decisione del giudice nazionale giustificata e legittima alla luce
delle previsioni legislative poste a tutela della reputazione:
l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione realizzatasi con
la condanna del giornalista poteva, infatti, «ragionevolmente
considerarsi necessaria in una società democratica». Di segno
opposto, invece, l’altra pronuncia con la quale l’autore
dell’articolo diffamatorio è stato dichiarato responsabile sul
piano civilistico (58). La Corte europea ha condannato l’Italia
ravvisando la violazione dell’art. 10 della Convenzione europea
per i diritti dell’uomo poiché le critiche dell’autore dell’articolo
non presentavano carattere diffamatorio, essendo fondate su
(54) Corte eur. dir. uomo, 20.5.1999, Bladet Tromsø e Stensaas c.
Norvegia, in www.osservatoriocedu.it.
(55) Corte eur. dir. uomo, 6.5.2003, Perna c. Italia, in
www.osservatoriocedu.it.
(56) Corte eur. dir. uomo, 17.7.2008, Riolo c. Italia, in
www.osservatoriocedu.it.
(57) Il giornalista criticava la “militanza politica” di un magistrato che
avrebbe «contribuito alla strategia di conquista delle Procure di molte città
d’Italia» ed utilizzato un collaboratore di giustizia per cercare di distruggere
la carriera politica di un Senatore.
(58) L’autore dell’articolo si era mostrato fortemente critico nei
confronti di un noto esponente politico presidente di un ente provinciale che,
esercitando la professione di avvocato, aveva deciso di mantenere le difesa di
un suo cliente mentre l’ente di cui era presidente decideva di costituirsi nel
procedimento in cui il politico esercitava il proprio mandato difensivo.
41
La responsabilità penale negli organi collegiali
fatti veri ed espressione legittima della libertà di opinione in
una società democratica, inserite in un dibattito di interesse
pubblico e formulate nei confronti di un uomo politico che
occupava un posto chiave nell’amministrazione pubblica locale il
quale doveva necessariamente aspettarsi che i suoi atti fossero
sottoposti ad uno scrupoloso esame ad opera della stampa. La
Corte ha ulteriormente specificato che si trattava di espressioni
mai scivolate in insulti e non giudicabili gratuitamente
offensive, avendo sempre conservato una connessione con la
situazione analizzata dall’autore dell’articolo.
Dalle pronunce appena riportate si evince che l’enfasi
conferita alla libertà di espressione giornalistica non equivale ad
affermare che i giornalisti possano comunque operare senza
alcun limite. Ed infatti «chiunque, ivi inclusi i giornalisti,
eserciti la sua libertà di espressione assume “doveri e
responsabilità” la cui ampiezza dipende dalla situazione
concreta e dal mezzo di comunicazione impiegato … I giornalisti
non sono in linea di principio sottratti al loro dovere di
rispettare le leggi penali di diritto comune per effetto della
protezione loro offerta dall’art. 10 CEDU: il paragrafo 2 dell’art.
10 impone alcuni limiti all’esercizio della libertà di espressione
giornalistica. La garanzia che l’art. 10 offre ai giornalisti per
quanto riguarda i resoconti su questioni di interesse generale è
subordinata alla condizione che gli interessati abbiano agito in
buona fede in maniera da fornire informazioni esatte e degne di
credito nel rispetto della deontologia giornalistica» (59).
6. L’attività giornalistica come attività di impresa.
La manifestazione del pensiero, oltre che esercizio di una
libertà individuale, può costituire anche oggetto di un’attività
(59) Corte eur. dir. uomo, 20.5.1999, Bladet Tromsø e Stensaas c.
Norvegia, in www.osservatoriocedu.it.
42
La responsabilità penale negli organi collegiali
economica esercitata in forma di impresa (60). Nel momento in
cui la libertà di espressione del proprio pensiero diviene frutto
dell’attività giornalistica, il luogo naturale in cui quest’ultima si
svolge coincide quasi sempre con una organizzazione aziendale
di diffusione della notizia stampata, radiofonica, televisiva o
telematica e la professione giornalistica si colloca
essenzialmente nel quadro di un rapporto di lavoro con tale
impresa. L’attività giornalistica è caratterizzata ormai da
un’incessante e vorticosa evoluzione in cui l’aspetto
imprenditoriale ha assunto proporzioni sempre più significative,
tali da non consentire di sottovalutare l’importanza assunta
dall’«industria della comunicazione»: il continuo evolversi delle
forme di produzione giornalistiche ha finito per trasformare il
prodotto intellettuale del giornalista in un vero e proprio
«prodotto industriale» (61). In tale ottica, allora, non sembrerebbe
poi così paradossale giungere a qualificare l’informazione come
«prodotto al pari di altre entità, sia pure connotate dall’elemento
della corporeità ma non meno vitali: gli alimenti, i medicinali, i
prodotti per l’igiene», rappresentando un «bene di consumo,
suscettibile di innumerevoli forme di presentazione sul mercato»
(62).
Nell’attuale panorama legislativo italiano pochissime
disposizioni normative fanno ricorso alla locuzione “impresa
giornalistica”: si tratta degli articoli 1, comma 7 lett. d), e 6,
ultimo comma, della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante la
“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria” e
degli articoli 5, comma 2, e 6, ultimo comma, della legge 8
febbraio 1948, n. 47, recante “Disposizioni sulla stampa”. Dalla
(60) In dottrina v’è chi a tal proposito parla di una «doppia relazione
tra attività di pensiero e attività economica»: M. PEDRAZZA GORLERO, Il
giornalismo nell’ordinamento costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1987,
659.
(61) F. SANTONI, Giornalisti. Lavoro giornalistico, in Enc. giur., vol.
XV, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1989.
(62) Così V. ZENO ZENCOVICH, «Pubblico» e «privato» nel sistema
dell’informazione, in Rass. dir. civ., 1992, 60 ss.
43
La responsabilità penale negli organi collegiali
lettura delle disposizioni appena richiamate – in cui tale
locuzione viene utilizzata come sinonimo di impresa editrice – si
ricava che l’informazione giornalistica può rappresentare
l’oggetto (o uno degli oggetti) della più ampia attività
imprenditoriale di un’impresa editrice (63).
Il processo di organizzazione delle principali imprese
editoriali in senso aziendale ha origine agli inizi del Novecento,
in seguito all’incremento della tiratura della stampa quotidiana
e periodica. È in questo periodo che tali imprese gradualmente
assumono quelle caratteristiche che ancora oggi connotano la
c.d. stampa di opinione. Gli elevati costi di impianto e di
gestione delle imprese aventi ad oggetto l’attività di
informazione rendeva inevitabile, però, già negli anni settanta,
che la proprietà delle stesse confluisse in capo a pochi soggetti e
che tali imprese finissero per divenire «collaterali di altre di
tutt’altro genere» (64). L’obiettivo di garantire un assetto
economico e proprietario dell’impresa editoriale che presentasse,
in primo luogo, il carattere della trasparenza ha dato vita
all’esigenza di delineare una disciplina idonea a distinguere tale
tipologia di impresa da tutte le altre imprese commerciali. Di qui
la già richiamata legge 5 agosto 1981, n. 416, recante la
“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”
con la quale per la prima volta il legislatore italiano ha posto
attenzione in modo organico e contestuale a tutte le varie
attività imprenditoriali e professionali legate al mondo
dell’editoria (65). Il Titolo primo della legge 5 agosto 1981, n. 416,
(63) Cioè di una organizzazione in cui inevitabilmente finiscono per
confluire i poteri dell’imprenditore, i poteri organizzativi e direttivi
dell’organizzazione del mezzo di diffusione e la medesima libertà di
manifestazione del pensiero degli altri giornalisti: M. PEDRAZZA GORLERO, Il
giornalismo nell’ordinamento costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1987,
691.
(64) G.A. VENEZIANO, Stampa, in Enc. giur., vol. XXX, Istituto della
Enciclopedia italiana, Roma, 1993, 8.
(65) Alcuni Autori hanno osservato, però, che il legislatore si trovò
dinanzi ad una scelta «almeno parzialmente obbligata» poiché il mondo
44
La responsabilità penale negli organi collegiali
è dedicato alla “Disciplina delle imprese editrici di quotidiani e
periodici”. Si tratta un vero e proprio statuto dell’impresa
giornalistica. Va evidenziato che già prima dell’entrata in vigore
della legge 5 agosto 1981, n. 416, la configurabilità di un siffatto
statuto rappresentava una problematica che aveva suscitato
l’attenzione della dottrina (66). Ci si interrogava, da un lato,
sulla possibilità di adattare la disciplina di diritto comune
dell’impresa commerciale all’impresa giornalistica e, dall’altro,
sull’opportunità di apportare o meno delle deroghe a tale
disciplina. Al quesito la dottrina dava una risposta positiva
atteso che, secondo la Costituzione, la libertà di iniziativa
economica e la proprietà si presentano «suscettibili di limitazioni
anche se queste non siano direttamente finalizzate a garantirne
l’esercizio»; mentre l’unico limite avrebbe potuto individuarsi
proprio nell’art. 21 Cost. nel senso che un intervento del
legislatore non avrebbe mai dovuto assumere una portata
restrittiva e censoria della libertà di manifestazione del pensiero
dell’informazione si caratterizzava comunque già per la presenza di fenomeni
concentrazionistici talmente consolidati che non avrebbero consentito di
modificare radicalmente la situazione esistente. Si consentì, allora, che la
titolarità delle imprese giornalistiche di maggiore rilevanza nazionale
permanesse all’interno degli stessi gruppi economici all’interno dei quali
avevano avuto origine: così, G.B. GARRONE, Profili giuridici del sistema
dell’informazione e della comunicazione, Giappichelli, Torino, 2002, 38.
In dottrina vi è chi ha definito la legge 5 agosto 1981, n. 416, «una
legge omnibus nella quale tutte le categorie interessate hanno trovato modo
di vedere codificato un proprio interesse»: C. P ROTETTÌ – E. PROTETTÌ,
Giornalisti ed editori nella giurisprudenza , Giuffrè, Milano, 1989, 23. Nel
tempo tale corpo normativo è stato oggetto di numerose modificazioni ed
integrazioni: dalla legge 30 aprile 1983, n. 137, “Modifiche alla legge 5 agosto
1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per
l’editoria”; fino alla legge 7 marzo 2001, n. 62, “Nuove norme sull’editoria e
sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416” e legge 9
maggio 2001, n. 198 di conversione in legge del d.l. 5 aprile 2001, n. 99,
“Disposizioni urgenti in materia di disciplina del prezzo di vendita dei libri”.
(66) Cfr. P. MARCHETTI, Problemi in tema di organizzazione giuridica
dell’impresa giornalistica, in La stampa quotidiana tra crisi e riforma, a cura
di P. Barile – E. Cheli, Il Mulino, Bologna, 1976, 477.
45
La responsabilità penale negli organi collegiali
(67). Anzi, un intervento legislativo mirato a disciplinare
l’impresa giornalistica avrebbe contribuito a rafforzare il pieno
esercizio dei diritti di cui all’art. 21 Cost. Il primo comma
dell’art. 1 della legge 5 agosto 1981, n. 416, delinea una nozione
di impresa editrice più ampia di quella fornita dalla legge sulla
stampa del 1958; infatti, l’esercizio dell’impresa editrice di
giornali quotidiani è riservato alle persone fisiche, alle società
costituite nella forma della società in nome collettivo, in
accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni, in
accomandita per azioni o cooperativa, il cui oggetto comprenda
l’attività editoriale, esercitata attraverso qualunque mezzo e con
qualunque supporto, anche elettronico, l’attività tipografica,
radiotelevisiva o comunque attinente all’informazione e alla
comunicazione, nonché le attività connesse funzionalmente e
direttamente a queste ultime (68).
Ancora oggi la formulazione dell’articolo 1 della legge 5
agosto 1981, n. 416, costituisce oggetto di discussione. Nel 2005
la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, sulla base
dell’assunto che l’autonomia e la libertà di informazione
(67) P. MARCHETTI, Problemi in tema di organizzazione giuridica
dell’impresa giornalistica, cit., 479.
In sede di lavori preparatori dell’Assemblea Costituente diverse
proposte prevedevano che l’art. 21 Cost. sancisse l’obbligatoria pubblicazione
dei bilanci delle società editrici (Proposta dell’on. La Pira, in
www.legislature.camera.it) e la predisposizione da parte del legislatore
ordinario di controlli sulle fonti di notizia al fine di assicurare la genuinità e
la
veridicità
dell’informazione
(Proposta
dell’on.
Rossetti,
in
www.legislature.camera.it). Ma, data l’attuale formulazione dell’art. 21 Cost.
è evidente che tali proposte, in sede di approvazione definitiva della
disposizione, furono stralciate cancellando così nella Costituzione ogni
riferimento ad un possibile controllo sulle aziende editoriali.
(68) Tra i soggetti legittimati ad esercitare l’attività imprenditoriale
nel campo dell’editoria il legislatore annovera anche le cooperative di
giornalisti ed i consorzi ad esse equiparati. A tal proposito in dottrina, C.
PROTETTÌ – E. PROTETTÌ, Giornalisti ed editori nella giurisprudenza , cit.,
31, definiscono le cooperative giornalistiche una «zattera di salvataggio» di
iniziative editoriali naufragate in quanto «nascono per rilevare testate
cessate e vivono per gestirle».
46
La responsabilità penale negli organi collegiali
risulterebbe messa in pericolo dai troppi intrecci proprietari ha
proposto di introdurre nel nostro ordinamento lo statuto
dell’impresa di informazione e norme più stringenti nel caso di
scalate a società editoriali quotate, con l’obiettivo di una chiara
distinzione di questo tipo di impresa da ogni altro interesse
economico dei proprietari, a garanzia dell’autonomia del
contenuto editoriale (69). Non può sottovalutarsi che, come in
(69) In particolare, la F.N.S.I. proponeva di aggiungere i seguenti
commi all’art. 1 art. della legge 5 agosto 1981, n. 416:
1 bis: «L'impresa editrice è organizzata per divisioni autonome. Obbligatoria
è l'istituzione di una divisione autonoma per la sola informazione
giornalistica. Detta divisione societaria fa capo alla direzione dell'impresa
editoriale per quanto attiene alla gestione economica, ma risponde alla sola
direzione giornalistica per quanto attiene all'informazione».
1 ter: «La divisione dell'impresa editrice che ha per oggetto l'informazione
giornalistica ha un proprio statuto autonomo che fa parte integrante dello
statuto dell'impresa e che fa esplicitamente richiamo ai criteri di libertà e di
autonomia della stampa fissati dall'art.21 della Costituzione. I singoli
giornalisti che violino lo statuto di autonomia dell'informazione possono
essere pubblicamente richiamati dal responsabile dei diritti degli utenti
previsto dal successivo comma 1 sexies, oltre che dal direttore responsabile
della testata giornalistica e dall'Ordine dei giornalisti. La direzione
giornalistica che violi lo statuto autonomo previsto dal corrente comma può
subire un richiamo pubblico, oltre che dall'Ordine dei giornalisti, dal
responsabile dei diritti degli utenti previsto dal successivo comma 1 sexies. In
caso di ripetute e comprovate, gravi violazioni dello statuto autonomo il
direttore responsabile delle testate giornaliste può essere deferito dal
responsabile dei diritti degli utenti all'Ordine nazionale dei giornalisti.
1 quater: «Le attività di raccolta pubblicitaria e di promozione commerciale,
cosiddetto marketing, non possono essere organizzate all'interno della
divisione societaria che ha per oggetto l'informazione giornalistica».
1 quinquies: «La divisione dell'impresa editrice che ha per oggetto
l'informazione giornalistica fissa ogni anno le linee della propria autonoma
politica editoriale sulla base delle indicazioni esplicite di linea politicoeditoriale indicate della direzione aziendale o della società controllante».
1 sexies: «La divisione dell'impresa editrice che ha per oggetto l'informazione
giornalistica nomina ogni due anni un responsabile dei diritti degli utenti,
fissandone pubblicamente compiti e poteri, in autonomia dalla direzione
giornalistica, dalla direzione dell'impresa editrice o della società controllante.
Detto incarico può essere affidato a una singola persona fisica, a più persone
47
La responsabilità penale negli organi collegiali
passato, ancora oggi il rapporto tra informazione ed economia si
caratterizza per un indissolubile intreccio che vede i maggiori
quotidiani e periodici nazionali fare capo a banche e società di
vario genere, in cui l’attività di informazione rappresenta
soltanto uno dei molteplici interessi di tali enti. Vi è, pertanto,
uno strettissimo collegamento dell’impresa editoriale con grandi
gruppi finanziari o industriali di cui i quotidiani, in particolar
modo, sono divenuti diretta espressione. Il punto di maggiore
criticità dell’impresa di informazione italiana è rappresentato
«dalla concentrazione insolitamente alta della proprietà dei
media rispetto agli standard europei». Sono questi i termini
utilizzati a proposito della libertà di stampa in Italia da
Freedom House nel suo rapporto del 2010 (70). Lo stesso
Parlamento europeo, nella risoluzione del 25 settembre 2008
sulla concentrazione e il pluralismo dei mezzi d’informazione
nell’Unione europea 2007/2253, ha sottolineato che «la
concentrazione della proprietà del sistema mediatico crea un
ambiente favorevole alla monopolizzazione del mercato
pubblicitario, ostacola l’entrata di nuovi attori sul mercato e
contribuisce altresì all’uniformità del contenuto dei mezzi
d’informazione». E qualche anno prima nella risoluzione del 22
aprile 2004 sui rischi di violazione nell’UE, e in particolare in
Italia, della libertà di espressione e di informazione ha affermato
che nel nostro Paese «potrebbero sussistere rischi di violazione
fisiche o a persone giuridiche. L’incarico di detto responsabile non può essere
rinnovato per più di due volte».
1 septies: «Fermi restando gli obblighi di trasparenza sulla proprietà delle
azioni di società editoriali, chiunque acquisisca, a titolo individuale o in
accordo con altri soci, pacchetti azionari di dette società che superino quote
del 5 per cento del capitale sociale deve chiarire quali progetti persegue e
aderire formalmente allo statuto dell’impresa per la parte che riguarda
l’autonomia e la libertà dell'informazione».
(70) Si tratta di un istituto di ricerca, finanziato prevalentemente con
fondi governativi, avente la propria sede a Washington D.C. e che ha come
obiettivo la promozione del liberalismo nel mondo.
Il testo del rapporto è consultabile su www.freedomhouse.org.
48
La responsabilità penale negli organi collegiali
del diritto alla libertà di espressione e di informazione» e che, in
particolar modo, «il tasso di concentrazione del mercato
televisivo in Italia è oggi il più elevato d’Europa», rilevando che
«il sistema italiano presenta un’anomalia dovuta a una
combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico»
(71).
Non sembra azzardato sottolineare che le imprese di
informazione sono divenute molto spesso strumenti di pressione
politico-finanziari, basti ricordare che sovente il termine
«stampa» viene ricondotto all’idea del c.d. «quarto potere» ed in
tal caso tale termine è utilizzato proprio nell’accezione di
insieme di imprese di informazione.
Ma non solo; la progressiva trasformazione dei gruppi
editoriali in gruppi multimediali rappresenta un fenomeno che
sta assumendo il carattere di trasformazione strutturale del
settore dell’impresa di informazione. Infatti, l’integrazione tra le
varie piattaforme distributive dell’informazione consente ad una
medesima impresa di fornire contenuti non solo su supporto
cartaceo, ma anche audiovisivo attraverso web, canali radio e
televisivi (72). Attualmente quasi tutti i gruppi editoriali hanno
un loro spazio web ed offrono prodotti e servizi telematici. I
prodotti editoriali vengono veicolati attraverso piattaforme
online e offline il cui comune denominatore è il trattamento
digitale dei contenuti editoriali: l’informazione viene incanalata
attraverso una pluralità di mezzi (carta, web, cellulare, radio,
(71) È possibile leggere il testo delle suddette risoluzioni su
www.europarl.europa.eu.
(72) Tale fenomeno ha spinto la dottrina ad osservare che per certi
aspetti anche dal punto di vista del trattamento giuridico ormai «tendono a
svanire i confini tra audiovisivo, informatica, editoria e telecomunicazioni, e
ci troviamo così ad essere testimoni della nascita, in Europa e nel mondo, di
un nuovo diritto, il diritto della convergenza, che distingue la disciplina delle
reti, indipendentemente dal tipo di messaggio su di esse veicolato, dalla
disciplina dei servizi, indipendentemente dalle reti sulle quali essi vengono
offerti»: E. CHELI, Prefazione al volume di F. BRUNO – G. NAVA, Il nuovo
ordinamento delle comunicazioni, Giuffrè, Milano, 2006, XVI.
49
La responsabilità penale negli organi collegiali
televisione). Ecco che allora la diversificazione dell’offerta e la
moltiplicazione dei contenuti ha contribuito a determinare un
sistema dei media molto più complesso e articolato rispetto al
passato. Basti pensare come il rilievo della “industria dei
quotidiani” si vada progressivamente riducendo a vantaggio dei
media elettronici e digitali. Tale nuovo scenario multimediale
non incide soltanto sugli assetti proprietari dell’industria della
comunicazione ma comporta necessariamente l’esigenza di
rintracciare nuove soluzioni organizzative all’interno della
stessa e di procedere allo sviluppo di professionalità e
competenze rispetto alla comunicazione multimediale attraverso
l’adeguamento infrastrutturale e l’aggiornamento degli operatori
della comunicazione. La tradizionale figura dell’editore
proprietario di un solo giornale sta gradualmente scomparendo,
essendo ormai evidente che un unico “prodotto” non può che
appagare parzialmente la richiesta d’informazione, sempre più
multimediale e multicanale. I tipici contenuti cartacei devono
necessariamente confrontarsi con l’invadenza di motori di
ricerca, blog, social network, della stessa televisione e gli editori
sono ormai consapevoli della necessità di consentire che le
diverse piattaforme tecnologiche possano dialogare tra loro in
modo flessibile. Questi ultimi, infatti, diffondono sempre più la
loro offerta sul web e pertanto dipendono in larga misura dai
proventi della pubblicità online e non può ignorarsi che lo
sviluppo del sistema mediatico è sempre più determinato dal
profitto, anzi; l’operato delle imprese private del settore è
motivato, soprattutto, dal profitto economico.
Anche nell’ambito delle imprese di informazione è
possibile assistere al profilarsi dei tradizionali problemi di
criminalità d’impresa che connotano il sistema economico
contemporaneo, poiché «il contrasto con i modelli di condotta e
con i beni penalmente tutelati può annidarsi profondamente nel
ventaglio delle scelte imprenditoriali» (73): ci troviamo dinanzi a
(73) A. ALESSANDRI, Impresa (responsabilità penali), in Digesto pen.,
vol. VI, Utet, Torino, 2005, 195.
50
La responsabilità penale negli organi collegiali
organizzazioni
strutturalmente
complesse,
sovente
contraddistinte dall’esasperata ripartizione dei compiti e, talora,
dalla polverizzazione delle responsabilità individuali. La
tematica dei criteri di attribuzione della responsabilità penale
nell’ambito di enti a struttura complessa – in seno ai quali è
possibile annoverare le imprese giornalistiche – pertanto,
involge i tradizionali problemi dell’individuazione delle posizioni
di garanzia, delle pericolose semplificazioni dell’accertamento
della responsabilità penale, dell’ammissibilità del ricorso allo
strumento della delega di funzioni e, soprattutto, della compiuta
attuazione del principio costituzionale di personalità della
responsabilità penale all’interno di realtà aziendali che vedono
nella ripartizione di funzioni tra più soggetti un momento
indefettibile di una efficiente organizzazione. E le medesime
problematiche potranno profilarsi a prescindere dalla natura
pubblica o privata dell’impresa. Il carattere pubblico
dell’attività, infatti, «non incide sul diverso versante dei riflessi
che il coordinamento di persone e mezzi, colto nel suo momento
dinamico, può spiegare sull’indagine rivolta ad accertare chi
debba razionalmente soggiacere al peso della sanzione se si
vuole che questa sia efficace, coerente allo scopo di tutela e ai
principi costituzionali» (74).
Vi sono tuttavia delle problematiche che caratterizzano
peculiarmente il settore dell’impresa di informazione. Una
riflessione che intenda occuparsi dell’ “aspetto imprenditoriale”
della diffusione dell’informazione e dei connessi profili di
responsabilità configurabili, deve prendere necessariamente le
mosse dalla preliminare constatazione che l’ottimizzazione del
profitto rappresenta il fine di tali imprese (così come per ogni
altra impresa commerciale); tuttavia non può essere ignorato il
fenomeno attraverso il quale tale obiettivo spesso venga
perseguito mediante il ricorso a strumenti illeciti come continui
episodi diffamatori, o meglio, “campagne diffamatorie” che,
dirette proprio all’ottimizzazione del profitto, mediante
(74) A. ALESSANDRI, Impresa (responsabilità penali), cit., 195.
51
La responsabilità penale negli organi collegiali
l’incremento delle vendite o dell’audience o degli accessi al web,
finiscono per divenire vere e proprie forme di criminalità di
impresa.
Non è possibile negare l’esistenza di imprese
giornalistiche che strumentalizzano lo scandalo e l’attacco
fazioso alle persone al fine di procedere all’accaparramento di
intere quote di mercato. Basti pensare al significato economico
di uno scoop che consenta a un quotidiano o a un periodico a
tiratura nazionale un incremento delle vendite. In altri termini,
oggi l’informazione appare indissolubilmente legata alla
“irrinunciabile” esigenza di aumentare il numero dei lettori o
comunque di accrescere l’audience o il numero di accessi al web:
la crescente tendenza a diffondere notizie offensive comporta per
le imprese giornalistiche vantaggi economici non irrilevanti. Le
imprese commerciali «dominate dalla amorale “legge del
mercato”, devono vendere ad ogni costo il prodotto ed
accaparrarsi la pubblicità commerciale attraverso l’indice di
ascolto e di diffusione» e, il «sensazionalismo, lo scandalismo
facile e gratuito, la notizia incontrollata purché rapida, l’offerta
di tutto ciò che si crede che i lettori o spettatori chiedano» (75)
sembrano essere spesso uno degli obiettivi “patologici”
dell’attività di informazione.
Dinanzi a tale quadro, all’interprete non resta che
chiedersi se - e in qual misura - l’attuale assetto normativo sia in
grado di fornire una risposta sanzionatoria adeguata alla
repressione di tale fenomeno. Infatti - ferma la responsabilità
penale della singola persona fisica autrice della diffamazione o
di qualsiasi altro reato che può esser posto in essere attraverso
l’esercizio dell’attività giornalistica, e considerata la eventuale
responsabilità del direttore che, in base al singolo caso concreto,
potrà assumere i contorni di una responsabilità dolosa in
concorso con l’autore del reato o “colposa” ex art. 57 c.p. per
omesso controllo sul contenuto della pubblicazione - appare
(75) F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. s., I, Delitti contro la persona ,
3ª ed., Cedam, Padova, 2008, 195 e 221.
52
La responsabilità penale negli organi collegiali
naturale chiedersi quali strumenti offra il nostro ordinamento
per contrastare validamente il fenomeno appena descritto.
Prima di passare in rassegna i profili di responsabilità
configurabili a carico dell’impresa giornalistica sembra
opportuna, però, una precisazione: la risposta sanzionatoria
dell’ordinamento non può prescindere dalle innegabili
caratteristiche della struttura dell’organo di informazione e deve
essere modulata, o rimodulata, sulla base di esse. Ragionare sul
necessario ed esclusivo intervento penale senza tenere in
considerazione il contesto imprenditoriale all’interno del quale si
svolge l’attività di informazione, in cui le regole penali non
possono essere sottratte a una verifica in termini di costibenefici circa la loro effettiva efficacia deterrente potrebbe
costituire un grave errore metodologico.
7. Impresa giornalistica e profili di responsabilità alla luce
dell’attuale panorama normativo.
Prima di soffermarci sui rimedi rintracciabili per
contrastare specificamente il fenomeno sopra descritto, pare
opportuno verificare quali siano i profili di responsabilità che,
più in generale, sono configurabili a carico dell’impresa
giornalistica. Per tali ragioni, pare opportuno prendere le mosse
dall’esame di quei corpi normativi che si riferiscono
specificamente alle imprese di informazione. La tematica involge
la questione inerente all’ammissibilità, all’interno del nostro
ordinamento, di forme di responsabilità diretta della persona
giuridica.
Il complesso normativo di riferimento per l’impresa
editoriale - la “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per
l’editoria” di cui alla legge 5 agosto 1981, n. 416 - non contempla
forme di responsabilità diretta dell’impresa editoriale, così come,
53
La responsabilità penale negli organi collegiali
invece, sembrerebbe potersi ricavare dal “Testo unico della
radiotelevisione”, di cui al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (76).
Posto che sarebbe superfluo ribadire che l’impresa giornalistica
non possa identificarsi esclusivamente con l’impresa editrice di
quotidiani e periodici (poiché, ovviamente, la diffusione
dell’informazione si realizza anche attraverso il mezzo
radiotelevisivo) e che non è questa la sede per approfondire la
lunga e travagliata evoluzione che sino ad oggi ha condotto a
determinare le attuali caratteristiche della struttura
dell’informazione radiotelevisiva italiana pubblica e privata, non
possiamo esimerci, tuttavia, dal richiamare nuovamente la legge
6 agosto 1990, n. 223, recante la “Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato”, proprio al fine di volgere lo
sguardo ai profili di responsabilità dell’impresa radiotelevisiva
ivi rintracciabili. Tale normativa, all’art. 31, contemplava la
disciplina delle sanzioni amministrative di competenza del
Garante e del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni.
L’articolo appena richiamato è stato oggetto di abrogazione ad
opera dell’art. 54 del T.U. della radiotelevisione e le relative
norme sono confluite negli artt. 51 e 52 del citato T.U., le quali si
occupano, rispettivamente, delle sanzioni di competenza
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e di quelle di
competenza del Ministero delle comunicazioni in caso di
violazione di obblighi in materia di programmazione,
pubblicazione e contenuti radiotelevisivi indicati dallo stesso art.
51 e nelle ipotesi specificate dall’art. 52. In particolare, l’art. 51
del T.U. - oggetto, tra l’altro, di recenti modifiche ad opera
dell’art. 8-decies, d.l. 8 aprile 2008, n. 59, e del comma 302
dell’art. 2, legge 24 dicembre 2007, n. 244, - fa riferimento a
(76) A dire il vero, tale normativa non consente di rinvenire una
panoramica davvero esaustiva dell’ordinamento in materia radiotelevisiva
poiché diverse disposizioni sono comunque sopravvissute al lavoro di riordino
e di abrogazione posto in essere attraverso il T.U. Per tali rilievi e, più in
generale, sull’ordinamento delle comunicazioni, si rinvia a F. BRUNO – G.
NAVA, Il nuovo ordinamento delle comunicazioni, Giuffrè, Milano, 2006.
54
La responsabilità penale negli organi collegiali
diverse tipologie di disposizioni la cui violazione comporta
l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie da parte
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni secondo le
procedure disciplinate dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, (77)
e prevede, altresì, la sospensione dell’attività e la revoca della
concessione o dell’autorizzazione nel caso di violazioni gravi o
reiterate (78). Da un lato, però, l’effetto di deterrenza che ne
deriva, è comunque pressoché nullo in tutte quelle ipotesi in cui
i vantaggi economici derivanti dall’inosservanza delle
disposizioni di legge siano superiori alla sanzione
amministrativa pecuniaria conseguente alla commissione
dell’illecito e, dall’altro, la valutazione della eventuale adozione
di misure particolarmente incisive sulla libertà di
manifestazione del pensiero, come la sospensione dell’attività e
la revoca della concessione o dell’autorizzazione è rimessa ad
un’Autorità amministrativa e non al giudice. Il richiamo a tale
disciplina è necessario poiché questa - assieme agli altri modelli
di responsabilità introdotti dal legislatore degli anni ’90 ( 79) attribuendo a determinate Autority amministrative la facoltà di
irrogare sanzioni alle persone giuridiche, è stata da molti
(77) Viene escluso, però, il beneficio del pagamento in misura ridotta
previsto dall’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
(78) Il comma 4 dell’art. 51 T.U. prevede che «nei casi più gravi di
violazioni di cui alle lettere h), i) e l) del comma 1, l’Autorità dispone altresì,
nei confronti dell’emittente o del fornitore di contenuti, la sospensione
dell’attività per un periodo da uno a dieci giorni», mentre il comma 9 del
medesimo articolo stabilisce che «se la violazione è di particolare gravità o
reiterata, l’Autorità può disporre nei confronti dell’emittente o del fornitore di
contenuti la sospensione dell’attività per un periodo non superiore a sei mesi,
ovvero nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide
della stessa Autorità, la revoca della concessione o dell’autorizzazione».
(79) Intendiamo fare riferimento alla legge 10 ottobre 1990, n. 187,
recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” e alla legge 17
maggio 1991, n. 157, recante “Norme relative all’uso di informazioni riservate
nelle operazioni in valori mobiliari e alla Consob”, novellato dal d.lgs. 24
febbraio 1998, n. 58, “Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria”.
55
La responsabilità penale negli organi collegiali
considerata una forma di responsabilità diretta della persona
giuridica e pertanto un modello “alternativo” alla responsabilità
da reato di cui al recente D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (80). Non è
questa la sede per procedere ad un’esegesi del sistema
sanzionatorio che caratterizza le Autorità amministrative
indipendenti ed, in particolare, l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (81). Tuttavia, può osservarsi che le Autorità
indipendenti attualmente «si trovano fra la grande “tentazione”
di far da giudice e, viceversa, la possibilità di svolgere un ruolo
preventivo, regolatorio di base, di ordine di funzioni aziendali, di
indirizzo di organizzazioni aziendali, di “consulenza” … forse il
difetto non è tanto dell’autorità indipendente quanto del
legislatore e, ancora una volta, della norma primaria da
applicare che viene poi consegnata all’autorità indipendente»
(82).
Volgendo, invece, lo sguardo alle conseguenze
sanzionatorie che potrebbero ricadere sull’impresa giornalistica
in seguito a comportamenti penalmente rilevanti di giornalisti
che al suo interno svolgono la propria attività professionale,
l’eventuale condanna di un giornalista e/o del direttore o
vicedirettore responsabile al pagamento di una pena pecuniaria
- per un reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti
alla qualità da loro rivestita, ovvero commesso nell’interesse
dell’impresa
giornalistica
potrebbe
comportare
un
“coinvolgimento”
dell’impresa
giornalistica
stessa
solo
nell’ipotesi in cui tali soggetti fossero insolventi. Infatti, ai sensi
dell’art. 197 c.p. è possibile rintracciare in capo agli enti forniti
(80) M.A. PASCULLI, La responsabilità da reato degli enti collettivi
nell’ordinamento italiano. Profili dogmatici ed applicativi, Bari, Cacucci,
2005, 76.
(81) Per un’attenta analisi delle caratteristiche di tali enti o organi
pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo si rinvia a A. LA
SPINA – S. CAVATORTO, Le autorità indipendenti, Il Mulino, Bologna, 2008.
(82) P. MARCHETTI, Il ruolo delle Autorità indipendenti, in Impresa e
giustizia penale: tra passato e futuro , in Atti del Convegno, Milano, 14-15 marzo
2008, Giuffrè, Milano, 2009, 231.
56
La responsabilità penale negli organi collegiali
di personalità giuridica - eccettuati lo Stato, le regioni, le
province ed i comuni - un obbligo al pagamento di un
equivalente monetario della pena pecuniaria qualora il
condannato risulti insolvibile: si tratta di un’obbligazione civile
sussidiaria delle persone giuridiche per il pagamento delle multe
e delle ammende. La disposizione in parola prevede che tali enti,
qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia
la rappresentanza, o l’amministrazione, o sia con essi in
rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca
violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal
colpevole, ovvero sia commesso nell’interesse della persona
giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del
condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o
dell’ammenda inflitta. Non ci troviamo di fronte ad una
responsabilità diretta dell’ente ma ad un’obbligazione civile
meramente sussidiaria, per la quale, tra l’altro, è previsto il
diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della
violazione. Tuttavia, la sporadica applicazione pratica della
disposizione de qua, ancorata all’insolvibilità del condannato, e
la modesta portata intimidatoria - dal momento che si prescinde
dalle condizioni economiche della persona giuridica - ne
sottolineano un limitatissimo impatto pratico (83). Se si riflette,
poi, sul fatto che le sanzioni penali di tipo pecuniario previste
dal nostro ordinamento come conseguenze di condotte lesive
dell’onore sono irrisorie già se destinate al giornalista autore
della condotta penalmente rilevante, non è difficile immaginare
quale impatto possano avere le stesse, su un’impresa
giornalistica, nell’ipotesi di insolvibilità del condannato: le
somme che l’impresa editoriale potrebbe essere obbligata a
(83) Ciò, del resto, trova conferma anche sul piano della casistica
giurisprudenziale che, nelle poche pronunce in materia, ha messo in risalto
esclusivamente problematiche di natura processuale. A tal proposito: Cass.
pen. Sez. I, 19.10.1966, Mastantuono, in C.E.D. Cass., n. 104539; Cass. pen.
Sez. III, 10.5.1966, Iraci, in C.E.D. Cass., n. 102490; Cass. pen. Sez. I,
20.2.1964, Scarpa, in C.E.D. Cass., n. 099216; Cass. pen. Sez. IV, 16.1.1963,
Mariotta, in C.E.D. Cass., n. 098961.
57
La responsabilità penale negli organi collegiali
pagare ai sensi dell’art. 197 c.p. potrebbero addirittura già
essere “preventivate” dalla stessa e considerate come un “costo”
cui far fronte aumentando, anche minimamente, il prezzo del
prodotto editoriale.
Le medesime riserve avanzate a proposito dell’art. 197
c.p. si ripropongono a proposito della legge 24 novembre 1981, n.
689. Tale normativa, infatti, delude le aspettative di chi si
accinge a ricercarvi un’ipotesi di responsabilità della persona
giuridica. L’art. 6 della legge appena richiamata si limita a
tratteggiare esclusivamente una responsabilità solidale della
persona giuridica o dell’ente privo di personalità giuridica con
l’autore della violazione (rappresentante o dipendente della
persona giuridica o dell’ente privo di personalità) per il
pagamento della somma da questo dovuta, prevendo il diritto di
regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione
laddove, più opportunamente, avrebbe potuto prevedere una
responsabilità diretta dell’ente (84). La previsione di un’unica
sanzione sia per l’autore materiale del reato che per la persona
giuridica, da versare in solido, non conduce a risultati
soddisfacenti in termini di prevenzione generale e speciale. Nel
caso in cui, ad esempio, il direttore responsabile, violando
quanto disposto dall’art. 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, non
proceda a fare inserire gratuitamente nel giornale le
(84) A tal proposito, evidenziano come il legislatore si sia lasciato
sfuggire un’importante occasione per introdurre una responsabilità diretta
della persona giuridica: C. FIORE, Pene accessorie, confisca e responsabilità
delle persone giuridiche nelle “Modifiche al sistema penale” , in Arch. pen.,
1982, 259; C.E. PALIERO – A. TRAVI, Sanzioni amministrative, in Enc. dir.,
vol. XLI, Giuffrè, Milano, 1989, 389.
In generale, a proposito dell’introduzione di un sistema sanzionatorio
ex legge 24 novembre 1981, n. 689: T. PADOVANI, La distribuzione di sanzioni
penali e di sanzioni amministrative secondo l’esperienza italiana, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1984, 952; E. DOLCINI Sanzione penale o sanzione
amministrativa: problemi di scienza della legislazione , in Riv. it. dir. proc.
pen., 1984, 589; G. LATTANZI, Sanzioni penali e sanzioni amministrative:
criteri di scelta e canoni modali, in Foro it., 1985, V, 251; G. D’AURIA,
L’“amministrazione repressiva”, in Pol. dir., 1996, 229.
58
La responsabilità penale negli organi collegiali
dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state
pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o
pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o
contrari a verità, e venga condannato al pagamento della
sanzione amministrativa corrispondente, l’impresa giornalistica,
potrà essere chiamata a rispondere in solido per il pagamento
della somma dovuta dal direttore.
L’impresa che esercita un’attività giornalistica potrà
essere destinataria, quindi, delle disposizioni richiamate, ma
esclusivamente nei limiti applicativi appena indicati. Tali
strumenti, però, non possono essere di alcun ausilio per
contrastare quella criminalità di impresa che connota
specificamente l’impresa giornalistica e che può essere
realizzata mediante la condotta penalmente rilevante dei
giornalisti nell’esercizio della loro professione.
59
CAPITOLO II
LA TRADIZIONALE RESPONSABILITÀ PENALE NEL DIRITTO
PENALE DELLA STAMPA
SOMMARIO: 1. La responsabilità penale del direttore del periodico ex art. 57
c.p. – 2. (Segue): Il criterio di imputazione soggettiva dell’evento. – 3.
L’esigenza di predisporre un meccanismo di controllo. – 4. (Segue): Il
ricorso alla delega di funzioni. 5. – L’ “automatismo” della
responsabilità del direttore. – 6. Direttore di giornale e mezzi di
diffusione dell’informazione diversi dalla carta stampata:
responsabilità penali a confronto. – 7. Il principio di personalità
dell’illecito e il trattamento sanzionatorio riservato al direttore
dall’art. 57 c.p. – 8. Le ulteriori ipotesi di responsabilità del direttore:
a) il direttore autore dello scritto; b) il concorso di persone nel reato. –
9. La responsabilità penale del direttore di giornale negli ordinamenti
stranieri. – 10. (Segue): a) il sistema francese. – 11. b) l’ordinamento
spagnolo. – 12. (Segue): c) l’ordinamento tedesco. – 13. La fattispecie
di omesso impedimento dei reati commessi col mezzo della stampa nei
progetti di riforma del codice penale italiano.
1. La responsabilità penale del direttore del periodico ex
art. 57 c.p.
Nel sistema delle responsabilità dei soggetti che prestano
la propria attività professionale all’interno dell’impresa
giornalistica la figura del direttore responsabile suscita
particolare interesse per diversi ordini di ragioni. Da un lato,
perchè tale soggetto rappresenta l’emblema del mondo
dell’informazione; dall’altro, perché i profili di responsabilità
emergenti dalla prassi applicativa non possono lasciare
indifferente l’interprete che intende osservare da vicino il
fenomeno dell’informazione e i suoi rapporti con il diritto penale
e con gli strumenti di tutela che l’ordinamento pone a sua
disposizione. Il profilo sotto il quale la figura del direttore
responsabile assume significativa importanza è duplice: sul
piano della responsabilità penale, per quanto pubblicato sul
61
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
giornale da lui diretto e su quello della direzione in senso tecnico
(ed anche politico) dello stesso. Basti pensare, a quest’ultimo
proposito, ai rapporti con l’editore e con la redazione non
dimenticando, tra l’altro, che in un contesto come quello italiano
il fortissimo legame tra potere economico e stampa attribuisce al
direttore un ruolo cardine ancora più importante.
Sul piano del diritto penale per decenni la responsabilità
configurata dal codice penale ex art. 57 per il direttore
responsabile ha determinato l’insorgere di forti dubbi e
perplessità che ancora oggi non appaiono sopite. Sebbene il
potere-dovere di controllo attribuito dal legislatore penale a tale
soggetto sembra costituire un logico corollario della posizione da
questi ricoperta nel settore giornalistico, la questione di fondo
che emerge dalla responsabilità penale di tale soggetto per
omesso controllo si colloca in un quadro che involge lo stesso
principio di personalità dell’illecito.
Il punto di partenza per una riflessione che abbia ad
oggetto l’art. 57 c.p. è rappresentato dalla (discutibile)
collocazione di tale specifica ipotesi di fattispecie criminosa nella
parte generale del codice penale, mantenuta anche dal
legislatore della riforma (1). Forse tale ubicazione potrebbe
essere giustificata dal fatto che la fattispecie ivi tipizzata
sembra essere priva di un oggetto giuridico proprio, essendo
invece finalizzata a rafforzare la tutela di quell’interesse a sua
volta protetto dalle norme incriminatici di quei reati suscettibili
di essere commessi attraverso la pubblicazione. Non va
dimenticato che il suo campo applicativo si estende fino a coprire
una vasta area criminosa, che ricomprende sia i reati consistenti
in manifestazioni di pensiero, come il vilipendio delle istituzioni,
l’apologia, le pubblicazioni oscene, la diffamazione, la
pubblicazione di notizie segrete, il trattamento illecito di dati
(1) P. NUVOLONE, La responsabilità penale del direttore di giornale nel
quadro della teoria della colpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 1142,
osservava come l’art. 57 c.p. fosse una disposizione che si poneva «a cavaliere
tra la parte generale e la parte speciale del diritto penale».
62
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
personali; sia quei reati che prescindono da un’attività
giornalistica in senso stretto, come quegli illeciti penali
commessi attraverso la pubblicazione di lettere, inserzioni,
annunci pubblicitari (2). Il rafforzamento della tutela di quegli
interessi si concretizza assimilando, accanto a quella dell’autore
dello scritto, l’ulteriore responsabilità di chi, provvisto dei poteri
per farlo, non ha impedito la commissione del reato ( 3). Piuttosto
che norma puramente incriminatrice l’art. 57 c.p., allora,
potrebbe essere inteso come clausola di estensione della
punibilità in quanto consente che ad ogni reato commesso col
mezzo della stampa venga affiancata una fattispecie sanzionata
a titolo di colpa (4). In questo senso probabilmente si potrebbe
(2) In quest’ultimo caso, a proposito della responsabilità del direttore
per non aver impedito la pubblicazione di una lettera di un cittadino
contenente accuse penalmente rilevanti nei confronti dei terzi: Cass. pen. Sez.
V, 21.10.2003, Bottari, in Cass. pen, 2005, 3883, con nota di F. VERRI, Il
«decalogo» delle Sezioni unite in materia di «diritto d’intervista» si applica
alle lettere del direttore? Sulla responsabilità per omesso controllo ex art. 57
c.p. del direttore del giornale che consente l’uscita della locandina del
periodico in cui si riscontra un contenuto diffamatorio per la falsità della
notizia in essa riportata, compromettente la reputazione di una persona
determinata v. Trib. Perugia, 8.2.1999, Botta, in Rass. giur. umbra, 1999,
575, con nota di D. BRUNELLI, Diffamazione a mezzo periodico e diffamazione
a mezzo «civetta».
(3) Nello stesso senso G. DELITALA, Titolo e struttura della
responsabilità penale del direttore del giornale per reati commessi sulla
stampa periodica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 544; T. PADOVANI, Il
momento consumativo nei rati commessi col mezzo della stampa, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1971, 824; E. MUSCO, Stampa, in Enc. dir., vol. XLIII, Giuffrè,
Milano, 1990, 633.
(4) Prima facie potrebbe affermarsi, ad esempio, che attraverso
l’applicazione dell’art. 57 c.p. possa delinearsi la figura della diffamazione
colposa «la figura, cioè, colposa di un reato, del quale ogni altro componente
della collettività risponde soltanto se ha agito con dolo»: A. GRIECO, Brevi
note sulla responsabilità del direttore di giornale per i reati commessi col
mezzo della stampa, in Scritti in onore di Alfredo De Marsico, vol. II, Giuffrè,
Milano, 1960, 28. Tuttavia tale affermazione presterebbe il fianco a quelle
critiche secondo cui si profilerebbe una vera e propria incongruenza nel
punire il direttore a titolo di colpa per un fatto eventualmente previsto dalla
63
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
comprendere la collocazione della norma di cui si discute nella
parte generale del codice penale anche se, a nostro avviso, la
sede naturale di tale disposizione sarebbe stata comunque la
legge sulla stampa, poiché in questo modo la materia avrebbe
assunto contorni maggiormente omogenei trattandosi di una
fattispecie autonoma di reato (5). Pare opportuno precisare,
legge solo nella forma dolosa: G.D. PISAPIA, La nuova disciplina della
responsabilità per i reati commessi a mezzo della stampa, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1958, 323. Tali perplessità, comunque, sembrano venire meno
riflettendo semplicemente sull’autonomia della fattispecie di cui all’art. 57
c.p.
(5) Diversi sono gli elementi che consentono di affermare che l’omesso
controllo ex art. 57 c.p. costituisce una fattispecie autonoma di reato. Tale
affermazione fa perno su innegabili indici testuali. L’art. 58-bis, comma 2, c.p.
stabilisce che «la querela, l’istanza o la richiesta presentata contro il direttore
o il vice direttore responsabile, l’editore o lo stampatore, ha effetto anche nei
confronti dell’autore della pubblicazione per il reato da questo commesso» ma
la speculare assenza di un’opposta previsione che preveda l’effetto estensivo
per il direttore della querela proposta contro l’autore della pubblicazione
consente di ricavare che la responsabilità del direttore o del vicedirettore non
possa essere considerata accessoria rispetto a quella dell’autore della
pubblicazione (si è però precisato che l’autonomia del reato de quo non va
intesa in senso assoluto ed oggettivo sia per l’identità dell’interesse leso sia
perché il secondo reato costituisce l’evento rispetto al primo, preferendo
definire il rapporto tra i due reati come accessorietà genetica. Così M.
ROMANO, Sub art. 57, in Commentario sistematico del codice penale , vol. I,
Art. 1 – 84, Giuffrè, Milano, 2004, 581). Inoltre, dalla clausola «fuori dei casi
di concorso» utilizzata dal legislatore all’interno dello stesso art. 57 c.p. si
evince che l’alternativa rispetto al concorso non può costituire che
l’autonomia della figura criminosa prevista. Non sarebbe possibile affermare
che ci si trovi dinanzi ad un caso di concorso colposo nell’altrui reato doloso in
cui il concorso colposo del direttore nel reato doloso commesso dall’autore
della pubblicazione sarebbe fondato sul fatto che gli elementi costitutivi
dell’illecito del primo sono integrati di volta in volta dalla realizzazione
dell’illecito del secondo. Ulteriori elementi, poi, consentono di pervenire alle
medesime conclusioni: molti dei provvedimenti di aministia includono
nell’ambito di applicazione della causa estintiva “i reati previsti dall’art. 57
c.p. commessi dal direttore o vicedirettore responsabile, quando è noto
l’autore della pubblicazione”, indipendentemente dalla concessione di
amnistia per tutti o alcuni dei reati commessi con il mezzo della stampa. V.,
64
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
comunque, che l’autonomia del reato di omesso controllo rispetto
a quello commesso dall’autore della pubblicazione non va intesa
nel senso oggettivo di un illecito che lede un interesse differente
da quello colpito dall’autore della pubblicazione. In altri termini,
autonomia di fattispecie non esprime ineluttabilmente il
significato di autonomia di interesse protetto.
2. (Segue) Il criterio di imputazione soggettiva dell’evento.
Una delle questioni più rilevanti sulle quali si è
essenzialmente (o forse sarebbe meglio dire esclusivamente)
concentrata l’attenzione della dottrina a proposito della
fattispecie di cui all’art. 57 c.p., nella sua attuale formulazione,
attiene all’esatta individuazione del criterio di imputazione
soggettiva dell’evento (6). Com’è noto, l’attuale formulazione
infatti, art. 1 lett. e) d.P.R. 4 giugno 1966, n. 332; art. 1 lett. c) d.P.R. 4 agosto
1978, n. 413; art. 1 lett. c) d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744; art. 1 lett. b)
d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75.
Le conseguenze del rapporto di autonomia tra il reato di cui all’art. 57
c.p. e quello commesso a mezzo della pubblicazione sono diverse. Nel caso di
diffamazione, ad esempio, è possibile che l’accertamento di tale reato
intervenga a prescindere da quello relativo all’omesso controllo del direttore
ex art. 57 c.p., ma non è ammissibile che avvenga l’esatto contrario.
(6) All’interno della fattispecie dell’art. 57 c.p., il reato posto in essere
dall’autore della pubblicazione costituisce l’evento e non una condizione
oggettiva di punibilità. La stessa dizione lessicale «se un reato è commesso»
potrebbe far propendere per l’opposta conclusione, ma è noto che i criteri
letterali non possono considerarsi del tutto vincolanti. La natura di evento in
senso tecnico è confermata anche dal fatto che non avrebbe senso ritenere che
il direttore svolga un’attività di vigilanza fine a se stessa. Sia la
giurisprudenza di merito sia quella di legittimità è unanime in tal senso. A
tal proposito: Trib. Bologna, 27.2.2008, in Dir. pen. e processo, 2008, 12, 1557,
con nota di A. ASTROLOGO, L’insindacabilità parlamentare e la responsabilità
penale del direttore del periodico; Cass. pen. Sez. V, 15.2.2008, Rutelli, in
C.E.D. Cass., n. 239481; Cass. pen. Sez. V, 8.4.2003, Leone, in Guida al dir.,
2003, 36, 94; Cass. pen. Sez. V, 26.2.2003, Graldi, in Riv. pen., 2004, 145;
65
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
dell’art. 57 c.p. è la seguente: «Salva la responsabilità dell’autore
della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il
vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul
contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad
impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati,
è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena
stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un
terzo». Ora, l’opinione di chi ritiene che «l’art. 57 c.p., con l’ibrido
riferimento al titolo della responsabilità non si colloca
correttamente da nessuna parte» rappresenta perfettamente
l’espressione delle incertezze che inevitabilmente affiorano dalla
formulazione di tale disposizione (7). Infatti, nonostante
l’intervento del legislatore della riforma, i dubbi che continuano
a caratterizzare la fattispecie ivi contemplata sono innumerevoli
(8).
Cass. pen. Sez. V, 28.5.1999, Monti, in Giust. pen., 2000, II, 596; Cass. pen.
Sez. U. 18.11.1958, Clementi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 543.
In dottrina, tra gli altri, ritengono si tratti di evento: P. NUVOLONE, La
responsabilità penale del direttore di giornale nel quadro della teoria della
colpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 1131; C.F. GROSSO, Stampa, in Enc.
giur., vol. XXX, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1993, 4; F.
MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., 5a ed., Cedam, Padova, 2007, 385; F.
ANTOLISEI, Manuale di dir. pen., pt. s., vol. I, 15ª ed., a cura di C.F. Grosso,
Giuffrè, Milano, 2008. Hanno optato, invece, per la qualificazione di
condizione oggettiva di punibilità: R.A. FROSALI, Sistema penale italiano,
Utet, Torino, 1958, 51 ss.; R. PANNAIN, La responsabilità penale per i reati
commessi a mezzo stampa, in Arch. pen., 1958, I, 212; G.D. PISAPIA, La nuova
disciplina della responsabilità per i reati commessi a mezzo della stampa, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1958, 321.
(7) A. COVIELLO, Sub Art. 57 c.p., in Commentario al codice penale,
diretto da G. Marini - M. La Monica - L. Mazza, Utet, Torino, 2002, 525.
(8) Uno degli elementi che consente di sottolineare le evidenti difficoltà
interpretative derivanti dalla disposizione de qua anche nell’attuale
formulazione è rappresentato dai numerosi interventi della Corte
costituzionale che più volte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale dell’art. 57 c.p. I giudici costituzionali, però, hanno sempre
dichiarato l’infondatezza delle questioni loro sottoposte.
66
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Dalla lettura della disposizione emerge immediatamente
la singolarità dell’inciso «a titolo di colpa» se si considera che, da
un lato, all’interno del codice penale il legislatore quasi mai vi
ha fatto ricorso - se non nel caso dell’art. 83 c.p. a proposito
dell’evento diverso da quello voluto dall’agente - e, dall’altro, che
tutte le volte in cui ha effettivamente inteso far dipendere la
rilevanza penale di un fatto di reato dalla presenza della colpa il
legislatore si è avvalso di una formulazione differente ( 9). Prima
facie, allora, potrebbe ritenersi che il legislatore abbia optato per
una forma di responsabilità oggettiva, trattando “come se fosse”
colposo un fatto che sostanzialmente presenta una struttura
diversa. Diversi Autori, infatti, hanno prediletto tale lettura
considerando l’inciso «a titolo di colpa» non come elemento
(9) Anche a proposito dell’aberratio delicti l’ambigua formula utilizzata
dal legislatore «a titolo di colpa» ha determinato l’insorgere di posizioni
contrastanti. Da un lato, si è optato per una interpretazione che considera
responsabile il soggetto agente dell’evento non voluto solo se attribuibile a
sua colpa. Dall’altro, si ritiene invece che il criterio di attribuzione di tale
responsabilità sia la responsabilità oggettiva. Nel primo senso A. CADOPPI, –
P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale , pt. g., 3ª ed., Cedam, Padova,
2007, 340; F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 377; A. PAGLIARO,
Principi di diritto penale , pt. g., 8a ed., Giuffrè, Milano, 2003, 627; nel
secondo G. FIANDACA, - E. MUSCO, Diritto penale, pt. g., 5ª ed., Zanichelli,
Bologna, 2007, 389; B. ROMANO, Guida alla parte generale del diritto penale ,
Cedam, Padova, 2009, 322. Sul reato aberrante v. G.A. DE FRANCESCO,
Aberratio: teleologismo e dommatica nella ricostruzione delle figure di
divergenza nell’esecuzione del reato, Giappichelli, Torino, 1998.
Va comunque evidenziato che, di recente, le Sezioni unite della
Cassazione (con sent. n. 22676 del 22.1.2009, Ronci, in Riv. dir. fam. e delle
pers., 1691, con nota di A. MINO, Il criterio di imputazione della
responsabilità dello spacciatore per la morte del tossicodipendente: le Sezioni
unite ammettono la colpa in attività illecita) si sono pronunciate a proposito
dell’imputazione soggettiva dell’evento non voluto ex art. 586 c.p., fattispecie
comunemente considerata un’ipotesi di aberratio delicti, ammettendo la
configurabilità della c.d. colpa in attività illecita. È appena il caso di
evidenziare comunque che nell’ipotesi di cui all’art. 57 c.p. il comportamento
del direttore si inserisce nell’ambito di un’attività consentita.
67
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
fondante la struttura dell’elemento soggettivo, ma come indice
del trattamento sanzionatorio riservato al direttore (10).
L’orientamento prevalente in dottrina, invece, tende a
considerare la fattispecie tipizzata dall’art. 57 c.p.
strutturalmente colposa (11). L’interpretazione in chiave colposa
(10) R. PANNAIN, La responsabilità penale, cit., 213; G.D. PISAPIA, La
nuova disciplina, cit., 318; A. PAGLIARO, La responsabilità per i reati
commessi col mezzo della stampa periodica secondo il nuovo testo dell’art. 57
c.p., in Scritti giuridici in onore di Alfredo De Marsico , vol. II, Giuffrè,
Milano, 1960, 244 (cfr., però, infra nt. 25).
Più di recente, sottolinea il rischio del prospettarsi di una
responsabilità oggettiva, A. COVIELLO, Sub Art. 57 c.p., cit., 525 ss. L’A.,
premettendo che titolo e fondamento della responsabilità sono due concetti
diversi che non devono essere confusi tra loro, osserva che il legislatore,
nell’indicare solo il titolo di responsabilità del direttore non chiarendo quale
sia l’elemento soggettivo della fattispecie legale omissiva, abbia finito per
delineare una vera e propria forma di responsabilità oggettiva.
(11) I. CARACCIOLI, Manuale di diritto penale, pt. g. , 2ª ed., Cedam,
Padova, 2005, 468; G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, pt.
g., 2ª ed., Giuffrè, Milano, 2006, 288; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale,
pt. g., cit., 635; F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 386; B. ROMANO,
Guida alla parte generale, cit., 308.
Parte della dottrina esclude la possibilità di ricondurre la fattispecie
in questione fra le ipotesi di agevolazione colposa in quanto il direttore può
considerarsi penalmente responsabile soltanto quando abbia reso possibile la
realizzazione del reato a mezzo stampa e non solo quando ne abbia
semplicemente agevolato la realizzazione. La ragione risiederebbe nel fatto
che all’interno dell’art. 57 c.p. non appare possibile rinvenire «alcun dato
testuale che autorizzi un’interpretazione per la quale si possa concludere che
il direttore debba rispondere anche nel caso in cui la condotta di omessa
vigilanza abbia semplicemente “facilitato” la realizzazione del reato a mezzo
stampa»: F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, Giuffrè, Milano,
1984, 115. In senso contrario: T. VITARELLI, Evento colposo e limiti del dovere
obiettivo di diligenza nella responsabilità penale del direttore di stampa
periodica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 1224 ss.; M. POLVANI, La
diffamazione a mezzo stampa, Cedam, Padova, 1998, 225; I. SANTANGELO, La
responsabilità del Direttore nella diffamazione a mezzo stampa, in Giur.
merito, 2001, 451. Parte della giurisprudenza di merito ritiene il reato
previsto dall’art. 57 c.p. riconducibile alla categoria delle fattispecie colpose di
evento, disegnando una ipotesi delittuosa di agevolazione colposa, con
68
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
si porrebbe in armonia con il principio della responsabilità
penale personale e corrisponderebbe con l’obiettivo del
legislatore della riforma che, intenzionato a superare il
problema della responsabilità oggettiva, non l’avrebbe poi
introdotta comunque “sotto le mentite spoglie” di una
responsabilità colposa (12). Quest’ultimo criterio di imputazione
soggettiva postula, quindi, una colpa concepita e accertata nei
suoi requisiti ordinari: occorrerà poter muovere un rimprovero al
direttore per un evento non voluto sebbene prevedibile rappresentato dal reato commesso da un terzo soggetto a mezzo
della pubblicazione (13) - cagionato mediante la violazione di
esclusione di ogni possibilità di dare corpo a figure di responsabilità obiettiva.
Così Trib. Trento, 16.1.2001, in Riv. pen., 2001, 849.
(12) In ogni caso, sia l’interpretazione che ritiene si tratti di una forma
di responsabilità oggettiva, sia quella che preferisce una lettura in chiave
colposa poggiano su argomentazioni del tutto plausibili. E pertanto non deve
destare stupore come quella dottrina che in un primo momento considerava
siffatta forma di responsabilità non riconducibile allo schema colposo ha
successivamente evidenziato come la pura e semplice prevedibilità ed
evitabilità dell’evento – sufficiente nei casi di responsabilità oggettiva – non
può considerarsi sufficiente nei reati di stampa posto che l’importanza della
professione del giornalista e il suo riconoscimento giuridico impongono di
costruire intorno all’attività del direttore del periodico una sfera di rischio
consentito. Di conseguenza, il reato commesso col mezzo della pubblicazione
potrà essere attribuito, per omesso controllo, solo quando questa omissione
abbia natura e dimensioni tali, da andare oltre il limite del rischio consentito
in un normale esercizio delle funzioni di direttore del periodico. Affinché
possa configurarsi la responsabilità penale del direttore è necessario
considerare tutte le circostanze concrete come le necessità imposte dai tempi
di chiusura del periodico, il rilievo anche tipografico dato alla notizia, la
specificità delle competenze richieste per giudicare del suo contenuto, e così
via. L’omissione di controllo da parte del direttore per essere qualificata come
reato deve riportarsi ad una sua negligenza, imprudenza o imperizia o alla
inosservanza di regole giuridiche sulla professione di giornalista: il direttore
deve essere in colpa. Così A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, pt. g., cit.,
332, nt. 100.
(13) A proposito del reato commesso dall’autore della pubblicazione è
necessario domandarsi se debba essere perfetto in tutti i suoi estremi anche
soggettivi o se sia sufficiente la realizzazione oggettiva di un fatto di reato.
69
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
regole cautelari di condotta e che il direttore poteva evitare se
avesse osservato, così come era in suo potere, la regola violata.
Se così è, la mera violazione dell’obbligo di controllo imposto
dall’art. 57 c.p. non può considerarsi sufficiente al fine di
individuare una responsabilità penale in capo al direttore, ma
occorrerà verificare altresì se l’omesso controllo sia dovuto alla
Sul punto la dottrina è divisa. Infatti, se, da un lato, potrebbe apparire
difficilmente comprensibile l’irrilevanza penale dell’omesso controllo del
direttore sol perché l’autore dell’articolo non risulta punibile e se, tenendo in
considerazione la stessa ratio dell’art. 57 c.p., dovrebbe assumere rilievo non
tanto la punibilità dell’autore dell’articolo quanto l’oggettiva lesività dello
scritto (F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 385); dall’altro, qualora
quest’ultimo venisse prosciolto per mancanza dell’elemento soggettivo, punire
comunque il direttore del periodico per omesso controllo potrebbe apparire
irragionevole e allora sembrerebbe necessario che l’autore abbia comunque
posto in essere un reato completo in tutti i suoi elementi costitutivi. Le
argomentazioni a sostegno di quest’ultimo punto di vista traggono forza dallo
stesso esordio dell’art. 57 c.p. «salva la responsabilità dell’autore e fuori dai
casi di concorso» e dall’articolo successivo, il 57-bis del codice penale, il quale
prevede una responsabilità sussidiaria in caso di reati commessi col mezzo
della stampa non periodica in caso di autore ignoto o non imputabile: se il
legislatore ha deciso di ancorare la responsabilità dell’editore e dello
stampatore alla non imputabilità dell’autore dell’articolo se ne deve dedurre
che essa presuppone un reato completo di tutti i suoi elementi oggettivi e
soggettivi (C.F. GROSSO, Responsabilità penale per i reati commessi col mezzo
della stampa, in Riv. pen., 1971, I, 413). Secondo altri la soluzione più
corretta appare comunque quella di pretendere che il reato commesso col
mezzo della pubblicazione sia perfetto in tutti i suoi estremi anche soggettivi
ma deve sottolinearsi che l’interpretazione di “reato commesso” come fatto
tipico, antigiuridico e colpevole non comporta che sul direttore incomba
l’obbligo di controllare anche l’atteggiamento psicologico dell’autore dello
scritto ma che la sua responsabilità è ancorata al requisito della penale
responsabilità di quest’ultimo (E. MUSCO, Stampa, cit., 641). A nostro avviso
appare più logico ritenere che il reato commesso dell’autore della
pubblicazione debba essere perfetto sia dal punto di vista oggettivo che
soggettivo poiché sembra irragionevole la sottoposizione a sanzione penale
del solo direttore qualora, al tempo stesso, la condotta dell’autore dell’articolo
non possa considerarsi penalmente rilevante in quanto priva di tutti gli
elementi necessari ad integrare un illecito penale.
70
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
violazione di una regola cautelare (14). È indispensabile, allora,
verificare quale sia la regola cautelare volta a prevenire il
verificarsi dell’evento rappresentato dal reato commesso
attraverso la pubblicazione.
Infatti, se si intende procedere all’accertamento di un
reale profilo di colpa in capo al direttore, scongiurando di dare
vita, nei fatti, ad un caso di responsabilità oggettiva (15), si rende
indispensabile verificare quali siano le cautele che il direttore
deve osservare – e quali i contorni che esse debbano assumere –
affinché non possa essergli mosso alcun rimprovero per l’omesso
controllo su quanto pubblicato. La disciplina dell’illecito colposo
richiede, cioè, ai fini della rimproverabilità dell’omesso controllo
necessario, la ricostruzione di una o più regole di diligenza, la
cui osservanza consentirebbe al direttore di andare esente da
responsabilità penale. Anche qui, allora, sarà necessario fare
ricorso alla figura dell’agente modello, tradizionalmente
ricostruito sulla base dell’homo ejusdem professionis et
condicionis. La misura di diligenza richiesta, infatti, va
ricostruita ex ante sulla base del punto di vista dell’uomo
coscienzioso e avveduto e sulla misura della prevedibilità del
fatto che secondo tale ottica può essere richiesta: occorrerà fare
riferimento al comportamento doveroso tenuto dal “direttore
modello”. A nostro avviso, al fine di individuare la regola di
diligenza e soprattutto la misura della stessa, occorrerebbe
soffermarsi su un aspetto posto in risalto (già un ventennio
(14) Tra coloro che ritengono che la condotta omissiva del direttore
debba essere dovuta ad un atteggiamento negligente, imprudente o imperito
F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 386; G. FIANDACA – E. MUSCO,
Diritto penale, pt. g., cit., 635.
A. PAGLIARO, Il reato, in Trattato di dir. pen., diretto da C.F. Grosso T. Padovani - A. Pagliaro, Giuffrè, Milano, 2007, 129, ritiene che per
costituire reato la condotta del direttore possa riportarsi ad una sua
negligenza, imprudenza o imperizia oppure alla inosservanza di regole
giuridiche sulla professione di giornalista.
(15) O, meglio, in un caso di responsabilità oggettiva occulta. A tal
proposito F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 381.
71
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
addietro) da quella dottrina che sottolineava come nello specifico
settore del quale ci stiamo occupando «la fissazione della regola
di diligenza presuppone, da un lato, la ricognizione dell’attuale
realtà dell’azienda giornalistica, del suo modo di essere, delle
sue sempre più crescenti esigenze di espansione, dei nuovi ruoli
e dei nuovi compiti da essa assunte, del modo sempre più
automatizzato di lavorare, dell’accentuata concorrenzialità fra le
varie aziende e fra mezzi di comunicazione dotati di differente
velocità, ecc.; e, dall’altro, l’individuazione di situazioni tipiche
rispetto alle quali l’esperienza ha evidenziato il pericolo
dell’insorgenza di fatti dannosi … richiedere al direttore un
controllo assiduo, capillare – senza precisare gli ambiti, il
settore, i tipi di attività sottoposti a controllo, ecc. – può voler
dire e di fatto vuol dire condizionare pesantemente, al di là di
ogni ragionevolezza, la legittima attività di informazione svolta
dalla stampa» (16). Veniva proposta, così, una modulazione della
incisività del controllo in base alla tipologia dell’informazione
riportata distinguendo innanzitutto tra cronaca in senso stretto
e valutazione degli accadimenti riportati. La capillarità del
controllo avrebbe dovuto essere direttamente proporzionale
all’impatto della notizia sulla realtà sociale (17).
Sarebbe superfluo sottolineare che prescindere da un
concreto accertamento dell’elemento soggettivo significherebbe
chiamare a rispondere un soggetto che, in quanto direttore,
viene considerato responsabile perché un terzo commette un
reato, prospettandosi così la possibilità di aprire il varco ad una
ipotesi di colpa presunta. Tuttavia, sembra che tale fenomeno
caratterizzi proprio il piano applicativo della responsabilità ex
art. 57 c.p. Infatti, nonostante la giurisprudenza ritenga la colpa
(16) E. MUSCO, Stampa, cit., 643.
(17) E. MUSCO, Stampa, cit., 643. Altra dottrina, a proposito
dell’impossibilità di un controllo capillare e continuo da parte del direttore ha
affermato come tale impossibilità rappresentasse un’esatta critica alla norma
di cui all’art. 57 c.p. non potendo assumere, però, alcun valore per
l’interpretazione della stessa, P. NUVOLONE, Reati di stampa, Cedam, Padova,
1971, 109.
72
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
l’elemento soggettivo che caratterizza il reato di omesso
controllo, in diverse pronunce è possibile leggere che in tale
settore la colpa si concretizza nell’inosservanza della specifica
regola di condotta assorbita e tipicizzata all’interno della stessa
norma incriminatrice che impone al direttore l’obbligo di
attivarsi procedendo al controllo sul contenuto della
pubblicazione: colpa identificata non nella generica negligenza,
imprudenza o imperizia né nella inottemperanza rispetto a
positivizzati dettami cautelari, ma nella stessa inosservanza del
precetto penale che impone ad un soggetto qualificato di attuare
il dovuto controllo (18). In altri termini, la giurisprudenza ritiene
si tratti di un’ipotesi di colpa per inosservanza di disposizioni di
legge che, nel caso di specie, si identifica proprio nella violazione
dell’art. 57 c.p. che prescrive al direttore il dovere di esercitare il
controllo necessario ad impedire che col mezzo della
pubblicazione siano commessi reati (19). Si finisce, così, col
confondere la questione della rilevanza oggettiva dell’omesso
controllo con la problematica attinente l’accertamento del
coefficiente psicologico in capo al direttore. Basti pensare che la
stessa Cassazione ha affermato che «in relazione alla fattispecie
prevista dall’art. 57 c.p. la prova della colpa del direttore o
vicedirettore responsabile si identifica con la prova
dell’omissione cosciente e volontaria del controllo sul periodico»
(18) Cass. pen. Sez. V, 30.11.2004, Licata, in Giur. it., 2005, 2386, con
nota di D. FALCINELLI, Ipse dixit: si stampi!; Cass. pen. Sez. V, 10.1.2001,
Forleo, in Cass. pen., 2002, 2345, con nota di G. LE PERA, Articolo non firmato
e responsabilità del direttore: un pericoloso ritorno alla responsabilità senza
colpa.
(19) Nella giurisprudenza di merito si è affermato che la colpa di cui è
chiamato a rispondere il direttore «non è ravvisabile genericamente nella
negligenza o imprudenza, ma è espressamente individuata dalla legge nella
inosservanza di una specifica norma cautelare: la regola di condotta
contenuta a contrario nell’art. 57 c.p.: la condotta omissiva può essere
indifferentemente volontaria o colposa e in tal caso costituiranno ipotesi
equivalenti di condotta contraria al precetto l’omissione colposa di controllo
tout court, la negligenza nella sua esecuzione, l’inadeguata valutazione della
liceità penale dell’articolo». Così, Trib. Milano, 16.7.2003, n. 6415, inedita.
73
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
(20). Ma l’inosservanza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento
non può ritenersi senz’altro colposa (21). Infatti, se le ragioni che
potrebbero condurre a tale infelice conclusione – giungendo così
a perdere di vista, sul piano interpretativo, la non automatica
coincidenza tra la fattispecie omissiva e quella colposa –
appaiono individuabili nella stessa struttura del reato colposo
all’interno del quale è possibile individuare un momento
omissivo (22), ciò non potrebbe giustificare l’identificazione della
colpa con l’inosservanza dell’obbligo giuridico di impedire che col
mezzo della pubblicazione siano commessi reati invertendo, in
sostanza, l’onere probatorio e ritenendo sufficiente il semplice
accertamento dell’omesso controllo del direttore. Invece,
l’equivoco che conduce ad identificare la questione della
rilevanza oggettiva dell’omissione e della sua efficacia causale
con la questione della presenza del coefficiente psicologico è
tutt’altro che infrequente: accertata la verificazione dell’evento e
constatata la sussistenza della posizione di garanzia, se ne
ricava l’esistenza di un inosservato obbligo di diligenza che
determina il rimprovero per colpa in capo al direttore. Le ragioni
che conducono a tale ingiustificata commistione probabilmente
risiedono nella mancata distinzione tra due categorie di obblighi:
l’obbligo di garanzia, che fonda la responsabilità a titolo di
omesso impedimento dell’evento, e l’obbligo di diligenza, che ha
ad oggetto l’adozione di determinate misure cautelari. È
evidente che il primo attiene alla causalità omissiva e il secondo
(20) Cass. pen. Sez. V, 5.5.1981, Valentini, in Riv. pen., 1982, 205. Più
di recente, nella giurisprudenza di merito, è stato nuovamente ribadito che la
prova della colpa del direttore «si identifica con la prova stessa dell’omissione,
cosciente e volontaria, da parte del colpevole di detto controllo, senza che sia
necessario accertare se la omissione abbia avuto luogo per colpa»: Trib.
Milano, 23.5.2003, n. 3887, inedita.
(21) F. STELLA, Omissione di controllo e inadeguata valutazione della
liceità penale di uno scritto diffamatorio da parte del direttore responsabile di
un periodico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, 244.
(22) Sul c.d. momento omissivo della colpa v. F. GIUNTA, Illiceità e
colpevolezza nella responsabilità colposa, Cedam, Padova, 1993, 90 ss.
74
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
alla colpa (23). Il contenuto dei due obblighi è differente in
quanto, mentre l’obbligo di garanzia si identifica nell’obbligo di
agire in modo da impedire il verificarsi di eventi dannosi (che
possono anche consistere nella condotta di terzi soggetti),
l’obbligo di diligenza si identifica nell’osservanza di particolari
cautele che devono guidare la condotta del soggetto (24).
Di segno radicalmente opposto e forse, paradossalmente,
per certi aspetti, maggiormente ancorata alla realtà
giornalistica è una recentissima pronuncia di un giudice di
merito in cui si afferma che «l’art. 57 è normativamente
connotato dal dolo» (25). Nella decisione in discorso si prende atto
dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha
costantemente
mantenuto
un
atteggiamento
rigoroso
nell’applicazione pratica della norma, nonostante la crescente ed
obiettiva difficoltà in capo al direttore di controllo globale (non
delegabile) sull’intero contenuto del giornale. Difficoltà di
controllo derivante dalle «significative modifiche intervenute nel
settore editoriale, implicanti tra l’altro una diversa diffusione
territoriale delle sedi di trasmissione, la dilazione della mole di
notizie e di materiale oggetto di pubblicazione, una significativa
contrazione dei tempi intercorrenti tra l’inoltro e l’edizione degli
articoli giornalistici» (26). Il giudice di merito afferma, così, che,
pur volendo osservare l’orientamento che non riconosce alcuna
(23) F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 170, nt. 47.
(24) A tal proposito, in dottrina vi è chi sostiene che nell’ambito delle
fattispecie omissive improprie le due categorie di obblighi di cui si discute
finiscono con l’intersecarsi e coincidere sul piano concreto in quanto il
garante, al fine di impedire che l’evento si verifichi, è tenuto a porre in essere
«quanto gli è imposto dall’osservanza delle regole di diligenza dettate dalla
situazione particolare» ma, al tempo stesso, da un punto di vista concettuale
occorrerebbe distinguere il dovere di diligenza e l’obbligo di impedire l’evento
in quanto la misura del dovere di diligenza non potrebbe superare quella cui
il soggetto è obbligato come garante: G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto
penale, pt. g., cit., 615.
(25) Trib. Catania, 1.1.2010, in Riv. pen., 2010, 538, con nota di L.
TERZI, La responsabilità penale del direttore di stampa periodica è dolosa.
(26) Trib. Catania, 1.1.2010, cit.
75
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
rilevanza alle problematiche di organizzazione interna
dell’impresa giornalistica «non può del tutto eludersi l’indagine
relativa alla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato, che
resta pur sempre normativamente connotato dal dolo». Nelle
motivazioni della sentenza si prosegue, inoltre, affermandosi che
se, da un lato, non può negarsi che sul direttore gravi un obbligo
di controllo sulla continenza del linguaggio e sulla metodologia
utilizzata dall’autore dell’articolo, dall’altro, in capo a tale
soggetto deve riconoscersi «un legittimo spazio di affidamento
alla professionalità del giornalista quanto ai dettagli dell’articolo
che di quel corretto iter sia il risultato, non potendo richiedersi
alla figura di controllo un livello di penetrazione nel contenuto di
ciascun pezzo che, duplicando senza differenze soggettive l’onere
di rispetto dei canoni giornalistici, vanificherebbe le finalità
dell’organizzazione aziendale rendendo anche inattuabili i tempi
di edizione del quotidiano».
Le conclusioni cui giunge la sentenza de qua si presentano
certamente innovative sul piano giurisprudenziale e si pongono
in linea con quell’orientamento dottrinale secondo il quale la
fattispecie omissiva contemplata nell’art. 57 c.p. sia dolosa e
disciplinata solo quoad poenam come se fosse colposa, mentre il
reato commesso attraverso la pubblicazione andrebbe qualificato
come condizione obiettiva di punibilità (27). In tale ottica il
rispetto del principio di personalità dell’illecito può considerarsi,
nei fatti, garantito solo secondo l’interpretazione proposta. Se,
da un lato, siffatta lettura giurisprudenziale si propone di
mitigare il fine sin troppo repressivo dell’art. 57 c.p., dall’altro,
rappresenta un netto segnale della presa d’atto, perlomeno da
parte delle Corti di merito, delle difficoltà interpretative che
inevitabilmente affiorano da tale disposizione la cui
formulazione non consente di individuare reali profili di colpa e
della acronisticità della stessa che non tiene conto dell’attuale
assetto della struttura edotoriale.
(27) F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, cit., 110.
76
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
3. L’esigenza di predisporre un meccanismo di controllo.
Quando il legislatore diede vita all’art. 57 c.p. procedendo
poi alla sua successiva modifica, i periodici e soprattutto i
quotidiani avevano ridotte dimensioni e pertanto potevano
costituire oggetto di un efficace e personale controllo da parte
del direttore. Con il trascorrere degli anni l’art. 57 c.p. è stato,
per così dire, “messo alla prova” dalla stessa struttura degli
organi di informazione che è divenuta sempre più articolata e
che presenta una diversa connotazione rispetto a quella di fronte
alla quale si era trovato il legislatore del 1930 e poi quello del
1958. Se ci si sofferma sulle incombenze che quotidianamente
gravano sul direttore di una grande testata giornalistica e
sull’eterogeneità degli impegni di cui tale soggetto risulta essere
titolare ci si trova inevitabilmente dinanzi ad una alternativa: o
il direttore procede ad una vigilanza e un controllo per così dire
“totalizzanti”, estremamente accurati e rigorosi, finalizzati ad
evitare la realizzazione di un reato a mezzo stampa o si occupa
della direzione del giornale. Il controllo, allora, dovrebbe essere
parametrato alle circostanze del singolo caso di specie;
altrimenti si imporrebbe uno standard di diligenza talmente
elevato da risultare paralizzante per l’ordinario svolgimento
dell’attività giornalistica (28).
Per superare tale impasse occorrerebbe prendere in
considerazione l’effettivo ruolo da questi svolto nell’ambito del
giornale
ma
soprattutto
valutare
le
caratteristiche
dell’organizzazione al cui vertice il direttore si trova.
(28) Nella giurisprudenza di merito in una fattispecie in cui il fatto
narrato dal giornalista non presentava alcun allarme, si è affermato che al
direttore non si potesse muovere alcun addebito in assenza di elementi
sintomatici tali da indurre a ritenere che il giornalista avesse adottato una
procedura metodologicamente scorretta con la necessità di attivare un
controllo maggiormente pervasivo di quello ordinario: Trib. Milano, 3.2.2004,
n. 1079, inedita.
77
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Probabilmente solo la predisposizione di un efficace meccanismo
di controllo potrebbe rappresentare una soluzione plausibile che
il diritto penale dovrebbe accogliere e riconoscere attribuendo
rilevanza all’organizzazione e alla struttura del giornale e
tenendo conto delle dimensioni assunte dalle attuali imprese
giornalistiche (29).
E allora, se il direttore ha dato vita ad un’organizzazione
di lavoro che gli impedisce di attuare il controllo che la stessa
legge gli impone si potrebbe muovergli un rimprovero proprio
perché questi si è posto nella condizione di non poter procedere a
tale controllo pur essendo titolare di una specifica posizione di
garanzia. Ma, al tempo stesso, appare naturale domandarsi se si
possa individuare un reale profilo di colpa anche nell’ipotesi in
cui il direttore abbia organizzato una struttura del giornale che
gli consenta di procedere ad un controllo personalmente (laddove
materialmente possibile) o, in alternativa, in caso di testata
giornalistica di grandi dimensioni, delegando ai capiredattori il
controllo specifico per ogni settore di appartenenza.
4. (Segue) Il ricorso alla delega di funzioni.
Non è semplice immaginare un modus operandi
attraverso il quale il direttore potrebbe concretamente assolvere
al proprio compito senza ricorrere alla collaborazione di altri
soggetti cui poter conferire funzioni di coordinamento e di
controllo, per lo meno sulle redazioni distaccate. Una soluzione
potrebbe individuarsi nella delega di funzioni ed infatti da
(29) Secondo C.F. GROSSO, Responsabilità penale, cit., 55 e 135,
l’articolo 57 c.p. configura un «dovere che, modellandosi diversamente a
seconda delle caratteristiche di ciascun tipo di periodico, specie nelle ipotesi
dei grandi giornali quotidiani, si sostanzia nel dovere di precostituire un
meccanismo di controllo, che deve operare sotto la continua e attenta
vigilanza del direttore stesso».
78
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
tempo si osserva come il tipico modo di operare nel settore
giornalistico si caratterizza proprio per il ricorso alla delega da
parte del direttore nei confronti dei suoi collaboratori (30).
Il problema risiede, ovviamente, nella possibilità che tale
strumento possa produrre i suoi effetti anche nel diritto penale
escludendo la responsabilità del direttore del giornale. Parte
della dottrina si è soffermata su una possibile apertura
giurisprudenziale verso la ammissibilità della delega di funzioni
nel settore giornalistico sulla base di una nota pronuncia della
Corte di Cassazione che ammetteva, in caso di ferie del
direttore, un affiancamento sostitutivo temporaneo di un
condirettore, consentendo così che quest’ultimo potesse essere
chiamato a rispondere ex art. 57 c.p., in luogo del direttore, del
reato commesso attraverso la pubblicazione (31). Si è osservato
infatti che, una volta ammessa la configurabilità della
responsabilità penale per un reato a mezzo stampa di un
soggetto fisicamente diverso dal direttore responsabile (il
condirettore), nessun ostacolo concettuale avrebbe potuto
impedire di consentire una ripartizione di responsabilità nel
controllo della pubblicazione mediante una delega da parte del
direttore responsabile accettata dall’editore. In tal caso la delega
avrebbe potuto essere giustificata dalla complessità dei controlli
richiesti – come la dimensione del periodico e la cadenza
giornaliera entro tempi ristrettissimi – garantita dalla capacità
professionale del soggetto delegato e resa pubblica nella forma
indicata dalla Cassazione (32). Inoltre, qualora ci si soffermasse
sull’effettivo ruolo ricoperto dal direttore, soprattutto nei
quotidiani di grandi dimensioni, e sull’attività svolta
giornalmente da tale soggetto, ci si renderebbe conto di come
l’eterogeneità delle incombenze su di esso gravanti sembrano
(30) G. FIANDACA, È «ripartibile», cit., 572.
(31) P. PISA, Nuove tendenze giurisprudenziali in tema di
responsabilità del direttore di periodico, in Dir. pen. e processo, 1998, 333,
nota a Cass. pen., 20.11.1997, Scalfari.
(32) P. PISA, Nuove tendenze giurisprudenziali, cit.
79
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
condurre necessariamente alla delega a collaboratori del compito
di redigere il giornale in conformità alle direttive loro impartite,
proprio in base al «principio squisitamente fiduciario
dell’affidamento» (33).
In dottrina non sono mancate, peraltro, le posizioni di
coloro che, invece, hanno sottolineato l’incompatibilità della
delega di funzioni con l’attuale formulazione dell’art. 57 c.p. la
cui portata, in caso di delega, verrebbe vanificata atteso che la
norma, contemplando un reato proprio (34) in cui il soggetto
attivo può identificarsi esclusivamente nel direttore o vicedirettore responsabile, non potrebbe trovare applicazione nei
confronti di un soggetto delegato poiché nessun precetto penale
gli imporrebbe un dovere di controllo, stante la particolare
natura della responsabilità prevista dalla norma (35).
Anche la giurisprudenza di legittimità ha costantemente
rifiutato la possibilità di ricorrere allo strumento della delega di
funzioni all’interno dell’azienda giornalistica (36), nonostante la
presenza di una consolidata elaborazione giurisprudenziale –
nata e sviluppatasi essenzialmente con riferimento alla
(33) G. FIANDACA, È «ripartibile», cit., 572. Vi è, poi, chi ha definito il
rifiuto della delega «acritico e concettualistico», essendo tale strumento una
«soluzione necessitata» idonea ad escludere la responsabilità penale del
direttore (E. MUSCO, Stampa, cit., 645) e chi ha prospettato che nelle aziende
giornalistiche di grandi dimensioni la delega dovrebbe configurarsi
addirittura come un obbligo (C.F. GROSSO, Responsabilità penale, cit., 199).
(34) Sul reato proprio v. G. BETTIOL, Sul reato proprio, Giuffrè, Milano,
1939; G. MAIANI, In tema di reato proprio, Giuffrè, Milano, 1965; A. GULLO, Il
reato proprio. Dai problemi “tradizionali” alla nuove dinamiche d’impresa ,
Giuffrè, Milano, 2005.
(35) M. POLVANI, La diffamazione a mezzo stampa, 2 ª ed., Cedam,
Padova, 1998, 235. Sulla “impraticabilità” della soluzione adottata dal giudice
di legittimità in caso di assenza per ferie del direttore responsabile ID., Quale
sostituzione per il direttore responsabile assente per ferie? , in Cass. pen.,
1998, 2937.
(36) Cass. pen. Sez. V, 27.10.2004, Graldi, cit.; Cass. pen., 11.4.1986,
Simeoni, in Dir. informaz. e inform., 1986, 458; Cass. pen. Sez. V, 16.1.1986,
D’Amato, in Riv. pen., 1986, 891.
80
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
responsabilità dell’imprenditore nell’ambito del diritto penale
del lavoro e del diritto penale commerciale – che ammette la
possibilità di ricorrere a siffatto strumento (37) e la presa di
posizione di alcune Corti di merito che in diverse pronunce
hanno comunque considerato pienamente legittimo il ricorso allo
strumento della delega da parte del direttore (38). Tale
atteggiamento ha trovato conforto nella posizione della Corte
costituzionale che, a proposito del preteso contrasto dell’art. 57
c.p. con il principio di eguaglianza – in virtù dell’attribuzione ad
un solo soggetto della responsabilità del controllo sul contenuto
di un periodico senza consentire, quindi, la ripartizione della
responsabilità stessa anche fra altri soggetti – ha ritenuto la
(37) Ex multis, sulla delega di funzioni: G. PIGHI, La delega di funzioni
nell’impresa e le sue conseguenze sulla responsabilità penale, in Studi in
memoria di Gabriele Silingardi, a cura di M. Jasonni, Giuffrè, Milano, 2004,
547; T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale , Giuffrè,
Milano, 2006; ID., Profili penali della delega di funzioni. L’organizzazione
aziendale nei settori della sicurezza del lavoro, dell’ambiente e degli obblighi
tributari, Giuffrè, Milano, 2008; A. DE VITA, La delega di funzioni nel sistema
penale. Il paradigma della sicurezza sul lavoro , Giannini, Napoli, 2008; A.
SCARCELLA, La delega di funzioni e i modelli di gestione nel D. Lgs. 81/08 ,
EPC Editoria Professionale, 2009; E. CRIVELLIN, La delega di funzioni tra
dottrina, giurisprudenza e interventi legislativi, in Dir. pen. e processo, 2009,
500.
(38) La giurisprudenza di merito ha riconosciuto l’efficacia della delega
di funzioni nel caso in cui fossero emersi «sicuri elementi tali da escludere la
concreta possibilità di adempiere l’obbligo di controllo da parte del direttore
responsabile» sempre che la delega «attuata in prospettiva del rafforzamento
della tutela degli interessi esposti ad un pericolo di pregiudizio, intervenga a
favore di un soggetto particolarmente qualificato, dotato di un effettivo potere
di controllo». Così Trib. Venezia, 2.11.1994, in Foro it., 1996, II, 81.
Inoltre si è affermato che «non può essere punito, a titolo di colpa – ex
art. 57 c.p. – il direttore responsabile di un periodico il quale abbia, per
ragioni obiettive dipendenti dalla dimensione della impresa editoriale, nel
quadro della divisione funzionale del lavoro, delegato ad apposito dirigente il
controllo sul contenuto degli annunci pubblicitari. L’errore del dirigente non
può, quindi, essere imputato ad alcun titolo al direttore responsabile»: App.
Milano, 7.4.1972, in Giur. it., 1973, 3411.
81
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
questione non fondata (39). E, pur riconoscendo, da un lato, che
le ampie dimensioni dei grandi periodici comportano una
crescente complessità delle strutture, una non indifferente
vastità di materiale elaborato, una molteplicità di edizioni locali
e, dall’altro, che la disciplina in materia determina l’insorgere di
«inconvenienti» proprio per «le difficoltà che il responsabile unico
può incontrare nell’osservanza degli obblighi che gli incombono»,
la Corte costituzionale ha concluso affermando che si tratta,
tuttavia, di «circostanze inerenti alle modalità di fatto
dell’attuazione della disciplina» e pertanto non riconducibili
direttamente alla previsione normativa e, conseguentemente
inidonee, di per sé, a costituire motivo di illegittimità
costituzionale, auspicando che gli inconvenienti prospettati
potessero essere eliminati attraverso la predisposizione di «un
più soddisfacente sistema normativo in materia» (40). Secondo i
giudici della Corte costituzionale l’assoluto scetticismo sulla
praticabilità della delega di funzioni nel settore giornalistico
appare evidente dagli «inconvenienti cui potrebbe dar luogo la
previsione di più soggetti responsabili per ciascun settore del
periodico, posta l’unitarietà della pubblicazione e l’esigenza di
riferire ad un solo soggetto, per la concreta individuazione delle
responsabilità, le conseguenze, di fronte a terzi, della eventuale
illegittimità della condotta di chi deve sovrintendere al buon
andamento dell’attività del giornale».
Tuttavia, il mancato riconoscimento di un rilievo penale
alla delega di funzioni anche nel settore giornalistico postula il
rischio che la lettura tradizionale della norma sulla
responsabilità del direttore divenga del tutto incompatibile con
l’evoluzione attuale dell’attività giornalistica e soprattutto con il
(39) Corte cost., 24.11.1982, n. 198, in Foro it., 1983, I, 572, con nota di
G. FIANDACA, È «ripartibile», cit. La Corte evidenzia come dagli stessi lavori
preparatori della legge 8 febbraio 1948, n. 47 sarebbe possibile evincere che
l’art. 57 c.p. sia in armonia con la fondamentale esigenza di indicare un
soggetto immediatamente identificabile che rispondesse del periodico di
fronte alla legge, così come prescritto dall’art. 21 della Costituzione.
(40) Corte cost., 24.11.1982, n. 198, cit.
82
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
ruolo che effettivamente tale soggetto ricopre all’interno
dell’impresa in cui opera (41). Invece occorrerebbe valutare la
possibilità di attribuire rilevanza penale ad un adeguato e
attento trasferimento dell’obbligo di controllo da parte del
direttore. In una recente pronuncia la Cassazione, soffermandosi
sulla impossibilità in concreto per il direttore di esercitare il
controllo su di lui gravante, ha riconosciuto che «sono proprio le
dimensioni delle aziende (e tale è indubbiamente anche un
quotidiano) quelle che pongono il problema della effettiva
possibilità per il vertice gerarchico di esercitare reale controllo
sull’operato delle articolazioni periferiche» (42). Nella medesima
sentenza la Suprema Corte ha anche evidenziato che il problema
che si pone attiene proprio alla delegabilità delle funzioni di
direttore responsabile ed ha chiarito quale fosse l’atteggiamento
assunto dalla giurisprudenza in diverse pronunce specificando
che «in giurisprudenza se, da un lato, è stato ritenuto che la
figura apicale di una struttura produttiva di notevoli dimensioni
non è responsabile nel caso in cui l’azienda sia stata
preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi ed a
ciascuno di questi siano stati in concreto preposti soggetti
qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei
poteri indispensabili per la completa gestione degli affari
inerenti a quel servizio, dall’altro, e con specifico riferimento alla
responsabilità del direttore di un quotidiano, si è affermato che
nessuna rilevanza poteva rivestire (nel caso allora in esame, ai
(41) A tal proposito si è osservato che «far gravare solo sul direttore e
vice direttore responsabili tutte le inosservanze di doveri incombenti sui loro
collaboratori, regolarmente delegati, non farebbe che riesumare una sorta di
responsabilità ormai definitivamente tramontata: quella per fatto altrui»: T.
VITARELLI, Evento colposo e limiti del dovere obiettivo di diligenza nella
responsabilità penale del direttore di stampa periodica , in Riv. it. dir. proc.
pen., 1990, 1236, che si pone sulla stessa linea di G. GRASSO, Organizzazione
aziendale e responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento , in
Arch. pen., 1982, 745.
(42) Cass. pen. Sez. V, 26.2.2003, Graldi, in C.E.D. Cass., n. 224404 e
in Riv. pen., 2003, 845.
83
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
fini del reato di diffamazione a mezzo stampa) il conferimento
interno di una parziale autonomia ad un vicedirettore
relativamente ad una determinata rubrica» (43). I giudici della
Suprema Corte concludono sul punto definendo quest’ultima una
affermazione «perentoria che, invero, lascia perplessi, anche per
la non remota possibilità che essa entri in conflitto con il canone
costituzionale ex art. 27, comma 1, Cost.» (44).
La pronuncia appena riportata, sembrerebbe integrare un
timido
tentativo
di
allontanamento
dall’orientamento
assolutamente prevalente che nega qualsiasi rilevanza alla
delega di funzioni nel settore giornalistico. Nei fatti, però, ha
ritenuto priva di fondamento la censura del ricorrente riferita al
riconoscimento della delega di funzioni poiché questi non
avrebbe, non solo dimostrato, ma neanche sostenuto, che tale
delega fosse stata effettivamente conferita. Ci si chiede, allora,
quale sarebbe stato l’esito del giudizio nel caso in cui fosse stato
provato un effettivo conferimento della delega.
5. L’ “automatismo” della responsabilità del direttore.
Si è sottolineato come nella prassi applicativa,
nell’accertamento della responsabilità del direttore, si tenda a
ricavare la presenza della colpa dal mero comportamento
omissivo consistente nel mancato controllo, assistendosi così ad
una commistione tra colpa e inosservanza dell’obbligo giuridico
(43) Il riferimento è a Cass. pen. Sez. V, 16.1.1986, D’Amato, in C.E.D.
Cass., n. 172414.
(44)Cass. pen. Sez. V, 26.2.2003, Graldi, in C.E.D. Cass., n. 224404 e in
Riv. pen., 2003, 845. I riferimenti giurisprudenziali indicati in tale pronuncia
sono Cass. pen. Sez. III, 26.2.1998, Caron, in C.E.D. Cass., n. 210510 (nello
stesso senso: Cass. pen. Sez. III, 22.2.1991, Palma, in C.E.D. Cass., n. 186615;
Cass. pen. Sez. III, 28.1.1986, Visotto, in C.E.D. Cass., n. 172040; Cass. pen.
Sez. III, 29.3.1983, De Tomaso, in C.E.D. Cass., n. 159447) e Cass. pen. Sez.
V, 26.2.2003, Graldi, in C.E.D. Cass., n. 224404 e in Riv. pen., 2003, 845.
84
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
di impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi
reati. La questione, tuttavia, non sembra potersi limitare al
fenomeno appena descritto ma si spinge fino a mettere in
discussione la stessa sussistenza dell’elemento oggettivo. Nella
maggior parte dei casi la giurisprudenza, verificata la
sussistenza del reato commesso attraverso la pubblicazione,
procede all’accertamento della posizione di garanzia e ne ricava
la violazione di una regola di diligenza giungendo così ad una
“inequivocabile” constatazione della presenza di una
responsabilità penale del direttore per omesso impedimento
dell’evento.
Un
corretto
criterio
logico-sistematico
presupporrebbe, invece, l’accertamento, in ordine non solo logico
ma anche cronologico, del nesso di causalità, della presenza
della posizione di garanzia e, solo successivamente, della
violazione di una regola cautelare che possa fondare un reale
rimprovero per colpa. In dottrina tale fenomeno è stato
efficacemente indicato come “fuga in avanti” all’interno delle
strutture della fattispecie omissiva colposa che conduce «al
pratico annullamento della verifica del nesso di causalità, perché
questo si è appiattito sulla posizione di garanzia, che a sua volta
tende a coincidere con quel dovere di attivarsi che fonda la colpa
nel delitto omissivo» determinando una vera e propria
“volatilizzazione” del nesso causale stesso (45). Nella pressoché
totalità delle pronunce che hanno ad oggetto l’accertamento
della responsabilità del direttore non è dato rinvenire alcun
esplicito accenno ad una effettiva indagine sull’accertamento del
nesso di causalità tra l’omesso controllo e l’evento probabilmente
perché la presenza del nesso eziologico viene ritenuta un dato
pacificamente acquisito vista la sussistenza del reato commesso
col mezzo della pubblicazione.
Inoltre, se già sul piano dell’accertamento dell’elemento
psicologico del reato occorrerebbe tenere opportunamente in
considerazione la concreta possibilità per il direttore di un
(45) C.E. PALIERO, La causalità dell’omissione, formule concettuali e
paradigmi prasseologici, in Riv. it. med. leg., 1992, 831.
85
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
quotidiano di notevoli dimensioni di poter ottemperare a quanto
impostogli dall’art. 57 c.p., in determinati casi potrebbe essere
messa in discussione la stessa sussistenza di un’omissione
penalmente rilevante - nonostante la presenza di una posizione
di garanzia - qualora il direttore si trovasse nell’impossibilità di
agire. In altri termini, occorrerebbe domandarsi se l’operatività
dell’obbligo giuridico di impedire che altri commetta un reato
produca i suoi effetti in capo al direttore in ogni caso o, se al
contrario, sia possibile attribuire rilevanza penale alla effettiva
impossibilità di impedire l’evento, come potrebbe accadere nel
caso di impresa giornalistica di notevoli dimensioni . Non
intendiamo riferirci esclusivamente alle ipotesi di assenza del
direttore per ferie (46) o per malattia ma a tutti quei casi in cui
(46) In tema di responsabilità per omesso controllo del direttore che
usufruisce del diritto al godimento delle ferie annuali la giurisprudenza si è
pronunciata in diverse occasioni, affermando, in un primo momento, che il
periodo delle ferie, pur costituendo un diritto costituzionalmente garantito
dall’art. 36 Cost., e dalle norme contrattuali dei giornalisti, non può integrare
«un fatto di forza maggiore» che esoneri il direttore dalla responsabilità ex
art. 57 c.p. (Cass. pen., 11.2.1987, Ponti, in Riv. pen., 1988, 204) o che il
direttore che si assenta per ferie è tenuto a richiedere la propria sostituzione
non potendo consentire che il suo nome continui ad apparire ancora come
responsabile allorché in realtà si trovi, a causa delle ferie, nella concreta
impossibilità di esercitare le proprie funzioni e in concreto non le eserciti.
Pertanto, il godimento delle ferie senza predisporre o sollecitare alcuno dei
meccanismi previsti perché sia assicurato il costante controllo della
pubblicazione e consentendo che lo stesso continui ad apparire garantito dalla
sua presenza «costituisce di per sé una condotta colposa» ex art. 57 c.p. (Cass.
pen. Sez. V, 28.9.1991, Mastroianni, in Cass. pen., 1992, 1233, con nota di
M.B. MAGRO, La responsabilità del direttore di stampa periodica e il
problema della determinazione della condotta tipica nei reati omissivi).
Successivamente la giurisprudenza - resasi conto della necessità di
contemperare l’esigenza di evitare che con il mezzo della stampa vengano
commessi reati con il diritto al godimento delle ferie da parte del direttore,
nonché con i principi posti dagli artt. 42 e 43 c.p., secondo i quali nessuno può
essere punito se non ha commesso il fatto con coscienza e volontà - ha escluso
la responsabilità ex art. 57 c.p. del direttore di un periodico nel tempo in cui
egli gode delle ferie in caso di preventiva individuazione ed indicazione nello
stesso periodico della persona che lo sostituisce «in modo che sia ricostituita,
86
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
questi si trova al vertice di un quotidiano di grandi dimensioni
all’interno del quale vengono pubblicati innumerevoli articoli
che il direttore dovrebbe leggere giornalmente ponendo in essere
un controllo attento e approfondito. In tal caso, infatti, data la
pregnanza delle difficoltà organizzative di un giornale di
apprezzabili dimensioni, è ovvio che il soggetto non possa
eseguire contemporaneamente tutti i numerosi adempimenti ai
quali dovrebbe sovrintendere, per la regola logica, ancor prima
che giuridica, secondo cui ad impossibilia nemo tenetur. In
settori diversi da quello giornalistico, ed in particolare
sia pur in via provvisoria, la struttura della compagine del giornale e sia così
assicurato il controllo sulla pubblicazione, con la possibilità di individuare la
persona che risponda dell’eventuale omissione», senza che sia necessario il
ricorso alla procedura prevista per i mutamenti nell’organico del giornale
dagli artt. 5 e 6 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Cass. pen. Sez. V,
20.11.1997, Scalfari, in Dir. pen. e processo, 1998, 333, con nota di P. PISA,
Nuove tendenze giurisprudenziali, cit.).
Per mera completezza ricordiamo che, ai sensi dell’art. 6 della legge 8
febbraio 1948, n. 47, «ogni mutamento che intervenga in uno degli elementi
enunciati nella dichiarazione prescritta dall’art. 5, deve formare oggetto di
nuova dichiarazione da depositarsi, nelle forme ivi previste, entro quindici
giorni dall’avvenuto mutamento, insieme con gli eventuali documenti.
L’annotazione del mutamento è eseguita nei modi indicati nel terzo comma
dell’art. 5. L’obbligo previsto nel presente articolo incombe sul proprietario o
sulla persona che esercita l’impresa giornalistica, se diversa dal proprietario».
Nel caso di avvenuta sostituzione del direttore responsabile, la
giurisprudenza ha riconosciuto che in assenza della dichiarazione prescritta
per la registrazione del mutamento ad opera del soggetto a ciò obbligato
(proprietario o persona che esercita l’impresa giornalistica, se diversa dal
proprietario) non possa configurarsi a carico del direttore sostituito il reato di
cui all’art. 57 c.p. per aver omesso di accertare, per colpa, l’avvenuta
registrazione della sostituzione: Cass. pen. Sez. V, 21.4.1983, Loiacono, in
C.E.D. Cass., n. 159541. Ed è stato precisato che in tali ipotesi soggetto attivo
del reato di cui all’art. 57 c.p. è anche chi eserciti di fatto le mansioni di
direttore responsabile del periodico. Pertanto, ne consegue che l’omessa
registrazione del mutamento del direttore responsabile non costituisce motivo
di impunità per il soggetto che, sia pure irregolarmente, succede nella carica
di direttore responsabile assumendone in concreto le mansioni: Cass. pen.
Sez. V, 21.4.1983, Signorino, in C.E.D. Cass., n. 159542.
87
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
nell’ambito dei reati societari, la giurisprudenza ha affermato
che il legale rappresentante di una società di notevoli
dimensioni non possa essere considerato responsabile
dell’osservanza delle disposizioni sanzionate penalmente poste a
carico della società, allorché questa sia stata preventivamente
suddivisa in distinti settori, rami o servizi e a ciascuno di essi
siano in concreto preposti soggetti qualificati e idonei, dotati
della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la
gestione di quel servizio o settore. Tale conclusione è stata
considerata l’unica aderente al basilare dettato dell’art. 27 Cost.,
primo comma, e proprio alla fondamentale regola logica secondo
la quale ad impossibilia nemo tenetur, che impedisce il
contemporaneo svolgimento, da parte di un unico soggetto, di
innumerevoli mansioni, anche di vigilanza, consentendone
all’interno di grandi aziende, la delega e il decentramento ( 47). In
materia di responsabilità del direttore di giornale, invece, la
Suprema Corte si ostina a non attribuire alcun rilievo a tale
profilo (48) diversamente da quanto accade, invece, ad esempio in
materia di inottemperanza all’ordine del questore di
allontanamento dal territorio dello Stato. In tal caso la
Cassazione, nel richiamare «il principio ad impossibilia nemo
tenetur» considerato «espressione di quello di inesigibilità», ha
ammesso che quest’ultimo, sebbene «non espressamente
codificato nel nostro ordinamento», possa assumere rilievo ai fini
della declaratoria di responsabilità penale di un soggetto. In
particolare, la Cassazione ha precisato che qualora
l’ottemperanza a tale ordine risulti concretamente “inesigibile”,
si è in presenza di un giustificato motivo (49).
Ed è proprio sul principio di inesigibilità che pare
opportuno soffermarsi al fine di valutarne l’eventuale rilevanza
nell’ambito della responsabilità del direttore. Solo la
(47) Cass. pen. Sez. III, 6.3.2003, Rossetto, in Guida al dir., 2003, 30,
86.
(48) Cass. pen. Sez. V, 24.10.2008, Lazzaro, in C.E.D. Cass. 2008.
(49) Cass. pen. Sez. I, 5.5.2008, Geba, in C.E.D. Cass. 2008.
88
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
giurisprudenza di merito, in qualche rara pronuncia, ha escluso
la responsabilità di tale soggetto considerando proprio la
“inesigibilità” dell’obbligo di controllo, affermando che «la
responsabilità del direttore di giornale ex art. 57 c.p. presuppone
la concreta possibilità di impedire che col mezzo della stampa
siano commessi reati, e cioè che siano da lui esigibili particolari
comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di
diligenza e di vigilanza tali che, attuati, il fatto sarebbe evitato o
realizzato in guisa da essere penalmente indifferente» ( 50). Ma si
tratta di pronunce assolutamente sporadiche.
Generalmente, in tutti i procedimenti penali che hanno
visto coinvolti direttori responsabili di quotidiani e periodici di
grandi dimensioni, per aver omesso il controllo necessario ad
impedire la pubblicazione di articoli diffamatori, la linea
difensiva viene ancorata ad argomentazioni che mettono in
rilievo proprio l’impossibilità per il direttore di verificare la
corrispondenza del contenuto di ogni singolo articolo con la
verità storica dei fatti ivi descritti. Viene evidenziata, così, la
“inesigibilità” di una tale condotta nell’ipotesi in cui ci si trovi di
fronte a quotidiani di dimensioni tali da non consentirgli di
controllare e leggere in modo capillare ogni singolo articolo. Ma
non solo, non può sottacersi che anche nell’ipotesi in cui il
direttore riuscisse a leggere il contenuto di ogni articolo,
occorrerebbe comunque tenere in considerazione le concrete
situazioni che si presentano di volta in volta al suo vaglio, non
dimenticando che queste, naturalmente, possono assumere le
connotazioni più variegate: vi sono ipotesi in cui, ad esempio, il
contenuto diffamatorio dell’articolo è evidente, ma ne esistono
altre in cui la rappresentazione giornalistica di un fatto non
(50) Trib. Roma, 10.3.1989, in Foro it., 1990 II, 138. Il Tribunale poi
prosegue affermando che, «escluso che il direttore di un grande quotidiano a
tiratura nazionale possa ogni giorno diligentemente controllare tutte le fonti
dei numerosi articoli che vi vengono pubblicati, per il direttore medesimo non
può non costituire fonte attendibile, con conseguente esclusione della
responsabilità per omesso controllo, il giornalista professionalmente
accreditato in virtù della specifica esperienza in una determinata materia».
89
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
desta allarme o in cui la notizia è vera e solo una parte di essa è
frutto di errore. Ciò consente di ribadire che non è pensabile un
dovere di verifica senza distinzioni incombente sul direttore.
«Inesigibile è un comportamento – materialmente
possibile – che non si può umanamente pretendere da un certo
soggetto in una data situazione»: questa la definizione fornita da
quella dottrina che compiutamente si è occupata della tematica
in questione (51). In diritto penale l’inesigibilità è stata, nel
tempo, oggetto di diverse opzioni interpretative che ne hanno
riconosciuto l’incidenza ora sul piano della tipicità del fatto, ora
sul piano dell’antigiuridicità (52), ora su quello della colpevolezza
(53). In giurisprudenza si è affermato, invece, che la c.d. teoria
(51) G. FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale ,
Cedam, Padova, 1990.
Sul tema dell’inesigibilità, nella dottrina italiana, v. altresì: P.
NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Cedam, Padova, 1972; L.
SCARANO, La non esigibilità nel diritto penale, Humus, Napoli, 1948. La
dottrina tedesca, invece, si è occupata più diffusamente della categoria
dell’inesigibilità. Cfr., a tal proposito ex multis, P. FRELLESEN, Die
Zumutbarkeit der Hilfeleistung, A. Metzner, Frankfurt, 1980; D. FREY, Die
Zumutbarkeit im Strafrecht, Saarbrucker Dissertation, 1961; H. HENKEL,
Zumutbarkeit und Unzumutbarkeit als regulatives Rechtsprinzip, Festschrift
fur Mezger, Munchen-Berlin, 1954, 249 ss.; A. HERZBRUCH, Die Zumutbarkeit
der Verbotsbefolgung als Bedingung der Strafbarkeit, A. Kurtze, Breslau
Neukirch, 1934.
(52) Il ricorso a tale concezione dell’inesigibilità è stato adottato da
quella dottrina che ha ritenuto possibile estendere analogicamente la
disciplina dello stato di necessità: P. NUVOLONE, I limiti taciti della norma
penale, Padova, 1972, 67.
(53) L’inesigibilità andrebbe riferita alle stesse condizioni personali del
soggetto che consentono di escluderne la colpevolezza in quanto
l’impossibilità di muovere un rimprovero potrebbe prospettarsi in tutte quelle
ipotesi in cui l’ordinamento rinuncia ad esigere il comportamento doveroso di
un soggetto. Tale accezione di inesigibilità ha trovato grandi consensi nella
dottrina tedesca secondo la quale questa si risolverebbe proprio
nell’impossibilità del rimprovero: in altri termini, all’inesigibilità potrebbero
ricondursi tutte quelle ipotesi in cui all’impossibilità di muovere un
rimprovero
al
soggetto
consegue
necessariamente
la
rinuncia
dell’ordinamento all’adempimento della condotta doverosa. La concezione
90
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
della “inesigibilità” - secondo la quale verrebbe meno la
colpevolezza quando sia impossibile pretendere dal soggetto una
condotta conforme al precetto - non possa trovare applicazione in
tema di elemento soggettivo del reato in quanto il vigente
ordinamento giuridico penale è fondato sul principio di legalità
ed al giudice non è lasciato alcun margine per la individuazione
della condotta punibile (54) e che le condizioni e i limiti alla
applicazione delle norme sono posti dalle norme stesse e non è
possibile, in materia penale, affidare al giudice compiti di ricorso
all’analogia, mancando criteri certi cui riferire la pretesa
inesigibilità sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo (55).
Ma nulla vieterebbe di ritenere che gli effetti della
categoria della inesigibilità possano ripercuotersi sia sul
momento della tipicità, sia su quello della tipicità che su quello
della colpevolezza, attribuendo, così, all’istituto in discorso una
polivalenza dogmatica (56).
La rilevanza dell’inesigibilità come limite ad un’omissione
penalmente rilevante sembra scontrarsi con la difficoltà di
rintracciare nel sistema penale una norma di diritto positivo che
le riconosca efficacia. La categoria della “inesigibilità”, infatti,
secondo un orientamento, presterebbe il fianco a non poche
critiche stante la mancanza, al di fuori delle ipotesi codificate di
esclusione della colpevolezza, di un’espressa tipizzazione ad
opera del legislatore ed essendo suscettibile di integrare la
«violazione del principio di legalità, non trattandosi di analogia
appena riportata è stata elaborata specularmente alla concezione normativa
della colpevolezza la cui prima formulazione si deve a R. FRANK, Uber den
Aufbau des Scuhldbegriff, Festschrift der juristischen Kakultat der
Universitat Giessen zur dritten Jahrhrndertfeier der Alma Mater
Ludoviciana, Giessen, 1907, 519 e successivamente sviluppata da J.
GOLDSCHMIDT, Normativer Schuldbegriff, in Festgabe fur Frank, Bd. I,
Tubigen, 1930, 428.
(54) Cass. pen. Sez. III, 27.2.1991, Bracco, in Giur. it., 1993, 320.
(55) Cass. pen. Sez. III, 8.5.1985, Viti, in Riv. pen., 1986, 652.
(56) In tal senso, G. FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto
penale, Cedam, Padova, 1990, 245 e ss.
91
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
juris in quanto la formula della “inesigibilità di una condotta
diversa” manca di quella concretezza necessaria per costituire
un principio giuridico superiore cui ricondurre casi non
contemplati dalla legge» (57). Altro orientamento, poi, ha escluso
che l’inesigibilità, intesa come impossibilità di richiedere ai
cittadini un comportamento diverso, possa costituire il
fondamento delle cause di esclusione del reato come lo stato di
necessità e la coazione morale, specificando che comunque essa
rappresenta un concetto da riservare all’ambito della
colpevolezza dei soggetti imputabili (58).
Nonostante i dubbi avanzati dalla dottrina e le sporadiche
pronunce in materia che hanno dato ad essa rilievo,
nell’accertamento della responsabilità del direttore per omesso
controllo non sembra possa essere trascurata l’esigibilità della
condotta a questi imposta poiché, in caso contrario, in molte
ipotesi si dovrebbe concludere per un vero e proprio
“automatismo” della responsabilità penale di tale soggetto, il che
equivarrebbe ad una forma di responsabilità di posizione (59).
Nei reati omissivi impropri è possibile affermare che ci si trovi al
cospetto di una condotta propria di un soggetto, e quindi
penalmente rilevante, se il comportamento doveroso del soggetto
agente sia riconducibile all’esigibile esplicazione di quell’obbligo
di impedimento dell’evento su lui gravante. Pertanto, la
sussistenza di un fattore come quello dell’inesigibilità
dell’intervento del garante potrebbe delimitare gli effetti di tale
obbligo. Se poi si riflette sul fatto che l’obbligo di garanzia e la
concreta possibilità di adempierlo costituiscono il presupposto
necessario dell’obbligo di diligenza è evidente che non dovrebbe
porsi nemmeno un problema di accertamento dell’elemento
(57) F. MANTOVANI, Diritto penale, pt. g., cit., 353. In senso analogo: G.
FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, pt. g., cit., 405; B. ROMANO, Guida alla
parte generale, cit., 330.
(58) A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, pt. g., cit., 456.
(59) Per tali osservazioni circa l’impossibilità per il direttore di leggere
analiticamente tutti gli articoli contenuti nel giornale da lui diretto, cfr. B.
ROMANO, Guida alla parte generale, cit., 174 e 308.
92
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
soggettivo qualora venisse a mancare il suo stesso logico
presupposto.
Certamente la struttura omissiva della condotta del
direttore non rende agevole il lavoro dell’interprete che dinanzi
ad un non facere di tale soggetto deve individuare con precisione
l’esatto contenuto del comportamento doveroso su questi
incombente (60). Né la lettera dell’art. 57 c.p. fornisce chiare
indicazioni in tal senso: la disposizione, infatti, si limita ad
affermare che l’azione doverosa consiste nell’esercizio, sul
contenuto del periodico, del «controllo necessario ad impedire
che, con la pubblicazione, sia commesso un reato». Ma ritenere
che l’art. 57 c.p. individui un solo direttore (o vicedirettore)
responsabile, allo scopo di identificare, sin dalla registrazione
del giornale, il soggetto che si impegna a controllarne il
contenuto ed a risponderne non può comportare de plano che,
data la presenza del reato commesso attraverso la pubblicazione,
il direttore debba essere ritenuto responsabile del reato a lui
ascritto. Un tal modo di argomentare, nella sua tautologica
astrattezza, potrebbe essere applicato a qualsiasi ipotesi di reato
omissivo e condurrebbe necessariamente alla affermazione di
colpevolezza e, in particolare, ad un caso di responsabilità per
fatto altrui (61).
(60) Sul reato omissivo si vedano: G. BONINI, L’omissione nel reato,
Bocca, Milano, 1947; M. SPASARI, L’omissione nella teoria della fattispecie
penale, Giuffrè, Milano, 1957; G.M. FLICK, Omissione di oculata vigilanza e
obbligo giuridico di impedire l’evento , Giuffrè, Milano, 1968; G. FIANDACA, Il
reato commissivo mediante omissione, Giuffrè, Milano, 1979; G. GRASSO, Il
reato omissivo improprio, Giuffrè, Milano, 1983; A. MONTAGNI, La
responsabilità penale per omissione, Cedam, Padova, 2002.
(61) In una recente pronuncia della Cassazione, tale questione è stata
considerata seria e meritevole di approfondimento. Tuttavia, ancora una
volta i Giudici, nonostante abbiano riconosciuto che il problema non fosse
ancora stato direttamente affrontato dalla giurisprudenza di legittimità,
hanno preferito non esporsi sino a sconfessare il dominante orientamento.
Così Cass. pen. Sez. V, 26.2.2003, Graldi, in C.E.D. Cass., n. 224404 e in Riv.
pen., 2003, 845.
93
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Quasi tutte le decisioni giurisprudenziali sulla
responsabilità del direttore di giornale sembrano essere
contraddistinte da un «automatismo risolutivo, per il quale tale
soggetto ha seguito ineluttabilmente le sorti dell’autore della
pubblicazione» e che «in sostanza, non si è mai operata una
scissione tra la responsabilità dell’autore e quella del direttore,
pervenendo per quest’ultimo ad un giudizio indipendente di
esclusione della responsabilità» (62). L’atteggiamento assunto
dalla giurisprudenza sembra quasi lambire una scarsa
attenzione verso le tematiche sulle quali ci siamo sino ad ora
soffermati. Molte pronunce si connotano per l’utilizzo di formule
sintetiche e di motivazioni che presentano espressioni
riassuntive. Certo, tale fenomeno è riconducibile ad una
tendenza giurisprudenziale sempre più diffusa e non
caratterizza esclusivamente il settore di cui ci stiamo occupando,
ma proprio in tale ambito sembra potersi profilare il dubbio che
dietro la “facciata” dell’orientamento giurisprudenziale
consolidato e della soluzione inequivocabile possa nascondersi lo
spettro di sentenze tra loro assolutamente identiche che
sembrano
appiattire
la
responsabilità
del
direttore,
affrancandola dalle caratteristiche del singolo caso concreto e
fondandola semplicemente sul ruolo da lui ricoperto (63).
(62) G. CORRIAS LUCENTE, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione
di massa, Cedam, Padova, 2000, 199.
(63) Uno degli esempi più recenti del fenomeno descritto, sia sotto il
profilo della brevità della decisione, che sotto quello del costante richiamo di
precedenti che finiscono per comporre l’intero corpo della sentenza, è
costituito da Cass. pen. Sez. IV, 14.8.2008, n. 33472, in Dir. pen. e processo,
2009, 885, con nota di A. MINO, Responsabilità penale del direttore del
giornale ed “esigibilità” del controllo.
94
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
6. Direttore di giornale e mezzi di diffusione
dell’informazione diversi dalla carta stampata: responsabilità
penali a confronto.
Alle evidenti perplessità e ai discutibili profili applicativi
sui quali ci siamo sino ad ora soffermati si aggiunge la palese
disparità di trattamento che emerge dal raffronto tra i profili di
responsabilità penale che l’ordinamento riserva al direttore di
giornale ex art. 57 c.p. e le responsabilità penali individuabili in
capo a soggetti che sostanzialmente ricoprono il medesimo ruolo
in settori di diffusione dell’informazione diversi dalla carta
stampata, primo fra tutti il settore radiotelevisivo.
In tale ambito, l’interprete non può che appurare l’assenza
di una disposizione che preveda la responsabilità per omesso
controllo a carico dei direttori di testate radiotelevisive e che
imponga doveri di controllo e vigilanza analoghi a quelli
esistenti nel settore della stampa. Sussiste una forte disparità di
trattamento ulteriormente acuita dall’impossibilità di applicare
in via analogica l’art. 57 c.p. ai reati posti in essere attraverso il
mezzo radiotelevisivo (64). Nessuna disposizione penale
riguardante il sistema televisivo prevede esplicitamente che il
direttore di una testata televisiva possa essere chiamato a
rispondere per omesso controllo sul contenuto delle trasmissioni
(64) Una pronuncia del Tribunale di Roma costituisce per la
giurisprudenza la prima occasione, dall’entrata in vigore della legge 6 agosto
1990, n. 223, in cui si affronta il problema dell’applicabilità dell’art. 57 c.p.
anche ai direttori responsabili di testate giornalistiche radiotelevisive (Trib.
Roma, 20.3.1995, in Giur. it., 1995, 442, con nota di F.R. DINACCI, Sulla
responsabilità penale del direttore di notiziario radio-televisivo). Viene
affermato il principio dell’inapplicabilità della fattispecie di cui all’art. 57 c.p.
ai direttori di testate radiotelevisive evidenziando che il direttore
responsabile di «un quotidiano radiotelevisivo... (è) equiparato a (quello) di un
giornale soltanto ai fini dell’obbligo della registrazione presso la cancelleria
del Tribunale», come sancito dall’art. 10 legge n. 223 del 1990, derivandone
l’impossibilità di applicare ai direttori di testate radiotelevisive la fattispecie
criminosa omissiva contemplata dall’art. 57 c.p.
95
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
realizzate nell’ambito della testata da lui diretta in modo da
impedire che col mezzo della trasmissione siano commessi reati.
L’art. 30 della legge 6 agosto 1990, n. 223, indica il
concessionario privato, la concessionaria pubblica e la persona
da loro delegata al controllo della trasmissione come soggetti che
possono essere chiamati a rispondere a titolo di colpa omissiva
per trasmissioni di contenuto offensivo, non facendo alcun
riferimento, invece, al direttore dell’emittente televisiva. Né,
tantomeno, in assenza di una espressa previsione legislativa in
tal senso, sarebbe possibile ricorrere all’art. 57 c.p. A tale
proposito, in una recente pronuncia, la Suprema Corte ha
sottolineato che proprio in applicazione del principio di stretta
legalità - dal quale discende la delimitazione, anche sotto il
profilo soggettivo, delle fattispecie incriminatrici - l’art. 57 c.p.
non può assolutamente intendersi riferito anche alle
trasmissioni televisive (65). Nella medesima pronuncia i Giudici
hanno precisato che, nel fissare il contenuto della legge 6 agosto
1990, n. 223, il legislatore si è posto il problema della
responsabilità omissiva fuori dei casi di concorso nel reato
principale - sia per le trasmissioni con carattere di oscenità, sia
per quelle ex comma 2 dell’art. 30 della legge appena
richiamata, sia per il reato di diffamazione di un fatto
determinato - e lo ha risolto individuando i responsabili
esclusivamente nel concessionario privato, nella concessionaria
pubblica e nella persona da loro delegata al controllo della
trasmissione.
Ma, anche nell’estrema ipotesi in cui si volesse riconoscere
al direttore dell’emittente la qualifica di persona delegata al
controllo della trasmissione, sarebbe comunque evidente che se,
da un lato, la previsione di cui all’art. 57 c.p. concerne tutti i
reati commessi col mezzo della stampa, dall’altro, il terzo comma
dell’art. 30 della legge 6 agosto 1990, n. 223, si limita a
sanzionare solo l’omesso controllo necessario ad impedire
(65) Cass. pen. Sez. II, 23.04.2008, Matacena, in C.E.D. Cass., n.
240687.
96
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
trasmissioni radiofoniche o televisive che abbiano carattere di
oscenità o un contenuto impressionante, raccapricciante o
istigatorio.
La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulle
questioni di legittimità ex artt. 3 e 21 della Costituzione sotto il
profilo del trattamento irragionevolmente vantaggioso riservato
al mezzo televisivo, ritenuto maggiormente lesivo, ne ha ribadito
l’infondatezza affermando che esse avrebbero comportato un
inammissibile intervento additivo, o che la differenza di
disciplina era comunque giustificata dalla differenza dello
strumento di diffusione. In particolare, la Corte costituzionale, a
proposito della diversa disciplina prevista per i reati commessi a
mezzo della stampa rispetto a quelli commessi con il mezzo della
pubblicità costituita dalle trasmissioni radiotelevisive,
pronunciandosi anche a proposito del fatto che nei reati a mezzo
stampa il direttore viene incriminato in quanto tale, mentre
altrettanto non accadrebbe al direttore dei telegiornali e del
giornale radio ha, ancora una volta, dichiarato infondata la
questione (66). Infatti, anche qualche anno prima, sulla questione
della disparità di trattamento, e quindi della violazione del
principio costituzionale di uguaglianza, conseguente alla
differente disciplina legislativa prevista per gli autori di una
diffamazione commessa a mezzo stampa e quello per gli autori
del medesimo reato commesso a mezzo di diffusione radiofonica,
sottoposti invece al regime comune, ha sostenuto che si trattasse
di una scelta eminentemente politica, riservata dall’art. 25 della
Costituzione al solo legislatore, restando esclusa ogni possibilità
di intervento attraverso sentenze cosiddette additive. I Giudici
costituzionali, pur augurando che il legislatore provvedesse
(66) Corte cost., 22.10.1982, n. 168, in Giur. it., 1983, I, 1, 516, con
nota di E. ROPPO, Disciplina dei «mass media» e coerenza del legislatore. (Il
regime penale della diffamazione al vaglio di costituzionalità) e in Foro it.,
1982, I, 2702, con osservazioni di R. PARDOLESI; Corte cost., ord., 10.3.1983,
n. 53, in Giur. cost., 1983, I, 217, e in Foro it., 1983, I, 525, con con
osservazioni di R. PARDOLESI; Corte cost., ord., 20.10.1983, n. 323, in Giur.
cost., 1983, I, 2105.
97
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
sollecitamente a colmare nella sua discrezionalità lacune
eventualmente esistenti, hanno sottolineato di non potersi
sostituire ad esso e tanto meno di potere estendere norme
legislative previste per un’attività determinata ad altra attività
obbiettivamente diversa (67). Né il disposto legislativo, né la
giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale
consentono di applicare al direttore della testata televisiva la
normativa di cui all’art. 57 c.p.
Se si volge, poi, lo sguardo alle nuove tecniche di
comunicazione che si avvalgono di internet, non potrà negarsi
che esse rientrano nella nozione «ogni altro mezzo di diffusione»
di cui all’art. 21 della Costituzione. Tuttavia, il
contemperamento tra l’interesse pubblico all’informazione e
quello del singolo a non vedere lesa la propria reputazione si fa
ancor più delicato quando la diffusione dell’informazione è
affidata ad internet, poiché tale strumento si pone - allo stesso
tempo - come mezzo di manifestazione del pensiero e come
mezzo di comunicazione con un’ampissima potenzialità di
divulgazione diretta ad un numero indeterminato di individui.
Il direttore di un giornale telematico si trova collocato al
vertice di una testata che differisce da quelle tradizionali
essenzialmente per l’assenza di un supporto cartaceo (68).
(67) Corte cost., 20.1.1977, n. 42, in C.E.D. Cass., n. 8743.
(68) La legge 7 marzo 2001, n. 62, contenente nuove norme in materia
di editoria, ha introdotto una più estesa nozione di prodotto editoriale che
ricomprende anche quelle pubblicazioni realizzate su supporto informatico e
diffuse col mezzo elettronico. Prima delle modifiche introdotte dalla legge 7
marzo 2001, n. 62, si discuteva circa la possibile applicazione analogica o
estensiva della disciplina della stampa alla cosiddetta editoria elettronica o
telematica, cioè a quei prodotti editoriali offerti off-line, oppure on-line,
essendo evidente la sostanziale differenza degli strumenti di diffusione
telematica da quelli meccanici e fisico-chimici. La giurisprudenza aveva
assunto un atteggiamento di chiusura, interpretando restrittivamente l’art. 1
della legge sulla stampa, non ammetteva la possibilità di estendere tale
normativa ai giornali telematici: Trib. Napoli, 18.3.1997, in Dir. & Giust.,
1997, 186. In talune occasioni, tuttavia, sono state accolte le richieste di
registrazione di quei periodici diffusi via internet che, però, fossero al tempo
98
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Appare doveroso, pertanto, domandarsi se tale soggetto possa
essere chiamato a rispondere ex art. 57 c.p. per omesso controllo
di quanto pubblicato sul web. Certamente, riflettendo
sull’identica posizione ricoperta dal direttore di un giornale
avente un formato cartaceo e quella di un giornale on line e
soffermandosi altresì sul fatto che il web sembra presentare, in
concreto, potenzialità lesive dell’onore e della reputazione
addirittura più incisive di quelle della mera carta stampata ed il
numero ampio e potenzialmente generalizzato dei destinatari –
poiché qualsiasi informazione, anche se risalente nel tempo, è
fruibile da chiunque stante la permanenza della notizia nella
rete – emerge ictu oculi l’assenza di armonizzazione tra tali
differenti profili di responsabilità.
Tuttavia, un’estensione della disciplina prevista dall’art.
57 c.p. alle pubblicazioni on line si porrebbe in contrasto con il
principio di legalità e specificatamente contro il divieto di
analogia in malam partem. In tal senso si è affermato che «l’art.
2 l. n. 47 del 1948 prevede l’obbligo di un direttore responsabile
solo per i giornali a stampa, il quale assume i relativi doveri a
seguito della prescritta registrazione. Alla edizione telematica
dello stesso giornale, non costituendo stampato e non essendo
assoggettato a registrazione, non sono estensibili “in malam
partem” le responsabilità previste dalla legge penale per il
direttore responsabile dell’edizione a stampa» (69). Non può non
tenersi in considerazione che la legge 7 marzo 2001, n. 62, in
materia di editoria e prodotti editoriali, ha previsto
espressamente l’estensione ai periodici on line solo di alcune
stesso pubblicati anche su supporto cartaceo: Trib. Napoli, 8.8.1997, n. 242, in
Giust. civ., 1998, I, 258. Qualche sporadica pronuncia, comunque, equiparava
la comunicazione di notizie a mezzo internet alla stampa :Trib. Roma,
6.11.1997, in Dir. informazione e informatica, 1998, 75; Trib. Teramo,
11.12.1997, in Dir. informazione e informatica, 1998, 370, con nota di P.
COSTANZO, Libertà di manifestazione del pensiero e "pubblicazione" in
Internet.
(69) App. Roma, 11.1.2001, Mauro, in Dir. informaz. e informat., 2001,
31.
99
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
delle disposizioni della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e non ha,
invece, previsto una estensione del modello di responsabilità
previsto dall’art. 57 c.p. (70).
In una recente pronuncia di merito, invece, si è giunti a
conclusioni diametralmente opposte, affermandosi che i periodici
on line, in quanto prodotto editoriale, «sono soggetti anche alle
indicazioni obbligatorie in tema di editoria previste per gli
stampati e alla registrazione obbligatoria della testata (art. 1,
comma terzo, legge 7 marzo 2001 n. 62). Quindi anche il giornale
on line ha un suo direttore responsabile ed un editore che
devono essere riportati sul sito web» (71). Sulla base di tali
premesse il giudice di merito ha ritenuto applicabile l’art. 57 c.p.
per mancato esercizio, sul contenuto del periodico, del controllo
necessario ad impedire che con il mezzo della pubblicazione
siano commessi reati e, pertanto, se il direttore «avesse
controllato il tenore dei commenti inseriti on line, avrebbe
potuto cogliere quel profilo di antigiuridicità che ha dato luogo
(70) Trib. Catania, 8.4.2005, in Giur. aetnea, 2005, 2.
La legge 7 marzo 2001, n. 62, stabilisce che «al prodotto editoriale si
applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 8 febbraio 1948 n. 47. Il
prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e
contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del
prodotto, è sottoposto agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima
legge n. 47 del 1948». Il legislatore, nel fornire tale definizione, ha pertanto
fatto riferimento sia alle modalità con cui l’informazione viene raccolta (cioè
mediante la memorizzazione di un file di testo su un supporto informatico)
sia alle modalità attraverso le quali la notizia viene poi diffusa (mezzo
elettronico costituito dalla rete telematica). Il prodotto editoriale diffuso al
pubblico con periodicità regolare, e contraddistinto da una testata costituente
elemento identificativo dello stesso, è soggetto agli obblighi di registrazione
previsti dall’art. 5 della legge 8 febbraio 1948 n. 47: la previa registrazione
della testata presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la
pubblicazione deve effettuarsi e la presenza di un direttore o vicedirettore
responsabile iscritto all’Albo dei giornalisti. È necessario che le suddette
formalità vengano espletate anteriormente alla pubblicazione del periodico,
in caso contrario verrebbe ad integrarsi il reato di stampa clandestina ex art.
16, comma 1, legge 8 febbraio 1948 n. 47.
(71) Trib. Firenze, 13.2.2009, n. 982, in www.penale.it.
100
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
alla fattispecie penale. Conseguentemente, se il direttore
responsabile, la cui attività consiste in una supervisione per
impedire che vengano commessi reati, avesse esaminato o
controllato e verificato i fatti oggetto della narrazione, avrebbe
potuto evitare la diffamazione essendo pacifico che fra i compiti
propri del direttore responsabile di un periodico, anche se on
line, si annovera, innanzitutto, quello di verificare la certezza
della notizia e, quindi, di impartire disposizioni affinché sia
accertata la sua attendibilità» (72). Sulla questione è intervenuta
anche la Cassazione che, in una recente pronuncia dal tenore
radicalmente opposto rispetto a quella appena riportata, ha
chiaramente affermato che l’omesso controllo ex art. 57 c.p. non
è realizzabile da chi non sia direttore di un giornale cartaceo (73).
Le premesse che hanno condotto la Suprema Corte verso tale
conclusione vertono sul concetto di stampa e di stampato. In
particolare, ha affermato che il messaggio internet e la pagina di
un giornale telematico non possono essere ricondotti a tale
categoria in quanto questa presuppone: una riproduzione
tipografica; che il prodotto dell’attività tipografica sia destinato
alla pubblicazione ed effettivamente distribuito tra il pubblico. Il
fatto che la pagina di un giornale telematico possa essere
stampata dal lettore non integra una circostanza determinante
poiché è il destinatario colui che, selettivamente ed
eventualmente, decide di riprodurre a stampa quanto riprodotto
sul monitor del personal computer. Sebbene le comunicazioni
telematiche siano, a volte, stampabili, esse certamente non
riproducono stampati: la telematica presenta un carattere di
assoluta eterogeneità rispetto alla stampa (74).
In altri termini, ci si trova dinanzi alla non assimilabilità
normativamente determinata del giornale telematico a quello
stampato e comunque alla inapplicabilità, nel settore penale, del
procedimento analogico in malam partem. Accanto a tali
(72) Trib. Firenze, 13.2.2009, n. 982, cit..
(73) Cass. pen. Sez.V, 16.7.2010, n. 35511, in www.penale.it.
(74) Cass. pen. Sez.V, 16.07.2010, n. 35511, cit.
101
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
argomentazioni di ordine sistematico la Cassazione prende in
considerazione anche la problematica della esigibilità della
«ipotetica condotta» del direttore del giornale telematico. Certo,
appare singolare che tale aspetto venga sottolineato, forse per la
prima volta in tali termini, in assenza di una specifica norma
penale incriminatrice e di un corrispondente titolo di
responsabilità che potrebbe venir meno tenendo in
considerazione proprio tale aspetto.
In un’altra pronuncia di merito si è proceduto
all’assimilazione della figura del gestore di un blog a quella del
direttore responsabile. La posizione dei due soggetti è stata
definita identica, pur se “formalmente” per indicare il gestore
del blog o il proprietario di un sito internet non viene utilizzata
tale forma semantica. Le ragioni che hanno condotto il Tribunale
a tale risultato sono state ancorate al fatto che il gestore di un
blog possiede «il totale controllo di quanto viene pubblicato e,
allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di
eliminare i contenuti offensivi» (75). Ancora una volta si pone il
problema di individuare la fonte dell’obbligo giuridico di
impedire l’evento diffamatorio che possa verificarsi attraverso il
blog. Attualmente non è dato rinvenire alcuna fonte di tale
obbligo, non essendo individuabile nessuna norma di legge o
contratto, né tantomeno la gestione di un sito internet potrebbe
qualificarsi come attività pericolosa consistente nel mettere a
disposizione l’accesso alla rete e nella fornitura dei relativi
servizi. Né l’astratta possibilità che si commettano reati on-line
può comportare che la concessione di servizi destinati agli utenti
si qualifichi di per sé pericolosa. È evidente che se, da un lato, il
blog può farsi rientrare tra gli strumenti idonei alla
comunicazione di massa, dall’altro, non può essere ricondotto al
concetto di mezzo di stampa. Né tantomeno sembra proponibile
un’estensione analogica delle forme di responsabilità ex art 57
c.p. in capo al blogger o, più in generale, al gestore di un sito
internet equiparando tali soggetti al direttore responsabile di un
(75) Trib. Aosta, 26.5.2006, in Dir. & Giust., 2006, 31.
102
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
giornale, poiché si profilerebbe un’inaccettabile operazione
ermeneutica qualificabile come interpretazione analogica in
malam partem. Ciò non esclude, naturalmente che il blogger
possa essere chiamato a rispsondere come concorrente del fatto
illecito altrui. Ci si potrebbe interrogare sulla possibile
configurabilità di una responsabilità dell’internet service
provider (76) per mancato controllo del materiale inviato sul
proprio server e quindi di una responsabilità per fatto
dell’utente. Sul punto va ricordato che l’art. 14 D.lgs. 9 aprile
2003, n. 70, chiarisce che non sono responsabili dei reati
commessi in rete gli access providers, i service providers e gli
hosting providers, a meno che non fossero al corrente del
contenuto criminoso del messaggio diffuso ma, in tale ipotesi,
(76) Un Internet Service Provider è il soggetto che gestisce un server e
che consente ai singoli utenti di interagire con l’intera rete internet, fruendo
dei molteplici servizi che è possibile reperire sul web. Poiché la stessa
esistenza dei singoli utenti del sistema si rende possibile solo attraverso un
provider, attraverso quest’ultimo sarà possibile verificare quali attività
penalmente (ma anche civilisticamente) illecite possano essere ricondotte ad
un determinato individuo. Ovviamente in questa sede non importa riferirci
agli illeciti dolosi che presuppongono un comportamento consapevole, sia esso
di compartecipazione o agevolazione, dei gestori del servizio, che in talune
ipotesi potrebbe anche essere contraddistinto anche dalla presenza di un dolo
specifico, come il fine di procurare un profitto.
In Germania il service provider è chiamato a rispondere sia per il
materiale illecito da lui creato che per quello prodotto da altri e messo a
disposizione sul proprio server. In Francia viene chiamato a rispondere per le
violazioni del copyright qualora ponga in essere una condotta che agevoli la
preparazione e la diffusione del materiale oggetto della violazione, invece non
è considerato responsabile per le comunicazioni effettuate direttamente dagli
utenti. Nei sistemi di common law, e in particolar modo in Gran Bretagna,
qualsiasi soggetto che partecipi alla diffusione di notizie aventi contenuto
diffamatorio stessa viene chiamato a rispondere a titolo di concorso con
l’autore. Il fornitore della notizia può discolparsi provando di non aver preso
parte alla creazione del materiale diffamatorio, di non essere a conoscenza del
suo contenuto, né di essere in grado di venirne a conoscenza. Negli Stati
Uniti, infine, i fornitori di servizi che offrono servizi di comunicazione o di
trattamento delle informazioni, si considerano responsabili, in concorso, per
tutte le comunicazioni effettuate sui loro servers.
103
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
risponderebbero a titolo di concorso nel reato doloso e non ex art.
57 c.p. Il gestore, infatti, non ha alcun potere di controllo e
nessuna conoscenza della posta elettronica inviata di cui, tra
l’altro, è fatto divieto di prendere contezza ex art. 617-quater c.p.
(77).
In ogni caso, considerando anche il flusso di dati immessi
giornalmente sui server, procedere ad un controllo puntuale e
concreto sul loro contenuto sarebbe un’operazione pressoché
impossibile da realizzare, anche nell’ipotesi in cui il legislatore
imponesse un obbligo di vigilanza e di controllo su eventuali
contenuti illeciti di qualsiasi connessione. Ecco che allora in tale
settore il legislatore ha preferito non imporre alcun obbligo di
controllo probabilmente perché consapevole del fatto che il
gestore non sarebbe in grado di esercitare un potere di
impedimento dell’evento, non avendo la disponibilità di tutto il
materiale che verrà pubblicato, ma potrebbe procedere ad un
controllo solo ex post; un controllo preventivo in tempo reale,
invece, sarebbe impraticabile dinanzi all’enorme massa di dati
immessi nella rete e soggetti a continua modificazione (78).
Dal momento che non può più ritenersi attuale - se mai lo
fosse stata in passato - l’idea di considerare la stampa un mezzo
di diffusione dell’informazione ben più “pericoloso” della
radiotelevisione o del web (né tantomeno è possibile negare che
tali mezzi di informazione possiedano almeno una pari
potenzialità lesiva), non si vede perché - considerate le
dimensioni attualmente assunte da settimanali e quotidiani non si possa pervenire a conclusioni analoghe anche per il
(77) In tal senso Cass. pen. Sez. V, 11.11.2008, Ricci, in C.E.D. Cass.,
n. 24960.
(78) Uno dei più recenti tentativi – che comunque non ha avuto
concreta attuazione – di estendere le disposizioni della legge sulla stampa ai
siti internet aventi natura editoriale è racchiuso nel disegno di legge n. 3176
del 26.10.2004 recante “Norme in materia di diffamazione, di diffamazione
con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di
condanna del querelante”, dal quale è possibile evincere la consapevolezza del
legislatore circa l’esistenza del problema di cui ci stiamo occupando.
104
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
settore della stampa eliminando dal panorama normativo
esistente la responsabilità del direttore di giornale. Inoltre, la
medesima potenzialità lesiva sussistente in capo ai mezzi di
diffusione dell’informazione di cui si discute trova conferma
nella contraddittorietà rinvenibile anche in diverse pronunce
della Corte costituzionale con le quali, da un lato, la Corte ha
sottolineato la minore lesività del mezzo radiotelevisivo rispetto
alla stampa e, dall’altro, ne ha riconosciuto la capacità di
immediata e capillare penetrazione nell’ambito sociale e la forza
suggestiva dell’immagine unita alla parola (79).
7. Il principio di personalità dell’illecito e il trattamento
sanzionatorio riservato al direttore dall’art. 57 c.p.
La lettura dell’art. 27 della Costituzione sarebbe monca
laddove non si tenesse conto che il principio di personalità
permea profondamente di sé anche il momento sanzionatorio:
personalità della sanzione e personalità dell’illecito si muovono
parallelamente (80). Ma un’attenta valutazione del principio di
personalità dell’illecito non può limitarsi a verificarne la
rilevanza esclusivamente sulla struttura del criterio di
imputazione del fatto al soggetto, poiché la sottoposizione a
(79) Corte cost., ord., 22.10.1982, n. 168, in Giur. it., 1983, I, 1, 516,
con nota di E. ROPPO, Disciplina dei «mass media» e coerenza del legislatore.
(Il regime penale della diffamazione al vaglio di costituzionalità) e Corte cost.,
21.7.1981, n. 148, in www.cortecostituzionale.it.
(80) Così A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Priulla, Palermo, 1960, 409.
L’A. ha precisato che il principio della personalità della responsabilità penale
si scinde in una duplice statuizione: personalità dell’illecito e personalità
della sanzione. Nella prima accezione comporta che il soggetto abbia
contribuito alla realizzazione del fatto di reato, nella seconda sta ad indicare
che il contenuto afflittivo della sanzione debba necessariamente rivolgersi
solo al soggetto cui è imputabile l’illecito penale e non a soggetti diversi. Nello
stesso senso F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, vol. I, Giuffrè,
Milano, 1965, 87.
105
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
sanzione per fatti posti in essere da un altro soggetto si
risolverebbe in un esclusivo perseguimento della prevenzione
generale e di una finalità unicamente intimidatrice della
sanzione penale, perdendosi di vista la rieducazione del
condannato. I dubbi e le perplessità sopra evidenziati a
proposito della responsabilità del direttore sembrano riflettersi
inevitabilmente
anche
sull’aspetto
sanzionatorio:
la
sottoposizione a pena per un fatto commesso da un altro
soggetto si scontra, ancora una volta, con il dettato
costituzionale. Da un lato, non è possibile, in nome di
un’efficacia intimidatrice, colpire un soggetto estraneo al fatto e,
dall’altro, nello stabilire la specie e la quantità della sanzione
non possono non tenersi in considerazione le condizioni
personali dell’agente e, naturalmente, la gravità del fatto stesso.
Pare opportuno soffermarsi, quindi, anche sul trattamento
sanzionatorio riservato al direttore dall’art. 57 c.p. e verificare se
possano profilarsi dei dubbi anche sotto tale profilo.
In primo luogo, dalla lettura dell’ultima parte della
disposizione – che prevede l’applicazione della pena stabilita per
il reato commesso col mezzo della pubblicazione, diminuita in
misura non eccedente un terzo – sembrerebbe potersi evincere
che il legislatore, anziché prevedere un autonomo trattamento
sanzionatorio per un’autonoma fattispecie di reato, quale è
quella contemplata nell’art. 57 c.p., abbia preferito ancorare tale
trattamento al sistema sanzionatorio previsto da altre norme
penali incriminatrici, procedendo ad un richiamo quoad poenam
della fattispecie di volta in volta integrata attraverso la condotta
posta in essere dall’autore della pubblicazione (81). La sanzione
(81) La giurisprudenza a tal proposito ha precisato che il legislatore ha
istituito un criterio autonomo di commisurazione della pena ancorato alla
pena a sua volta comminata per il reato-evento, non già a quella irrogata. E,
poiché l’art. 57 c.p. prevede una fattispecie di reato autonoma, le circostanze
aggravanti contestate per il delitto di diffamazione, ad esempio, non sono
riferibili anche al delitto previsto dall’art. 57 c.p., sebbene incidano sulla
misura della pena irrogabile per tale reato. Così Cass. pen. Sez. I, 10.12.1990,
106
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
di cui il direttore risulta essere destinatario viene, pertanto,
determinata con riferimento alla pena stabilita per il reato
dell’autore dello scritto incriminato ma non ci si può esimere
dall’osservare come nonostante il direttore venga punito “a titolo
di colpa”, questi sarà destinatario di una pena commisurata ad
un reato che normalmente sarà doloso, come la diffamazione (82).
A quanto appena osservato sembrerebbe naturale opporre
il rilievo che la prevista diminuzione di pena (in misura non
eccedente un terzo) debba intendersi come un esplicito
riconoscimento da parte del legislatore dell’atteggiamento
colposo che connota (o dovrebbe connotare) la condotta del
direttore, soggetto che dovrebbe essere punito meno
intensamente dell’autore del reato commesso col mezzo della
pubblicazione. Tuttavia, non sembra superfluo interrogarsi,
ancora una volta, sulla corrispondenza tra previsione legislativa
e prassi applicativa e, quindi, sull’effettiva conferma sul piano
pratico di tale differenziazione circa il trattamento sanzionatorio
riservato a tali soggetti. Nell’applicazione giurisprudenziale la
distinzione di cui si discute sembra appiattita da riduzioni di
pena in concreto minime e, spesso, sia il direttore che il
giornalista autore dell’articolo vengono sottoposti alla medesima
sanzione (83). Inoltre la giurisprudenza, nella quasi totalità dei
procedimenti penali che vedono come protagonisti il direttore
responsabile (chiamato a rispondere ex art. 57 c.p.) ed un
giornalista (generalmente chiamato a rispondere di una
Bonanno, in C.E.D. Cass., n. 186159; Cass. pen. Sez. V., Tossi, 13.5.2008, in
C.E.D. Cass., n. 240494.
(82) È comunque possibile che il reato commesso dall’autore della
pubblicazione possa essere colposo come nel caso della contravvenzione di cui
all’art. 656 c.p.
(83) Sono diverse le pronunce dei Giudici di merito che riservano un
medesimo trattamento sanzionatorio al direttore e all’autore dell’articolo. Tra
queste: Trib. Milano, Belpietro, 27.11.2007, inedita e confermata da App.
Milano, Belpietro, 2.10.2008, inedita; App. Trento Sez. Bolzano, Schwezer,
3.10.2007, inedita; Trib. Roma, Cervi, 7.6.2001, inedita e confermata da App.
Roma, Cervi, 4.6.2004, inedita.
107
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
condotta diffamatoria), di fronte alla pena alternativa della
reclusione o della multa opta quasi sempre per la condanna al
pagamento della pena pecuniaria. Ciò accade perché nel
rapporto tra art. 595 c.p. che disciplina la diffamazione (che
prevede la pena alternativa della reclusione e della multa) e art.
13 della legge 8 febbraio 1947, n. 47, che riguarda la
diffamazione commessa col mezzo della stampa (che prevede la
pena cumulativa della reclusione e della multa) quest’ultima
disposizione viene considerata un’aggravante della prima e non
un’autonoma fattispecie di reato. In tal modo, nel giudizio di
bilanciamento delle circostanze, stante la quasi “automatica”
concessione delle attenuanti generiche, si finisce per non tenere
conto dell’aggravante di cui all’art. 13 summenzionato e per
applicare l’art. 595 c.p. che prevede la sanzione alternativa della
reclusione e della multa: e il giudice opta quasi sempre per la
sanzione pecuniaria.
Tale ultimo rilievo va comunque posto in linea con la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che,
nella decisione Kydonis c. Grecia (84), ha per la prima volta
espressamente
affermato
un
generale
principio
di
incompatibilità tra la previsione della pena detentiva per i reati
a mezzo stampa e la libertà di espressione. Va sottolineato che la
pronuncia appena richiamata si è spinta oltre il controllo sul
giudizio di bilanciamento posto in essere dal giudice nazionale
nel caso concreto fino a lambire la discrezionalità del legislatore
nelle scelte sanzionatorie a tutela dell’onore e della reputazione.
Dalle argomentazioni utilizzate dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo emerge che già la mera presenza di una minaccia della
privazione della libertà personale – e quindi di una sanzione
detentiva anche convertibile in pena pecuniaria – potrebbe
influire sui mezzi di informazione nel senso di produrre un
effetto dissuasivo per l’esercizio della libertà di stampa e ciò
potrebbe avere delle ripercussioni anche sullo stesso diritto ad
essere informati.
(84) Kydonis c. Grecia, 2.5.2009, n. 24444/07, in www.echr.coe.int/echr.
108
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Sebbene si tratti di una isolata pronuncia (non
riguardante, tra l’altro, l’Italia), sembra comunque naturale
interrogarsi sulla compatibilità della diffamazione con il
complesso delle garanzie contemplato nell’art. 10 CEDU.
Emerge una certa divergenza con il diritto interno che si riflette,
per alcuni aspetti, anche sulle scelte legislative concernenti
l’entità della sanzione per i reati commessi con il mezzo della
stampa. La Corte europea dei diritti dell’uomo sembrerebbe
considerare ammissibile una sanzione detentiva solo per
tipologie ben precise di reati a mezzo stampa, primi fra tutti
quelli che integrano la diffusione di messaggi di incitamento
all’odio o alla violenza.
8. Le ulteriori ipotesi di responsabilità del direttore: a) il
direttore autore dello scritto; b) il concorso di persone nel reato.
Sembra doveroso, a questo punto, esaminare le ipotesi di
responsabilità penale del direttore diverse dal caso di omesso
controllo sulla pubblicazione. Se nessun problema pone la
condotta del direttore che sia allo stesso tempo l’autore dello
scritto che integra gli estremi di un illecito penale, pare
opportuno soffermarsi, invece, sulle ipotesi di pubblicazione di
articoli redazionali o, in ogni caso, privi di firma. È necessario,
infatti, interrogarsi sui profili di responsabilità penale che
possono scaturire in capo al direttore in caso di pubblicazione di
un articolo anonimo.
A tal proposito in giurisprudenza si registra la presenza di
un duplice orientamento. Da un lato si è optato per
un’interpretazione secondo la quale «la pubblicazione di un
articolo senza nome comporta l’attribuzione di questo alla
redazione e cioè al direttore responsabile del periodico; la firma
apposta sull’articolo, infatti, ha la funzione di individuare la
persona che si assume professionalmente la responsabilità delle
notizie pubblicate». Pertanto, «il direttore che consente la
109
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
pubblicazione di un articolo anonimo, ne assume in prima
persona la responsabilità. Non si tratta, al riguardo, di una
“responsabilità oggettiva”, bensì di una consapevole condotta
volta a diffondere uno scritto diffamatorio» (85). Dall’altro,
secondo un’interpretazione maggiormente garantista, si afferma
che, «contrariamente a quanto comunemente si ritiene, la
pubblicazione di un articolo di stampa senza indicazione
dell’autore non dimostra di per sé che ne sia autore il direttore
del quotidiano o del settimanale che lo pubblica. Certo, il
direttore che autorizza la pubblicazione di uno scritto anonimo
assume un obbligo di verifica più rigoroso. Ma ciò non esclude
che il titolo della sua eventuale responsabilità permanga quello
previsto dall’art. 57 c.p., ove non ne risulti provata la paternità
dello scritto ovvero il concorso nel delitto di diffamazione» (86).
Invece,
qualora
il
direttore
abbia
contribuito
materialmente o moralmente alla pubblicazione potrà essere
chiamato a rispondere del reato commesso attraverso la
pubblicazione stessa. Inutile ribadire che la responsabilità a
titolo di concorso postula la presenza di tutti gli elementi
generalmente occorrenti a norma dell’art. 110 c.p., secondo la
ordinaria disciplina normativa, tra i quali il dolo. Per affermare
il concorso nel reato commesso attraverso la pubblicazione, che
generalmente si identifica nella diffamazione commessa
dall’autore dello scritto, la giurisprudenza ritiene che occorra
dimostrare che il direttore ha voluto la pubblicazione
conoscendone il contenuto lesivo e, quindi, la sussistenza della
(85) Cass. pen. Sez. V, 10.1.2001, Forleo, in Cass. pen., 2002, 2345 con
nota di G. LE PERA, Articolo non firmato e responsabilità del direttore: un
pericoloso ritorno alla responsabilità senza colpa.
(86) Cass. pen. Sez. V, 9.5.2007, Rinaldi Tufi, in C.E.D. Cass., n.
237437. In dottrina è dello stesso avviso M. POLVANI, La diffamazione a
mezzo stampa, cit., 249. Secondo l’A. non è possibile ritenere che ci si trovi al
cospetto di una «responsabilità per il delitto di diffamazione, quando l’autore
della pubblicazione sia ignoto, perché mancano le basi normative per
ancorare, in mancanza di dolo, una responsabilità del direttore diversa da
quella prevista dall’art. 57 c.p.».
110
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
consapevolezza di aggredire la reputazione altrui (87). Il giudice
dovrà tener conto di quel complesso di circostanze esteriorizzate
nella pubblicazione, come il contenuto dello scritto, la sua
correlazione con il contesto sociale dal quale trae ispirazione, la
forma della esposizione, l’evidenza e la collocazione tipografica
ad esso assegnata nello stampato. Tali circostanze, dalle quali si
deve desumere la prova del concorso, costituiscono «espressione
del meditato consenso e della consapevole adesione del direttore
all’oggetto dello scritto, quale manifestazione del convincimento
e della partecipazione attiva di colui che la deve autorizzare»
(88).
Queste le argomentazioni della giurisprudenza in tema di
concorso del direttore nel reato commesso attraverso la
pubblicazione, che consentono di individuare altresì i limiti
tracciati dalla prassi applicativa tra l’omesso controllo
integrante la fattispecie di cui all’art. 57 c.p. e un caso di
concorso di persone nel reato commesso col mezzo della
pubblicazione. Occorre, infatti, tenere in considerazione che nel
caso in cui la condotta del direttore sia di natura omissiva, la
distinzione tra responsabilità per omesso controllo di natura
colposa ex art. 57 c.p. e responsabilità in concorso con l’autore
dello scritto per omissione volontaria del controllo non
rappresenta un’operazione agevole stante la presenza di
un’identica condotta materiale.
9. La responsabilità penale del direttore di giornale negli
ordinamenti stranieri.
(87) In tal senso v. Cass. pen. Sez. V, 30.4.2008, De Luca, in C.E.D.
Cass. 2008; Cass. pen. Sez. I, 7.7.1981, Cingoli, in Cass. pen., 1983, 421; Cass.
pen. Sez. V, 2.5.1990, Scalfari, in C.E.D. Cass., n. 185122.
(88) Cass. pen. Sez. V, 13.2.1985, Criscuoli, in Cass. pen., 1986, 1192.
111
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Ulteriori spunti di riflessione possono delinearsi
verificando quali siano i profili di responsabilità penale del
direttore di giornale nei sistemi giuridici diversi da quello
italiano. Sebbene abbiano caratteristiche differenti, i profili di
responsabilità penale concernenti la figura del direttore negli
ordinamenti di civil law presentano un tratto comune: sul piano
pratico si rischia di lambire una responsabilità per fatto altrui,
contraria al principio di personalità della responsabilità penale
riconosciuto in tali ordinamenti. Ecco che allora il ricorso allo
strumento comparatistico in un quadro normativo tutt’altro che
semplice come quello rappresentato dal diritto penale
dell’informazione può essere posto in chiave dialettica o
problematica. In tale prospettiva l’analisi di altri ordinamenti
stranieri può avere lo scopo di suggerire all’interprete spunti di
ragionamento giuridici diretti ad evitare il perpetrarsi delle
identiche problematiche presenti in ordinamenti differenti. Se
una determinata previsione normativa comune a diversi
ordinamenti si traduce in soluzioni giurisprudenziali discutibili
il legislatore più avveduto ne potrebbe ricavare il suggerimento
di procedere ad una radicale “inversione di rotta”. Il richiamo ad
esperienze straniere non può determinare una supina
condivisione delle soluzioni normative ivi proposte se queste
presentano notevoli profili di perplessità ma può, anzi, costituire
uno stimolo verso l’adozione di soluzioni radicalmente differenti,
come quella di eliminare dal panorama legislativo una
disposizione normativa evidentemente problematica.
10. (Segue): a) il sistema francese.
Nel sistema francese la legge sulla stampa del 29 luglio
del 1881 dedica un paragrafo di sei articoli, 42-46, alla
responsabilità penale e civile dei delitti commessi a mezzo
stampa delineando la c.d. responsabilità en cascade. In
particolare, secondo quanto previsto dall’art. 42, «le directeurs
112
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
de la pubblications ou éditeurs, quelle que soient leurs
professions ou leurs dénominations» saranno considerati gli
autori principali, mentre gli autori materiali degli scritti
saranno perseguiti quali complices. Solo se non è possibile
individuare il direttore e l’editore della pubblicazione gli autori
principali saranno individuati nei soggetti che hanno scritto la
pubblicazione incriminata. Nel caso in cui non si renda possibile
individuare nemmeno questi ultimi saranno perseguiti i
tipografi e se nemmeno costoro potranno essere individuati
verranno chiamati a rispondere i venditori e i distributori.
Ecco che allora si comprende il motivo per il quale l’art. 6
della legge del 1981 esordisce precisando che necessariamente
«toute publication de presse doit avoir un directeur de la
publication»: il primo soggetto perseguito per i reati a mezzo
stampa è proprio quest’ultimo. La disposizione appena richiamata prosegue, poi, precisando che «lorsqu’une personne physique
est propriétaire ou locataire-gérant d’une entreprise éditrice au
sens de la loi n° 86-897 du 1er août 1986 portant réforme du régime juridique de la presse ou en détient la majorité du capital
ou des droits de vote, cette personne est directeur de la publication. Dans les autres cas, le directeur de la publication est le représentant légal de l’entreprise éditrice. Toutefois, dans les sociétés anonymes régies par les articles L. 225-57 à L. 225-93 du
code de commerce, le directeur de la publication est le président
du directoire ou le directeur général unique» (89).
(89) Per completezza, va precisato che l’articolo in discorso si chiude
disciplinando specificamente l’ipotesi in cui il directeur de la publication goda
dell’immunità parlamentare: «si le directeur de la publication jouit de
l’immunité parlementaire dans les conditions prévues à l’article 26 de la
Constitution et aux articles 9 et 10 du Protocole du 8 avril 1965 sur les privilèges et immunités des communautés européennes, l’entreprise éditrice doit
nommer un codirecteur de la publication choisi parmi les personnes ne bénéficiant pas de l’immunité parlementaire et, lorsque l’entreprise éditrice est
une personne morale, parmi les membres du conseil d’administration, du directoire ou les gérants suivant la forme de ladite personne morale. Le codirecteur de la publication doir être nommé dans le délai d’un mois à compter de la
113
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Va notato, quindi, che a differenza del nostro ordinamento
il sistema francese identifica il direttore della pubblicazione con
il proprietario, o con il locatario-gerente, di una impresa editrice,
con colui che detiene la maggioranza del capitale della stessa, o
comunque, con il rappresentante legale dell’impresa editrice.
Il sistema della responsabilità en cascade, però, sebbene
sia diretto alla realizzazione del duplice obiettivo di assicurare
l’individuazione di un soggetto responsabile e di tutelare i
giornalisti garantendo loro un’ampia libertà di espressione, non
consente al direttore di fornire una prova contraria che possa
consentirgli di andare esente da responsabilità penale e quella
così prospettata sembra assumere i contorni di una
responsabilità per fatto altrui. Quest’ultima forma di
responsabilità, è inutile dirlo, contrasta con il principio della
personalità della responsabilità penale riconosciuto anche dal
sistema francese: il codice penale del 1993, all’art. 121-1, infatti,
dispone che «nul n’est responsable pénalement que de son
propre fat». Non sono configurabili, pertanto, forme di
responsabilità collettiva, per fatto altrui o presunzioni di
colpevolezza.
Nonostante
ciò la
giurisprudenza
francese
ha
espressamente negato che la disciplina sulla responsabilità del
direttore possa porsi in contrasto con la Convenzione europea
dei diritti dell’uomo la quale, al secondo comma dell’art. 6,
espressamente stabilisce che «ogni persona accusata di un reato
è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia
stata legalmente accertata». La Corte di cassazione francese ha,
infatti, affermato che «dès que le caractère diffamatoire d’un
écrit périodique est démontré, le directeur de publication qui l’a
date à partir de laquelle le directeur de la publication bénéficie de l’immunité
visée à l’alinéa précédent. Le directeur et, éventuellement, le codirecteur de
la publication doivent être majeurs, avoir la jouissance de leurs droits civils
et n’être privés de leurs droits civiques par aucune condamnation judiciaire.
Toutes les obligations légales imposées au directeur de la publication sont
applicables au codirecteur de la publication».
114
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
rendu public est responsable de droit, en qualité d’auteur principal, du délit de diffamation, en application de l’article 42 de la
loi du 29 juillet 1881 dont les dispositions ne sont pas incompatibles avec celles de l’article 6 de la Convention européenne de
sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales»
(90).
Ma essendo estremamente difficile che il direttore di un
grande quotidiano verifichi personalmente il contenuto di ogni
singolo articolo, è inevitabile anche qui il riproporsi delle
medesime perplessità sollevate a proposito del sistema italiano
soprattutto se ci si sofferma sul fatto che neanche il sistema
francese, in tale settore, ammette il ricorso all’istituto della
delega di funzioni. Ancora una volta si finge di credere che il
direttore di un quotidiano composto da centinaia di pagine
verifichi personalmente l’integrale contenuto dello stesso.
Va comunque segnalato che dalla giurisprudenza, resasi
conto del fenomento appena descritto, non provengono dei
segnali del tutto negativi. In una pronuncia del 2000, è stata
ammessa la possibilità che - allorquando la responsabilità del
direttore di giornale sia accertata secondo le regole di diritto
comune per una pubblicazione che non integra un reato di
stampa - tale soggetto possa andare esente da responsabilità
qualora si sia trovato nell’impossibilità di adempiere al suo
dovere di controllo (91). Certo, sarebbe auspicabile che tale
soluzione trovasse applicazione anche nell’ipotesi prevista
dall’art. 42 della legge sulla stampa del 1881, ma sicuramente ci
troviamo dinanzi ad un’apertura giurisprudenziale di non poco
conto che potrebbe aprire il varco a nuovi orientamenti che
tengano effettivamente conto della realtà organizzativa
giornalistica.
(90) Cour de Cassation, Chambre criminelle, 17.121991, 90-83.534, in
www.legifrance.gouv.it.
(91) Cour de Cassation, Chambre criminelle, 14.6.2000, in Bulletin des
arrêts de la Cour de cassation, n. 223.
115
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
11. (Segue): b) l’ordinamento spagnolo.
Anche l’ordinamento spagnolo prevede una forma di
responsabilità “a cascata” che assume però contorni differenti
rispetto a quelli delineati dal sistema francese. La norma di
riferimento trova collocazione all’interno della parte generale del
codice penale spagnolo, mentre il ruolo del direttore viene
definito dall’art. 34 della legge sulla stampa del 19 marzo 1966.
In particolare, l’art. 30 del codice penale spagnolo
stabilisce che «en los delitos y faltas que se cometan utilizando
medios o soportes de difusión mecánicos no responderán
criminalmente ni los cómplices ni quienes los hubieren
favorecido personal o realmente. Los autores a los que se refiere
el artículo 28 responderán de forma escalonada, excluyente y
subsidiaria de acuerdo con el siguiente orden: 1º Los que
realmente hayan redactado el texto o producido el signo de que
se trate, y quienes les hayan inducido a realizarlo; 2.º Los directores de la publicación o programa en que se difunda; 3.º Los
directores de la empresa editora, emisora o difusora; 4.º Los
directores de la empresa grabadora, reproductora o impresora.
Cuando por cualquier motivo distinto de la extinción de la
responsabilidad penal, incluso la declaración de rebeldía o la
residencia fuera de España, no pueda perseguirse a ninguna de
las personas comprendidas en alguno de los números del
apartado anterior, se dirigirá el procedimiento contra las
mencionadas en el número inmediatamente posterior». Come è
evidente il sistema di responsabilità ivi descritto risulta
strutturato in quattro livelli differenti: autore, direttore, editore
e stampatore, o loro equivalenti, quando si tratta di mezzi di
comunicazione diversi come la radio, la televisione, etc… Se
nessun problema pone la responsabilità di coloro che hanno
«realmente» posto in essere la condotta criminosa, qualche
perplessità può sorgere in ordine ai profili di responsabilità
individuabili in capo agli altri soggetti, primo fra tutti il
116
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
direttore della pubblicazione o del programma. La disposizione
fa riferimento anche a coloro che svolgono funzioni direttive
all’interno dei moderni mezzi di comunicazione televisiva e
radiofonica: anche qui non va dimenticato, però, che la maggior
parte degli editori non sono persone fisiche ma giuridiche e
pertanto si pongono problemi di tipicità che non appaiono
certamente di poco conto.
Il fondamento della disciplina in discorso è stato
rinvenuto da parte della dottrina spagnola in una duplice
finalità in quanto garantirebbe, in tale settore, una limitazione
della responsabilità penale ed una effettività della stessa. In
altri termini, da un lato, grazie a tale disciplina si ridurrebbe il
numero dei responsabili anche se la pubblicazione è stata opera
di una pluralità di soggetti poiché, secondo la lettera della legge,
i complici e coloro che hanno favorito la realizzazione dell’illecito
non saranno destinatari della sanzione penale; dall’altro, la
disciplina in discorso rappresenterebbe uno strumento idoneo ad
evitare la vanificazione dell’intervento del diritto penale nel caso
in cui un soggetto – che per qualunque causa sia non punibile –
fingesse di essere l’autore del testo (92).
L’apparente semplicità del precetto contemplato nella
disposizione de qua assume dei contorni poco nitidi nel momento
in cui si prova a riflettere sulle condizioni in base alle quali tale
forma di responsabilità va imputata ai soggetti contemplati
nell’elenco. L’ultimo comma dell’articolo 30 del codice penale
spagnolo dispone che sarà chiamato a rispondere il soggetto
indicato al livello successivo quando «per qualunque motivo» non
è possibile agire contro i soggetti inclusi nel livello superiore.
Anche qui sembra configurabile un contrasto con il principio di
personalità
della
responsabilità
penale:
la
mancata
perseguibilità di uno dei soggetti sopra indicati fa si che il
soggetto collocato immediatamente dopo nell’elenco sia chiamato
(92) J. LÓPEZ BARIA DE QUIROGA, Commento all’art. 30 c.p., in
Comentarios al código penal, (diretto da) C. Conde-Pumpido Tourón, Bosch,
Barcelona, 2007, 437.
117
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
a rispondere del reato commesso rischiando di vanificare
l’operatività del principio di personalità dell’illecito. Invece, nella
dottrina spagnola, vi è chi sottolinea come l’esistenza del
principio di colpevolezza impedisce che il sistema di
responsabilità descritto dall’art. 30 c.p. possa essere interpretato
come un’ipotesi di responsabilità oggettiva, né, tantomeno, come
un caso di culpa in vigilando. E si afferma, così, che - poichè
l’art. 30 darebbe vita ad un sistema di posizioni di garanzia - il
soggetto indicato nel gradino successivo potrà essere chiamato a
rispondere solo qualora si verifichi una delle condizioni previste
dal terzo comma della disposizione, quando questi possa essere
considerato autore a titolo omissivo del delitto in questione (93).
Ci sia comunque consentito palesare qualche perplessità a tal
proposito, in quanto il direttore della pubblicazione, primo fra
tutti, verrebbe chiamato a rispondere in forza di circostanze che
potrebbero essergli estranee e nemmeno una lettura
costituzionalizzata delle norme penali in discorso consentirebbe
di superare tale grosso ostacolo.
12. (Segue): c) l’ordinamento tedesco.
Il comma 1, n. 2 dell’art. 75 della legge fondamentale
tedesca prevede che ciascuno Stato federale abbia il diritto di
dar vita alle c.d. disposizioni “cornice” in materia di stampa. In
particolare, nel prevedere una ripartizione della competenza
penale tra lo Stato e i Länder, la legge fondamentale stabilisce
che questi ultimi possano regolare determinati settori,
soprattutto laddove manchi una regolamentazione a livello
federale. Proprio in materia di stampa, in assenza di una
specifica legge statale, la relativa disciplina è rinvenibile nelle
singole leggi dei Länder; pertanto all’interprete non resta che
(93) J. LÒPEZ BARJA DE QUIROGA, Commento all’art. 30 del codice
penale spagnolo, cit., 438.
118
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
volgere lo sguardo verso queste ultime. Le leggi regionali sulla
stampa - ad eccezione di quelle della Renania-Palatinato e della
Turingia - si occupano della particolare responsabilità penale del
verantwortlicher Redakteur (cioè del direttore responsabile) o,
nel caso della stampa non periodica, del Verleger
(cioè
dell’editore). Per i direttori responsabili del settore
radiotelevisivo e per i provider di servizi internet, invece, le
relative norme del diritto radiotelevisivo, nonché il § 55 co. 2
RStV del trattato sulla radiodiffusione non fanno specifico
riferimento a una responsabilità penale di tali soggetti.
Se dal punto di vista della formulazione, le disposizioni
normative che concernono la responsabilità penale del
verantwortlicher Redakteur si discostano tra loro in modo
rilevante, in un’ottica di insieme tale particolare forma di
responsabilità penale è configurata in modo molto simile nelle
leggi dei singoli Länder. Nel settore della stampa periodica i
direttori responsabili - il cui nominativo deve essere
obbligatoriamente indicato nel colophon - hanno per legge
l’obbligo di verificare che il contenuto della pubblicazione non
assuma rilevanza penale e di vietare la pubblicazione del
contenuto penalmente rilevante. Tale obbligo incombe sul
soggetto che sia effettivamente designato per volontà dall’editore
quale direttore responsabile e che per tale ragione decide se un
determinato articolo può essere pubblicato o meno. Pertanto,
anche nel sistema tedesco la funzione essenziale del direttore
responsabile consiste nell’obbligo di verificare e di impedire la
pubblicazione di articoli aventi contenuto penalmente rilevante;
ed in capo a tale soggetto, generalmente, viene previsto un
obbligo di controllo sul contenuto dello stampato. In sostanza,
viene delineata una duplice presunzione: da un lato, si presume
che il verantwortlicher Redakteur sia a conoscenza di quanto
pubblicato e, dall’altro, che la pubblicazione sia comunque stata
oggetto di una sua autorizzazione, mentre la delega di siffatto
obbligo di controllo viene considerata comunque una violazione
dell’obbligo di diligenza richiesta nello svolgimento di tale
attività.
119
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
Nell’ambito della stampa non periodica, invece, la legge
non dispone che venga nominato un direttore responsabile: al
suo posto vi è l’editore sul quale graverà la responsabilità
penale.
Il direttore o l’editore saranno punibili qualora abbiano
violato l’obbligo su loro gravante purché non siano già punibili
secondo quanto previsto dalle disposizioni generali del diritto
penale come autori o partecipanti, avendo concorso alla concreta
realizzazione dell’illecito. Va, però, precisato che tali soggetti
verranno considerati responsabili solo se hanno agito con dolo o
con colpa e che è necessario che nel singolo caso concreto si
accerti non solo la presenza di una pubblicazione che abbia un
contenuto che possa assumere una rilevanza penale, ma anche
che il direttore sia stato in grado di impedire la pubblicazione.
Ciò presuppone che questi abbia contribuito alla realizzazione
dell’oggetto della pubblicazione, ipotesi che non può realizzarsi
qualora questi sia in ferie o assente per malattia.
13. La fattispecie di omesso impedimento dei reati
commessi col mezzo della stampa nei progetti di riforma del
codice penale italiano.
La fattispecie di omesso impedimento dei reati commessi
col mezzo della stampa è presente in tutti i progetti di riforma
del codice penale che si sono susseguiti nel corso degli anni.
Ad eccezione del progetto Riz, che sostanzialmente ricalca
la vigente disciplina (94), negli articolati elaborati dalle varie
Commissioni si procede alla parificazione delle posizioni dei
(94) Il progetto Riz, consultabile in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 927,
agli artt. 56 (Reati commessi col mezzo della stampa) e 57 (Procedibilità), non
presenta profili innovativi essendosi semplicemente limitato a riportare
all’interno di due articoli ciò che l’attuale codice penale prevede agli artt. 57,
57-bis, 58 e 58-bis.
120
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
soggetti responsabili delle pubblicazioni e delle trasmissioni
radiotelevisive, segno questo della coscienza dell’attuale
disparità di trattamento tra le discipline vigenti.
In particolare, il Progetto Pagliaro (95) dedica un apposito
articolo (art. 31) al Mancato impedimento di reati a mezzo della
stampa o di trasmissioni radiotelevisive
prevedendo la
punibilità del responsabile della pubblicazione o della
trasmissione che, fuori dei casi di concorso, omettendo di
controllare il contenuto della pubblicazione o della trasmissione,
non impedisce per colpa che col loro mezzo sia commesso un
fatto di reato, comminando la pena preveduta per il reato
commesso, diminuita da un terzo a due terzi. Il medesimo
articolo prosegue stabilendo che la procedibilità per il reato si
uniformi a quella preveduta per il reato commesso col mezzo
della pubblicazione o della trasmissione e che la querela, la
istanza o la richiesta, presentata contro il responsabile della
pubblicazione o della trasmissione, abbia effetto anche nei
confronti dell’autore. Infine, si prevede che sia considerato
responsabile della pubblicazione, il direttore o il vicedirettore
responsabile della stampa periodica o la persona, cui sia stata
effettivamente trasferita la funzione di controllo; ovvero, nel
caso di stampa non periodica o clandestina, l’editore, se l’autore
della pubblicazione è ignoto o non imputabile, o lo stampatore,
se l’editore non è individuato o non è imputabile. È considerato
responsabile della trasmissione la persona che l’ha organizzata.
Si ammette, dunque, la possibilità di procedere ad una delega
della funzione di controllo.
Nella relazione che accompagna il lavoro della
Commissione Grosso del 1998 (96) da un lato, si evidenziano gli
aspetti innovativi dello schema Pagliaro a proposito dei reati a
mezzo stampa o a mezzo trasmissioni radiotelevisive; la
considerazione congiunta della stampa e della radiotelevisione;
(95) La bozza di articolato del Progetto Pagliaro del 1992 è pubblicata
in Indice pen., 1992, 579 e disponibile su www.giustizia.it.
(96) In Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574, nonché in www.giustizia.it.
121
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
la previsione - quali destinatari della norma penale, accanto al
direttore o vicedirettore responsabile - di soggetti “delegati” a
svolgere la funzione di controllo e una accentuata riduzione di
pena per il caso di omesso impedimento colposo. Dall’altro, ci si
interroga se sia opportuno estendere, per ciascuno dei reati
d’opinione previsti nella parte speciale come reati dolosi, la
responsabilità penale a soggetti “garanti”, incriminando
condotte di mancato impedimento colposo. Nella relazione si
legge che «nel capo relativo alla responsabilità per omissione è
stata inserita una disposizione (art. 27) in materia di omesso
impedimento di reati commessi col mezzo della stampa o della
radiotelevisione, che sostituisce gli attuali artt. da 57 a 58-bis.
c.p. Rocco. La collocazione nella parte generale si pone in
continuità con il diritto vigente». Nella citata relazione si
specifica poi che «come “garante” è indicato il soggetto tenuto al
controllo della pubblicazione “in base alla legge o alle
disposizioni
organizzative
dell'impresa
editoriale
o
radiotelevisiva” (art. 27 comma 2). Ciò intende evitare
l’indicazione di un modello rigido, in cui la responsabilità sia
sempre e comunque concentrata sul direttore, e si coordina con il
sistema adottato in via generale a proposito delle posizioni di
garanzia entro organizzazioni complesse. In via sussidiaria è
prevista la responsabilità dello stampatore (art. 27 comma 3),
limitatamente al caso in cui né autore né l’editore siano indicati
(stampa clandestina). La responsabilità per colpa, alla quale
soltanto si riferisce la disposizione in esame, è limitata
all’ipotesi che l’autore del reato non sia indicato o non sia
punibile per qualsiasi causa. La responsabilità penale per
omesso controllo diviene così solo sussidiaria: ciò ne restringe di
molto l’ambito di applicazione, e sottolinea la responsabilità
primaria dell’autore. Ovviamente, resta ferma la possibilità di
un concorso doloso nel reato: in tal caso, anche il concorrente
risponde secondo le regole generali (come precisato, ad
abbondanza, nell’art. 27 comma 1)». Su tali premesse, l’art. 27
dell’articolato (Omesso impedimento di reati commessi col mezzo
della stampa e della radio-televisione) prevede che «per i reati
122
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
commessi con il mezzo della stampa e della radio-televisione
l’autore risponde secondo i principi generali. Fuori dei casi di
concorso doloso nel reato, quando l’autore non è indicato o non è
punibile per qualsiasi causa, per i reati commessi col mezzo
della stampa o della radio-televisione risponde a titolo di colpa il
soggetto che, in base alla legge o alle disposizioni organizzative
dell’impresa editoriale o radio-televisiva, sia tenuto al controllo
della pubblicazione o della trasmissione, e che non abbia, per
colpa, impedito la realizzazione del delitto. La pena è quella
prevista per il delitto doloso diminuita della metà. Se non sono
indicati l’autore o l’editore, risponde ai sensi dei commi
precedenti lo stampatore».
La Commissione Nordio del 2001 (97), decide di collocare la
disciplina dell’Omesso impedimento dei reati commessi con il
mezzo della stampa o della radiotelevisione (art. 22-bis) dopo la
disposizione sul trasferimento di funzioni perché la si considera
una forma anomala di partecipazione mediante omissione
colposa nel reato doloso commesso dall’autore. La norma prevede
che «dei reati commessi col mezzo della stampa o della
radiotelevisione oltre all’autore risponde, fuori dei casi di
concorso doloso, anche colui il quale, essendo tenuto per legge o
secondo l’organizzazione dell’impresa a controllare il contenuto
della pubblicazione o della trasmissione, non impedisce per colpa
la commissione del reato, anche se di esso non è prevista dalla
legge la punibilità a titolo di colpa. La pena è quella prevista per
il reato doloso diminuita fino a un terzo».
La Commissione Pisapia chiama a rispondere il soggetto
preposto al controllo in via residuale, laddove l’autore non è
individuato o non è punibile (98). In particolare, si prevede che
«per i reati commessi col mezzo della stampa o della radiotelevisione l’autore risponda secondo i principi generali; fuori dai
(97) L’articolato elaborato dalla Commissione Nordio è rinvenibile in
www.giustizia.it.
(98) L’articolato elaborato dalla Commissione Pisapia è rinvenibile in
www.giustizia.it.
123
La tradizionale responsabilità penale nel diritto penale della stampa
casi di concorso doloso nel reato, quando l’autore non è
individuato o non è punibile, ne risponda a titolo di colpa chi, in
base alla legge o alle disposizioni organizzative dell’impresa, sia
tenuto al controllo della pubblicazione o della trasmissione e non
abbia, per colpa, impedito la realizzazione del reato; se non sono
individuati l’autore o l’editore ne risponda lo stampatore ai sensi
del comma precedente».
L’idea - presente in tutti i progetti di riforma - di non
abbandonare la previsione della responsabilità penale per
omesso controllo risulta comunque fortemente mitigata
dall’ammissibilità del ricorso allo strumento della delega di
funzioni e ciò indica certamente un’apertura del legilsatore verso
il riconoscimento della validità dell’istituto della delga nel
settore giornalistico, istituto considerato irrinunciabile
nell’ottica del mantenimento di siffatta forma di responsabilità
per omesso controllo. Ma è su un ulteriore aspetto che sembra
opportuno soffermarsi: la presenza costante, all’interno dei
progetti di riforma, di un riferimento all’impresa giornalistica,
proprio a sottolineare l’ormai acquisita consapevolezza
dell’aspetto imprenditoriale all’interno del quale si inserisce
l’attività di diffusione dell’informazione, ma soprattutto
dell’irrinunciabile necessità di un apparato organizzativo diretto
ad un più efficiente controllo della pubblicazione o della
trasmissione.
124
CAPITOLO III
LA RESPONSABILITÀ DELL’IMPRESA GIORNALISTICA EX D.LGS. 8
GIUGNO 2001, N. 231?
SOMMARIO: 1. Il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e il catalogo dei reatipresupposto. – 2. L’opportunità di inserire i reati commessi dal
giornalista fra i reati-presupposto della responsabilità ex D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231. – 3. Le soluzioni in ambito comparatistico: i
sistemi di civil law – 4. (Segue): a) il sistema francese. – 5. (Segue): b)
l’ordinamento spagnolo. – 6. (Segue): c) il sistema tedesco. – 7. I
sistemi di common law: a) l’ordinamento inglese. – 8. (Segue): b) il
sistema statunitense.– 9. L’interesse o il vantaggio dell’impresa
giornalistica derivante dal reato del giornalista. – 10. I soggetti in
posizione apicale e sottoposti all’altrui direzione all’interno
dell’impresa giornalistica. – 11. I modelli di organizzazione, gestione e
controllo idonei a prevenire i reati-presupposto. – 12. L’organismo di
vigilanza all’interno dell’impresa giornalistica. – 13. Applicabilità
all’impresa giornalistica del sistema sanzionatorio delineato dal
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. – 14. (Segue): La pubblicazione della
sentenza di condanna come specifica sanzione diretta all’impresa
giornalistica.
1. Il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e il catalogo dei reatipresupposto.
Il panorama normativo esistente, da qualche anno, si è
arricchito di un nuovo strumento, il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231,
che sancisce una responsabilità dell’ente diretta e autonoma
conseguente alla commissione di un reato. Le disposizioni ivi
contenute possono trovare applicazione anche nei confronti di
un’impresa che esercita un’attività giornalistica, qualora essa
sia annoverabile tra i soggetti di cui all’art. 1 del decreto. Ai fini
della tematica che in questa sede interessa forse qualche dubbio
potrebbe porsi in riferimento alla possibile applicabilità del
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a società come la Rai s.p.a., che
gestiscono il servizio pubblico radiotelevisivo, in virtù di
apposita convenzione con il Ministero delle Comunicazioni. In
dottrina, però, vi è chi ritiene che le società con partecipazione
dello Stato e degli enti pubblici (art. 2449 c.c.) e le società di
125
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
interesse nazionale (art. 2451 c.c.), sono equiparabili agli enti
privati e, pertanto, assoggettate a responsabilità in quanto
dispongono di una struttura privatistica e, secondo tale ottica, il
modello di riferimento sarebbe proprio costituito dalla Rai s.p.a
(1). Con specifico riferimento all’applicabilità del D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, a società pubbliche occorre segnalare una recente
sentenza della Suprema Corte secondo la quale «la natura
pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non
sufficiente, all’esonero dalla disciplina in discorso, dovendo
altresì concorrere la condizione che l’ente medesimo non svolga
attività economica». Infatti, «ogni società, proprio in quanto tale,
è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al
fine di dividerne gli utili, a prescindere da quella che sarà - poi la destinazione degli utili medesimi, se realizzati». Né
tantomeno, conclude la Cassazione, «supporre che basti - per
l’esonero dal D.Lgs. n. 231 del 2001 - la mera rilevanza
costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella
funzione dell’ente è opzione interpretativa che condurrebbe
all’aberrante conclusione di escludere dalla portata applicativa
della disciplina un numero pressoché illimitato di enti operanti
non solo nel settore sanitario, ma in quello dell’informazione,
della sicurezza antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della
tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico,
dell’istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via
enumerando valori (e non “funzioni”) di rango costituzionale» (2).
La Cassazione ha quindi fatto specifico riferimento all’impresa
di informazione pubblica quale possibile destinataria del corpus
normativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001.
In ogni caso, fatta tale doverosa precisazione, il quesito
che si pone attiene alla validità dello strumento normativo
costituito dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, alla luce della sua
attuale formulazione, al fine di contrastare il fenomeno sopra
(1) R. GALLI – D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 4ª ed.,
Cedam, Padova, 2004, 339.
(2) Cass. pen. Sez. II, 9.7.2010, Vielmi, in C.E.D. Cass., n. 247669.
126
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
descritto. Sono note le ragioni di politica criminale che hanno
condotto il legislatore ad introdurre, con il D.lgs. 8 giugno 2001,
n. 231, la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive
di personalità giuridica, a norma della legge 29 settembre 2000,
n. 300”. Il raffronto con l’esperienza comparatistica e l’esigenza
di dare esecuzione nell’ordinamento interno agli obblighi
internazionali previsti da convenzioni internazionali o da accordi
assunti dall’Italia nell’ambito del diritto comunitario hanno
costituito, infatti, un significativo impulso all’introduzione di
tale disciplina debitrice, in gran parte, dell’apertura verso una
tendenziale responsabilità di tipo punitivo delle persone
giuridiche concretizzatasi, il 16.9.2000, nella pubblicazione
dell’articolato e della Relazione al Progetto preliminare di
riforma del codice penale che, al Titolo VII, contempla la
responsabilità delle persone giuridiche (3).
Dal 2001 ad oggi il catalogo dei reati-presupposto della
responsabilità amministrativa dell’ente – che originariamente
contemplava solo i delitti di indebita percezione di erogazioni,
truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il
conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in
danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24 D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231) e di concussione e corruzione (art. 25 D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231) – si è sensibilmente arricchito anche se, a
dire il vero, dall’attuale quadro di reati che costituiscono il
presupposto della responsabilità dell’ente sembra arduo riuscire
ad individuare un disegno unitario di politica penale (4). Sono
stati aggiunti, a mezzo di specifici interventi del legislatore, gli
articoli: 24-bis Delitti informatici e trattamento illecito di dati
(3) Relazione e articolato del Progetto elaborato dalla Commissione
Grosso sono rinvenibili in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574 ss.
(4) S. VINCIGUERRA – M. CERESA GASTALDO – A. ROSSI, La
responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse , Cedam,
Padova, 2004, 10.
127
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
(5), 24-ter Delitti di criminalità organizzata (6), 25-bis Falsità in
monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in
strumenti o segni di riconoscimento (7), 25-bis.1. Delitti contro
l’industria e il commercio (8), 25-ter Reati societari (9), 25-quater
Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico (10), 25-quater.1. Pratiche di mutilazione degli
organi genitali femminili (11), 25-quinquies Delitti contro la
personalità individuale (12), 25-sexies Abusi di mercato (13), 25(5) Articolo aggiunto dall’art. 7, legge 18 marzo 2008, n. 48 (“Ratifica
ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità
informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento
dell’ordinamento interno”).
(6) Articolo aggiunto dal comma 29 dell’art. 2, legge 15 luglio 2009, n.
94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.
(7) Articolo aggiunto dall’art. 6, d.l. 25 settembre 2001, n. 350,
“Disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’euro in materia di
tassazione dei redditi di natura finanziaria, di emersione di attività detenute
all’estero, di cartolarizzazione e di altre operazioni finanziarie”, e modificato
dal comma 7 dell’art. 15, legge 23 luglio 2009, n. 99, “Disposizioni per lo
sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di
energia”.
(8) Articolo aggiunto dalla lettera b) del comma 7 dell’art. 15, legge 23
luglio 2009, n. 99, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione
delle imprese, nonché in materia di energia”.
(9) Articolo aggiunto dall’art. 3, D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61,
“Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società
commerciali, a norma dell’articolo 11 della L. 3 ottobre 2001, n. 366” e
modificato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, “Disposizioni per la tutela
del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”. Le sanzioni pecuniarie
previste dall’articolo 25-ter sono state raddoppiate ai sensi di quanto disposto
dall’art. 39, comma 5, legge 28 dicembre 2005, n. 262.
(10) Articolo aggiunto dall’art. 3, legge 14 gennaio 2003, n. 7, “Ratifica
ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione del
finanziamento del terrorismo, fatta a New York il 9 dicembre 1999, e norme
di adeguamento dell’ordinamento interno”.
(11) Articolo aggiunto dall’art. 8, legge 9 gennaio 2006, n. 7,
“Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di
mutilazione genitale femminile”.
(12) Articolo aggiunto dall’art. 5, legge 11 agosto 2003, n. 228, “Misure
contro la tratta di persone” e modificato dall’art. 10, legge 6 febbraio 2006, n.
128
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
septies Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse
con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza
sul lavoro (14), 25-octies Ricettazione, riciclaggio e impiego di
denaro, beni o utilità di provenienza illecita (15), 25-novies
Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (16), 25-novies
Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni
mendaci all’autorità giudiziaria (17). Vanno poi aggiunte le
integrazioni legislative operate a latere e ab externo rispetto al
corpus del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Si tratta dei reati
transnazionali, così come indicato dall’art. 10 della legge 16
marzo 2006, n. 146, di Ratifica ed esecuzione della Convenzione
e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato
transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre
2000 ed il 31 maggio 2001 e del divieto di abbandono di rifiuti
38 “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”.
(13) Articolo aggiunto dal comma 3 dell’art. 9, legge 18 aprile 2005, n.
62, “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004”.
(14) Articolo aggiunto dall’art. 9, legge 3 agosto 2007, n. 123, “Misure
in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo
per il riassetto e la riforma della normativa in materia” e poi sostituito
dall’art. 300, D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, “Attuazione dell’articolo 1 della legge
3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro”.
(15) Articolo aggiunto dall’art. 63, D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231,
“Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al
Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”.
(16) Articolo aggiunto dalla lettera c) del comma 7 dell’art. 15, legge 23
luglio 2009, n. 99, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione
delle imprese, nonché in materia di energia”.
(17) Tale articolo è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, legge 3 agosto
2009, n. 116, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale
dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato
italiano il 9 dicembre 2003, nonché norme di adeguamento interno e
modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, come articolo 25novies non tenendo conto dell’inserimento di un articolo con identica
numerazione disposto dall’art. 15, comma 7, lettera c), legge 99/2009.
129
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
solidi e liquidi sul suolo di cui all’art. 192 del D.lgs. 3 aprile
2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”.
In dottrina vi è chi ha individuato tra i reati-presupposto
quattro tipologie di illeciti enucleabili in base al rapporto con
l’ente nell’interesse o a vantaggio del quale sono stati realizzati:
i reati propri della persona giuridica in quanto tale, che
esternano il programma criminoso che connota invasivamente e
segna negativamente la politica d’impresa della stessa, rispetto
al quale gli autori-persone fisiche costituiscono i meri
realizzatori (come i reati societari di cui all’art. 25-ter e i reati di
abuso di mercato di cui all’art. 25-sexies); i reati soltanto
strumentali alla politica d’impresa della persona giuridica (tra
questi, i delitti di corruzione, le ipotesi di criminalità
informatica di cui agli artt. 24-bis e 25); i reati connessi alle
operatività istituzionali della persona giuridica, anche in
specifico legame con le attività produttive della stessa (i reati di
omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commessi con
violazione delle norme sulla tutela della salute o sicurezza sul
lavoro, di cui all’art. 25-septies); i reati ove l’ente funge da
esclusiva copertura di apparente attività lecita (falso nummario,
art. 25-bis; reati di finanziamento al terrorismo, art. 25-quater;
delitti contro la personalità individuale, art. 25-quinquies;
ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita, art. 25-octies) (18). Si è inoltre proceduto
all’ulteriore distinzione dei reati-presupposto in reati “comuni”,
in quanto possibili sviluppi accadimentali di qualsiasi gestione
imprenditoriale, e reati “peculiari”, tipici di una determinata
attività aziendale (19).
In ogni caso, tale catalogo è inevitabilmente destinato ad
arricchirsi, per lo meno con riferimento a reati strettamente
(18) Così, A. ROSSI, La responsabilità degli enti da reato, otto anni
dopo - Modelli di organizzazione, gestione e controllo: regole generali e
individuazioni normative specifiche, in Giur. it., 2009.
(19) A. CARMONA, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati
presupposto, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 1005.
130
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
connessi con l’esercizio dell’impresa, anche se, ad esempio, a
proposito delle pratiche di mutilazione degli organi genitali
femminili quale reato presupposto della responsabilità dell’ente,
non sempre appare agevole comprendere le ragioni che hanno
condotto il legislatore ad optare per determinate scelte,
nell’ambito di attività imprenditoriali lecite, mentre diverso
sarebbe il discorso se ci si trovasse al cospetto, ad esempio, di un
ente collettivo costituito proprio per lo svolgimento di pratiche di
mutilazione degli organi genitali femminili.
In questa sede non intendiamo soffermarci sull’annosa
questione della natura giuridica della responsabilità delle
persone giuridiche introdotta dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, né
passare in rassegna le variegate concezioni dottrinali con cui si è
cercato di dare un inquadramento sistematico alla
responsabilità in discorso. Non perché la questione sia da
considerarsi frutto di elaborazioni sterili e astratte, prive di
implicazioni rilevanti nella prassi, ma perché ciascun argomento
a sostegno ora dell’una ora dell’altra tesi presta comunque il
fianco ad ulteriori argomentazioni di segno opposto ma
altrettanto efficaci (20). Se a ciascun interprete non resta che
(20) In dottrina attribuiscono la natura penale alla responsabilità delle
persone giuridiche: C.E. PALIERO, Il d.lgs 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi
societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. giur., 2001, 845; A. TRAVI, La
responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. 231/2001: prime
considerazioni di ordine amministrativo, in Soc., 2001, 1305; V. MAIELLO, La
natura (formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale) della
responsabilità degli enti nel d.lgs. 231/2001: una «truffa delle etichette»
davvero innocua?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 879; A. MANNA, La c.d.
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo
d’insieme, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 501; P. PATRONO, Verso la
soggettività penale di società ed enti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 187;
D. PULITANÒ, La responsabilità amministrativa per i reati delle persone
giuridiche, in Enc. dir., Agg., vol. V, Giuffrè, Milano, 2002; C. DE MAGLIE, In
difesa della responsabilità penale delle persone giuridiche, in Leg. pen., 2003,
349; A. ASTROLOGO, Concorso di persone e responsabilità della persona
giuridica, ne Indice pen., 2005, 1003; G. DE VERO, La responsabilità penale
delle persone giuridiche, in Trattato di diritto penale, diretto da C.F. Grosso –
131
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
prendere posizione tenendo conto delle argomentazioni che
reputa maggiormente convincenti, allora ecco che, ad avviso di
chi scrive, si fanno nette le perplessità nei confronti di una
responsabilità in termini penalistici della responsabilità degli
enti, essendo questa incompatibile con i principi di rango
costituzionale sanciti nell’art. 27 Cost. È vero che la disciplina in
discorso ha ricalcato in gran parte quella penale, ma non si può
negare che, al tempo stesso, se ne è distinta per diversi aspetti.
Né può sottacersi che il diritto penale sia strutturato in funzione
della persona fisica e dell’applicazione della sanzione detentiva.
Pertanto, un sistema di responsabilità che concerne gli enti deve
essere necessariamente qualcosa di diverso. E non è detto che
una responsabilità amministrativa sia meno temibile per l’ente
rispetto alla sanzione penale. Anzi, la qualificazione delle
sanzioni rivolte agli enti come sanzioni penali non aggraverebbe
la situazione del responsabile ma costituirebbe il presupposto
per il riconoscimento di maggiori garanzie.
L’impresa giornalistica, quale soggetto di cui all’art. 1 del
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, può essere (anzi, è già attualmente)
destinataria delle sanzioni amministrative previste da tale
decreto, qualora sussistano i presupposti ivi descritti. Come tale,
allora, adotta i modelli di organizzazione e di gestione quali
strumenti di sensibilizzazione nei confronti di coloro che
T. Padovani – A. Pagliaro, Giuffrè, Milano, 2008. Hanno optato per la natura
amministrativa: G. MARINUCCI, “Societas puniri potest”: uno sguardo sui
fenomeni e sulle discipline contemporanee , in Riv. it. dir. proc. pen., 2002,
1202; G. COCCO, L’illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei
modelli di prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 90; G. RUGGIERO,
Capacità penale responsabilità degli enti. Una rivisitazione della teoria dei
soggetti nel diritto penale, Giappichelli, Torino, 2004; B. ROMANO, Guida alla
parte generale del diritto penale, Cedam, Padova, 2009, 188.
Ex multis in giurisprudenza hanno optato per la natura chiaramente
penalistica: Cass. pen. Sez. II, 20.12.2005, D’Azzo, in Guida al dir., 2006, 15,
60; ha ritenuto che la responsabilità in esame sia prettamente di natura
amministrativa: Trib. Milano, 11.12.2006, in www.abi.it; secondo Cass. pen.
Sez. VI 9.7. 2009, Mussoni, in C.E.D., Cass. 2009 ci si troverebbe dinanzi ad
un tertium genus di responsabilità.
132
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di
direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di
autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; e
nei confronti di coloro che sono sottoposti alla direzione o alla
vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale, affinché
tengano comportamenti corretti nell’espletamento delle proprie
attività, tali da prevenire il rischio di commissioni di reati
previsti dal decreto stesso. Come tutti i destinatari della
normativa di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, attraverso
l’adozione del modello, l’impresa giornalistica procede ad
un’azione di monitoraggio sulle aree di attività a rischio al fine
di intervenire tempestivamente per prevenire o contrastare la
commissione dei reati. Tale risultato presuppone una
“mappatura” delle attività a rischio posta in essere mediante
un’analisi che, sulla base delle caratteristiche della singola
impresa di informazione, condurrà all’individuazione delle
attività “sensibili” alla commissione dei reati-presupposto. Ogni
ente, infatti, presenta peculiari aree di rischio la cui
individuazione implica una particolareggiata analisi della
struttura aziendale e delle singole attività svolte.
Alla luce dell’attuale contenuto del catalogo di tali reati,
difficilmente le aree potenzialmente a rischio nell’ambito
dell’impresa giornalistica riguarderanno i reati di falso
nummario di cui all’art. 25-bis, i reati con finalità di terrorismo o
di eversione dell’ordine democratico di cui all’art. 25-quater, o le
pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili di cui
all’art. 25-quater.1, poiché, nonostante non possa escludersi del
tutto la loro astratta verificabilità, la loro realizzazione in
concreto sembra essere inverosimile. Tutti gli altri reati, invece,
potranno tendenzialmente costituire presupposto della
responsabilità amministrativa dell’impresa giornalistica. A tal
proposito pare opportuno sottolineare che all’interno delle linee
guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e
133
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
controllo ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, redatte da
Confindustria (21) uno specifico riferimento all’impresa
giornalistica è rinvenibile a proposito dei delitti contro la
personalità individuale di cui all’art. 25-quinquies. In
particolare, secondo tali linee guida il delitto di prostituzione
minorile «potrebbe essere posto in essere da un’impresa che,
operando nel settore editoriale o dell’audiovisivo, pubblichi
materiale pornografico attinente a minori, o, ancora, da imprese
che gestiscono siti internet su cui siano presenti tali materiali o
che pubblichino annunci pubblicitari riguardanti i materiali
descritti». Viene ulteriormente specificato che con l’introduzione
del delitto di pedopornografia virtuale, poi, «le società che
svolgono attività per via telematica (ad es., nei settori
dell’editoria, della pubblicità, ecc.) sono particolarmente esposte
a fattispecie criminose di questa specie, per cui sono tenute ad
analizzare con maggiore attenzione il contesto aziendale interno
al fine di individuare le aree, i processi ed i soggetti a rischio e
predisporre un sistema di controlli idoneo a contrastare
efficacemente, cioè ridurre ad un livello accettabile, i rischi così
identificati» (22).
Sebbene, dunque, l’impresa di informazione sia già
destinataria delle disposizioni contenute nel D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, non sembra che l’attuale catalogo dei reatipresupposto possa essere d’ausilio nel contrastare il
perseguimento di quelle determinate politiche d’impresa sopra
accennate che caratterizzano peculiarmente il settore
dell’informazione.
(21) Le prime “Linee Guida per la costruzione dei modelli di
organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. 231/2001” sono state approvate
da Confindustria nel 2002 e, da ultimo, aggiornate al 2008.
(22) Sui delitti di prostituzione minorile e pornografia virtuale e, più in
generale, sui delitti contro la sfera sessuale v., per tutti, B. ROMANO, Delitti
contro la sfera sessuale della persona, Cedam, Padova, 2009.
134
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
2. L’opportunità di inserire i reati commessi dal
giornalista fra i reati-presupposto della responsabilità ex D.lgs.
8 giugno 2001, n. 231.
Una riflessione che intenda prospettare un ampliamento
del catalogo dei reati-presupposto deve tenere in considerazione
l’esigenza di non stravolgere o comunque modificare
eccessivamente - attraverso l’introduzione di continue deroghe o
integrazioni - la disciplina della responsabilità amministrativa
dell’ente finendo per creare un “sottosistema” di responsabilità
all’interno dello stesso D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (23). Basta
soffermarsi sul recente intervento del legislatore che, con il
D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ha esteso la responsabilità dell’ente ai
reati di omicidio e lesioni colpose, e sulla possibile incidenza di
tale nuova previsione legislativa sui modelli interni di
organizzazione e gestione derivante dall’interazione tra il reatopresupposto e criteri generali di imputazione: il legislatore ha
specificato il contenuto dei modelli di organizzazione interna
finendo, così, per integrare i criteri generali fissati dagli artt. 6 e
7 del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (24). Ecco che allora è possibile
dedurre che una progressiva espansione del catalogo dei reati(23) L’ampliamento della sfera dei reati-presupposto a fattispecie
estranee alla criminalità delle organizzazioni complesse fa divenire sempre
più ardua l’individuazione dei modelli organizzativi a finalità preventive: M.
PELISSERO, La responsabilità degli enti, in F. ANTOLISEI, Manuale di diritto
penale. Leggi complementari, vol. I, 13ª ed., a cura di C.F. Grosso, Giuffrè,
Milano, 2007, 912.
(24) M. PELISSERO, La responsabilità degli enti da reato, otto anni
dopo. La progressiva espansione dei reati-presupposto, in Giur. it., 2009. L’A.
evidenzia analiticamente come l’ampliamento dei reati-presupposto segnali
importanti effetti sulla disciplina di “parte generale” del sistema di
responsabilità di cui al D.lgs. 231.
135
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
presupposto potrebbe porre dinanzi all’interrogativo circa
l’effettiva incidenza della “parte speciale” del D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, sull’assetto complessivo della “parte generale” del
medesimo decreto. Pertanto, nel prospettare tale espansione
occorre porre attenzione a non stravolgere l’impianto originario
delle regole generali fissate dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
In un recente disegno di legge di iniziativa governativa è
stata proposta l’integrazione della disciplina sulla responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche in relazione al reato di
pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, di cui
all’art. 684 c.p. Si tratta del disegno di legge C 1415 recante
“Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e
ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del
giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina
sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”,
presentato il 30 giugno 2008, attualmente in seconda lettura
alla Camera. La formulazione originaria dell’art. 14 del disegno
di legge prevedeva l’inserimento, all’interno del D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, di un articolo, rubricato “Responsabilità per il reato
di cui all’articolo 684 del codice penale”, dal seguente contenuto:
«in relazione alla commissione del reato previsto dall’articolo
684 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria
da cento a trecento quote». Tale testo è stato oggetto di
emendamento in fase di approvazione alla Camera: è stato
previsto un inasprimento della sanzione pecuniaria che potrà
oscillare da un minimo di duecentocinquanta quote ad un
massimo di trecento quote, emendamento che ha trovato
conferma anche in Senato (25).
(25) Il testo del d.d.l. è rinvenibile in www.camera.it.
Il d.d.l. riprende altre iniziative avanzate nella precedente
legislatura. In particolare, i disegni di legge C. 1165 del 20 giugno 2006 e C.
1587 del 3 agosto 2006, in www.camera.it, recanti “Disposizioni in materia di
intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti del fascicolo
del pubblico ministero e del difensore”, che prevedevano la sanzione per
l’ente, in relazione al medesimo reato di cui all’articolo 684 c.p., da cento a
centocinquanta quote.
136
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Nel testo modificato dal Senato il 10 giugno 2010 e
ritrasmesso alla Camera si prevede, inoltre, l’introduzione,
all’interno del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, dell’art. 25-undecies,
rubricato “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento
penale”, ed avente il seguente contenuto: «in relazione alla
commissione del reato previsto dall’articolo 617, quarto comma,
del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da
cento a trecento quote». Va precisato che, sempre secondo il
disegno di legge in discorso, il quarto comma dell’art. 617 c.p.
sarebbe frutto di un’aggiunzione normativa secondo cui «salvo
che il fatto costituisca più grave reato, chiunque pubblica
intercettazioni in violazione dell’articolo 114, comma 7, del
codice di procedura penale è punito con la reclusione da sei mesi
a tre anni»; mentre il comma 7 dell’art. 114 c.p.p. appena
richiamato andrebbe sostituito dal seguente: «è in ogni caso
vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della
documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a
conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o
telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli
articoli 269 e 271. È altresì vietata la pubblicazione, anche
parziale o per riassunto, della documentazione, degli atti e dei
contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni
telematiche riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle
indagini, di cui sia stata disposta l’espunzione ai sensi
dell’articolo 268, comma 7-bis». Anche gli articoli appena
richiamati sono oggetto di ulteriori modifiche normative ad
opera del disegno di legge de quo ma, senza addentrarci nei
labirinti di aggiunzioni, sostituzioni, e modifiche normative, né
tantomeno sull’opportunità di procedere ad una rivisitazione dei
criteri di ammissibilità delle intercettazioni, ciò che qui importa
sottolineare è la volontà dei proponenti le citate modifiche di
rendere più rigorosi i divieti di pubblicazione degli atti
processuali facendo ricadere la responsabilità per le eventuali
infrazioni di tali divieti anche sugli enti. Anche la Corte europea
dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul tema della
pubblicazione di alcuni passaggi del testo di un’intercettazione
137
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
telefonica riscontrando la violazione da parte dello Stato italiano
dell’art. 8 della CEDU sul diritto al rispetto della vita privata e
familiare (26). Non si trattava di atti coperti dal segreto, tuttavia
secondo la Corte la pubblicazione del contenuto di una
conversazione telefonica in gran parte privato e totalmente
estraneo ai fatti oggetto di imputazione non rispondeva a nessun
bisogno sociale imperioso e, pertanto, non era necessario in una
società democratica. Con tale pronuncia, per la prima volta, la
Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricavato dall’art. 8 della
CEDU la sussistenza di un obbligo in capo a ciascuno Stato di
garantire la custodia del contenuto delle intercettazioni e di
procedere alla verifica delle modalità attraverso le quali i
giornalisti abbiano avuto accesso a tali atti.
Nella relazione illustrativa del disegno di legge cui si è
fatto sopra riferimento si precisa che: in relazione alle condotte
di pubblicazione arbitraria, viene introdotto il principio della
responsabilità dell’ente, attraverso una modifica del decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231; il giudice, con la sentenza con
la quale accerta il reato potrà condannare l’editore al pagamento
di una sanzione pecuniaria e la responsabilità dell’ente potrà
essere
esclusa
dimostrando
di
avere
adottato,
nell’organizzazione interna, codici di condotta che rendono la
pubblicazione arbitraria non attribuibile all’inosservanza delle
regole di governance (27).
Si evince un’attenzione rivolta alle condotte penalmente
rilevanti poste in essere nell’esercizio dell’attività giornalistica e
nell’interesse o a vantaggio dell’impresa giornalistica stessa e se
ne ricava che tale previsione potrebbe determinare un impatto
rilevante sull’organizzazione interna delle aziende editoriali, le
quali dovrebbero dotarsi di appositi modelli organizzativi idonei
ad evitare eventuali pubblicazioni di materiale vietato e
(26)
Corte
eur.
dir.
uomo,
17.7.2003,
Craxi
c.
Italia,
in
www.osservatoriocedu.it.
(27) Il testo della relazione illustrativa è rinvenibile in www.camera.it.
138
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
prevedere un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il
mancato rispetto delle misure indicate.
Se, allora, la possibilità di individuare un interesse o un
vantaggio
dell’impresa
giornalistica
derivante
dalla
pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, è
stata considerata un’ipotesi plausibile, tanto da essere trasfusa
in un disegno di legge, non si vede perché, sempre in un’ottica de
iure condendo, non si possa prospettare una responsabilità di
tale impresa anche per altre possibili condotte criminose che un
giornalista può porre in essere, nell’esercizio della sua
professione, nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Nel tentativo
di avviare una riflessione in tal senso, poiché la responsabilità
dell’ente non potrebbe essere genericamente riferita “ai reati
commessi a mezzo stampa” ma circoscritta a fattispecie
criminose espressamente indicate, si rende necessario appurare
innanzitutto quali norme penali incriminatrici potrebbero
trovare applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto attivo del reato
sia un giornalista.
Il pensiero corre immediatamente al reato di diffamazione
e, probabilmente, nella pressoché totalità dei casi, la
responsabilità
amministrativa
dell’impresa
giornalistica
vedrebbe come reato-presupposto proprio tale figura criminosa.
Si potrebbe anche valutare, però, l’opportunità di prendere in
considerazione ulteriori figure criminose da inserire nel catalogo
dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente ex D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231. Ecco che allora occorrerà verificare di quali
reati, oltre a quello di diffamazione, potrebbe rendersi autore il
giornalista nello svolgimento della propria attività. Poi occorrerà
appurare quali, tra questi, potrebbero essere commessi
nell’interesse o a vantaggio dell’ente e, infine, sulla base di tale
risultato, si renderà necessario valutare l’opportunità di inserirli
tra i reati-presupposto della responsabilità dell’ente ex D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231.
139
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
La tradizionale distinzione tra reati di stampa e reati
commessi col mezzo della stampa non sembra tornare
particolarmente utile ai nostri fini (28). Va comunque ricordato
che nel primo caso ci si trova al cospetto di specifiche fattispecie,
generalmente omissive, concernenti la violazione di obblighi
inerenti alla pubblicazione (es. il reato di stampa clandestina di
cui all’art. 16 legge 8 febbraio 1948, n. 47; le false dichiarazioni
nella registrazione dei periodici di cui all’art. 19 legge 8 febbraio
1948, n. 47; l’asportazione, la distruzione ed il deterioramento
degli stampati di cui all’art. 20 legge 8 febbraio 1948, n. 47) e
previsti, per la maggior parte, dalla legge sulla stampa; mentre
nel secondo caso si intende fare riferimento a tutte quelle
condotte rispetto alle quali la pubblicazione rappresenta il
mezzo, lo strumento, attraverso il quale poter determinare
l’evento. In altri termini, «sono reati commessi col mezzo della
stampa gli illeciti, contenuti in uno scritto o in un disegno
stampato, nei confronti dei quali la stampa funziona, almeno di
regola, come uno dei possibili strumenti di realizzazione; non
sono invece tali i reati rispetto ai quali la stampa opera come
presupposto del fatto, ovvero come oggetto materiale della
condotta» (29). Attualmente tale distinzione sembrerebbe priva di
alcuna utilità atteso che i c.d. reati di stampa sono stati, per la
maggior parte, oggetto di depenalizzazione (30) e, pertanto,
(28) In dottrina, su tale distinzione, v. P. NUVOLONE, Stampa, in
Noviss. dig. it., vol. XVII, Utet, Torino, 1971, 102.
(29) C.F. GROSSO, Responsabilità penale per i reati commessi col mezzo
della stampa, Giuffrè, Milano, 1969, 23. L’A. escludeva dalla categoria anche
«le ipotesi criminose previste dagli artt. 8, 16, 17, 18 e 19 della legge 8
febbraio 1948 n. 47», ma, il legislatore è intervenuto procedendo alla
depenalizzazione di alcune e alla modifica di altre.
(30) A titolo esemplificativo, fra i reati di stampa oggetto di
depenalizzazione, è possibile ricordare l’art. 663-bis c.p. (Divulgazione di
stampa clandestina); gli artt. 17 e 18, legge 8 febbraio 1948 n. 47,
rispettivamente (Omissione delle indicazioni obbligatorie sugli stampati) e
(Violazione degli obblighi stabiliti dall’art. 6). L’art. 662 c.p. (Esercizio
abusivo dell’arte tipografica) è stato abrogato dall’art. 13 d.lgs. 13 luglio 1994,
n. 480.
140
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
sarebbe indifferente ricorrere all’una o all’altra locuzione (31). I
reati di stampa non presentano particolare rilievo ai fini dello
sviluppo della tematica in questa sede affrontata in quanto le
corrispondenti norme penali incriminatrici attribuiscono
rilevanza penale a condotte che attengono alla mera violazione
di obblighi concernenti la pubblicazione, come la registrazione
del giornale o del periodico, la mancata o falsa indicazione
dell’editore o dello stampatore e simili, tutte condotte che
difficilmente potrebbero assurgere a presupposto della
responsabilità dell’impresa giornalistica. Pertanto, l’attenzione
dovrà essere rivolta a quei reati che il giornalista può
commettere con il mezzo della stampa – ma anche, vedremo,
attraverso gli altri mezzi di comunicazione di massa –
nell’interesse o a vantaggio dell’impresa di informazione.
Oltre alla diffamazione, è possibile richiamare i delitti che
attengono alla tutela dei segreti. Se, da un lato, appare raro che
nell’ambito dell’esercizio della professione giornalistica si
compiano violazioni del segreto di Stato (art. 261 c.p.), dall’altro,
è più facilmente possibile che un giornalista possa, ad esempio,
rivelare: le notizie delle quali l’Autorità competente ha vietato la
divulgazione (art. 262 c.p.); il contenuto della corrispondenza
(artt. 616 e 618 c.p.); il contenuto di una comunicazione o
conversazione (art. 617, comma secondo e art. 617-quater,
comma secondo); il contenuto di documenti segreti (art. 621 c.p.);
potrebbe concorrere, quale extraneus, nel reato di rivelazione ed
utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.) (32). A tutela del
(31) In dottrina a proposito della differenziazione tra reati di stampa e
reati a mezzo stampa è stato osservato che l’espressione “reati commessi col
mezzo della stampa” consente di raffrontare, proprio dal punto di vista dello
strumento utilizzato, tale categoria di reati con quelle fattispecie realizzabili
mediante l’utilizzo di altri mezzi di comunicazione e informazione. Così A.
APOSTOLI CAPPELLO, Reati commessi col mezzo della stampa e con i mezzi
informatici, in Commentario sistematico al codice penale, diretto da M.
Ronco, vol. II, Il reato, Zanichelli, Bologna, 2006, 434.
(32) Non perché si limiti a ricevere la notizia segreta ma, in quanto,
abbia fornito un contributo morale o materiale alla rivelazione.
141
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
segreto delle discussioni e delle deliberazioni del Senato e della
Camera dei deputati non vanno, poi, dimenticate la
contravvenzione di cui all’art. 683 c.p., che sanziona la
pubblicazione non autorizzata delle discussioni o delle
deliberazioni segrete di una delle Camere e la disposizione
successiva, posta a tutela della segretezza delle votazioni nelle
deliberazioni giurisdizionali penali, l’art. 685 c.p., che punisce
l’indebita pubblicazione di notizie concernenti un procedimento
penale.
Per quanto concerne il reato di pubblicazioni a contenuto
impressionante o raccapricciante di cui all’art. 15 legge 8
febbraio 1948, n. 47, la giurisprudenza ha ritenuto responsabili
il direttore di un settimanale e i due giornalisti autori di un
articolo pubblicato col corredo di fotografie a colori riproducenti
le immagini del cadavere di una donna uccisa, così come
rinvenuto nell’immediatezza dell’omicidio, con particolari
impressionanti e raccapriccianti delle tracce sul corpo e sugli
indumenti, e delle nudità del corpo medesimo e delle modalità di
esecuzione del delitto, tali da turbare il comune sentimento della
morale e l’ordine delle famiglie (33).
Tra i reati commissibili a mezzo stampa è possibile
annoverare, poi, le pubblicazioni e gli spettacoli osceni (art. 528
c.p.); gli attentati alla morale familiare (art. 565 c.p.) anche se la
disposizione appena richiamata, data la sua formulazione
«tutt’altro che felice e circoscritta in limiti che non si
giustificano» e «il suo contenuto quanto mai vago e incerto, non
ha avuto in pratica alcuna applicazione» (34); le interferenze
illecite nella vita privata (art. 615-bis) (35); la pubblicazione e la
(33) Cass. pen. Sez. III 27.4.2001, in Foro it., 2001, II, 446.
(34) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, pt. s., 14ª ed., Giuffrè,
Milano, 2002, 519.
(35) Da un punto di vista numerico va appurata l’esiguità del numero
delle pronunce di legittimità e di merito in tema di interferenze illecite nella
vita privata. Pronuce che, per la gran parte, sono assolutorie. Da ultimo, è
possibile segnalare Cass. pen. Sez. V, 29.4.2008, R.C.S. Quotidiani s.p.a., in
142
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
divulgazione di notizie false esagerate o tendenziose atte a
cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci
ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel
pubblico mercato (art. 501 c.p.) o atte a turbare l’ordine pubblico
(art. 656 c.p.); il delitto di lenocinio ex art. 3, secondo comma n.
5, legge 20 febbraio 1958, n. 75, commesso a mezzo della stampa
o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. A proposito di
quest’ultimo delitto la giurisprudenza ha affermato che integra
tale figura criminosa la condotta del direttore del giornale che,
consapevole del contenuto, consente la pubblicazione di
inserzioni relative ad un’attività di prostituzione, in quanto pone
in essere, in tal modo, un’attività di intermediazione tra cliente
e prostituta (36). Attraverso il mezzo della stampa si potrebbero
realizzare, inoltre, i reati di vilipendio, sebbene siano veramente
sporadiche e risalenti nel tempo le pronunce giurisprudenziali
che vedono coinvolti i giornalisti (37).
Un settore particolarmente delicato all’interno del quale
l’attività giornalistica gioca un ruolo di primo rilievo è
sicuramente quello della riservatezza. Si tratta, infatti, di una
delle tematiche che con estrema facilità possono essere
ricondotte a tale attività. Il legislatore del codice Rocco non
avvertiva la necessità di dettare una tutela generalizzata della
riservatezza personale e solo in isolate norme ha tratteggiato
Giur. it. 2009, 159, con nota di A. TABOGA, Interferenze nella vita privata e
diritto di informazione.
(36) Cass. pen. Sez. III 20.2.2007, Paroni, in C.E.D. Cass. n. 237045.
(37) Prima dell’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza
del 20.11.2000, n. 508, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 402
c.p., la giurisprudenza di merito ha ritenuto penalmente responsabili il
direttore del giornale e un vignettista di un quotidiano di vilipendio della
religione dello Stato per la pubblicazione di una vignetta in cui appariva
ipotizzato un velato intento masturbatorio del Cristo: Trib. Roma, 22.12.1997,
in Cass. pen., 1998, 1253. Ed è stata altresì ritenuta la sussistenza dei reati
di vilipendio della religione di Stato, nei confronti del direttore responsabile
di un settimanale per disegni e didascalie oltraggiose rivolte alla crocefissione
di Cristo, al dogma della Immacolata Concezione, al Pontefice, quale ministro
di culto e alla Sacra Sindone: Trib. Roma, 7.7.1979, in Foro it., 1980, II, 456.
143
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
una disciplina comunque frammentaria, limitata soltanto ad
alcuni diritti astrattamente riconducibili a tale ampia nozione.
Invece, la normativa originaria di riferimento, la legge 31
dicembre 1996, n. 675, e l’attuale codice in materia di protezione
di dati personali, il D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, rappresentano
un continuum normativo in materia. In tema di tutela penale
della privacy la giurisprudenza ha infatti ravvisato continuità
normativa tra il reato di trattamento illecito di dati personali
aggravato dalla produzione di un nocumento, previsto dall’art.
35, legge 31 dicembre 1996, n. 675, e la fattispecie attualmente
prevista dall’art. 167 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in cui il
nocumento non costituisce più circostanza aggravante ma
condizione intrinseca di punibilità (38). Così il direttore
responsabile di una rivista che aveva pubblicato dati personali
di un soggetto, è stato chiamato a rispondere del reato di cui
all’art. 35 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, nel testo
previgente rispetto alla riformulazione operata dal D.lgs. 30
giugno 2003, n. 196, che ha aumentato le sanzioni penali e
introdotto nella struttura del reato il danno cagionato alla
vittima, in quanto norma più favorevole al reo (39).
Occorre, però, precisare che al trattamento dei dati
personali per finalità giornalistiche è riservata una disciplina
derogatoria rispetto a quella generale prevista dal Codice in
materia di protezione dei dati personali che invece prevede una
serie di adempimenti a carico del titolare del trattamento dei
dati, posti a tutela dei soggetti cui si riferiscono i dati medesimi
(40). Il terzo comma dell’art. 137 del D.lgs. 30 giugno 2003, n.
(38) Cass. pen. Sez. III, 26.3.2004, Modena, in Riv. pen., 2005, 163.
(39) Trib. Roma 30.1.2004, in Foro it., 2005, II, 131.
(40) Ai trattamenti svolti per finalità giornalistiche non si applicano le
disposizioni del Codice della privacy che richiedono: la necessaria
autorizzazione del Garante prevista per il trattamento di dati sensibili (art.
26 del Codice della privacy); l’autorizzazione di legge o del Garante, previste
per il trattamento di dati giudiziari (art. 27 del Codice della privacy); i casi
particolari in cui è consentito il trasferimento dei dati all’estero. Il
144
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
196, prevede che, in caso di diffusione o di comunicazione dei
dati per le finalità di giornalismo «restano fermi i limiti del
diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’art. 2 e, in
particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a
fatti di interesse pubblico». L’art. 2 del Codice medesimo, a sua
volta, fa espresso riferimento al rispetto dei diritti e delle libertà
fondamentali, nonché alla dignità dell’interessato, alla
riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei
dati personali.
Dinanzi a tale apertura riservata all’attività giornalistica
il legislatore ha inteso ribadire i limiti posti al diritto di cronaca,
e in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione
riguardo a fatti di interesse pubblico, ossia della pertinenza e
rilevanza del dato divulgato rispetto al contenuto della notizia
fornita. Ecco che allora il giornalista potrà divulgare
esclusivamente quei dati che risultino indispensabili per
informare la collettività su accadimenti di interesse collettivo. In
materia di dati sensibili, di recente, la Cassazione ha avuto
modo di specificare che in riferimento al trattamento dei dati
nell’ambito dell’attività giornalistica, la possibilità di
prescindere dal consenso del diretto interessato
e
dall’autorizzazione del Garante deve considerarsi condizionata
alla natura essenziale dell’informazione su fatti di interesse
trattamento di tali dati è posto in essere anche senza il consenso
dell’interessato, richiesto dagli articoli 23 e 26 del Codice della privacy.
Sul rapporto tra tutela dei dati personali e attività giornalistica, v. G.
VOTANO, L’attività giornalistica, in AA. VV., Il codice dei dati personali.
Termini e problemi, a cura di F. Cardarelli – S. Sica – V. Zeno-Zencovich,
Giuffrè, Milano, 2004, 507; M. MESSINA, Tutela dei dati personali e
manifestazione del pensiero, in AA. VV., Il codice del trattamento dei dati
personali, a cura di V. Cuffaro – V. Ricciuto – R. D’Orazio, Giappichelli,
Torino, 2007, 617.
145
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
pubblico e alla divulgazione direttamente ad opera degli stessi
interessati o mediante un comportamento pubblico (41).
Non va comunque dimenticata l’ipotesi prevista all’art.
734-bis c.p., che sanziona la divulgazione delle generalità o
dell’immagine della persona offesa da atti di violenza sessuale
(42), né la violazione della normativa posta a tutela dei dati
personali del minore. A tal proposito va anche segnalato
l’intervento, in diverse occasioni, del Garante della privacy nei
confronti di testate giornalistiche che, riportando episodi di
violenza sessuale a danno di minori, hanno divulgato elementi
che, anche indirettamente potevano portare alla loro
identificazione. Così, ai sensi degli artt. 139, comma 5, e 154,
comma 1, lett. d) del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ha vietato
alla testata giornalistica ogni ulteriore diffusione, anche tramite
i relativi siti web, delle informazioni idonee, anche
indirettamente,
a
identificare
il
minore disponendo,
contestualmente, l’invio di copia del provvedimento al
competente Consiglio regionale e al Consiglio nazionale
dell’Ordine dei giornalisti.
Inoltre, il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante
“Disposizioni sul processo penale a carico di imputati
minorenni”, all’art. 13 vieta «la pubblicazione e la divulgazione,
con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire
l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel
(41) Cass. pen. Sez. III, 24.4.2008, Parenti, in Cass. pen., 2009, 4863
con nota di G. ANDREAZZA, Cronaca giornalistica e trattamento dei dati
personali: le condizioni di esonero dal consenso dell’interessato.
Il caso di specie è noto: gli autori di un programma televisivo avevano
proceduto alla raccolta di dati personali sensibili - prescindendo dal consenso
degli interessati e dall’autorizzazione del Garante - dopo aver ottenuto, con
l’inganno, i campioni biologici di alcuni parlamentari utilizzando un tampone
frontale fingendo di detergere il loro sudore durante un’intervista. Avevano
sottoposto ad analisi di laboratorio i reperti al fine di rintracciare tracce di
sostanze stupefacenti. Di qui la condanna per il reato di cui all’art. 167,
secondo comma, D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
(42) Sull’art. 734-bis c.p. v., per tutti, B. ROMANO, Delitti contro la
sfera sessuale della persona, cit., 261 ss.
146
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
procedimento» e il D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, all’art. 50
prevede che «il divieto di cui all’articolo 13 del d.P.R. 22
settembre 1988, n. 448, di pubblicazione e divulgazione con
qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire
l’identificazione di un minore si osserva anche in caso di
coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti
giudiziari in materie diverse da quella penale».
Le condotte sin qui descritte possono essere realizzate non
solo attraverso la carta stampata ma anche il mezzo
radiotelevisivo. Infatti, dal momento che la radiotelevisione
costituisce un mezzo di pubblicità il giornalista potrà essere
chiamato a rispondere di tutti quei reati che possono essere
commessi attraverso «qualsiasi mezzo di pubblicità» o di
comunicazione, che dir si voglia, diverso dalla stampa. Diverse
disposizioni, invero, fanno riferimento a condotte realizzabili
attraverso «qualsiasi mezzo di informazione al pubblico». Si
pensi, a titolo esemplificativo, oltre all’art. 595 comma terzo c.p.,
all’art. 615-bis c.p., all’art. 617 c.p., all’art. 617-quater c.p.,
all’art. 13 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. Pertanto,
eccezion fatta per quelle norme penali incriminatrici in cui la
“stampa” è tipicizzata come mezzo esclusivo di commissione del
reato – si pensi, ad esempio, alla pubblicazione delle discussioni
o delle deliberazioni segrete di una delle Camere di cui all’art.
683 c.p., disposizione che fa espresso riferimento al mezzo della
stampa – il giornalista radiotelevisivo potrà essere chiamato a
rispondere di tutti quei reati cui sopra si è fatto riferimento a
proposito del mezzo stampa.
Parte della dottrina ha comunque proceduto alla
distinzione tra «reati di televisione» e «reati per televisione»
quale ideale pendant dei reati di stampa e dei reati a mezzo
stampa. Mentre i primi sono stati identificati in quelle offese
penalmente rilevanti connesse all’attività televisiva in quanto
tale, non concepibili al di fuori dell’esercizio di essa e
sostanzialmente integrati da quelle condotte sussumibili
nell’esercizio abusivo di attività televisiva e nella violazione di
norme di trasparenza televisiva, con i secondi si è inteso fare
147
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
riferimento a quelle figure criminose non specifiche ed esclusive
dell’attività televisiva ma in cui il mezzo televisivo assumeva più
semplicemente un carattere strumentale rispetto alla loro
realizzazione (43). Anche in questo caso valgono le medesime
osservazioni fatte a proposito della distinzione tra reati di
stampa e reati a mezzo stampa.
Nell’accostarci a tale categoria di reati va richiamato,
innanzitutto, il già menzionato art. 30 della legge 6 agosto 1990,
n. 223, sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato. La disposizione contempla diverse norme penali
incriminatrici che individuano, quali soggetti attivi «il
concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la
persona da loro delegata al controllo della trasmissione». I primi
due soggetti si identificano più genericamente nell’editore
televisivo che però, nella quasi totalità dei casi, è una persona
giuridica. Ecco che allora - tenuto conto del principio societas
delinquere non potest - ci si è chiesti quali persone fisiche
potessero essere chiamate a rispondere concretamente di tali
reati e, ai fini che in questa sede ci interessano, occorre
domandarsi se il giornalista, in particolare, possa essere
ricompreso tra tali soggetti (44). In alcune pronunce
giurisprudenziali, a proposito del reato di diffamazione con
attribuzione di un fatto determinato commesso attraverso
trasmissioni radiotelevisive, di cui al quarto comma dell’art. 30
della legge 6 agosto 1990, n. 223, si è affermato che le norme
(43) L. FIORAVANTI, Televisione, stampa ed editoria, in Digesto pen.,
vol. XIV, Utet, Torino, 1999, 150. Più diffusamente, sui rapporti tra diritto
penale e strumento televisivo ID., Statuti penali dell’attività televisiva,
Giuffrè, Milano, 1995.
(44) Parte della dottrina ha ritenuto che le persone fisiche responsabili
dei reati di cui all’art. 30 debbano essere identificate negli amministratori
delle società concessionarie (T. PADOVANI, in Il sistema radiotelevisivo
pubblico e privato, a cura di M.V. Ballestreo – E. Roppo – R. Zaccaria,
Giuffrè, Milano, 1991, 505) e, in particolare, per quanto concerne le
concessionarie pubbliche, nei direttori generali di queste (L. FIORAVANTI,
Televisione, stampa ed editoria, cit., 171).
148
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
speciali ivi contemplate valgono esclusivamente con riferimento
ai soggetti specificamente indicati, i quali non possono
identificarsi nella persona che concretamente commette la
diffamazione alla quale, pertanto, non sarebbe possibile
applicare le norme di cui all’art. 30, ma esclusivamente l’art. 595
c.p. (45). Secondo altre pronunce giurisprudenziali di segno
opposto il reato di diffamazione con attribuzione di un fatto
determinato commesso attraverso trasmissioni radiotelevisive
potrebbe vedere come soggetto attivo anche una persona non
rientrante tra quelle indicate nel primo comma dell’art. 30 della
legge 6 agosto 1990, n. 223 (46). Sulla base di tali premesse,
allora, ferma restando la responsabilità del giornalista
radiotelevisivo, ex art. 595, comma terzo, c.p. non è chiaro se
questi possa essere chiamato a rispondere ex art. 30, comma
quarto, della legge 6 agosto 1990, n. 223. Sembra, però, che il
primo degli orientamenti giurisprudenziali riportati possa
determinare la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità per
fatto altrui: i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 30 della
legge 6 agosto 1990, n. 223, sarebbero chiamati a rispondere
penalmente per il mero ruolo ricoperto, delineandosi così una
vera e propria responsabilità di posizione.
Tra i mezzi di comunicazione di massa, infine - sempre nel
tentativo di verificare la gamma di reati perpetrabili dal
giornalista - non si può non prendere in considerazione lo
strumento telematico, atteso il peculiare connotato di
“diffusività” della rete che sempre più garantisce la fruibilità
delle informazioni ivi immesse ad un elevatissimo numero di
utenti. Certamente il primo quesito che l’interprete si pone è
quello di verificare se i reati realizzabili con il mezzo della
stampa possano ricomprendere al loro interno i reati che
utilizzano differenti media, dal momento che la definizione che
l’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ci fornisce sembrerebbe
incompatibile con la nozione di comunicazione telematica. E
(45) Cass. pen. Sez. I, 27.2.1996, Ferrara, in Cass. pen., 1997, 1347.
(46) Cass. pen. Sez. I, 13.12.1996, Sindoni, in Riv. pen., 1997, 491.
149
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
soprattutto il principio di legalità ed il conseguente divieto di
estensione analogica in malam partem parrebbero impedire
l’applicabilità della regolamentazione penalistica della stampa
ad eventuali comportamenti commessi attraverso le reti
telematiche. Anche qui valgono le medesime osservazioni e
riserve poste a proposito dei reati commissibili attraverso il
mezzo televisivo. Pertanto, ad eccezione di quelle norme penali
incriminatrici nelle quali la “stampa” è tipicizzata come mezzo
esclusivo di commissione del reato, tutte le fattispecie a forma
libera, come la diffamazione, o comunque quelle nelle quali il
legislatore fa riferimento «a qualsiasi mezzo di pubblicità»
potrebbero essere realizzate attraverso il mezzo telematico ed
assumere rilevanza penale. Ed infatti la Suprema Corte ha
affermato che la diffamazione posta in essere mediante internet
è punibile in forza dell’art. 595 c.p., comma terzo, poiché esso,
riferendosi all’offesa recata con qualsiasi altro mezzo di
pubblicità, consente di far rientrare nel suo alveo anche il mezzo
telematico (47).
Elencate le possibili figure criminose di cui il giornalista
potrebbe rendersi soggetto attivo, non resta che verificare se
queste possano essere realizzate nell’interesse o a vantaggio
dell’ente. In linea astratta, tutte le fattispecie di reato cui si è
fatto riferimento potrebbero essere realizzate nell’interesse o a
vantaggio dell’impresa giornalistica in quanto potrebbero
determinare un incremento delle vendite del giornale, un
aumento dell’odience radiotelevisivo o degli accessi al web. Sul
piano pratico, però, è evidente che occorrerà una precisa opzione
del legislatore. Sino ad oggi quest’ultimo ha effettuato le proprie
scelte di corresponsabilizzazione dell’ente operando, su diversi
piani: sia, nel contesto di obblighi internazionali, procedendo
all’estensione dei reati-presupposto a forte valenza simbolica, sia
dietro la spinta interna diretta a combattere determinate
politiche di impresa. Se, inserendo la fattispecie criminosa della
(47) Cass. pen. Sez. V, 1.7.2008, Alberti, in C.E.D. Cass. 241182; Cass.
pen. Sez. V, 17.11.2000, n. 4741, in Dir. informaz. e inform., 2001, 21.
150
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
diffamazione all’interno del catalogo dei reati-presupposto il
legislatore potrebbe efficacemente contrastare tale fenomeno
nell’ambito giornalistico - che talune imprese giornalistiche
potrebbero aver assunto quale leit motiv della loro politica
imprenditoriale - per quanto concerne le altre figure criminose
cui si è fatto sopra riferimento occorrerebbe procedere ad una
più attenta valutazione. Nel tentativo di procedere a tale
selezione, il legislatore, confrontando il numero dei procedimenti
penali per diffamazione e quello degli altri reati che vedono
come soggetto attivo il giornalista nell’esercizio della propria
attività, dovrebbe prendere atto della sproporzione in termini
quantitativi dei primi rispetto ai secondi. Ma una ponderata e
consapevole scelta legislativa non può fondarsi esclusivamente
su tale dato. Occorrerebbe valutare altresì quali ambiti, oltre a
quello della diffamazione, si caratterizzano per una scarsa
incidenza sul piano della prevenzione generale e speciale che,
invece, sostenuta dall’introduzione di tale sistema di
responsabilità ne uscirebbe rafforzata.
3. Le soluzioni in ambito comparatistico: A) i sistemi di
civil law.
L’esperienza dei più importanti paesi appartenenti
all’area europeo-continentale in tema di responsabilità delle
persone giuridiche si presenta alquanto variegata (48) e le
(48) Per un esame delle varie opzioni accolte negli ordinamenti penali
stranieri sulla responsabilità degli enti, v., ex multis, K. TIEDEMAN, La
responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto comparato , in Riv.
it. dir. proc. pen., 1995, 615; A.M. CASTELLANA, Diritto penale dell’Unione
151
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
relative opzioni legislative sono state definite «frutto di una
svolta, insieme, tardiva e “rivoluzionaria”, tale cioè da avere, per
così dire, fatto troppo in fretta i conti con la complessità del
problema politico-criminale e dogmatico» (49).
Sono stati diversi gli impulsi provenienti dal Consiglio
d’Europa, dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite nel
tentativo di armonizzare la responsabilità degli enti collettivi.
Tuttavia, da un’ottica comparatistica, sembra doversi registrare
una instabilità dei modelli di responsabilità degli enti nei diversi
ordinamenti. Ogni Stato, infatti, ha introdotto un regime di
responsabilità scolpito sulla base delle proprie esigenze. Del
resto, le indicazioni fornite dagli strumenti internazionali
presentano un contenuto generico, identificabile nel cumulo di
responsabilità tra ente e autore del reato, nella suddivisione dei
criteri di imputazione sulla base del ruolo ricoperto dalla
persona fisica all’interno dell’ente e nel ricorso ad un sistema di
sanzioni interdittive (50).
4. (Segue): a) il sistema francese.
Nel sistema francese – in cui la responsabilità dell’ente ha
natura penale – dall’iniziale limitazione della responsabilità
delle persone giuridiche alle fattispecie di reato tassativamente
Europea e principio societas delinquere non potest, in Riv. trim. dir. pen.
econ., 1996, 747; N. SELVAGGI, La responsabilità penale della persona
giuridica: un dibattito europeo, in Cass. pen., 1999, 2778; C. DE MAGLIE,
L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Giuffrè, Milano,
2002.
(49) G. DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche , in
Trattato di diritto penale, diretto da C.F. Grosso – T. Padovani – A. Pagliaro,
Giuffrè, Milano, 2008, 70.
(50) V. gli artt. 3 e 4 del secondo Protocollo della convezione relativa
alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee stabilito in base
all’articolo K3 del Trattato sull’Unione europea, adottato a Bruxelles il 19
giugno 1997, entrato in vigore il 19 maggio 2009, reso esecutivo dall’Italia con
legge 4 agosto 2008, n. 135.
152
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
previste, così come stabilito dal codice penale del 1994 (51), si è
passati ad una definitiva espansione della responsabilità delle
persone giuridiche generalizzata a tutte le fattispecie di reato
(52). Pertanto, se in origine, in ossequio al principio di legalità,
l’ambito di applicazione della normativa era ancorato ad
un’espressa previsione legislativa che individuava le singole
fattispecie di parte speciale che potevano determinare la
responsabilità penale della persona giuridica, oggi le personnes
morales rispondono di tutti i reati commessi, per loro conto, dai
loro organi o rappresentanti. L’art. 54 della legge 9 marzo 2004,
n. 2004-204, c.d. Perben II, entrato in vigore il 31 dicembre
2005, infatti, ha disposto l’abrogazione della parte dell’art. 121-2
del codice penale francese ove si faceva riferimento alla
(51) In dottrina, sulla responsabilità penale delle persone giuridiche
nel sistema francese: P. CONTE, Il riconoscimento della responsabilità penale
delle persone giuridiche nella legislazione francese , in Riv. trim. dir. pen.
econ., 1994, 93; G. DE SIMONE, Il nuovo codice penale francese e la
responsabilità penale delle personnes morales, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1995, 227; T. DALMASSO, Responsabilité pénale des personnes morales,
Editions EFE, Paris, 1996; N. RONTCHEVSKY, Les conditions de mise en jeu
de la responsabilité pénale des personnes morales à la lumière de la
jurisprudence récente, Rjda, 3/1998, 175; J.C. PLANQUE, La détermination de
la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris, 2003; J.C.
SAINT PAU, La responsabilité des personnes morales: réalité et fiction , in Le
risque pénal dans l’enterprise, Litec, 2003, 71; C. DOCOULOUX FAVARD, Un
primo tentativo di comparazione della responsabilità penale delle persone
giuridiche francese con la cosiddetta responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche italiana, in Societas puniri potest. La responsabilità da
reato degli enti collettivi, a cura di F. Palazzo, Cedam, Padova, 2003, 93; G.
ROUJOU DE BOUBEE, La responsabilité pénale des personnes morales. Essai
d’un bilan, in Mélanges André Decoq, Paris, 2004, 535; S. GIAVAZZI, La
responsabilità penale delle persone giuridiche: dieci anni di esperienza
francese, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, 593.
(52) Occorre comunque ricordare che nel sistema francese l’azione
penale è discrezionale e, pertanto, l’organo d’accusa ha la possibilità di
scegliere se perseguire esclusivamente la persona fisica, o l’ente, o entrambi,
o nessuno dei due.
153
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
punibilità delle persone giuridiche nei soli casi previsti dalla
legge e dai regolamenti (53).
Proprio ai fini dell’approfondimento della tematica in
questa sede affrontata va segnalato, però, che nel sistema
francese l’unica eccezione in cui non opera la responsabilità delle
persone giuridiche concerne i reati relativi alla stampa o
commessi attraverso mezzi di comunicazione audiovisiva. L’art.
55 della legge 2004-204, infatti, ha aggiunto l’art. 43-1 alla legge
29 luglio 1881 sulla libertà di stampa disponendo che «les dispositions de l’article 121-2 du code pénal ne sont pas applicables
aux infractions pour lesquelles les dispositions des articles 42 ou
43 de la présente loi sont applicables» ed ha altresì aggiunto
l’art. 93-4 alla legge 29 luglio 1982 sulla comunicazione audiovisiva introducendo una analoga disposizione anche in tale settore: la disposizione appena richiamata prevede che «les dispositions de l’article 121-2 du code pénal ne sont pas applicables aux
(53) L’attuale formulazione dell’art. 121-2 del codice penale francese è
la seguente: «Les personnes morales, à l’exclusion de l’Etat, sont responsables
pénalement, selon les distinctions des articles 121-4 à 121-7, des infractions
commises, pour leur compte, par leurs organes ou représentants. Toutefois,
les collectivités territoriales et leurs groupements ne sont responsables pénalement que des infractions commises dans l'exercice d’activités susceptibles
de faire l’objet de conventions de délégation de service public. La responsabilité pénale des personnes morales n’exclut pas celle des personnes physiques
auteurs ou complices des mêmes faits, sous réserve des dispositions du quatrième alinéa de l’article 121-3».
L’art. 121-2, nella sua versione originaria, invece, limitava l’ambito di
applicazione della responsabilità penale delle persone giuridiche «dans les cas
prévus par la loi ou le règlement» (c.d. clausola di specialità).
In dottrina: N. STOLOWY, La disparition du principe de spécialité dans
la mise en cause pénale des personnes morales, loi n. 2004-204 du mars 2004,
dite Perben II, in JCP, 2004, ed. E, 955; E. PIRE, Responsabilité pénale des
personnes morales: difficultés de droit transitoire , in Rec. Dalloz, 2004, n. 23,
1650; M.C. SORDINO, La disparition du principe de spécialité de la responsabilité pénale des personnes morales: una fin espérée, adoptée dans la plus
grande discrétion, in Gazette du Palais, 2004, n. 255, 13; C. MASCALA,
L’élargissement de la responsabilité pénale des personnes morales: la fin du
principe de spécialité, in Bullettin Joly Sociétes, 2006, n. 1, 5.
154
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
infractions pour lesquelles les dispositions de l’article 93-3 de la
présente loi sont applicables». Sulla base di tali previsioni è
possibile dedurre che in Francia le persone giuridiche saranno
perseguibili per diffamation (cioè per l’attribuzione al soggetto
passivo di un evento o di una condotta determinati che possono
essere provati in giudizio) e per injure (che consiste
nell’espressione oltraggiosa nell’insulto, nell’invettiva non
ancorati, però, alla realtà concreta) soltanto qualora tali
condotte non vengano commesse a mezzo stampa.
A dire il vero, anche prima della modifica legislativa tali
illeciti penali, erano esclusi dal catalogo di reati di cui le
personnes morales potevano essere chiamate a rispondere;
tuttavia, la presenza di altri “grandi esclusi” quali il settore del
diritto penale commerciale, il diritto del lavoro, il diritto dei
consumatori, poteva comunque far ritenere tale estromissione
meno incisiva di quanto, invece, possa apparire oggi. Invece, il
legislatore francese ha escluso i delitti di stampa dal novero dei
reati che possono dar luogo alla responsabilità delle persone
giuridiche optando per la precisa e singolare scelta di non voler
perseguire queste ultime in caso delle più gravi lesioni all’onore,
qualora vengano commesse a mezzo della stampa, il mezzo
sicuramente maggiormente penetrante nella lesione di tale bene
giuridico. Attraverso tale scelta il legislatore ha voluto evitare
l’applicazione cumulativa della responsabilità en cascade,
propria del diritto della stampa, con quella della responsabilità
penale delle personnes morales, in quanto ciò avrebbe potuto
condurre ad una eccessiva repressione della libertà di stampa.
Nel combinare i dati normativi rappresentati dall’attuale
disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche e
dalla legge sulla stampa del 1881 se ne ricava, allora, che nel
sistema francese il direttore/editore potrà essere chiamato a
rispondere penalmente per quanto pubblicato sul suo giornale
ma, al tempo stesso, la medesima responsabilità penale non
potrà essere imputata all’impresa editrice per tutti quei reati
che, al suo interno, vengono commessi a mezzo stampa.
155
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Occorre chiedersi, allora, quali conseguenze possano
derivare in capo alle imprese editrici in caso di reati commessi
nell’esercizio dell’attività giornalistica. Secondo quanto previsto
dall’art. 44 della loi del 1881, sulle imprese editrici di giornali e
periodici grava soltanto l’obbligazione civile per le condanne
pecuniarie pronunciate a vantaggio dei terzi contro le persone
fisiche penalmente responsabili. E va, infine, segnalata anche
l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni accessorie, previste
dall’art. 131-6 del codice penale francese, alla figura del
giornalista e all’attività editoriale. La disposizione appena
richiamata, infatti, prevede la confisca della cosa che è servita o
è destinata a commettere il reato e l’interdizione per un periodo
di cinque anni dall’esercizio dell’attività professionale o sociale
in quanto tale attività sia stata utilizzata per preparare o
commettere il reato. Tuttavia, laconicamente, al comma 11 si
stabilisce che la stessa non può trovare applicazione in caso di
reati di stampa.
5. (Segue): b) l’ordinamento spagnolo.
Volgendo lo sguardo al diritto penale spagnolo si avrà
modo di appurare come questo, tradizionalmente, non ammetta
la responsabilità penale diretta delle persone giuridiche ( 54).
(54) Per un esame della vigente disciplina spagnola: S. BACIGALUPO,
La responsabilidad penal de la personas juridicas, Bosch, Barcelona, 1998; A.
MENGHINI, Conseguencias accesorias e responsabilità delle persone
giuridiche, in Le strategie di contrasto alla criminalità organizzata nella
prospettiva del diritto comparato, a cura di G. Fornasari, Cedam, Padova,
2002, 139; L. ARROYO ZAPATERO, Persone giuridiche e responsabilità penale
in Spagna, in Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti
collettivi, a cura di F. Palazzo, Cedam, Padova, 2003, 179; F. DE LA FUENTE
HONRUBIA, Las Consecuencias Accesorias del artículo 139 del Código Penal ,
Lex Nova, Valladolid, 2004; L.A. SOLER PASCUAL, Responsabilidad de las
personas jurídicas en los delitos economicos. Especial referencia a los consejos
de administración. Actuar en nombre de otro, M.A. GARCÍA GARCÍA, (diretto
156
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
All’interno del codice penale del 1995 l’art. 31 stabilisce che la
persona giuridica sarà responsabile in misura diretta e solidale
del pagamento della pena pecuniaria cui è stato condannato il
soggetto che ha agito come amministratore di fatto o di diritto o
nel nome e come rappresentante legale o volontario di un altro,
così come previsto dal primo comma della stessa disposizione. Il
precetto in discorso non sembra delineare una responsabilità
penale della persona giuridica derivante da una “condotta
volontaria” della stessa e distinta da quella della persona fisica
e, pertanto, il principio societas delinquere non potest appare
rispettato. Tuttavia, anche la dottrina spagnola, come quella
italiana, non è unanimemente concorde sull’attuale validità di
tale principio ed infatti vi è stato chi, nell’analizzare i rapporti
tra le consecuencias accessorias di cui all’art. 129 c.p. e il
principio in discorso, ha ritenuto che debba parlarsi di
«hipocresía dogmática» (55). Oltre all’art. 31 c.p., infatti, è
indispensabile accennare anche a quanto disposto dall’art. 129
c.p. il quale prevede una serie di sanzioni interdittive che
possono essere applicate all’ente nei casi previsti dallo stesso
codice (56).
da) Responsabilidad penal de las personas jurídicas. Derecho comparado y
derecho comunitario, Consejo General del Poder Judicial, Centro de
Documentación Judicial, Madrid, 2007.
(55) L. RODRÍGUEZ RAMOS, ¡Societas delinquere potest! Nuevos aspectos dogmáticos y procesales de la cuestión, in La Ley, V, 1996, 1490.
In dottrina, ritiene che attraverso l’introduzione della disposizione de
qua il principio societas delinquere non potest sia decaduto J.M. ZUGALDIA
ESPINAR, La responsabilidad de las personas juridicas en el derecho penal
español. (Requisitos sustantivos y procesales para la impocisión de las penas
previstas en el art. 129 del Código Penal) , in El Nuevo derecho penal español.
Estudios penales en Memoria del Profesor José Manuel Valle Muñiz, a cura
di G. Quinterno – F. Morales – Aranzadi, Pamplona, 2001, 885. A proposito
dell’art. 129 v. anche J.G. FERNANDEZ TERUELO, Las consecuencias
accessorias del art. 129 c.p., Madrid, 2003.
(56) La disposizione stabilisce che: 1. «El juez o tribunal, en los
supuestos previstos en este Código, y sin perjuiciode lo establecido en el
artículo 31 del mismo, previa audiencia del ministerio fiscal y de los titulares
157
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Tra i reati che possono comportare l’applicazione di una
delle consecuencias accessorias ivi previste non sono contemplati
i reati che concernono l’attività giornalistica (57). Né tantomeno è
o de sus representantes legales, podrá imponer, motivadamente, las
siguientes consecuencias:
a) Clausura de la empresa, sus locales o establecimientos, con carácter
temporal o definitivo. La clausura temporal no podrá exceder de cinco años.
b) Disolución de la sociedad, asociación o fundación.
c) Suspensión de las actividades de la sociedad, empresa, fundación o
asociación por un plazo que no podrá exceder de cinco años.
d) Prohibición de realizar en el futuro actividades, operaciones mercantiles o
negocios de la clase de aquellos en cuyo ejercicio se haya cometido, favorecido
o encubierto el delito. Esta prohibición podrá tener carácter temporal o
definitivo. Si tuviere carácter temporal, el plazo de prohibición no podrá
exceder de cinco años.
e) La intervención de la empresa para salvaguardar los derechos de los
trabajadores o de los acreedores por el tiempo necesario y sin que exceda de
un plazo máximo de cinco años.
2. La clausura temporal prevista en el subapartado a) y la suspensión
señalada en el subapartado c) del apartado anterior, podrán ser acordadas
por el Juez Instructor también durante la tramitación de la causa.
3. Las consecuencias accesorias previstas en este artículo estarán orientadas
a prevenir la continuidad en la actividad delictiva y los efectos de la misma».
(57) Si tratta delle ipotesi di cui all’art. 189, delito de utilización de
menores o incapaces con fines o espectáculos exhibicionistas o pornográficos o
para elaborar cualquier clase de material pornografico ; all’art. 194, che
prevede la chiusura temporanea o definitiva degli stabilimenti o locali
utilizzati per la realizzazione dei delitti di cui ai capitoli IV e V del codice
penale spagnolo dedicati, rispettivamente, ai delitti de e ai delitti relativi
alla prostitución y la corrupción de menores; art. 221, suosiciòn de parto; art.
262, sull’alterazione dei prezzi negli appalti e nelle aste pubbliche; art. 271,
relativo ai reati contro la proprietà intellettuale; art. 276, relativo ai reati
contro la proprietà industriale; art. 288 che prevede l’applicabilità delle pene
accessorie nell’ambito dei delitos contra la propriedad industrial, el mercato y
los consumidore; art. 294, a proposito dei reati di resistenza al controllo di
supervisione dei soggetti legittimati da parte degli istituti di credito; artt. 298
e 299 sulla ricettazione; art. 302, a proposito delle condotte di riciclaggio
(receptación); 318, delitos contra los derechos de los trabajadores; art. 327,
che prevede l’applicazione dell’art. 129 in caso di reati contro l’ambiente; art.
348, in materia di esplosivi; art. 366, che prevede l’applicazione dell’art. 129
in caso di reati di frode alimentare; artt. 369, 370 e 371, in materia di
158
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
possibile individuarne la presenza, quale presupposto della
responsabilità delle persone giuridiche, nel recente progetto di
riforma del codice penale spagnolo elaborato nel 2006 (Proyecto
de ley 121/000119 Orgánica por la que se modifica la Ley
Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre, del Código Penal) (58).
La dottrina spagnola non sembra essersi posta, sino ad
oggi, particolari interrogativi su tale mancata previsione. Ciò
non deve sorprendere se sol si riflette sul fatto che, da quando
sono state introdotte, le misure accessorie non hanno mai
trovato applicazione, eccezion fatta per i casi di terrorismo (59).
La giurisprudenza, infatti, non ha riconosciuto alle
concecuencias accessorias l’importanza ad esse attribuita dalla
dottrina. Ciò perché il carattere della prevenzione da queste
posseduto viene comunque inteso dalla giurisprudenza come
rivolto sempre e comunque alla persona fisica e non alla persona
giuridica, poiché solo quest’ultima può effettivamente
delinquere. I tribunali spagnoli non considerano possibile
l’applicazione di una delle misure di cui all’art. 129 c.p. per
l’imputazione di un delitto direttamente alla persona giuridica
per una responsabilità propria e pertanto «las consecuencia
accesorias de la pena, como su caracterización lo explica,
requieren que la persona que las sufre haya sido condenada a
sufrir la pena principal» (60).
stupefacenti; art. 386, in materia di falsificazione di monete; art. 430, sul
tráfico de influencias; art. 445, in materia di delitti di corruzione nelle
transazioni commerciali internazionali; art. 520 che prevede l’applicazione
dell’art. 129 in caso di associazione illecita.
(58) In dottrina, sul progetto di riforma del codice penale spagnolo ed,
in particolare, sulla responsabilità delle persone giuridiche: G. QUINTERO
OLIVARES, Sulla responsabilità penale delle persone giuridiche e sul
passaggio della responsabilità dalle persone fisiche in Spagna , in Dir. pen.
XXI sec., 2008, 293 ss.
(59) G. QUINTERO OLIVARES, Sulla responsabilità penale delle persone
giuridiche e sul passaggio della responsabilità dalle persone fisiche in
Spagna, in Dir. pen. XXI sec., 2008, 316.
(60) Trib. Supr., Sala Seg., 28.9.1996, n. 599, rec. 2379/1995.
159
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
6. (Segue): c) il sistema tedesco.
Nel sistema tedesco la disposizione di riferimento per la
responsabilità ammininistrativa degli enti è costituita dal § 30
della
legge
sulle
violazioni
amministrative
61
(Ordnungswidrigkeitsgesetz) ( ), che è necessario leggere in
(61) Così dispone il § 30 OWiG: «Hat jemand 1.
als
vertretungsberechtigtes Organ einer juristischen Person oder als Mitglied
eines solchen Organs, 2. als Vorstand eines nicht rechtsfähigen Vereins oder
als Mitglied eines solchen Vorstandes, 3. als vertretungsberechtigter
Gesellschafter
einer
rechtsfähigen
Personengesellschaft,
4.
als
Generalbevollmächtigter oder in leitender Stellung als Prokurist oder
Handlungsbevollmächtigter einer juristischen Person oder einer in Nummer
2 oder 3 genannten Personenvereinigung oder 5. als sonstige Person, die für
die Leitung des Betriebs oder Unternehmens einer juristischen Person oder
einer in Nummer 2 oder 3 genannten Personenvereinigung verantwortlich
handelt, wozu auch die Überwachung der Geschäftsführung oder die sonstige
Ausübung von Kontrollbefugnissen in leitender Stellung gehört, eine Straftat
oder Ordnungswidrigkeit begangen, durch die Pflichten, welche die
juristische Person oder die Personenvereinigung treffen, verletzt worden sind
oder die juristische Person oder die Personenvereinigung bereichert worden
ist oder werden sollte, so kann gegen diese eine Geldbuße festgesetzt werden.
Die Geldbuße beträgt 1. im Falle einer vorsätzlichen Straftat bis zu
einer Million Euro, 2. im Falle einer fahrlässigen Straftat bis zu
fünfhunderttausend Euro. Im Falle einer Ordnungswidrigkeit bestimmt sich
das Höchstmaß der Geldbuße nach dem für die Ordnungswidrigkeit
angedrohten Höchstmaß der Geldbuße. Satz 2 gilt auch im Falle einer Tat,
die gleichzeitig Straftat und Ordnungswidrigkeit ist, wenn das für die
Ordnungswidrigkeit angedrohte Höchstmaß der Geldbuße das Höchstmaß
nach Satz 1 übersteigt.
§ 17 Abs. 4 und § 18 gelten entsprechend.
Wird wegen der Straftat oder Ordnungswidrigkeit ein Straf- oder
Bußgeldverfahren nicht eingeleitet oder wird es eingestellt oder wird von
Strafe abgesehen, so kann die Geldbuße selbstständig festgesetzt werden.
Durch Gesetz kann bestimmt werden, dass die Geldbuße auch in weiteren
Fällen selbstständig festgesetzt werden kann. Die selbstständige Festsetzung
einer Geldbuße gegen die juristische Person oder Personenvereinigung ist
jedoch ausgeschlossen, wenn die Straftat oder Ordnungswidrigkeit aus
160
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
combinato disposto con il § 130 della medesima legge (62).
Quest’ultima disposizione punisce colui che, titolare di
un’azienda o di un’impresa, omette dolosamente o colposamente
misure di sorveglianza necessarie ad impedire illeciti contrari ad
obblighi che investono il titolare stesso, e la cui violazione è
punita con una pena o con una sanzione amministrativa. Il § 30
consente di sanzionare le persone giuridiche per illeciti penali o
amministrativi commessi da soggetti legati all’ente da un
vincolo funzionale, mediante la violazione di obblighi inerenti
all’ente stesso. Quest’ultimo, infatti, potrà essere destinatario di
una pena pecuniaria amministrativa (Geldbusse) in caso di
commissione di un reato o di un illecito amministrativo da parte
di soggetti che siano rappresentanti, direttori o procuratori
commerciali dell’ente, o da sottoposti alla vigilanza dei soggetti
rechtlichen Gründen nicht verfolgt werden kann; § 33 Abs. 1 Satz 2 bleibt
unberührt.
Die Festsetzung einer Geldbuße gegen die juristische Person oder
Personenvereinigung schließt es aus, gegen sie wegen derselben Tat den
Verfall nach den §§ 73 oder 73a des Strafgesetzbuches oder nach § 29a
anzuordnen».
(62) Il § 130 OWiG stabilisce che «Wer als Inhaber eines Betriebes
oder Unternehmens vorsätzlich oder fahrlässig die Aufsichtsmaßnahmen
unterläßt, die erforderlich sind, um in dem Betrieb oder Unternehmen
Zuwiderhandlungen gegen Pflichten zu verhindern, die den Inhaber treffen
und deren Verletzung mit Strafe oder Geldbuße bedroht ist, handelt
ordnungswidrig, wenn eine solche Zuwiderhandlung begangen wird, die
durch gehörige Aufsicht verhindert oder wesentlich erschwert worden wäre.
Zu den erforderlichen Aufsichtsmaßnahmen gehören auch die Bestellung,
sorgfältige Auswahl und Überwachung von Aufsichtspersonen.
Betrieb oder Unternehmen im Sinne des Absatzes 1 ist auch das
öffentliche Unternehmen.
Die Ordnungswidrigkeit kann, wenn die Pflichtverletzung mit Strafe
bedroht ist, mit einer Geldbuße bis zu einer Million Euro geahndet werden.
Ist die Pflichtverletzung mit Geldbuße bedroht, so bestimmt sich das
Höchstmaß der Geldbuße wegen der Aufsichtspflichtverletzung nach dem für
die Pflichtverletzung angedrohten Höchstmaß der Geldbuße. Satz 2 gilt auch
im Falle einer Pflichtverletzung, die gleichzeitig mit Strafe und Geldbuße
bedroht ist, wenn das für die Pflichtverletzung angedrohte Höchstmaß der
Geldbuße das Höchstmaß nach Satz 1 übersteigt».
161
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
suddetti che non siano stati idoneamente controllati, in
mancanza di idonee misure organizzative per la prevenzione dei
reati e degli illeciti amministrativi. La persona giuridica,
pertanto, non può essere chiamata a rispondere penalmente ma
solo in via amministrativa. Ha prevalso, infatti, la tesi secondo
cui gli enti collettivi «sono capaci di azione (Handlungsfähig)
solo per mezzo dei loro organi e non sono assoggettabili a pena
anche perché non in grado di avvertire la disapprovazione eticosociale che con la pena criminale l’ordinamento esprime» (63). Il §
30 della legge sugli illeciti amministrativi non contempla un
elenco specifico di reati che potrebbero costituire presupposto
della responsabilità amministrativa dell’ente, ma fa riferimento
alle categorie generali dei reati e degli illeciti amministrativi.
Occorrerebbe interrogarsi, a questo punto, sulla
possibilità
che,
nell’ordinamento
tedesco,
un’impresa
giornalistica possa essere condannata al pagamento di una pena
pecuniaria nel caso di reati o illeciti amministrativi posti in
essere da un giornalista che eserciti la propria attività
professionale al suo interno. Se, in linea astratta, tale possibilità
non andrebbe esclusa, un esame della giurisprudenza tedesca
non consente di rinvenire precedenti significativi in proposito.
(63) G. FORNASARI, I principi del diritto penale tedesco , Cedam,
Padova, 1993, 79. Nella dottrina tedesca, secondo H.J. HIRSCH, Die Frage des
Straffähigkeit von Personenverbänden, in Strafrechtliche Probleme, 1999,
597, il diritto penale tedesco non conosce, a differenza del sistema
anglosassone, la punibilità delle persone giuridiche poiché «solo l’uomo è
considerato capace, non la corporazione». V. altresì C. JÄGER, Sanzionabilità
penale e amministrativa degli enti in Germania, in Dir. pen. XXI sec., 2008,
281 ss.
Più in generale, sul sistema dell’illecito amministrativo, v. J. BOHNER,
OWiG. Kommentar zum Ordnungswidrigkeitenrecht, Beck, München, 2007;
E. GÖHLER – F. GÜRTLER – H. SEITZ, Gesetz über Ordnungswidrigkeiten,
Beck,
München,
2009;
M.
LEMKE
–
A.
MOSBACHER,
Ordnungswidrigkeitengesetz. Kommentar, Müller, Heidelberg, 2005; L.
SENGE – K. BOUJONG, Karlsruher Kommentar zum Gesetz über
Ordnungswidrigkeiten, Beck, München, 2006.
162
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Ciò, probabilmente, si pone in linea anche con l’opzione
legislativa che, recentemente, ha optato per un’ampia tutela
della libertà di stampa, valore costitutivo della democrazia
tedesca. Il 25 agosto 2010 è stato approvato un disegno di legge
volto a tutelare i giornalisti nell’ambito della diffusione di
informazioni riservate o segreti istruttori escludendo la
punibilità per concorso nella violazione del segreto su notizie
riservate di cui all’art. 353b StGB.
La scarsa propensione verso la configurabilità di una
specifica responsabilità dell’impresa editoriale derivante da
reato trova, probabilmente, una sua giustificazione nella
riluttanza, come precisato per il sistema francese, a cumulare la
responsabilità del direttore – già discutibile in quanto
contrastante con il principio di personalità dell’illecito – e quello
dell’impresa editoriale. Il timore di una eccessiva repressione
della libertà di stampa e la necessità di garantire
un’informazione quanto più ampia possibile sembrano costituire
la ragione per la quale gli ordinamenti stranieri appaiono restii
verso l’introduzione di una peculiare responsabilità delle
imprese giornalistiche.
7. B) I sistemi di common law: a) l’ordinamento inglese.
Nell’ordinamento inglese, in cui il termine “persona”
comprende anche gli enti (64), oggi si ammette pacificamente la
responsabilità penale di tali soggetti. Non esiste un elenco dei
reati di cui l’ente può essere chiamato a rispondere e per
l’individuazione dei rispettivi limiti è possibile fare riferimento a
quella giurisprudenza secondo la quale l’ente non potrebbe
essere considerato responsabile dei reati al cui verdetto di
colpevolezza non potrebbe seguire la condanna ad una pena
(64) Ciò si deve ad una disposizione dell’Interpretation Act del 1889
confluita poi nel vigente Interpretation Act del 1978.
163
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
effettiva e di quei reati che per loro natura non possono essere
commessi da un ente (65). Si rimette al giudice, pertanto, la
decisione di stabilire quali sono gli illeciti per i quali una
persona giuridica può essere chiamata a rispondere. In dottrina
vi è, poi, chi ha ulteriormente precisato che non tutti i reati sono
ascrivibili alla persona giuridica, ma solo i reati economici e i
c.d. regulatory offences (66). In tale ambito rientrano disposizioni
a tutela del consumatore, norme relative alla corretta gestione
degli affari, disposizioni in materia di commercio, di sicurezza
pubblica, di ambiente. Al fine di individuare quali reati possono
essere ascritti agli enti la distinzione tra regulatory offences e
convenzional o meanstream offences (cioè i reati tradizionali
come l’omicidio, il furto, la violenza sessuale) costituisce, quindi,
uno
strumento
difficilmente
rinunciabile
da
parte
dell’interprete. In ogni caso, in Inghilterra sembra essere
maggiormente avvertita la necessità di intervenire penalmente
proprio in quei settori, come quelli dell’ambiente e dell’economia,
all’interno dei quali la criminalità d’impresa presenta un
maggiore sviluppo, mentre nessun riferimento è dato rinvenire
al settore giornalistico.
Non è possibile passare in rassegna i criteri di
attribuzione della corporate liability. Basti qui ricordare
l’impossibilità di individuare un unico criterio di imputazione di
tale responsabilità essendo rinvenibili, oltre alla vicarious
liability correlata alle strict liability offences, anche la doctrine
of identification relativa alle mens rea offences. Ma non solo.
Occorre inoltre tenere in considerazione anche i criteri di
(65) Cosi S. VINCIGUERRA, Diritto penale comparato. I principi, Cedam,
Padova, 2002, 229, il quale richiama la pronuncia R. v. I.C.R. Haulage Ltd.
[1944] K.B. 551. La pronuncia, tra i reati difficilmente ascrivibili all’ente,
faceva riferimento anche alla falsa testimonianza, ma l’A. esprime a tal
proposito qualche riserva.
(66) C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato, cit., 146. In particolare si rinvia a C. HARDING, Criminal liability of corporations – United Kingdom, in La
criminalisation du comportement collectif, a cura di H. De Doelder – K.
Tiedemann, Kluwer law international, The Hague, 1996, 371 ss.
164
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
responsabilità diretta dell’ente elaborati, ad esempio, nel settore
della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente. Vale la pena di
ricordare, però, che in origine, grazie alla vicarious liabilty – la
quale, in deroga al principio di responsabilità per fatto proprio
ammette che un soggetto possa essere chiamato a rispondere per
un reato commesso da un altro agente sottoposto al suo controllo
– la giurisprudenza anglosassone ha intrapreso l’elaborazione
dello schema concettuale della responsabilità delle corporations.
In particolare, proprio in materia di criminal libel i giudici
chiamavano a rispondere l’editore per la pubblicazione
diffamatoria posta in essere dal dipendente, a prescindere dalla
prova della diligenza del comportamento dell’editore stesso e
solo con il Libel Act del 1843, sez. 7, si stabilì che questi potesse
provare la propria estraneità al fatto. Tra i primi reati di cui si
ritenne possibile chiamare a rispondere vicariously la
corporation figurava, oltre alla public nuisance (67) e ai reati in
materia di regulatory legislation, proprio la criminal libel, in
quanto reato interpretato secondo la struttura della strict
liability.
Tuttavia, la depenalizzazione dei reati di defamation,
sedition and seditious libel, defamatory libel, obscene libel ,
intervenuta ad opera dell’art. 73 del Coroners and Justice Act
del 12 novembre 2009, non ci consente di proseguire
ulteriormente nell’esame della responsabilità penale delle
persone giuridiche nel sistema inglese, poiché l’impresa
giornalistica non potrà essere chiamata a rispondere
penalmente in seguito alla commissione di un reato inerente
all’attività di stampa, quale la diffamazione e i reati appena
richiamati.
(67) In particolare l’ente fu ritenuto responsabile e condannato al
pagamento di pene pecuniarie nelle ipotesi di condotte omissive poste in
essere da suoi dipendenti. A tal proposito v. R. v. Birmingham and Gloucester
Railway Co. (1842) 3 Q.B. 223; R. v. Great Nord of England Railway Co.
(1846) 9 Q.B. 315; The Queen v. Stephens (1865-66) 1 Q.B. 702.
165
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
8. (Segue): b) il sistema statunitense.
Nell’accostarci ad esaminare le caratteristiche della
responsabilità penale degli enti nel sistema statunitense e nel
verificare quali siano i reati che possono condurre ad una loro
responsabilità occorre preliminarmente tenere in considerazione
una fondamentale distinzione tra le soluzioni adottate dalla
State Jurisdiction e dalla Federal Jurisdiction, all’interno delle
quali la natura e la stessa struttura della responsabilità penale
degli enti presenta caratteristiche distinte. Per quanto concerne
l’ordinamento statale, il Model Penal Code del 1962, al § 2.07,
prescrive la vicarious liability della società per le violazioni
amministrative punite con la multa, con la confisca o con altra
sanzione civile. A proposito delle condotte penalmente illecite, il
Model Penal Code contempla tre sistemi di responsabilità penale
degli enti derivante da un ristretto catalogo di reati, ma si tratta
di un modello che ha trovato scarsa applicazione in
giurisprudenza e che è stato oggetto di profonde critiche da
parte della dottrina statunitense che si è posta il problema
dell’esistenza di una colpevolezza delle persone giuridiche (68). Si
(68) Per una puntuale descrizione dell’evoluzione dottrinale in materia
si rinvia a C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato, cit., 25, ss.
L’ente sarà responsabile solo se il reato è stato commesso, autorizzato
o tollerato dagli high manager, dirigenti o dai manager di vertice che
ricoprono la funzione di rappresentanza del soggetto collettivo (c.d. primary
liability). Sotto tale aspetto vi è, pertanto piena coincidenza con il modello
inglese in quanto la responsabilità dell’ente potrà prospettarsi solo nel caso in
cui la persona fisica autrice del reato, ricoprendo un ruolo di vertice,
costituisca l’alter ego della persona giuridica. A proposito del triplice sistema
di responsabilità degli enti delineato nel Model Penal Code il primo concerne
i reati più gravi di frode, sottrazione di beni altrui e manslaughter; un altro
riguarda alcuni reati minori, come le frodi di minore gravità e il price-fixing
(l’accordo anticoncorrenziale rivolto ad abbassare in modo significativo il
prezzo di un prodotto al fine di escludere illegittimamente alcuni concorrenti
dal mercato) ed, infine, il terzo trova applicazione nelle ipotesi in cui venga
166
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
è così pervenuti all’elaborazione dei primi modelli standardizzati
di codici comportamentali diretti alle corti federali: le Federal
Sentencing Guidelines del 1991, con cui il legislatore ha assunto,
tra l’altro, una netta presa di posizione proprio sulla
colpevolezza della organizzazione. I reati per i quali sorge la
responsabilità della corporation sono indicati al loro interno (69).
La corporation potrà essere destinataria di misure riparatorie e,
per certi aspetti, rieducative, (quali la restitution, i remedial
orders, il community service, il probation, la adverse publicity)
in seguito alla commissione di qualsiasi delitto o di quelle
contravvenzioni indicate nel § 8 A 1.1 delle Federal Sentencing
Guidelines. Mentre, la pena pecuniaria (fine), che si caratterizza
commesso un illecito o una violazione cui la legge impone la strict liability del
soggetto autore del reato.
(69) È nel 1991 che vengono pubblicate a cura dell’Agenzia
indipendente United States Sentencing Commission. La finalità di tali
modelli era di incentivare l’adozione di meccanismi interni di legal auditing,
cioè di un reticolo di informazioni e controlli diretti ad impedire, anche
mediante la fissazione di specifiche regole di condotta dell’ente, la
realizzazione di determinati reati. Più che criterio di attribuzione della
responsabilità dell’ente per il reato commesso, esse fungono da criterio di
commisurazione della pena cui il giudice può fare riferimento nell’irrogazione
delle sanzioni destinate all’ente. Il testo delle Federal sentencing guidelines è
rinvenibile in Dir. comm. int., 1998, 479 o in Federal Sentencing Guidelines
Manual. United States Sentencing Commission, West Group, 2007. Va
comunque precisato che, di recente, la United States Sentencing Commission
ha reso nota una bozza di modifica delle Federal sentencing guidelines (in
www.ussc.gov).
In dottrina, G. CAPECCHI, Le sentencing guidelines for organizations e
i profili di responsabilità delle imprese nell’esperienza statunitense , in Dir.
comm. internaz., 1998, 465. Più in generale, sulla responsabilità degli enti
negli Stati Uniti: E.M. Wise, Criminal liability of corporations – USA, in La
criminalisation du comportement collectif, a cura di H. De Doelder – K.
Tiedemann, Kluwer law international, The Hague, 1996, 383, ss.; M. BECK –
M. O’BREIN, Corporate criminal liability, in American Criminal Law Review,
2000, 37; J. POLING – K. WHITE, Corporate criminal liability, in American
Criminal Law Review, 2001, 525; GIGLIOLI, La responsabilità penale delle
persone giuridiche negli Stati Uniti, in Cass. pen. 2003, suppl. fasc. 6, 47.
167
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
per un chiaro obiettivo punitivo e che può giungere sino alla
forma della incapacitation fine (70), è riservata esclusivamente a
quei reati indicati nel § 8 C 2.1 (a). Si tratta di un numero di
reati estremamente vasto, restandone esclusi solo i reati
ambientali, il controllo delle esportazioni, i reati in materia
alimentare, di agricoltura e di stupefacenti (71). I reati di stampa
risultano, quindi, compresi tra quelli che potrebbero
determinare una responsabilità dell’impresa di informazione,
ma anche qui la libertà di espressione – che costituisce cardine
del sistema delle libertà fondamentali del sistema statunitense –
è talmente ampia da non indurre la giurisprudenza ad assumere
un atteggiamento “censorio”, fatta eccezione per i casi di
pubblicazione di materiale pornografico o osceno.
9. L’interesse o il vantaggio dell’impresa giornalistica
derivante dal reato del giornalista.
Qualora tra i reati-presupposto venissero inseriti quelli
posti in essere dal giornalista nell’esercizio della sua attività in
seno all’impresa giornalistica occorrerebbe, sempre in un’ottica
de iure condendo, verificare se le condizioni di imputabilità
all’ente della responsabilità amministrativa siano riferibili
anche a tale tipologia di impresa.
L’ art. 5 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, dispone che l’ente
collettivo è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o
a suo vantaggio, responsabilità che andrà esclusa se il reato è
commesso nell’interesse esclusivo dei soggetti che lo hanno posto
in essere, ovvero nell’interesse di terzi. A tal proposito, la
Cassazione ha precisato che si tratta dell’ipotesi in cui il reato
(70) Cioè l’ammontare della pena pecuniaria fissato dal giudice ha un
ammontare talmente elevato da comportare la paralisi dell’attività di
impresa e determinarne, così, l’estinzione.
(71) C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato, cit., 74.
168
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
della persona fisica non sia in alcun modo riconducibile all’ente
in quanto non realizzato, neppure in parte, nel suo interesse e
che in tal caso la responsabilità dell’ente andrebbe esclusa in
quanto verrebbe meno la possibilità di muovere un rimprovero
all’ente stesso mancando lo stesso schema di immedesimazione
organica (72). Sebbene la formulazione della disposizione de qua
con il ricorso all’espressione «nell’interesse o a vantaggio
dell’ente» sembra dar adito a qualche dubbio interpretativo circa
la presenza di un’endiadi rafforzativa o, invece, di due termini
atti ad indicare due concetti giuridicamente differenti, appare
condivisibile la posizione assunta da quella giurisprudenza che
ha optato decisamente per la seconda interpretazione. Secondo
la Cassazione, in particolare, i termini “interesse” e “vantaggio”
riguardano concetti giuridicamente diversi, «potendosi
distinguere un interesse “a monte” per effetto di un indebito
arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in
conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obiettivamente
conseguito con la commissione del reato, seppure non
prospettato “ex ante”, sicchè l’interesse ed il vantaggio sono in
concorso reale» (73).
Se il concetto di vantaggio va riferito alla concreta
acquisizione di una utilità economica per l’ente e va valutato ex
post, il concetto di interesse si riferisce solo alla finalizzazione
della condotta illecita verso l’utilità economica, a prescindere dal
(72) Cass. pen. Sez. VI, 23.6.06, La Fiorita soc. coop. a.r.l., in Cass.
pen., 2007, 80.
(73) Cass. pen. Sez. II, 20.12.2005, Jolly Mediterraneo s.r.l., in Cass.
pen., 2007, 74. Anche la prevalente dottrina ha optato per tale lettura: A.
ASTROLOGO, Brevi note sull’interesse ed il vantaggio nel d.lgs. 231/2001, in
Ind. pen. 2003, 657; O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito
punitivo, in AA. VV., Reati di responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi,
Giuffrè, Milano, 2005, 62. Non mancano, comunque, autorevoli opinioni
secondo cui la formulazione normativa di cui si discute rappresenta un’inutile
ridondanza: C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato, cit., 2002; D. PULITANÒ, La
responsabilità “da reato” degli enti: i criteri di imputazione , in Riv. it. dir.
proc. pen., 2002, 425.
169
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
fatto che essa venga poi effettivamente conseguita, e va valutato
ex ante (74). L’interpretazione che considera differenti i concetti
di cui si discute sembra trovare conferma nel successivo art. 12,
comma 1, lett. a) del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che tra i casi
di riduzione della sanzione pecuniaria e di esclusione della
sanzione interdittiva fa riferimento proprio all’ipotesi in cui
l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse
proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato un vantaggio o ne
ha ricavato un vantaggio minimo. Sembre, pertanto, possibile
che il reato possa essere commesso nell’interesse dell’ente e che
quest’ultimo non ne ricavi alcun vantaggio o ne ricavi un
vantaggio minimo.
Fatte queste necessarie precisazioni, ai fini della tematica
in questa sede affrontata è indispensabile chiedersi quali
situazioni, nell’ambito dell’impresa giornalistica, siano
suscettibili di rientrare nell’una e nell’altra nozione. Tali
requisiti, a dire il vero, non sembrano porre particolare difficoltà
nello specifico settore che ci interessa. Innanzitutto perché la
(74) Non tuta la dottrina è concorde su tale interpretazione. In
particolare, vi è chi ritiene che, ai fini dell’imputazione del fatto illecito
all’ente, la valutazione ex post concernente la ricaduta a vantaggio
dell’interesse collettivo non possa considerarsi un criterio soddisfacente, essa,
infatti, potrebbe presentarsi come conseguenza del reato in via del tutto
eventuale ed occasionale. Invece, il criterio dell’interesse sarebbe
maggiormente significativo dal punto di vista dell’ascrizione della
responsabilità perché una condotta posta in essere nell’interesse di un ente «è
geneticamente motivata»: A. FIORELLA, Principi generali e criteri di
imputazione all’ente della responsabilità amministrativa, in A. FIORELLA – G.
LANCELLOTTI, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, Giappichelli,
Torino, 2004, 6.
Inoltre, è stato osservato che occorrerebbe comunque prestare
particolare attenzione al requisito del vantaggio non identificandolo
automaticamente con quell’utilità di carattere economico che l’ente ottiene in
seguito alla commissione di un reato; in particolare, non dovrebbe
sottovalutarsi l’inidoneità del fatto di reato a rispecchiare dati riconducibili
all’atteggiamento complessivo dell’ente. Così, N. SELVAGGI, L’interesse
dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato ,
Jovene, Napoli, 2006, 26.
170
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
responsabilità
dell’impresa
giornalistica
avrebbe
come
presupposto illeciti a connotazione dolosa; maggiori difficoltà
potrebbero, semmai, prospettarsi se l’eventuale responsabilità
della persona giuridica dovesse fondarsi su una condotta colposa
della persona fisica (75). Certamente può considerarsi posta in
essere nell’interesse dell’ente quella condotta criminosa
conforme ad una politica d’impresa che persegue il massimo
profitto adoperando strumenti illeciti: una condotta conforme,
cioè, ad una ben precisa logica imprenditoriale attraverso la
quale l’ente ha scelto di operare sul mercato. Nel settore
giornalistico tale situazione può ricorrere qualora le condotte
penalmente rilevanti poste in essere dal giornalista siano
frequenti, non rappresentando condotte sporadiche frutto di
autonome iniziative del singolo ma emblema di una vera e
propria politica di impresa cui il giornalista obbedisce. Ma
potrebbero profilarsi ulteriori ipotesi.
Si potrebbe prospettare anche il caso in cui il giornalista
ponga in essere una condotta penalmente rilevante che
comunque non rientri nella politica d’impresa adottata dall’ente
all’interno del quale questi presta la propria opera professionale.
Ma, anche in tal caso, l’impresa giornalistica non potrebbe
andare esente da
responsabilità adducendo che il
comportamento illecito del giornalista, frutto di una sua
personale iniziativa, non risulti conforme alle linee guida che
(75) Così come accade per le ipotesi di cui all’art. 25-septies di cui al
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in tema di “Omicidio colposo o lesioni gravi o
gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e
sicurezza sul lavoro”.
La prima sentenza di condanna della persona giuridica per omicidio
colposo e lesioni personali colpose commesse in violazione delle norme sulla
tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro è stata pronunciata
dal Tribunale di Trani, 11.1.2010, in Soc., 2010, 1116. I profili dell’interesse e
del vantaggio - considerati come criteri funzionalmente autonomi e
alternativi di imputazione oggettiva del fatto di reato - sono stati valutati in
relazione alla sola condotta colposa del fatto di reato, che assume rilevanza se
può essere tradotta in un risparmio di costi per la società.
171
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
l’ente ha inteso seguire. La responsabilità dell’impresa
giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, potrebbe essere
esclusa solo laddove venisse provato che la commissione del
reato è stata resa possibile da una fraudolenta elusione dei
meccanismi di prevenzione o che non vi sia stata una
inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza con
l’adozione di un efficace modello di organizzazione, gestione e
controllo.
È possibile, infine, che il giornalista agisca avendo come
obiettivo non solo l’interesse dell’ente ma anche il proprio o
quello di terzi soggetti. Si pensi all’ipotesi in cui nell’ambito di
uno scoop giornalistico di grosso rilievo il giornalista offenda
dolosamente la reputazione di alcuni dei soggetti coinvolti. Il
fine perseguito dal giornalista potrebbe essere non solo quello di
aumentare la tiratura della testata giornalistica ma anche
quello di consentire un’accelerazione della propria carriera. Si è
evidentemente in presenza di un deficit organizzativo che ha
consentito al giornalista di porre in essere la violazione della
norma penale: l’impresa giornalistica non è stata in grado di
adottare quegli strumenti gestionali necessari ad evitare che
mediante comportamenti penalmente rilevanti si perseguissero i
suoi interessi economici.
Per quanto concerne, poi, il vantaggio derivante dalla
commissione di un reato ad opera dei soggetti indicati all’art. 5
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è sufficiente precisare che questo si
identifica in una utilità patrimoniale a favore dell’impresa
giornalistica. Tuttavia, un’ulteriore puntualizzazione si rende
necessaria. Dal momento che oggi le principali imprese editoriali
italiane sono organizzate in gruppi di società (76) – che in molti
(76) I gruppi di società sono definibili aggregazioni di imprese
sottoposte ad una guida unitaria: «ad un’unica impresa sotto il profilo
economico corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico tante quante
sono le società facenti parte del gruppo»: G.F. CAMPOBASSO, Diritto delle
società, Utet, Torino, 2008, 286.
In dottrina sui gruppi di società v.: JAEGER, I “gruppi” fra diritto
interno e prospettive comunitarie, in Giur. comm., 1980, I, 916; F. GALGANO,
172
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
casi prevedono anche partecipazioni estere – un accenno merita
la questione inerente alla possibilità di applicare la normativa di
cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a tali gruppi, e alla possibilità
di configurare un vantaggio rilevante ai fini della responsabilità
dell’impresa giornalistica anche nell’ambito dei rapporti tra
controllante e controllata. A differenza del progetto Grosso –
dove è rinvenibile un espresso riferimento ai gruppi di società –
il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, tace sulla possibile ascrizione di
responsabilità alla società capogruppo. Occorre rilevare che, se
da un punto di vista economico, il gruppo costituisce oggetto di
valutazione unitaria, sul piano giuridico invece non può dirsi lo
stesso. Il legislatore, infatti, ha preferito attribuire rilievo non
tanto al gruppo quanto, invece, alle singole realtà che del gruppo
fanno parte. Del resto, non si è nemmeno proceduto alla
positivizzazione del concetto di gruppo e l’unica disposizione di
riferimento è costituita dal terzo comma dell’art. 2359 c.c. che si
occupa di specificare la nozione di controllo. All’interno di un
gruppo di imprese la holding - che detiene in tutto o in
maggioranza le azioni o le quote delle società che operano nei
diversi settori di attività o nelle distinte fasi del processo
produttivo, esercitando, in tal modo, il governo del gruppo spesso assume un ruolo di gestione strategica, attribuendo alle
società controllate funzioni essenzialmente operative, con il
rischio di scaricare verso il basso la responsabilità sanzionatoria
della controllante sulla controllata, richiamandosi così, per certi
aspetti, la simile problematica che si pone per le persone fisiche
in materia di delega di funzioni.
Come anticipato, tra le innumerevoli questioni che
emergono dalla disciplina concernente i gruppi di società, quella
dei rapporti tra società controllante e sue controllate involge la
I gruppi di società, in Le società, Trattato diretto da F. Galgano, Utet, Torino,
2001; G. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative,
Utet,, Torino, 2003, 77 ss.; R. RORDORF, I gruppi nella recente riforma del
diritto societario, in Le Società, 2004, 538; U. TOMBARI, Riforma del diritto
societario e gruppo di imprese, in Giur. comm., 2004, I, 61.
173
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
necessità di verificare se un illecito penale posto in essere da un
soggetto che opera all’interno di una società controllata sia
effettivamente idoneo a determinare un vantaggio nei confronti
della società controllante o se tale illecito, finalisticamente
orientato a favorire la capogruppo, sia stato commesso nel suo
interesse. In sede cautelare parte della giurisprudenza ha
proceduto ad interpretare estensivamente il primo comma
dell’art. 5 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ed ha affermato che
l’illecito commesso nell’ambito della società controllata possa
essere addebitato anche alla controllante, allorché ricorra un
interesse comune, individuabile anche nella semplice
prospettiva della partecipazione agli utili. Secondo tale lettura,
l’effettiva ripartizione degli stessi, ai fini dell’affermazione della
responsabilità amministrativa della controllante, non sarebbe
necessaria, dal momento che la responsabilità sarebbe
configurabile per il solo fatto che la commissione del reatopresupposto sia stata indirizzata al perseguimento di
quell’interesse, a prescindere dal vantaggio effettivamente
conseguito (77).
Anche le ulteriori problematiche prospettabili non sono di
poco conto. Infatti, oltre alla nozione di interesse e vantaggio,
nell’ambito del gruppo ci si potrebbe altresì soffermare sulla
ripartizione delle responsabilità e corresponsabilità in senso
orizzontale (fra società partecipate) e verticale (fra partecipata e
holding); sull’eventuale obbligo della capogruppo di vigilanza
sulle società controllate; sull’elaborazione di linee-guida della
capogruppo per la definizione dei modelli delle società del
gruppo; sulla prevenzione dei fenomeni di “migrazione” della
responsabilità penale. Le questioni sin qui accennate
(77) Così: Trib. Milano, 20.9.2004, Soc. Ivri Holding e altre, in Foro it.,
2005, II, 528 e in Guida al dir., 2004, n. 47, 69, con nota di G.P. DEL SASSO,
Sospesi gli effetti dirompenti delle misure cautelari ma restano dubbi sui
modelli per prevenire i reati; Trib. Milano, 14.12.2004, Soc. Cogefi, in Foro it.,
2005, II, 527 ss.
174
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
caratterizzano anche i gruppi editoriali (78). Le società del
gruppo, però, sono già destinatarie della normativa di cui al
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e, come tali, “protagoniste” attuali
delle problematiche che ruotano attorno a tale complesso
normativo. Certo, il suggerito ampliamento del catalogo dei
reati-presupposto
ai
reati
commessi
dai
giornalisti
incrementerebbe le occasioni in cui tali questioni potrebbero
prospettarsi; ma si tratterebbe comunque di problemi aventi
carattere generale e non esclusivamente riferibili ai gruppi
editoriali. Anche qui spetterà alla giurisprudenza accertare, caso
per caso, le ipotesi in cui i reati posti in essere dal giornalista
all’interno di una società controllata, che svolge attività
editoriale, possano considerarsi commessi nell’interesse o a
vantaggio della controllante – che potrebbe svolgere anche
attività diverse da quella editoriale – e determinare, così, la
responsabilità amministrativa di quest’ultima.
10. I soggetti in posizione apicale e sottoposti all’altrui
direzione all’interno dell’impresa giornalistica.
Com’è noto, il sistema di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n.
231, “disegna” la responsabilità dell’ente in modo differenziato a
seconda che l’autore del reato sia un soggetto in posizione
apicale ovvero un soggetto sottoposto all’altrui direzione. Nel
caso di commissione di un reato da parte del primo si avrà
un’inversione dell’onere della prova: sarà l’ente che dovrà fornire
la prova dell’adozione di misure idonee a prevenire la
commissione di reati. Nel caso in cui invece il reato sia stato
(78) I principali gruppi editoriali operanti in Italia sono i seguenti:
Gruppo l’Espresso; RCS Mediagroup; Arnoldo Mondadori Editore;
Caltagirone Editore S.p.a.; ITEDI S.p.a.; Gruppo Monti Riffeser; Hachette
Rusconi; Cairo Communication; Gruppo Il Sole 24 Ore; Gruppo Classeditori;
Gruppo Angelucci. Molti gruppi fanno riferimento ad azionisti esteri essendo
raro, invece, il fenomeno opposto.
175
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
commesso da persona sottoposta altrui direzione, non è prevista
alcuna inversione dell’onere della prova, restando a carico del
pubblico ministero l’onere di provare la sussistenza di un deficit
di sorveglianza o di organizzazione che ha reso possibile la
realizzazione di una condotta penalmente illecita.
Sulla questione dell’inversione dell’onere della prova va
segnalato un recente disegno di legge – “Modifiche al decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231, concernente la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni anche prive di personalità giuridica” (79) – che
prevede lo spostamento dell’onere della prova dell’inadeguatezza
e dell’inefficacia del modello a carico della pubblica accusa anche
quando il reato sia commesso da un soggetto apicale. Nella
relazione al disegno di legge si evidenzia che la difficoltà
probatoria derivante dalla previsione dell’onere della prova in
capo all’ente determina un aumento in maniera esponenziale
della situazione di incertezza del diritto nuocendo a quelle
imprese che hanno investito risorse anche nell’organizzazione di
un sistema di controllo. Sul punto, allora, si propone di
modificare l’approccio verso il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231,
mutuandolo da quello posto alla base del D.lgs. 9 aprile 2008, n.
81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro il quale, all’articolo 30, prevede - tra l’altro - che
l’onere della prova della colpevolezza sia posto a carico della
pubblica accusa (80).
(79) Disegno di legge C 3640, presentato il 19.7.2010 alla Camera ed il
cui testo è rinvenibile su www.camera.it.
(80) Il testo del comma come andrebbe sostituito secondo quanto
previsto dal disegno di legge è il seguente: «se il reato è stato commesso dalle
persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), ai fini della
responsabilità amministrativa dell’ente la pubblica accusa deve dimostrare
che:
a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della
commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi;
176
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Secondo quanto previsto dall’attuale formulazione del
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, appartengono alla categoria dei
soggetti in posizione apicale coloro che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di
b) il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli e di
curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente
dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b), nell’ambito degli enti di
interesse pubblico economico di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 27
gennaio 2010, n. 39: 1) deve essere nominato dall’assemblea dei soci a
maggioranza semplice; 2) deve avere natura collegiale; 3) almeno un membro
dell’organismo di vigilanza deve essere scelto tra soggetti esterni all’ente e
dotati delle stesse caratteristiche di indipendenza di cui all’articolo 2399 del
codice civile;
d) in tutte le società o enti in cui è nominato un organismo di vigilanza ai
sensi della lettera b): 1) deve essere data apposita comunicazione della
nomina dell’organismo di vigilanza al registro delle imprese entro trenta
giorni a cura degli amministratori; 2) l’organismo di vigilanza deve riferire
annualmente all’assemblea in merito al suo operato con apposita relazione da
presentare in occasione dell’approvazione del bilancio;
e) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di
organizzazione e di gestione;
f) vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di
vigilanza di cui alla lettera b)».
Per completezza, occorre precisare che il disegno di legge in discorso
prevede altresì - sempre in riferimento all’art. 6 del D.lgs. 8 giugno 2001, n.
231 - l’inserimento di un comma 2-bis secondo il quale «nelle società indicate
al comma 1, lettera c), numero 1), i modelli organizzativi di cui alla lettera a)
del medesimo comma 1 devono essere approvati con delibera dell'assemblea
ai sensi dell'articolo 2364, primo comma, numero 5), del codice civile, adottata
a maggioranza semplice» e la sostituzione del terzo comma del medesimo
articolo: «fino a prova contraria, si presumono aver efficacia esimente dalla
responsabilità amministrativa degli enti i modelli di organizzazione e di
gestione definiti conformemente alle indicazioni contenute nelle linee guida
ovvero nei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative
dei medesimi enti e comunicati al Ministero della giustizia secondo modalità
stabilite dal medesimo Ministero. Il Ministero della giustizia, di concerto con
i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni dalla
comunicazione di cui al periodo precedente, osservazioni sulla idoneità delle
linee guida o dei codici di comportamento».
177
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale, nonché le persone che esercitano, anche di fatto, la
gestione e il controllo dell’ente stesso. Mentre i soggetti in
posizione subordinata vengono identificati in coloro che sono
sottoposti alla direzione o vigilanza dei soggetti in posizione
apicale, si tratterebbe, pertanto, dei lavoratori subordinati così
come definiti dagli artt. 2094 e 2095 c.c.
Nel settore dell’impresa giornalistica occorrerà, allora,
interrogarsi circa il ruolo che i giornalisti ricoprono all’interno
della stessa ai fini di una loro qualificazione come soggetti
apicali o sottoposti all’altrui direzione.
Se per i caporedattori, i caposervizio, i redattori, non
sembrano porsi particolari problemi in ordine alla loro
qualificazione quali soggetti in posizione subordinata, maggiore
attenzione occorre rivolgere alla figura del direttore
responsabile. Il contratto nazionale di lavoro giornalistico,
relativo al quadriennio 1 aprile 2009 – 31 marzo 2013, all’art. 6,
ultimo comma, definisce direttore, condirettore e vicedirettore
figure apicali appartenenti alla categoria massima dei
dipendenti prevista dal codice civile.
Il primo passo da compiere consiste nel verificare se la
posizione di direttore responsabile sia sussumibile sotto quella
del «direttore» descritta da detto contratto o se invece vada da
questa distinta.
Data l’esistenza di un rapporto di lavoro con l’ente di
appartenenza, sembrerebbe naturale optare per la qualifica di
prestatore di lavoro subordinato e, come tale, inquadrabile tra i
soggetti in posizione subordinata ex art. 5 lett. b) D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231. La giurisprudenza, invece, sembra essere di
diverso avviso ed ha infatti precisato che il mero conferimento
dell’incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi
dell’art. 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, con la relativa
indicazione dello stesso nel periodico, non comporta di per sè
l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, essendo a
tal fine necessario che in capo alla stessa persona chiamata ad
assolvere questa funzione di carattere pubblicistico si cumulino
178
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
altri e diversi compiti di svolgimento dell’attività giornalistica ed
in particolare di funzione direttoriale esercitata in regime di
subordinazione da dimostrare provando l’inserimento del
lavoratore nell’organizzazione editoriale. In tale seconda ipotesi,
il direttore responsabile dello stampato resta assoggettato come avviene nel normale rapporto di lavoro subordinato - al
potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro (81).
A questo punto sembra opportuno richiamare le riflessioni
di quella dottrina che, prendendo atto della difficoltà di
attribuire un concreto significato alla “funzione di direzione”, cui
fa riferimento l’art. 5 lett. a) D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ha
osservato che sul piano giurisprudenziale si è proceduto a
distinguere tra le figure di direttore, dirigente e impiegato con
funzioni direttive proprio sulla base dell’ampiezza dei poteri di
cui ciascun soggetto risulta essere in concreto titolare (82). In
particolare, quando tali poteri «riguardino l’intera azienda si
avrebbe la figura del direttore generale; quando riguardino
l’intera azienda o un ramo della stessa si avrebbe la figura del
dirigente (ulteriormente caratterizzato dal fatto di essere un
intermediario tra l’imprenditore e il personale); quando manchi
invece la capacità di influenzare con le proprie azioni l’intera
azienda si avrebbe la figura del mero impiegato con funzioni
direttive» (83). Tali osservazioni appaiono utili ai fini di una
corretta qualifica del direttore di giornale, ex art. 5 D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231, perché – oltre al direttore e al dirigente –
sembra possibile riconoscere il ruolo apicale anche all’impiegato
con funzioni direttive «ove l’attività coinvolta nell’illecito sia
(81) Cass. civ. Sez. lav. 4.9.2000, Veo c. Edizioni Cioè, in Dir. & Giust.,
2000, 35, 46.
(82) A. BASSI – T. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato.
Accertamento, sanzioni e misure cautelari, Giuffrè, Milano, 2006, 149; G. DE
VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche , in Trattato di diritto
penale, diretto da C.F. Grosso – T. Padovani – A. Pagliaro, Giuffrè, Milano,
2008, 152.
(83) A. BASSI – T. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, cit., 149.
179
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
quella in cui egli abbia effettivo potere direttivo» (84). Se così è,
allora, anche se al direttore di giornale non si volesse riconoscere
il ruolo di dirigente, sembra comunque possibile riconoscergli i
poteri di un impiegato con funzioni direttive e quindi attribuirgli
il ruolo di soggetto apicale ex art. 5 lett. a) D.lgs. 8 giugno 2001,
n. 231. A proposito della qualificazione di direttore responsabile
come dirigente, la giurisprudenza suggerisce di procedere a
valutazioni caso per caso poiché «la coincidenza della figura del
direttore responsabile con quella di dirigente va accertata di
volta in volta in relazione alle mansioni in concreto svolte.
Sicché è dirigente, ai sensi dell’art. 2095 c.c., il direttore di
testata la cui attività è caratterizzata da autonomia e
discrezionalità delle decisioni e dall’assenza di una vera e
propria dipendenza gerarchica, nonché dall’ampiezza delle
funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di
un suo ramo autonomo» (85).
Anche per tali ragioni non sembra opportuno inserire
l’art. 57 c.p. tra i reati-presupposto della responsabilità
amministrativa dell’ente. Infatti, volendo esemplificare, qualora
si verificasse un episodio diffamatorio riconducibile ad una
condotta dolosa di un giornalista in posizione subordinata
(redattore
capo,
capo
servizio,
redattore
ordinario),
nell’accertamento della responsabilità dell’impresa giornalistica
ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, come attualmente formulato,
(84) A. BASSI – T. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, cit., 149.
(85) Cass. civ. Sez. lav., 9.7.2001, Sabelli Fioretti c. Soc. Rusconi Ed.,
in Corriere giur., 2001, 1277. La Suprema Corte ha così confermato la
sentenza dei giudici di primo grado che avevano riconosciuto natura
dirigenziale all’attività svolta da un direttore responsabile di un periodico a
diffusione nazionale, ritenendo rilevante a tal fine che dipendessero
interamente da lui la qualità e i risultati del prodotto editoriale, la direzione
di una redazione composta da circa quindici persone, la scelta dei
collaboratori esterni e del personale da assumere e la non subordinazione
gerarchica all’editore; essendo irrilevante che, in sede d’assunzione, l’editore
si fosse riservato il controllo dell’indirizzo politico e della linea editoriale della
testata, appartenendo pur sempre al datore di lavoro il potere di emanare
direttive programmatiche di indirizzo ed orientamento aziendale.
180
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
sarà il pubblico ministero a dover provare la sussistenza di un
deficit di sorveglianza o di organizzazione che ha reso possibile
la realizzazione di quella condotta penalmente illecita. Ma se in
seguito a quel medesimo episodio diffamatorio si accerta la
responsabilità colposa del direttore ex art. 57 c.p. per omesso
controllo sulla pubblicazione, sarà l’ente a dover fornire la prova
dell’adozione di misure idonee a prevenire la commissione del
reato di omesso controllo in quanto il direttore è, con tutta
probabilità, annoverabile tra i soggetti in posizione apicale.
Poiché l’omesso controllo del direttore costituisce una fattispecie
autonoma di reato posta in essere da un soggetto in posizione
apicale, sull’ente graverebbe quella che da molti è stata definita
una probatio diabolica per un reato di cui il direttore quasi
sempre viene automaticamente considerato responsabile.
11. I modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei
a prevenire i reati-presupposto.
I modelli di organizzazione, gestione e controllo «idonei a
prevenire i reati della specie di quello verificatosi»
rappresentano il punto nodale dell’intero sistema della
responsabilità amministrativa degli enti. Sebbene lo stesso
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non li definisca come obbligatori, la
loro adozione ed efficace attuazione può consentire all’ente di
andare esente da responsabilità. L’adozione del modello
dovrebbe assolvere alla primaria funzione di prevenire il
compimento dei reati-presupposto, oltre, naturalmente, a quella
di ottenere l’esonero da responsabilità nel caso di commissione
di tali reati. Ovviamente l’adozione del modello non rappresenta
di per sé una generica causa di esonero da responsabilità,
essendo soggetto a valutazione del giudice che, caso per caso,
procederà a tale valutazione verificando: il ruolo - di apicale o di
subordinato - della persona fisica che ha commesso il reato; la
specifica realtà organizzativa; il contenuto del modello adottato
181
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
e la sua effettività. In ogni caso, al fine di ottenere tale positivo
risultato, sulla persona giuridica incombe l’onere di procedere
alla creazione di tali modelli consentendone la corretta
operatività (86): un’efficace attuazione dei modelli necessita,
innanzitutto, di una verifica periodica e comporta un’eventuale
modifica degli stessi qualora emergano rilevanti violazioni delle
prescrizioni,
ovvero
si
presentino
cambiamenti
nell’organizzazione o nell’attività. Più in particolare, ai sensi
dell’art. 6, comma 2, del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, i modelli
devono rispondere all’esigenza di «individuare le attività nel cui
ambito possono essere commessi i reati; prevedere specifici
protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione
delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee
ad impedire la commissione di reati; prevedere obblighi di
informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul
funzionamento e l’osservanza dei modelli; introdurre un sistema
disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure
indicate nel modello».
Se già la concezione a livello teorico di un modello
organizzativo si presenta particolarmente complessa, sul piano
pratico le difficoltà sembrano moltiplicarsi in modo
considerevole. Non esistono formule generalizzanti o comunque
regole “universali” valide per qualsiasi ente: solo un modello
direttamente elaborato sulla realtà aziendale e produttiva potrà
essere considerato idoneo a prevenire la commissione dei reatipresupposto, essendo inevitabili concrete diversificazioni fondate
(86) Nonostante l’«onere» per l’ente di adottare il modello di
organizzazione, gestione e controllo, la giurisprudenza civile ha comunque
ritenuto responsabile l’amministratore dell’ente per mancata adozione del
modello stesso obbligando tale soggetto a risarcire i danni subiti dalla società
per effetto della mancata attivazione del presidio penal-preventivo: Trib.
Milano, 13.2.2008, n. 1774, in Le società, 2008, 1507, con nota di S.
BARTOLOMUCCI, Amministratore diligente e facoltativa adozione del
compliance program ex D.Lgs. n. 231/2001 da parte dell’ente collettivo .
182
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
sulle specificità operative e strutturali della persona giuridica
stessa.
Nell’elaborazione dei modelli un importante ausilio è
sicuramente individuabile nelle linee guida elaborate dagli
organismi rappresentativi del mondo imprenditoriale. Nel
settore editoriale la FIEG (Federazione Italiana degli Editori),
ad oggi, non ha emanato linee guida o redatto codici di
comportamento in materia e pertanto, anche in tale ambito, si
rende necessario fare riferimento alle linee guida pubblicate da
Confindustria le quali hanno carattere generale. Ciascun
modello adottato dall’ente potrà, quindi, da queste discostarsi
poiché deve essere necessariamente redatto con specifico
riferimento alla realtà concreta dell’ente stesso: le linee guida
svolgono un ruolo “ispiratore” nella costruzione del modello e
dell’organismo di controllo con i relativi compiti da parte del
singolo ente, che però, potrà anche discostarsene, qualora
specifiche esigenze aziendali lo richiedano, senza che per questo
si possano dare per non adempiuti i requisiti necessari per la
redazione di un valido modello di organizzazione, gestione e
controllo (87). Inoltre, le linee guida di Confindustria individuano
(87) I punti fondamentali di tali linee guida si identificano nell’attività
di individuazione delle aree a rischio - volta ad evidenziare le funzioni
aziendali nell’ambito delle quali sia possibile la realizzazione degli eventi
pregiudizievoli previsti dal decreto - e nella predisposizione di un sistema di
controllo in grado di prevenire i rischi attraverso l’adozione di appositi
protocolli. Le componenti più rilevanti del sistema di controllo ideato da
Confindustria sono: il codice etico; il sistema organizzativo; le procedure
manuali ed informatiche; i poteri autorizzativi e di firma; i sistemi di
controllo di gestione; la comunicazione al personale e sua formazione. I
principi cui devono essere ispirate le componenti del sistema di controllo
sono: verificabilità, documentabilità, coerenza e congruenza di ogni
operazione; applicazione del principio di separazione delle funzioni;
documentazione dei controlli; previsione di un adeguato sistema
sanzionatorio per la violazione delle norme del codice etico e delle procedure
previste dal modello; individuazione dei requisiti dell’organismo di vigilanza;
previsione di modalità di gestione delle risorse finanziarie; obblighi di
informazione dell’organismo di controllo.
183
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
un protocollo generale nel codice etico. Quest’ultimo assolve alla
funzione di enucleare la carta dei valori dei quali il singolo ente
si dota, sintetizzando i canoni di comportamento strumentali
alla sua attuazione (88). In altri termini, il codice etico di
comportamento - cui deve corrispondere un adeguato sistema
disciplinare in caso di violazione dello stesso - fissa i principi
etici e le linee generali di comportamento che i soggetti apicali, i
dipendenti e i collaboratori sono tenuti a rispettare nello
svolgimento dell’attività lavorativa: rappresenta uno strumento
adottato in via autonoma e avente lo scopo di esprimere quei
principi di “deontologia aziendale” che l’ente riconosce come
propri. Per quanto concerne i giornalisti, il rispetto delle regole
generali di comportamento etico dovrebbe coniugarsi con il
diritto-dovere di cronaca riconosciuto dalla Costituzione, con il
diritto di riservatezza nel rapporto con le fonti e con le regole
dontologiche sulla loro professione.
Molteplici sono le fasi che precedono la costruzione del
modello
(89).
È
certamente
indispensabile
procedere
(88) A proposito dei rapporti tra modello e codice etico A. SALVATORE,
Il “Codice Etico”: rapporti con il Modello Organizzativo nell’ottica con la
responsabilità sociale dell’impresa, in La responsabilità amministrativa delle
società e degli enti, 2008, 4, 67.
(89) Più in generale, in dottrina vi è chi ha schematicamente proposto
una metologia-tipo per l’elaborazione e l’implementazione del Compliance
program nei seguenti termini: occorrerebbe procedere preliminarmente alla
redazione, adozione, internalizzazione ed esternazione di un Codice Etico
dichiarativo della mission o dei valori aziendali, nonché delle generali regole
comportamentali. Le fasi successive dovrebbero identificarsi nel process
assessment (check-up aziendale, ricognizione della macrostruttura,
dell’organigramma e del funzionigramma vigenti presso l’ente), risk
assessment
(inventariazione
macro-aree
a
rischio
reato;
individuazione/abbinamento di specifci rischi per il singolo processo;
graduazionee intensit di ciascun rischio-reato; “mappatura” delle attività in
funzione del rischio rilevato), risk management (analisi del Sistema
preventivo e di auditing, se esistente, e rilevazione delle carenze). Dopodichè
occorrerebbe procedere: alla revisione/redazione ed adozione di un sistema
disciplinare interno (conforme allo statuto dei lavoratori e al CCNL
applicabile) per il sanzionamento delle violazioni di prscrizioni del modello
184
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
all’identificazione delle attività sensibili nel compimento delle
quali sembra possibile ipotizzare la commissione dei reati da
parte del giornalista. Un ausilio potrebbe essere costituito, ad
esempio, da una verifica del numero degli episodi diffamatori
verificatisi e conclusi con sentenza penale di condanna,
procedendo ad una mappatura delle aree a rischio all’interno
dell’impresa giornalistica, verificando a quali sezioni della
redazione giornalistica (cronaca, economia, politica, interni,
esteri, sport, cultura, spettacoli, etc.) appartenevano i giornalisti
che hanno posto in essere il numero maggiore di condotte
penalmente rilevanti nell’esercizio della loro professione, in
modo da conoscere quanto più a fondo possibile l’assetto
organizzativo delle aree sensibili dell’impresa stessa.
Effettuata tale verifica sarà necessario individuare, da un
lato, le attività che possono contribuire a migliorare le procedure
già esistenti che costituiscono l’attuale sistema di controllo
interno e, dall’altro, i requisiti organizzativi essenziali per la
costruzione di un efficace modello. «La descrizione della
struttura societaria è di fondamentale importanza, perché
consente di saggiare, già in questa fase, l’idoneità dell’assetto
societario a confrontarsi con la sfera dei rischi normativi, in
particolare con il rischio-reato» (90).
A proposito del miglioramento del sistema di controllo già
esistente, si è sopra sottolineato che il tipico modo di operare nel
adottato; alla individuazione, nomina, attivazione di un Organismo di
Vigilanza dell’ente, autonomo, indipendente, professionale, inerente all’ente
ed operante con continuità d’azione. Infine, concluse tali fasi, l’Organismo
amministrativo potrebbe procedere alla formale approvazione del Modello. I
destinatari dello stesso andrebbero formati e informati in riferimento al suo
contenuto. Il Modello, poi, andrebbe continuamente monitorato, aggiornato,
al fine di verificarne effettività ed efficacia ed ottimizzato. Così S.
BARTOLOMUCCI, Il modello di gestione di organizzazione e gestione con
finalità penal-preventiva, in Corriere giur., spec. 2/2010, 25.
(90) C. PIERGALLINI, La struttura del modello di organizzazione,
gestione e controllo del rischio- reato, in Reati e responsabilità degli enti, a
cura di G. Lattanzi, Giuffrè, Milano, 2010, 160.
185
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
settore giornalistico si identifica nel ricorso ad un sistema di
divisione del lavoro all’interno delle redazioni giornalistiche in
cui il direttore si avvale dello strumento della delega nei
confronti dei suoi collaboratori. Così spesso si verifica, specie
nell’ambito dei quotidiani a diffusione nazionale, che al
redattore capo vengano conferite funzioni di coordinamento e
controllo anche sulle redazioni distaccate. All’interno delle
redazioni provinciali, ad esempio, il lavoro viene diretto e
controllato da un capo redattore locale. Il sistema di
trasferimento delle funzioni da parte del direttore ai
caporedattori potrebbe forse divenire uno strumento di ausilio
per la costruzione e l’efficace attuazione di un modello
organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei reatipresupposto della responsabilità dell’impresa giornalistica.
Sebbene la giurisprudenza maggioritaria non abbia
attribuito, sino ad oggi, rilevanza penale all’istituto della delega
di funzioni nel settore giornalistico – così come invece sarebbe
auspicabile anche alla luce delle osservazioni che seguiranno –
non appare inutile soffermarsi sui rapporti tra la delega di
funzioni e i modelli di organizzazione, gestione e controllo. A tal
fine occorrerà prendere la mosse da un recente intervento
legislativo in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro con il quale il legislatore è intervenuto
specificando il collegamento tra il modello organizzativo
dell’ente e la delega di funzioni. Da una prima lettura
sistematica degli artt. 16 e 30 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81,
(T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro) sembrava potersi evincere l’inserimento del
sistema delle deleghe all’interno del compliance aziendale ed un
onere di controllo ad opera dell’organismo di vigilanza sul
sistema delle stesse ed in particolar modo sul loro
funzionamento. Ai sensi del terzo comma dell’art. 16 – prima
della recente modifica intervenuta ad opera dell’art. 12, comma
1, D.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, – si prevedeva che la vigilanza in
capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da
parte del delegato delle funzioni trasferite potesse esplicarsi
186
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
«anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui
all’articolo 30, comma 4», cioè quei sistemi predisposti per i
modelli di organizzazione e gestione. Con il D.lgs. 3 agosto 2009,
n. 106, recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro” si è passati da una
previsione che indicava il sistema di controllo adottato
nell’ambito di un modello organizzativo e avente le
caratteristiche definite dal quarto comma dell’art. 30 quale
possibile modalità per l’adempimento dell’obbligo di vigilanza
sull’attività del delegato, ad una vera e propria presunzione in
grado di esimere il datore di lavoro da eventuali responsabilità
per la violazione dell’art. 16 comma 3 D.lgs. 81/2008. Il
legislatore è, pertanto, giunto ad affermare che l’obbligo di
vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto
espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite si
intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del
modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4 del
D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
A proposito della costruzione del modello e del sistema
delle deleghe all’interno della società in dottrina è stato
osservato che «la delega deve contenere l’indicazione: a) della
funzione delegante e della fonte del suo potere; b) del soggetto
delegato, con l’esplicita descrizione delle funzioni attribuite e
della posizione organizzativa rivestita; c) delle risorse
economiche assegnate al delegato, nel cui ambito questi è
legittimato a svolgere i compiti assegnati. Laddove, poi, le
funzioni delegate implichino l’assolvimento di posizioni di
garanzia penalmente rilevanti, è altresì necessario apprestare
sistemi di monitoraggio e di controllo, orientati ad esercitare una
vigilanza sul corretto disbrigo delle funzioni delegate e, dunque,
sulla “tenuta” del sistema organizzativo prescelto» (91).
(91) C. PIERGALLINI, La struttura del modello di organizzazione , cit.,
162.
187
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Ora, in seguito all’espresso riconoscimento legislativo
intervenuto nel 2008, non solo dell’istituto della delega di
funzioni, ma anche del rapporto di quest’ultima con il sistema
dei modelli di gestione e controllo non sembra azzardato
individuare tra questi un rapporto biunivoco. Se il legislatore ha
riconosciuto la possibilità per il delegante di assolvere al suo
compito di vigilanza attraverso l’adozione e l’attuazione dei
modelli ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, mutando prospettiva, nel
settore giornalistico, si potrebbe riflettere su un modello di
gestione e controllo “disegnato” sulle modalità di ripartizione dei
compiti e delle responsabilità proprie della delega tra direttore e
capiredattori. Infatti, poiché l’adozione del modello in sé non è
sufficiente per andare esenti da responsabilità, essendo
necessario che questo venga applicato e gestito con continuità
vigilando sulla sua osservanza, è il controllo interno ad
assumere un ruolo di fondamentale rilievo.
Nell’elaborazione di un modello di organizzazione,
gestione e controllo, diretto ad evitare che vengano poste in
essere condotte penalmente rilevanti in seno all’attività
giornalistica, potrebbe allora essere utile prendere le mosse dal
sistema di controllo e di deleghe già adottato in seno alle
redazioni giornalistiche - individuando le carenze organizzative
esistenti - e tentare di procedere ad un miglioramento dello
stesso ed alla definizione dei corrispondenti interventi correttivi.
In questo modo sarebbe possibile mantenere l’assetto
organizzativo
preesistente
all’interno
delle
redazioni,
migliorandolo ed evitando un impatto “traumatico” sull’attività
dell’impresa giornalistica, impatto che, diversamente, potrebbe
assumere contorni “censori”. Si è già avuto modo di osservare
che per la natura stessa della loro attività e per il necessario
svolgimento della propria opera, ciascun redattore capo
provvede a dirigere, coordinandole, le attività di servizi della
redazione centrale, delle redazioni decentrate e degli uffici di
corrispondenza. Si potrebbe pensare, ad esempio, all’opportunità
di affiancare a tali soggetti degli esperti in materia legale che
188
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
procedono, insieme al redattore capo al controllo del contenuto
della pubblicazione.
È su tali basi che potrebbe costruirsi un efficace modello
che si ponga come obiettivo quello di prevenire la commissione
dei reati da parte dei giornalisti. In questo modo le imprese
editrici potrebbero andare esenti da responsabilità qualora nelle
loro redazioni venisse adottato un modello organizzativo che
implichi il funzionamento di una struttura efficace nei controlli
dei testi destinati alla pubblicazione o di ciò che dovrà essere
mandato in onda (92).
12. L’organismo di vigilanza all’interno dell’impresa
giornalistica.
(92) Ma non solo; non dovrà sottovalutarsi nemmeno la formazione
continua dei giornalisti. E, tenendo anche conto che quest’ultima, prevista
dall’articolo 45 del contratto nazionale di lavoro giornalistico, non ha ancora
trovato attuazione, l’adozione di tali modelli potrebbe anche contribuire a
colmare tale lacuna.
A proposito dell’aggiornamento culturale professionale dei redattori
l’art. 45 del contratto nazionale di lavoro giornalistico 2009 – 2013 stabilisce
che «le aziende, in relazione alle specifiche esigenze e alle disponibilità,
d’intesa con le direzioni e i comitati o fiduciari di redazione, avvieranno a tale
scopo iniziative determinandone programma, durata, modalità di svolgimento
e di partecipazione. Ciascuna azienda favorirà la partecipazione di singoli
giornalisti a corsi di aggiornamento, seminari, iniziative culturaliprofessionali attinenti le loro specifiche competenze previo parere del
direttore sulla base di idonea documentazione; è rinviata alla sede aziendale
la regolamentazione degli aspetti relativi ai periodi di permesso retribuito e
di concorso alle spese. Le Federazioni contraenti promuovono e organizzano,
annualmente e congiuntamente – in collaborazione con gli organismi
professionali – corsi nazionali o di aggiornamento culturale-professionale
stabilendone di volta in volta programmi, durata, modalità di partecipazione
dei giornalisti e concorso delle aziende agli eventuali oneri. Le Federazioni
medesime valuteranno periodicamente i risultati delle esperienze realizzate a
livello nazionale in materia di aggiornamento professonale».
189
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
L’organismo di vigilanza ha il compito di vigilare sul
funzionamento e l’osservanza del modello e di curarne
l’aggiornamento. È dotato di poteri di vigilanza e di controllo,
essendogli preclusa qualsiasi attività di gestione, ciò nell’ottica
di garantire l’imparzialità dell’organo stesso e di evitare il
prospettarsi di conflitti di interesse. Le funzioni svolte
dall’organismo
di
vigilanza
consistono
nel
controllo
sull’effettività del modello, cioè nella verifica della coerenza tra
comportamenti concreti e modello istituito; nella valutazione
dell’adeguatezza del modello, ossia della idoneità dello stesso, in
relazione alla tipologia delle attività ed alle caratteristiche
dell’impresa, ad evitare i rischi di realizzazione di reati. Ciò
impone un’attività di aggiornamento del modello sia alle mutate
realtà organizzative, sia ad eventuali intervenuti mutamenti
dello stesso D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Il legislatore del 2001, però, non ha ritenuto opportuno
procedere ad una dettagliata descrizione della struttura
dell’organismo di vigilanza attribuendo, così, agli operatori del
settore un significativo margine di discrezionalità sul punto.
Ecco che allora nell’accostarci alla descrizione delle
caratteristiche che l’organismo de quo dovrebbe possedere per
assolvere compiutamente alla funzione di vigilanza e di controllo
che gli è propria non si può non ricorrere ad una prospettiva sul
“dover essere”.
In primo luogo, sarebbe opportuno che venissero nominati
membri dell’organismo di vigilanza solo soggetti in possesso di
comprovate conoscenze aziendali e dotati di particolare
professionalità, nonché di capacità specifiche in tema di attività
ispettive e consulenziali. Ciascun componente dovrebbe essere in
grado di svolgere le funzioni ed i compiti cui l’organismo di
vigilanza è deputato, tenuto conto degli ambiti di intervento nei
quali lo stesso è chiamato ad operare: i componenti del suddetto
organo dovrebbero avere competenze specifiche in relazione a
qualsiasi tecnica utile per prevenire la commissione di reati, per
scoprire quelli già commessi ed individuarne le cause, nonché
per verificare il rispetto dei modelli da parte degli appartenenti
190
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
all’organizzazione aziendale. Per tali ragioni, generalmente, i
soggetti che fanno parte dell’organismo di vigilanza - avente
struttura pluripersonale e collegiale - sono esperti di Internal
Audit, esperti in materia legale ed esperti in materia
economico/aziendale/amministrativa.
In secondo luogo, diverse sono le attività che, da un punto
di vista operativo, l’organismo di vigilanza dovrebbe porre in
essere. Dovrebbe assistere il consiglio di amministrazione nella
determinazione delle linee di indirizzo del sistema dei controlli
interni e nella verifica periodica della sua adeguatezza e del suo
effettivo funzionamento; verificare periodicamente la mappa
delle aree a rischio reato, al fine di adeguarla ai mutamenti
dell’attività e della struttura aziendale, nonché ad eventuali
modifiche normative nel frattempo intervenute; controllare
periodicamente che i principi etici siano rispettati e verificare
l’adeguatezza ed efficacia del modello nella prevenzione dei reati
di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Sulla base di tali verifiche
potrebbe predisporre periodicamente un rapporto da presentare
all’organo di amministrazione, in cui vengano evidenziate le
problematiche riscontrate ed individuate le azioni correttive da
intraprendere.
Infine, il coordinamento con gli altri organi aziendali
potrebbe essere utile al fine di tenere sotto controllo l’evoluzione
delle aree a rischio realizzando, così, un costante monitoraggio e
al fine di intraprendere tempestivamente le azioni correttive
necessarie per rendere il modello adeguato ed efficace.
Nell’ipotesi in cui emergesse che lo stato di attuazione degli
standard operativi richiesti fosse carente, l’organismo di
vigilanza dovrebbe adottare tutte le iniziative necessarie per
correggere tale condizione sollecitando i responsabili delle
singole unità organizzative al rispetto del modello; indicando e
proponendo quali correzioni e modificazioni andrebbero
apportate alle prassi di attività e segnalando i casi più gravi di
mancata attuazione del modello ai responsabili e agli addetti ai
controlli all’interno delle singole funzioni.
191
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
In più occasioni si è avuto modo di sottolineare che le
imprese giornalistiche sono già soggette all’osservanza di quanto
disposto dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e, pertanto, esiste già
al loro interno un organismo di vigilanza che dovrebbe possedere
le caratteristiche cui si è appena fatto riferimento. Di
conseguenza, qualora i reati posti in essere dai giornalisti
assurgessero a presupposto della responsabilità dell’impresa
giornalistica ci si trovrebbe al cospetto di una delle modifiche
normative intervenute in tal senso cui l’ente dovrebbe adeguarsi
nominando componenti dell’organismo di controllo in possesso di
competenze specifiche al fine di individuare soluzioni utili per
prevenire siffatta tipologia di reati.
13. Applicabilità all’impresa giornalistica del sistema
sanzionatorio delineato dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Il terreno sul quale valutare l’efficacia delle scelte
punitive aventi ad oggetto gli organismi collettivi è certamente
l’apparato sanzionatorio ad essi riservato. E pertanto
l’opportunità di ampliare il catalogo dei reati-presupposto deve
essere valutata tenendo in considerazione proprio la portata e
l’effettiva efficacia di tale sistema, verificando la validità degli
strumenti previsti per prevenire i reati connessi all’attività delle
organizzazioni pluripersonali.
La sanzione pecuniaria rappresenta il cardine del sistema
sanzionatorio descritto dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che
prevede, per la prima volta nel nostro ordinamento, un modello
bifasico di commisurazione di tale sanzione. Il giudice quantifica
la pena “per quote”: il numero delle quali viene determinato in
riferimento alla «gravità del fatto, al grado della responsabilità
dell’ente nonché all’attività svolta per eliminare o attenuare le
conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori
illeciti», mentre il valore economico della singola quota viene
determinato sulla base «delle condizioni economiche e
192
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della
sanzione» (93). In tal modo, da un lato, si tende ad assicurare una
maggiore trasparenza del procedimento motivazionale e,
dall’altro, la risposta sanzionatoria viene adeguata alle reali
capacità economico-finanziarie dell’ente (94).
L’applicabilità del suddetto sistema di sanzioni pecuniarie
all’impresa giornalistica sembra costituire una risposta
sanzionatoria adeguata ed una valida alternativa al sistema di
cui all’art. 197 c.p. che, tra l’altro, potrebbe essere “eluso” ad
opera dell’impresa, la quale, come abbiamo già sopra
evidenziato, potrebbe preventivare le somme irrisorie che è
obbligata a pagare in via sussidiaria ex art. 197 c.p.
considerandole come un “costo” cui far fronte aumentando il
prezzo del prodotto editoriale. Le somme che invece l’impresa
giornalistica sarebbe direttamente condannata a pagare
avrebbero un ammontare di gran lunga superiore in quanto
commisurate alle effettive capacità finanziarie dell’ente e
sarebbero in grado di determinare, probabilmente, un impatto di
notevole rilievo sull’assetto economico dell’ente stesso. Tuttavia,
verosimilmente si potrebbe sollevare la medesima obiezione
(93) Art. 11 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
(94) Un cenno merita il disposto dell’art. 12 D.lgs. 8 giugno 2001, n.
231 che, al comma 2 lett. a), prevede la riduzione della sanzione pecuniaria
da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha
eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque
efficacemente adoperato in tal senso. È evidente che la riduzione in parola
mira ad orientare l’ente verso un ripristino della legalità spingendolo altresì
ad adottare e rendere operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire
reati della specie di quello verificatosi.
L’ipotesi di riduzione in discorso sembra richiamare la circostanza
attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 c.p. che fa riferimento «all’avere,
prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di
esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del
giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’art. 56,
adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le
conseguenze dannose o pericolose del reato».
193
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
avanzata in riferimento all’art. 197 c.p. qualora il sistema
sanzionatorio ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si fondasse
esclusivamente sulla sanzione pecuniaria: in tal modo si
potrebbe comunque correre il rischio di vanificarne l’efficacia
preventiva in quanto l’ente, soprattutto se di grandi dimensioni,
potrebbe, per così dire, contabilizzare tali somme nei costi di
gestione nel bilanciamento rischi-benefici. Se ciò potrebbe
ammettersi in linea generale, nel settore giornalistico, invece,
dato l’elevato numero dei reati che il giornalista potrebbe porre
in essere - si pensi ai continui episodi di diffamazione che ogni
giorno si verificano attraverso la pubblicazione di articoli
giornalistici - l’impatto economico sull’impresa, di qualsiasi
dimensione, sarebbe comunque consistente.
Ovviamente non può tacersi a proposito della presenza di
un ulteriore tipologia di sanzioni all’interno dell’apparato
sanzionatorio tratteggiato dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: le
sanzioni interdittive. Infatti, «il rischio di un abbassamento
della funzione general-preventiva del sistema è stato evitato con
la previsione di un apparato di sanzioni interdittive ben più
temibili a causa della loro capacità di incidere profondamente
sull’organizzazione, sul funzionamento e sull’attività dell’ente»
(95).
Se ci si sofferma sul citato disegno di legge C 1415,
recante “Norme in materia di intercettazioni telefoniche,
telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di
astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della
(95) M. PELISSERO, La responsabilità degli enti, in F. ANTOLISEI,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, vol. I, 13ª ed., a cura di C.F.
Grosso, Giuffrè, Milano, 2007, 889.
In dottrina, sulle sanzioni interdittive: G. DE MARZO, Le sanzioni
amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive , in Soc., 2001, 1308;
AA. VV., Il nuovo sistema sanzionatorio del diritto penale dell’economia:
decriminalizzazione e problema di effettività, a cura di G. Amarilli – M.
D’Alessandro – A. De Vita, Jovene, Napoli, 2002; F. MUCCIARELLI, Le
sanzioni interdittive temporanee nel D.lgs. 231/2001, in Scritti in onore di G.
Marinucci, a cura di E. Dolcini – C.E. Paliero, vol. III, Giuffrè, Milano, 2006.
194
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche” si avrà modo di appurare che in relazione alla
commissione del reato previsto dall’articolo 684 c.p., si prevede
che l’ente sia destinatario di una sanzione pecuniaria non
facendosi accenno, però, a sanzioni interdittive. Del resto, tale
opzione legislativa non sarebbe nuova: l’art. 25-ter del D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231, prevede un sistema sanzionatorio basato
esclusivamente sulla sanzione pecuniaria escludendosi, così, la
possibilità di ricorrere alle sanzioni interdittive e lo stesso dicasi
per gli abusi di mercato di cui all’art. 25-sexies del D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231. Siffatta esclusione, secondo parte della
dottrina, non troverebbe alcuna giustificazione su un duplice
piano: da un lato, su quello di una politica punitiva attenta alla
gravità delle condotte, in quanto la maggior parte dei reati cui
fanno riferimento gli artt. 25-ter e 25-sexies del D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, si caratterizzano per una significativa carica di
offensività per gli interessi tutelati; dall’altro sul piano della
parità di trattamento con altri reati-presupposto per i quali il
legislatore ha previsto sanzioni interdittive e che si
caratterizzano per «affinità offensive» con i reati societari e gli
abusi di mercato (96). Se tali osservazioni possono risultare
condivisibili in riferimento ai reati societari e agli abusi di
mercato, ammettere la possibilità di interdire, ad esempio,
dall’esercizio dell’attività giornalistica un’impresa editoriale (96) S. VINCIGUERRA, La responsabilità degli enti da reato, otto anni
dopo. Sui principali problemi in tema di responsabilità dell'ente per il reato
commesso nel suo interesse o vantaggio. Constatazioni e proposte , in Giur. it.,
2009. L’Autore, in particolare, si riferisce alle truffe in danno dello Stato (art.
24, D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) e ai delitti informatici e di trattamento
illecito di dati (art. 24-bis, D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) rispetto a taluni abusi
di mercato.
Sottolinea la mancanza di razionalità politico-criminale di tale scelta
legislativa, distonica rispetto ai principi che presiedono al sistema
sanzionatorio a carico degli enti, anche M. PELISSERO, La responsabilità degli
enti da reato, otto anni dopo. La progressiva espansione dei reatipresupposto, in Giur. it., 2009
195
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
nonostante l’eventuale rilevante entità del profitto ricavata dal
reato commesso dal giornalista o per quanto gravi possano
essere le carenze organizzative dell’impresa - sembra comunque
eccessivo.
La compatibilità e l’utilizzabilità di sanzioni che incidono
in modo rilevante sull’ente in riferimento ad un’impresa che
svolge un’attività che si fonda sulla libera manifestazione del
pensiero fa sorgere più di una perplessità: le sanzioni
interdittive, infatti, penetrano la struttura e l’attività dell’ente,
ne limitano e ne condizionano le capacità operative, ne
precludono la presenza sul mercato. L’irrogazione di una
sanzione interdittiva ad una impresa giornalistica, come
l’interdizione dall’esercizio dell’attività, sembra stridere
drasticamente con il principio costituzionale di libertà di
manifestazione del pensiero. Certamente non va dimenticato che
la finalità delle sanzioni interdittive è essenzialmente incentrata
sulla prevenzione e che, ai sensi dell’art. 17 del D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, tali sanzioni non si applicano quando: prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente
ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le
conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque
efficacemente adoperato in tal senso; ha eliminato le carenze
organizzative che hanno determinato il reato mediante
l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi; ha messo a
disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Qualora
l’impresa giornalistica fosse, in ipotesi, possibile destinataria di
una sanzione interdittiva, data la chiara connotazione
specialpreventiva della disposizione da ultimo richiamata,
questa potrebbe essere fortemente indotta ad eliminare gli
effetti negativi del reato e a predisporre concrete misure dirette
alla modifica dell’assetto organizzativo dell’ente in modo da
impedire l’eventuale compimento di ulteriori illeciti. Ma la
minaccia di una sanzione non sembra possa giustificare il rischio
di una possibile irrogazione della stessa ad una impresa
all’interno della quale si svolge un’attività giornalistica.
196
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
Non va dimenticato, inoltre, che il D.lgs. 8 giugno 2001, n.
231, prevede l’applicazione delle misure interdittive anche in via
cautelare le quali, inevitabilmente, presentano «un impatto così
devastante da portare alla chiusura dell’ente destinatario delle
stesse o, in ogni caso, da comprometterne seriamente la
sopravvivenza futura in un mercato, come quello attuale,
altamente concorrenziale. La loro applicazione in sede cautelare
accresce notevolmente questa situazione di rischio e di
incertezza anche per tutto l’indotto collegato al singolo ente» (97).
Sulla base di tali premesse, nel disegno di legge di riforma del
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è stato, così, proposto di aggiungere
all’art. 9 del medesimo decreto i commi seguenti: «2-bis. Al di
fuori dei casi in cui l’unica finalità della società o dell’ente è
quella di realizzare un progetto criminoso, in cui sono applicabili
in via cautelare le sanzioni interdittive previste dal presente
decreto, in via cautelare possono essere previste solo le misure
del sequestro preventivo di cui all’articolo 53 e del sequestro
conservativo
di
cui
all’articolo
54.
2-ter. Le sanzioni interdittive possono essere ulteriormente
comminate in via cautelare solo dopo la sentenza di condanna di
primo grado e su richiesta del pubblico ministero approvata
dalla Corte di appello competente, qualora sia presente un grave
pericolo di reiterazione del reato» (98). In altri termini, si propone
di estendere il regime di esenzione delle misure cautelari di
natura interdittiva attualmente vigente per banche,
assicurazioni, società di intermediazione mobiliare, società di
gestione del risparmio e società di investimento a capitale
variabile – previsto rispettivamente dall’articolo 97-bis del D.lgs.
1 settembre 1993, n. 385, e dall’articolo 60-bis del D.lgs. 24
(97) Relazione al disegno di legge C 3640, Modifiche al decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231, concernente la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica, presentato il 19.7.2010 alla Camera il
cui testo è rinvenibile su www.camera.it.
(98) Art. 2 disegno di legge C 3640, presentato il 19.7.2010 alla
Camera ed il cui testo è rinvenibile su www.camera.it.
197
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
febbraio 1998, n. 58 – a tutti gli enti destinatari del D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231. Ciò perchè le esigenze di salvaguardare la
stabilità di tali enti finanziari e del mercato all’interno del quale
questi operano e di garantire una maggiore sicurezza agli
investitori dovrebbero valere per la generalità degli enti. Di
contro, l’unica ipotesi in cui viene ravvisata la necessità di
inibire l’attività in via cautelare sarebbe quello in cui la sola
finalità della società fosse di realizzare condotte integranti reati.
In tale ottica le sanzioni interdittive dovrebbero applicarsi
esclusivamente con la sentenza di condanna e non anche in via
cautelare.
Dal disegno di legge in parola è possibile dedurre la
consapevolezza dell’incidenza delle misure interdittive già in via
cautelare sulla vita dell’ente e la volontà di perseguire l’obiettivo
di garantire un maggiore equilibrio al mercato economico. Nel
settore giornalistico le medesime osservazioni fatte circa la
conciliabilità tra il principio di libertà di manifestazione del
pensiero e l’irrogazione di una sanzione interdittiva ad
un’impresa giornalistica acquistano maggiore pregnanza se
rapportate all’applicazione in via cautelare della misura stessa:
ciò conferma ulteriormente la non opportunità di prevedere tali
misure quali conseguenze della responsabilità amministrativa
dell’impresa editoriale.
14. (Segue) La pubblicazione della sentenza di condanna
come specifica sanzione diretta all’impresa giornalistica.
Di maggiore interesse, e anche di maggiore efficacia,
potrebbe essere la pubblicazione della sentenza di condanna, per
estratto o per intero, in uno o più giornali indicati dal giudice
nella sentenza, nonché mediante affissione nel comune ove l’ente
ha la sede principale, prevista dall’art. 18 D.lgs. 8 giugno 2001,
n. 231. Si tratta di una sanzione che richiama sia la più severa
Adverse Publicity statunitense, secondo la quale i giudici
198
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
possono imporre che l’organizzazione (a sue spese e nelle forme
che i giudici stessi stabiliranno) dia pubblicità al reato
commesso, al processo, alla pena irrogata e ai rimedi che
verranno adottati per scongiurare la recidiva (99); sia la
Communication de la décision prevista dai commi 3 e 9 dell’art.
131-39 del codice penale francese.
Anche il sistema italiano prevede la pubblicazione della
sentenza di condanna, la quale può assumere la natura di pena
accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni ex art. 36 c.p.,
o di sanzione civile, quale forma di riparazione del danno non
patrimoniale, qualora «la pubblicazione costituisca un mezzo per
riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato» così
come previsto dall’art. 186 c.p. In particolare, secondo l’art. 36
c.p., la pubblicazione della sentenza è prevista, in via generale,
in caso di condanna all’ergastolo, mentre negli altri casi la
condanna è pubblicata, in ossequio al principio di legalità, solo
qualora vi sia una previsione normativa espressa (100).
Tra le ipotesi previste nell’ambito della legislazione
extracodicistica va annoverata quella di cui all’art. 9 della legge
8 febbraio 1948, n. 47, sulla stampa secondo cui «nel pronunciare
condanne per reato commesso mediante pubblicazione in un
periodico, il giudice ordina in ogni caso la pubblicazione della
sentenza, integralmente o per estratto, nel periodico stesso. Il
direttore responsabile è tenuto a eseguire gratuitamente la
pubblicazione a norma dell’art. 615, primo comma, del codice di
procedura penale». Il codice di procedura penale, inoltre, all’art.
694, stabilisce che - qualora la sentenza riguardi un reato
commesso con la pubblicazione di un giornale - il direttore o il
vicedirettore responsabile sono obbligati a pubblicarla
(99) V. United States Sentencing Commission, Federal Sentencing
Guidelines Manual 1992, Introductory Commentary, § 8 D.1.4.
(100) Con una recente modifica disposta dall’art. 67, della legge 18
giugno 2009, n. 69 - che ha aggiunto un ulteriore periodo all’art. 36 c.p. - è
stata introdotta una nuova modalità di pubblicazione: la sentenza può essere
inserita nel sito internet del Ministero della Giustizia.
199
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
gratuitamente ed entro tre giorni da quello in cui ne hanno
ricevuto ordine dall’autorità competente per l’esecuzione.
Se la pubblicazione della sentenza di condanna quale
pena accessoria per un reato commesso mediante pubblicazione
di un periodico è «ispirata alla finalità di integrare e rafforzare
la tutela penale, come è anche rivelato dal collegamento della
pubblicazione non già alla verificazione del danno cagionato dal
reato, ma al reato medesimo» (101), l’efficacia di una previsione
ad hoc all’interno del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – che
attualmente subordina l’irrogazione di tale sanzione
all’irrogazione di una sanzione interdittiva – da destinare
specificamente alle imprese che esercitano un’attività
giornalistica e che abbiano subito una sentenza di condanna ex
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, realizzerebbe un significativo
effetto deterrente.
Infatti, la pubblicazione della sentenza di condanna
all’interno del medesimo giornale pubblicato dall’ente dichiarato
responsabile determinerebbe un’immagine negativa dell’impresa
giornalistica stessa. Inoltre, verrebbe assicurata una maggiore
conoscibilità della pronuncia rispetto a quella che ne deriverebbe
dalla mera lettura del dispositivo in udienza: la collettività
verrebbe posta nella condizione di essere informata sulle
modalità e contenuto del fatto illecito.
Per quanto concerne le modalità di pubblicazione della
sentenza di condanna dell’impresa editoriale pare opportuno
precisare che queste, naturalmente, non andrebbero limitate
alla pubblicazione all’interno dei giornali in formato cartaceo.
Infatti, nell’ipotesi in cui venisse condannato un ente che svolge
attività giornalistica attraverso il mezzo telematico la sentenza
di condanna andrebbe pubblicata all’interno del sito di
riferimento.
(101) Cass. pen. Sez. V, 14.6.1983, Pisanò, in Riv. pen., 1984, 313.
200
La responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231?
201
CAPITOLO IV
DALLA RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE
ALLA RESPONSABILITÀ DELL’IMPRESA GIORNALISTICA:
UN’ALTERNATIVA ALLA SANZIONE PENALE
SOMMARIO: 1. La possibilità di eliminare dal panorama normativo italiano
l’art. 57 c.p. – 2. Il necessario bilanciamento tra la libertà di
espressione e l’esigenza di prevenzione dei reati. – 3. Dal “danno
criminale” al “danno civile”: la costituzione di parte civile nei
confronti dell’impresa giornalistica sottoposta a procedimento ai sensi
del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. – 4. Tutela dell’onore: un’alternativa
alla sanzione penale.
1. La possibilità di eliminare dal panorama normativo
italiano l’art. 57 c.p.
Alla luce delle riflessioni sull’aspetto imprenditoriale del
sistema dell’informazione e nel richiamare le osservazioni e le
perplessità inerenti alla responsabilità del direttore sopra
evidenziate, non sembra azzardato affermare che, qualsiasi
soluzione si tenti di fornire a proposito della responsabilità di
tale soggetto, si prospettano obiezioni difficilmente superabili e i
dubbi che sono affiorati difficilmente potrebbero dissolversi
mantenendo siffatta forma di responsabilità penale. A riprova di
ciò basti pensare che, dopo più di ottanta anni dall’entrata in
vigore del codice Rocco, le osservazioni contenute nei Lavori
preparatori e avanzate all’interno della Commissione di
revisione, nonostante si riferissero alla versione originaria
dell’art. 57 c.p. che prevedeva una indiscutibile forma di
responsabilità per fatto altrui, appaiono connotate da una
sconcertante attualità: «la responsabilità del direttore
responsabile si fonda nel fatto di essersi assunta l’impresa
giornalistica, cui sono inerenti parecchi rischi, tra i quali quelli
203
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
di rispondere del fatto di un autore, con cui non si ha nulla di
comune, per uno scritto che può anche non essere letto» (1). Nel
cogliere i temi reali della questione ci si rende conto che oggi più
che mai ci si dovrebbe limitare a far ricadere la responsabilità
penale solo sull’autore dell’articolo. La debolezza dell’efficacia
della repressione penale in materia di reati commessi a mezzo
stampa non dipende certo dal permanere della vigenza di
siffatta forma di responsabilità del direttore a costo di
sconfessare i basilari principi che fondano il nostro sistema
penale. Bisognerebbe, invece, avere il “coraggio” di eliminare dal
sistema penale la responsabilità penale del direttore per omesso
controllo. Il legislatore, ha provato, a dire il vero, a compiere tale
passo ma con eccessiva timidezza. Nella formulazione originaria
del disegno di legge n. S 3176 del 2004 - testo unificato di altri
progetti di legge concorrenti presentati in precedenza - dal titolo
“Norme in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di
condanna del querelante”, la responsabilità del direttore veniva
limitata all’ipotesi in cui l’autore della pubblicazione o della
diffusione fosse ignoto o non imputabile (2). Nella consapevolezza
dei problemi interpretativi che poneva la fattispecie descritta
dall’art. 57 c.p. si era tentato, quindi, di eliminare il riferimento
all’omesso controllo da parte del direttore o vicedirettore
responsabile. Tuttavia questo timido accenno è rimasto tale sia
perché residuava comunque una responsabilità per fatto altrui
(in quanto si chiamava a rispondere il direttore nel caso in cui
l’autore della pubblicazione o della diffusione fosse ignoto o non
imputabile); ma soprattutto perchè nel corso dei lavori
preparatori si è progressivamente abbandonata l’idea di
eliminare la rilevanza dell’omesso controllo del direttore
ritornando ad attribuirgli una responsabilità (di posizione) per
culpa in vigilando per i delitti commessi con il mezzo della
(1) Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura
penale. Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del
guardasigilli on. Alfredo Rocco, Roma, 1929.
(2) Il testo del disegno di legge è consultabile su www.senato.it.
204
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di
diffusione (3).
Invece, solo una radicale scelta del legislatore diretta
all’eliminazione della fattispecie descritta dall’art 57 c.p. potrà
essere risolutiva, soprattutto alla luce della reale articolazione
dei ruoli all’interno delle imprese giornalistiche le quali, ogni
giorno, assumono carattere di sempre maggiore complessità e
all’interno delle quali un capillare controllo da parte del
direttore non è nient’altro che un’utopia che non consente di
osservare quanto stabilito dai principi di diritto penale. Per non
parlare, poi, dell’inefficacia di tale sistema di responsabilità
sotto il profilo della prevenzione sia generale che speciale.
Una volta eliminata la responsabilità di cui all’art. 57 c.p.
la sanzione derivante dall’omesso controllo non verrebbe
“spazzata via” dal sistema giuridico ma risulterebbe “trasferita”
sull’impresa editoriale (4). In altri termini, il sistema di controllo
diretto ad evitare che col mezzo della pubblicazione vengano
commessi reati e che sino ad oggi il legislatore ha considerato
irrinunciabile, non verrebbe meno ma risulterebbe “traslato”
all’interno della struttura dell’impresa editoriale.
2. Il necessario bilanciamento tra la libertà di espressione
e l’esigenza di prevenzione dei reati.
Certamente, nessuno può negare il fondamentale ruolo
svolto dalla stampa nella costruzione di una società democratica,
dovendo essa comunicare informazioni ed idee su ogni questione
di interesse generale. Tuttavia, se da un lato, la valutazione
(3) Per le relative modifiche www.senato.it.
(4) In tal senso, V. ZENO-ZENCOVICH, La nuova disciplina della
diffamazione a mezzo stampa. Profili civilistici, in Diritto di cronaca e tutela
dell’onore, Atti del Convegno tenuto presso la Facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Trento il 18 marzo 2005, Quaderni del Dipartimento,
Università di Trento, 2005, 93, a cura di A. Melchionda – G. Pascuzzi
205
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
della legittimità delle “ingerenze” statali alla libertà di stampa
deve necessariamente avvalersi di un metro peculiare, dall’altro,
occorre comunque ricordare che «non sempre la restrizione di un
diritto è, per ciò solo, ingiustificata e quindi ingiusta e … può
talora essere giustificata in vista della salvaguardia di un altro
principio, o diritto, che possa ritenersi prevalente rispetto a
quello che subisce la restrizione» (5). Certo, «è meglio prevenire i
delitti che punirli. Questo è il fine principale di ogni buona
legislazione» (6) ma nel settore dell’informazione il
bilanciamento, la ponderazione, tra valori contrapposti
rappresenta un’operazione di difficile realizzazione.
Preso atto della insufficienza dei tradizionali strumenti di
intervento del diritto penale rivolti a prevenire la commissione
dei reati del giornalista attraverso il controllo del direttore,
singola persona fisica, la corresponsabilizzazione dell’ente per i
fatti di reato commessi in seno all’attività giornalistica potrebbe
essere una soluzione meritevole di attenzione. In particolare,
l’adozione dei modelli di organizzazione e gestione potrebbe
attenuare fortemente il rischio-reato all’interno della struttura
imprenditoriale. Condicio sine qua non del “successo” di tali
modelli è, comunque, l’atteggiamento della giurisprudenza:
un’apertura a giudizi di idoneità in sede penale potrebbe
scongiurare il rischio che l’editore preferisca rinunciare ad
affrontare i costi connessi all’adozione e al continuo
aggiornamento del sistema di controllo. Non va dimenticato che
dal 2001 la prima sentenza che ha riconosciuto efficacia
esimente ad un modello organizzativo, prosciogliendo la persona
giuridica per un reato-presupposto effettivamente commesso dai
vertici della società, è stata pronunciata solo nel 2009 (7). In
(5) A. SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione , in Riv. it. dir.
proc. pen., 2007, 710.
(6) C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, a cura di P. Calamandrei, Le
Monier, Firenze, 1945, § XLI.
(7) Trib. Milano, 17.11.2009, in Soc., 2010, 473, con nota di C.E.
PALIERO – V. SALAFIA, La società assolta per il reato dei “vertici”: una
sentenza “apripista” e in Corr. merito, 2010, 296, con nota di G. LUNGHINI e
206
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
particolare, il giudice ha escluso la responsabilità di una società
riconoscendo l’idoneità del modello organizzativo a prevenire il
reato nella specie commesso, ha ritenuto l’organismo di
vigilanza autonomo ed efficiente e provata l’elusione fraudolenta
del modello da parte della persona fisica autrice del reatopresupposto. Si tratta di una pronuncia che assume significativo
rilevo in quanto consente di ribadire che in presenza della
commissione di uno o più reati rilevanti ex D.lgs. 8 giugno 2001,
n. 231, il giudice non può automaticamente considerare
inefficace il modello di organizzazione della società, ma deve
verificarne la causa della elusione che ha agevolato la
consumazione dei reati.
Forse, in un’ottica de iure condendo, la creazione di
un’Autorità che si occupasse specificamente della verifica della
qualità tecnica dei modelli organizzativi che ciascun impresa si
accinge ad adottare potrebbe costituire un valido ausilio per il
giudice che si accinge ad accertare la responsabilità dell’ente
ma, anche qui, solo una precisa scelta del legislatore potrebbe
rilevarsi risolutiva in tal senso.
La prima obiezione che potrebbe opporsi all’introduzione
di una responsabilità dell’impresa editrice per i reati commessi
dai giornalisti nell’esercizio della loro attività potrebbe essere
una possibile violazione o un’eccessiva compressione della
libertà di espressione a fronte dell’esigenza di prevenzione dei
reati. Infatti, le forme di controllo preventivo dell’editore
sull’operato dei giornalisti potrebbero essere intese come
“censura preventiva”: gli editori, spinti ad un controllo
preventivo sull’operato dei giornalisti attraverso l’acquisizione
preliminare di informazioni rilevanti su quanto destinato alla
pubblicazione o alla messa in onda, giocherebbero un ruolo
determinante nelle scelte quotidiane delle notizie da pubblicare
determinandosi, così, un’ingerenza degli stessi sul contenuto dei
giornali, una compromissione dell’autonomia della professione di
giornalista, con conseguente riduzione del ruolo dei direttori e
L. MUSSO, I modelli di organizzazione ai sensi dell’art. 6, Dlgs. N. 231/2001:
un caso di assoluzione della società.
207
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
dei redattori a quello di “impiegati di redazione”. Si potrebbe
giungere ad affermare che chiamare a rispondere l’impresa
giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, per i reati posti in
essere dai giornalisti potrebbe cancellare la separatezza di
competenze (tra gestione amministrativa, di competenza
dell’editore, e gestione dell’informazione, di competenza
esclusiva dei giornalisti e dei direttori) e che significherebbe
sottoporre i giornalisti al diretto controllo dei proprietari dei
media. Di “censura preventiva” aveva parlato la dottrina anche
a proposito della responsabilità del direttore ex art. 57 c.p.:
secondo qualche Autore tale disposizione avrebbe attribuito al
direttore un potere di controllo identificabile in un «eccezionale
potere di censura preventiva sull’esercizio della libertà di
stampa e di pensiero» (8). Ma a proposito della presunta
violazione da parte dell’art. 57 c.p. del precetto contenuto nel
secondo comma dell’art. 21 della Costituzione, secondo il quale
«la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»,
la Corte costituzionale ha dichiarato l’infondatezza della
questione dal momento che la “censura” si manifesta ed esercita
solo attraverso i provvedimenti cautelari che la P.A. potrebbe
essere autorizzata ad adottare per controllare le manifestazioni
scritte del pensiero e che potrebbe portare al divieto della
pubblicazione, e non mediante l’esercizio del controllo al quale è
tenuto il direttore di un giornale, prima ancora che per norma di
legge, per la natura stessa della sua attività e per il necessario
svolgimento della sua opera (9).
A ben riflettere, però, non sembra possa parlarsi di
“censura preventiva” neanche nel caso dell’introduzione di una
responsabilità dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001,
n. 231. Innanzitutto ci si dovrebbe soffermare sulla effettiva
“titolarità” della libertà di manifestazione del pensiero
all’interno dell’impresa giornalistica. Infatti, se da un lato, i
(8) M.B. MAGRO, La responsabilità del direttore di stampa periodica e
il problema della determinazione della condotta tipica nei reati omissivi , in
Cass. pen., 1992, 1241.
(9) Corte cost., 30.6.1960, n. 44, in C.E.D. Cass., n. 1081.
208
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
rapporti tra potere economico e informazione influiscono sulla
struttura e sull’organizzazione di un’impresa di informazione,
dall’altro, comportano l’insorgere di qualche interrogativo circa
la individuazione della “titolarità” della libertà di
manifestazione del pensiero. In altri termini, il rapporto tra le
tre principali figure che convivono all’interno di tale struttura
imprenditoriale – l’editore/proprietario, il direttore e i giornalisti
– ha determinato l’insorgere di un variegato spettro di
problematiche, prima fra tutte l’individuazione del titolare della
libertà della manifestazione del pensiero in seno all’impresa.
Editore e direttore costituiscono espressione di posizioni
differenti all’interno dell’organizzazione imprenditoriale: il
primo – che quasi sempre coincide con il proprietario della
testata – gestisce l’azienda prefiggendosi come scopo primario
quello di incrementare il profitto, sceglie il mercato, fissa la
linea politica del giornale e nomina il direttore; il secondo,
assume il ruolo di collante tra editore e redattori e garantisce la
linea politica fissata dall’editore.
Proprio per evitare che l’impresa di informazione
divenisse veicolo esclusivo della manifestazione di pensiero del
proprietario/editore in dottrina, in passato, era stata proposta
una netta separazione tra la gestione economica dell’impresa,
che avrebbe dovuto essere affidata all’editore, e la gestione delle
attività informative, che avrebbe dovuto essere affidata al
direttore e ai giornalisti (10). Di contro, il problema non avrebbe
dovuto porsi ad avviso di chi ha sostenuto che la libertà
dell’imprenditore si articola nel diritto di decidere
l’organizzazione economica, tecnica e “di pensiero” del mezzo di
diffusione tale da determinare l’indirizzo informativo della
pubblicazione e che proprio nell’ambito di tale indirizzo si
sviluppa l’opera di pensiero dei giornalisti che dà vita alla linea
politica del giornale: l’editore, pertanto, non diffonde il proprio
(10) V. GRISOLIA, I comitati di redazione e i problemi della
partecipazione dei giornalisti alla gestione dell’impresa, in La stampa
quotidiana tra crisi e riforma, a cura di P. Barile – E. Cheli, Il Mulino,
Bologna, 1976, 446.
209
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
pensiero ma «traccia il limite dell’altrui diffusione» e non
potrebbe essere qualificato come il Tendenzträger dell’impresa
giornalistica ma, anzi, il suo indirizzo informativo potrebbe
essere definito come «contenitore trasparente che, mentre
raccoglie e sagoma di sé il contenuto, viene reso palese come
contenitore da ciò che contiene; ed il contenuto, a sua volta, è
allo stesso tempo ciò che è e la forma che la struttura di
contenimento gli permette di assumere» (11).
Oggi è difficile negare che l’assetto dei rapporti tra
proprietà dell’impresa editoriale, direttore responsabile e
(11) M. PEDRAZZA GORLERO, Giornalismo e Costituzione, Cedam,
Padova, 1988, 46 ss.
Per quanto concerne la possibilità di ricondurre l’impresa
giornalistica alla “impresa di tendenza” è importante sottolineare che
comunque tale espressione non trova alcuna definizione a livello normativo.
La dottrina suole utilizzarla per indicare tutta una serie di problematiche riconducibili essenzialmente all’ambito giuslavoristico - che trovano origine
proprio in seno ad attività organizzate in vista del raggiungimento di scopi di
natura ideale o ideologica. Portatore di tendenza sarà il soggetto, individuale
o collettivo, che elabora il contenuto del messaggio di opinione e/o
privilegiato, e ne organizza il consolidamento e la propagazione avvalendosi
pure di lavoro dipendente. M. PEDRAZZOLI, Aziende di tendenza, in Digesto
disc. priv., Sez. commerc., Utet, Torino, 1987, 108. L’esistenza di una clausola
all’interno della contrattazione collettiva, la c.d. clausola di coscienza (v. art.
32 del contratto nazionale di lavoro giornalistico relativo al quadriennio 1
aprile 2009 – 31 marzo 2013), consente al giornalista di chiedere la
risoluzione del rapporto di lavoro, con diritto alle indennità di licenziamento,
«nel caso di sostanziale cambiamento dell’indirizzo politico del giornale
ovvero di utilizzazione dell’opera del giornalista in altro giornale della stessa
azienda con caratteristiche sostanzialmente diverse, utilizzazione tale da
menomare la dignità professionale del giornalista». Raramente tale clausola,
però, ha trovato applicazione pratica e la ragione probabilmente risiede nel
fatto che l’attività informativa si svolge in un contesto in continua evoluzione
in cui, tra l’altro, le competenze e l’influenza del corpo redazionale
contribuiscono sempre più alla determinazione dell’indirizzo del giornale
attraverso un sistema di validazione consensuale. Così S. PANIZZA – L. ROSSI,
Libertà di manifestazione del pensiero e organizzazioni di tendenza, in
Libertà di manifestazione del pensiero e giustizia costituzionale, a cura di A.
Pizzorusso – R. Romboli – A. Ruggeri – A. Saitta – G. Silvestri, Giuffrè,
Milano, 2005, 426.
210
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
giornalisti non condizioni la stessa libertà di manifestazione del
pensiero e che, essendo la stessa permanenza in carica del
direttore ancorata al rapporto fiduciario con l’editore, il potere di
informazione, nei fatti, finisca per concentrarsi nelle mani di
quest’ultimo (12). Ecco che allora parlare di “censura preventiva”
diviene estremamente difficile: l’introduzione di una
responsabilità amministrativa dell’impresa editrice e la
necessità dell’adozione ed efficace attuazione di un modello di
organizzazione e gestione equivale semplicemente ad imporre un
sistema di autocontrollo delle imprese sull’attività giornalistica
al loro interno esercitata.
3. Dal “danno criminale” al “danno civile”: la costituzione
di parte civile nei confronti dell’impresa giornalistica sottoposta
a procedimento ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Stante l’opportunità dell’eliminazione della responsabilità
del direttore ex art. 57 c.p. e dell’introduzione della
responsabilità dell’impresa giornalistica non può non riflettersi
sulle conseguenze che tale soluzione potrebbe comportare sul
piano della costituzione di parte civile in seno al procedimento di
cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Occorrerebbe,
innanzitutto,
chiedersi
se
siano
configurabili un danno da reato e un danno da illecito
amministrativo dell’ente quali tipologie di danno distinte e
separate o se queste finiscano per essere tra loro indistinguibili.
In altri termini, ci si potrebbe soffermare a riflettere se
dall’illecito amministrativo dell’ente derivi un danno diverso e
ulteriore rispetto a quello derivante dal reato presupposto e se il
danneggiato dall’illecito amministrativo e dal reato sia
legittimato a costituirsi parte civile all’interno del procedimento
penale che vede come protagonista l’ente.
(12) Sul punto G.A. VENEZIANO, Stampa, in Enc. giur., vol. XXX,
Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1993, 8.
211
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
La questione inerente all’ammissibilità della costituzione
di parte civile nell’ambito del procedimento di cui al D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231, nei confronti dell’ente è, ad oggi, una
questione aperta sulla quale sono intervenute esclusivamente le
Corti di merito, mentre la Cassazione non ha ancora avuto
l’occasione di pronunciarsi in proposito. Dato il silenzio della
normativa in discorso, sul punto si registrano decisioni aventi
segno nettamente opposto. Si oscilla tra ordinanze che ritengono
inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti
dell’ente sottoposto a procedimento in quanto, proprio in assenza
di una disposizione specifica, non sembra possibile pervenire a
tale risultato in base ad una interpretazione sistematicaevolutiva (13), e ordinanze che, invece, ritengono possibile che il
danneggiato avanzi le proprie pretese risarcitorie nei confronti
dell’ente nel procedimento penale (14).
Poichè solo un intervento del legislatore può metter fine ai
dubbi interpretativi che agitano la dottrina e la giurisprudenza
a tal proposito, meritano di essere riportate le argomentazioni
rinvenibili in una recente ordinanza di un G.u.p. di Milano che,
ponendosi in contrasto con la giurisprudenza precedente del
medesimo foro, ha rigettato la richiesta di esclusione della parte
civile in un procedimento ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (15). È
stato osservato, così, che grazie al decreto legislativo del 2001 «il
risarcimento del danno e/o riparazione del danno è stato
(13) Trib. Torino, ord. 2.10.08, in Dir. pen. e processo, 2009, 851; Trib.
Milano, ord. 18.4.08, in Corr. merito, 2008, 1062; Trib. Milano, ord. 18.1.08,
in Società, 2009, 1031, con nota di D. FRACCHIA, In tema di costituzione di
parte civile nel procedimento avviato nei confronti degli “enti” di cui al D.lgs.
n. 231/2001; Trib. Milano, ord. 31.3.05, in www.rivista231.it; Trib. Milano,
ord. 19.12.05, in Foro ambros., 2005, 443; Trib. Milano, ord. 25.1.05, in
Società, 2005, 1441, con nota di S. BARTOLOMUCCI, Inammissibile la
costituzione di parte civile dell’ente imputato ex D.lgs. n. 231/2001 ; Trib.
Milano, ord. 9.3.04, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 1333.
(14) Trib. Milano, ord. 5.2.08, in www.rivista231.it; Trib. Milano, ord.
24.1.08, in Corr. merito, 2008, 451 e in Guida al dir., 2008, 11, 76; Trib.
Torino, ord. 26.1.06, in www.rivista231.it.
(15) Trib. Milano, ord. 24.1.08, in Corr. merito, 2008, 451 e in Guida al
dir., 2008, 11, 76.
212
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
recuperato in chiave pubblicistica di alternativa alla sanzione
penale». Il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, infatti, come confermato
all’interno della stessa relazione governativa, palesa chiare
finalità specialpreventive, «accordando un premio all’ente che
pone in essere un comportamento che integra un “controvalore”
rispetto all’offesa realizzata». Comportamento successivo
all’illecito e che va posto in essere prima dell’apertura del
giudizio, che attenua il bisogno di pena e che controagisce
rispetto ai presupposti applicativi delle sanzioni interdittive,
annullando la loro carica di disvalore. Il favore che viene
ricollegato alla tenuta di queste condotte in latu sensu
risarcitorie è confermato anche dalla circostanza che (anche se
compiute oltre il termine previsto) comportano la conversione
della sanzione interdittiva in sanzione pecuniaria. Se così è,
allora, l’illecito amministrativo conseguente da reato disciplinato
dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, obbligherebbe direttamente
l’ente al risarcimento e/o alle riparazioni del danno a norma
delle leggi civili. Né l’assenza di norme nel corpo del decreto che
fanno riferimento alla costituzione di parte civile sembrerebbe
costituire un ostacolo a tale interpretazione. Gli artt. 34 e 35 del
decreto stabiliscono che per il procedimento relativo agli illeciti
amministrativi dipendenti da reato si osservano le norme ivi
contenute nonché, in quanto compatibili, le disposizioni del
codice di procedura penale e del Decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271, e che all’ente si applicano le disposizioni
processuali relative all’imputato in quanto applicabili: la
responsabilità dell’ente segue le garanzie del processo penale.
Inoltre, nemmeno la mancata indicazione nel corpo
normativo del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, di una norma
equivalente all’art. 74 c.p.p. può essere sintomatica di una
volontà del legislatore delegato di escludere l’istituto della
costituzione di parte civile nei confronti dell’ente. Il G.u.p. di
Milano osserva, inoltre, che un ulteriore argomento che potrebbe
porsi in contrasto con l’ammissibilità della costituzione di parte
civile potrebbe essere l’art. 54 del decreto in discorso che
disciplina il sequestro conservativo del pubblico ministero quale
unico titolare della relativa richiesta. Secondo il Giudice di
213
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
Milano tale obiezione risulta facilmente superabile riflettendo
sul fatto che gli artt. 53 e 54 nascono dalla necessità, avvertita
dal legislatore delegato, di riconoscere al pubblico ministero un
potere di iniziativa cautelare di carattere reale che poteva essere
messo in dubbio dal potere di richiedere in via cautelare le
misure interdittive, «non essendovi, invece, ragione di
disciplinare l’iniziativa cautelare della parte civile stante il
generale rinvio alle norme processuali vigenti» (16). In altre
ordinanze, nell’escludere l’ammissibilità della costituzione di
parte civile, si è sottolineato che l’ente potrebbe essere chiamato
a rispondere come responsabile civile del fatto connesso al reato
compiuto dal proprio organico (apicale o sottoposto) qualora vi
siano i presupposti di legge (17). Tuttavia, l’art. 83, comma
primo, c.p.p. prevede che possa essere citato come responsabile
civile solo chi debba rispondere civilmente per il fatto
dell’imputato: non può perciò essere citato come responsabile
civile nel processo penale chi abbia un titolo diretto di
responsabilità per i danni lamentati dalla parte civile, diverso
da quello addebitato all’imputato avendo l’ente una
responsabilità diretta nei confronti del danneggiato (18).
La presenza di tali orientamenti costituisce una buona
base di partenza per l’ammissibilità della costituzione di parte
civile nel procedimento che vede coinvolta l’impresa
giornalistica, ma non vi è dubbio che sarebbe opportuno un
espresso intervento del legislatore che chiarisse la possibilità di
costituirsi parte civile nel procedimento a carico dell’ente.
La costituzione di parte civile nell’ambito di un
procedimento contro un’impresa giornalistica presenta degli
innegabili vantaggi rispetto alla costituzione nel processo a
carico del direttore della pubblicazione e del giornalista autore
(16) Trib. Milano, ord. 24.1.2008, in Corr. merito, 2008, 451 e in Guida
al dir., 2008, 11, 76.
(17) Trib. Milano, ord. 25.1.2005, in Società, 2005, 1441, con nota di S.
BARTOLOMUCCI, Inammissibile la costituzione di parte civile dell'ente
imputato ex d.lgs. n. 231/2001.
(18) Trib. Milano, ord. 24.1.2008, in Corr. merito, 2008, 451.
214
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
dell’articolo. In quest’ultimo caso, infatti, le garanzie dal punto
di vista patrimoniale sono senza dubbio minori: in seno al
procedimento a carico dell’impresa giornalistica la parte civile
avrà maggiori possibilità di trovare adeguate garanzie del
soddisfacimento delle somme dovute a titolo di risarcimento
delle varie voci di danno che saranno prospettabili e la tutela
offerta dall’ordinamento in materia di delitti che offendono
l’onore o comunque più in generale in materia di reati commessi
dai giornalisti, ne uscirebbe ulteriormente rafforzata anche sul
piano del risarcimento del danno.
4. Tutela dell’onore: un’alternativa alla sanzione penale.
Al termine della riflessione sin qui svolta è forse possibile
guardare alla tutela penale dell’onore da un diverso punto di
osservazione. L’evidente inefficacia di tale tutela sembra
assumere contorni meno problematici se accanto allo strumento
civilistico del risarcimento del danno si prova a collocare il
sistema di responsabilità di cui al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. I
rimedi appena accennati potrebbero avere, nei fatti, una
efficacia preventiva maggiore della sanzione penale. In
particolare, le finalità offerte dal sistema sanzionatorio di cui al
D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, dimostrano come il sistema della
responsabilità degli enti collettivi assuma le fattezze di un vero e
proprio sistema generale che si propone di perseguire obiettivi
che coincidono con la prevenzione generale e speciale e nel
nostro ordinamento non sembrano rinvenibili altri strumenti di
controllo
sociale
che
garantiscano
una
funzione
specialpreventiva di tale portata. Si tratta di una prevenzione
che affonda le sue radici nel tessuto della prassi organizzativa
degli enti poiché le cause dei comportamenti illeciti di questi
ultimi traggono origine proprio nel corpo dell’organizzazione
aziendale: solo un sistema come quello offerto dal D.lgs. 8 giugno
2001, n. 231, può provare a sradicare le cause dei comportamenti
illeciti in seno alle strutture complesse. L’adozione di
215
Dalla responsabilità del direttore alla responsabilità dell’impresa giornalistica
meccanismi di autoregolazione da parte delle imprese finalizzati
alla riduzione del rischio-reato può condurre verso un’apertura
ad una “cultura della legalità” diretta a rafforzare l’impresa non
solo da un punto di vista economico ma soprattutto nell’ottica
dell’immagine che questa fornisce di sé.
Ricorrere a forme di tutela alternative alla sanzione
penale non significa configurare «un’opzione politica favorevole
alla stampa e ai giornalisti»: da un lato, l’illecito civile, essendo
disciplinato da clausole generali e non soggetto alle regole di
stretta legalità, fa si che il giudice possa muoversi «con maggiore
libertà nell’individuazione della linea di demarcazione tra lecito
ed illecito» (19), dall’altro, l’introduzione della responsabilità
dell’impresa giornalistica ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231,
rappresenta un sistema che, stabilendo le funzioni dell’attività
d’impresa, punta a colpire quelle che vengono meno al rispetto
dell’interesse pubblico all’informazione anteponendo a questo i
loro interessi economici.
(19) R. DIES, Spunti critici sulla diffamazione a mezzo stampa, in
Diritto di cronaca e tutela dell’onore, Atti del Convegno tenuto presso la
Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Trento il 18 marzo 2005 ,
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