A proposito di tutta questa musica L'analfabeta stonato e la violista matematica dialogo semiserio, in cui si fanno domande disperate, cercando di capire le risposte... Questo articolo NON è scritto una volta per tutte. E' veramente un dialogo. E il dialogo viene continuamente aggiornato. Non sappiamo la piega che prenderà il discorso, né abbiamo una serie di domande precostituite da fare una alla volta. Ci ha incuriosito questa possibilità offerta dalla rete ma non ,certamente, dalla carta stampata... Seguiteci, se la cosa vi diverte abbastanza. la foto a lato: Miss-tick sui muri di Parigi diventare semplice è complicato AS (Analfabeta Stonato) (6/4/12): senti, sto leggendo i tuoi articoli di musica e matematica. Ma non capisco una cosa di fondo. Non ti mettere a ridere. Ma a che serve una scala, nella musica, perché darsi tanta pena nel definire una scala? Insieme a molti do' per scontate una serie di cose. Mi hanno insegnato do re mi...ecc e io a ripetere do re mi... ecc. Ma perché bisogna usare una scala, a che serve? VM (Violista Matematica) (6/4/12): Per anni mi hanno chiesto ma la matematica a cosa serve?, pensavo che almeno sulla musica potessi respirare, ma parrebbe di no. Per un musicista come me le scale sono fondamentali, si studiano ogni giorno, serve come esercizio per l'intonazione e per studiare vari colpi d'arco, ma forse non è questo che ti interessa. Per prima cosa sappi che la classica scala che ti hanno insegnato è solo una delle tante esistenti. In ogni epoca ogni cultura ha sviluppato un suo sistema musicale, e ogni sistema ha la sua scala, con diversi numeri di note e diverse distanza fra esse. L'antenata della nostra scala è la scala pitagorica, e i pitagorici furono i primi a considerare la musica da un punto di vista teorico, ma i Greci, si sa, amavano teorizzare tutto, pensa che nei famosi "Elementi" di Euclide furono organizzate tutte le conoscenze matematiche fino ad allora pervenute attraverso un sistema di assiomi, concetti primitivi e teoremi mai visto prima. Ma possiamo trovare scale anche in popoli che non le hanno mai teorizzate, e tra l'altro c'è il curioso fatto che la maggior parte di esse sono eptatoniche o pentatoniche, cioè di 7 o 5 note. Evidentemente l'orecchio umano sente la necessità di organizzare i suoni secondo un certo criterio per fare musica, e a seconda del criterio scelto sono nate varie scale. Poi col passere dei secoli alcune di queste sono state modificate in base alle esigenze che sono sorte. AS (7/4/12): eh,eh...A che cosa serve la Fisica? A che cosa serve studiare? ecc. ecc. La domanda riecheggia da millenni. Già una vota Euclide, tallonato da uno studente simile, gli diede un soldo e lo rispedì a casa. A che serve capire il mondo? Intanto la gente usa frigoriferi, usa cellulari, usa satelliti per le comunicazioni e ogni altro ben di dio, grazie a qualcuno che il mondo si è messo a studiare. Ulteriori considerazioni ci porterebbe lontano. No, non ti ho chiesto a che cosa serve la musica, o lo studio della musica, o la teoria musicale. Ti faccio un esempio terra terra (spero non troppo): è come se parlando di matematica ti avessi chiesto NON a che cosa serve la matematica ma a che cosa servono le equazioni. Allora tu mi avresti risposto che uno ha sviluppato le equazioni per ecc. ecc. Ritorniamo quindi alla musica. Già nella tua risposta, mi hai detto che sono state sviluppate nei millenni diverse scale musicali, praticamente ogni cultura ha sviluppato la sua scala musicale. Affascinante. Quindi questo implica frequenze diverse, intervalli diversi e così via. Questo farebbe pensare a una arbitrarietà. Implica anche che per fare musica sembrerebbe necessario fissare una scala (arbitraria? Ma veramente tutte queste scale sono arbitrarie? in parte mi hai già risposto, senza approfondire: il fatto che in genere sono di sette o cinque note vorrò pure dire qualche cosa...) Ti rifaccio allora la domanda. Perché è necessario stabilire una scala? E' possibile fare musica senza usare una scala? Che cosa succederebbe, o cosa sarebbe impossibile fare senza una scala? Inoltre una scala implica, mi sembra, un insieme discreto di suoni (ehm, un insieme discreto, per i non addetti alla matematica, è un insieme fatto di elementi separati in un numero limitato...). VM (8/4/12): Per fare musica non sempre è necessario far uso di scale, o meglio, questo dipende dal concetto di musica! Nella preistoria l'uomo ha costruito degli strumenti musicali, ma per la maggior parte erano strumenti a percussione, e la loro musica era basata principalmente sul ritmo, non si pensava tanto all'altezza dei suoni (cioè alle note), quindi non avevano bisogno di nessuna scala. Egizi e Mesopotamici, invece, costruirono strumenti molto diversi fra loro, e infatti conoscevano scale pentafoniche ed eptafoniche. In realtà loro, così come tanti altri popoli, non hanno "stabilito a tavolino" una scala, hanno semplicemente ideato delle musiche, e analizzandole si è notato che i suoni erano organizzati secondo una certa struttura. In genere queste scale si basano sulle consonanze perfette degli intervalli di ottava, quinta e quarta, poi le altre note vengono scelte secondo il proprio gusto e le esigenze degli strumenti in uso. L'uso delle scale è solamente un'esigenza umana, dovuta alla struttura strumenti musicali e al proprio orecchio. Il nostro orecchio infatti ha delle esigenze acustiche, ascolta per esempio questo. Non ti sembra manchi qualcosa? Questo era quello che secondo l'orecchio mancava. Quella che ti ho fatto sentire si chiama cadenza, e in musica esiste tutta una classificazione delle cadenze, ma è stata teorizzata solo dopo secoli. È come quando l'uomo preistorico contava i suoi animali: se ne trovava 5 ma ricordava che ne aveva 7 sapeva che ne mancavano 2. Di fatto faceva una sottrazione, la usava ma non sapeva neanche cosa fosse (probabilmente neanche rappresentava i numeri, usava dita e pietre per contare). Lo stesso vale per le scale. Sarebbe anche possibile fare musica senza una scala, ma prova a lasciar suonare il pianoforte ad un bambino: anche se suonasse un tasto alla volta e con un ritmo "sensato" l'orecchio non si sentirebbe appagato, non sembrerebbe musica. Ecco perché è necessario che i suoni siano organizzati secondo una struttura. E tra tutti i suoni possibili ovviamente se ne scelgono solo alcuni, quindi dici bene: la scala è un insieme discreto di suoni. Potrebbe essere continuo? In questo modo sarebbe molto difficile strutturare i suoni, e ancor di più suonarli con tutti gli strumenti: quante corde dovrebbe avere un'arpa per poterli suonare tutti? e quanti tasti dovrebbe avere un pianoforte? Anche se prendiamo un intervallo limitato sarebbero comunque infiniti (in matematica si chiama cardinalità del continuo), più infiniti di un insieme discreto limitato ma molto fitto (che ha la cardinalità del numerabile)! AS (9/4/12): Sì, ora mi sembra più chiaro. In più mi viene in mente che senza una scala, senza una qualche convenzione che strutturi la musica, sarebbe difficile la condivisione. Una tradizione puramente orale? E' forse lo stesso problema di una lingua scritta. Se tu scrivi uno spartito di una musica che hai composto, io da qualunque parte del globo, se accetto la stessa convenzione di struttura, posso riprodurre la tua musica. Che tipo di scala usa la musica cinese? e la musica araba? o la indiana. Per parlare di due musiche contemporanee. Mi ricordo che quando ero bambino avevo scoperto che battendo solo sui tasti neri del pianoforte veniva comunque fuori una musica vagamente cinese. Possibile? VM (10/4/12): In realtà è nell'Europa occidentale che è nata e si è diffusa la scrittura musicale. Le musiche popolari sono sempre state tramandate oralmente (esiste qualche tentativo di scrittura, ad esempio in Cina, ma molto approssimativo e difficilmente decifrabile). I primi ad aver introdotto una notazione musicale furono i Greci, ma la storia della nostra attuale notazione comincia nel IX secolo d.C., quando Carlo Magno impose in tutto l'impero il rito franco-romano per diffondere il Cristianesimo. Per far ciò furono diffusi tutti i canti franco-romani, e per non essere ostacolati misero per iscritto i canti liturgici. All'inizio era una notazione molto sommaria: c'erano solo degli accenti che indicavano l'andamento della frase musicale, ma non si indicava né l'altezza né la durata delle note (quindi niente pallini vuoti, pieni o con code e neanche un pentagramma) perché al tempo tutti i cantori conoscevano quei canti, quindi non c'era questa esigenza. Poi con la nascita dei musicisti sono nate altre esigenze e la scrittura si è modificata fino a quella attuale, però essa permette di scrivere con precisione musiche col nostro sistema musicale, per altri può risultare inadatta. Pensa ad esempio alla scala indiana dei brahmiani in cui l'ottava viene divisa in 22 shruti, si potrebbero usare le alterazioni della musica microtonale, monesis e mobemolle , ma questi indicano quarti di tono, e non necessariamente la distanza tra i diversi shruti è di un quarto di tono. Infatti per chi ascolta alcune musiche etniche ed è “troppo” abituato al nostro sistema alcune note sembrano calanti. Ad esempio ascolta questa nota canzone dei Deep Purple in versione giapponese. Il discorso è un po' più facile per la scala cinese, essa infatti è pentatonica e la distanza tra i 5 suoni può essere riassunta in questo modo: Tono – Tono – 3 semitoni – Tono – 3 semitoni. E questa sequenza di distanze si può riprodurre proprio suonando i tasti neri di un pianoforte!