I LINGUAGGI DEL CIBO E DEL CORPO TRA IDENTITÀ, TRADIZIONI CULTURALI E NUOVI SAPERI EMILIA MANZATO Responsabile Centro Disturbi Alimentari, Azienda Ospedaliera Universitaria S. Anna, Ferrara. Il Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) si occupa di Anoressia, Bulimia e Disturbo da Alimentazione Incontrollata. Sono patologie psichiatriche e possiamo definirle come situazioni in cui il disagio, spesso presente durante i momenti evolutivi, può manifestarsi con disturbi nel rapporto con il cibo, con il proprio corpo e con il mondo delle relazioni. Il Centro per i DCA è presente da dieci anni all’interno dell’Ospedale Sant’Anna di Ferrara e si occupa di pazienti dai 14 anni. Io sono una psichiatra e coordino il gruppo di lavoro che è costituito da psicologhe, dietista e internista: la maggior parte delle pazienti viene seguita a livello ambulatoriale, ma i casi più gravi possono essere ricoverati in day hospital o in degenza ordinaria. Il lavoro con gli adolescenti e con i giovani è un po’ diverso rispetto al lavoro con gli adulti. Quando i pazienti sono adolescenti, dobbiamo lavorare con la famiglia: il primo scopo è sostenere i famigliari e ricostruire con loro la storia del disturbo alimentare. A volte le famiglie arrivano molto logorate dal disturbo alimentare: è difficilissimo convivere con una figlia che si rifiuta di mangiare e si spegne fisicamente e psicologicamente. Le mamme e i papà arrivano spesso con sensazioni di incapacità, impotenza, senso di colpa. Noi cerchiamo di infondere un po’ di coraggio e di fiducia perché la strada per guarire non contempla la ricerca di una colpa, ma la comprensione dei malesseri o degli eventi di vita che hanno portato al disturbo alimentare. L’ Anoressia e la Bulimia, sono disturbi che si verificano prevalentemente nell’adolescenza o nella prima giovinezza, mentre Il Disturbo da Alimentazione incontrollata si verifica nell'età adulta e in pazienti obesi, può però essere considerato l’altra faccia della stessa medaglia. Infatti i disturbi alimentari si dipanano lungo un ventaglio di situazioni che vanno dall’ipercontrollo dell’anoressia al discontrollo della bulimia e dell’alimentazione incontrollata. Paradossalmente gli estremi hanno molti punti in comune: nell’anoressia così come nell’obesità manca la fiducia in se stessi, l’autostima, manca un buon rapporto con il proprio corpo . In tutte le situazioni bisogna ricostruire un po’ di fiducia, cominciare a dare un senso al disturbo alimentare, pensare che dietro al distorto rapporto con il cibo c’è un disagio del mondo emotivo, c’è la storia personale, c’è tutta una complessità di malesseri che vengono spostati nel corpo e nel cibo. Affrontiamo quindi il problema del rapporto con il cibo partendo un po’ da lontano, dalla storia della coppia mamma bambino: quindi l’importanza dell’alimentazione nel rapporto madre- figlia, ma anche l’influenza delle convinzioni materne sul cibo e sul corpo nel rapporto con i figli. Il mestiere di mamma è un mestiere difficile e quindi, le osservazioni che faremo dovrebbero essere sentite come stimoli . Winnicott psicanalista e pediatra, diceva: per crescere un figlio bene ci vuole una mamma “sufficientemente” buona, non una mamma perfetta . Come si fa a raggiungere la sufficienza? Fermandosi spesso nella relazione col figlio a pensare a cosa sta succedendo e a quali bisogni si sta rispondendo: in una relazione vengono messi in campo i bisogni di tutte e due i soggetti. Vi mostro un’immagine di un’ecografia, perché qua comincia la vita:è un momento in cui si è tutt’uno con un’altra persona. Nelle ecografie vediamo tutti i movimenti che fa il bambino: si succhia il pollice, si succhia il cordone ombelicale, naviga, si muove: è una situazione in cui assieme all’ attività motoria esiste già una vita psichica, con fantasie e pensieri. Dal punto di vista alimentare è il primo grande banchetto che si fa senza nessun senso di colpa. E quando si nasce il primo rapporto che si ha col mondo passa attraverso il rapporto con il cibo. Vedete come i bambini piccoli mettono tutto in bocca, è un modo di conoscere il mondo esterno, ma sono talmente piccoli che non riescono ancora a distinguere tra interno ed esterno, fanno confusione. Ricordiamoci che il neonato è anche molto immaturo dal punto di vista cerebrale, deve crescere fisicamente, e anche la vita mentale deve svilupparsi. La mamma è la prima figura con cui stabilisce una relazione e la sente quasi come un prolungamento di sé. La mamma stessa in quel periodo è molto presa dalla relazione con il figlio. Nell’allattamento tra madre e bimbo c’è una circolarità di sguardi, è come se ci fosse una bolla che racchiude mamma e figlio: lo sguardo della mamma è tutto preso dal figlio, per rispondere ai messaggi del figlio. Il rapporto che il bambino ha col mondo è soprattutto col seno o col biberon, comunque con una fonte di nutrimento. La mamma non è proprio vista come una persona distinta, è vista più che altro come fonte di nutrimento quindi le fantasie che il bambino costruisce sono fantasie molto primordiali: la mamma è il seno buono quando è presente e soddisfa, seno cattivo quando non soddisfa subito o non è presente. La relazione è con un pezzettino di mamma ma come se questa mamma fosse poi un prolungamento del bimbo. La mamma non è solo il seno che dà da mangiare, la mamma è la mente prestata al bambino, che dà significato a quello che sta succedendo nella nutrizione, nell’accudimento, nella relazione. E’ come se tutti i sensi della mamma chiusa in questa bolla cercassero di percepire tutti i messaggi del bambino e restituirli dando valore e significato. Ma come la bolla di sapone, anche questa si rompe, e bisogna che ciò avvenga per poter crescere. Tutti questi aspetti di crescita mentale, di passaggio di pensieri e di emozioni avvengono in maniera diversa a seconda della storia della mamma e a seconda dei bisogni del bambino, perché non solo le mamme sono diverse, ma anche i bimbi sono diversi e hanno una diversa quota di ansia e di tristezza. Quindi abbiamo visto che fame è sì bisogno di cibo ma è anche bisogno di imparare, di sentirsi accudito, bisogno di vita e di restare al mondo: se io mi sento amato e accudito allora investo per restare vivo e aperto al mondo delle relazioni, altrimenti che motivo ho per vivere? per restare al mondo? A volte l’accudimento e la presenza materna possono essere difficili: per esempio quando le mamme devono per forza tornare presto al lavoro dopo la maternità oppure quando la testa della mamma è occupata da altre emozioni. E' il caso delle depressioni post partum, così scarsamente diagnosticate perché spesso le neo madri si vergognano molto a confessare la propria depressione quando tutti sono felici. La mamma riempita di questo dolore depressivo fa fatica a restare in contatto con il figlio. Poi arriva lo svezzamento: periodo in cui ,come dire, ci “dobbiamo guadagnare il pane”, il figlio ha una distanza diversa con la mamma, il cibo è nuovo, non gli è più dato, ma lo deve prendere con un cucchiaino:l'alimentazione diventa diversa. Nello svezzamento i bimbi riescono ad andare con coraggio verso sapori nuovi, cibi nuovi e difficoltà nuove se ha funzionato abbastanza bene la relazione di coppia con la madre . Domanda dal pubblico: ma ci sono situazioni in cui i bambini sembrano accettare lo svezzamento con gioia ed entusiasmo e magari si percepisce più il dolore nella mamma che deve smettere di allattare, come se ci fosse un disequilibrio tra la mamma e il bambino E’ difficile interpretare queste situazioni, è come se lei dicesse che il bimbo è più pronto della mamma al cambiamento e che la mamma ha ancora lo sguardo verso il passato: “cosa sto perdendo” perché si perde questa bolla in cui si è un tutt’uno con un’altra persona. Nella famiglia, ricordiamoci, c’è anche il papà che ha un ruolo importante in queste situazioni e se adeguatamente presente può infondere coraggio e serenità nell’affrontare i cambiamenti . Che cosa fa paura nelle separazioni? E' vero che “per il bene del bambino, come dice lei, bisogna farli questi passi”, ma è anche vero che a volte si fa fatica a farli, soprattutto se non vi sono sostegni che aiutano . Al giorno d’oggi spesso la famiglia è nucleare, non c’è più la famiglia allargata, con la mamma, la nonna, la zia che possono avere una funzione rassicurante verso la neo-mamma che a volte rischia di sentirsi sola con le sue insicurezze e paure. Domanda: Cosa succede quando oltre alla mamma ci sono altre persone che si occupano dello svezzamento del bambino? La nonna, la tata del nido, la baby-sitter….. Se la mamma non riesce ad essere presente è molto importante che ci siano figure che possono vicariare la sua presenza e attraverso l’accudimento permettere di far crescere la mente del bimbo. Sarebbe importante però che le figure che aiutano la mamma non pretendano di sostituirsi ad essa, ma di sostenerla nel suo compito. Domanda dal pubblico: Mentre dicevate queste cose mi veniva spontanea un’analogia: il momento dello svezzamento è un momento simile all’adolescenza. Pensavo a quella mamma che, rotta la bolla, vede questo figlio che mangia da solo ed è contento e la mamma soffre. Io sto vivendo questa cosa con mia figlia che è adolescente. E allora mi chiedo: se avessi avuto un terzo o quarto figlio, soffrirei meno di questa cosa? Secondo me, tanti limiti che vedo oggi di tanti genitori, rispetto all’autonomia, questo voler fare sempre per i figli, allacciargli le scarpe fino a otto anni, il pannolone fino a tre quattro anni, dargli da mangiare imboccarlo…. Sembra quasi che questo unico figlio sia da una parte una risorsa , ma dal punto di vista della tua vita esperita sia una limitazione incredibile, perché noi viviamo attraverso i nostri figli molte più vite rispetto a quella che è la nostra. Un figlio solo in qualche modo ci limita, almeno per quella che è stata la mia esperienza. Ho fatto uno svezzamento buono, ma i remi in barca ho iniziato a tirarli durante l’adolescenza, con due figli molto diversi perché poi chiaramente io sono stata una madre diversa. Giustamente la signora diceva, i figli sono diversi ma le mamme sono diverse con i propri figli. E quindi il fatto di questo figlio unico, di questa nostra società molto egoista, se vogliamo, è un limite incredibile a quella che è la nostra capacità di crescita di maturare di cambiare. E mi spiace sempre quando parlo con i genitori, sentire che hanno questa paura dei cambiamenti, che hanno questa resistenza al cambiamento dei bambini anche se tutelata, organizzata e pensata , per paura di una minima frustrazione. Non si capisce se hanno paura della reazione del bambino o se hanno paura loro stessi di dover poi gestire la reazione perché spesso gestire il pianto del bambino piccolo è difficile ma è difficile anche gestire il pianto e la rabbia di un adolescente, forse di più perché in quel momento sei , per così dire, nudo davanti al problema. Mi viene da dire rispetto al discorso che facevi del figlio unico che viene tenuto in questa bolla anche quando ha 20, 30, 40 anni: forse è tutta la famiglia che resta in simbiosi e cerca di fermare il tempo. La separazione può essere aiutata anche da aspetti educativi, da regole che mettono dei limiti ma danno al bambino la sicurezza che i genitori ci sono. Per esempio l’alimentazione ha i suoi ritmi, ha le sue quantità, ha i suoi momenti. Da un po’ tempo nelle librerie si vedono manuali dedicati ai genitori per aiutarli a dire dei no senza sentirsi in colpa e a considerare il “ no” come costruttivo, anche se il bambino si arrabbia, come se questa capacità educativa sia oggi diventata una difficoltà grande per i genitori. Spesso la difficoltà di sopportare la rabbia del figlio fa dire sempre di si, però così non si creano mai dei momenti di divergenza, delle piccole palestre di separazione che poi portano ad accettare la crescita. Ma mettere dei limiti in genere è molto faticoso per i genitori. E' più facile sentirsi mamme accoglienti gratificate dai sorrisi dei bimbi. È difficile mettere delle regole: mamma e bambino possono provare rabbia, solitudine, colpa e devono sopportare tutto il difficilissimo lavoro mentale per ritrovare un nuovo equilibrio rispetto a un “no”. L’adolescenza, è un altro momento difficile dove tutti questi aspetti tornano. Per l’adolescente non c’è più solo la famiglia: ha bisogno di avere degli amici, ha un corpo che comincia a cambiare, ha pudore di parlare delle sue esperienze, sente i gruppi di amici come più importanti dei genitori. C’è un lavoro nell’adolescenza enorme: i ragazzi si ritrovano un corpo diverso e sconosciuto,fanno esperienze nuove che spesso condividono con gli altri ragazzi e non con i genitori . E succede la stessa cosa in ogni cambiamento: se i precedenti passaggi li hanno vissuti con sufficiente serenità riescono ad affrontare bene anche il passaggio dell'adolescenza. A volte i disturbi alimentari in adolescenza sono un espressione della fatica del cambiamento dell'adolescente. Pensiamo a noi e alla nostra adolescenza: quello che siamo diventati, da adulti, lo siamo diventati passando attraverso un periodo in cui non eravamo né carne né pesce, abbiamo sofferto, sbagliato, quante volte ci siamo sentiti soli, eppure è stata una strada obbligata perché abbiamo dovuto costruire dentro di noi dei punti di riferimento diversi dalle sicurezze date da papà e mamma. Vedete che i passaggi dei figli hanno molto a che fare anche con i nostri passaggi e con quello che ci siamo costruiti nella vita. Abbiamo parlato di cambiamenti e di separazione necessaria, che è tanto più possibile quanto più possiamo tenere dentro il pensiero che comunque a casa ci possiamo tornare, come Pollicino che mette le briciole lungo il sentiero: anche se mi perdo in mezzo al bosco, io posso ritornare a casa ed ho fiducia di ritrovare la strada,. Terminiamo accennando ai tanti significati anche sociali e culturali che può avere il cibo. Cibo vuol dire anche peso: tanto cibo vuol dire diventare grassi e poco cibo restare magri. Quindi il rapporto con il cibo risente anche dell'immagine del corpo che viene proposta dalla società. Ma quando parliamo di diverso rapporto col cibo, dobbiamo per forza arrivare a parlare del cambiamento dell’immagine corporea, perché quanto mangiamo, cosa mangiamo e come mangiamo ha a che fare molto con come ci vediamo, qual è il nostro ideale di bellezza, qual è l’immagine corporea ideale che abbiamo di noi stessi. L'ideale di bellezza femminile non è stato stabile nei secoli, ma è cambiato a seconda dei cambiamenti culturali e sociali delle diverse epoche. L'ideale di una donna magra quasi sottopeso è stato proposto però solo dall'inizio del '900. Perché è cambiato l’ideale di bellezza? Perché è cambiato il ruolo della donna. Fino al secolo scorso era importante che le donne fossero in grado di fare figli, quindi dovevano avere forme rotonde, un peso che permettesse molte gravidanze, perché i bimbi morivano velocemente e perché c’era sempre una guerra che decimava le persone. Alla fine dell’ottocento le donne sono entrate nel mondo del lavoro hanno cominciato ad uscire dal ruolo di casalinghe . Hanno però dovuto affrontare la fatica di avere due ruoli: durante il giorno fare le lavoratrici per 810 ore di lavoro e poi a casa fare le madri, le mogli, le casalinghe . Inoltre hanno dovuto affrontare la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro: un mondo gestito da maschi. Il modello di bellezza proposto dalla nostra società non si riferisce più alla donna-madre, ma alla donna che lavora, che ha capacità di controllo e che sa confrontarsi e gareggiare. La magrezza diventa sinonimo di capacità di controllo e raccoglie tutti significati positivi: la donna magra mostra che è capace di controllare il cibo, ma anche altre emozioni ecc. Passa il messaggio che se io so dimagrire e controllare il cibo io incarno il modello positivo, se ingrasso incarno il modello negativo della società di questo momento. E quindi il cibo rischia di perdere la dimensione di relazione, di gioco, di crescita per mamma e bimbo, rischia di diventare un cibo con un’anima: buono se dietetico, cattivo se fa perdere il controllo. Si entra quindi in una visione tipica del disturbo alimentare: il cibo o viene controllato o diventa un momento di trasgressione e di discontrollo. Quindi una mamma molto occupata da problemi di controllo sul cibo può essere una mamma che lascia poco spazio al gioco e a tutti i significati che relazione alimentare comporta.