Marcelli - Il sito di Audiologia dell`Università Federico II di Napoli

EMISSIONI OTOACUSTICHE E SCREENING AUDIOLOGICO NEONATALE
Drssa Monica Errichiello, Dr Vincenzo Marcelli
Dipartimento di Neuroscienze. Unità di Audiologia
Università degli Studi di Napoli Federico II
Cenni di anatomia e fisiologia dell’apparato uditivo
Classicamente, l’orecchio viene suddiviso in tre parti: orecchio
esterno (OE), orecchio medio (OM) ed orecchio interno (OI) (figura 1).
OI
OM
OE
Figura 1: Suddivisione dell’Orecchio
Ogni parte ha funzioni differenti ma finalità unica: trasformare una
variazione di pressione, ossia il suono, in un fenomeno elettrico. Questo,
attraverso il ramo cocleare del nervo VIII, raggiunge il Sistema Uditivo
Centrale dove, a livello corticale, darà luogo alla percezione uditiva.
L’OE, costituito dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo
esterno (CUE) amplifica lo stimolo e lo convoglia alla membrana
timpanica (MT), che separa l’OE dall’OM.
L’OM ha la forma di un cubo cavo e contiene la catena degli ossicini
(martello, inserito nella MT, incudine e staffa). La MT e gli ossicini
costituiscono il sistema timpano-ossiculare (STO), che ha l’importante
funzione di trasferire il suono dal CUE all’OI e di impedire che nel
passaggio della vibrazione dal mezzo aereo al mezzo liquido contenuto
nell’OI vada persa un’eccessiva quantità di energia. Tecnicamente, l’OM
può essere definito un accoppiatore di impedenza, con un efficiente effetto
di trasformazione, che raggiunge i 40 dB.
Attraverso il movimento della staffa, lo stimolo sonoro raggiunge
dunque l’OI e mette in movimento i liquidi presenti nella coclea. Questa
ha la forma di una chiocciola cava che si avvolge a spirale intorno ad una
struttura ossea, il modiolo (figura 2).
Figura 2: Coclea e Modiolo
Lo spazio compreso tra il margine libero del modiolo e la parete della
chiocciola viene colmato dal labirinto membranoso, nel quale è contenuto
l’organo del Corti. Si tratta di una struttura particolarmente complessa,
adagiata sulla membrana basilare (MB) e costituita da una serie di cellule
di sostegno e da due tipi di cellule fondamentali per il fenomeno uditivo: le
cellule ciliate acusitiche interne (CCI) e le cellule ciliate acustiche esterne
(CCE) (figura 3).
Figura 3: Organo del Corti
Le cellule ciliate (figura 4) sono dotate di prolungamenti (ciglia), che
si inseriscono in una struttura che ricopre le cellule stesse e tutto l’organo
del Corti, la Membrana Tectoria (MTE) (figura 5).
Figura 4: Le cellule ciliate
Figura 5: Membrana Tectoria e cellule ciliate
Il meccanismo di stimolazione può essere così riassunto: a seguito
della vibrazione della MB e dell’organo del Corti adagiato su di essa, le
ciglia delle cellule ciliate si flettono perché ancorate alla MTE,
relativamente meno mobile rispetto alla MB: la flessione delle ciglia è
responsabile della eccitazione delle cellule ciliate.
È interessante ricordare che la coclea ha un preciso “tonotopismo”: i
suoni acuti stimolano le cellule ciliate contenute nella parte iniziale della
coclea (giro basale) mentre i suoni gravi stimolano le cellule ciliate
contenute nella parte finale della stessa (giro apicale) secondo le teoria
dell’onda viaggiante (Figura 6).
Figura 6: Chiocciola “srotolata” e tonotopismo
Le CCI e le CCE svolgono compiti completamente differenti.
Le CCI hanno una funzione puramente uditiva: esse rappresentano
l’anello fondamentale per la percezione uditiva e sono responsabili della
cosiddetta trasformazione meccano-elettrica; una volta eccitate, esse
trasformano uno stimolo meccanico, la vibrazione, in un evento elettrico
che, raccolto dai rami cocleari del nervo VIII presenti all’interno del
modiolo, viene poi trasferito al Sistema Uditivo Centrale. Le CCI non
hanno selettività in frequenza e sono stimolate da suoni di intensità
compresa 60 e 120 dB. I suoni di intensità compresa fra 0 e 60 dB
stimolano le CCI indirettamente e solo grazie al contributo delle CCE.
Avendo una funzione puramente uditiva, la distruzione delle CCI
determinerà una sordità completa.
Le CCE sono stimolate da suoni di intensità compresa fra 0 e 60 dB,
contribuiscono all’azione delle CCI per lo stesso range di intensità, hanno
selettività in frequenza, ed hanno una funzione di fondamentale
importanza: fungono da amplificatore dello stimolo grazie alla loro
capacità di contrarsi quando stimolate (Figura 7).
Figura 7: L’onda viaggiante e l’amplificazione
Questo vuol dire che quando un suono di intensità compresa fra 0 e
60 dB raggiunge l’OI, le CCE si eccitano: la conseguente contrazione
determina un aumento del movimento della MB, con conseguente
amplificazione del segnale e stimolazione contemporanea delle CCI, che
da sole non risponderebbero a stimoli di intensità inferiore a 60 dB. Oltre i
60 dB, invece, l’ampiezza del movimento della MB è sufficiente a
stimolare direttamente le CCI anche senza il contributo delle CCE.
Non avendo funzione uditiva in senso stretto ma di amplificazione
dello stimolo, la distruzione delle CCE determinerà la scomparsa di tale
effetto ma non la sordità completa.
Il deficit uditivo
Qualsiasi patologia a carico dell’OE, dell’OM e dell’OI può
determinare un deficit uditivo.
Tra le patologie a carico dell’OE responsabili di deficit uditivo vanno
ricordate le rare malformazioni del CUE. Una condizione più frequente,
non patologica ma responsabile di un momentaneo deficit uditivo è
rappresentata dal tappo di cerume o dalla presenza di un corpo estraneo nel
CUE.
Le patologie a carico dell’OM sono senz’altro più frequenti (otite
acuta e cronica, timpanosclerosi, otosclerosi, più raramente anomalie di
sviluppo) e responsabili altrettanto frequentemente di un deficit uditivo per
alterato trasferimento del suono all’OI. Poiché l’OM funziona come un
accoppiatore di impedenza con effetto di trasformazione pari a 40 dB, una
patologia a suo carico potrà determinare un deficit uditivo non superiore a
40-50 dB.
In presenza di patologie a carico dell’OE e dell’OM, il deficit uditivo
viene definito di tipo “trasmissivo”, poiché è determinato da un’alterazione
dei meccanismi preposti alla “trasmissione” del suono.
Le patologie a carico dell’OI sono numerosissime (sociopresbiacusia, traumi da rumore acuti e cronici, sofferenza vascolare,
dismetabolismi, infezioni, malattia di Meniere, malattie genetiche, ecc) e
di conseguenza costituiscono una causa estremamente frequente di deficit
uditivo. Per quanto riportato precedentemente, in caso di lesione delle
CCE il deficit uditivo potrà raggiungere al massimo i 60 dB, mentre la
lesione delle CCI determinerà un deficit compreso fra 0 e 120 dB.
In presenza di patologie a carico dell’OI, il deficit uditivo viene
definito di tipo “percettivo” o “neurosensoriale”, poiché è determinato da
un’alterazione a carico degli elementi “nervosi” (CCI e/o CCE) presenti
nell’OI.
Un danno contemporaneo a carico dell’OM e dell’OI darà
evidentemente luogo ad un deficit uditivo trasmissivo e neurosensoriale
allo stesso tempo, definito di tipo “misto”.
Un deficit uditivo, qualunque sia la causa e la sede del danno, avrà
effetti particolarmente gravi se colpisce un bambino, ed in particolare se
questo non ha ancora sviluppato il linguaggio.
E' ormai dimostrato infatti che la deprivazione uditiva entro i primi
due anni di vita determina una vera e propria alterazione dello sviluppo
della corteccia uditiva e del Sistema Uditivo Centrale in generale, con
conseguente mancata organizzazione di reti neurali fondamentali per
l'acquisizione delle capacità percettivo-linguistiche. Se tale deprivazione
persiste oltre i 4 anni, la situazione diviene praticamente irreversibile, ed i
risultati ottenibili con la protesizzazione acustica sono non ottimali.
Da questa brevissima premessa, è chiaro quanto sia importante la
precoce individuazione di un deficit uditivo, l'altrettanto precoce
protesizzazione acustica, che è auspicabile avvenga entro il sesto mese di
vita, ed il conseguente follow-up percettivo-linguistico.
Gli screening audiologici
Per l’individuazione precoce dei neonati affetti da deficit uditivo
sono stati proposti ed eseguiti screening audiologici condotti su neonati ad
alto rischio di deficit uditivo (secondo quanto previsto dal Joint
Commettee on Infant Hearing’s Position Statement), utilizzando come
indagine diagnostica i potenziali uditivi evocati al tronco (ABR).
Numerosi dati della letteratura hanno però dimostrato che sottoporre
a screening i soli neonati a rischio determina la perdita di circa il 50 % dei
neonati con deficit uditivo che si riscontrano nella popolazione generale
non a rischio. Si stima infatti che, dell’1-1,5 per mille di nati sordi, circa la
metà è rappresentata da neonati privi, almeno apparentemente, di fattori di
rischio previsti dal Joint Commette.
E' evidente che la soluzione ideale sarebbe quella di eseguire uno
screening universale, ossia di sottoporre a studio tutti i neonati.
Restando in Campania, per uno screening universale ogni anno
sarebbe necessario sottoporre ad esame ABR circa 65.000 neonati.
È realizzabile uno screening universale con l’esame ABR?
In condizioni ottimali, l’esame ABR richiede circa 30 minuti per
essere eseguito. Per esaminare tutti i neonati sarebbero necessarie
complessivamente 32.500 ore di lavoro che, divise per le 40 ore
settimanali, darebbero luogo a 812 settimane di lavoro. Considerato che in
Campania esistono circa 15 strutture dove eseguire con affidabilità l’esame
ABR, per il solo screening ognuna di esse dovrebbe impegnare il proprio
personale per 54 settimane all’anno, con un rapporto costo/benefici
praticamente improponibile. A questo dato, già di per sé sufficiente a
scoraggiare l’iniziativa, si aggiunge la difficoltà del dover raggiungere, per
i genitori e naturalmente per il neonato, la sede della struttura individuata
per lo screening stesso.
Pertanto, per restando l’ABR la metodica di elezione per
l’individuazione e la quantizzazione di un deficit uditivo in età neonatale,
lo screening universale basato su tale metodica è improponibile per le
variabili “tempo”, “costi” e “spostamento”.
Tempi e costi potrebbero essere ridotti enormemente e gli
spostamento annullati del tutto utilizzando una metodica di rapida
esecuzione, affidabile nel porre il sospetto di deficit uditivo, da eseguirsi
direttamente nel punto nascita: le Emissioni Otoacustiche.
Cosa sono le Emissioni Otoacustiche
La possibilità che la coclea potesse "emettere dei suoni" venne
ipotizzata nel 1948 da Gold, che interpretò tale evenienza come
un'alterazione della biomeccanica cocleare; tale osservazione, benché
errata, aprì la strada allo studio delle "emissioni otoacustiche" (OAE).
Dopo anni di ricerche, e grazie soprattutto ai lavori di Kemp del 1978, è
ora possibile affermare che le OAE sono generate attivamente ed in
maniera non lineare da elementi frequenza-specifici della partizione
cocleare: le cellule ciliate esterne (CCE). Come già ricordato, tali elementi
amplificano la risposta cocleare e migliorano la sensibilità e la selettività
in frequenza della coclea stessa.
In sintesi, sia spontaneamente, sia quando raggiunte da uno stimolo
sonoro, le CCE si contraggono e con idonea strumentazione è possibile
registrare il “rumore” prodotto da tale contrazione: questo è il principio
alla base delle OAE.
Dai numerosi dati presenti in letteratura è ormai possibile affermare
che le OAE mostrano un altissimo grado di correlazione specifico in
frequenza con una funzione cocleare normale e sono pertanto presenti
nell'orecchio normoudente, mentre risultano assenti nell'orecchio con
ipoacusia di una certa entità (superiore a 30-40 dB HL).
Senza scendere in dettagli tecnici, le OAE più utilizzate a fini clinici
sono le OAE Transienti (TEOAE) ed i prodotti di distorsione (DPOAE).
Le TEOAE
Le TEOAE rappresentano senza dubbio la metodica più utilizzata nel
primo livello di uno screening audiologico.
La strumentazione è di piccole dimensioni ed è costituita da una sorta
di microcomputer al quale è collegato un sondino che, opportunamente
ricoperto da un peduncolo in gomma di dimensioni idonee, viene inserito
nel condotto uditivo esterno del neonato. Il sondino ha una duplice
funzione: consentire allo stimolo sonoro di raggiungere l’orecchio e
contemporaneamente registrare le risposte da esso evocato e di trasferirle
al microcumputer per le opportune elaborazioni.
Lo stimolo sonoro utilizzato nelle TEOAE viene definito click ed ha
generalmente un’intensità fissa.
L’esecuzione tecnica risulta quanto mai semplice e rapida: entro
pochi secondi, la strumentazione darà un inequivocabile segnale di
normalità (“pass”) o di anormalità (“fail”), il tutto senza arrecare
praticamente il minimo fastidio al neonato, che viene esaminato nel nido
già al primo giorno di vita.
In caso di risposta “pass”, il neonato esce dallo screening. In caso di
risposta “fail”, l’esame viene ripetuto il giorno successivo.
Va ricordato ancora una volta ed in maniera inequivocabile che il
neonato “fail” non deve essere considerato affetto da deficit uditivo. La
presenza di secrezione nel condotto uditivo esterno, la rumorosità
ambientale, l’eccessivo movimento del neonato, la non corretta esecuzione
tecnica del test sono i principali motivi per i quali la risposta al test può
essere considerata, almeno in prima istanza, assente. Qualora anche al
successivo controllo non si evocasse risposta, il neonato entra
nell’approfondimento previsto dalle norme generali dello screening.
La metodica presenta sensibilità (capacità di individuare i neonati
“sospetti” o “veri positivi”) e specificità (capacità di individuare i neonati
“sani” o “veri negativi”) sufficientemente alte da garantire un numero falsi
negativi estremamente ridotto ed un numero di falsi positivi nell’ordine del
2-5 %.
Il tempo necessario per portare a termine un test è, in condizioni
ottimali, di circa 5 minuti.
L’aspetto fondamentale è che, con un training brevissimo, tale esame
può essere eseguito dalle stesse operatrici del nido, senza la necessità di
ricorrere a personale specializzato in materia audiologica.
Riassumendo, le TEOAE rappresentano un’eccellente metodica di
screening i cui vantaggi sono rappresentati da:
• rapidità e semplicità di esecuzione, per cui non è necessario personale
specializzato;
• affidabilità dei risultati.
Le TEOAE sono gravate però da almeno due svantaggi:
• impossibilità di variare intensità e frequenza dello stimolo; e di
conseguenza,
• mancata selettività in frequenza, per cui la risposta che si ottiene non
offre nessuna indicazione circa la frequenza o le frequenza interessate
dal danno;
• mancata quantizzazione del danno, poiché la risposta non è evocabile
già a partire da un deficit di appena 30-40 dB HL.
I DPOAE
Si tratta senza dubbio di una metodica più complessa che, insieme
alle ABR, viene utilizzata per la conferma e la quantizzazione del deficit
uditivo.
La strumentazione è più complessa, ma sempre costituita da
microcomputer e sondino, che anche in questo caso ha lo scopo di inviare
lo stimolo all’orecchio, registrare la risposta evocata e trasferirla al
computer per l’elaborazione.
Lo stimolo sonoro utilizzato nei DPOAE è costituito da due toni puri
con intensità e rapporti frequenziali variabili ma in precisa correlazione tra
loro.
A differenza delle TEAOE, l’esecuzione tecnica richiede personale
qualificato e richiede sicuramente un tempo più lungo.
I DPOAE rappresentano un’eccellente metodica di conferma e
quantizzazione del deficit uditivo; i vantaggi della metodica sono
rappresentati da:
• possibilità di variare intensità e frequenza degli stimoli, con
conseguente
• selettività in frequenza, per cui la risposta che si ottiene offre
indicazione circa la frequenza o le frequenza interessate dal danno;
• quantizzazione del danno, poiché la risposta è evocabile anche in
presenza di un deficit di 45-55 dB HL;
• alta affidabilità e precisa corrispondenza tra la soglia dell’esame
audiometrico convenzionale e la soglia dei DPOAE.
Gli “svantaggi” costituiti dalla maggiore durata del test, dalla
complessità di esecuzione e dalla necessità di personale tecnico in realtà
sono svantaggi relativi, in quanto, come già ricordato, questa metodica non
rientra nella strategia dello screening ma nell’approfondimento proprio del
secondo livello previsto dal programma.
Conclusioni
Le OAE rappresentano un’innovativa ed affidabile metodica per lo
screening (TEOAE) e la conferma (DPOAE) di un deficit uditivo in epoca
neonatale, affiancate in quest’ultimo caso dalle ABR. In condizioni
ottimali di registrazione ed in assenza di alterazioni “meccaniche”
(occlusione del condotto uditivo esterno, otite media) la mancata
registrazione delle OAE è indice attendibile di alterazione delle CCE e
quindi di deficit uditivo, evenienza questa che va chiaramente confermata
dalle ABR.
Va ricordato che la presenza delle OAE, pur rappresentando un
indice attendibile di normale funzionalità delle CCE, non è sufficiente ad
escludere la pur rara presenza di un danno “centrale” (neuropatia uditiva,
vie uditive centrali). È sempre auspicabile pertanto che i neonati a rischio,
pur in presenza di OAE normali, vengano sottoposti alle ABR.
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