1 INDICE SISTEMI Sistemi di controllo 1. Generalità 1.1. Sottosistema di ingresso o di misura 1.2. Sottosistema di elaborazione o di controllo 2. Generalità sul sottosistema di ingresso o di misura 2.1. Circuito di rilevamento 2.1.1. Parametri caratteristici dei trasduttori 2.1.2. Classificazione dei trasduttori 2.2. Circuito di condizionamento 2.3. Convertitore analogico/digitale ADC 2.3.1. Circuito Sample/Hold 3. Architettura di un sistema di acquisizione multicanale 4. Sistemi di connessione TELECOMUNICAZIONI Trasmissione dati con modem 1. Generalità 2. Trasmissione seriale 2.1. Trasmissioni sincrone 2.2. Trasmissioni asincrone 2.3. Interfaccia seriale RS232-C 3. Rete commutata e dedicata 3.1. Collegamento punto-punto 3.2. Collegamento multi punto 4. Modem 4.1. Classificazione dei modem 4.2. Modalità di scambio dei dati 4.3. Modulazioni utilizzate 4.3.1. Modulazione di ampiezza ASK 4.3.2. Modulazione di frequenza FSK 4.3.3. Modulazione di fase PSK 4.3.4. Modulazione QAM 4.4. Codifica in banda base 4.4.1. Codice Manchester 4.5. Scrambler e Descrambler 4.5.1. Funzionamento e schema logico di Scrambler e Descrambler 2 TDP (TECNOLOGIA DISEGNO E PROGETTAZIONE) Trasduttori 1. 2. 2.1. 3. 3.1. 4. 4.1. 5. 5.1. Generalità Trasduttori di temperatura Termocoppia Trasduttori di posizione Trasformatori differenziali Trasduttori di velocità Dinamo tachimetrica Trasduttori di campo magnetico Trasduttori ad effetto Hall ITALIANO/STORIA L’industrializzazione italiana tra ‘800 e ‘900 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. L’industrializzazione dei paesi in ritardo Lo sviluppo economico degli anni Ottanta Una società moderna e industrializzata Le caratteristiche del decollo industriale italiano Il decollo industriale La mobilitazione industriale in Italia I problemi della riconversione La ripresa degli anni Venti La politica autarchia La crisi del 1929 e le sue conseguenze L’industria italiana alla vigilia della seconda guerra mondiale I problemi economico-sociali del dopoguerra La “ricostruzione” fra iniziativa della popolazione e aiuti stranieri L’industria italiana negli anni della ricostruzione Il “miracolo economico” italiano I prodotti dell’industria nella vita quotidiana degli italiani Il decennio 1963-1973 L’industria elettronica DIRITTO L’attività economica e l’azienda 1. 2. 3. 4. L'attività economica Concetto di azienda L'azienda come sistema La classificazione delle aziende 3 MATEMATICA Gli integrali definiti e impropri 1. 1.1. 1.2. 2. 3. 4. L’integrale definito e l’area del trapezoide Le proprietà dell’integrale definito Teorema del valor medio Il calcolo delle aree Il volume di un solido di rotazione La lunghezza di un arco di linea piana e l’area di una superficie di rotazione 5. Gli integrali impropri 5.1. La funzione non è continua in uno degli estremi di integrazione o in un punto interno ad [a,b] 5.2. L’integrale è esteso ad intervalli illimitati 6. Esercizi PROGETTO DI TELECOMUNICAZIONI Modulazione di frequenza FSK con pannello didattico della Samar • Cenni teorici: o Modulazioni digitali o Modulazione di ampiezza ASK o Modulazione di frequenza FSK o Modulazione di fase PSK o Modulazione QAM • Pannello didattico Samar B4340 • Progetto di un trasmettitore FSK con timer 555 • Conclusioni 4 SISTEMI SISTEMI DI CONTROLLO 1. Generalità Nel campo dell’elettronica civile ed industriale assumono grande importanza i sistemi di controllo automatici intendendo tutti quei sistemi che, tramite circuiti e apparecchiature elettroniche, rilevano grandezze fisiche e le mantengono a un valore desiderato dopo un confronto con quelle di riferimento. In particolare nell’ambito dei sistemi di controllo si prenderanno in considerazione i sistemi di acquisizione dati. Un sistema di acquisizione dati è costituito principalmente da due blocchi fondamentali (Fig. 1): 1 SOTTOSISTEMA DI INGRESSO O DI MISURA 2 SOTTOSISTEMA DI ELABORAZIONE O DI CONTROLLO Fig. 1 – Schema a blocchi di un sistema di acquisizione dati 1.1. Sottosistema di ingresso o di misura Il sottosistema di ingresso o di misura è quello direttamente a contatto con il mondo fisico ed è in grado di rilevare grandezze fisiche tramite opportuni sensori o trasduttori. Esso è costituito generalmente da tre blocchi (Fig. 2): 1 CIRCUITO DI RILEVAMENTO 2 CIRCUITO DI CONDIZIONAMENTO 3 CONVERTITORE ANALOGICO/DIGITALE Fig. 2 – Schema a blocchi del sottosistema di ingresso o di misura Il circuito di rilevamento svolge la funzione di trasformare la grandezza fisica in ingresso in una grandezza elettrica ad essa proporzionale e il rilevamento avviene tramite dei trasduttori. Il circuito di condizionamento svolge la funzione di adattare il segnale elettrico, proveniente dal circuito rilevatore, all’ingresso del convertitore analogico/digitale che rappresenta il blocco successivo a quello di condizionamento. A volte circuito di condizionamento viene suddiviso in due blocchi: circuito di condizionamento primario e circuito di condizionamento secondario. Ciò nasce dall’esigenza di realizzare una corretta amplificazione. Il convertitore analogico/digitale svolge la funzione di convertire il segnale analogico, proveniente dal circuito di condizionamento, in un segnale digitale adatto ad essere acquisito, memorizzato ed elaborato dal sottosistema di controllo o di elaborazione. Si ricorda inoltre che lo schema a blocchi del sistema di acquisizione dati preso in considerazione, si riferisce a una sola sorgente fisica; invece nel caso sia necessario rilevare più grandezze fisiche (anche di natura diversa) il sistema si avvale di un ulteriore 5 blocco in ingresso e precisamente di un multiplexer. Il sistema prende ora il nome di sistema di acquisizione dati multicanale. 1.2. Sottosistema di elaborazione o di controllo Il sottosistema di elaborazione o di controllo (Fig. 3) effettua le operazioni di memorizzazione e di elaborazione dei dati acquisiti dal sottosistema di misura. Esso è costituito dall’unità centrale ossia da un microprocessore in grado di elaborare e memorizzare i dati provenienti dal sottosistema di misura. Fig. 3 – Schema a blocchi del sottosistema di elaborazione o di controllo 2. Generalità sul sottosistema di ingresso o di misura Come si è detto, un sistema di acquisizione dati è costituito principalmente da due blocchi fondamentali (SOTTOSISTEMA DI INGRESSO O DI MISURA; SOTTOSISTEMA DI ELABORAZIONE O DI CONTROLLO) e, in particolare, il sottosistema di ingresso o di misura è costituito generalmente da tre blocchi: 1 CIRCUITO DI RILEVAMENTO 2 CIRCUITO DI CONDIZIONAMENTO 3 CONVERTITORE ANALOGICO/DIGITALE 2.1. Circuito di rilevamento Il circuito di rilevamento è costituito da due blocchi (Fig. 4): 1 SENSORE 2 CIRCUITO DI CONVERSIONE Fig. 4 – Schema a blocchi del circuito di rilevamento Il sensore è un dispositivo in grado di rilevare le variazioni di una grandezza fisica e fornisce in uscita ancora una grandezza fisica. Il circuito di conversione invece, che solitamente è già integrato con il sensore, è un dispositivo in grado di convertire la grandezza fisica presente all’uscita del sensore in una grandezza elettrica. Questi due blocchi costituiscono nell’insieme quello che prende il nome di trasduttore. Si definisce trasduttore un circuito che, nell’ambito di un sistema di controllo, converte la grandezza fisica presente in ingresso in una grandezza di natura elettrica (solitamente una tensione). 6 2.1.1. Parametri caratteristici dei trasduttori Nella scelta di un trasduttore è necessario che alcune caratteristiche siano garantite per un ottimo utilizzo. Le caratteristiche fondamentali di un trasduttore sono: 1 LINEARITÀ 2 SENSIBILITÀ 3 CAMPO DI FUNZIONAMENTO 4 TEMPO DI RISPOSTA 5 RISOLUZIONE 6 CARATTERISTICA DI TRASFERIMENTO La linearità è uno dei parametri fondamentali del trasduttore dalle cui caratteristiche è possibile definire l’errore massimo del trasduttore. Si può ovviare all’errore di linearità operando in un campo più ristretto dove la caratteristica è lineare. In caso contrario bisogna linearizzare la caratteristica del trasduttore mediante appositi circuiti detti circuiti di linearizzazione. La sensibilità di un trasduttore indica il rapporto tra la variazione della grandezza di uscita e quella di ingresso. Il campo di funzionamento di un trasduttore fornisce la differenza tra il valore massimo e il valore minimo che può assumere la grandezza di ingresso in corrispondenza della quale l’uscita è lineare. Il tempo di risposta di un traduttore rappresenta il tempo che impiega a raggiungere un valore di uscita conforme a quello di ingresso quando questa subisce una variazione improvvisa. La risoluzione di un trasduttore è la minima variazione della grandezza di ingresso che il traduttore è in grado di percepire e si esprime in percentuale. La caratteristica di trasferimento di un trasduttore rappresenta la relazione che intercorre tra la grandezza di uscita e quella di ingresso del trasduttore stesso. 2.1.2. Classificazione dei trasduttori Generalmente esistono diversi tipi di classificazione per i trasduttori. Queste classificazioni vengono effettuate o in funzione del segnale che il traduttore fornisce in uscita, o in funzione della fonte di energia esterna, o in funzione della grandezza fisica presente in ingresso. Nel primo caso i trasduttori suddividono in: 1 TRASDUTTORI ANALOGICI 2 TRASDUTTORI DIGITALI Nel secondo caso i trasduttori si suddividono in: 1 TRASDUTTORI ATTIVI 2 TRASDUTTORI PASSIVI Nell’ultimo caso i trasduttori si suddividono in: 1 TRASDUTTORI DI TEMPERATURA 2 TRASDUTTORI DI UMIDITÀ 3 TRASDUTTORI DI PRESSIONE 4 TRASDUTTORI DI LUMINOSITÀ 5 TRASDUTTORI DI POSIZIONE 6 TRASDUTTORI DI VELOCITÀ 7 I trasduttori analogici forniscono in uscita una grandezza elettrica che varia con continuità in funzione della grandezza fisica in ingresso. Questo significa che in un intervallo di tempo finito, la grandezza elettrica di uscita potrà assumere infiniti valori. I trasduttori digitali forniscono in uscita una grandezza elettrica che assume due soli valori. Questo significa che in un intervallo di tempo finito, la grandezza elettrica di uscita assumerà due soli valori a cui si associa il livello alto o il livello basso. I trasduttori attivi forniscono in uscita una grandezza elettrica senza che sia necessaria alcuna fonte di energia esterna. I trasduttori passivi forniscono in uscita una grandezza elettrica solo in presenza di una fonte di energia esterna. I trasduttori di temperatura trasformano una variazione di temperatura in una grandezza elettrica proporzionale ad essa. I trasduttori di umidità trasformano una variazione di umidità in una grandezza elettrica proporzionale ad essa. I trasduttori di pressione forniscono in uscita una grandezza elettrica proporzionale alla variazione della pressione in ingresso. I trasduttori di luminosità forniscono in uscita una grandezza elettrica proporzionale alla variazione della luminosità in ingresso. I trasduttori di posizione trasformano un movimento lineare o angolare in una grandezza elettrica proporzionale ad esso. I trasduttori di velocità forniscono in uscita una grandezza elettrica proporzionale velocità di un organo in movimento. 2.2. Circuito di condizionamento I segnali provenienti dal trasduttore, prima di essere inviati al convertitore A/D (ADC), devono essere condizionati. A tale scopo vengono utilizzati opportuni circuiti progettati in modo da svolgere una o più delle seguenti funzioni: 1 CONVERSIONE CORRENTE/TENSIONE: Molti trasduttori forniscono in uscita una corrente e non direttamente una tensione. Poiché il segnale possa essere inviato all’ADC si utilizza un circuito di condizionamento a operazionale che svolge la funzione di convertitore corrente/tensione. 2 AMPLIFICAZIONE E TRASLAZIONE DI LIVELLO: Poiché le tecnologie dei trasduttori consentono di fornire in uscita livelli di tensione molto bassi, è opportuno amplificare questi segnali provenienti dal trasduttore per adattarli a quelli di ingresso all’ADC. Il circuito di condizionamento svolge quindi la funzione di amplificare il segnale ed eventualmente effettuare una traslazione di livello. 3 FILTRAGGIO: Se si verifica una distorsione dovuta alla sovrapposizione di un segnale di rumore al segnale proveniente dal trasduttore, la si può eliminare mediante un filtro passabasso. 4 ISOLAMENTO: Spesso si utilizzano circuiti di condizionamento con amplificatori di isolamento soprattutto in quei sistemi di controllo in cui si fa uso di apparecchiature elettromedicali le cui tensioni risulterebbero pericolose sia per le persone che per le apparecchiature stesse. 5 LINEARIZZAZIONE: Un’altra funzione svolta dal circuito di condizionamento è quella di linearizzare la curva di risposta di un trasduttore che fornisce una caratteristica non lineare. 8 Tra le funzioni sopra elencate quelle fondamentali sono: conversione corrente/tensione, amplificazione e traslazione di livello, isolamento. Le funzioni di linearizzazione e filtraggio invece, se non sono integrate nello stesso circuito di condizionamento, possono essere ottenute con appositi dispositivi esterni. In particolare la linearizzazione è necessaria per due motivi: mantenere valori costanti per la successiva fase di conversione analogica/digitale; mantenere la caratteristica il più lineare possibile per evitare che l’ADC fornisca valori digitali non rispondenti a quelli analogici. Per quanto riguarda invece il filtraggio, spesso accade che al segnale utile da convertire si sovrapponga un segnale di rumore; questo fenomeno che prende il nome di aliasing e consiste nella sovrapposizione di bande nello spettro delle frequenze, si può ovviare grazie a dei filtri passa-basso. 2.3. Convertitore analogico/digitale ADC Il segnale analogico presente all’uscita del circuito di condizionamento deve essere convertito in un segnale digitale attraverso un convertitore analogico/digitale. Il convertitore A/D infatti trasforma il segnale analogico presente al suo ingresso in un segnale digitale a n bit. Un convertitore A/D effettua quindi la quantizzazione di un segnale analogico, cioè trasforma un determinato valore analogico del segnale in un codice binario. Il valore massimo della tensione di ingresso, che non deve mai essere superato, è definito tensione di fondo scala (VFS) e si possono avere sia convertitori che ammettono valori di tensioni d’ingresso positivi o negativi e sia convertitori che accettano solo segnali positivi. La relazione che intercorre tra il segnale analogico in ingresso Vi e il corrispondente valore digitale in uscita N deve essere di proporzionalità: Vi = K·N Dove: K =Q= V FS [Quanto o risoluzione del convertitore]; M N = (Bn–1·2n-1+…+B3·23+B2·22+B1·21+B0·20) [Numero digitale in uscita] Quindi: Vi = V FS ⋅ (B n - 1 ⋅ 2 n − 1 + ... + B 3 ⋅ 2 3 + B 2 ⋅ 2 2 + B1 ⋅ 21 + B 0 ⋅ 2 0 ) M 9 In un convertitore A/D a n bit le possibili configurazioni di uscita sono finite, pari a 2n, mentre il segnale analogico Vi può variare con continuità nell’intervallo di lavoro assumendo di conseguenza infiniti valori. Nel processo di conversione da analogico a digitale si commette quindi un errore denominato quanto Q o risoluzione del convertitore che in definitiva rappresenta la minima variazione della tensione Vi necessaria a produrre un incremento (o decremento) unitario del numero binario di uscita. Lo schema a blocchi di un convertitore A/D è costituito da più ingressi e più uscite come mostrato in figura 5: Fig. 5 – Schema a blocchi di un convertitore analogico/digitale In particolare: - Vi è la tensione analogica da convertire; N è il numero digitale di uscita proporzionale a Vi; SC è un segnale digitale detto Start Conversion che abilita il convertitore A/D alla conversione; EOC è un segnale digitale detto End Of Conversion che cambia stato logico quando il convertitore ha finito la conversione e indica che il dato è disponibile in uscita; CK è il segnale di clock necessario al sincronismo delle circuiterie interne del convertitore. 2.3.1. Circuito Sample/Hold L’uso di un convertitore A/D è essenzialmente rivolto al campionamento di segnali analogici in determinati istanti, con conseguente trasformazione del valore analogico in un corrispondente dato digitale. Un convertitore A/D per effettuare la trasformazione di un dato da analogico a digitale impiega un certo intervallo di tempo definito tempo di conversione tc. Se il segnale posto all'ingresso del convertitore non ha un valore costante nel tempo, è fondamentale che, per tutto l'intervallo di tempo durante il quale convertitore effettua la conversione (tc), il segnale non subisca variazioni di ampiezza. Nella realtà però questo non avviene e può accadere quindi che la frequenza massima del segnale da convertire sia superiore rispetto a quella che riuscirebbe a convertire il convertitore A/D. In questo caso sarà necessario inserire tra l'uscita del circuito di condizionamento e l'ingresso del convertitore A/D un circuito Sample/Hold (S/H). Il Sample/Hold è un dispositivo in grado di memorizzare il valore assunto dal segnale in un determinato istante (fase di Sample) e mantenerlo costante all'ingresso del convertitore per tutto il tempo impiegato ad effettuare la conversione (fase di Hold). Il circuito è formato da due buffer tra i quali i è posto un interruttore analogico comandato da un multivibratore astabile. I due buffer servono a isolare il convertitore A/D dal circuito di condizionamento. Il funzionamento del circuito è il seguente: quando l'interruttore viene chiuso il condensatore inizia a caricarsi seguendo lo stesso andamento della Vi; quando invece l'interruttore viene aperto il condensatore resta carico sull'ultimo valore di tensione acquisito. Naturalmente la tensione ai suoi capi la si ritrova anche in uscita al Sample/Hold. 10 In fig. 6 si mostra il circuito, lo schema a blocchi e i relativi diagrammi di tempificazione di un Sample/Hold: Fig. 6 – Circuito, schema a blocchi e relativi diagrammi di tempificazione di un Sample/Hold Le caratteristiche fondamentali dei S/H sono: - Tempo (di ritardo) di apertura (ta): è l'intervallo di tempo richiesto all'interruttore per aprirsi completamente dopo che è stato dato il comando di Hold. - Tempo di acquisizione (tac): è il tempo che intercorre dal momento in cui viene dato il comando di Sample a quello in cui l'uscita raggiunge il valore di ingresso. - Tempo di incertezza di apertura (tu): rappresenta l'incertezza del ritardo d'apertura dell’interruttore tra un campionamento all'altro. - Tempo di assestamento del modo di Hold (tset): è il tempo che occorre all’uscita per l’assestamento a partire dall’istante in cui ha inizio il segnale di Hold. Il tempo di apertura è la grandezza che determina il massimo valore della frequenza del segnale che può essere convertito. In particolare se si utilizza soltanto il convertitore A/D la frequenza massima del segnale da convertire deve essere: fmax ≤ 1 2 ⋅ π ⋅ tc n Invece se si utilizza un convertitore A/D, preceduto dal Sample/Hold, la frequenza massima del segnale da convertire diventa: 11 1 2 ⋅ π ⋅ ta Utilizzando questa relazione la frequenza massima del segnale da convertire aumenta rispetto al caso del solo convertitore in quanto il tempo ta è normalmente molto più piccolo del tempo tc. Il campionamento del segnale da convertire deve essere effettuato tenendo conto anche del teorema del campionamento di Shannon. Secondo questo teorema un segnale la cui massima frequenza è fmax può essere ricostruito se la frequenza di campionamento fc è: fmax ≤ n fC ≥ 2fmax Inoltre, la massima frequenza di campionamento, è legata sia tempo di conversione dell’ADC che ai tempi necessari per campionare e mantenere il segnale. Infatti, prima di poter avviare una nuova conversione, bisogna attendere che il convertitore abbia terminato la conversione precedente e che il S/H fornisca un segnale stabile in uscita. Si deve quindi attendere un tempo pari alla somma del tempo di acquisizione e del tempo di apertura del S/H più il tempo di conversione dell’ADC. Così facendo la massima frequenza di campionamento risulta: fCmax ≤ 1 ( t ac + t a + t c ) e quindi, in accordo con il teorema di campionamento di Shannon, per poter campionare correttamente il segnale con il S/H deve avere un valore massimo di frequenza pari a: fmax ≤ fCmax 1 ≤ 2 2 ⋅ ( t ac + t a + t c ) 3. Architettura di un sistema di acquisizione multicanale Quando è necessario rilevare un numero maggiore di grandezze il sistema di acquisizione dati viene completato con la presenza di un multiplexer analogico (MUX) schematizzato con un commutatore elettronico a più ingressi ed una sola uscita secondo lo schema indicato in figura 7: Fig. 7 – Schema a blocchi di un sistema di acquisizione multicanale 12 Quando in un sistema di acquisizione è presente il MUX, per il calcolo della massima frequenza di campionamento occorre tener presente anche del tempo TMUX che rappresenta l'intervallo di tempo dal momento della selezione di un canale al momento in cui il dato presente all'uscita del MUX è stabile. Questo periodo di tempo è dato da: TMUX=TS+TON dove TS è il tempo di setting cioè l'intervallo di tempo che intercorre dall'istante in cui l'interruttore è chiuso e l'istante in cui l’uscita raggiunge il valore finale, mentre TON è il tempo richiesto per connettere l'ingresso all'uscita del MUX. Se i canali di ingresso sono N e ognuno di essi deve essere campionato con la stessa frequenza fC, allora la frequenza di campionamento dell'intero sistema fT risulterà pari a: fT=N·(fC+fMUX) dove fC è la frequenza di campionamento relativa ad un singolo canale mentre fMUX è l'inverso di TMUX: fC ≤ 1 ( t ac + t a + t c ) fMUX = 1 T MUX Nelle catene di acquisizione multicanali è preferibile spesso utilizzare convertitori A/D con il circuito S/H integrato nello stesso chip, o anche convertitori con S/H e multiplexer interno, riducendo la complessità circuitale del sistema. 4. Sistemi di connessione Il trasferimento dei dati verso il sistema di elaborazione viene generalmente effettuato con collegamenti di tipo seriale come ad esempio l'interfaccia seriale RS-232/C. Questo metodo consente di collegare un solo dispositivo che invia dati al sistema di controllo e la velocità di trasmissione massima è di circa 20kbps. Se i segnali generati dai sensori sono tutti dello stesso tipo (Fig. 8), vengono inviati ad un multiplexer e poi al circuito di condizionamento. Successivamente il convertitore A/D effettua la conversione del segnale proveniente da ogni canale trasformandolo in dato digitale. A questo punto un microcontrollore svolge la funzione di controllo di tutto il sistema di acquisizione, di serializzazione dei dati e del loro invio sulla linea di collegamento con il sistema di elaborazione. Fig. 8 – Schema a blocchi di un sistema di acquisizione dati multicanale con trasduttori dello stesso tipo 13 Invece, nel caso si abbiano segnali generati da sensori o trasduttori di natura diversa (Fig. 9), sarà necessario utilizzare un circuito di condizionamento e di filtro per ogni singolo canale. Per migliorare le prestazioni del collegamento sia in termini di velocità che di distanza, si utilizza l'interfaccia seriale RS-485 che permette di collegare fino a 31 dispositivi diversi lavorando in modalità full-duplex. Fig. 9 – Schema a blocchi di un sistema di acquisizione dati multicanale con trasduttori di natura diversa 14 TELECOMUNICAZIONI TRASMISSIONE DATI CON MODEM 1. Generalità Si definisce trasmissione dati l’insieme delle tecniche hardware e software per la propagazione a distanza d'informazioni digitali tra due o più sistemi d'elaborazione, definiti DTE (Data Terminal Equipement), utilizzando un'opportuna rete di comunicazione su cui far viaggiare i dati. Generalmente ci si riferisce a sistemi d'elaborazione posti in località diverse e distanti tra loro, quindi è difficile ipotizzare di poter collegare direttamente le due stazioni attraverso un certo numero di cavi di collegamento. Anche in questo caso, così come in un sistema di acquisizione dati, la trasmissione deve essere di tipo seriale, e cioè i bit da trasmettere sono inviati sequenzialmente, uno per volta e non tutti e otto contemporaneamente. La trasmissione parallela invece è possibile solo tra elementi vicini di uno stesso sistema o tra apparecchiature distanti tra loro fino a qualche metro. Per questi motivi nelle comunicazioni a grandi distanze si utilizza la rete telefonica pubblica che consente, inoltre, il collegamento ad un qualsiasi altro punto nel mondo. Uno dei problemi da affrontare è l’adattamento del segnale digitale alla rete telefonica. Infatti, il segnale numerico ha uno spettro di frequenza teoricamente infinito mentre il canale fonico ha uno spettro compreso tra 300Hz e 3400Hz. Si possono quindi ipotizzare due soluzioni: 1 Modulare il segnale digitale utilizzando una portante analogica avente frequenza compresa tra 300Hz e 3400Hz; il risultato della modulazione sarà trasmesso nella rete telefonica come un normale segnale fonico, cioè analogico, per poi essere demodulato quando raggiunge il ricevitore. Le operazioni di modulazione e demodulazione, codifica e compressione dei dati, sono svolte da un dispositivo di comunicazione (DCE=Data Communication Equipement) denominato MODEM (MODulatore DEModulatore). 2 Utilizzare reti adatte a trasmettere segnali numerici come, ad esempio, la rete CDN (Collegamenti Diretti Numerici), la rete ISDN (Integrated Service Digital Network) e la rete ADSL (Asymmetric Digital Subscriber Line). Le reti numeriche consentono di operare ad elevate velocità e con bassi tassi d'errore. Durante la trasmissione infatti, il segnale subisce distorsioni da parte del trasmettitore, del canale di trasmissione e del ricevitore oltre al rumore recepito dal canale di trasmissione. La distorsione consiste nell’alterazione non voluta del segnale; il rumore invece è un disturbo costituito da elementi prevedibili ed imprevedibili come le diafonie, il rumore termico, i disturbi atmosferici, alterazione delle caratteristiche dei componenti per invecchiamento e riscaldamento. Per questi motivi conviene introdurre ridondanza nel segnale, attraverso dei codici di controllo e di autocorrezione, in modo di assicurarsi, entro certi limiti, la correttezza della trasmissione. In fig. 1 si mostra lo schema a blocchi di un sistema di trasmissione dati che collega due dispositivi terminali DTE utilizzando due modem: Fig. 1 – Schema a blocchi di un sistema di trasmissione dati con MODEM 15 2. Trasmissione seriale Nella trasmissione seriale il collegamento fra trasmettitore e ricevitore si può realizzare utilizzando un minimo di due fili, uno su cui viaggiano i bit, l'altro relativo invece alla massa. Le trasmissioni seriali si dividono in: 1 SINCRONE; 2 ASINCRONE. 2.1. Trasmissioni sincrone Nelle trasmissioni sincrone il trasmettitore invia degli impulsi di clock, contemporaneamente ai bit di informazione, in modo che il ricevitore possa leggere correttamente i dati in arrivo ad intervalli regolari di tempo scanditi proprio dal segnale di sincronismo (segnale di clock) inviato dal trasmettitore. Per questo motivo si può pensare che il collegamento lo si realizza con tre fili (Fig. 2), uno relativo al clock, uno su cui viaggiano i dati e l’altro per la massa, ma nella realtà si utilizzano due soli fili poiché i segnali di sincronismo si inviano sulla linea su cui vengono inviati i dati. Fig. 2 – Schema a blocchi di una trasmissione seriale sincrona Se la trasmissione sincrona avviene tra un modem e l’interfaccia seriale di un computer, il clock può essere generato sia dall’interfaccia seriale che dal modem stesso; invece se i dispositivi collegati sono due modem, il segnale di sincronismo è contenuto nella tensione analogica che il modem trasmettitore invia al ricevitore; quest’ultimo, attraverso un’operazione di demodulazione, estrae il segnale digitale che contiene particolari caratteri che consentono la sincronizzazione con il trasmettitore. I dati sono inviati in blocchi di decine o centinaia di caratteri. Ogni blocco è preceduto da caratteri di sincronismo e seguito da caratteri di controllo CRC (Codice Ciclico di Ridondanza), per verificare la correttezza della trasmissione, e da un carattere che indica la fine del blocco trasmesso. 2.2. Trasmissioni asincrone Nel collegamento seriale asincrono il trasmettitore non invia alcun segnale di sincronismo al ricevitore che deve essere in grado di capire quando ha inizio la trasmissione di un carattere in modo da sincronizzare la lettura dei vari bit che compongono il carattere stesso. In pratica un carattere in trasmissione è preceduto da un bit di start e seguito da uno o più bit di stop. Il bit di start è costituito dal livello logico 0 mentre il bit di stop dal livello logico 1. Così facendo, in assenza di trasmissione si ha il livello logico 1; invece quando la trasmissione ha inizio, il bit di start genera un fronte che sincronizza il clock del ricevitore. Successivamente sono inviati in sequenza, ad intervalli regolari di tempo, i bit del carattere da trasmettere utilizzando un codice ASCII a 7 o 8 bit e seguito, eventualmente, da un bit di parità e da uno o due bit di stop. Si ricorda che il trasmettitore presenta nello stadio di uscita un circuito in grado di effettuare la conversione di un carattere dalla forma parallela a quella seriale in modo del 16 tutto simile ad un registro a scorrimento con caricamento parallelo ed uscita seriale (PISO). Il ricevitore, invece, presenta nello stadio d'ingresso un circuito in grado di trasformare il carattere ricevuto dalla forma seriale a quella parallela in modo del tutto simile ad un registro a scorrimento con caricamento seriale e uscita parallela (SIPO). Vi sono circuiti integrati in grado di comportarsi, all'occorrenza, sia da SIPO sia da PISO; essi prendono il nome di USART (Universal Synchronous Asynchronous Riceiver Trasmitter = ricevitore trasmettitore sincrono o asincrono universale) e sono utilizzati sia nei ricevitori che nei trasmettitori. Gli USART sono convenienti soprattutto nelle trasmissioni bidirezionali dove i ruoli fra trasmettitore e ricevitore sono intercambiabili. 2.3. Interfaccia seriale RS232-C Per realizzare il collegamento seriale (di tipo sincrono o asincrono) tra un dispositivo di comunicazione DCE come, ad esempio, il modem e un dispositivo terminale DTE, come, ad esempio, il computer, anche in questo caso si utilizza l'interfaccia seriale RS232-C. Essa è costituita da un insieme di 25 linee, non tutte indispensabili, che trasportano i bit relativi ai dati, i segnali di controllo e la massa. Solitamente sul DTE (computer, ad esempio) si trova la spina (connettore maschio) mentre sul DCE (modem, ad esempio) si trova la presa (connettore femmina) dell’RS232C; in alcuni DCE invece (il mouse seriale, ad esempio) manca la presa esterna poiché il cavo di collegamento entra direttamente nell'apparecchiatura. I tipici dispositivi periferici che si possono collegare ad un computer via RS232-C sono il drive per dischetti, la stampante, il modem, il mouse ecc. 3. Rete commutata e dedicata L’utilizzo del modem per la trasmissione dei dati può avvenire sulla rete telefonica commutata (RC) o dedicata (RD). Nel primo caso il modem si collega alla normale presa telefonica e la trasmissione avviene dopo aver selezionato via software il numero di telefono del destinatario; il modem di quest’ultimo si pone in risposta automatica e riceve le informazioni provenienti dalla linea. I vantaggi della RC consistono nel basso costo d'esercizio e nella grande flessibilità in quanto è possibile collegarsi con chiunque possegga un modem. Uno svantaggio è la relativa lentezza di funzionamento dovuta alla modesta qualità della linea telefonica commutata. In questi ultimi anni la rete telefonica commutata si è trasformata quasi del tutto da analogica in numerica e il canale di trasmissione, che collega le attuali centrali, è in fibra ottica. Questo ha comportato un notevole miglioramento non solo nella qualità della trasmissione ma anche nella elevata velocità con basso tasso d'errore. Invece, il collegamento dell’utente sulla rete telefonica dedicata RD, può essere di due tipi: 1 COLLEGAMENTO PUNTO-PUNTO; 2 COLLEGAMENTO MULTI PUNTO. 3.1. Collegamento punto-punto Nel caso di collegamento punto-punto l’utente è connesso permanentemente ad un solo utente. Per le chiamate, quindi, non è necessario formulare alcun numero e il contratto che si stipula con la TELECOM prevede solo una spesa fissa che non dipende dalla durata della comunicazione ma dalla distanza dei due utenti e dalla velocità di comunicazione richiesta. I vantaggi della RD consistono nello scarso disturbo che consente un'elevata velocità di funzionamento. Uno svantaggio è il costo piuttosto elevato. 17 3.2. Collegamento multipunto Nel caso di collegamento multipunto si utilizza una sola linea che collega tra loro più dispositivi. La struttura è basata su un elaboratore centrale dotato di un proprio modem collegato ad una sola linea alla quale sono connessi, tramite modem, vari DTE remoti. La linea, ovviamente, può essere utilizzata da una sola coppia d'apparecchiature per cui è necessario un protocollo che stabilisca l’accesso alla linea da parte dei vari DTE. In fig. 3 si mostra lo schema a blocchi di un collegamento multipunto tra un elaboratore centrale e più dispositivi periferici, tramite l’utilizzo di modem. Fig. 3 – Schema a blocchi di un collegamento multipunto tra un elaboratore centrale e più DTE 4. Modem Il modem è un dispositivo periferico che consente il collegamento seriale tra due computer remoti o tra un computer e un terminale utilizzando come linea di comunicazione quella telefonica. Con il termine MODEM si intende la fusione delle parole MODulatore DEModulatore. Tale dispositivo, infatti, compie principalmente la funzione di trasformare il segnale digitale proveniente da un dispositivo DTE come, ad esempio, l’uscita seriale di un computer, in un segnale analogico con frequenze contenute in quelle del canale telefonico che vanno da 300Hz a 3400Hz. Il modem, quindi, svolge l’operazione di adattare il segnale digitale alla linea telefonica attraverso una conversione digitale/analogica. Tra la linea telefonica e il dispositivo DTE ricevitore deve essere connesso naturalmente un altro modem che svolge il compito opposto a quello utilizzato in fase di trasmissione e cioè deve trasformare il segnale analogico proveniente dalla linea telefonica in un segnale digitale perfettamente identico a quello inviato dal DTE trasmettitore. Ciascun modem, ovviamente, presenta al suo interno due canali distinti: il canale modulatore utilizzato nella trasmissione e il canale demodulatore utilizzato nella ricezione. 4.1. Classificazione dei modem I modem possono essere classificati in: - MODEM FONICI; - MODEM A BANDA LARGA; - MODEM IN BANDA BASE. I modem fonici hanno una larghezza di banda pari a quella di un canale telefonico e questo limita la velocità di trasmissione a 56Kbps. Attualmente sono stati sostituiti dai modem ADSL che consento velocità di trasmissione dell’ordine di 10Mbps. I modem a banda larga invece utilizzano il gruppo primario che va da 60KHz a 108KHz costituito da 12 canali telefonici e questo consente di raggiungere velocità di trasmissione più elevate che si aggirano dai 48Kbps fino a 144Kbps e oltre. I modem in banda base si utilizzano nei collegamenti a breve distanza che non superino quindi alcuni Km. 18 In questo caso il segnale digitale transita nella linea dopo aver subito una conversione di codice per meglio adattarsi al canale di trasmissione. Tali modem, quindi, non realizzano la modulazione e demodulazione analogica ma solo una conversione di codice. I modem in banda base risultano più semplici rispetto a quelli fonici e consentono elevate velocità di trasmissione. Sono utilizzati per realizzare le reti locali LAN (schede di rete dei PC) 4.2. Modalità di scambio dei dati I modem possono scambiare dati tra di loro in tre modalità: - SIMPLEX; HALF DUPLEX; FULL DUPLEX. Nel primo caso (Fig. 4), i dati transitano solo dal trasmettitore al ricevitore ma questa modalità di funzionamento al giorno d’oggi non è più utilizzata. Fig. 4 – Collegamento simplex La trasmissione half-duplex (Fig. 5), un tempo molto utilizzata, consente la trasmissione bidirezionale ma in momenti diversi e questo significa che quando un dispositivo trasmette l’altro riceve e viceversa. Fig. 5 – Collegamento half-duplex La trasmissione full-duplex (Fig. 6), infine, consente la trasmissione bidirezionale e simultanea permettendo quindi ai dati di viaggiare su due canali fisici distinti (a quattro fili) o su un solo canale fisico (a due fili) attraverso la tecnica della multiplazione in modo da evitare collisioni. Fig. 6 – Collegamento full-duplex 4.3. Modulazioni utilizzate I modem fonici e a banda larga basano il loro funzionamento sulla modulazione che consiste nella modifica dello spettro di frequenza del segnale digitale e la si ottiene modulandolo con un’onda sinusoidale a frequenza fissa detta portante. Sono possibili varie tecniche di modulazione: - modulazione di ampiezza ASK (Amplitude Shift Keying); modulazione di frequenza FSK (Frequency Shift Keying); modulazione di fase PSK (Phase Shift Keying); modulazione QAM (Quadrature Amplitude Modulation). 19 4.3.1. Modulazione di ampiezza ASK La modulazione di ampiezza ASK consiste nell’associare ai bit 0 e 1 due valori distinti di ampiezze della portante. In particolare se si associa al livello alto la presenza della portante e a quello basso il segnale nullo, la modulazione è detta OOK (non trova applicazione nei modem). 4.3.2. Modulazione di frequenza FSK La modulazione di frequenza FSK consiste nell’associare ai bit 0 e 1 due valori distinti di frequenze simmetrici rispetto al valore della frequenza portante. Così facendo il segnale portante subirà una variazione di frequenza, denominata deviazione di frequenza, a seconda dello stato logico 0 o 1 assunto dal segnale modulante. È utilizzata nei modem conformi alle normative del ITU-T V.21 e V.23 ma, poiché questi modem sono lenti, tale tecnica non è più utilizzata. La modulazione FSK trova applicazione nella telefonia cellulare e nei sistemi in ponte radio. 4.3.3. Modulazione di fase PSK La modulazione di fase PSK consiste nell’associare ai bit 0 e 1 due valori distinti di fase della portante. Così facendo il segnale portante subirà una variazione di fase a seconda dello stato logico 0 o 1 assunto dal segnale modulante. È utilizzata nei modem a media velocità ma nella realtà è molto utilizzata la modulazione di fase differenziale DPSK.. Esistono diverse varianti della PSK per aumentare la velocità di trasmissione. 4.3.4. Modulazione QAM La modulazione QAM utilizza contemporaneamente sia la modulazione di ampiezza che la modulazione di fase. È utilizzata nei modem ADSL e nelle trasmissioni TV in digitale terrestre. 4.4. Codifica in banda base Nei modem in banda base i segnali digitali non vengono trasmessi così come sono ma si effettua una conversione di codice. Infatti, in presenza di una lunga sequenza di 0 o di 1, diventa difficile decodificare l’informazione digitale ed anche l’estrazione del segnale di sincronismo; inoltre su di un cavo non si possono inviare direttamente i dati perché sono unipolari ma al contrario è preferibile far viaggiare dati bipolari. Per tutti questi motivi, si ricorre all’utilizzo di particolari codici come il codice bifase, noto come codice Manchester, il codice bifase differenziale e il codice di Miller, noto come codice a modulazione di ritardo. 4.4.1. Codice Manchester Tra le codifiche più utilizzate nei modem in banda base (schede di rete) troviamo il codice Manchester. Esso produce una variazione di fase di 180° rispe tto al periodo di clock precedente se il bit del dato assume valore 1, viceversa non produce alcuna variazione di fase come mostrato in figura 7: 20 Fig. 7 – Tempificazione del dato 101011100 secondo il codice Manchester Così facendo si risolvono tre problemi e cioè: 1 le lunghe sequenze di 0 o di 1 vengono sostituite da una sequenza casuale di bit; 2 il dato da essere unipolare (0V÷5V) diventa bipolare (-12V÷+12V); 3 il segnale in uscita è costituito da un codice semplice e permette l’estrazione del segnale di sincronismo. 4.5. Scrambler e Descrambler Nella realtà le trasmissioni sono tutte di tipo sincrono e quindi prevedono la presenza di un segnale di sincronismo. Può accadere però un problema e cioè che in presenza di una lunga sequenza di 0 o di 1 si avrebbe difficoltà ad estrarre il clock. Per risolvere questo inconveniente si inserisce un circuito Scrambler nello stadio di trasmissione che genera sequenze di bit casuali cioè una frequente alternanza di 0 e di 1 anche in presenza di lunghe sequenze di bit costanti dei dati in trasmissione. Così facendo viene facilitata l’estrazione del segnali di clock da parte del modem ricevitore che deve essere provvisto di un circuito Descrambler in grado di riconoscere le sequenze casuali di bit in modo da ricostruire i dati inviati dal modem trasmettitore. 4.5.1. Funzionamento e schema logico di Scrambler e Descrambler In fig. 8 si mostra lo schema logico di uno Scrambler in trasmissione e di un Descrambler in ricezione: Fig. 8 – Schema logico di Scrambler e Descrambler Entrambi sono costituiti da un registro a scorrimento a 7 bit caricati con la stessa configurazione (Q1, Q2, Q3, Q4, Q5, Q6, Q7) e con segnali di clock sincronizzati tra loro. Per quanto riguarda lo Scrambler, la linea di ingresso dati (indicata con A) proviene dal DTE trasmettitore; l’uscita Y1 è applicata all’ingresso del registro invece la linea Y, denominata uscita dati, va applicata al circuito modulatore. Per quanto riguarda il Descrambler, la linea di ingresso dati proviene dal demodulatore; l’uscita Y1 è applicata 21 anche in questo caso all’ingresso del registro invece la linea d’uscita dati (indicata con B), va applicata al DTE ricevitore. Così facendo nel caso di una corretta trasmissione in linea si ha: Y1 = Q1 ⊕ Q7 [Segnale generato dallo scrambler e dal descrambler]; Y = Y1 ⊕ A [Segnale digitale da trasmettere in linea dallo scrambler]; B = Y1 ⊕ Y = Y1 ⊕ Y1 ⊕ A [Segnale digitale convertito dal descrambler] Poiché: Y1 ⊕ Y1 = 0 e A ⊕ 0 = A Si ottiene: B=A 22 TDP (TECNOLOGIA DISEGNO E PROGETTAZIONE) TRASDUTTORI 1. Generalità In campo elettronico si definisce trasduttore o sensore un dispositivo che converte una grandezza fisica in segnale elettrico. Esistono diversi tipi di trasduttori: la termoresistenza, ad esempio, è un trasduttore di temperatura in quanto modifica il valore resistivo al variare della temperatura; così facendo se viene inserita in un circuito elettrico alimentato con un generatore di tensione costante, la corrente nel dispositivo dipende dalla temperatura. Le fotoresistenze sono invece trasduttori di luminosità in quanto trasformano l'energia luminosa in energia elettrica; i microfoni sono trasduttori che trasformano l'energia acustica in energia elettrica; le dinamo trasformano l'energia meccanica di rotazione in energia elettrica; i potenziometri trasformano una posizione lineare o angolare in un valore resistivo e quindi in una tensione. Esaminiamo alcune tipologie di trasduttori. 2. Trasduttori di temperatura I trasduttori di temperatura sono dispositivi che consentono di trasformare una temperatura in un segnale elettrico ad essa proporzionale. 2.1. Termocoppia La termocoppia è un trasduttore di temperatura costituito da due metalli diversi saldati tra di loro ad un’estremità e basa il suo funzionamento sull'effetto Seebeck. Riscaldando alla temperatura Tc il punto di saldatura dei due metalli diversi, alle due estremità libere poste alla temperatura di riferimento Tr, si ottiene una piccola forza elettromotrice proporzionale alla differenza tra Tc e Tr: e = α·(Tc – Tr) dove α è il coefficiente di Seebeck espresso in µV/°C che dipende dalla natura dei due metalli costituenti il giunto e, purtroppo, dalla temperatura. Sebbene la linearità di funzionamento sia limitata a piccole variazioni di temperatura, le termocoppie trovano applicazione grazie all'ampio campo di temperatura sopportabile. Se si collega la termocoppia ad un voltmetro, si generano due giunzioni fredde e quindi la forza elettromotrice indicata dallo strumento di misura, dipenderà anche dalle forze elettromotrici di queste due nuove giunzioni fredde. Per eliminare tale inconveniente si utilizza un'altra termocoppia Jr, il cui giunto caldo è posto ad una temperatura di riferimento Tr ed i cavi di collegamento al voltmetro sono in rame in modo da eliminare la presenza dell'effetto Seebeck sui contatti del voltmetro stesso. In fig. 1 si mostra il simbolo di una termocoppia e il collegamento di due termocoppie per eliminare la forza elettromotrice di giunzione ai morsetti del voltmetro: 23 Fig. 1 – Simbolo di una termocoppia e collegamento di due termocoppie per eliminare la f.e.m. di giunzione ai morsetti del voltmetro 3. Trasduttori di posizione I trasduttori di posizione sono dispositivi che trasformano una posizione lineare o angolare in segnale elettrico. 3.1. Trasformatori differenziali I trasformatori differenziali sono dei trasduttori di posizione noti anche con il nome di trasformatori ad E per la sagoma del nucleo magnetico. Essi sono costituiti quindi da tre colonne: sulle due colonne esterne sono disposti in serie due avvolgimenti in opposizione di fase; sulla colonna centrale, invece, è applicato un avvolgimento alimentato con una tensione alternata Vi. Sul nucleo è inserita una traversa mobile in grado di scorrere verso destra o verso sinistra. In particolare se la traversa è in posizione perfettamente simmetrica rispetto alla colonna centrale, le forze elettromotrici indotte sugli avvolgimenti delle colonne laterali V1 V2 sono uguali ed opposte per cui la tensione di uscita Vu è nulla; invece spostando la traversa mobile verso destra o sinistra aumenta l'accoppiamento magnetico verso una colonna e diminuisce quello verso l'altra colonna. Così facendo le due forze elettromotrici indotte nelle colonne laterali sono diverse tra loro e di conseguenza la tensione di uscita Vu non è più nulla ma al contrario aumenta a seconda dello spostamento laterale x della traversa mobile. In particolare il modulo di Vu è proporzionale allo spostamento mentre lo sfasamento φ ne indica la direzione; si osservi infine che la tensione di uscita Vu è alternata e quindi per renderla continua e proporzionale allo spostamento x si utilizza un raddrizzatore a doppia semionda con un filtro capacitivo come nei normali alimentatori. In fig. 2 si mostra la costituzione e lo schema elettrico equivalente di un trasformatore differenziale invece in fig. 3 si mostrano gli andamenti di ampiezza e fase in funzione dello spostamento x: Fig. 2 – Costituzione e schema elettrico equivalente di un trasformatore differenziale 24 Fig. 3 – Andamenti di ampiezza e fase relativi ad un trasformatore differenziale in funzione dello spostamento x 4. Trasduttori di velocità I trasduttori di velocità sono dispositivi che forniscono una grandezza elettrica proporzionale alla velocità lineare o di rotazione di un oggetto in movimento. 4.1. Dinamo tachimetrica La dinamo tachimetrica è un classico trasduttore di velocità la cui struttura è analoga a quella di una comune dinamo ad eccitazione indipendente. In fig. 4 si mostra lo schema elettrico equivalente e la curva caratteristica di una dinamo tachimetrica: Fig. 4 – Schema elettrico e curva caratteristica di una dinamo tachimetrica Il flusso di eccitazione Φ viene mantenuto costante dalla tensione continua applicata all'avvolgimento di eccitazione. È noto che in una comune dinamo ad eccitazione indipendente la tensione di uscita Vo vale: Vo = K·Φ·n dove: K è una costante costruttiva della macchina elettrica; Φ è il flusso magnetico; n è il numero di giri al minuto del rotore. Ponendo KT = K·Φ si ottiene: Vo = KT·n Da cui si evidenzia il legame di proporzionalità esistente tra velocità di rotazione e la tensione di uscita della dinamo. I principali difetti di una dinamo tachimetrica sono: 1 tensione di uscita affetta da ondulazione dovuta al sistema di raddrizzamento collettorespazzole, tipico delle dinamo; 2 usura delle spazzole e conseguente periodica manutenzione e sostituzione; 3 elevato errore di linearità tipicamente contenuto entro il 2%. Tutti questi difetti possono essere in parte compensati mediante l'uso di un alternatore tachimetrico (non presenta i difetti dovuti al sistema di raddrizzamento colletore-spazzole) 25 e la tensione alternata fornita in uscita viene resa continua utilizzando un alimentatore stabilizzato. 5. Trasduttori di campo magnetico I trasduttori di campo magnetico sono dispositivi in grado di fornire una tensione proporzionale al campo magnetico incidente sul trasduttore. 5.1. Trasduttori ad effetto Hall I trasduttori ad effetto Hall sono dei trasduttori di campo magnetico costituiti da una barretta di semiconduttore, ad esempio arseniuro di gallio, drogato tipo N o P e basa il suo funzionamento sull'effetto Hall. Se un semiconduttore viene attraversato da una corrente I ed è immerso in un campo di induzione magnetica B, si sviluppa una forza elettomagnetica (forza di Lorenz) perpendicolare al campo B e alla corrente I che provoca un addensamento di cariche su una delle facce del semiconduttore. Così facendo si genera una tensione VH pari a: VH = K·B·I dove K è una costante che dipende dalle dimensioni fisiche della barretta, dal drogaggio e dal tipo di semiconduttore impiegato. In fig. 5 si mostra la struttura di un trasduttore ad effetto Hall: Fig. 5 – Schematizzazione di un trasduttore ad effetto Hall I trasduttori ad effetto Hall servono a rilevare la presenza o la variazione di un campo magnetico che investe la barretta di semiconduttore. Nei casi pratici si possono avere due situazioni: - il campo magnetico è generato da un magnete solidale a un oggetto in movimento; - il campo magnetico è generato da un circuito solidale con il trasduttore stesso. Nel primo caso, quando l’oggetto magnetizzato si avvicina al trasduttore, provoca un aumento sensibile della tensione VH; nel secondo caso, la variazione di VH è dovuta al fatto che un oggetto ferroso, avvicinandosi al trasduttore, provoca una variazione dell’induzione che investe la barretta di semiconduttore. In commercio è possibile trovare trasduttori ad effetto Hall integrati che possono essere di tipo lineare oppure di tipo on-off. I trasduttori di tipo lineare forniscono una tensione VH che cresce in maniera proporzionale all’intensità del campo magnetico e sono utilizzati 26 quando è richiesto un rilevamento continuo della posizione di un oggetto, mentre quelli di tipo on-off vengono utilizzati quando è richiesta un’azione di tipo switching. 27 ITALIANO/STORIA L’INDUSTRIALIZZAZIONE ITALIANA TRA ‘800 E ‘900 1. L’industrializzazione dei paesi in ritardo Alcuni paesi a struttura prevalentemente agraria imboccarono la via dell'industrializzazione quando in una parte del mondo esisteva già un'economia industriale avanzata e tendenzialmente monopolistica. I casi più importanti e significativi furono quelli del Giappone, dell'Italia e della Russia; in particolare, per l'Italia, la premessa dello sviluppo economico moderno fu il conseguimento dell'unità e dell'indipendenza. In ognuno di questi paesi i problemi dell'industrializzazione furono affrontati in maniera particolare ed i sistemi economici che ne derivarono ebbero non solo caratteri propri ma anche alcune caratteristiche comuni come la funzione assai maggiore dello Stato e la permanenza di condizioni di arretratezza nelle campagne. 2. Lo sviluppo economico degli anni Ottanta Intorno al 1880 si verificò una svolta nell'economia italiana. Si manifestò infatti una grave crisi agraria, che si inseriva in una generale depressione dell'economia europea. La causa principale fu la massiccia concorrenza dei cereali americani, russi e di alcuni paesi asiatici che si riversarono a basso prezzo sul mercato europeo grazie allo sviluppo dei trasporti a vapore e della ferrovia; di conseguenza in Italia la crisi frenò la tendenza all'investimento di capitali nella terra favorendo l'investimento nelle attività manifatturiere. Tutto questo diede avvio all'espansione industriale del 1881-1887 che preparò il vero e proprio decollo degli anni 1896-1914. La crescita riguardò tutti i settori, ma in particolare l'industria siderurgica e meccanica. In Italia comparvero inoltre attività industriali completamente nuove in questi anni e nello specifico l'industria elettrica, l'industria chimica (soprattutto quella della gomma) e l'industria estrattiva; fondamentale era il ruolo svolto dalle banche che finanziavano questi nuovi settori produttivi. Gli industriali chiesero ed ottennero dallo Stato una politica di protezionismo doganale e vennero quindi applicate tariffe che scoraggiavano l'importazione di beni e prodotti dall'estero ma tutelavano la produzione interna; questo fu il segno della cosiddetta “svolta protezionistica” nel campo della politica economica dello Stato italiano. 3. Una società moderna e industrializzata Fra il 1896 e 1914 in Italia si verificò una vera e propria “rivoluzione industriale”. La crescita economica italiana si collegò ad un vasto progresso produttivo che interessò vari Paesi europei, gli Stati Uniti ed il Giappone. Questo sviluppo dell'economia italiana portò ad un aumento: - del tasso di crescita medio annuo; - del numero di addetti all'industria; - degli investimenti in impianti e attrezzature produttive; - del reddito pro capite; - della quantità di materie prime importate e di manufatti esportati; - delle masse di lavoratori provenienti dalle campagne (urbanizzazione). Fu questo il periodo in cui si formò il cosiddetto triangolo industriale, comprendente il Piemonte, la Lombardia e la Liguria. Infatti in queste regioni il processo di sviluppo 28 dell'agricoltura aveva già raggiunto un sufficiente grado di maturità ed aveva dato luogo ad un'intensa accumulazione capitalistica. 4. Le caratteristiche del decollo industriale italiano Lo sviluppo economico dei primi decenni del Novecento fu caratterizzato da due significative novità: l'uso di nuove fonti energetiche e l'applicazione di nuove tecniche, che portarono profonde trasformazioni della società e delle condizioni di vita. La crescita industriale dell'Italia non fu dominata solo da queste innovazioni tecnologiche ma fu dovuta anche: - alla politica protezionistica del governo che favoriva soprattutto la siderurgia; - alla nuova classe di imprenditori dinamici ed agguerriti, il cui massimo rappresentante fu considerato Giovanni Agnelli che nel 1899 fondò la Fiat; - al ruolo svolto dalle banche che assicuravano i finanziamenti necessari alle aziende. Gli stabilimenti di maggiori dimensioni e dotati di apparecchiature avanzate erano però concentrati al Nord, soprattutto in Piemonte e in Lombardia, mentre le regioni meridionali rimasero escluse dalla crescita industriale. Per questo motivo il processo di industrializzazione non eliminò gli squilibri esistenti nel paese, e in primo luogo quello tra Nord e Sud, che al contrario si stava aggravando. 5. Il decollo industriale Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento nacque anche l'industria automobilistica, concentrata soprattutto a Torino e Milano. Nel 1899 tra le 26 imprese automobilistiche presenti in Italia, a predominare fu la Fiat. Nel 1908, a Ivrea, per iniziativa di Camillo Olivetti sorse una fabbrica di macchine per scrivere destinata ad occupare una posizione importante nel panorama economico italiano. L'industria elettrica ebbe notevole incremento e suscitò grandi entusiasmi perché l'Italia è priva di carbone, che a quei tempi era la principale fonte di energia e doveva essere importato, e con la diffusione dell'elettricità si pensava di liberare il Paese dalla dipendenza estera; tuttavia, nonostante i progressi, la produzione di energia elettrica rimaneva inferiore al fabbisogno. Un altro settore in espansione fu quello chimico, che intensificò la produzione di fertilizzanti e di prodotti di gomma; in particolare nel 1872 venne fondata a Milano la Pirelli, la più grande fabbrica di gomma. Loghi Fiat Atto costitutivo Fiat 29 Manifesto Olivetti Aereoplani da guerra 6. La mobilitazione industriale in Italia L'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale, deciso nel maggio 1915, fu voluto soprattutto dagli industriali appartenenti al settore siderurgico e meccanico, che vedevano nel conflitto la possibilità di realizzare grandi profitti. A partire dal 1916 vennero ingrandite le officine già esistenti, se ne crearono di nuove, venne incrementata la produzione e per questo motivo fu necessario assumere nuova manodopera, anche non qualificata come ad esempio le donne. Anche le officine ausiliarie, cioè tutte quelle imprese che producevano per l'esercito e per la marina, crebbero di numero e si moltiplicarono nel corso della guerra soprattutto grazie ai settori siderurgico e meccanico destinati a fornire armi e mezzi di trasporto. La guerra favorì inoltre la nascita di un nuovo settore, quello aereonautico. Infatti dal 1916 in Italia cominciarono ad essere prodotti aeroplani da guerra, che prima venivano acquistati dall'estero. Nel frattempo l'industria chimica forniva esplosivi e gas asfissianti mentre i lanifici e i cotonifici fornivano ai soldati divise e scarpe 30 7. I problemi della riconversione Terminata la guerra, occorreva attuare la riconversione, cioè trasformare l'apparato industriale che non doveva più rispondere alle necessità della guerra. Così facendo si aprirono gravi problemi: - molti stabilimenti erano stati potenziati in modo eccessivo e dovettero essere ridimensionati; - alcune produzioni legate alla guerra non erano più necessarie in tempo di pace; - la manodopera, che era cresciuta notevolmente, veniva ora licenziata; - lo Stato aveva sostenuto spese di guerra così elevate che il bilancio era in deficit gravissimo; - i reduci, cioè coloro che tornavano dal fronte, si trovarono disoccupati. Per tutti questi motivi gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da scioperi ed agitazioni che portarono, nel 1920, all'occupazione delle fabbriche di Torino da parte degli operai. 8. La ripresa degli anni Venti Quando Mussolini conquistò il potere, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, l'economia mondiale era in una fase di ripresa. In Italia il governo fascista attuò inizialmente una politica economica liberista, volta cioè a limitare l'intervento dello Stato ed a favorire l'iniziativa dei privati. Dal punto di vista produttivo, gli anni Venti videro una notevole espansione. Infatti la produzione manifatturiera dal 1921 al 1926 crebbe e di conseguenza la disoccupazione si ridusse in maniera consistente. Nel 1926 venne fondata l’AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli) che doveva occuparsi della ricerca e della distribuzione di petrolio. L'industria meccanica sviluppò i settori preesistenti e si specializzò in produzioni nuove e più raffinate: macchine da cucire (Necchi), macchine per scrivere (Olivetti), apparecchi radio (Marelli), macchinari per la tipografia (Nebiolo); nel settore chimico invece si verificò un vero e proprio boom delle fibre artificiali, la cui produzione iniziò durante la guerra, per la scarsezza e la difficoltà di approvvigionamento del fibre naturali. Logo AGIP Macchina da cucine Necchi 31 Macchina per scrivere Olivetti Macchinario Nebiolo per la tipografia Radio Marelli 9. La politica autarchia A partire dal 1926 venne messa in atto una svolta nella politica economica del regime, che abbandonò la linea liberista per attuare un intervento sempre più pesante nell'economia. Venne così inaugurata una politica autarchica. L'autarchia è una politica economica che mira all'autosufficienza ed in particolare, quella voluta dal regime fascista, ebbe conseguenze pesanti per l'economia italiana e determinò un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Per quanto riguarda invece l'industria, l'autarchia ne causò l'arretratezza poiché il mercato era limitato. 10. La crisi del 1929 e le sue conseguenze La gravissima crisi economica che colpì gli Stati Uniti nel 1929 travolse tutta l'Europa. Anche l'Italia venne coinvolta dalla "grande depressione" e di conseguenza molte aziende dovettero chiudere o licenziare manodopera; così facendo il numero dei disoccupati crebbe. Lo Stato si assunse quindi il compito di finanziare le industrie, "salvando" quelle che erano più in crisi, e di gestire direttamente alcune attività industriali. Nel triennio 1931-1933 vennero così istituiti due organismi che ebbero poi un grande peso nell'economia e nella politica italiana: - l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) con cui lo Stato assicurava alle industrie il credito che le banche non erano più in grado di sostenere; - l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) con cui lo Stato diventava proprietario di alcune società impegnandosi a risollevarle per poi rivenderle ai privati. Alla vigilia della seconda guerra mondiale esso possedeva il 44% del capitale azionario esistente in Italia e attraverso l’IRI lo Stato ha mantenuto il possesso di molte imprese fino ai giorni nostri. 32 Loghi dei due organismi istituiti nel triennio 1931-1933 (IMI e IRI) 11. L'industria italiana alla vigilia della seconda guerra mondiale La guerra scoppiata nel settembre 1939 sembrava un'ottima occasione per intensificare la produzione ed accrescere i profitti. Nel giugno 1940 l'Italia entrò in guerra ma era assolutamente impreparata in quanto mancavano le armi, i mezzi di trasporto e gli equipaggiamenti. Così, mentre la prima guerra mondiale stimolò la produzione industriale, la seconda ne provocò la caduta; inoltre la disastrosa sconfitta mise il Paese di fronte alla necessità di ricostruire completamente il proprio assetto politico, economico e istituzionale. 12. I problemi economico-sociali del dopoguerra Le condizioni materiali dell'Italia all'indomani della seconda guerra mondiale erano disastrose. Infatti nelle grandi città più della metà degli edifici aveva subito distruzioni o danni a causa dei bombardamenti, la rete ferroviaria e stradale era distrutta e mancavano prodotti di prima necessità per la popolazione. Due problemi economico-sociali si presentarono ai governi del dopoguerra: 1. l'inflazione: i prezzi aumentavano vertiginosamente e il potere d'acquisto della moneta diminuiva creando gravi difficoltà sia ai consumatori che alle imprese; 2. la disoccupazione: molti italiani erano senza lavoro, altri non avevano attività a tempo pieno. Tutto questo derivava soprattutto dalla difficoltà di riorganizzare le attività produttive dovuta a diversi fattori: - i trasporti erano nel caos e per questo motivo non potevano viaggiare né le materie prime né i prodotti; - erano venute a mancare le ordinazioni dello Stato su cui si basava soprattutto l'industria pesante; - i macchinari erano stati sottoposti ad un'intensa usura nel periodo della guerra e si presentavano quindi inefficienti ed arretrati; - la popolazione era impoverita e, non potendo acquistare grandi quantità di beni, il mercato interno era ristretto. L'obiettivo che tutto il Paese si propose al termine del conflitto fu quello di “ricostruire” materialmente e moralmente l'Italia e per questo motivo gli anni dal 1945 e 1950 rappresentano il periodo della "ricostruzione". 13. La “ricostruzione” fra iniziativa della popolazione e aiuti stranieri L'operosità, la tenacia e la speranza degli Italiani furono1947); la nazione che riceveva i del Piano decisive per la ripresa dell'economia ma la ricostruzionefinanziamenti fu anche resa possibile dai notevoli finanziamentiMarshall doveva impegnarsi ad garantiti dagli Stati Uniti, che nel dopoguerra avevanoacquistare prodotti finiti presso le industrie americane. una posizione di supremazia nell'economia mondiale. Gli aiuti americani vennero erogati attraverso ilI governi italiani del dopoguerra programma conosciuto come Piano Marshall (dal nomefecero inoltre delle scelte del segretario di Stato americano che lo propose nelsignificative in quanto: 33 - venne abbandonata la politica di controllo e di intervento dello Stato sull'economia lasciando spazio all'iniziativa privata; - vennero ripristinati e incentivati i commerci con l'estero che inserirono il Paese nell'economia internazionale. Per favorire gli scambi con l'estero furono riviste le tariffe doganali, limitando gradualmente il protezionismo, e si stipularono trattati commerciali con alcuni Paesi europei per rendere più agevoli pagamenti. Poster del piano Marshall George Catlett Marshall 14. L’industria italiana negli anni della ricostruzione Gli scambi con l'estero misero l'Italia a confronto con(Ente Nazionale per l'Energia economie più avanzate e industrializzate, stimolandoElettrica) con cui lo Stato si il desiderio di migliorare le applicazioni tecnologicheassumeva il monopolio della e le condizioni di vita. produzione e della distribuzione di Determinanti furono inoltre gli aiuti americanienergia elettrica. provenienti dal Piano Marshall che vennero utilizzati in Italia a vantaggio dell'industria, in particolare per l'acquisto di macchine e attrezzature. Tali acquisti riguardavano soprattutto i settori siderurgico, elettrico e meccanico che richiedevano investimenti più consistenti e che trovavano una temibile concorrenza sul piano internazionale. Per quanto riguarda la siderurgia fu determinante la figura di Oscar Sinigaglia, un dirigente della Finsider, gruppo che raccoglieva tutte le maggiori acciaierie di proprietà dello Stato attraverso l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale); importante fu anche l'adesione alla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) che assicurava all'Italia l'approvvigionamento di materie prime. Per favorire invece la meccanica venne creato il FIM (Fondo Industrie Meccaniche) che forniva prestiti a Logo e Paesi appartenenti alla CECA tutte quelle industrie che si trovavano in difficoltà o che erano intenzionate a rinnovare gli impianti. Per il settore elettrico vennero costruiti nuovi impianti idroelettrici e nel 1962 venne creato l’ENEL 34 Logo e Paesi di ubicazione dell’Enel 15. Il “miracolo economico” italiano Nel periodo che va dal 1953 al 1963 un impetuoso e veloce sviluppo industriale trasformò in Italia il modo di vivere, le abitudini della popolazione, l'aspetto delle città e il paesaggio. Si parlò allora di un "miracolo" perché nessuno aveva previsto uno sviluppo simile, nonostante le indubbie capacità di ripresa mostrate dall'economia italiana negli anni del dopoguerra. Questa fase viene anche chiamata boom, termine inglese che indica appunto un momento di rapida espansione economica. Molteplici fattori furono alla base del "miracolo economico": - una ampia disponibilità di manodopera: infatti era elevato sia il numero di disoccupati sia il numero di immigrati dal Sud che potevano essere inseriti nell'industria; - i salari relativamente bassi che incidevano poco sul costo del prodotto finito; - i bassi prezzi delle materie prime di cui l'Italia aveva bisogno; - l'adozione di tecniche avanzate assorbite da altri Paesi che le avevano elaborate e sperimentate. Occorre inoltre aggiungere la spinta data da tutte quelle persone che desideravano raggiungere il benessere, lasciando alle spalle gli anni difficili e bui della guerra. 16. I prodotti dell'industria nella vita quotidiana degli italiani Il vero e proprio boom dell'industria meccanica, petrolchimica e automobilistica fu reso possibile anche dallo sviluppo della produzione di acciaio: infatti tra il 1956 il 1959 il settore siderurgico ricevette un tale impulso che l'Italia, da essere Paese importatore, divenne esportatore. Vespa Logo ENI 35 Lambretta Fiat Seicento Fiat Cinquecento 36 17. Il decennio 1963-1973 La sorprendente espansione iniziata negli anni Cinquanta proseguì fino al 1963: infatti a partire da quell'anno l'economia italiana entrò in una fase di depressione che si prolungò per circa un decennio. Questa crisi mise in evidenza alcuni squilibri del processo di sviluppo che si verificò negli anni del boom: - il "miracolo" interessò prevalentemente il Nord ed era stato possibile anche grazie all'immigrazione di manodopera proveniente dal Meridione; - lo Stato non aveva offerto alle masse di popolazione case, scuole e servizi adeguati; - il "miracolo" aveva interessato industrie tradizionali mentre erano rimasti arretrati i settori ad alta tecnologia come quello dell'elettronica. Le cause che innescarono la crisi furono: - l'aumento dei salari dovuto al fatto che la forza contrattuale delle masse operaie concentrate nelle fabbriche del Nord crebbe e contemporaneamente si rafforzarono i sindacati; - l'aumento dei prezzi dei prodotti in vendita; - la forte inflazione dovuta all'aumento dei prezzi; - la riduzione degli investimenti delle aziende che determinarono un calo della produzione e un aumento della disoccupazione. Per rispondere alla crisi vennero adottate alcune modifiche nell'organizzazione del lavoro che portarono ad una momentanea ripresa della produzione: infatti tra il 1969 e il 1973 si assistette in Italia ad una vera e propria esplosione di scioperi. Nel 1973 un nuovo grave evento colpì la nostra economia in quanto si verificò una grande crisi energetica dovuta all’aumento dei prezzi del petrolio. Così facendo la situazione divenne critica per l'Italia data la forte dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento di fonti energetiche. 18. L’industria elettronica Negli stessi anni in cui l'Italia produceva ed esportava le proprie costruzioni elettromeccaniche, dando prova di ingegnosità tecnica e capacità imprenditoriale, essa manifestava un grave ritardo nel campo dell'industria elettronica. Infatti, mentre gli Stati Uniti erano i grandi dominatori, in Italia solo la Olivetti, che era l'unica impresa totalmente italiana, si era lanciata nella produzione di calcolatori; le altre come Siemens, CGE e Philips erano collegate gruppi stranieri per ragioni finanziarie e tecnologiche. Logo Siemens e Philips In Italia la fabbricazione di prodotti elettronici di consumo non copre nemmeno la metà del fabbisogno interno; al contrario sono stati conseguiti risultati migliori nel caso della microelettronica grazie alla costituzione, nel 1987, della SGS-Thomson, un'associazione di imprese italo-francese attiva nel campo dei semiconduttori. Questa impresa, guidata da un manager italiano, ha saputo non solo offrire prodotti competitivi, ma anche stringere rapporti di collaborazione con altre industrie europee e con i "nemici" giapponesi che rappresentano oggi i principali concorrenti mondiali. Occorre dire infine che la scarsa presenza dell'industria italiana nei settori ad alta tecnologia rimane un problema fondamentale degli anni Novanta. DIRITTO L’ATTIVITÀ ECONOMICA E L’AZIENDA 1. L'attività economica Durante la sua vita all'uomo avverte una serie di bisogni. I bisogni sono degli stati di insoddisfazione che interessano le persone. Essi si dividono in bisogni autonomi e bisogni indotti dall'esterno. I bisogni autonomi nascono in ognuno di noi senza i condizionamenti delle aziende invece bisogni indotti sono quelli "costruiti" dalle aziende e che normalmente hanno un costo maggiore. Inoltre vi sono bisogni essenziali come bere, mangiare, vestirsi e bisogni secondari come istruirsi, viaggiare, divertirsi. Per soddisfare tutti questi bisogni l'uomo deve procurarsi dei mezzi idonei detti beni che devono essere disponibili in modo limitato (beni economici). Dal bisogno ha origine l'attività economica, cioè l'insieme delle azioni compiute dall'uomo per procurarsi i beni e i servizi utili in modo da soddisfare il bisogno stesso. Nell'attività economica possiamo distinguere quattro fasi: - la produzione che rappresenta l'insieme delle operazioni che devono essere compiute per ottenere i beni necessari a soddisfare i bisogni; - lo scambio che rappresenta il momento in cui i beni vengono ceduti in cambio di moneta; - il consumo che rappresenta il momento in cui si esaurisce il bene o il servizio in modo da soddisfare dei bisogni specifici; - il risparmio che consiste nel rinunciare al consumo immediato di una parte di beni e servizi in modo da soddisfare bisogni futuri. Il concetto di bene richiama quello di fisicità in quanto il bene può essere toccato, se ne può ammirare il colore e la forma; invece il servizio consiste in una prestazione priva di consistenza fisica. L'attività di produzione, che consiste nell'accrescimento delle risorse disponibili in un certo momento si distingue in: Diretta: la produzione fisica di beni e prestazione di servizi che consiste nell'utilizzare alcuni beni per ottenerne altri di diverso tipo Indiretta: il trasferimento di beni nello spazio che consiste nel rendere disponibili alcuni beni in luoghi diversi da quelli di provenienza il trasferimento di beni nel tempo che consiste nel conservare alcuni beni per renderli disponibili in casi di scarsità o di mancanza Inoltre, per realizzare l'attività di produzione, occorre avere a disposizione diversi fattori produttivi che si distinguono in risorse naturali, lavoro umano, capitale. 2. Concetto di azienda L'azienda è un istituto economico destinato a durare nel tempo che produce beni e servizi per soddisfare i bisogni umani. Gli elementi costitutivi dell'azienda sono: - un'organizzazione stabile cioè creata per compiere operazioni durature in modo da far esistere l'organismo aziendale per periodi di tempo medio-lunghi; - un insieme di persone che partecipano allo svolgimento dell'attività aziendale; - un complesso di beni economici (immobili, attrezzature, autoveicoli…) che possono essere destinati allo scambio sul mercato o utilizzati nell'azienda sia come beni di consumo che come fattori produttivi. L'insieme dei beni economici rappresenta il patrimonio dell'azienda; - un fine da raggiungere che consiste nel soddisfare i bisogni umani attraverso i processi di produzione (soddisfacimento indiretto) o di consumo (soddisfacimento diretto); - un insieme ordinato e sistematico di operazioni messe in atto dalle persone per raggiungere il fine aziendale. 3. L'azienda come sistema L’azienda può essere considerata con un sistema cioè un insieme di uomini e mezzi combinati tra loro al fine di raggiungere uno scopo specifico, interagendo con l'ambiente circostante. L'azienda è un sistema: - aperto in quanto devono esserci continue relazioni di scambio con l'ambiente in cui opera; - socio-tecnico in quanto è formata da persone e un'organizzazione tecnica costituita da impianti e attrezzature; - finalizzato perché tende al raggiungimento di un obiettivo generale e cioè soddisfare i bisogni umani; - dinamico in quanto è destinata a mutare nel corso del tempo; - autoregolato in quanto i risultati ottenuti nel passato rappresentano delle indicazioni per l'attività futura; - economico in quanto è rivolto a soddisfare bisogni illimitati utilizzando risorse limitate. Inoltre l'azienda: - riceve dal mondo esterno degli input (capitale, materie prime, conoscenze scientifiche e tecniche…) e li trasforma; - ottiene degli output che vengono ritrasmessi all'ambiente sotto forma di prodotti e servizi. Quando si parla di ambiente ci si riferisce non solo ai mercati in cui l'azienda opera, ma anche all'ambiente generale inteso come sistema di elementi di varia natura dei quali l'azienda deve tener conto per sopravvivere e svilupparsi. Il sistema-ambiente è di tipo: - fisico-naturale cioè riferito alle condizioni naturali del territorio che condiziona la presenza o meno di materie prime e il tipo di trasporti; - culturale cioè riferito al complesso di conoscenze e di ideologie che determinano i comportamenti delle persone; - tecnologico cioè riferito al complesso di conoscenze di tipo scientifico e tecnologico che stimolano all'adozione di tecniche sempre più sofisticate ed economiche; - sociale in quanto rappresenta il risultato della suddivisione della società in gruppi e comporta la possibilità di passare da un gruppo sociale all'altro; - economico cioè rappresentato dal sistema generale dell'economia che regola la vita della collettività; - politico-legislativo cioè definito dalla forma di governo e dall'ordinamento giuridico-legislativo di un certo paese e condiziona le norme riguardanti l'attività commerciale e i rapporti di lavoro. Inoltre l'azienda può operare in due tipologie di mercato: - mercato di acquisto dei fattori produttivi; - mercato di vendita dei beni e servizi prodotti. I mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi sono: - mercato del lavoro; - mercato delle tecnologie; - mercato delle materie prime; - mercato delle fonti di energia; - mercato dei capitali. L’azienda, per svolgere le sue attività e realizzare i suoi obiettivi, deve adattarsi alle condizioni dell'ambiente in cui opera e di conseguenza ne può anche modificare la struttura esterna che lo circonda. 4. La classificazione delle aziende Le aziende sono classificabili in base: - al fine che tendono raggiungere; - al luogo in cui operano; - alla natura giuridica del soggetto che assume i diritti e gli obblighi derivanti dall'attività aziendale; - alle dimensioni. Secondo il fine che intendono raggiungere, le aziende si possono distinguere in: - aziende di produzione che producono beni e servizi da cedere a terzi attraverso lo scambio con lo scopo di conseguire un utile cioè un guadagno; - aziende di erogazione che attuano processi di consumo della ricchezza per soddisfare direttamente i bisogni umani; - aziende composte che sono composte da un'attività di consumo e un'attività di produzione. Inoltre, le aziende di produzione possono ulteriormente distinguersi in: - aziende di produzione diretta dei beni che svolgono l'attività di produzione attraverso processi di trasformazione, manipolazione e trattamento delle materie prime; - aziende di produzione indiretta dei beni che non trasformano le materie prime ma le trasportano nel tempo nello spazio; - aziende di servizi che svolgono attività di supporto di altre imprese o soggetti. Invece, le aziende di erogazione possono ulteriormente distinguersi in: - aziende pubbliche [pubblica amministrazione] ovvero lo Stato e gli enti locali (istituti pubblici di assistenza e beneficenza, aziende degli enti istituzionali) - aziende private [aziende no profit] ovvero le organizzative private che non perseguono scopi di lucro ma vogliono erogare servizi utili alla collettività (associazioni, fondazioni, comitati, cooperative sociali, organizzazioni di volontariato) Secondo il luogo in cui operano, le aziende si possono distinguere in: - aziende indivise che esercitano la loro attività in una sede unica dove sono localizzati i loro stabilimenti ed uffici; - aziende divise che esercitano la loro attività in più punti del territorio e dispongono di diversi stabilimenti ed uffici. Secondo la natura giuridica del soggetto che assume i diritti e gli obblighi derivanti dall'attività aziendale, le aziende si possono distinguere in: - aziende pubbliche in cui il soggetto giuridico è sottoposto alle norme di diritto pubblico; - aziende private in cui il soggetto giuridico è sottoposta alle norme di diritto privato. Le aziende private, a loro volta, possono essere: - individuali se hanno per soggetto giuridico una singola persona; - collettive se hanno per soggetto giuridico una pluralità di persone. Il nostro ordinamento caratteristiche: Società di persone: giuridico prevede due forme di società che hanno le seguenti sono prive di personalità giuridica; non vi sono organi della società; rispondono delle obbligazioni sociali personale dei soci. con la responsabilità Società di capitali: sono provviste di personalità giuridica; agiscono a mezzo dei propri organi; rispondono delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio. Sono società di persone: la società semplice (SS); la società in nome collettivo (SNC); la società in accomandita semplice (SAS). Sono società di capitali: la società per azioni (SPA); la società a responsabilità limitata (SRL); la società in accomandita per azioni (SAPA). Secondo il profilo dimensionale, infine, le aziende si possono distinguere in: - aziende piccole; - aziende medie; - aziende grandi. Per determinare le dimensioni dell'azienda si prendono in considerazione diversi parametri: - il fatturato annuo, cioè il numero delle vendite effettuate in un dato anno; - il numero dei lavoratori dipendenti mediamente occupati nell'anno; - il capitale investito nella produzione dell'anno; - il valore aggiunto creato dall'impresa, cioè la differenza tra il valore finale della produzione ed il costo delle materie impiegate per ottenerla; - la capacità di produzione degli impianti. MATEMATICA GLI INTEGRALI DEFINITI E IMPROPRI 1. L'integrale definito e l’area del trapezoide Data una funzione f(x) continua in un certo intervallo [a,b] si definisce integrale definito fra a e b la differenza fra il valore assunto dalla primitiva calcolata nel punto b e il valore assunto dalla primitiva calcolata nel punto a: L’integrale definito è legato al calcolo delle aree. Infatti data una funzione f(x) continua e positiva in un certo intervallo [a,b], si definisce trapezoide la parte di piano delimitata da tale curva, dall'asse x e dalle rete x=a e x=b (Fig. 1). Fig. 1 - Trapezoide Per poter calcolare l’area di questo trapezoide bisognerà quindi calcolare l'integrale definito della funzione f(x) nell'intervallo [a,b] e lo si indica con: Invece, se la funzione f(x) è continua ma non positiva, l'area del trapezoide sarà data da: 1.1. Le proprietà dell’integrale definito Data una funzione f(x) continua in un certo intervallo [a,b] si può affermare che: E cioè se gli estremi di integrazione coincidono, l'integrale è nullo. E cioè invertendo gli estremi di integrazione, l'integrale ottenuto ha valore opposto di quello dato. E cioè se f(x) è continua in un intervallo [a,b] e il punto c appartiene all'intervallo, l'integrale dato può essere scomposto in due integrali. E cioè se f1(x), f2(x), …, fn(x) sono funzioni continue nell'intervallo [a,b], l'integrale dato può essere scomposto in tanti integrali quante sono le funzioni. E cioè se all'interno dell'integrale una costante k moltiplica la funzione, questa può essere portata fuori dal simbolo di integrale. 1.2. Teorema del valor medio Se f(x) è una funzione continua in un intervallo [a,b], esiste almeno un punto c interno all’intervallo [a,b] per il quale vale la seguente relazione: dove il valore f(c) si dice valor medio di f(x). Inoltre, dal punto di vista geometrico, il teorema si può interpretare dicendo che f(c) è l’altezza del rettangolo di base b-a equivalente al trapezoide. 2. Il calcolo delle aree Come abbiamo visto, per determinare l'area della parte di piano compresa tra una curva e l'asse x in determinato intervallo, si effettua Il calcolo di uno o più integrali definiti. E’ possibile inoltre determinare l’area S della regione di piano delimitata da due o più curve. Infatti, date due funzioni f(x) e g(x) continue, positive e con f(x) ≥ g(x) definite in un intervallo [a,b] (Fig. 2), si dimostra che l'area da esse racchiuse nell'intervallo è la differenza fra l'area del trapezoide individuato dalla funzione f(x) e l'area del trapezoide individuato dalla funzione g(x). Fig. 2 – Parte di piano delimitata da due curve Si ha perciò che: e tenendo conto delle proprietà dell'integrale definito si può scrivere: Inoltre la formula vale anche se una delle due funzioni o entrambe diventano negative [supponendo sempre che f(x) ≥ g(x)] (Fig. 3). Fig. 3 – Parte di piano delimitata da due curve di cui una diventa negativa In generale quindi, possiamo dire che date due funzioni f(x) e g(x), continue in un intervallo [a,b] e tali che f(x) ≥ g(x), l'area S della parte di piano delimitata dai loro grafici e dalle rette x=a e x=b è: Questa formula però vale solo quando le due curve f(x) e g(x) si intersecano nei punti di ascissa a e b (Fig. 4). Fig. 4 – Parte di piano delimitata da due curve che si intersecano tra loro Invece se l'area da determinare è individuata da più funzioni che si intersecano tra loro (Fig. 5) si ha a che: e tenendo conto delle proprietà degli integrali definiti si può scrivere: Fig. 5 – Parte di piano delimitata da più funzioni che si intersecano tra loro In particolare esiste una regola per calcolare l'area della superficie racchiusa da più curve. Se f1(x), f2(x), …, fn(x) sono le funzioni che delimitano una regione di piano si deve: - fissare uno dei punti di intersezione come punto di partenza, ad esempio il punto di ascissa a1 (Fig. 6) e si fissa il verso orario come verso di percorrenza del contorno della regione di cui si vuole calcolare l'area; - scrivere la somma degli integrali fra l'ascissa del punto di partenza e quella del punto di arrivo delle funzioni che stiamo percorrendo fino a tornare al punto di partenza: Fig. 6 – Parte di piano racchiusa da più curve 3. Il volume di un solido di rotazione Data una funzione f(x) continua e positiva in un certo intervallo [a,b] e indicando con T il trapezoide individuato dalla curva e dall'asse x nell'intervallo [a,b] (Fig. 7a), si dimostra che ruotando attorno all'asse x, T genera un solido di rotazione S (Fig. 7b) il cui volume lo si può calcolare mediante un'integrale definito con la seguente formula: Fig. 7a – Trapezoide T Fig. 7b – Solido di rotazione S Questa vale anche quando la funzione f(x) è negativa o lo diventa (Fig. 8) perché comunque [f(x)]2 è sempre positiva o nulla. Fig. 8 – La funzione diventa negativa 4. La lunghezza di un arco di linea piana e l'area di una superficie di rotazione Oltre alla determinazione di aree e volumi, gli integrali definiti ci permettono di calcolare anche la lunghezza di un arco di linea piana. Data una funzione f(x) continua e individuati i punti A e B di ascisse rispettivamente a e b (Fig. 9), si dimostra che la lunghezza l di tale tratto è data da: Fig. 9 – Arco di linea piana Inoltre, se si fa ruotare l'arco AB attorno all'asse x, si ottiene una superficie di rotazione la cui area S si dimostra data da: 5. Gli integrali impropri Per il calcolo di un'integrale definito, si è sempre partiti dal presupposto che la funzione f(x) fosse continua nell'intervallo di integrazione [a,b]. Bisogna però vedere cosa accade quando la funzione ha dei punti di discontinuità o quando uno degli estremi di integrazione tende all'infinito. In questo caso si parla di integrali impropri. 5.1. La funzione non è continua in uno degli estremi di integrazione o in un punto interno ad [a,b] Se la funzione non è continua in b non possiamo usare la definizione di integrale che conosciamo; tuttavia poiché essa è continua nell'intervallo [a,b-δ] con δ>0, la funzione f(x) è integrabile in [a,b[ e si pone: Se la funzione non è continua in a, di conseguenza non è continua nell'intervallo [a,b] ma lo sarà in [a+ε,b] con ε>0; così facendo la funzione f(x) è integrabile in ]a,b] e si pone: Se la funzione non è continua in un punto c interno ad [a,b] ma lo è in qualunque altro punto di [a,b] si pone: 5.2. L'integrale è esteso ad intervalli illimitati Se consideriamo adesso il caso di una funzione definita e continua in un intervallo [a,+∞], la funzione è integrabile nell'intervallo [a,+∞] ponendo: In modo analogo si pongono le definizioni nel caso in cui la funzione è definita nell'intervallo [-∞,b] o è definita nell'intervallo [-∞,+∞]; nel primo caso si pone: mentre nel secondo caso si pone: 6. Esercizi Esercizio 1 Esercizio 2 Esercizio 3 Esercizio 4 Esercizio 5 Esercizio 6