black pellicola (1,1) Anno XLV - N. 1 GENNAIO-MARZO 2009 anno xlv N. 1 Prezzo A 39,00 padova cedam 2009 Pubbl. Trimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Milano INDICE DEL FASCICOLO (Anno XLV, n. 1, gennaio-marzo 2009) DOTTRINA Z. Crespi Reghizzi, Diritto internazionale e diritto interno nelle controversie sottoposte ad arbitrato ICSID ....................................................................................... (International Law and Domestic Law in Disputes Submitted to ICSID Arbitration) 5 RASSEGNE M.A. Loiodice, L’utilizzabilità dei mezzi di prova nel processo penale secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ................................... (The Use of Evidence in Criminal Proceedings in the Case-Law of the European Court of Human Rights) 45 COMMENTI P. Mengozzi, Il diritto alla continuità di cognome di minori provvisti a un tempo della cittadinanza di uno Stato non membro della Comunità e della cittadinanza italiana .................................................................................................................... (The Right to the Preservation of the Family Name of Under-Age Children Having the Citizenship of both a Non-EC Member State and Italy) G. Peroni, Ricorso in cassazione per i provvedimenti di volontaria giurisdizione e regolamento (CE) n. 2201/2003 ........................................................................... (The Appeal to the Corte di Cassazione against Non-Contentious Jurisdiction Decisions and Regulation (EC) No 2201/2003) 69 85 GIURISPRUDENZA ITALIANA Contratti – Contratto di leasing finanziario senza elementi di estraneità – Convenzione di Ottawa del 28 maggio 1988 sul leasing finanziario internazionale – Inapplicabilità – Problemi di disciplina del leasing puramente interno – Artt. 10 e 12 della convenzione – Applicabilità a soli fini ermeneutici – Art. 1705 cod. civ. – Sostanziale equivalenza rispetto alle norme della convenzione: Corte di Cassazione, 16 novembre 2007 n. 23794 ................................................................................. Diritti della personalità – Diritto al nome – Figlio naturale di cittadini italiani nato in Canada – Acquisto della cittadinanza italiana e canadese dalla nascita – Attribuzione in Canada del cognome paterno e materno – Correzione del cognome ad 178 opera dell’autorità italiana – D.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 – Art. 98 comma 2 – Inapplicabilità – Art. 95 comma 3 – Mantenimento del cognome originario – Applicabilità – Conformità con gli artt. 2, 3, 29, comma secondo e 10, comma secondo Cost.: Tribunale di Bologna, decreto 11 settembre 2007 ...................... 99 Diritti della personalità – Diritto al nome – Attribuzione automatica del cognome paterno ai figli legittini – Mutamento della giurisprudenza costituzionale – Probabile entrata in vigore del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – Rinvio alla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 – Norme italiane – Interpretazione costituzionalmente orientata o nuova questione di legittimità costituzionale – Valutazione – Necessità: Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 22 settembre 2008 n. 23934 .................................................................................................. 152 Diritto penale – Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate – Art. 12 – Modifica della pena in senso favorevole al condannato – Casi – Amnistia, grazia, commutazione della pena – Applicabilità della norma a ipotesi non espressamente previste – Interpretazione – Estensione a istituti equivalenti finalizzati alla medesima ratio – Indulto – Applicabilità: Corte di Cassazione pen. (s.u.), 23 settembre 2008 n. 36522 .............................. 158 Forma degli atti – Procura speciale alle liti conferita all’estero ai fini di un giudizio in Italia – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 12 – Legge italiana – Applicabilità – Utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata – Validità formale – Lex loci actus – Applicabilità – Requisiti – Autenticazione successiva – Insufficienza – Procura non sottoscritta davanti al notaio – Nullità: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 febbraio 2008 n. 3410 ........................................ 188 Forma degli atti – Procura speciale conferita all’estero ai fini di un giudizio in Italia – Art. 83 cod. proc. civ. – Applicabilità – Conferimento con scrittura privata autenticata – Art. 2703 cod. civ. – Apposizione della sottoscrizione alla presenza del notaio e accertamento dell’identità del sottoscrivente da parte dello stesso – Necessità – Contemporaneità della sottoscrizione e dell’autenticazione – Irrilevanza – Sottoscrizione apposta senza la presenza del pubblico ufficiale – Inidoneità dell’atto a conferire la rappresentanza – Ricorso per cassazione – Inammissibilità: Corte di Cassazione, 22 maggio 2008 n. 13228 ....................................... 135 Giurisdizione – Provvedimento italiano di mutamento nell’affidamento del minore – Ordine di rimpatrio in Spagna – Impugnazione – Inammissibilità – Richiesta di nuovo provvedimento di affidamento – Minore rientrato in Spagna – Regolamento (CE) n. 2201/2003 – Giurisdizione italiana – Insussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), 2 novembre 2007 n. 23030 ...................................................... 104 Giurisdizione – Azione intentata da un cittadino arabo saudita nei confronti di una società italiana – Condizione di reciprocità – Art. 16 disp. prel. – Fatto costitutivo del diritto azionato dallo straniero – Questione di merito – Irrilevanza ai fini della giurisdizione – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 11 – Difetto di giurisdizione – Rilevabilità da parte del convenuto in ogni stato e grado del giudizio – Esclusione – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), 29 novembre 2007 n. 24814 ....................................................................................... 182 Giurisdizione – Controversia di lavoro – Datore di lavoro convenuto – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 19 – Criteri – Luogo dove il lavoratore svolge abitualmente la sua attività – Attività di lavoro svolta oggettivamente in Italia – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 dicembre 2007 n. 26089 ........................................................................................................ 108 Giurisdizione – Opposizione a un’ingiunzione di pagamento emessa da una dogana italiana – Necessità di adire un giudice italiano – Immissione in consumo in Italia della merce in transito comunitario – Irrilevanza – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), 28 dicembre 2007 n. 27172 ........................... 186 Giurisdizione – Azione promossa da un medico odontoiatra nei confronti di una casa editrice di una guida europea, avente sede in Spagna – Accertamento della nullità del contratto di inserzione pubblicitaria della sua attività professionale – Clausola di proroga a favore del giudice spagnolo – Requisito della forma scritta – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 23 – Clausola contenuta in condizioni generali predisposte da una parte richiamate espressamente dal contratto – Unica sottoscrizione dell’intero contratto – Sufficienza – Contratto stipulato per un fine inerente all’attività professionale – Art. 15 – Contratti conclusi dai consumatori – Inapplicabilità – Giurisdizione italiana – Insussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), 20 marzo 2008 n. 7444 .................................................................. 113 Giurisdizione – Successione aperta in Italia – Azione avente ad oggetto principale la petitio haereditatis e lo scioglimento della comunione ereditaria e solo in via incidentale e condizionata l’efficacia e la validità dell’atto transattivo stipulato tra le parti della controversia – Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 – Art. 1 – Inapplicabilità – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 50 – Giurisdizione italiana – Sussistenza – Azione promossa nei confronti dei gestori chiamati al rendiconto, due dei quali domiciliati in Italia e uno nella Confederazione elvetica – Convenzione di Lugano del 1988 – Art. 6 n. 1 – Presenza di un vincolo di connessione tale da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 27 ottobre 2008 n. 25875 ........................................................................................................ 169 Matrimonio – Matrimonio del cittadino all’estero davanti all’autorità locale – Art. 115, secondo comma cod. civ. – Obbligo delle pubblicazioni – D.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 – Art. 110 comma 3 – Abrogazione della suddetta norma – Permanenza dell’obbligo – Esclusione – Legge del luogo di celebrazione – Applicabilità: Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 ottobre 2007 n. 3105 ........................... 177 Procedimento civile – Provvedimenti in materia di decadenza o di reintegrazione della potestà – Provvedimenti di affidamento dei figli – Natura – Volontaria giurisdizione – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Ricorso preventivo di giurisdizione – Inammissibilità: Corte di Cassazione (s.u.), 2 novembre 2007 n. 23030 .................................................................................................................... 104 Procedimento civile – Procura speciale conferita all’estero – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 12 – Legge italiana – Applicabilità – Utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata – Validità formale – Lex loci actus – Applicabilità – Requisiti – Autenticazione successiva – Insufficienza – Procura non sottoscritta davanti al notaio – Nullità: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 febbraio 2008 n. 3410 ................................................................................................. 188 Procedimento civile – Procura speciale conferita all’estero – Art. 83 cod. proc. civ. – Applicabilità – Conferimento con scrittura privata autenticata – Art. 2703 cod. civ. – Apposizione della sottoscrizione alla presenza del notaio e accertamento dell’identità del sottoscrivente da parte dello stesso – Necessità – Contemporaneità della sottoscrizione e dell’autenticazione – Irrilevanza – Sottoscrizione apposta senza la presenza del pubblico ufficiale – Inidoneità dell’atto a conferire la rappresentanza – Ricorso per cassazione – Inammissibilità: Corte di Cassazione, 22 maggio 2008 n. 13228 ...................................................................................... 135 Procedimento penale – Confisca per equivalente – Convenzione e protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale – Legge di esecuzione 16 marzo 2006 n. 146 – Art. 11 – Condizioni – Sequestro preventivo per equivalente – Art. 321 cod. proc. pen. – Medesimi casi e condizioni in cui l’art. 11 della legge n. 146/2006 prevede la confisca per equivalente – Ammissibilità: Corte di Cassazione pen., 8 febbraio 2008 n. 6342 .............................................. 187 Procedimento penale – Misure di prevenzione personali e relativo procedimento di applicazione – Applicazione nei confronti di una persona estradata in Italia per ragioni diverse – Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 – Art. 14 par. 1 – Art. 721 cod. proc. pen. – Estradizione – Principio di specialità – Inapplicabilità alle misure di prevenzione personali – Necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva – Esclusione: Corte di Cassazione pen. (s.u.), 6 marzo 2008 n. 10281 ............................................................................................. 190 Rapporti tra genitori e figli – Provvedimenti in materia di decadenza o di reintegrazione della potestà – Provvedimenti di affidamento dei figli – Impugnazione – Regime processuale: Corte di Cassazione (s.u.), 2 novembre 2007 n. 23030 ..... 104 Regolamento (CE) n. 44/2001 – Controversia di lavoro – Datore di lavoro convenuto – Art. 19 – Criteri – Luogo dove il lavoratore svolge abitualmente la sua attività: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 dicembre 2007 n. 26089 ...................... 108 Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 23 – Clausola di proroga a favore del giudice spagnolo – Requisito della forma scritta – Clausola contenuta in condizioni generali predisposte da una parte richiamate espressamente dal contratto – Unica sottoscrizione dell’intero contratto – Sufficienza – Applicabilità – Art. 15 – Contratti conclusi dai consumatori – Contratto di inserzione pubblicitaria dell’attività professionale esercitata – Contratto stipulato per un fine inerente all’attività professionale – Inapplicabilità: Corte di Cassazione (s.u.), 20 marzo 2008 n. 7444 .......................................................................................................... 113 Regolamento (CE) n. 44/2001 – Notifica o comunicazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio all’estero – Art. 34 n. 2 – Condizione ai fini del riconoscimento del rispetto delle norme processuali sulla notifica a persona giuridica dello Stato in cui si è svolto il procedimento – Rispetto dei diritti essenziali della difesa tra cui quello al contraddittorio – Notifica in base alle norme dello Stato in cui ha avuto luogo il procedimento – Necessità – Notifica effettuata in base alle norme dello Stato in cui ha sede il convenuto – Invalidità: Corte di Cassazione, 23 maggio 2008 n. 13425 ........................................................................................... 137 Regolamento (CE) n. 2201/2003 – Provvedimento italiano di mutamento nell’affidamento del minore – Ordine di rimpatrio in Spagna – Minore rientrato in Spagna – Richiesta di nuovo provvedimento di affidamento – Residenza del minore – Criterio di competenza giurisdizionale: Corte di Cassazione (s.u.), 2 novembre 2007 n. 23030 ........................................................................................................ 104 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 40 – Opposizione alla decisione che respinge l’istanza per la dichiarazione di esecutività – Termine per la proposizione – Termini di cui all’art. 36 della medesima convenzione – Applicabilità: Corte di Cassazione, 2 agosto 2007 n. 17005 ............................................................................................. 175 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 34 – Pronuncia della corte d’appello che dichiara l’esecutività di una decisione straniera – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Necessità della previa opposizione ex art. 36 ss. della convenzione – Sussistenza: Corte di Cassazione, 2 agosto 2007 n. 17006 ....................................................... 175 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 27 n. 2 – Condizioni – Rispetto del termine congruo per preparare la propria difesa – Presunzione di congruità del termine di comparizione in presenza di regolare notifica o comunicazione – Insufficienza – Mancata impugnazione della sentenza nello Stato di origine – Irrilevanza – Verifica in concreto del lasso di tempo avuto per difendersi – Valutazione di fatto rimessa al giudice dello Stato richiesto – Parametri elaborati dalla Corte di giustizia: Corte di Cassazione, 9 maggio 2008 n. 11628 ...................................... 117 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Sentenza resa in uno Stato contraente della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Opposizione al decreto di esecutorietà – Art. 36 – Requisiti per l’esecutorietà – Artt. 27 e 28 della convenzione – Applicabilità – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 64 – Inapplicabilità – Art. 27 n. 3 della convenzione – Contrasto con una decisione resa tra le medesime parti – Nozione di parti – Procedura di esecuzione in Italia – Sua natura – Fase di opposizione – Art. 645 cod. proc. civ. – Applicabilità – Modifica delle domande ed eccezioni originarie – Limiti – Art. 183 cod. proc. civ. – Applicabilità: Corte di Cassazione, 12 maggio 2008 n. 11797 ............................. 127 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Notifica o comunicazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio all’estero – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 34 n. 2 – Rispetto delle norme processuali sulla notifica a persona giuridica dello Stato in cui si è svolto il procedimento – Rispetto dei diritti essenziali della difesa tra cui quello al contraddittorio – Notifica in base alle norme dello Stato in cui ha avuto luogo il procedimento – Necessità – Notifica effettuata in base alle norme dello Stato in cui ha sede il convenuto – Invalidità: Corte di Cassazione, 23 maggio 2008 n. 13425 ........................................................................................... 137 Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Atto notarile rogato in Germania – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Applicabilità – Art. 50 – Previa notifica dell’atto al debitore – Necessità – Esclusione – Art. 36 – Opposizione all’esecuzione – Deduzione di questioni attinenti alla validità dell’atto – Inammissibilità: Corte di Cassazione, 10 luglio 2008 n. 19067 ........................... 149 Sottrazione internazionale di minori – Mancato rientro dei minori – Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 – Art. 16 – Decisione sull’affidamento dei minori stessi – Divieto per le autorità amministrative o giudiziarie dello Stato in cui i minori sono trattenuti – Art. 17 – Mancata conoscenza dell’illecito trattenimento da parte delle autorità amministrative o giudiziarie dello Stato in cui i minori sono trattenuti – Adozione da parte di queste di un provvedimento decisorio sull’affidamento dei minori – Motivo ostativo al rientro dei minori nello Stato di residenza abituale – Esclusione – Residenza abituale – Nozione – Centro dei legami affettivi, non solo parentali, del minore: Corte di Cassazione, 7 luglio 2008 n. 18614 .................................................................................................................. 143 Straniero – Cittadino extracomunitario – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 19 comma 2 – Fondato rischio di persecuzione per motivi sessuali – Divieto di espulsione – Omosessualità – Suo accertamento – Ostentazione di pratiche omosessuali contrarie al pubblico sentimento di pudore – Applicabilità della norma: Corte di Cassazione, 25 luglio 2007 n. 16417 ..................................................................... 173 Straniero – Art. 16 disp. prel. – Condizione di reciprocità – Azione intentata da un cittadino arabo saudita nei confronti di una società italiana – Fatto costitutivo del diritto azionato dallo straniero – Questione di merito – Irrilevanza ai fini della giurisdizione: Corte di Cassazione (s.u.), 29 novembre 2007 n. 24814 ............... 182 Straniero – Riconoscimento dello status di rifugiato politico – Presupposti – Condizione socio-politica e normativa del Paese di provenienza – Ricorso al notorio per fondare la prima – Esclusione – Prova specifica della seconda – Necessità: Corte di Cassazione, 20 dicembre 2007 n. 26822 .......................................................... 183 Straniero – Estradizione per l’estero – Decisione favorevole all’accoglimento della relativa domanda – Dovere per la corte d’appello di disporre la custodia in carcere dell’estradando – Sussistenza – Presupposti – Esclusivo rilievo della richiesta formulata in tal senso dal Ministero della giustizia – Esigenze cautelari ai sensi dell’art. 714 comma 2 cod. proc. pen. – Irrilevanza: Corte di Cassazione, 21 dicembre 2007 n. 47527 .................................................................................. 184 Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 44 – Cittadino extracomunitario – Azione civile contro la discriminazione – Procedimento di natura cautelare – Art. 669-quaterdecies cod. proc. civ. – Norme sul procedimento cautelare di cui al libro IV, titolo I, capo III cod. proc. civ. – Applicabilità in quanto compatibili – Ordinanza non qualificabile come provvedimento definitivo e priva di carattere decisorio – Ricorso ex art. 111 Cost. – Inammissibilità: Corte di Cassazione (s.u.), 7 marzo 2008 n. 6172 ............................................................................................ 196 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 40 – Opposizione alla decisione che respinge l’istanza per la dichiarazione di esecutività – Termine per la proposizione – Termini di cui all’art. 36 della medesima convenzione – Applicabilità: Corte di Cassazione, 2 agosto 2007 n. 17005 .................................................................................................................. 175 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 34 – Pronuncia della corte d’appello che dichiara l’esecutività di una decisione straniera – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Necessità della previa opposizione ex art. 36 ss. della convenzione – Sussistenza: Corte di Cassazione, 2 agosto 2007 n. 17006 ............................................................................... 175 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Ottawa del 28 maggio 1988 sul leasing finanziario internazionale – Contratto di leasing senza elementi di estraneità – Inapplicabilità – Artt. 10 e 12 della convenzione – Problemi di disciplina del leasing puramente interno – Applicabilità a soli fini ermeneutici: Corte di Cassazione, 16 novembre 2007 n. 23794 ............................................... 178 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione tra Italia e Costa d’Avorio del 25 ottobre 1979 – Art. 12 par. 1 – Quote di traffico marittimo riservate – Sua interpretazione – Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati – Artt. 31 e 32 – Scopo della convenzione e contesto della norma: Corte di Cassazione, 28 novembre 2007 n. 24743 ......................................................... 180 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione e protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale – Legge di esecuzione 16 marzo 2006 n. 146 – Art. 11 – Confisca per equivalente – Condizioni – Art. 321 cod. proc. pen. – Sequestro preventivo per equivalente – Medesimi casi e condizioni in cui l’art. 11 della legge n. 146/2006 prevede la confisca per equivalente – Ammissibilità: Corte di Cassazione pen., 8 febbraio 2008 n. 6342 ..... 187 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 – Art. 14 par. 1 – Art. 721 cod. proc. pen. – Estradizione – Principio di specialità – Misure di prevenzione personali e relativo procedimento di applicazione – Inapplicabilità del suddetto principio – Persona estradata in Italia – Applicazione nei suoi confronti di misure di prevenzione personali per ragioni diverse da quelle per cui è stata concessa l’estradizione – Necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva – Esclusione: Corte di Cassazione pen. (s.u.), 6 marzo 2008 n. 10281 ....................................................................... 190 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 27 n. 2 – Riconoscimento di sentenza straniera – Rispetto del termine congruo per preparare la propria difesa – Presunzione di congruità in presenza di regolare notifica o comunicazione – Insufficienza – Mancata impugnazione della sentenza richiesta di riconoscimento – Irrilevanza – Verifica in concreto del lasso di tempo avuto per difendersi – Valutazione di fatto rimessa al giudice dello Stato richiesto – Parametri elaborati dalla Corte di giustizia: Corte di Cassazione, 9 maggio 2008 n. 11628 ........................................................................................ 117 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Sentenza resa in uno Stato contraente – Opposizione al decreto di esecutorietà – Art. 36 – Requisiti per l’esecutorietà – Artt. 27 e 28 della convenzione – Applicabilità – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 64 – Inapplicabilità – Art. 27 n. 3 della convenzione – Contrasto con una decisione resa tra le medesime parti – Nozione di parti – Procedura di esecuzione in Italia – Sua natura – Fase di opposizione – Art. 645 cod. proc. civ. – Applicabilità – Modifica delle domande ed eccezioni originarie – Limiti – Art. 183 cod. proc. civ. – Applicabilità: Corte di Cassazione, 12 maggio 2008 n. 11797 ......................................... 127 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale di minori – Mancato rientro dei minori – Art. 16 – Decisione sull’affidamento dei minori stessi – Divieto per le autorità amministrative o giudiziarie dello Stato in cui i minori sono trattenuti – Art. 17 – Mancata conoscenza dell’illecito trattenimento da parte delle autorità amministrative o giudiziarie dello Stato in cui i minori sono trattenuti – Adozione da parte di queste di un provvedimento decisorio sull’affidamento dei minori – Motivo ostativo al rientro dei minori nello Stato di residenza abituale – Esclusione – Residenza abituale – Nozione – Centro dei legami affettivi, non solo parentali, del minore: Corte di Cassazione, 7 luglio 2008 n. 18614 .................... 143 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 – Art. 50 – Richiesta di esecutività di atti pubblici stranieri – Atto notarile rogato in Germania – Previa notifica dell’atto al debitore – Necessità – Esclusione – Art. 36 – Opposizione all’esecuzione – Deduzione di questioni attinenti alla validità dell’atto – Inammissibilità: Corte di Cassazione, 10 luglio 2008 n. 19067 ...................................................................................................................... 149 Trattati e norme internazionali generali – Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – Rinvio alla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 – Norme italiane sull’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli legittimi – Incidenza della probabile entrata in vigore del trattato: Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 22 settembre 2008 n. 23934 ....................................................................................... 152 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate – Art. 12 – Modifica della pena in senso favorevole al condannato – Casi – Amnistia, grazia, commutazione della pena – Applicabilità della norma a ipotesi non espressamente previste – Interpretazione – Estensione a istituti equivalenti finalizzati alla medesima ratio – Indulto – Applicabilità: Corte di Cassazione pen. (s.u.), 23 settembre 2008 n. 36522 ...................................................................................................................... 158 Trattati e norme internazionale generali – Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 – Art. 1 – Azione avente ad oggetto principale la petitio haereditatis e lo scioglimento della comunione ereditaria relativa ad una successione apertasi in Italia e solo in via incidentale e condizionata l’efficacia e la validità dell’atto transattivo stipulato tra le parti della controversia – Inapplicabilità – Art. 6 n. 1 – Azione promossa nei confronti dei gestori chiamati al rendiconto, due dei quali domiciliati in Italia e uno nella Confederazione elvetica – Presenza di un vincolo di connessione tale da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione – Applicabilità: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 27 ottobre 2008 n. 25875 ...................................................................................................................... 169 GIURISPRUDENZA COMUNITARIA Atti delle istituzioni – Direttiva 2000/31/CE dell’8 giugno 2000 – Commercio elettronico – Direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001 – Diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione – Direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004 – Diritti di proprietà intellettuale – Direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002 – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Corretta trasposizione – Previsione di un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile – Esclusione – Interpretazione conforme delle norme nazionali di trasposizione – Garanzia di un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento comunitario – Esclusione di conflitti con gli altri principi generali del diritto comunitario – Loro obbligatorietà – Sussistenza: Corte di giustizia, 29 gennaio 2008 nella causa C-275/06 ... 227 Diritto al nome – Minore cittadino di un solo Stato membro, al pari dei genitori – Legge applicabile – Norma di conflitto di tale Stato – Criterio della cittadinanza – Cognome del figlio determinato e registrato in un altro Stato membro dove egli è nato e risiede sin dalla nascita – Riconoscimento nel primo Stato membro – Rifiuto – Art. 18 CE – Contrarietà – Sussistenza: Corte di giustizia, 14 ottobre 2008 nella causa C-353/06 .................................................................................... 221 Diritto comunitario – Regolamento (CE) n. 881/2002 del 27 maggio 2002 – Oggetto – Attuazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite – Obiettivo – Contrasto del finanziamento di attività terroristiche – Base giuridica – Artt. 60 e 301 CE – Art. 308 CE – Scopo perseguito dal regolamento – Sua previsione da parte del trattato UE in materia di relazioni esterne – Irrilevanza – Scopo assegnato alla Comunità europea dal trattato CE – Rilevanza – Rispetto dei diritti umani fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario – Condizione di legittimità di tutti gli atti comunitari – Principio costituzionale del trattato CE – Controllo da parte dei giudici comunitari – Obblighi imposti da un accordo internazionale – Prevalenza dei principi costituzionali del trattato CE – Parziale annullamento del regolamento suddetto: Corte di giustizia, 3 settembre 2008 nelle cause riunite C402/05 P e C-415/05 P ......................................................................................... 198 Libera circolazione delle persone – Art. 39 CE – Divieto di discriminazione in base alla cittadinanza – Associazione di diritto privato – Obbligo di rispettare tale divieto – Sussistenza: Corte di giustizia, 17 luglio 2008 nella causa C-94/07 ................. 236 Protezione dei consumatori – Direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999 – Vendita e garanzie dei beni di consumo – Art. 3 – Diritto nazionale – Sostituzione di un bene di consumo che presenta un difetto di conformità – Facoltà del venditore di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso del bene non conforme – Contrarietà alla suddetta norma – Sussistenza: Corte di giustizia, 17 aprile 2008 nella causa C-404/06 ...................................................................................................... 230 Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 22 n. 2 – Validità delle decisioni degli organi di una società – Competenza esclusiva dei giudici dello Stato membro in cui ha sede la società – Decisione di un organo di una società che lede diritti spettanti in base allo statuto della società stessa – Azione di accertamento di tale lesione – Materia di competenza esclusiva – Esclusione: Corte di giustizia, 2 ottobre 2008 nella causa C-372/07 ...................................................................................................... 216 Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi – Carattere non vincolante per la Comunità europea – Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 sul diritto del mare – Diretta applicabilità – Esclusione – Direttiva 2005/35/CE del 7 settembre 2005, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni – Validità – Valutazione alla luce delle convenzioni suddette – Esclusione: Corte di giustizia, 3 giugno 2008 nella causa C-308/06 ...................................................................................................... 232 Trattati e norme internazionali generali – Obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite – Capitolo VII – Risoluzione del Consiglio di sicurezza – Sua attuazione mediante regolamento comunitario – Rispetto dei diritti umani fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario – Condizione di legittimità di tutti gli atti comunitari – Rango di principio costituzionale del trattato CE – Giudici comunitari – Controllo giurisdizionale di legittimità – Prevalenza degli obblighi internazionali – Esclusione – Diritti di difesa – Principio di tutela giurisdizionale effettiva – Diritto di proprietà – Violazione – Illegittimità del suddetto regolamento – Esclusione: Corte di giustizia, 3 settembre 2008 nelle cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P ............................................................... 198 DOCUMENTAZIONE Convenzione tra l’Italia e la Svizzera relativa al servizio militare dei doppi cittadini (Roma, 26 febbraio 2007) ..................................................................................... 238 Modifiche al decreto legislativo di attuazione della direttiva 2003/85/CE relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (d.lgs. 3 ottobre 2008 n. 159) 242 Modifiche al testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero (d.lgs. 3 ottobre 2008 n. 160) .............................................................................................. 247 Nuova versione degli allegati A, B e C del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio relativo alle procedure di insolvenza (Regolamento (CE) n. 788/2008 del 24 luglio 2008) ................................................................................................. 249 Circolare del Ministero dell’interno n. 5659 del 22 maggio 2008 in tema di pubblicazioni di matrimonio da celebrare all’estero ....................................................... 258 NOTIZIARIO La Svizzera apre le frontiere allo spazio Schengen (C. Sanna) .................................. 259 Dalla pratica legislativa, giudiziaria e internazionale. Trattati internazionali entrati in vigore per l’Italia (secondo i comunicati apparsi nella Gazzetta Ufficiale dal settembre 2008 al gennaio 2009) – Stato delle ratifiche e adesioni delle convenzioni dell’Aja in vigore – Sull’entrata in vigore del regolamento Roma I per il Regno Unito – Programmazione aggiuntiva dei flussi d’ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari per il 2008 – Comunità europea e convenzione sugli accordi di scelta del foro – Recepimento in Danimarca delle modifiche introdotte dal regolamento (CE) n. 1393/2007 – Introduzione dell’euro in Slovacchia – Modifiche al regolamento di procedura della Corte di giustizia – Modifiche alla decisione 94/262/CECA, CE, Euratom concernente lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore – In tema di cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia – In tema di cooperazione per la lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera – Modifiche al regolamento (CE) n. 1236/2005 relativo al commercio di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti – Nuovi provvedimenti relativi a misure restrittive nei confronti di Iran, Liberia, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, governo illegale di Anjouan nell’Unione delle Comore e Zimbabwe – Versione codificata delle direttive comunitarie relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro – Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione – Quinta relazione della Commissione sulla cittadinanza dell’Unione (2004-2007) – Comunicazione della Commissione per un’efficace tutela consolare nei Paesi terzi – Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori – Proposta di direttiva sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari – Libro verde della Commissione sulla trasparenza del patrimonio del debitore ai fini dell’esecuzione delle decisioni nell’Unione europea – Modifiche alle norme di conflitto del Regno Unito in materia di illecito .......... 271 Segnalazioni. Diciottesima riunione del Gruppo europeo di diritto internazionale privato (Bergen, 19-21 settembre 2008) – I corsi dell’Accademia di diritto internazionale dell’Aja per il 2009 – X premio di laurea «Giuseppe Barile e Pietro Verri» in diritto internazionale umanitario, diritti dell’uomo e diritto dei rifugiati – Premio annuale SIDI per giovani studiosi italiani ............................................ 286 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA R.A. Brand, P.M. Herrup, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Agreements. Commentary and Documents (F. Pocar) ................................................... 291 G. Palao Moreno, Responsabilidad civil extracontractual en el derecho europeo (R. Clerici) .................................................................................................................... 292 K.-H. Böckstiegel, S.M. Kröll, P. Nacimiento (eds.), Arbitration in Germany. The Model Law in Practice (A. Malatesta) ........................................................... 293 COMITATO SCIENTIFICO Nerina BOSCHIERO, Università di Milano - Gerardo BROGGINI, Università cattolica S. Cuore - Giorgio CONETTI, Università dell’Insubria - Benedetto CONFORTI, Università di Napoli - Claudio d’AGOSTINO, cons. Corte di Appello di Milano - Antonietta DI BLASE, Università di Roma Tre - Bernard DUTOIT, Università di Lausanne - Paolo FOIS, Università di Sassari - Erik JAYME, Università di Heidelberg - Franz MATSCHER, Università di Salzburg Bruno NASCIMBENE, Università di Milano - Laura PICCHIO FORLATI, Università di Padova - Alberto SANTA MARIA, Università di Milano - Tullio SCOVAZZI, Università di Milano Bicocca - Gabriella VENTURINI, Università di Milano - Piero ZICCARDI, em. Università di Milano. REDAZIONE Roberta CLERICI, Redattore capo Stefania BARIATTI Alberto MALATESTA - Marco FRIGESSI di RATTALMA - Costanza HONORATI Maria Caterina BARUFFI - Paolo BERTOLI - Cristina CAMPIGLIO - Luigi FUMAGALLI - Paola IVALDI - Marco PEDRAZZI - Chiara RAGNI Carola RICCI - Lidia SANDRINI - Alberto SARAVALLE - Michele TAMBURINI - Francesca TROMBETTA-PANIGADI - Gaetano VITELLINO Francesca VILLATA, Segretaria di redazione Collaboratore tecnico: Chiara Pozzi La DIREZIONE e la REDAZIONE sono presso l’Istituto di diritto internazionale dell’Università degli Studi di Milano (Via Festa del Perdono 7, 20122 Milano tel. 50312771 - 50312770 - 50312773 - fax 50312772), sotto i cui auspici la rivista è pubblicata. Al prof. Fausto Pocar, a questo indirizzo, vanno inviati dattiloscritti, pubblicazioni in cambio, libri per recensione e corrispondenza. Ai collaboratori verrà inviato un file pdf con il testo dell’estratto. La rivista esce in fascicoli trimestrali. Ogni annata è corredata di indici in italiano e in inglese. Il pagamento potrà essere effettuato tramite incaricati della Casa Editrice sottoscrivendo l’apposita ricevuta intestata a WKI Srl – Cedam oppure con un versamento intestato a WKI Srl – Cedam – Via Jappelli 5/6 – 35121 Padova, utilizzando una delle seguenti modalità: Conto corrente postale 205351; Bonifico Banca Intesa BCI sede di Padova - CIN P - Cod. ABI 03069 - Cod. CAB 12110 - n. c/c 047084250184 - IBAN IT48 P030 6912 1100 4708 4250 184 - BIC BCITITMM530; Carta di credito Visa, Master Card, Carta Sı̀, American Card, American Express, Diners Club, Eurocard specificando il numero e la data di scadenza. Abbonamento 2009 Italia A 138,00 - Estero A 184,00 RIVISTA DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE fondata da MARIO GIULIANO diretta da FAUSTO POCAR (responsabile) TULLIO TREVES Ord. nell’Univ. di Milano Ord. nell’Univ. di Milano SERGIO M. CARBONE ANDREA GIARDINA Ord. nell’Univ. di Genova Ord. nell’Univ. di Roma RICCARDO LUZZATTO FRANCO MOSCONI Ord. nell’Univ. di Milano Ord. nell’Univ. di Pavia Anno XLV - 2009 proprietà letteraria riservata Copyright 2009 Wolters Kluwer Italia Srl Stampato in Italia - Printed in Italy grafiche fiorini - via altichiero, 11 - verona DOTTRINA ZENO CRESPI REGHIZZI ricercatore nell’università degli studi di milano DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNO NELLE CONTROVERSIE SOTTOPOSTE AD ARBITRATO ICSID Sommario: 1. Premessa. – 2. Caratteri delle controversie in materie di investimenti. – 3. Distinzione tra inadempimento contrattuale e illecito internazionale nella teoria generale della responsabilità degli Stati. – 4. Trasposizione della distinzione alle controversie in materia di investimenti: obblighi contrattuali e obblighi derivanti da trattato. – 5. Individuazione dell’ambiente giuridico creato dai trattati sugli investimenti quale sede della situazione giuridica dell’investitore: impossibilità di collocare tale situazione nell’ordinamento internazionale o in un ordinamento statale. – 6. Interpretazione dell’art. 42 della convenzione di Washington. – 7. Diritto internazionale e diritto interno nelle controversie nascenti da inadempimenti contrattuali. – 8. Diritto internazionale e diritto interno nelle controversie nascenti da violazioni dei trattati in materia di investimento. – 9. Diritto internazionale e diritto interno nelle controversie nascenti dalla violazione di umbrella clause. 1. Sin dalle origini della convenzione di Washington del 18 marzo 1965 sulle controversie relative ad investimenti si è posto il problema del ruolo del diritto internazionale tra le norme applicabili al merito della controversia oggetto di arbitrato ICSID. 1 L’incremento del volume di controversie 1 Per alcune analisi sull’argomento cfr. Lauterpacht, The World Bank Convention on the Settlement of International Investment Disputes, in Recueil d’études de droit international en hommage à P. Guggenheim, Genève, 1968, p. 642 ss., a p. 652 ss.; Kahn, The Law Applicable to Foreign Investments: The Contribution of the World Bank Convention on the Settlement of Investment Disputes, in Indiana Law Journ., 1968, p. 1 ss.; Goldman, Le droit applicable selon la Convention de la B.I.R.D. du 18 mars 1965 pour le règlement des différends relatifs aux investissements entre Etats et ressortissants d’autres Etats, in Investissements étrangers et arbitrage entre Etats et personnes privées, La Convention B.I.R.D., Paris, 1969, p. 133 ss.; Broches, The Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of Other States, in Recueil des Cours, t. 136, 1972-II, p. 331 ss., a p. 381 ss.; Feuerle, International Arbitration and Choice of Law under Article 42 of the Convention on the Settlement of Investment Disputes, in Yale Studies in World Public Order, 1977, p. 89 ss.; Giardina, La legge regolatrice dei contratti di investimento nel sistema ICSID, in questa Rivista, 1982, p. 677 ss.; Luzzatto, Illecito internazionale e arbitrato internazionale di diritto privato, in Le droit international à l’heure de sa codification. Etudes en l’honneur de R. Ago, Milano, 1987, III, p. 167 ss.; Shihata, Parra, Applicable Substantive Law in Disputes Bet- 6 dottrina devolute al Centro negli ultimi anni, dovuto in larga misura all’inserzione di apposite clausole nei trattati bilaterali e multilaterali in materia di investimento, 2 ha reso piú attuale l’esigenza di un criterio guida per coordinare il diritto internazionale – ivi comprese le disposizioni dei trattati in materia di investimento – con altri insiemi di valutazioni giuridiche, in primis con il diritto dello Stato che ospita l’investimento. A prima vista la questione della determinazione del diritto applicabile al merito della controversia parrebbe assimilabile a un problema di diritto internazionale privato in considerazione della presenza, in quasi tutti i testi rilevanti, di una disposizione sul diritto applicabile. Una siffatta disposizione è anzitutto ravvisabile nell’art. 42 della convenzione di Washington secondo cui gli arbitri devono applicare le regole di diritto convenute tra le parti e, in assenza di accordo, il diritto dello Stato parte alla controversia (ivi compreso il suo diritto internazionale privato) e le norme di diritto internazionale vigenti in materia. Disposizioni sul diritto applicabile sono inoltre frequentemente inserite nei trattati in materia di investimento 3 e nei contratti tra l’investitore e lo Stato ospite avente ad oggetto la concreta operazione di investimento. In questo modo si potrebbe ritenere che il coordinamento del diritto internazionale con le varie leggi nazionali in rilievo venga affidato a una «norma di conflitto», da interpretare e applicare secondo i criteri del diritto internazionale privato. Una siffatta ricostruzione non pare peraltro adeguata a dare conto della maggiore complessità del problema della determinazione del diritto appli- ween States and Private Foreign Parties: The Case of Arbitration under the ICSID Convention, in ICSID Review – Foreign Investment Law Journal (d’ora innanzi ICSID Rev.), 1994, p. 183 ss.; Shihata, Applicable Law in International Arbitration: Specific Aspects in Case of the Involvement of State Parties, in Shihata, Wolfensohn (eds.), The World Bank in a Changing World. Selected Essays and Lectures, II, Leiden, 1995, p. 601 ss.; Schreuer, International and Domestic Law in Investment Disputes. The Case of ICSID, in Austrian Rev. Int. Eur. Law, 1996, p. 89 ss.; Id., The ICSID Convention: A Commentary, Cambridge, 2001, p. 549 ss.; Douglas, The Hybrid Foundations of Investment Treaty Arbitration, in British Year Book Int. Law, 2003, p. 151 ss., a p. 194 ss.; Shany, Contract Claims vs. Treaty Claims: Mapping Conflicts Between ICSID Decisions on Multisourced Investment Claims, in Am. Journ. Int. Law, 2005, p. 835 ss.; McLachlan, Investment Treaties and General International Law, in Int. Comp. Law Quarterly, 2008, p. 361 ss. 2 L’espressione arbitrato «treaty-based» designa appunto gli arbitrati in materia di investimenti nei quali la competenza del Centro si fonda su un’apposita clausola di risoluzione delle controversie contenuta in un trattato internazionale in materia di promozione e protezione degli investimenti. In essi la clausola del trattato esprime sul piano internazionale il consenso dello Stato interessato ad essere citato dinanzi ad un tribunale arbitrale ICSID (per lo piú in alternativa ad altri strumenti giudiziari o arbitrali), mentre il consenso dell’investitore privato si ritiene implicito nella proposizione dell’atto introduttivo del giudizio: cfr. Sacerdoti, Bilateral treaties and multilateral instruments on investment protection, in Recueil des Cours, t. 269, 1997, p. 251 ss.; De Luca, L’arbitrato internazionale treaty-based sugli investimenti esteri, in Comunicazioni e studi, XXIII, Milano, 2007, p. 977 ss. 3 Per alcuni esempi di tali clausole cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 194 ss. zeno crespi reghizzi 7 cabile alle controversie relative ad investimenti rispetto alle controversie aventi ad oggetto pretese nascenti da un rapporto commerciale tra due soggetti privati. Inoltre, come si vedrà, sul piano della teoria generale l’applicazione del diritto internazionale pubblico alle controversie in materia di investimenti non può essere considerato l’effetto di una norma di conflitto – quale sarebbero in ipotesi le norme sopra citate, e segnatamente l’art. 42 della convenzione di Washington – poiché difetta un presupposto fondamentale per il suo funzionamento come norma di diritto internazionale privato, ossia la natura privatistica delle situazioni giuridiche (e delle correlative valutazioni) in relazione alle quali il richiamo viene effettuato. Con il presente studio ci si propone di ricercare il fondamento dell’applicazione del diritto internazionale pubblico e del diritto interno nelle controversie in materia di investimenti e il coordinamento tra questi due sistemi normativi. L’indagine richiede una considerazione preliminare dei caratteri delle controversie, che – a causa delle peculiarità dell’arbitrato in materia di investimenti – presentano carattere «ibrido», avendo ad oggetto relazioni giuridiche in parte private, in parte nascenti sul piano interstatale. L’esistenza, alla base di queste controversie, di relazioni contrattuali tra Stato e privato straniero, da un lato, e relazioni nascenti dalla violazione di norme internazionali, dall’altro, suggerisce un confronto con la questione relativa alla possibilità che un inadempimento dello Stato verso un privato straniero configuri al contempo un illecito internazionale verso lo Stato nazionale di quest’ultimo. Sulla base di tale confronto si ricercherà una definizione teorica della posizione giuridica fatta valere dal privato nei confronti dello Stato e, quindi, la corretta interpretazione dell’art. 42 della convenzione di Washington nel coordinamento tra diritto internazionale e diritto interno. Sarà quindi possibile esaminare come debbano rapportarsi in concreto i due sistemi normativi con riferimento ai tre tipi di controversie che ricorrono con maggiore frequenza negli arbitrati in materia di investimenti: quelle nascenti da un inadempimento contrattuale dello Stato, dalla violazione di standard internazionali di trattamento degli investimenti stranieri e dalla violazione delle c.d. umbrella clause contenute nei trattati. 2. La natura delle controversie in materia di investimenti è fortemente influenzata dalla maggiore o minore ampiezza del consenso delle parti all’arbitrato cui esse sono sottoposte. Secondo la giurisprudenza dell’ICSID, il consenso a sottoporre alla giurisdizione del Centro la controversia, richiesto dall’art. 25 della convenzione di Washington, può manifestarsi in forme diverse. È possibile che lo Stato e l’investitore inseriscano nel contratto che disciplina la specifica operazione di investimento una clausola compromissoria che attribuisce competenza al Centro in relazione ad ogni controversia avente ad oggetto la validità, l’interpretazione o l’esecuzione del contratto medesimo. È pure possibile, sebbene accada piú raramente, che lo Stato e 8 dottrina l’investitore pattuiscano un compromesso successivamente all’insorgere della lite, accordandosi cosı́ per sottoporla al Centro. Il consenso dello Stato all’arbitrato ICSID può poi essere contenuto in una legge del medesimo Stato in materia di arbitrato, a fronte della quale è sufficiente un atto dell’investitore che accetti la proposta contenuta nella legge dello Stato. Tuttavia l’ipotesi che si verifica piú frequentemente, e che ha maggiormente contribuito all’incremento dell’attività del Centro, è quella in cui la sua competenza sia preventivamente accettata dagli Stati parte ad un trattato bilaterale o multilaterale in materia di investimenti, in relazione ad ogni futura controversia con investitori stranieri avente ad oggetto l’esecuzione degli obblighi sanciti dal trattato stesso. 4 L’individuazione del fondamento giuridico della competenza del Centro rileva, oltre che sul piano processuale, anche per l’individuazione delle situazioni giuridiche e delle pretese devolute alla cognizione degli arbitri, introducendo significative differenze tra le varie ipotesi. In primo luogo la controversia devoluta all’ICSID può avere ad oggetto la validità, l’interpretazione e l’esecuzione di un contratto concluso tra l’investitore e lo Stato ospite. Ciò accade laddove la clausola compromissoria o il compromesso siano stati stipulati direttamente tra Stato ospite e investitore straniero in relazione alla specifica operazione di investimento disciplinata dal contratto contenente la clausola stessa. In mancanza, la sottoposizione agli arbitri di controversie relative al contratto è possibile, sempre che il contratto non disponga in senso contrario – ad esempio fissando la competenza esclusiva dei tribunali dello Stato parte – qualora tra quest’ultimo e lo Stato nazionale dell’investitore sia in vigore un trattato in materia di investimenti contenente una clausola arbitrale formulata in senso ampio, tale da consentire all’investitore di sottoporre ad arbitrato anche le controversie nascenti da inadempimenti contrattuali. 5 Ove invece il trattato contenga una clausola arbitrale formulata restrittivamente, limitata alle controversie relative a violazioni degli standard di trattamento posti dal trattato, 6 gli arbitri aditi in forza di tale clausola non potranno conoscere di controversie aventi ad oggetto il contratto (c.d. contract claims), ma potranno esclusivamente conoscere delle pretese fondate su asserite violazioni degli obblighi previsti dal trattato stesso (c.d. 4 In tal caso il consenso dell’investitore all’arbitrato si ritiene implicito nell’atto introduttivo del procedimento arbitrale: cfr. Schreuer, The ICSID Convention cit., p. 218 ss. 5 Tali clausole sono solitamente formulate nel senso di consentire all’investitore di sottoporre ad arbitrato «qualsiasi controversia relativa ad investimenti». Per alcuni esempi v. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 238. In senso lievemente piú restrittivo cfr. la clausola contenuta nell’art. 24 del modello di BIT 2004 per gli Stati Uniti, secondo cui l’arbitrato può essere promosso ogniqualvolta lo Stato parte abbia violato obblighi nascenti dal trattato, una «investment authorisation» o un «investment agreement». 6 Cfr. ad es. gli artt. 1116 e 1117 del trattato NAFTA e l’art. 26(1) del trattato per la Carta dell’energia. zeno crespi reghizzi 9 treaty claims). 7 Secondo la giurisprudenza ICISD la competenza del Centro a conoscere delle controversie di questa seconda categoria non è preclusa dalla presenza, nel contratto tra l’investitore e lo Stato ospite, di una clausola di competenza esclusiva a favore dei giudici dello Stato medesimo. 8 Dall’orientamento della giurisprudenza dei tribunali ICSID si delinea dunque un quadro che può essere cosı́ sintetizzato. Ogni operazione di investimento si realizza attraverso un contratto 7 Tali sono, ad es., il divieto di espropriazione senza equo indennizzo, il divieto di discriminazione, l’obbligo di trattamento giusto ed equo, l’obbligo di garantire un equo processo. Per un illustrazione di tali obblighi cfr. Mauro, Gli accordi bilaterali sulla promozione e la protezione degli investimenti, Torino, 2003, p. 145 ss.; Valenti, Il trattamento «conforme al diritto internazionale» degli investimenti stranieri nelle convenzioni internazionali, in Dir. comm. int., 2004, p. 973 ss. Per un’analisi dei rispettivi ruoli del diritto internazionale generale e dei BIT nella definizione degli standard di trattamento cfr. McLachlan, Investment Treaties cit., p. 374 ss. 8 La prima netta affermazione della distinzione tra treaty claims e contract claims viene ravvisata nella decisione del comitato ad hoc nel caso Vivendi (Compania de Aguas Del Aconquija S.A. and Vivendi Universal S.A. v. Argentine Republic), 3 luglio 2002 (in ICSID Rep., 2004, p. 340; ICSID Rev., 2004, p. 89; Int. Law Rep., 2004, p. 58; Int. Legal Materials, 2002, p. 1135; trad. francese per estratti in Clunet, 2003, p. 195), con cui è stata annullata per eccesso di potere la decisione del tribunale arbitrale (in data 21 novembre 2000, in ICSID Rev., 2001, p. 641; Int. Law Rep., 2004, p. 1; Int. Legal Materials, 2001, p. 426) che si era ritenuto incompetente a conoscere di un inadempimento del BIT dedotto in giudizio dall’investitore, proprio a motivo della stretta connessione tra i treaty claims e i contractual claims e della competenza del giudice interno rispetto a questi ultimi prevista da una clausola di scelta del foro contenuta nel contratto. Già prima del caso Vivendi si possono citare decisioni in tal senso, nelle quali tuttavia la distinzione tra le due categorie di controversie non costituiva l’unica ragione per affermare la competenza del Centro: cfr. i casi Lanco International Ltd. v. Argentine Republic (decisione sulla competenza), 8 dicembre 1998, in Int. Legal Materials, 2001, p. 457 ss.; e Salini Costruttori S.p.A. et Italstrade S.p.A. c. Royaume du Maroc (decisione sulla competenza), 23 luglio 2001, in Clunet, 2002, p. 196 ss.; trad. inglese in Int. Legal Materials, 2003, p. 609 ss.; ICSID Rep., 2004, p. 400. In numerose pronunce successive gli arbitri sono stati chiamati a precisare la distinzione, sempre al fine di delimitare il proprio potere di decidere su azioni fondate sulla violazione delle clausole di rispetto degli impegni contenute nei trattati bilaterali (umbrella clause), nelle quali è piú difficile distinguere con chiarezza tra contract claims e treaty claims. Tra le numerose pronunce, cfr. SGS Société Générale de Surveillance S.A. v. Islamic Republic of Pakistan (decisione sulla competenza), 6 agosto 2003, in ICSID Rep., 2005, p. 406 ss.; in ICSID Rev., 2003, p. 301; Int. Legal Materials, 2003, p. 1290; trad. francese per estratti in Clunet, 2004, p. 257; SGS Société Générale de Surveillance v. Republic of Philippines (decisione sulla competenza), 29 gennaio 2004, in ICSID Rep., 2005, p. 518; CMS Gas Transmission Company c. Argentina (decisione sulla competenza), 17 luglio 2003, in ICSID Rep., 2003, p. 492; Int. Legal Materials, 2003, p. 788 ss.; trad. francese per estratti in Clunet, 2004, p. 236; Azurix Corp. v. Argentine Republic (decisione sulla competenza), 8 dicembre 2003, in Int. Legal Materials, 2004, p. 262; trad. francese per estratti in Clunet, 2004, p. 275 ss.; Joy Mining Machinery Ltd. c. Arab Republic of Egypt, 6 agosto 2004, in ICSID Rev., 2004, p. 486; trad. francese per estratti in Clunet, 2005, p. 163 ss.; Salini Costruttori S.p.A. e Italstrade S.p.A. v. Hashemite Kingdom of Jordan (decisione sulla competenza), 29 novembre 2004, in ICSID Rev., p. 148; Int. Legal Materials, 2005, p. 569; trad. francese per estratti in Clunet, 2005, p. 182 ss. 10 dottrina concluso tra Stato ospite ed investitore straniero. Se questo contratto contiene una clausola di giurisdizione esclusiva a favore dei giudici dello Stato ospite, le controversie relative alla sua esecuzione rientrano nella competenza esclusiva di tali giudici. Se invece il contratto contiene una clausola compromissoria per arbitrato ICSID, le stesse controversie potranno essere devolute ad arbitrato ICSID. Spesso peraltro la stessa operazione di investimento, che come si è detto si realizza attraverso un contratto concluso tra Stato ospite e investitore straniero, è altresı́ contemplata dalle disposizioni di un trattato internazionale (bilaterale o multilaterale) in vigore tra lo Stato ospite e lo Stato nazionale dell’investitore. Tale trattato stabilisce, per le controversie nascenti dalla violazione delle norme in esso contenute, la competenza di vari tribunali arbitrali, tra cui i tribunali ICSID. Se lo Stato ospite non esegue correttamente il contratto, l’investitore potrà ricorrere al mezzo di risoluzione delle controversie (arbitrato o azione giudiziale) previsto dal contratto stesso, nel qual caso i giudici nazionali o gli arbitri avranno competenza per accertare se la condotta dello Stato configuri un inadempimento contrattuale e assumere ogni provvedimento conseguente. Nella stessa situazione l’investitore può anche avviare il procedimento arbitrale previsto dal trattato in materia di investimenti, nel qual caso gli arbitri designati (in ipotesi, nell’ambito dell’ICSID) avranno competenza per accertare esclusivamente se la condotta dello Stato ospite integri gli estremi di una violazione del trattato stesso e non anche se la stessa condotta integri gli estremi di un inadempimento contrattuale. Vi è infine l’ipotesi in cui, se il trattato e il contratto lo consentono, gli arbitri ICSID potranno conoscere sia delle controversie contrattuali, sia delle controversie nascenti dalla violazione del contratto. Ne consegue che la stessa vicenda può dar luogo a giudizi arbitrali ICSID relativi a situazioni giuridiche aventi origine ora nel diritto interno, ora nel diritto internazionale. Questa peculiarità si riflette sul problema della determinazione del diritto applicabile al merito della controversia, evidenziando l’esigenza di coordinare i due insiemi di valutazioni giuridiche – il diritto interno e il diritto internazionale – che vengono in considerazione. La ricerca di un siffatto criterio di coordinamento costituisce dunque la guida per una corretta interpretazione dell’art. 42 della convenzione di Washington. 3. La possibilità che, nei giudizi arbitrali ICSID, una stessa vicenda possa essere sottoposta ad insiemi diversi di valutazioni giuridiche – segnatamente al diritto interno e al diritto internazionale – suggerisce, al fine di ricercare un utile criterio di coordinamento tra i due sistemi, un confronto con una questione analoga da tempo studiata dalla dottrina internazionalistica: ossia la questione di stabilire se l’inadempimento da parte di uno Stato di un contratto concluso con un privato straniero sia altresı́ fonte di responsabilità internazionale dello Stato medesimo nei confronti dello zeno crespi reghizzi 11 Stato nazionale di quest’ultimo. Si tratta, come è noto, di un problema classico nello studio delle regole internazionali sul trattamento degli stranieri e sulla responsabilità degli Stati, che presenta alcuni elementi in comune con il tema oggetto della presente analisi. In entrambi i casi occorre accertare se – e a quali condizioni – una stessa relazione contrattuale tra Stato e privato straniero possa essere valutata, oltre che dalla lex contractus, anche da norme dell’ordinamento internazionale. Secondo l’opinione maggiormente condivisa in dottrina, l’inadempimento da parte di uno Stato di un contratto concluso con uno straniero non configura in sé un illecito internazionale, essendo la responsabilità dello Stato limitata al piano del diritto interno. 9 L’opinione contraria, secondo cui un inadempimento contrattuale sarebbe in sé fonte di responsabilità dello Stato sul piano internazionale, è stata talvolta sostenuta, ma non trova riscontro nella prassi internazionale e nella giurisprudenza. Invero, mentre non constano decisioni giurisprudenziali che abbiano affermato la responsabilità internazionale dello Stato per inadempimento contrattuale, le rare prese di posizione degli Stati in tal senso sono poco significative ai fini della prova dell’opinio iuris, essendo state espresse in sede contenziosa al fine di rafforzare la tesi giuridica di volta in volta sostenuta. Si veda anzitutto l’argomento svolto dalla Svizzera nell’azione promossa nel caso Losinger & Co. dinanzi alla Corte permanente di giustizia internazionale per far valere la responsabilità del Regno di Iugoslavia in conseguenza dell’inadempimento di un contratto con la società svizzera Losinger. Il rappresentante del governo elevetico sosteneva che il principio pacta sunt servanda vigente in diritto internazionale dovesse operare anche rispetto a un contratto concluso con un privato straniero, poiché diversamente si sarebbe consentito al medesimo Stato di liberarsi dei propri obblighi attraverso l’emanazione di leggi speciali. 10 Peraltro l’azione del governo svizzero non era fondata unicamente su tale argomento, ma poggiava al contempo su ulteriori pretese violazioni di norme internazionali da parte della Iugoslavia, tra cui l’emanazione – successiva alla conclusione del contratto con la società Losinger – di una legge che privava di effetto le clausole compromissorie pattuite dallo Stato, prevedendo la competenza esclusiva 9 Cfr. Hyde, International Law, I, Boston, 1922, p. 544 ss. (con riferimento alla prassi degli Stati Uniti); Eagleton, The Responsability of States in International Law, New York, 1928 (rist. 1970), p. 164; Fitzmaurice, Hersch Lauterpacht. The Scholar as Judge, I, British Year Book Int. Law, 1961, p. 1 ss., a pp. 64-65; Jennings, State Contracts in International Law, ivi, p. 156 ss.; Amerasinghe, State Breaches of Contracts with Aliens and International Law, in Am. Journ. Int. Law, 1964, p. 881 ss.; Schwebel, On Whether the Breach by a State of a Contract with an Alien in a Breach of International Law, in Le droit international à l’heure de sa codification cit., III, p. 401 ss.; Bronwlie, Principles of Public International Law, 7th ed., Oxford, 2008, p. 546 ss. 10 Cfr. l’atto introduttivo del giudizio in data 23 novembre 1935, in P.C.I.J Publications, ser. C, n. 78, p. 7 ss., a p. 32 ss. 12 dottrina dei giudici nazionali. In seguito il giudizio fu abbandonato per intervenuta transazione tra la Svizzera e la Iugoslavia. 11 Sempre tra le manifestazioni della prassi degli Stati da cui trarre la prova dell’esistenza di una norma internazionale equiparante l’inadempimento contrattuale all’illecito internazionale viene citata la tesi del governo belga nel caso della Electricity Company of Sofia and Bulgaria, secondo cui la Bulgaria, adottando misure fiscali che penalizzavano unicamente la società belga concessionaria, avrebbe commesso un inadempimento contrattuale e un illecito internazionale. 12 Va poi ricordata la tesi sostenuta dalla Grecia nei confronti del Regno Unito nel caso Ambatielos, in seguito sottoposto a giudizio della Corte internazionale di giustizia. All’origine della controversia vi era un contratto d’acquisto di nove battelli a vapore tra l’armatore greco Ambatielos e il governo britannico. Non essendo le navi state consegnate nei termini stabiliti, l’armatore aveva avviato un giudizio nei confronti del governo britannico dinanzi ai giudici inglesi, giudizio nel quale risultò soccombente. In seguito il governo greco agı́ in via diplomatica chiedendo al governo britannico il ristoro del danno subito dal proprio suddito a causa di una asserita violazione del diritto internazionale da parte del Regno Unito. Nella nota inviata dalla legazione greca a Londra al Foreign Office britannico il 3 agosto 1933 il rappresentante del governo greco sosteneva che, essendo il contratto tra il governo britannico e l’armatore un contratto tra uno Stato e uno straniero, in base al diritto internazionale lo Stato sarebbe incorso in responsabilità diretta per inadempimento contrattuale, in relazione alla quale il governo nazionale dello straniero offeso sarebbe stato legittimato a chiedere il ristoro del pregiudizio. 13 A questa presa di posizione replicava il Foreign Office britannico con una nota datata 28 dicembre 1933, respingendo la tesi sostenuta dal governo greco. In particolare, secondo il Foreign Office, il fatto che il contratto fosse stato concluso tra il governo britannico e un privato di nazionalità greca non legittimava il governo greco ad agire per conto del proprio suddito sulla base di un inadempimento contrattuale. Osservava infatti che, poiché la questione di stabilire se vi fosse stato un siffatto inadempimento era stata definitivamente risolta da un tribunale inglese, cui le parti avevano convenuto di rivolgersi in caso di controversie, l’unica ipotesi in cui il governo greco 11 Dell’intervenuto accordo dà atto un’ordinanza della Corte, 14 dicembre 1936, in P.C.I.J Publications, ser. A/B, n. 69, p. 99 ss. 12 Cfr. l’atto introduttivo del giudizio datato 25 gennaio 1938, The Electricity Company of Sofia and Bulgaria (Belgium v. Bulgaria), in P.C.I.J Publications, ser. C, n. 88, p. 7 ss. 13 Nel giudizio successivamente avviato dinanzi alla Corte internazionale di giustizia dalla Grecia, il documento è stato prodotto come allegato n. R3 alla memoria del governo greco del 30 agosto 1951, in I.C.J. Pleadings, Ambatelios Case (Greece v. United Kingdom), p. 71. Nello stesso senso si veda inoltre la nota inviata dalla legazione greca a Londra al Foreign Office in data 2 gennaio 1936, prodotta come allegato n. R5 alla citata memoria (ivi, p. 84). zeno crespi reghizzi 13 avrebbe potuto agire in via di protezione diplomatica nei confronti del governo britannico era quella in cui la decisione dei giudici inglesi costituisse un diniego di giustizia. 14 Nel giudizio successivamente promosso dalla Grecia la Corte internazionale di giustizia si dichiarò priva di giurisdizione rispetto al merito della controversia, ma accertò l’obbligo del Regno Unito di sottoporre la controversia medesima ad arbitrato. 15 Nel procedimento arbitrale che seguı́ il governo britannico mantenne la propria posizione secondo cui, fintantoché lo Stato garantisce la possibilità di ricorsi davanti ai propri tribunali, un suo inadempimento contrattuale può costituire fonte di responsabilità internazionale soltanto laddove l’inadempimento dello Stato contenga elementi di manifesta arbitrarietà o illiceità. 16 Nel caso dei prestiti norvegesi, pure sottoposto alla Corte internazionale di giustizia, la Francia agiva nei confronti della Norvegia deducendo il mancato rispetto, da parte di quest’ultima, della clausola oro prevista in vari contratti di emissione di debito pubblico. Per sostenere che tale inadempimento contrattuale (nei confronti dei sottoscrittori francesi) costituisse al contempo un illecito internazionale nei confronti della Francia, il rappresentante del governo francese argomentava che, qualora uno Stato abbia concluso con un privato straniero un contratto, non può spogliarsene, direttamente o indirettamente, senza impegnare la propria responsabilità nei confronti dello Stato nazionale dello straniero stesso. 17 La Norvegia naturalmente si oppose a questo argomento. 18 La Corte non ebbe a pronunciarsi sul merito della controversia, poiché accolse l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Norvegia, fondata sulla riserva contenuta nella clausola facoltativa di giurisdizione obbligatoria della Francia. 19 Merita comunque di essere segnalata l’opinione separata del giudice Lauterpacht, il quale esaminò tra l’altro, contestandolo, l’argomento della Norvegia secondo cui la controversia non sarebbe stata ricompresa tra quelle di cui all’art. 36 par. 2 dello Statuto della Corte, sollevando esclusivamente questioni di diritto interno norvegese. 20 Egli al contrario osservò che pro- 14 La nota del Foreign Office è stata prodotta come allegato n. S3 alla memoria del governo greco citata alla nota precedente (ivi, pp. 106-107). 15 Si vedano le sentenze rese dalla Corte, rispettivamente, il 1º luglio 1952 e il 19 maggio 1953: Ambatielos Case (jurisdiction), Judgment of July 1st, 1952, in I.C.J. Reports, 1952, p. 28; Ambatielos Case (merits: obligation to arbitrate), Judgment of May 19th, 1953, in I.C.J. Reports, 1953, p. 10. 16 Tra i difensori del governo britannico vi era il prof. Fitzmaurice, da cui proviene la citazione del brano della memoria, essendo inediti – a quanto consta – gli atti dell’arbitrato: Fitzmaurice, Hersch Lauterpacht cit., pp. 64-65. 17 Cfr. I.C.J. Pleadings, Case of Certain Norwegian Loans Case (France v. Norway), II, pp. 61 ss. e 181 ss.; I, pp. 34 ss. e 401 ss. 18 Cfr. I.C.J. Pleadings cit., I, p. 485 ss.; II, p. 134 ss. 19 Sentenza 6 luglio 1957, in I.C.J. Reports, 1957, p. 9 ss. 20 Ivi, p. 34 ss., a p. 36 ss. 14 dottrina prio il modo d’essere del diritto interno applicabile al contratto può essere oggetto di valutazione da parte di una norma internazionale. Peraltro tali rilievi non influirono sulla decisione concreta del giudice Lauterpacht, dal momento che egli ritenne comunque fondata l’eccezione della Norvegia basata sul mancato esaurimento dei ricorsi interni. Una posizione simile a quella degli altri Stati nei casi appena ricordati è stata tenuta dal Regno Unito nel caso della Anglo-Iranian Oil Company, sempre dinanzi alla Corte internazionale di giustizia, nella controversia insorta con l’Iran a seguito della nazionalizzazione nel 1951 dell’industria petrolifera iraniana. 21 La Corte si dichiarò priva di giurisdizione proprio sulla base del rilievo per cui il contratto del 29 aprile 1933 tra il governo persiano e la società «non era nulla di piú che un contratto di concessione tra un governo e una società straniera», cosı́ implicitamente respingendo la tesi della sua rilevanza internazionale. 22 In tutte le vicende citate la posizione degli Stati che pretendevano di far discendere dall’inadempimento dell’altro Stato una responsabilità internazionale nei loro confronti risulta troppo strettamente connessa all’argomentazione svolta in giudizio per costituire la prova dell’esistenza di una norma internazionale generale. Al contrario è significativo il fatto che in nessun caso la Corte abbia effettivamente accertato la responsabilità internazionale dello Stato inadempiente. Il semplice inadempimento da parte di uno Stato di un contratto concluso con un privato straniero non è dunque sufficiente a far sorgere la responsabilità internazionale di quest’ultimo. Perché essa sorga è richiesto che l’inadempimento contrattuale si realizzi attraverso una condotta che costituisce essa stessa violazione di una norma internazionale sul trattamento degli stranieri. Ciò accade, ad esempio, quando l’inadempimento contrattuale viene compiuto dallo Stato attraverso una legge ad hoc, una condotta arbitraria o discriminatoria, una confisca, o in caso di diniego di giustizia da parte dei suoi giudici. 23 Piú in generale è stato sostenuto che la condotta dello Stato costituisca un illecito internazionale quando lo Stato agisce secondo un criterio «non commerciale», ossia usa la propria autorità sovrana per abrogare o violare il contratto concluso con lo straniero, cosı́ disattendendo le aspettative di quest’ultimo. 24 Al di fuori di questa ipotesi 21 Cfr. I.C.J. Pleadings, Anglo-Iranian Oil Co. Case (United Kingdom v. Iran), p. 84 ss. La sentenza è del 22 luglio 1952: in I.C.J. Reports, 1952, p. 93. 23 Cfr. Fitzmaurice, Hersch Lauterpacht cit., pp. 64-65; Amerasinghe, State Breaches of Contracts cit., p. 906 ss.; Schwebel, On Whether the Breach cit., p. 403 ss. 24 Cfr. Schwebel, On Whether the Breach cit., p. 408 ss. Il criterio fondato sul carattere «non commerciale» della condotta dello Stato trova riscontro nella sect. 712 del Restatement of the Foreign Relations Law of the United States, adottato nel 1986, il cui commento precisa che «a state is responsible under international law for such a repudiation or breach only if it is discriminatory... or if it is akin to an expropriation in that the contract is repudiated or breached for governmental rather than commercial reasons and the state is not prepared to pay 22 zeno crespi reghizzi 15 la materia resta governata dal principio generale secondo cui l’inadempimento dello Stato produce conseguenze soltanto nel sistema da cui provengono le valutazioni giuridiche che regolano il contratto, sistema che appunto non può mai essere il diritto internazionale. La giurisprudenza internazionale offre importanti conferme della corrispondenza di tale principio allo stato del diritto consuetudinario. Va in primo luogo ricordata l’affermazione della Corte permanente di giustizia internazionale nella sentenza del 12 luglio 1929 nel caso dei prestiti serbi e brasiliani: «tout contrat qui n’est pas un contrat entre des Etats en tant que sujets de droit international a son fondement dans une loi nationale. La question de savoir quelle est cette loi fait l’objet de la partie du droit qu’aujourd’hui on désigne le plus souvent sous le nom de droit international privé ou de théorie du conflit des lois». 25 Lo stesso principio è stato poi ribadito dalla Corte internazionale di giustizia nel sopra citato caso della Anglo-Iranian Oil Company del 1952, in cui venne negata la natura di accordo internazionale dell’accordo del 1933 fra la Anglo-Iranian Oil Company e lo Stato persiano. 26 Successivamente il principio è stato riaffermato nelle decisioni rese dagli arbitri ad hoc nei casi Aramco 27 e Liamco, 28 per respingere la tesi secondo cui i contratti tra gli Stati e le società straniere avrebbero dovuto essere sottoposte al diritto internazionale. 4. Sul piano della teoria generale la distinzione di piani evidenziata in precedenza riflette l’appartenenza delle valutazioni giuridiche all’uno o all’altro dei sistemi in cui si suddivide la regolamentazione della comunità universale del genere umano. Poiché, nell’attuale momento storico, il governo della Comunità è suddiviso in tanti centri politici (Stati) e tra questi centri intercorrono relazioni (regolate appunto dal diritto internazionale), è necessario di volta in volta stabilire se l’atto dello Stato interessi o meno i rapporti tra i predetti centri politici. Se non interessa tali rapporti – piú esattamente, se non rileva per le valutazioni che li disciplinano – esso è damages» (corsivo aggiunto). Per un’illustrazione della giurisprudenza arbitrale conforme a questo indirizzo interpretativo cfr. Schwebel, op. loc. cit. 25 Cfr. P.C.I.J. Publications, ser. A, No. 20-21, p. 41. 26 Cfr. supra, nota 21. 27 Arabian American Oil Company (Aramco) v. Saudi Arabia (23 agosto 1958), in Int. Law Rep., 27, 1963, p. 117 ss., e in Revue critique, 1963, p. 272 ss. Cfr. a p. 313 ss.: «La Convention de 1933 n’ayant pas été conclue entre deux Etats, mais entre un Etat et une compagnie privée américaine, elle ne relève pas du droit international public». Il diritto applicabile fu scelto sulla base dei «principes de droit international privé». 28 Libyan American Oil Company (Liamco) c. Libyan Arabian Republic (12 aprile 1977), in Int. Law Rep., 1980, p. 140 ss.; Int. Legal Materials, 1981, p. 1 ss.; Rev. arb., 1980, p. 132 ss. L’arbitro unico Mahmassani affermò che il contratto era regolato dalla legge dello Stato ospite, tranne che questa fosse in contrasto con il diritto internazionale. 16 dottrina allora regolato dalle norme sui rapporti tra privati, ossia norme statali eventualmente integrate dai correttivi consentiti dai caratteri dell’arbitrato cui venga devoluta la controversia. Dalla distinzione tra le situazioni in cui la condotta dello Stato costituisce un mero inadempimento contrattuale e quelle in cui essa costituisce anche un illecito internazionale discendono diverse conseguenze pratiche. Anzitutto muta nelle due ipotesi il soggetto legittimato ad agire nei confronti dello Stato inadempiente: se si tratta di inadempimento contrattuale, legittimato è il privato con cui lo Stato ha concluso il contratto; se invece vi sono gli estremi di un illecito internazionale, lo Stato nazionale di questi potrà agire nei confronti dell’altro Stato in via di protezione diplomatica. In secondo luogo varia lo strumento di risoluzione delle controversie attraverso il quale l’illegittimità della condotta statale può essere fatta valere. Se questa si configura come inadempimento contrattuale, il privato straniero potrà agire in giudizio dinanzi ai giudici dello Stato inadempiente (o piú raramente dinanzi ai giudici di uno Stato terzo) o, in presenza di una clausola compromissoria o di un compromesso, in sede arbitrale. Se invece essa costituisce un illecito internazionale, la controversia insorta tra i due Stati dovrà essere composta secondo i mezzi di risoluzione delle controversie previsti dal diritto internazionale. Ove poi la controversia tra i due Stati venga devoluta ad arbitrato internazionale o a un tribunale internazionale, il diritto applicato al merito della controversia è diverso dal diritto applicato – dai giudici nazionali o dagli arbitri competenti – al merito della controversia insorta tra lo Stato e il privato straniero: norme internazionali nel primo caso; norme interne nel secondo caso. Infine sono pure diverse le statuizioni e i rimedi che, nei due casi, potrebbero conseguire all’accertamento dell’illegittimità della condotta statale. Le conseguenze di un illecito internazionale nei rapporti tra i due Stati sono quelle previste dai principi sulla responsabilità internazionale degli Stati 29 mentre, in caso di inadempimento contrattuale, tra Stato e privato straniero si applicheranno esclusivamente i rimedi previsti dalla lex contractus. Nel caso dell’arbitrato ICSID, invece, per le peculiarità di tale strumento – che consente di dedurre in giudizio sia controversie nascenti da inadempimenti contrattuali, sia controversie nascenti da violazione di trattati – non si verificano le conseguenze sopra illustrate della distinzione tra inadempimento contrattuale e illecito internazionale. Infatti, per quanto riguarda anzitutto i 29 Oggi codificati nel progetto di articoli approvato in seconda lettura dalla Commissione di diritto internazionale nel 2001, su cui cfr. Crawford, The International Law Commission’s Articles on State Responsibility: Introduction, Text and Commentaries, Cambridge, 2002; Id., Les articles de la C.D.I. sur la responsabilité de l’État pour fait internationalement illicite: introduction, texte et commentaires, Paris, 2003. Sul progetto approvato in prima lettura nel 1980 cfr. Ago, in Yearb. Int. Law Commission, 1980, II, 2, p. 30 ss.; Scritti sulla responsabilità degli Stati, I, II-1 e II-3, Napoli, 1979-1986. zeno crespi reghizzi 17 soggetti parte della controversia, l’arbitrato ICSID prevede sempre e soltanto la partecipazione dell’investitore privato e dello Stato ospite, indipendentemente dal fatto che sia configurabile un inadempimento contrattuale o un illecito internazionale. Lo Stato nazionale dell’investitore non soltanto non può promuovere un giudizio nei confronti dello Stato ospite, ma ha anche rinunciato ad agire in via di protezione diplomatica per effetto dell’art. 27 della convenzione di Washington – che preclude appunto agli Stati contraenti l’esercizio della protezione diplomatica in relazione a controversie relative a investimenti per le quali sia stata accettata la giurisdizione del Centro – in contropartita delle garanzie offerte dall’arbitrato ICSID. In secondo luogo, il fatto che la controversia derivi da un inadempimento contrattuale o da un illecito internazionale non influisce neppure sulla scelta dello strumento di risoluzione delle controversie poiché, se lo Stato e l’investitore hanno espresso il proprio consenso all’arbitrato ICSID (e naturalmente se la controversia rientra tra quelle previste dall’accordo), i tribunali arbitrali ICSID possono conoscere sia di controversie relative a inadempimenti contrattuali, sia di controversie relative a violazioni di norme internazionali. 30 Infine sono identici nei due tipi di controversie i rimedi a disposizione dell’investitore. Questi infatti, sia che lamenti un inadempimento contrattuale, sia che lamenti la violazione di norme internazionali, potrà chiedere al tribunale arbitrale ICSID soltanto l’accertamento di tale inadempimento o violazione e la conseguente condanna dello Stato a pagare una somma di denaro a proprio favore. 31 Sono invece esclusi gli ulteriori rimedi previsti dalle norme internazionali sulla responsabilità degli Stati. Benché priva di rilievo sotto i profili indicati nelle controversie in materia di investimenti, la distinzione tra inadempimento contrattuale e violazione internazionale consente tuttavia di chiarire, anche per queste, il fondamento per il richiamo del diritto internazionale e il criterio per il suo coordinamento con il diritto interno. Occorre tenere presente che nelle operazioni di investimento viene in rilievo un fascio di relazioni giuridiche distinte ratione materiae e ratione personae, ciascuna delle quali è normalmente soggetta a un regime giuridico particolare: dal generale al particolare vi sono situazioni giuridiche che costituiscono il riflesso di norme e principi di diritto internazionale generale in materia di 30 Naturalmente sotto questo profilo la distinzione tra inadempimento contrattuale e illecito internazionale mantiene rilevanza, riflettendosi nelle categorie dei contract claims e dei treaty claims, per l’accertamento della giurisdizione del Centro: cfr. supra, par. 2. 31 Nel senso che gli stessi fatti possano costituire il fondamento per l’esistenza di due tipi di responsabilità (in diritto interno e in diritto internazionale) e dar luogo a due identici petita, essendo il principio risarcitorio comune ai due ordinamenti, cfr. Gaillard, Centre International pour le Règlement des Différends relatifs aux Investissements (CIRDI). Chronique des sentences arbitrales, in Clunet, 2003, p. 161 ss., a p. 235 (commentando la decisione di annullamento del 3 luglio 2002 nel caso Vivendi). 18 dottrina trattamento dei beni e degli investimenti stranieri; vi sono poi situazioni aventi la loro origine in regimi internazionali convenzionali, ove esistenti (in primis i trattati bilaterali di promozione e protezione degli investimenti); infine vi sono le relazioni che sorgono dagli specifici contratti di investimento conclusi tra l’investitore straniero e lo Stato ospite. Tale fascio eterogeneo di relazioni caratterizza lo sfondo delle controversie relative ad investimenti ma, all’interno di ciascuna controversia, ogni questione verte su una specifica relazione e deve essere quindi valutata in base alle norme corrispondenti. Pertanto, come nel caso generale il diritto internazionale viene applicato per verificare se nella fattispecie concreta vi siano gli estremi di un illecito sul piano dei rapporti tra Stati, mentre la valutazione dell’inadempimento contrattuale avviene sul piano del diritto interno cui è sottoposto il contratto, cosı́ anche nelle controversie devolute ad arbitrato ICSID si deve far riferimento all’uno o all’altro dei sistemi normativi a seconda dell’appartenenza di ciascun profilo al diritto interno o al diritto internazionale. Occorre dunque tenere ben distinte le ipotesi in cui la singola questione in esame verte sull’inadempimento di un contratto e quelle in cui essa verte sulla violazione di standard di protezione degli investimenti stranieri sanciti da trattati internazionali o previsti da norme consuetudinarie. 5. L’indagine compiuta sinora ha messo in luce che, nelle controversie relative ad investimenti sottoposte ad arbitrato, il coordinamento tra diritto internazionale e diritto interno avviene individuando e distinguendo le situazioni giuridiche dedotte in giudizio dall’investitore. Ne risulta un quadro composito, in cui, a seconda del tipo di controversia, la causa petendi dell’azione promossa viene individuata in valutazioni appartenenti ora all’ordinamento internazionale, ora all’ordinamento interno. Tale constatazione rende necessario spiegare, dal punto di vista teorico, la possibilità che in una stessa sede arbitrale – quale è l’ICSID – l’investitore privato possa far valere, accanto a situazioni giuridiche nascenti da rapporti contrattuali di cui è parte, anche la responsabilità dello Stato ospite conseguente alla violazione degli obblighi assunti nei confronti del proprio Stato nazionale. Occorre peraltro subito escludere che nel giudizio arbitrale l’investitore faccia valere una responsabilità internazionale dello Stato ospite verso il proprio Stato nazionale, surrogandosi ad esso. Un siffatto rapporto di responsabilità è infatti configurabile soltanto nell’ordinamento della comunità degli Stati, nel quale tuttavia l’investitore difetta di soggettività. Del resto, per sostenere la tesi contraria occorrerebbe poter assumere che l’investitore agisca nei confronti dello Stato secondo lo schema della protezione diplomatica. Il che non è possibile, poiché difettano, nell’azione promossa da questo, i caratteri tipici di tale istituto. 32 32 Sull’istituto della protezione diplomatica si veda anzitutto la definizione della Corte zeno crespi reghizzi 19 Mentre nel caso della protezione diplomatica lo Stato nazionale, cui spetta la posizione giuridica fatta valere, può sempre disporne decidendo, in base a valutazioni di opportunità, se rinunciare, transigere o interrompere l’azione promossa nei confronti dell’altro Stato, il privato che deduce la violazione di norme internazionali sugli investimenti non può surrogarsi al proprio Stato, ma agisce per tutelare una posizione soggettiva propria. 33 Ciò si riflette sulla natura stessa del procedimento arbitrale, che non è un arbitrato di diritto internazionale pubblico in senso tradizionale, come nel caso della protezione diplomatica, ma un arbitrato di diritto privato o, nel caso dell’ICSID, un arbitrato appositamente previsto per le controversie tra Stati e investitori stranieri. A sua volta la natura privata dei lodi resi in materia di investimenti influisce sulla disciplina delle impugnazioni e della loro circolazione internazionale. 34 Essi infatti, da un lato sono suscettibili di impugnazione secondo le regole previste per gli arbitrati di diritto privato – o, nel caso dell’ICSID, secondo la procedura di annullamento prevista dall’art. 52 della convenzione di Washington – dall’altro, in quanto lodi arbitrali di diritto privato, sono suscettibili di riconoscimento conformemente alla convenzione di New York del 10 giugno 1958 – o, per i lodi ICSID, all’art. 54 della convenzione di Washington. Infine non trova normalmente applicazione, nel caso degli arbitrati in materia di investimenti, la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, che invece si applica laddove lo Stato nazionale agisca in protezione diplomatica lamentando da parte permanente di giustizia internazionale nella sentenza del 30 agosto 1924 relativa al caso delle Mavrommatis Palestine Concessions (Greece v. United Kingdom), in P.C.I.J. Publications, Ser. A, n. 2, p. 12: «It is an elementary principle of international law that a State is entitled to protect its subjects, when injured by acts contrary to international law committed by another State, from whom they have been unable to obtain satisfaction through the ordinary channels. By taking up the case of one of its subjects and by resorting to diplomatic action or international judicial proceedings on his behalf, a State is in reality asserting its own rights – its right to ensure, in the person of its subjects, respect for the rules of international law». Cfr. inoltre Conforti, Dirito internazionale, 7ª ed., Napoli, 2006, p. 213 ss.; Francioni, Imprese multinazionali, protezione diplomatica e responsabilità internazionale, Milano, 1979; Gianelli, La protezione diplomatica di società dopo la sentenza concernente la Barcelona Traction, in Riv. dir. int., 1986, p. 762 ss.; Condorelli, La protection diplomatique et l’évolution de son domaine d’application actuelle, ibidem, 2003, p. 5 ss.; P. De Visscher, La protection diplomatique des personnes morales, in Recueil des Cours, t. 102, 1961-I, p. 395 ss.; Caflisch, La protection des sociétés commerciales et des intérêts indirects en droit international public, La Haye, 1969; Diez de Velasco, La protection diplomatique des sociétés et des actionnaires, in Recueil des Cours, t. 141, 1974-I, p. 87 ss. 33 Cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 167 ss. A riprova della differenza tra le due azioni, si consideri che i trattati sugli investimenti prevedono normalmente, accanto all’arbitrato tra Stato e investitore straniero, anche un vero e proprio arbitrato internazionale per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere – sul piano interstatale – relativamente all’esecuzione del trattato. 34 Cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 180 ss. 20 dottrina dello Stato territoriale la violazione di obblighi di trattamento degli stranieri. 35 La posizione del privato che agisce in un arbitrato ICSID – o in un’altra sede arbitrale eventualmente prevista dai trattati in materia di investimento – non può dunque essere descritta alla luce dei principi sulla protezione diplomatica. Si deve pertanto escludere che l’investitore, promuovendo un’azione fondata su violazioni da parte dello Stato di standard di trattamento sanciti dal trattato, faccia valere – surrogandosi al proprio Stato – la responsabilità dello Stato convenuto sul piano dell’ordinamento internazionale. Parimenti, va escluso che il fondamento della posizione giuridica del privato nei confronti dello Stato ospite possa rinvenirsi nell’ordinamento interno di quest’ultimo, come effetto del procedimento di adattamento del diritto interno al diritto internazionale. È pur vero che, nella maggior parte dei casi, le norme dei trattati in materia di investimento, in virtú dei procedimenti di adattamento seguiti in ciascuno Stato, producono negli ordinamenti giuridici nazionali le modificazioni necessarie ad assicurare la conformità dei primi agli obblighi pattizi. Tale circostanza è spesso ritenuta rilevante, nella giurisprudenza dei tribunali arbitrali, allo scopo di consentire il richiamo del diritto internazionale tra le norme applicabili al merito della controversia. 36 Tuttavia il riferimento all’adattamento non pare pertinente in queste ipotesi, poiché nell’arbitrato ICISD l’applicabilità del diritto internazionale al merito della controversia prescinde dal suo richiamo da parte dell’ordinamento interno. Non si tratta infatti qui di stabilire se le norme pattizie abbiano prodotto modificazioni negli ordinamenti nazionali, bensı́ di verificare la possibilità per il privato di giovarsi della responsabilità dello Stato conseguente alla violazione degli obblighi sanciti dalle stesse norme. In questa prospettiva l’adattamento potrebbe eventualmente rilevare soltanto laddove la controversia fosse giudicata da un giudice interno, non invece in caso di arbitrato. Oggetto delle norme dei trattati internazionali sugli investimenti è il modo d’essere dell’ordinamento interno dello Stato, e precisamente la conformità di quest’ultimo agli standard di trattamento degli investimenti sanciti dal trattato. E un eventuale giudizio di non conformità del primo ai secondi non potrebbe certamente essere impedito 35 Sulla regola del previo esaurimento dei ricorsi interni cfr. per tutti Gaja, L’esaurimento dei ricorsi interni nel diritto internazionale, Milano, 1967; Conforti, Diritto internazionale cit., p. 188; Amerasinghe, Local Remedies in International Law, 2nd ed., Cambridge, 2004. Occorre peraltro segnalare che l’esaurimento dei ricorsi interni costituisce un elemento costitutivo della fattispecie del diniego di giustizia, e che pertanto, in relazione a questo standard, la sua sussistenza deve essere verificata in ogni caso, nonostante la rinuncia al requisito medesimo contenuta nel trattato: cfr. Paulsson, Denial of Justice in International Law, 2005, p. 100 ss. 36 Cfr. Schreuer, The ICSID Convention cit., p. 584 ss. Per un esempio recente, v. il lodo CMS Gas Transmission Company v. Republic of Argentina, 12 maggio 2005, in Int. Legal Materials, 2003, p. 788; trad. francese per estratti in Clunet, 2004, p. 236, ai par. 119 ss. zeno crespi reghizzi 21 dal fatto che lo Stato abbia in ipotesi recepito le norme del trattato. Dalle considerazioni che precedono discende che la nozione di adattamento non può fornire una spiegazione all’applicazione del diritto internazionale nell’arbitrato treaty-based, poiché questo non è situato all’interno dell’ordinamento statale, ma al di fuori di esso ed è volto a fornire una valutazione circa la conformità della condotta dello Stato rispetto agli obblighi posti dal trattato. Concentrando piuttosto l’attenzione sulle regole contenute nei trattati di promozione e protezione degli investimenti, è possibile rilevare che l’oggetto di tali trattati è quello di definire un «ambiente giuridico» destinato a regolare gli investimenti stranieri in ciascuno degli Stati parte. 37 Lo scopo della creazione di tale ambiente giuridico è duplice. Da un lato, in quanto Stati nazionali degli investitori, gli Stati parte mirano a garantire un certo livello di tutela per i propri cittadini o società nazionali che effettuino investimenti negli altri Stati procurando loro l’impegno da parte di questi ultimi a rispettare gli standard sanciti nel trattato. Dall’altro lato, in quanto enti sovrani preposti al governo della comunità umana stanziata sul proprio territorio, gli stessi Stati parte mirano ad attirare gli investitori stranieri nel proprio paese, attraverso la definizione del sopra citato ambiente giuridico e l’offerta agli investitori della garanzia del rispetto di tali standard. Assume dunque rilievo centrale, nella ricostruzione dell’oggetto e dello scopo dei trattati in materia di investimento, la nozione dell’ambiente giuridico creato con essi, che è sempre definita in relazione al soggetto investitore. In questa luce, gli standard di investimento sanciti dal trattato sono volti ad attribuire all’investitore situazioni giuridiche – nei confronti dello Stato ospite – volte ad ottenere il rispetto degli impegni sui quali egli ha fondato la propria decisione di investire in quello Stato. Correlativamente, la previsione dell’arbitrato tra investitore e Stato ha l’effetto di attribuire al primo il potere di ottenere, in un apposito giudizio nei confronti del medesimo Stato, la garanzia dell’attuazione della predetta situazione giuridica. Pertanto, le regole contenute nel trattato, oltre a obbligare reciprocamente gli Stati sul piano del diritto internazionale in virtú della propria natura di 37 Per un riferimento all’obbligo degli Stati di non modificare unilateralmente l’ambiente giuridico in cui operano gli investitori cfr. il lodo CMS Gas Transmission Company v. Republic of Argentina, 12 maggio 2005 cit. (supra, nota 36), par. 274 ss.: «A stable legal and business environment is an essential element of fair and equitable treatment. The measures that are complained of did in fact entirely transform and alter the legal and business environment under which the investor was decided and made». Cfr. inoltre la decisione sulla competenza del 29 novembre 2004, Salini Costruttori S.p.A. and Italstrade S.p.A. v. Hashemite Kingdom of Jordan cit. (supra, nota 8), in cui gli arbitri sono stati chiamati a interpretare l’art. 2, par. 4 del BIT Italia-Giordania del 21 luglio 1996, con cui «Each Contracting Party shall create and maintain a legal frame apt to guarantee to investors the continuity of legal treatment, including the compliance, in good faith of all undertakings assumed with regard to each specific investor»; corsivo aggiunto. 22 dottrina atti giuridici internazionali, definiscono al contempo un quadro nel quale il privato è titolare di diritti propri nei confronti dello Stato straniero. 38 È impossibile, peraltro, comprendere la natura di tale posizione, finché si persista a cercare di collocarla ora sul piano del diritto internazionale, ora sul piano del diritto interno. Nel primo caso, infatti, non si riuscirebbe a spiegare per quale motivo un privato, ossia un soggetto estraneo all’ordinamento della comunità internazionale, sia legittimato ad invocare a proprio favore la responsabilità internazionale di uno Stato. Nel secondo caso, ogni tentativo di ricostruzione si scontrerebbe con l’evidenza per cui non di norme interne si tratta, bensı́ di norme sancite da trattati internazionali. Il fondamento della posizione giuridica attribuita al privato va invece ricercato proprio nel sistema giuridico cui il trattato stesso ha dato vita. La posizione del privato nei trattati in materia di investimenti presenta piú di un’analogia con la posizione del singolo nel diritto comunitario, consistente nella possibilità di invocare in proprio favore e nei confronti degli Stati membri situazioni nascenti da norme comunitarie direttamente applicabili. 39 I punti di contatto tra i due fenomeni attengono alle parti del giudizio (in entrambi i casi la tutela del singolo si realizza in un giudizio che lo vede contrapposto allo Stato), al carattere unilaterale della protezione accordata al singolo (cosı́ come le norme dei BIT, anche le norme comunitarie direttamente applicabili sono idonee a dar vita a situazioni giuridiche soggettive favorevoli per i singoli nei confronti degli Stati), 40 al fatto che la tutela viene cercata in un giudizio che verte su un rapporto privato, nonché infine alla tendenziale irrilevanza nei due casi del problema dell’adattamento (atteso che le norme comunitarie direttamente applicabili, al pari 38 Per l’individuazione di un «sub-sistema» di responsabilità dello Stato connessa ai trattati in materia di investimenti, in cui l’investitore privato fa valere nei confronti dello Stato un diritto proprio cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 184 ss. Da questo punto di vista pare dunque di poter differenziare l’arbitrato previsto dai trattati di promozione e protezione degli investimenti, rispetto ad altre forme di tutela degli stranieri, quali le claims commissions, i tribunali arbitrali misti istituiti successivamente alla prima guerra mondiale, il Tribunale Stati Uniti-Iran, nelle quali la legittimazione attiva dei privati è stata pattuita soltanto successivamente all’insorgere della controversia tra Stati e proprio al fine di una sua composizione. In tali casi non pare possibile ravvisare alcuna posizione giuridica sostanziale direttamente attribuita al privato dal trattato, poiché la sua legittimazione attiva costituisce un mero riflesso della soluzione raggiunta dagli Stati sul piano internazionale ai fini della composizione della controversia tra loro insorta. Su tali mezzi di risoluzione delle controversie Rigaux, Les situations juridiques individuelles dans un système de relativité générale, in Recueil des Cours, t. 213, 1989-I, p. 9 ss., a p. 120 ss. Sul Tribunale Stati Uniti-Iran, von Mehren, The Iran-US Arbitral Tribunal, in Am. Journ. Comp. Law, 1983, p. 713 ss., Sein, Jurisprudence and Jurists’ Prudence: The Iranian-US Claims Tribunal, ibidem, 1984, p. 18 ss.; Radicati di Brozolo, La soluzione delle controversie tra Stati Uniti ed Iran, in Riv. dir. int., 1982, p. 307 ss. 39 Sulla questione cfr. per tutti Luzzatto, La diretta applicabilità nel diritto comunitario, Milano, 1980. 40 Cfr. Luzzatto, op. cit., p. 11 ss. zeno crespi reghizzi 23 delle norme dei BIT, producono il proprio effetto nel sistema di origine, senza che sia necessaria una loro trasposizione nell’ordinamento interno). 41 Evidenziando questi punti di contatto non s’intendono peraltro trascurare le differenze tra le due realtà, derivanti dal fatto che nelle norme dei trattati internazionali in materia di investimenti difetta, per l’affermazione di un rapporto di integrazione con i sistemi nazionali secondo il modello comunitario, un fondamentale elemento caratteristico di quest’ultimo, ossia un meccanismo – qual è il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia da parte dei giudici nazionali – che consenta ai singoli di far valere le posizioni nascenti dal diritto comunitario in un giudizio dinanzi al giudice nazionale, al pari delle situazioni giuridiche di diritto interno. Tale peculiare rapporto di integrazione tra il sistema comunitario e i sistemi giuridici degli Stati membri fa sı́ che la garanzia dell’adempimento degli obblighi posti dal diritto comunitario si realizzi direttamente attraverso gli organi giurisdizionali e amministrativi degli stessi Stati, prescrivendo loro di disapplicare eventuali norme nazionali contrastanti con il diritto comunitario. 42 Mentre dunque nell’ordinamento comunitario la posizione del singolo trova tutela direttamente dinanzi agli organi (giudiziari o amministrativi) dello stesso Stato, 43 nei trattati in materia di investimenti la garanzia del singolo si realizza attraverso l’accertamento, da parte degli arbitri, della responsabilità dello Stato per la violazione degli standard posti dal trattato. La ragione di tale differenza di regime si comprende agevolmente, considerando che, al di fuori dell’esperienza dell’integrazione europea – e segnatamente nei trattati in materia di investimento – gli Stati non sono disposti ad accettare le rinunce alla propria sovranità connesse a meccanismi simili al rinvio pregiudiziale. 44 41 Cfr. Luzzatto, op. cit., p. 15 ss. Per l’individuazione del rapporto di integrazione intercorrente tra l’ordinamento comunitario e l’ordinamento dello Stato quale fondamento per il concorso degli organi dello Stato nell’attuazione delle norme comunitarie direttamente applicabili cfr. Luzzatto, La diretta applicabilità cit., p. 45 ss. Cfr. inoltre Id., Note sul diritto dei singoli ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro le violazioni del diritto comunitario, in Jus, 1999, p. 373 ss.; Tizzano, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea, in Foro it., 1995, IV, 13 ss. 43 Esistono ipotesi di responsabilità dello Stato nei confronti del singolo per violazione del diritto comunitario, ma si tratta come è noto di situazioni circoscritte e subordinate alla verifica di determinati presupposti. Su tali aspetti cfr. per tutti Fumagalli, La responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario, Milano, 2000. 44 Del resto, a riprova dell’eccezionalità del sistema di cooperazione tra giudici nazionali e Corte di giustizia, si consideri che, nel sistema della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, la tutela dei diritti in essa sanciti non si realizza attraverso la possibilità di farli valere dinanzi ai giudici nazionali, bensı́ ex post attraverso una pronuncia della Corte europea per i diritti dell’uomo che accerti la violazione della convenzione da parte dello Stato e lo condanni a corrispondere un’equa soddisfazione alla parte lesa. Per un’analisi dei rapporti tra diritto internazionale e diritto in42 24 dottrina Nonostante queste differenze, analogamente a quanto accade nel diritto comunitario, anche nei sistemi istituiti dai trattati in materia di investimenti vengono attribuite al privato posizioni giuridiche attive nei confronti degli Stati, fondate su valutazioni provenienti dall’esterno degli ordinamenti di questi ultimi. Posizioni a garanzia delle quali il sistema istituito dal trattato prevede lo svolgimento di un arbitrato direttamente tra l’investitore straniero e lo Stato ospite. Si evidenzia in questo modo che le posizioni giuridiche attribuite agli investitori da ciascun trattato e il procedimento arbitrale previsto a garanzia delle stesse rappresentano fenomeni e istituti giuridici appartenenti alla vita giuridica internazionale, insuscettibili di risolversi integralmente nell’ordinamento internazionale o negli ordinamenti statali. La nozione di ordinamento rappresenta infatti quanto c’è di diviso e di separato nella realtà storica dell’umanità, riflessa sul piano giuridico, 45 mentre le posizioni giuridiche degli investitori nei confronti degli Stati si fondano sui sistemi creati da ciascun trattato. Dalla loro appartenenza alla vita giuridica internazionale discende che tali fenomeni e istituti sono giuridici di per sé («ı̂lots de juridicité non étatique»), definendo un mondo del diritto senza essere il riflesso o l’espressione derivata degli ordinamenti giuridici. 46 Il fatto che le relazioni tra investitore e Stato straniero nascenti dai trattati siano definite in termini giuridici sul piano della vita giuridica internazionale costituisce il fondamento per il richiamo da parte degli arbitri, nel decidere la controversia, ora di norme dell’ordinamento internazionale, ora di norme degli ordinamenti degli Stati interessati. 47 terno nel sistema della convenzione europea sui diritti dell’uomo, cfr. Rigaux, Les situations juridiques individuelles cit., p. 56 ss. 45 Per l’enunciazione della nozione di vita giuridica internazionale come insieme di fenomeni e principi giuridici, costituente la piattaforma sulla quale si elevano le distinte costruzioni degli ordinamenti giuridici ma che non si risolve integralmente in essi, tenendo in vita una unità di fondo, cfr. Ziccardi, Diritto internazionale in generale, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 988 ss., rist. in Id., Vita giuridica internazionale. Scritti scelti a cura degli allievi, Milano, 1992, II, p. 5 ss. (da cui si cita), p. 56 ss., il quale chiarisce al contempo che gli ordinamenti giuridici sono a loro volta considerati come prodotto di quella realtà. 46 Cfr. Ziccardi, op. loc. cit. Nel senso che possano esistere «ilôts de juridicité non étatique» in ambienti sociali particolari cfr. Rigaux, Contrats d’Etat et arbitrage international, in Riv. dir. int., 1984, p. 489 ss., a p. 504, il quale evidenzia poi l’opportunità, laddove tale fenomeno si manifesti nelle relazioni tra soggetti posti in piú ordinamenti, di utilizzare l’attributo «transnazionale» per esprimere la sua eterogeneità sia rispetto all’ordinamento giuridico internazionale, sia rispetto agli ordinamenti statali. 47 Per un’affermazione della necessità di richiamare, nel sistema giuridico istituito dai BIT, valutazioni provenienti dal diritto internazionale e dagli ordinamenti interni, cfr. ad es. il lodo ICSID, 27 giugno 1990, Asian Agricultural Products Ltd v. Democratic Socialist Republic of Sri Lanka, in ICSID Rev., 1991, p. 526; Int. Legal Materials, 1991, p. 577; ICSID Rep., 4, 1997, p. 246; trad. francese per estratti in Clunet, 1992, p. 217: gli arbitri hanno osservato che il BIT applicabile nel caso di specie «has to be envisaged within a wider juridical context in which rules from other sources are integrated through implied incorporation zeno crespi reghizzi 25 La necessità di applicare il diritto internazionale discende dal fatto che il contenuto degli obblighi posti a carico dello Stato ospite – e dei correlativi diritti dell’investitore – deve essere stabilito con riferimento all’ordinamento nel quale si pone l’atto giuridico che li prevede. Trattandosi di un accordo internazionale, è naturale riferirsi alle regole – esistenti nell’ambito dell’ordinamento internazionale – sulla loro validità e interpretazione, oggi codificate nella convenzione di Vienna del 23 maggio 1969. E ciò al fine di accertare l’esatto contenuto della volontà degli Stati parte nel momento della definizione dell’ambiente giuridico in cui disciplinare e proteggere gli investimenti stranieri. Il riferimento a norme statali deriva dalla circostanza per cui ogni operazione di investimento presuppone un contratto tra l’investitore e lo Stato ospite. Pertanto, ogniqualvolta ai fini della risoluzione della controversia sia necessario determinare il contenuto degli obblighi contrattuali, occorrerà fare riferimento alla lex contractus. Meno chiara è invece la ragione del riferimento, da parte degli arbitri, ai principi sulla responsabilità internazionale degli Stati, i quali troverebbero cosı́ applicazione, oltre che sul piano interstatale, anche nei rapporti tra privato e Stato straniero. 48 Se infatti tali principi (cosı́ come codificati nel progetto della Commissione di diritto internazionale) disciplinano le conseguenze della violazione da parte di uno Stato di un obbligo verso un altro Stato previsto da una norma internazionale, è evidente che essi, di per sé, regolano esclusivamente la relazione di responsabilità sorta dell’ordinamento internazionale, mentre non si applicano alla responsabilità dello Stato verso l’investitore per la violazione degli standard di investimento. Tale responsabilità, nel regime del trattato, sussiste soltanto verso l’investitore, non anche nei confronti dello Stato nazionale di questo. Il richiamo negli arbitrati treaty based dei principi sulla responsabilità internazionale degli Stati potrebbe forse spiegarsi come l’effetto di una scelta compiuta dagli Stati parte al trattato di riferirsi, nel delineare la posizione giuridica del privato, ai principi della responsabilità internazionale degli Stati. In ogni caso, anche in questa prospettiva la possibilità di far ricorso a tali principi va ammessa con cautela, tenendo sempre presente che non si tratta di accertare – nell’ordinamento giuridico internazionale – la responsabilità methods, or by direct reference to certain supplementary rules, whether of international law character or of domestic law nature» (par. 21). 48 Un esempio di riferimento, da parte dei tribunali ICSID, ai principi internazionali sulla responsabilità degli Stati, è offerto dalle decisioni CMS Gas Transmission Company v. Argentine Republic, 12 maggio 2005 cit., supra, nota 37; LG&E Energy Corp. and others v. Argentine Republic, 25 luglio 2007, in ICSID Rev., 2006, p. 203; Enron Corp. and Ponderosa Assets L.P. v. Argentine Republic, 2 agosto 2004 (in www.investmentclaims.com), in cui gli arbitri hanno dovuto giudicare dell’eccezione formulata dal governo argentino, secondo cui la condotta dello Stato, pur violando gli standard previsti dal trattato, sarebbe stata scusabile in base all’esimente dello stato di necessità. 26 dottrina dello Stato ospite nei confronti dello Stato nazionale dell’investitore, bensı́ di valutare, nell’ambito del sistema delineato dal trattato, le conseguenze della lesione di una posizione giuridica propria dell’investitore. Alla luce delle considerazioni che precedono si può dunque affermare che, nell’ambiente giuridico creato con ciascun trattato, l’investitore è titolare di situazioni giuridiche nei confronti dello Stato ospite, a garanzia delle quali egli può promuovere un procedimento arbitrale direttamente nei confronti di tale Stato. Siffatte posizioni giuridiche dell’investitore non sorgono nell’ordinamento giuridico internazionale, né in un particolare ordinamento statale, bensı́ direttamente nell’ambiente giuridico creato dal trattato. Le posizioni giuridiche di cui l’investitore è titolare nell’ambito di quest’ultimo e la conseguente responsabilità dello Stato che l’investitore medesimo fa valere negli arbitrati treaty-based sorgono sul piano della vita giuridica internazionale. In tali arbitrati le norme internazionali e le norme statali vengono richiamate nella misura in cui definiscono la posizione giuridica dell’investitore nell’ambiente giuridico creato dal trattato. 6. La ricostruzione sin qui proposta lascia aperto il problema dell’esegesi dell’art. 42, la cui formulazione, come si è accennato, indurrebbe a considerarlo come norma di diritto internazionale privato richiamante in primo luogo il diritto nazionale dello Stato ospite. Peraltro tale perplessità non ha motivo di essere poiché, nelle controversie fondate su norme internazionali in materia di investimenti, difetta un presupposto fondamentale per il funzionamento dell’art. 42 come norma di diritto internazionale privato: la natura privatistica delle situazioni giuridiche (e delle correlative valutazioni) in relazione alle quali il richiamo viene effettuato. Tale requisito, come è noto, discende dalla ratio del diritto internazionale privato, che è quella di garantire un’opportuna tutela alle situazioni giuridiche interindividuali ovunque prodottesi, e quali che siano le norme che le abbiano definite. 49 Il carattere privatistico delle situazioni giuridiche e delle correlative valutazioni costituisce il fondamento e il limite dell’operare del diritto internazionale privato, poiché soltanto tali situazioni e valutazioni partecipano del carattere universale del diritto privato e sono quindi suscettibili di richiamo. 50 Ne consegue che, quando la controversia ha ad oggetto non già situazioni giuridiche interindividuali – quali sarebbero ad esempio i diritti nascenti da un contratto tra Stato e investitore straniero di cui venga dedotto l’inadempimento – bensı́ situazioni aventi origine nell’ordinamento internazionale, come ad esempio nel caso di violazione degli standard di trattamento sanciti da un trattato in materia di 49 Cfr. Ziccardi, Il valore del diritto straniero richiamato nell’ordinamento nazionale, Milano, 1946, rist. in Id., Vita giuridica internazionale cit., p. 5 ss. (da cui si cita), a p. 75 ss. 50 Cfr. Ziccardi, Il valore del diritto straniero cit., p. 86 ss. zeno crespi reghizzi 27 investimenti, non vi è spazio perché operi una norma di diritto internazionale privato. 51 Al fine di ricostruire l’esatta interpretazione dell’art. 42 può essere utile ricordare che, durante i lavori preparatori, era stata inizialmente proposta una diversa regola, in base alla quale il tribunale arbitrale avrebbe dovuto applicare alla controversia le norme di diritto nazionale e/o internazionale «che avesse giudicato applicabili». Tale soluzione fu poi abbandonata – a favore dell’attuale formulazione dell’art. 42 – per l’opposizione dei paesi importatori di capitale, i quali temevano che essa avrebbe consentito agli arbitri una discrezionalità troppo ampia nel determinare il diritto applicabile. 52 Quella formulazione dell’art. 42, proprio per la sua flessibilità e per il fatto di rimettere all’arbitro la determinazione circa l’origine delle questioni controverse nel diritto statale o nel diritto internazionale, avrebbe fornito uno strumento piú adatto ai caratteri dell’arbitrato ICSID che, come si è visto, si riferisce a controversie tra loro assai diverse, in cui le situazioni dedotte in giudizio appartengono ora ad un ordinamento statale, ora all’ordinamento internazionale. Peraltro anche il testo vigente dell’art. 42 consente un’interpretazione conforme al rilievo assunto dal diritto internazionale negli arbitrati aventi ad oggetto treaty claims. Lo spunto in tal senso è contenuto in un’apparente tautologia della versione inglese dell’art. 42, il quale dispone l’«applicazione», accanto al diritto dello Stato parte alla controversia, delle norme di diritto internazionale «applicabili». 53 L’espressione, in realtà, non è tautologica ed evidenzia invece un dato di fatto, ossia che l’applicazione del diritto internazionale non rappresenta un effetto giuridico del- 51 Per il rilievo della inidoneità dei sistemi di diritto internazionale privato a richiamare norme di diritto internazionale cfr. Cassoni, I contratti di concessione stipulati fra Stati o enti pubblici statali e società commerciali straniere, in Dir. int., 1965, I, p. 235 ss., a p. 245 ss.; Giardina, State Contracts: National versus International Law?, in Italian Yearb. Int. Law, 1980-81, p. 147 ss., a p. 160; Luzzatto, Illecito internazionale cit., p. 177 ss. 52 Cfr. ICSID, Convention on the Settlement of Investment Disputes Between States and Nationals of Other States, History of the Convention, New York, 1970, I, pp. 190-192. Per piú ampi riferimenti cfr. Feurle, International Arbitration and Choice of Law cit., p. 89 ss.; Schreuer, The ICSID Convention cit., p. 598. 53 Si riportano di seguito le versioni inglese e francese dell’art. 42 par. 1 della convenzione. Come si potrà rilevare, le due versioni non coincidono in relazione al richiamo del diritto internazionale, per cui si è reso necessario – nell’interpretazione della norma – ricercare un significato che si conciliasse con entrambe: «The Tribunal shall decide a dispute in accordance with such rules of law as may be agreed by the parties. In the absence of such agreement, the Tribunal shall apply the law of the Contracting State party to the dispute (including its rules on the conflict of laws) and such rules of international law as may be applicable». «Le Tribunal statue sur le différend conformément aux règles de droit adoptées par les parties. Faute d’accord entre les parties, le Tribunal applique le droit de l’Etat contractant partie au différend – y compris les règles relatives aux conflits de lois – ainsi que les principes de droit international en la matière » (il corsivo è aggiunto). 28 dottrina l’art. 42, ma discende da una valutazione contenuta nello stesso diritto internazionale oggetto di richiamo. In particolare tale valutazione è espressa nel principio di diritto consuetudinario, ora codificato nell’art. 3 del progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato approvato dalla Commissione di diritto internazionale, per cui la qualificazione dell’atto di uno Stato come internazionalmente illecito è regolata esclusivamente dal diritto internazionale, essendo ininfluente la qualificazione di tale atto in base al diritto interno. 54 Il diritto internazionale è dunque destinato ad applicarsi proprio vigore, e non già per effetto del richiamo contenuto nell’art. 42. Di tale «volontà» di applicazione del diritto internazionale l’art. 42 non fa che prendere atto cosı́ da rispecchiare l’effettivo ruolo del diritto internazionale nel definire le posizioni soggettive dell’investitore nell’ambiente giuridico creato dal trattato. Lo spazio cosı́ riconosciuto dall’art. 42 al diritto internazionale ha rilievo preliminare rispetto al funzionamento della vera e propria norma di conflitto contenuta nella prima parte del medesimo art. 42, volta ad individuare la legge regolatrice del rapporto contrattuale tra l’investitore e lo Stato ospite. Infatti, ogniqualvolta la questione controversa non verte direttamente su tale contratto, bensı́ su obblighi internazionali di trattamento degli investimenti stranieri, l’applicazione di queste norme di diritto internazionale esclude l’operatività dell’art. 42 in funzione di norma di diritto internazionale privato. È ora possibile verificare in concreto come si debba procedere al coordinamento tra diritto internazionale e diritto statale sulla base della ricostruzione sin qui proposta. 7. Se la controversia ha per oggetto un inadempimento contrattuale – naturalmente a condizione che gli arbitri abbiano competenza a conoscerne – la posizione fatta valere dall’investitore viene valutata in base alla lex contractus individuata dall’art. 42 della convenzione, che in questo caso opera come norma di diritto internazionale privato. Nell’ambiente giuridico creato con il trattato, il riferimento alla lex contractus deriva dalla necessità di determinare il contenuto dei diritti contrattuali di cui l’investitore chiede tutela. In base all’art. 42 occorre anzitutto verificare se le parti abbiano designato il diritto applicabile al contratto. Nella prassi la scelta delle parti ricade perlopiú sulla legge dello Stato parte ed è spesso accompagnata da un riferimento al diritto internazionale. 55 Il richiamo del diritto internazio54 Cfr. il commento del relatore speciale Crawford, in Les articles de la C.D.I. cit., p. 103 ss. Cfr. inoltre Ago, Troisième rapport sur la responsabilité des Etats, in Annuaire de la Commission du Droit International, 1971, II, 1ère partie, p. 209 ss., par. 60 ss. e 86 ss., rist. in Scritti sulla responsabilità internazionale degli Stati cit., II, 1, p. 345 ss. 55 Cfr., ad es., il lodo AGIP c. République Démocratique du Congo, 30 novembre 1979 zeno crespi reghizzi 29 nale accanto alla lex contractus ha la funzione di assicurare una certa stabilità del quadro normativo cui è sottoposto l’accordo, che altrimenti potrebbe essere mutato unilateralmente dallo Stato parte a danno dell’investitore. Proprio a tal fine vengono anche inserite clausole c.d. di «stabilizzazione» o di «intangibilità», con le quali lo Stato si obbliga a non modificare unilateralmente il rapporto contrattuale tramite provvedimenti legislativi o amministrativi posteriori, o con le quali le parti dichiarano fissato al momento della stipulazione del contratto il modo di essere del diritto interno dello Stato contraente applicabile al rapporto contrattuale. 56 La possibilità di apportare siffatti correttivi non significa peraltro che il contratto trovi il fondamento della propria giuridicità nell’ordinamento internazionale. È noto che, proprio nello studio dei contratti stipulati tra Stati e privati stranieri, sono state proposte ricostruzioni volte a individuare il fondamento della giuridicità di tali contratti non già in un determinato ordinamento statale, bensı́ nel diritto internazionale pubblico. 57 Tuttavia, come è stato dimostrato, siffatte ricostruzioni si scontrano con ostacoli difficilmente superabili. 58 In primo luogo la tesi della sottoposizione del (in Riv. dir. int., 1981, p. 863; Revue critique, 1982, p. 92; trad. inglese dell’originale francese in Int. Legal Materials, 1982, p. 726; Int. Law Rep., 67, 1984, p. 318; ICSID Rep., 1, 1993, p. 306), in cui le parti avevano designato nel contratto del 2 gennaio 1974 «the law of Congo, supplemented if needed by any principles of international law». Cfr. inoltre la decisione sulla competenza nel caso Kaiser Bauxite Company v. Jamaica del 6 luglio 1975 (in ICSID Reports, 1, 1993, p. 296; Int. Law Rep., 114, 1999, p. 144), in cui l’accordo del 1969 stabiliva che il tribunale arbitrale applicasse «the law of Jamaica and such rules of international law as may be applicable excluding however any enacments passed or brought into force by Jamaica susbsequent to the date of this Agreement which may modify or affect the rights of the parties under the Principal Agreement and excluding also any law or rule which could throw doubt upon the authority or ability of the Government to enter into the Principal Agreement and this Agreement». In entrambi i casi il corsivo è aggiunto. 56 V. ad es. la clausola dell’accordo tra Kaiser Bauxite e il governo giamaicano del 1969 cit. alla nota precedente. Su tali clausole cfr. Carbone, Luzzatto, Il contratto internazionale, Torino, 1994, p. 72 ss. 57 Tra le principali formulazioni di queste tesi, diverse tra loro ma accomunate dalla tendenza a far derivare la disciplina dei contratti fra Stati e stranieri dall’ordinamento internazionale, cfr. Mann, The Proper Law of Contracts Concluded by International Persons, in British Year Book Int. Law, 1959, p. 34 ss.; Id., Die Vertäge der Völkerrechtssubjekte und die Parteiautonomie, in Festschrift M. Gutzwiller, Basel, 1959, p. 465 ss.; Mc Nair, The General Principles of Law Recognized by Civilized Nations, in British Year Book Int. Law, 1957, p. 8 ss.; Jennings, State Contracts and International Law, ibidem, 1961, p. 156 s., a p. 161 ss.; Weil, Problèmes relatifs aux contrats passés entre un Etat et un particulier, in Recueil des Cours, t. 128, 1969-III, p. 95 ss., a p. 157 ss.; Id., Le droit international en quête de son identité : cours général de droit international public, ibidem, t. 237, 1992-VI, p. 9 ss.; Sacerdoti, I contratti tra Stati e stranieri nel diritto internazionale, Milano, 1972, p. 195 ss.; Seidl-Hohenveldern, The Theory of Quasi-International and Partly International Agreements, in Revue belge droit int., 1975, p. 567 ss.; Leben, La théorie du contrat d’Etat et l’évolution du droit international des investissements, in Recueil des Cours, t. 302, 2003, p. 197 ss., a p. 264 ss. 58 Per alcune confutazioni della tesi secondo cui i contratti tra Stati e stranieri sarebbero 30 dottrina contratto al diritto internazionale non può essere accolta poiché i sistemi di diritto internazionale privato chiamati a designare la lex contractus non sono strutturalmente idonei ad operare un richiamo del diritto internazionale. 59 In secondo luogo essa non può essere accolta poiché presuppone che entrambe le parti del contratto siano soggetti dell’ordinamento mentre – perlomeno nell’attuale momento storico – il soggetto privato difetta di tale requisito. 60 Infine, i contratti conclusi tra Stati e stranieri non possono ritenersi sottoposti al diritto internazionale poiché quest’ultimo non contiene un insieme completo di regole idonee a disciplinare nel suo complesso il rapporto contrattuale tra Stato e straniero. 61 Del resto le stesse pronunce arbitrali che vengono citate a supporto della tesi in esame, pur contenendo talvolta espliciti riferimenti al diritto internazionale quale fondamento stesso della giuridicità dei contratti tra Stati e stranieri o quale diritto ad essi applicabile, non consentono poi di verificare se gli arbitri, al di là di tali affermazioni generali, abbiano voluto far riferimento al vero e proprio diritto internazionale pubblico o ad altri complessi normativi. 62 La giuriregolati dal diritto internazionale cfr. Sereni, International Economic Institutions and the Municipal Law of States, in Receuil des Cours, t. 96, 1959-I, p. 129 ss., a p. 210 ss.; Vedel, Le problème de l’arbitrage entre gouvernements ou personnes de droit public et personnes de droit privé, in Rev. arb., 1961, p. 127 ss.; Cassoni, I contratti di concessione stipulati fra Stati o enti pubblici statali e società commerciali straniere, in Dir. int., 1965, I, p. 235 ss., a p. 245 ss.; Ferrari Bravo, Le operazioni finanziarie degli enti internazionali, in Annuario, I, 1965, p. 80 ss., a p. 120 ss.; Wengler, Les accords entre Etats et entreprises étrangères sont-ils des traités de droit international?, in Revue générale dr. int. public, 1972, p. 313 ss.; Id., Les principes généraux du droit en tant que loi du contrat, in Revue critique, 1982, p. 467 ss.; Jimenez de Arechaga, International Law in the Past Third of a Century, in Recueil des Cours, t. 159, 1978-I, p. 1 ss., a p. 305 ss.; Rigaux, Des dieux et des héros. Réflexions sur une sentence arbitrale, in Revue critique, 1978, p. 432 ss., a p. 445 ss.; Giardina, State Contracts cit., a p. 160; Luzzatto, Illecito internazionale cit., p. 177 ss.; Mayer, La neutralisation du pouvoir normatif de l’Etat en matière de contrats d’Etat, in Clunet, 1986, p. 5 ss., a p. 21 ss.; Kamto, La notion de contrat d’Etat : une contribution au débat, in Rev. arb., 2003, p. 719 ss., a p. 735 ss. 59 Cfr. Cassoni, I contratti di concessione stipulati cit., p. 245 ss.; Giardina, State Contracts cit., p. 160; Luzzatto, Illecito internazionale cit., p. 177 ss. 60 Giardina, State Contracts cit., p. 149 ss.; Luzzatto, Illecito internazionale cit., p. 177 ss. 61 Cfr. Luzzatto, op. loc. ult. cit., il quale rileva che i principi generali enunciati dalla giurisprudenza arbitrale, nei quali spesso si risolve il richiamo del diritto internazionale, sono in realtà ricavati in via di astrazione dagli ordinamenti giuridici interni e non risultano idonei a costituire nel loro insieme un complesso normativo realmente internazionale. Cfr. inoltre Wengler, Les principes généraux du droit cit., p. 485. 62 Cfr. i casi Lena Goldfields Limited v. USSR (decisione del 2 settembre 1930, in Annual Digest of Public International Law Cases, 1929-30, p. 3 ss. e p. 426 ss., e su cui v. Veder, The Lena Goldfields Arbitration: The Historical Roots of Three Ideas, in Int. Comp. Law Quarterly, 1998 p. 747 ss.); Petroleum Development Ltd. v. Sheikh of Abu Dahbi, 18 agosto 1951, in Int. Law Reports, 1951, 18, p. 144 ss.; Ruler of Qatar v. International Marine Oil Co., giugno 1953, ibidem, 20, 1953, p. 534 ss.; Sapphire International Petroleum Ltd. v. NIOC, 15 marzo 1963, ibidem, 35, p. 136 ss.; California Asiatic Oil Company and Texaco Overseas Petroleum Company v. Lybian Arab Republic, 19 gennaio 1977, in Clunet, p. 350 ss. In quest’ul- zeno crespi reghizzi 31 sprudenza internazionale è invece prevalentemente orientata nel senso di escludere la possibilità di sottoporre in sé il contratto al diritto internazionale. 63 La ragione per l’individuazione del fondamento giuridico del contratto in un ordinamento statale – e non nell’ordinamento internazionale – è che esso è destinato a costituire situazioni giuridiche nascenti sul piano dei rapporti giuridici interindividuali, e non già sul piano dei rapporti tra gli Stati quali enti sovrani. Conseguentemente il richiamo ad opera delle parti del diritto internazionale accanto ad una legge statale non può che significare la volontà di assicurare il rispetto, nella composizione della controversia, delle norme internazionali sul trattamento degli investimenti stranieri: norme che, come si è visto, concorrono a definire l’ambiente giuridico creato dal trattato. Peraltro, come si vedrà, anche in assenza di richiamo ad opera delle parti gli arbitri sono già tenuti ad assicurare la conformità della decisione a tali norme. Sempre al fine di rendere piú stabile la disciplina del contratto, l’art. 42 consente poi alle parti di richiamare valutazioni giuridiche non statali, quali sono ad esempio le regole oggettive del commercio internazionale. Questa possibilità è confermata, tra l’altro, dalla lettera della norma, che si riferisce alle «regole di diritto scelte dalle parti», anziché a una determinata legge statale. La concessione di tale facoltà non significa peraltro che le valutazioni giuridiche non statali richiamate costituiscano un ordinamento giuridico e che possano in sé fondare la giuridicità del contratto. 64 Si tratta tima decisione l’arbitro unico R.-J. Dupuy affermò che «les contrats entre Etats et persone privées peuvent... sous certaines conditions, relever d’une branche particulière et nouvelle du droit international; le droit international des contrats» e che «l’ordre juridique dont dérive le caractère obligatoire du contrat est le droit international lui-même». 63 Basti al riguardo ricordare la sentenza della Corte permanente di giustizia internazionale nel caso dei prestiti serbi e brasiliani, la sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso della Anglo-Iranian Oil Company nonché i lodi arbitrali Liamco e Aramco citati in precedenza. Cfr. supra, note 24-27. 64 Tra le ricostruzioni volte a sostenere la sottoposizione dei contratti tra Stati e privati stranieri a un c.d. diritto transnazionale (o lex mercatoria), considerato come complesso normativo autonomo e distinto rispetto, sia al diritto interno degli Stati, sia al diritto internazionale: cfr. Goldman, Frontières du droit et lex mercatoria, in Arch. phil. droit, 1964, p. 161 ss.; Id., Les conflits de lois dans l’arbitrage international de droit privé, in Recueil des Cours, t. 109, 1963-II, p. 474 ss.; Id., La lex mercatoria dans les contrats et l’arbitrage international: réalités et perspectives, in Clunet, 1979, p. 475 ss.; Kahn, La vente commerciale internationale, Paris, 1961; Schmitthoff, Das neue Recht des Welthandels, in Zeitschrift für ausländisches und int. Privatrecht, 1964, p. 47 ss.; Lalive, Contrats entre Etats ou entreprises étatiques et personnes privées. Développements récents, in Recueil des Cours, t. 181, 1983-III, p. 9 ss., a p. 163 ss. Un’altra tesi, oggi peraltro quasi del tutto abbandonata, muove nel senso di svincolare la disciplina dei contratti tra Stati e stranieri dal diritto internazionale e dai diritti statali, sostenendo che tali contratti sarebbero «autosufficienti», ossia configurati come fenomeni sottoposti a un sistema giuridico costituito dallo stesso contratto e non identificabile con alcun altro sistema, nazionale e internazionale, nel quale il contratto troverebbe il proprio fondamento e la 32 dottrina invece soltanto di riconoscere la possibile efficacia, nell’ambiente giuridico del trattato sugli investimenti, di regole oggettive del commercio internazionale, quale fenomeno intrinsecamente giuridico che si risolve anch’esso sul piano della vita giuridica internazionale quale realtà trascendente quella propria dei sistemi giuridici nazionali. 65 In mancanza di una designazione del diritto applicabile ad opera delle parti l’art. 42 dispone l’applicazione del diritto dello Stato parte alla controversia – con le relative norme di diritto internazionale privato – unitamente alle norme di diritto internazionale competenti in materia. Nella parte in cui designa la legge dello Stato parte alla controversia quale lex contractus, la disposizione opera come norma di diritto internazionale privato. Invece, nella parte in cui richiama il diritto internazionale, l’art. 42, non potendo operare come norma di diritto internazionale privato, ha lo scopo di fare in modo che gli arbitri tengano conto, nella decisione, di valutazioni giuridiche (consuetudinarie o pattizie) sorte nell’ordinamento internazionale e confluite nell’ambiente giuridico definito dal trattato. In particolare, l’art. 42 riconosce al diritto internazionale una funzione «correttiva», volta ad evitare che gli arbitri operanti nell’ambito del sistema convenzionale possano decidere in contrasto con esso. 66 propria validità: Verdross, Die Sicherung von ausländischen Privatrechten aus Abkommen zur Wirtschafltlichen Entwicklung mit Schiedsklauseln, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, 1958, p. 635 ss.; Id., Quasi-international Agreements and International Economic Transactions, in Year Book of World Affairs, 1964, p. 230 ss. V. inoltre, nel senso che i contratti tra Stati e privati stranieri non traggano la propria validità da un sistema giuridico determinato, ma dalla decisione dei giudici o degli arbitri competenti a dirimere le controversie relative, cfr. Mayer, La neutralisation cit., p. 24 ss. 65 In questo senso, cfr. Carbone, Luzzatto, Il contratto internazionale cit., p. 79 ss., i quali chiariscono che, da un punto di vista teorico, l’esistenza di tali regole come fenomeno intrinsecamente giuridico si spiega ammettendo che l’ordinamento statale non esaurisce la realtà dei valori giuridici sviluppatisi a livello di valori interindividuali, ma si instaura nell’ambito di un piú vasto diritto comune, in esso non formalmente inquadrato, esistente nell’ambito della comunità universale del genere umano. Sul punto, per tutti, cfr. Ziccardi, Diritto internazionale in generale cit., p. 56 ss. Cfr. inoltre Rigaux, Contrats d’Etat cit., p. 504; Id., Les situations juridiques individuelles cit., p. 250 ss. 66 Tale interpretazione costituisce ormai un orientamento consolidato della giurisprudenza ICSID. Tra le prime pronunce, si veda il sopra citato lodo AGIP c. République Démocratique du Congo, 30 novembre 1979, peraltro deciso non in base all’art. 42, ma alla clausola sul diritto applicabile contenuta nel contratto, che aveva una formulazione simile all’art. 42 (cfr. supra, nota 55). Il Tribunale accertò l’illegittimità, anche dal punto di vista del diritto locale designato, dell’ordinanza congolese che aveva nazionalizzato la proprietà dell’investitore, chiarendo peraltro che la decisione sarebbe stata la stessa, in forza del diritto internazionale, anche qualora l’ordinanza fosse stata lecita in base al diritto congolese. Il principio è stato espressamente formulato per la prima volta nella decisione di annullamento nel caso Klöckner Industrie-Anlagen GmbH et autres c. République Unie du Cameroon et Société Camerounaise des Engrais, 3 maggio 1985, estratti in Clunet, 1987, p. 163; trad. inglese dell’o- zeno crespi reghizzi 33 La funzione «correttiva» del diritto internazionale riflette il carattere complesso di ogni operazione di investimento che, realizzandosi attraverso un contratto tra l’investitore e lo Stato ospite, è oggetto di valutazione da parte della lex contractus e tuttavia, inserendosi nel quadro delle relazioni tra Stati aventi ad oggetto la protezione degli investimenti stranieri, viene anche valutata dalle norme internazionali che informano l’ambiente giuridico creato dal trattato. La sua ratio è dunque quella di assicurare l’efficacia giuridica a questo secondo insieme di valutazioni, quando la condotta dello Stato ospite dell’investimento sia formalmente corretta alla luce del diritto contrattuale applicabile – in ipotesi, il diritto di tale Stato – ma contrasti con alcuni standard di protezione degli investimenti contenuti in norme internazionali consuetudinarie o pattizie. Dall’individuazione del fondamento della funzione «correttiva» del diritto internazionale, discendono due corollari sulle modalità del suo intervento. La prima conseguenza è che il diritto internazionale, in quanto clausola generale di compatibilità, deve intervenire soltanto dopo aver applicato la lex contractus alla fattispecie concreta. Sotto questo profilo può ravvisarsi un’analogia tra la funzione «correttiva» del diritto internazionale e il funzionamento del limite dell’ordine pubblico in diritto internazionale privato, operante come noto soltanto in concreto e dopo l’applicazione della legge straniera richiamata. Il secondo corollario è che, in considerazione dell’esigenza di tutela sottesa alla funzione «correttiva» del diritto internazionale, la sua operatività non si limita all’ipotesi di mancata designazione del diritto applicabile ad opera delle parti, ma si estende – oltre la lettera dell’art. 42 – riginale in ICSID Rev., 1986, p. 89; ICSID Rep., 2, 1994, p. 95; Int. Law Rep., 114, 1999, p. 243: «L’article 42 de la Convention de Washington réserve aux principes de droit international un double rôle, soit complémentaire (en cas de «lacune» du droit de l’Etat), soit correctif, au cas où ce droit étatique ne serait pas en tous points conforme aux principes de droit international. Quoi qu’il en soit et dans les deux cas, les arbitres ne peuvent recourir aux principes du droit international qu’après avoir recherché et établi le contenu du droit de l’Etat partie au différend (contenu qui ne saurait être réduit à un principe) et après avoir appliqué les règles pertinentes du droit étatique. Il est donc certain que l’article 42 (1) ne permet pas à l’arbitre d’asseoir sa décision sur les seuls principes du droit international» (corsivi aggiunti). Tra le pronunce successive cfr. i casi Liberia East Timber Corp. (LETCO) v. Republic of Liberia, 31 maggio 1986, in Int. Legal Materials, 1987, p. 647; Int. Law Rep., 89, 1992, p. 313; ICSID Rep., 2, 1994, p. 346; trad. francese per estratti in Clunet, 1988, p. 167: «the law of the Contracting State is recognized as paramount within its own territory, but is nevertheless subject to control by international law»; Amco Asia Corp. and others c. Republic of Indonesia (com. ad hoc, 16 maggio 1986, in Int. Legal Materials, 1986, p. 1439; Int. Law Rep., 89, 1992, p. 514; ICSID Rep., 1, 1993, p. 509; trad. francese per estratti in Clunet, 1987, p. 175: «Article 42 (1)... authorizes an ICSID tribunal to apply rules of international law only to fill up lacunae in the applicable domestic law and to censure precedence to international law norms where the rules of the applicable domestic law are in collision with such norms»; Southern Pacific Properties (Middle East) Ltd. v. Arab Republic of Egypt, 20 maggio 1992, in ICSID Rep., 3, 1995, p. 189; ICSID Rev., 1993, p. 328; Int. Legal Materials, 1993, p. 933, con correzione a p. 1470; trad. francese per estratti in Clunet, 1994, p. 229. 34 dottrina anche all’ipotesi in cui le parti abbiano designato il diritto applicabile. Questa esegesi è dettata dalle regole generali sull’interpretazione dei trattati, e in particolare dall’art. 31 della convenzione di Vienna del 1969, secondo cui occorre attribuire rilievo all’oggetto e allo scopo del trattato. Si deve infatti ritenere che gli Stati parte alla convenzione di Washington abbiano accettato le limitazioni ad alcune delle proprie prerogative – in particolare rinunciando alla protezione diplomatica e impegnandosi a riconoscere all’interno dei propri ordinamenti le decisioni arbitrali ICSID – soltanto a fronte della garanzia che tali decisioni rispettino i valori giuridici espressione dell’ambiente sociale della comunità internazionale. 67 La giurisprudenza ICSID, oltre alla funzione «correttiva» del diritto internazionale, ha anche affermato l’esistenza di una sua funzione «integrativa», che interverrebbe in caso di lacune nel diritto statale applicabile. Da un punto di vista teorico, peraltro, la sua affermazione pare criticabile in quanto presuppone, quantomeno in alcune sue formulazioni, che il diritto statale e il diritto internazionale siano insiemi di valutazioni tra loro fungibili. Soltanto sulla base di tale presupposto è infatti possibile ammettere un rapporto di complementarità tra i due sistemi giuridici. Tuttavia, come si è dimostrato, il diritto statale e il diritto internazionale non sono intercambiabili perché hanno ad oggetto ambiti di applicazione distinti: il primo è volto a regolare relazioni interindividuali; il secondo le relazioni tra gli Stati intesi come enti sovrani tra i quali è ripartito il governo della comunità universale del genere umano. Non può dunque esservi un rapporto di fungibilità tra i due sistemi. Sotto un altro profilo l’interpretazione non è condivisibile dal momento che presuppone la possibilità di lacune nel diritto statale applicabile: il che si scontra con il dato per cui gli ordinamenti giuridici statali, per il loro carattere completo, sono idonei a valutare ogni aspetto della vita giuridica della comunità che governano. 68 L’affermazione di una funzione «integrativa» del diritto internazionale rispetto alla lex contractus può dunque al piú intendersi quale riconoscimento del distinto ambito di operatività dei due sistemi giuridici interessati. 69 67 In questo senso cfr. Lauterpacht, The World Bank cit., p. 655 ss.; Broches, The Convention cit., p. 390 ss.; Bernardini, Le prime esperienze arbitrali del Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti, in Riv. dir. int. priv. proc., 1981, p. 29 ss., a p. 36 ss.; Giardina, La legge applicabile cit., p. 688; Luzzatto, Illecito internazionale cit., p. 181 ss. 68 Cfr. Paladin, Diritto costituzionale, 2ª ed., Padova, 1995, p. 10 ss., il quale osserva che il carattere completo degli ordinamenti statali non esclude che in concreto essi possano presentare lacune, nel senso di non dettare alcuna norma specifica per la valutazione di determinati comportamenti o rapporti. Ma, conclude l’A., la completezza resta ferma nel senso virtuale del termine, ossia come attitudine a risolvere, direttamente o indirettamente, espressamente o inespressamente, positivamente o negativamente, qualunque problema della vita che si ponga nell’ambito del relativo territorio. 69 In questa prospettiva pare significativo il rilievo contenuto nella citata decisione Libe- zeno crespi reghizzi 35 Dalle considerazioni che precedono può trarsi il seguente quadro dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale nelle controversie relative all’esecuzione di un contratto. L’art. 42 della convenzione opera come norma di diritto internazionale privato al fine di determinare la legge regolatrice del contratto. In base ad esso, la lex contractus è quella designata dall’accordo delle parti o, in mancanza di accordo, quella dello Stato parte alla controversia (compreso il relativo diritto internazionale privato). Rispetto alla lex contractus cosı́ individuata il diritto internazionale è chiamato a svolgere una funzione «correttiva», essendo gli arbitri tenuti a verificare che la decisione concreta non contrasti con valutazioni del diritto internazionale. L’esigenza di assicurare il rispetto del diritto internazionale anche in relazione a controversie contrattuali deriva dalla necessità di tutelare le situazioni giuridiche di cui l’investitore è titolare nell’ambiente giuridico creato dal trattato che, come si è visto, costituisce il riflesso di norme internazionali. 8. È ora possibile ricostruire come debba avvenire il coordinamento tra diritto internazionale e diritto interno nei giudizi relativi alla violazione da parte dello Stato di obblighi sanciti dal trattato. Rispetto a queste controversie il diritto internazionale ha un ruolo primario, derivante dalla necessità di stabilire il contenuto degli obblighi posti a carico dello Stato ospite – e dei correlativi diritti dell’investitore – con riferimento all’atto giuridico che li prevede. Poiché tale atto è un trattato internazionale, occorre riferirsi alle regole sulla validità e interpretazione dei trattati esistenti nell’ordinamento internazionale, allo scopo di accertare l’esatto contenuto della volontà degli Stati parte nel momento della definizione dell’ambiente giuridico destinato ad accogliere gli investimenti stranieri. Spesso la norma internazionale applicabile, nel definire i diritti dell’investitore, fa dipendere la produzione di un determinato effetto giuridico – ad esempio il diritto al risarcimento – dal contenuto dell’ordinamento statale. In questi casi occorre esaminare il contenuto del diritto interno per accertare se in esso si sia prodotta la situazione richiesta dalla norma internazionale per la produzione di un determinato effetto giuridico nel sistema del trattato. In questi casi il richiamo del diritto statale non rappresenta peraltro la conseguenza del funzionamento di una norma di diritto internazionale privato, ma discende direttamente dal contenuto materiale della norma internazionale che regola la questione principale. Ne consegue che, rispetto a queste ipotesi, l’art. 42 della convenzione non concorre attivamente alla designazione del diritto applicabile: non rispetto al diritto ria East Timber Corp. (LETCO) v. Republic of Liberia, 31 marzo 1986 (cfr. supra, nota 66), secondo cui «the law of the Contracting State is recognized as paramount within its own territory, but is nevertheless subject to control by international law» (corsivo aggiunto): ciascun sistema giuridico si applica nel proprio ambito di operatività. 36 dottrina internazionale poiché, come si è visto, il diritto internazionale privato è strutturalmente inidoneo ad operare il richiamo di norme di ius gentium; non rispetto al diritto statale, nella misura in cui esso è direttamente presupposto dalla norma internazionale regolante la questione principale. L’art. 42 della convenzione, come si è cercato di dimostrare, si limita in queste ipotesi a riconoscere la competenza del diritto internazionale a definire, nell’ambiente giuridico del trattato, le situazioni giuridiche dell’investitore nei confronti dello Stato ospite, quale riflesso degli standard di trattamento sanciti dallo stesso trattato. Poiché il richiamo del diritto interno dipende dal contenuto della norma internazionale competente, non è evidentemente possibile indicare ex ante le ipotesi in cui esso può avvenire. Tenuto conto della finalità del presente studio può comunque essere utile illustrare un esempio in cui detto riferimento si verifica frequentemente nel contenzioso in materia di investimenti. La questione riguarda la valutazione circa l’esistenza di un investimento, condizione alla quale è subordinata l’efficacia delle norme protettive contenute nei trattati in materia di investimenti. Al riguardo occorre tenere presente che ogni operazione di investimento si realizza attraverso l’acquisto da parte dell’investitore della titolarità di una o piú situazioni giuridiche nell’ordinamento dello Stato ospite. Tale può essere l’acquisto della proprietà (o di un altro diritto reale) di un immobile, di uno stabilimento industriale, di azioni di una società locale, di beni immateriali quali privative industriali, diritti di proprietà intellettuale, licenze amministrative, o di diritti contrattuali. In tutti i casi l’investimento presuppone l’acquisto di una determinata situazione giuridica o di una serie di situazioni giuridiche, acquisto che viene necessariamente valutato dalla legge locale, o eventualmente da una legge straniera i cui effetti siano riconosciuti dall’ordinamento locale. Per contro, la nozione di investimento appartiene al diritto internazionale. Essa è contemplata dalla convenzione di Washington, il cui art. 25 – senza peraltro definirla – la pone come requisito per la competenza del Centro. Il diritto locale non ha competenza per definire gli investimenti, poiché diversamente la protezione garantita dai trattati potrebbe essere unilateralmente disapplicata dallo Stato ospite, mediante una nuova definizione legislativa di investimento. La definizione va invece ricercata nei trattati bilaterali o multilaterali, i quali hanno competenza ad indicare i tipi o le categorie di investimenti che rientrano nel sistema di protezione definito dai medesimi. 70 Il trattato, che ha compe- 70 Cfr. ad es. la definizione di investimento contenuta nell’art. 1 del modello di BIT per gli Stati Uniti del 2004: «‘‘Investment’’ means every asset that an investor owns or controls, directly or indirectly, that has the characteristics of an investment, including such character- zeno crespi reghizzi 37 tenza per definire le situazioni giuridiche che configurano un investimento, rinvia alla legge locale per la valutazione circa l’esistenza di quest’ultimo e circa la titolarità di esso in capo all’investitore. Una volta che questi abbia acquisito tale situazione nell’ordinamento locale, egli diviene automaticamente titolare di diritti propri nel sistema del trattato. Conseguentemente, eventuali mutamenti successivi del diritto locale, o eventuali atti dello Stato ospite che condizionino il fascio di diritti costituenti l’investimento, saranno sottoposti al vaglio degli standard fissati dal trattato stesso. Al di fuori della materia degli investimenti – e quindi dell’ambiente giuridico creato dai trattati – un modello analogo di coordinamento tra diritto internazionale e diritto interno si verifica nell’applicazione della regola consuetudinaria sul rispetto dei diritti quesiti in base alla quale, pur essendo ogni Stato libero di attribuire o meno determinati diritti ai soggetti stranieri secondo il proprio ordinamento, esso è tenuto a rispettare i diritti che siano stati acquistati dai singoli. Il rapporto tra diritto internazionale e diritto interno con riferimento a questa norma è stato chiaramente illustrato dal giudice Morelli nell’opinione individuale allegata alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 5 febbraio 1970 nel caso della Barcelona Traction Light and Power Limited: «La règle internationale suppose une certaine attitude de l’ordre juridique étatique, dans le sens qu’elle a égard uniquement à des intérêts qui, dans cet ordre juridique, ont déjà reçu une certaine protection moyennant l’attribution de droits subjectifs ou d’autres situations juridiques subjectives favorables (facultés, pouvoirs juridiques, expectatives); attitude de l’ordre juridique qui, en soi, n’est pas obligatoire. C’est en supposant cette donnée, résultant de l’ordre juridique interne, que la règle internationale oblige l’Etat à un certain comportement par rapport aux intérêts dont il s’agit: par rapport, pourrait-on dire désormais, aux droits subjectifs par lesquels les intérêts en question sont protégés dans l’ordre juridique interne... le fait que les règles internationales dont il s’agit envisagent uniquement les intérêts des étrangers constituant déjà, pour l’ordre interne, des droits subjectifs, n’est que la conséquence nécessaire du contenu même des obligations imposées par ces règles : obligations qui supposent précisé- istics as the commitment of capital or other resources, the expectation of gain or profit, or the assumption of risk. Forms that an investment may take include: (a) an enterprise; (b) shares, stock, and other forms of equity participation in an enterprise; (c) bonds, debentures, other debt instruments, and loans; (d) futures, options, and other derivatives; (e) turnkey, construction, management, production, concession, revenue-sharing, and other similar contracts; (f) intellectual property rights; (g) licenses, authorizations, permits, and similar rights conferred pursuant to domestic law; and (h) other tangible or intangible, movable or immovable property, and related property rights, such as leases, mortgages, liens, and pledges». 38 dottrina ment des droits subjectifs conférés aux étrangers par l’ordre juridique étatique». 71 Il riferimento della norma internazionale a situazioni giuridiche prodottesi nell’ambito dell’ordinamento interno si verifica frequentemente nelle norme sul trattamento degli stranieri. Tale settore del diritto internazionale è composto, appunto, da valutazioni rivolte alle modalità con cui gli Stati governano la comunità umana stanziata sul rispettivo territorio. Proprio perché questa attività di governo si esprime perlopiú attraverso provvedimenti legislativi, amministrativi o giudiziari costitutivi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche private, la norma internazionale, per valutare detta attività di governo, si riferisce spesso alle valutazioni giuridiche interne e alle correlative situazioni giuridiche. A differenza di quanto avviene in presenza di umbrella clause (come si vedrà tra breve), esse vengono richiamate non già come valori giuridici, ma come fatti, rappresentando il risultato concreto dell’attività di governo oggetto di valutazione da parte della norma internazionale. 9. A conclusione del presente studio pare utile interrogarsi su come avvenga il coordinamento tra diritto internazionale e diritto interno nelle controversie nascenti dalla pretesa violazione, da parte dello Stato, di una c.d. umbrella clause, ossia della clausola, contenuta nel trattato internazionale applicabile, con cui gli Stati parte si impegnano a rispettare tutti gli obblighi assunti in relazione agli investimenti stranieri. 72 71 In I.C.J. Reports, 1970, p. 222 ss., a p. 233. Per un accostamento tra la regola dei diritti quesiti e le controversie in materia di investimento cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., p. 197 ss. 72 Su tali clausole, anche indicate come «clauses de couverture», «clauses d’effet miroir», «elevator clauses», «sanctity of contract clauses», cfr. Carlevaris, La competenza dei tribunali arbitrali internazionali tra violazione dei trattati sugli investimenti e violazione delle obbligazioni contrattuali, in Riv. arb., 2004, p. 430 ss.; Bergamini, Il caso Noble Ventures e «the Umbrella Clause Problem», ibidem, 2007, p. 118 ss.; Weil, Problèmes relatifs aux contrats passés entre un Etat et un particulier cit., p. 132 ss. Mann, British Treaties for the Promotion and Protection of Investments, in British Year Book Int. Law, 1981, p. 241 ss., a p. 246; Dolzer, Stevens, Bilateral Investment Treaties, Leiden, 1995, p. 81 ss.; Shihata, Applicable Law cit., p. 601 ss.; Gaillard, L’arbitrage sur le fondement des traités de protection des investissements, in Rev. arb., 2003, p. 853 ss., a p. 868 ss.; Sinclair, The Origins of the Umbrella Clause in the International Law of Investment Protection, in Arb. Int., 2004, p. 411 ss.; Schreuer, Travelling the BIT Route: of Waiting Periods, Umbrella Clauses and Forks in the Roads, in Journ. of World Investment, 2004, p. 231 ss.; Wälde, The Umbrella Clause in Investment Arbitration. A Comment on Original Intentions and Recent Cases, in Journ. of World Inv. and Trade, 2005, p. 183 ss.; Alexandrov, Breaches of Contract and Breaches of Treaty. The Jurisdiction of Treaty-based Arbitration Tribunals to Decide Breach of Contract Claims in SGS v. Pakistan and SGS v. Philippines, in Journ. of World Inv. and Trade, 2004, p. 555 ss.; Gill, Gearing, Birt, Contractual Claims and Bilateral Investment Treaties: A Comparative Review of the SGS Cases, in Journ. of Int. Arb., 2004, p. 397 ss.; Ben Hamida, La clause relative au respect des engagements dans les traités d’investissement, in Le contentieux arbitral zeno crespi reghizzi 39 Storicamente l’inserimento di tali clausole nei trattati in materia di investimenti risponde all’esigenza di assicurare ai contratti stipulati tra Stati e privati stranieri la protezione offerta dalla equiparazione di ogni inadempimento contrattuale dello Stato nei confronti del privato straniero a un illecito internazionale nei confronti dello Stato nazionale di questi. 73 Esempi di umbrella clause si ritrovano nella proposta AbsShawcross del 1959 per una convenzione sugli investimenti all’estero, il cui art. II prevedeva che «each Party shall at all times ensure the observance of any undertakings which may it have given in relation to investments made by nationals of any other Party» 74 e nel progetto OCSE del 1967 per una convenzione sulla protezione della proprietà degli stranieri, il cui art. 2 prevedeva che «each Party shall at all times ensure the observance of undertakings given by it in relation to property transnational relatif à l’investissement, Louvain-la Neuve, 2006, p. 53 ss.; Shany, Contract Claims vs. Treaty Claims cit., p. 835 ss.; Lemaire, Treaty claims et contract claims: la compétence du CIRDI à l’épreuve de la dualité de l’Etat, in Rev. arb., 2006, p. 353 ss.; YannacaSmall, Interpretation of the Umbrella Clause in Investment Agreements, in OECD, International Investment Law: Understanding Concepts and Tracking Innovations, Paris, 2008, p. 101 ss. 73 Cfr. Sinclair, The Origins of the Umbrella Clause cit., p. 413 ss., il quale cita, tra gli esempi piú risalenti dell’uso di un trattato allo scopo di concedere la protezione del diritto internazionale ad interessi privati, l’accordo del 27 agosto 1921 tra il Regno Unito e il Perú relativo alla concessione mineraria di La Brea y Pariñas, detenuta da sudditi britannici. Essendo sorta una controversia circa l’applicazione alla concessione di taluni decreti peruviani, il trattato istituiva un procedimento arbitrale per la composizione della controversia tra il governo peruviano e l’investitore, prevedendo altresı́ l’impegno del Perú ad osservare la decisione ed a considerare il suo rispetto come una questione di diritto internazionale: in League of Nations Treaty Series, VII, 1921, n. 195, n. 280. In questo caso, peraltro, la protezione del diritto internazionale era rivolta non già agli impegni contrattuali assunti dal Perù verso il privato, bensı́ alle statuizioni contenute nella decisione del costituendo tribunale arbitrale. Cfr. inoltre il parere reso dal prof. Elihu Lauterpacht nel 1954 su richiesta della Anglo-Iranian Oil Company in relazione a un accordo da raggiungere con il governo iraniano per comporre la controversia sorta con la nazionalizzazione dell’industria petrolifera iraniana. Nel parere il prof. Lauterpacht suggeriva che tutti i contratti tra la Anglo-Iranian Oil Company, da una parte, e la National Iranian Oil Company o il governo iraniano, dall’altra parte, fossero incorporati in un trattato tra l’Iran e il Regno Unito, di modo che ogni violazione del contratto fosse ipso facto considerata anche come violazione del trattato. Il trattato di protezione proposto dal Lauterpacht non fu poi concluso. Poiché il parere, a quanto consta, non è pubblicato, la citazione proviene da Sinclair, The Origins of the Umbrella Clause cit., p. 415. 74 Il testo del progetto è pubblicato in Journ. Public Law, 1960, p. 116 ss.; rist. in UNCTAD, International Investment Instruments: A compendium, United Nations, New York, 2000, V, p. 395. La proposta del 1959 nacque dalla collaborazione tra Hermann Abs, presidente della Deutsche Bank, e Hartley Shawcross, già amministratore della Shell Petroleum Company, i quali avevano in precedenza elaborato separatamente due proposte di convenzione internazionale. Cfr. Seidl-Hohenveldern, The Abs-Schawcross Draft Convention to Protect Private Foreign Investment: Comments on the Round Table, in Journ. Public Law, 1961, p. 100 ss.; Sinclair, The Origins of the Umbrella Clause cit., p. 418 ss.; Yannaca-Small, Interpretation of the Umbrella Clause cit., p. 101 ss. 40 dottrina of any other Party». 75 Secondo una stima recente circa il 40% dei BIT oggi esistenti contiene una umbrella clause. 76 Per comprendere il significato di tali clausole occorre ricordare che, secondo il già esaminato principio di autonomia dell’ordinamento internazionale rispetto agli ordinamenti interni, l’inadempimento da parte dello Stato di un contratto concluso con un privato straniero non costituisce in sé un illecito internazionale, mancando una norma internazionale che prescriva agli Stati di adempiere ai contratti con i privati stranieri. 77 Dal diritto internazionale tale principio si riflette nell’ambiente giuridico creato dal trattato sugli investimenti, in cui l’inadempimento dello Stato può costituire un illecito soltanto ove la sua condotta violi obblighi specifici, quali sono gli standard di trattamento degli investimenti sanciti dai BIT. Ebbene, lo scopo delle umbrella clause è proprio di fornire nell’ambiente giuridico creato dal trattato – tra gli standard vincolanti in materia di investimenti – una valutazione che prescriva agli Stati l’adempimento degli obblighi verso i privati, equiparando ogni loro inadempimento a una violazione del trattato. 78 La ratio dell’inserimento di una umbrella clause nei trattati di promozione e protezione degli investimenti è quella di offrire al privato l’affidamento sul fatto che ogni inadempimento contrattuale sarà considerato tra gli Stati parte come violazione del trattato. È evidente che una clausola siffatta introduce uno tra i piú elevati standard di trattamento degli investimenti stranieri, poiché lo Stato ospite si impegna non solo come legislatore a mantenere un quadro giuridico favorevole all’investitore, ma anche come soggetto di diritto a rispettare gli obblighi assunti verso l’investitore con lo specifico contratto concluso. Naturalmente, perché sia possibile sottoporre la condotta dello Stato a un controllo tanto incisivo, occorre accertare che effettivamente esso abbia espresso il proprio consenso in tal senso. Tale verifica va compiuta ricer- 75 Draft Convention on the protection of foreign property and Resolution of the Council of the OECD on the Draft Convention, in OECD Publ., n. 23081, novembre 1967. Il testo della proposta è pubbl. in Int. Legal Materials, 1968, p. 117; rist. in UNCTAD, International Investment Instruments cit., II, p. 113. Sempre in ambito OECD vanno ricordati i progetti del gruppo di lavoro per un accordo multilaterale sugli investimenti (MAI), attivo fra il 1995 e il 1998. Anche tale proposta conteneva due formulazioni per una «clausola di rispetto». 76 Cfr. Gill, Gearing, Birt, Contractual Claims and Bilateral Investment Treaties cit., n. 37. 77 Cfr. supra, par. 3. 78 Cfr. Weil, Problèmes relatifs aux contrats passés entre un Etat et un particulier cit., p. 132 ss.; Mann, British Treaties for the Promotion and Protection of Investments cit., p. 246; Dolzer, Stevens, Bilateral Investment Treaties cit., p. 81 ss.; Shihata, Applicable Law cit., p. 601 ss.; Gaillard, L’arbitrage sur le fondement des traités de protection des investissements cit., p. 868 ss.; Schreuer, Travelling the BIT Route cit., p. 231 ss.; Carlevaris, La competenza dei tribunali arbitrali internazionali cit., p. 430 ss. zeno crespi reghizzi 41 cando la volontà degli Stati parte secondo le regole consuetudinarie sull’interpretazione dei trattati codificate negli artt. 31 e seguenti della convenzione di Vienna, tenendo presente che la formulazione delle umbrella clause varia nei diversi BIT. Ciò spiega perché i tribunali arbitrali ICSID abbiano risolto con decisioni di segno tra loro opposto il problema relativo alla possibilità di qualificare, in presenza di una umbrella clause, inadempimenti contrattuali dello Stato come violazioni del trattato. In particolare è stato giudicato che un inadempimento contrattuale non costituisse un illecito nei casi in cui il testo del trattato portava a ritenere che gli Stati parte non avessero inteso assumere tale specifico impegno. 79 È stata invece ammessa questa possibilità ogniqualvolta la umbrella clause contenuta nel trattato applicabile, interpretata alla luce del suo oggetto e del suo scopo, esprimeva la volontà delle parti di considerare un inadempimento contrattuale come violazione del trattato stesso. 80 In altri casi, che si collocano in posizione intermedia, è stato accertato che con tale 79 Cfr. anzitutto il caso SGS Société Générale de Surveillance SA v. Islamic Republic of Pakistan (decisione sulla competenza), 6 agosto 2003 cit. supra, nota 8: in quel caso la clausola prevedeva che «either contracting Party shall constantly guarantee the observance of the commitments it has entered into with respect to the investments of the investors of the other contracting Party» (art. 11). Gli arbitri hanno ritenuto che la clausola non avesse l’effetto di equiparare ogni inadempimento a una violazione del trattato, ma semplicemente che rafforzasse genericamente il carattere vincolante degli obblighi sanciti dal trattato. A tal fine gli arbitri si sono fondati sia sul tenore letterale della clausola, sia sul fatto che nel trattato essa fosse inserita tra le disposizioni finali, separata dalle clausole sugli standard di trattamento degli investimenti da due articoli sulla composizione delle controversie. In altri BIT l’articolo contenente la umbrella clause è inserito subito dopo gli articoli che fissano gli altri obblighi di trattamento: cfr. Yannaca-Small, Interpretation of the Umbrella Clause cit., p. 110 ss. È interessante osservare che, nel caso Noble Ventures Inc. v. Romania (cit. alla nota seguente), gli arbitri, per giustificare lo scostamento dal precedente costituito dal caso SGS v. Pakistan, hanno rilevato che, in quel caso, l’art. 11 del BIT Svizzera-Pakistan contenente la umbrella clause doveva essere interpretato «as implicitly setting an international obligation of result for each Party to be fulfilled through appropriate means at the municipal level but without necessarily elevating municipal law obligations to international ones» (par. 58). Per ulteriori decisioni negative, cfr. Joy Mining Machinery Ltd. v. Arab Republic of Egypt (decisione sulla competenza), 6 agosto 2004 cit. (supra, nota 8); Salini Costruttori S.p.A. and Italstrade S.p.A. v. Hashemite Kingdom of Jordan cit. (supra, nota 8); Pan American Energy LLC and BP Argentina Exploration Company v. Argentina (decisione sulla competenza), 27 luglio 2006, in www.icsid.worldbank.org. 80 Cfr. la decisione SGS Société Générale de Surveillance SA v. Republic of Philippines (decisione sulla competenza), 29 gennaio 2004 cit. (supra, nota 8), in cui peraltro gli arbitri hanno precisato che, laddove il contratto contenga una clausola di giurisdizione esclusiva a favore dei giudici statali o una clausola compromissoria per le controversie contrattuali, il tribunale ICSID adito sulla base della clausola di copertura contenuta nel trattato è tenuto a sospendere il giudizio in attesa che il giudice competente si pronunci. Nello stesso senso, v. Sempra Energy International v. Argentine Republic (decisione sulla competenza), 11 maggio 2005, in www.icsid.worldbank.org; Eureko B.V. v. Poland (lodo parziale reso in un arbitrato ad hoc), 19 agosto 2005, in www.ita.law.uvic.ca; Noble Ventures Inc. v. Romania, 12 ottobre 42 dottrina clausola gli Stati parte al trattato avessero inteso obbligarsi reciprocamente a rispettare non già ogni obbligazione contrattuale, ma soltanto gli impegni assunti in qualità di enti sovrani, quali ad esempio gli impegni sanciti da clausole di stabilizzazione. 81 La struttura e il contenuto delle umbrella clause si riflettono sui rapporti tra diritto internazionale e diritto interno nel giudizio sulla responsabilità dello Stato, la quale sorge – nell’ambiente giuridico del trattato – a seguito di una violazione da parte del medesimo Stato del diritto dell’investitore sorto per effetto del contratto. In questa prospettiva, la competenza del diritto internazionale deriva dalla natura internazionale dell’atto giuridico contenente tale clausola. La competenza del diritto interno deriva dal fatto che il contratto, in quanto tale, è disciplinato dalla lex contractus, essendo il diritto internazionale strutturalmente inidoneo a disciplinare relazioni interindividuali. 82 In questo modo, diritto internazionale e diritto interno concorrono a definire una posizione giuridica propria dell’investitore localizzata nell’ambiente giuridico del trattato. 83 Il rapporto appena descritto tra diritto internazionale e diritto interno in presenza di una umbrella clause presenta diverse analogie con il caso in precedenza esaminato, nel quale la controversia derivi dalla violazione di 2005, in Riv. arb., 2007, p. 107 ss.; LG&E Energy Corp. and others v. Argentine Republic, 3 ottobre 2006 cit. (supra, nota 48). 81 Cfr. CMS Gas Transmission Company v. Argentina (decisione sulla competenza) 17 luglio 2003 cit. (supra, nota 8); El Paso Energy International Company v. Argentina (decisione sulla competenza), 27 aprile 2006, in ICSID Rev., 2006, p. 488: «In view of the necessity to distinguish the State as a merchant, especially when it acts through instrumentalities, from the States as a sovereign, the Tribunal considers that the ‘umbrella clause’ in the Argentine-US BIT... can be interpreted in the light of Article VII (1) which clearly includes among the investment disputes under the Treaty all disputes resulting from a violation of a commitment given by the State as a sovereign State, either through an agreement, an authorization, or the BIT... Interpreted this way, the umbrella clause read in conjunction with Article VII, will not extend the Treaty protection to breaches of an ordinary commercial contract entered into by the State or a State-owned entity, but will cover additional investment protections contractually agreed by the State as a sovereign – such as a stabilization clause – inserted in an investment agreement» (par. 81, corsivo aggiunto). Per una ricostruzione in questo senso, cfr. Wälde, The Umbrella Clause cit., p. 183 ss. Sulle c.d. clausole di stabilizzazione, cfr. supra nel testo, alla nota 56. 82 Come illustrato in precedenza (cfr. supra, par. 7), esso destinato a regolare unicamente relazioni tra Stati, intesi quali centri politici fra cui è suddiviso il governo della comunità universale del genere umano. Le relazioni contrattuali tra Stati e privati stranieri rinvengono la propria disciplina nei sistemi normativi volti a regolare le relazioni tra privati, coincidenti normalmente con gli ordinamenti giuridici statali. 83 Tale situazione è diversa da quella sorta nell’ordinamento della lex contractus, di cui egli è pure titolare. Le umbrella clause presuppongono l’esistenza del contratto e la sua disciplina da parte del sistema di valutazioni giuridiche della lex contractus, equiparando l’inadempimento contrattuale dello Stato a una violazione del trattato. zeno crespi reghizzi 43 altri standard di trattamento degli investimenti, quali ad esempio il divieto di espropriazioni senza indennizzo, l’obbligo di trattamento giusto ed equo, o il divieto di discriminazione. In quell’ipotesi, si è osservato, la norma di condotta internazionale opera diversi riferimenti al diritto statale, e ciò sia per l’accertamento dell’esistenza di un investimento, sia per il giudizio sulla compatibilità delle norme statali con la norma internazionale stessa. In presenza di una umbrella clause, peraltro, il rinvio del diritto internazionale al diritto interno opera diversamente, non già per valutare la compatibilità dell’ordinamento interno con gli impegni sanciti dal trattato, bensı́ per riflettere nell’ambiente giuridico creato dal trattato la valutazione sulla condotta dello Stato da parte della lex contractus. Diversamente dal primo, in questo secondo caso il contenuto dell’ordinamento non viene piú considerato come «fatto», ma come valore giuridico, la cui valutazione – positiva o negativa – si riflette nel giudizio sulla lesione da parte dello Stato della posizione dell’investitore definita dal trattato. Tale differenza riflette il diverso oggetto del giudizio nelle due ipotesi. Nella prima il sindacato degli arbitri verte sulla condotta dello Stato come sovrano ed ha pertanto ad oggetto l’accertamento della compatibilità, rispetto agli standard sanciti dal trattato, dell’ordinamento giuridico di cui esso è titolare e che, rispetto a tale giudizio, viene considerato come fatto. Nella seconda ipotesi, invece, esso verte sulla condotta dello Stato come soggetto parte di una relazione giuridica contrattuale, e quindi come tale sottoposto all’ordinamento della lex contractus. Nell’ambiente giuridico definito dal trattato, quest’ultima viene quindi presa in considerazione non come fatto, ma come valore giuridico. Ciò spiega perché, nelle controversie nascenti dalla violazione di umbrella clause, l’accertamento dell’illecito compiuto di tribunali ICSID (o da un diverso tribunale arbitrale eventualmente previsto dal trattato) coincide pressoché integralmente con l’accertamento dell’inadempimento che compirebbe un giudice statale o un arbitro competente a dirimere le controversie contrattuali. Tale parziale coincidenza può dar luogo, in presenza di una clausola nel contratto che fissi la competenza di giudici statali o di arbitri contrattuali, a un conflitto tra la giurisdizione del tribunale arbitrale ICSID e quella del giudice statale (o l’arbitro) designato dal contratto. Nel noto giudizio SGS v. Philippines, 84 il tribunale ICSID, pur ammettendo di poter conoscere dell’esecuzione del contratto in base alla umbrella clause contenuta nel BIT, ha disposto la sospensione del giudizio in attesa dell’accertamento, da parte del giudice o dell’arbitro competente, dell’eventuale inadempimento del contratto da parte dello Stato. Benché la decisione abbia suscitato riserve 84 Cfr. supra, nota 8. 44 dottrina tra i commentatori, 85 la soluzione in essa accolta pare giustificata in base alla considerazione per cui, nell’assetto contrattuale voluto dalle parti – cui la umbrella clause rinvia, come si è detto – vi è la scelta della giurisdizione statale o dell’arbitrato contrattuale come mezzo di risoluzione delle controversie. 86 85 In senso contrario cfr., per tutti, l’opinione dissenziente dell’arbitro Crivellaro nel caso SGS c. Filippine, nonché Carlevaris, La competenza cit., p. 454 ss., le cui perplessità si concentrano peraltro soprattutto sulle difficoltà applicative della decisione. 86 Cfr. Douglas, The Hybrid Foundations cit., pp. 259 ss. e 284 ss. RASSEGNE L’UTILIZZABILITÀ DEI MEZZI DI PROVA NEL PROCESSO PENALE SECONDO LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO di MARIA ALESSANDRA LOIODICE dottore in giurisprudenza Sommario: 1. Il carattere indiretto del controllo sulle prove nella giurisprudenza della Corte. – 2. Il problema della ammissibilità di prove acquisite in violazione di norme interne o della convenzione: il rilievo dell’art. 3. – 3. Segue: le prove acquisite in violazione dell’art. 8 o del diritto al silenzio. I criteri per accertare l’incidenza delle prove illegali sul carattere equo del processo. – 4. L’assunzione di testimonianze a carico dell’imputato tra diritti della difesa e tutela degli interessi dei testimoni: i c.d. testimoni assenti. – 5. Segue: i testimoni anonimi. – 6. Segue: Le dichiarazioni dei pentiti. I testimoni a discarico. – 7. Le operazioni sotto copertura. 1. La Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora innanzi la Corte) è stata chiamata a pronunciarsi a piú riprese sulla questione dell’ammissibilità e utilizzabilità dei mezzi di prova nel processo penale. Essa, in tali occasioni, ha precisato che il proprio compito non consiste nel determinare se particolari tipi di prove siano ammissibili e utilizzabili, ma nel verificare se la procedura nel suo complesso, incluso il modo in cui la prova è stata ottenuta, sia stata equa ai sensi dell’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora innanzi «convenzione»). 1 La Corte, dunque, non ricava dalla citata disposizione 1 Cfr. le sentenze della Corte nei casi: Engel e a. c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, par. 91; Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1988, par. 46; Kostovski c. Paesi Bassi, 20 novembre 1989, par. 39; Bricmont c. Belgio, 7 luglio 1989, par. 89; Windisch c. Austria, 27 settembre 1990, par. 25; Delta c. Francia, 19 dicembre 1990, par. 35; Isgrò c. Italia, 19 febbraio 1991, par. 31; Asch c. Austria, 26 aprile 1991, par. 26; Vidal c. Belgio, 22 aprile 1992, par. 33; Lüdi c. Svizzera, 15 giugno 1992, par. 43; Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, par. 67; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, 7 agosto 1996, par. 48; Van Mechelen e a. c. Paesi Bassi, 23 aprile 1997, par. 50; Texeira de Castro c. Portogallo, 9 giugno 1998, par. 34; A.M. c. Italia, 14 dicembre 1999, par. 24; Khan c. Regno Unito, 12 maggio 2000, par. 34; Pisano c. Italia, 27 luglio 2000, par. 21; Lucà c. Italia, 27 febbraio 2001, par. 38; Sadak c. Turchia, 17 luglio 2001, par. 63; P.G. e J.H. c. Regno Unito, 25 settembre 2001, par. 76; Solakov c. ex Repubblica iugoslava, 31 ottobre 2001, par. 57; P.S. c. Germania, 20 dicembre 2001, par. 19; Allan c. Regno Unito, 5 novembre 2002, par. 42; S.N. c. Svezia, 2 luglio 2002, par. 44; Craxi c. Italia, 5 dicembre 2002, par. 46 rassegne l’esistenza di un diritto alla prova, ma condiziona la questione dell’utilizzabilità degli elementi di prova alla verifica dell’equità del processo. Tale giurisprudenza potrebbe suscitare qualche perplessità in quanto il par. 3 lett. d dell’art. 6 sembrerebbe sancire un vero e proprio diritto, quanto meno limitatamente alla prova testimoniale; esso, infatti, prevede che ogni accusato ha diritto di «esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni di quelli a carico». La Corte, però, ha chiarito in piú occasioni che la disposizione di cui al par. 3 lett. d dell’art. 6 non è che uno degli aspetti del diritto ad un processo equo garantito dal par. 1 della stessa disposizione. 2 L’interpretazione adottata potrebbe sembrare poco garantista delle esi- 84; Hulki Gunes c. Turchia, 19 giugno 2003, par. 86; Rachdad c. Francia, 13 novembre 2003, par. 23; Morel c. Francia (n. 2), 12 febbraio 2004, par. 63; Destrehem c. Francia, 18 maggio 2004, par. 39, 40; Mayali c. Francia, 14 giugno 2005, par. 31; Bracci c. Italia, 13 ottobre 2005, par. 50; Vanyan c. Russia, 15 dicembre 2005, par. 45; Bocos-Cuesta c. Paesi Bassi, 10 novembre 2005, par. 67; Vaturi c. Francia, 13 aprile 2006, par. 49; Zentar c. Francia, 13 aprile 2006, par. 26; Carta c. Italia, 20 aprile 2006, par. 47; Jalloh c. Germania, 11 luglio 2006, par. 94, 95; Gossa c. Polonia, 9 gennaio 2007, par. 52; V. c. Finlandia, 24 aprile 2007, par. 69; Muttilainen c. Finlandia, 22 maggio 2007, par. 21; Harutyunyan c. Armenia, 28 giugno 2007, par. 60, 61; Ramanauskas c. Lituania, 5 febbraio 2008, par. 52. Tutte le decisioni si leggono sul sito della Corte: www.coe.int. Per approfondimenti dottrinali sull’art. 6 nel sistema della convenzione e sul principio dell’equo processo cfr. Chiavario, La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Milano, 1969; Starace, La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e l’ordinamento italiano, Bari, 1992; Harris, O’Boyle, Warbrick, Law of the European Convention on Human Rights, London, 1995; Ubertis, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto processo, Milano, 2000; Van Dijk, Van Hoof, Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, 3a ed., The Hague, 1998; De Salvia, La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Procedure e contenuti, 2a ed., Napoli, 1999; Pettiti, Decaux, Imbert (dir.), La Convention Européenne des Droits de l’Homme. Commentaire article par article, Paris, 1999; Grevi, Alla ricerca di un processo penale «giusto», Milano, 2000; Bartole, Conforti, Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001; Focarelli, Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2001; Nascimbene (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Profili ed effetti nell’ordinamento italiano, Milano, 2002. 2 La Corte, infatti, tutte le volte in cui si è pronunciata in ordine alla violazione del par. 3 lett. d dell’art. 6, ha ritenuto di esaminare le doglianze dei ricorrenti ai sensi dell’art. 6 par. 1 e dell’art. 6 par. 3 considerati unitariamente. Cfr. le sentenze nei casi: Unterpertinger c. Austria, 24 novembre 1986, par. 29; Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 39; Windisch c. Austria cit., par. 23; Delta c. Francia cit., par. 34; Isgrò c. Italia cit., par. 31; Asch c. Austria cit., par. 25; Lüdi c. Svizzera cit., par. 43; Artner c. Austria, 28 agosto 1992, par. 19; Doorson c. Paesi Bassi cit., par. 66; Pullar c. Regno Unito, 10 giugno 1996, par. 45; Ferrantelli e Santangelo c. Italia cit., par. 51; Van Mechelen e a. c. Paesi-Bassi cit., par. 49; A.M. c. Italia cit., par. 23; Lucà c. Italia cit., par. 37; Solakov c. ex Repubblica iugoslava cit., par. 56; P.S. c. Germania cit., par. 20; S.N. c. Svezia cit., par. 43; Hulki Gunes c. Turchia cit., par. 87; Rachdad c. Francia cit., par. 23; Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 64; Mayali c. Francia cit., par. 31; Bracci c. Italia cit., par. 49; Bocos-Cuesta c. Paesi Bassi cit., par. 64; Vaturi c. Francia cit., par. 49; Zentar c. Francia cit., par. 26; Carta c. Italia cit., par. 46; Balsan c. Repubblica ceca, 18 luglio 2006, par. 29; Gossa c. Polonia cit., par. 51. rassegne 47 genze della difesa dato che, se si ammette la tutela diretta del diritto alla prova testimoniale, dovrebbe costituire automatica violazione della convenzione ogni caso in cui non siano stati esaminati da parte della difesa testi a carico, né siano stati escussi testi a discarico; mentre, attribuendo rilievo alla prova testimoniale solo in quanto incida sul carattere equo del processo, è ammissibile che, pur non essendo state attuate le condizioni di cui all’art. 6 par. 3 lett. d, ugualmente non venga rilevata una violazione della convenzione perché il processo appare equo nel suo complesso. 3 In realtà, tale posizione della Corte sembra essere motivata dalla esigenza di lasciare aperta la possibilità di esercitare in modo ampio il proprio controllo, ancorché indiretto, in materia di ammissibilità delle prove. Desumere, infatti, il diritto alla prova dalla disposizione sull’escussione dei testimoni avrebbe potuto condurre a ritenere, per interpretazione a contrario, che, non avendo la convenzione previsto espressamente altre garanzie in materia di prova, le questioni diverse dall’assunzione di testimoni dovessero essere escluse dall’esame della Corte. Riconducendo, invece, anche l’art. 6 par. 3 lett. d all’applicazione del principio dell’equo processo, per interpretazione estensiva se ne è tratto il fondamento per giustificare il controllo di altri mezzi di prova con riferimento a tale principio. 2. Un primo gruppo di questioni affrontate nella materia in esame riguarda l’utilizzabilità delle prove acquisite illegalmente. In molte occasioni, infatti, sono stati sottoposti all’attenzione della Corte casi di condanne penali basate su prove ottenute violando previsioni normative; essa ha operato una distinzione a seconda che l’illegalità in causa trovasse la sua origine in una violazione del diritto interno o di qualche disposizione della convenzione. Con riguardo alla prima ipotesi, già a partire dal caso Schenk c. Svizzera, è stato ritenuto che un processo può essere considerato equo anche se la colpevolezza dell’accusato è stabilita a mezzo di elementi di prova raccolti in violazione delle norme interne, purché sussistano determinate condizioni che saranno tra breve analizzate. In particolare, trattandosi della registrazione di una conversazione telefonica fatta illegalmente perché non autorizzata dall’autorità competente, la Corte ha escluso la violazione dell’art. 6: in primo luogo, in quanto non vi era stata la violazione dei diritti della difesa, avendo avuto quest’ultima la possibilità di contestare l’autenticità della registrazione in discussione; 4 in secondo luogo, perché tale registrazione non aveva costituito il solo mezzo di prova preso in considerazione per motivare la condanna. 5 3 4 5 Tale questione relativa alla prova testimoniale verrà affrontata infra, par. 4, 5, e 6. Cfr. la sentenza Schenk c. Svizzera cit., par. 47. Ivi, par. 48. 48 rassegne Se una prova ottenuta in violazione delle norme del diritto interno non esclude necessariamente il carattere equo del processo che si basa su di essa, non si può tuttavia affermare che una prova raccolta in conformità con le previsioni della legge statale comporti automaticamente la conformità anche alle garanzie di cui all’art. 6 della convenzione. In tal caso, occorre verificare, in primo luogo, se la prova sia stata acquisita in violazione di altri diritti garantiti dalla convenzione stessa e, in secondo luogo, quale sia la natura della violazione riscontrata. Tre sono le norme pattizie che, nella giurisprudenza della Corte, vengono in rilievo in materia di prova: l’art. 3, l’art. 8 e lo stesso art. 6 considerato sotto il profilo non del generale diritto all’equo processo, ma degli specifici diritti nel processo da esso riconosciuti, in particolare del diritto dell’imputato al silenzio. 6 A tali norme la Corte ha attribuito un rilievo differente in quanto, mentre ha ritenuto che la violazione del divieto di tortura posto dall’art. 3 determini automaticamente il carattere non equo del processo, nel caso delle prove conseguite in violazione degli articoli 8 e 6 ha escluso ogni automaticità ed ha effettuato una valutazione complessiva di tutte le circostanze in base ai criteri elaborati in generale per l’ammissibilità delle prove illegali. La giurisprudenza relativa alle prove derivanti da una violazione dell’art. 3 presenta luci ed ombre. Nella sentenza Harutyunyan c. Armenia si legge che l’utilizzazione di prove ottenute a seguito di comportamenti coercitivi qualificabili come tortura esclude il carattere equo del processo indipendentemente da ogni altra considerazione; in particolare, non hanno alcun rilievo né l’intrinseco valore probatorio delle dichiarazioni ottenute tramite tortura, né l’impatto che esse hanno sul processo nel suo complesso, cioè il fatto che siano o no accompagnate da altri elementi di prova. 7 6 La Corte ha riconosciuto che il diritto al silenzio e il diritto a non contribuire alla propria incriminazione sono compresi nella nozione di processo giusto garantito dall’art. 6 par. 1 della convenzione affermando che «although not specifically mentioned in Article 6 of the Convention, the right to silence and the right not to incriminate oneself are genuinely recognised international standards which lie at the heart of the notion of a fair procedure under Article 6»; cfr. a tal proposito le pronunce della Corte nei casi: Murray c. Regno Unito, 8 febbraio 1996, par. 45; Saunders c. Regno Unito, 17 dicembre 1996, par. 68; Serves c. Francia, 20 ottobre 1997, par. 46; Tirado Ortiz e Lozano Martin c. Spagna, 15 giugno 1999 (decisione di inammissibilità); Heaney e Mc Guinness c. Irlanda, 21 dicembre 2000, par. 40; Quinn c. Irlanda, 21 dicembre 2000, par. 40; J.B. c. Svizzera, 3 maggio 2001, par. 64; Allan c. Regno Unito cit., par. 44; Weh c. Austria, 8 aprile 2004, par. 39; Jalloh c. Germania cit., par. 100. Sul diritto al silenzio cfr. altresı́ le seguenti sentenze della Corte nei casi: Funke c. Francia, 25 febbraio 1993; Condron c. Regno Unito, 2 maggio 2000; Averill c. Regno Unito, 6 giugno 2000; I.J.L., G.M.R., A.K.P. c. Regno Unito, 19 settembre 2000; Rieg c. Austria, 24 marzo 2005; Shannon c. Regno Unito, 4 ottobre 2005; O’Halloran e Francis c. Regno Unito, 29 giugno 2007; Luckhof e Spanner c. Austria, 10 gennaio 2008. 7 Cfr. la sentenza Harutyunyan c. Armenia cit., par. 63, dove si legge: «Incriminating evidence – whether in the form of a confession or real evidence – obtained as a result of acts rassegne 49 Sebbene la Corte motivi sinteticamente la propria decisione, affermando che ritenere diversamente significherebbe «(to) afford brutality the cloak of law», 8 è evidente che si tratta di una ulteriore applicazione della natura di norma assoluta e cogente riconosciuta al divieto di tortura in numerose sentenze, 9 particolarmente in materia di estradizione ed espulsione. La proibizione della tortura è cosı́ fatta oggetto di un regime speciale che include il divieto per gli Stati sia di cooperare alla sua violazione, sia di riconoscere i risultati di tale violazione, a prescindere dalla gravità dei comportamenti tenuti dalla persona soggetta a tortura ed incluso il caso in cui si tratti di un pericoloso terrorista. Va debitamente sottolineato come le conseguenze che la Corte ricollega, in materia di prove, alla violazione del divieto di tortura vadano persino al di là della c.d. exclusionary rule prevista dall’art. 15 della convenzione del 10 dicembre 1984 contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Ed invero, la Corte non si limita a sancire l’inammissibilità dell’utilizzo della dichiarazione ottenuta sotto tortura, ma ritiene che la semplice esistenza di siffatta dichiarazione, ancorché nel contesto di numerose altre prove accusatorie, valga a travolgere addirittura l’intero processo determinandone il carattere complessivamente non equo. Se le decisioni emesse con riguardo alla tortura appaiono pienamente da condividere, suscita perplessità invece la possibilità, che sembra delinearsi, di riconoscere un diverso regime alle prove risultanti da trattamenti crudeli, disumani e degradanti, anch’essi vietati dall’art. 3 della convenzione. Nella sentenza Jalloh c. Germania, 10 la Grande Camera ha affrontato un of violence or brutality or other forms of treatment which can be characterised as torture should never be relied on as proof of the victim’s guilt, irrespective of its probative value». 8 Ivi, par. 63. 9 Cfr., in particolare, la sentenza nel caso Al-Adsani c. Regno Unito, 21 novembre 2001, par. 59, 60 e 61, in cui si legge che: «Within the Convention system it has long been recognised that the right under Article 3 not to be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment or punishment enshrines one of the fundamental values of democratic society. It is an absolute right, permitting of no exception in any circumstances. Other areas of public international law bear witness to a growing recognition of the overriding importance of the prohibition of torture. Thus, torture is forbidden by Article 5 of the Universal Declaration of Human Rights and Article 7 of the International Covenant on Civil and Political Rights. The United Nations Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman and Degrading Treatment or Punishment requires, by Article 2, that each State Party should take effective legislative, administrative, judicial or other measures to prevent torture in any territory under its jurisdiction, and, by Article 4, that all acts of torture should be made offences under the State Party’s criminal law. In addition, there have been a number of judicial statements to the effect that the prohibition of torture has attained the status of a peremptory norm or jus cogens... The Court accepts, on the basis of these authorities, that the prohibition of torture has achieved the status of a peremptory norm in international law». 10 Cfr. la sentenza Jalloh c. Germania cit. Sebbene le vicende oggetto di questa decisione e di quella nel caso Harutyunyan c. Armenia, 28 giugno 2007 siano diverse, i principi enunciati dalla Corte, quanto al divieto assoluto di usare prove raccolte in violazione del divieto di 50 rassegne caso in cui era stata ordinata dal pubblico ministero la somministrazione di un emetico per provocare l’espulsione di alcune quantità di droga che l’indagato aveva inghiottito. La Corte, dopo aver accertato il carattere disumano e degradante del trattamento posto in essere dalle autorità statali per ottenere la prova del reato di traffico di stupefacenti, ha verificato se, nonostante la violazione dell’art. 3 della convenzione, il processo potesse essere considerato equo nel suo complesso. Nel procedere a tale verifica, è stato precisato che va operata una distinzione tra i trattamenti in oggetto e la tortura, lasciando intendere che i primi potrebbero anche non escludere automaticamente il carattere equo del processo ed essere sottoposti allo stesso regime delle altre prove illegali. Sebbene la Corte abbia lasciato in sospeso la questione – in quanto il carattere non equo del processo risultava già da ulteriori circostanze 11 – il semplice fatto di averla sollevata suscita preoccupazione. Ed invero, lasciando intendere che il carattere equo del processo non è automaticamente compromesso dall’uso di elementi di prova ottenuti a mezzo di un atto qualificato come trattamento inumano e degradante, la Corte indirizza alle autorità nazionali un messaggio per lo meno ambiguo perché sembra ammettere che esse possano ricavare dalla trasgressione del divieto un vantaggio consistente nella utilizzabilità dei mezzi di prova ottenuti. La distinzione operata tra comportamenti previsti dall’art. 3, inoltre, non si giustifica perché l’intero contenuto della disposizione è enunciato in termini assoluti, con esclusione di eccezioni e deroghe persino in caso di guerra o di altri pericoli che minaccino la vita della nazione. Non si ravvisa pertanto il fondamento giuridico per riconoscere al divieto di trattamenti crudeli, disumani e degradanti una natura giuridica diversa da quella del divieto di tortura. Vanno considerati altresı́ gli effetti negativi che siffatta distinzione avrebbe sulla stessa osservanza del divieto di tortura, dato che la distinzione tra questa e gli altri trattamenti è spesso incerta e non facile da verificare. 12 tortura contenuto nell’art. 3, sono i medesimi. Nell’ultima pronuncia è, tuttavia, ulteriormente specificato, nel par. 65, che «where there is compelling evidence that a person has been subjected to ill-treatment, including physical violence and threats, the fact that this person confessed – or confirmed a coerced confession in his later statements – to an authority other than the one responsible for this ill-treatment should not automatically lead to the conclusion that such confession or later statements were not made as a consequence of the ill-treatment and the fear that a person may experience thereafter». I giudici nazionali avevano, infatti, giustificato l’uso delle dichiarazioni ottenute dall’imputato con l’uso della forza in quanto erano state rilasciate a soggetti diversi da coloro che lo avevano costretto a confessare. 11 La Corte nell’esaminare il caso de quo ha concentrato la sua attenzione sugli stessi parametri elaborati in tema di prove raccolte in maniera illegale che saranno esaminati infra, par. 3. 12 Per tali considerazioni critiche cfr. l’opinione concorrente del giudice Bratza annessa alla decisione Jalloh c. Germania cit.; nonché i rilievi di Beernaert, La recevabilité des preuves en matière pénale dans la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, in Rev. trim. droits de l’homme, 2007, p. 93. rassegne 51 3. A differenza delle violazioni del divieto di tortura, quelle relative al diritto alla riservatezza o ai diritti riconosciuti nel processo – in particolare il diritto a non auto-incriminarsi – richiedono una valutazione complessiva del caso per verificare se abbiano escluso il carattere equo del processo stesso. Ciò è stato affermato dalla Corte, con riguardo all’art. 8, nelle sentenze Khan c. Regno Unito, J.H. c. Regno Unito e Allan c. Regno Unito; 13 con riguardo all’art. 6, nei casi – per citarne i piú recenti – Jalloh c. Germania, O’Halloran c. Regno Unito, Luckof c. Austria. 14 Tale verifica viene condotta alla luce di due parametri applicati anche qualora l’illegalità derivi dalla violazione di una norma interna. 15 In primo luogo, la Corte esamina l’ordinamento interno per accertare se sia data al ricorrente l’opportunità di contestare l’autenticità della prova e di opporsi al suo uso. 16 La contestazione dell’uso della prova deve riguardare l’incidenza della sua utilizzabilità sull’equità del processo: è sufficiente che sia previsto il mezzo perché i giudici esaminino tale incidenza, indipendentemente dal fatto che lo facciano con riferimento alle norme della convenzione e indipendentemente dal risultato cui pervengano. Se manca nel diritto interno la possibilità di far valere la violazione di un articolo della convenzione che determina l’illegalità della prova, vi è violazione dell’art. 13 che riconosce il diritto ad un ricorso effettivo, ma non necessariamente dell’art. 6 della convenzione. In secondo luogo, è rilevante il grado di influenza della prova acquisita illegalmente 17 ai fini della formulazione del giudizio: se la prova cosı́ ottenuta non è determinante perché ad essa si uniscono molte altre prove, non vi è violazione dell’equo processo; se invece si tratta di una prova decisiva o addirittura unica, la Corte talvolta sembra incline ad escludere il carattere equo del processo, talaltra invece lo afferma sulla base dell’esame di ulteriori circostanze, quali l’assenza di incertezze sulla veridicità della prova illegale, ovvero l’intrinseco valore probatorio della stessa. Nei casi in cui viene in considerazione la violazione del diritto al silenzio, di cui all’art. 6 della convenzione, ai criteri ora indicati se ne aggiungono altri da accertare preliminarmente proprio al fine di stabilire che il predetto diritto non sia stato rispettato nell’assunzione della prova. La verifica preliminare è stata condotta dalla Corte, in primo luogo, con riferimento alla sussistenza o meno di un’accusa penale (c.d. criminal 13 Cfr. le decisioni nei casi Khan c. Regno Unito cit.; P.G. e J. H. c. Regno Unito cit.; Allan c. Regno Unito cit. 14 Cfr. supra, par. 2 nota 6. 15 Cfr. supra, par. 2. 16 Cfr. le sentenze nei casi: Khan c. Regno Unito cit., par. 38; P.G. e J. H. c. Regno Unito cit., par. 79; Allan c. Regno Unito cit., par. 48; Jalloh c. Germania cit., par. 121; O’Halloran e Francis c. Regno Unito cit., par. 60. 17 Cfr. le sentenze nei casi: Khan c. Regno Unito cit., par. 37; P.G. e J. H. c. Regno Unito cit., par. 79; Allan c. Regno Unito cit., par. 45; Jalloh c. Germania cit., par. 121; O’Halloran e Francis c. Regno Unito cit., par. 60. 52 rassegne charge) gravante sul ricorrente. Essa ha attribuito a tale nozione, contenuta nell’art. 6 par. 1, un significato autonomo rispetto a quello attribuito dalla legislazione interna, intendendola come «the official notification given to an individual by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence». 18 Si tratta, quindi, di verificare se la persona sospettata può essere ritenuta sostanzialmente coinvolta nel reato. La suddetta verifica è stata operata dalla Corte in tutti quei casi in cui alla fase delle indagini non era seguita quella del processo oppure in cui la persona accusata era stata prosciolta. Solo tale controllo sulla esistenza di una criminal charge può consentire di ottenere un’eventuale pronuncia, attestante l’inosservanza del diritto di tacere e di non auto-accusarsi, anche se non è stato fatto alcun uso, nel successivo processo, delle dichiarazioni incriminanti o non è stato preso in considerazione il mantenimento del silenzio. 19 Un secondo tipo di analisi operato dalla Corte, anche qualora non vi sia stato alcun processo successivamente alle indagini o sia stata emessa una sentenza di assoluzione, ha riguardato la natura e il grado della costrizione (c.d. compulsion) impiegata dalle autorità investigative nella ricerca della prova. 20 A tale proposito essa ha affermato che il diritto a non auto-accusarsi presuppone che l’accusa cerchi di provare la sua tesi senza ricorrere a prove ottenute attraverso metodi di coercizione o di oppressione in mancanza della volontà dell’accusato. Il suddetto diritto, tuttavia, non comporta il divieto di ricercare dati che si possono ottenere dall’indagato ricorrendo a 18 Cfr. le sentenze nei casi: Serves c. Francia cit., par. 42; Heaney e Mc. Guinness c. Irlanda cit., par. 40, 42; Quinn c. Irlanda cit., par. 41; J.B. c. Svizzera cit., par. 44, in cui la Corte fa riferimento a tre criteri (la classificazione dell’illecito secondo la legge nazionale, la natura dello stesso e la natura e il grado di severità della sanzione) che devono essere tenuti in considerazione per decidere se una persona «was charged with a criminal offence»; Weh c. Austria cit., par. 54 e par.1, 2 dell’opinione dissenziente dei giudici Lorenzen, Levits, Hajiyev ad essa annessa; O’Halloran e Francis c. Regno Unito cit., par. 35; Luckhof e Spanner c. Austria cit., par. 49. 19 Cfr. la sentenza nel caso Shannon c. Regno Unito cit., par. 35, in cui si legge: «It is thus open to the applicant to complain of an interference with his right not to incriminate himself, even though no self-incriminating evidence (or reliance on a failure to provide information) was used in other, substantive criminal proceeding». 20 Una particolare forma di coercizione della volontà si verifica allorquando le autorità procedenti usino sotterfugi (per es., ponendo nella stessa cella dell’accusato un agente di polizia) per ottenere dal sospettato confessioni o altre dichiarazioni di natura incriminante, che essi stessi non sono stati capaci di ottenere durante l’interrogatorio (cfr. la sentenza nel caso Allan c. Regno Unito cit., par. 50) Per verificare se tale atteggiamento delle autorità possa costituire un esercizio di poteri coercitivi e quindi integrare una violazione del diritto al silenzio occorre focalizzare l’attenzione sulle due relazioni che sorgono in questa situazione: la relazione tra l’agente informatore e lo Stato e quella tra l’agente informatore e l’accusato. Solo qualora l’informatore abbia agito come agente dello Stato al momento in cui l’accusato ha rilasciato le dichiarazioni e sia stato il primo a indurre il secondo a parlare si può ritenere compromesso il diritto di tacere (ivi, par. 51). rassegne 53 poteri coercitivi, ma che esistono indipendentemente dal suo volere, ad esempio i documenti raccolti in base ad un mandato, i prelievi di sangue, di urine e di tessuti per un’analisi del DNA. 21 Nell’esame sulla natura e grado della costrizione la Corte ha dato rilievo, in alcuni casi, ai metodi usati nell’acquisizione della prova ad opera delle autorità investigative e, in altri casi, alle conseguenze, previste dalla legislazione interna, della mancata risposta alle domande da esse poste. Nella prima categoria rientra, per esempio, il già citato caso Jalloh c. Germania nel quale la Corte ha rilevato l’esistenza di un alto grado di coercizione adottato dalla polizia penitenziaria nella ricerca della prova: il ricorrente, infatti, era stato immobilizzato da quattro poliziotti, un tubo era stato inserito nel suo stomaco attraverso il naso e gli era stata somministrata una sostanza chimica che, provocandogli una reazione fisica patologica, lo aveva costretto a espellere l’oggetto dell’indagine. Negli altri casi la Corte ha dedotto la sussistenza di una costrizione laddove l’accusato si trovava di fronte all’alternativa obbligata di rilasciare dichiarazioni auto-incriminanti, e quindi di essere processato sulla base delle stesse, o di tacere ed essere perciò sottoposto al pagamento di una sanzione. A titolo di esempio si possono richiamare le sentenze nelle vicende Saunders c. Regno Unito, Heaney e Mc Guinness c. Irlanda, Shannon c. Regno Unito, Weh c. Austria, O’Halloran e Francis c. Regno Unito. La Corte, accanto alla verifica del grado e della natura della coercizione, ha analizzato anche un ulteriore aspetto e cioè la sussistenza di garanzie nella fase dell’interrogatorio (c.d. safeguards in the procedure). Per esempio, essa ha considerato come tali: il fatto che sia assicurata la presenza dell’avvocato del ricorrente durante la suddetta fase, 22 o ancora la prescrizione che le intrusioni corporee siano eseguite lege artis da un dottore in un ospedale e solo se non vi sia alcun rischio di danno alla salute dell’indagato, 23 o infine la previsione, con riferimento ai reati di eccesso di velocità, che il proprietario di un’automobile non sia punito per non aver fornito informazioni su chi era il conducente, qualora tale mancanza di notizie non sia dovuta a sua negligenza. 24 Viceversa la Corte ha ritenuto che la previ21 Cfr. le pronunce della Corte nei casi: Saunders c. Regno Unito cit., par. 69; Tirado Ortiz e Lozano Martin c. Spagna cit.; Heaney e Mc. Guinness c. Irlanda cit., par. 40; J.B. c. Svizzera cit., par. 66. 22 Cfr. le sentenze nei casi: Condron c. Regno Unito cit., par. 60, Averill c. Regno Unito cit., par. 38, nei quali la Corte afferma che la presenza o meno dell’avvocato deve essere considerato un fattore rilevante da soppesare nel bilanciamento necessario allorché si esamina l’equità della decisione del giudice statale di trarre conclusioni dal silenzio dell’indagato. 23 Cfr. la sentenza nel caso Jalloh c. Germania cit., par. 120. 24 Cfr. le sentenze nei casi O’Halloran e Francis c. Regno Unito cit., par. 59; Luckhof e Spencer c. Austria cit., par. 56. 54 rassegne sione, contenuta in alcune disposizioni normative, di un limite all’uso di dichiarazioni rilasciate nella fase delle indagini, non fosse sufficiente a ridurre il grado di costrizione e quindi a fornire una protezione processuale al ricorrente. 25 Volendo esprimere un giudizio complessivo sulla giurisprudenza relativa alle prove illegali, non possono trascurarsi le obiezioni espresse da alcuni giudici nelle opinioni parzialmente dissidenti annesse a taluni casi. In primo luogo, suscita perplessità il fatto che si giudichi equo un processo ancorché esso sia stato condotto in violazione della legge. Il termine «equità», quando è esaminato nel contesto della convenzione europea dei diritti dell’uomo, implica il rispetto della preminenza del diritto che presuppone quello dei diritti dell’uomo stabiliti nella convenzione stessa: come la Corte ha avuto modo di sottolineare, la convenzione deve essere interpretata come un complesso coerente. Inoltre, è compito della Corte, laddove è posta alla sua attenzione la questione dell’assunzione e dell’uso di una prova, quello di verificare che gli impegni presi sottoscrivendo la convenzione siano onorati dalle Parti contraenti. Le autorità di ogni Stato hanno l’obbligo in base all’art. 1 della convenzione «di riconoscere ad ogni persona sottoposta alla propria giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della convenzione». Ciò comporta, per i tribunali degli Stati parte, l’obbligo di non ammettere o di non fare assegnamento su prove ottenute in contrasto con la convenzione. Se si accettasse che l’ammissione di una prova cosı́ ottenuta contro un imputato non costituisca necessariamente una violazione dell’equità del processo di cui all’art. 6, allora l’effettiva protezione dei diritti della convenzione sarebbe resa vana. Se, ad esempio, la violazione dell’art. 8 può essere accettata come «giusta», la polizia non avrebbe alcun deterrente per una sua inammissibile condotta. Si dovrebbe richiamare in questo contesto che la Corte, in piú occasioni, ha sottolineato che la convenzione è volta a garantire diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi. Pertanto, ciò che è proibito da una disposizione della convenzione (per esempio, dall’art. 8) non può essere permesso da un’altra disposizione (cioè dall’art. 6). Concludendo per la mancanza di una violazione dell’art. 6, la Corte invece rende l’art. 8 completamente inoperante. 26 Le perplessità indicate appaiono sicuramente condivisibili, ma l’atteggiamento della Corte sembra potersi giustificare alla luce dell’esigenza 25 Cfr. le sentenze nei casi: Heaney e Mc Guinness c. Regno Unito cit., par. 51; Shannon c. Regno Unito cit., par. 40. 26 Per tali considerazioni critiche cfr. le opinioni dissenzienti dei giudici Loucaides e Tulkens annesse rispettivamente alle sentenze nei casi Khan c. Regno Unito cit. e P.G. e J.H. c. Regno Unito cit. rassegne 55 di contemperare tutti i delicati interessi che vengono in considerazione in un processo penale. Essi sono da individuare, da un lato, nell’interesse pubblico alla punizione dei reati e, dall’altro, nell’interesse dell’accusato al rispetto dei suoi diritti (diritti di difesa, diritto al rispetto della vita privata, diritto al rispetto dell’integrità fisica). Lasciando impregiudicata, sul piano astratto, la questione dell’equità del processo basato su prove raccolte in violazione di alcuni diritti sanciti nella convenzione e ancorando tale questione alle circostanze del caso – tipo di reato commesso, grado di decisività della prova ottenuta, possibilità di opporsi a questa prova – la Corte si è, cosı́, riservata la possibilità di operare il bilanciamento tra i suddetti interessi in maniera differente a seconda delle diverse situazioni, anziché di optare per la preminenza, in termini assoluti, dell’uno o dell’altro. 4. Passando a considerare la giurisprudenza relativa alla prova testimoniale, va rilevato innanzitutto come la Corte abbia precisato che alla nozione di testimone, usata nella convenzione, deve essere attribuito un significato autonomo e che colui che ha rilasciato dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari – compreso il co-imputato o l’imputato in un procedimento connesso 27 – può essere considerato un testimone se le sue deposizioni siano state rese note alle corti nazionali e siano state tenute in considerazione da esse. 28 Costituisce requisito essenziale, dunque, per includere una persona nella categoria dei testimoni, il fatto che le sue dichiarazioni siano giunte alla conoscenza di colui che deve esprimere un giudizio sulla responsabilità dell’accusato e che possano effettivamente incidere nella formazione del suo convincimento. Inoltre, la Corte ha evidenziato a piú riprese, che, sebbene gli elementi di prova debbano essere prodotti, in linea di principio, davanti all’accusato in udienza pubblica in vista di un confronto da svolgere in contraddittorio, nondimeno in alcune circostanze può rivelarsi necessario, per le autorità giudiziarie, fare ricorso a deposizioni che risalgono alla fase delle indagini preliminari. 29 In altre parole, non sempre la dichiarazione di un testimone 27 Nel caso Lucà c. Italia cit., al par. 41 si legge: «where a deposition may serve to a material degree as the basis for a conviction, then, irrespective of whether it was made by a witness in the strict sense or by a co-accused, it constitutes evidence for the prosecution to which the guarantees provided by Article 6 §§ 1 and 3 (d) of the Convention apply»; cfr. anche la sentenza nel caso Gossa c. Polonia cit., par. 56. 28 Cfr. le sentenze nei casi: Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 40; Windisch c. Austria cit., par. 23; Delta c. Francia cit., par. 34; Isgrò c. Italia cit., par. 33; Asch c. Austria cit., par. 25; Lüdi c. Svizzera cit., par. 44; Artner c. Austria cit., par. 19; Pullar c. Regno Unito cit., par. 45; S.N. c. Svezia cit., par. 45. 29 Cfr. le sentenze della Corte nei casi: Lucà c. Italia cit., par. 40; Sadak c. Turchia cit., par. 65; Craxi c. Italia cit., par. 86; Bracci c. Italia cit., par. 55; Vaturi c. Francia cit., par. 50; Carta c. Italia cit., par. 49; Guillory c. Francia, 22 giugno 2006, par. 53. 56 rassegne deve essere resa davanti ad una corte e in pubblico per essere ammessa come prova, perché ciò può risultare impossibile in talune ipotesi. 30 Tali ipotesi possono risultare le piú varie ed essere collegate o a ragioni materiali, non imputabili alle autorità giudiziarie, o alla esigenza di proteggere gli interessi dei testimoni o delle vittime. 31 Tra le difficoltà oggettive per un possibile confronto sono state considerate dalla giurisprudenza il decesso del testimone 32 e la scomparsa dello stesso; in quest’ultimo caso, tuttavia, la Corte ha posto, come condizione necessaria del carattere equo del processo, il fatto che gli organi giudiziari competenti siano stati diligenti nella ricerca del testimone. 33 Tra le ragioni ostative del confronto inerenti all’interesse del testimone o della vittima, invece, vi sono l’esercizio della facoltà di astensione da parte dei familiari dell’imputato, 34 l’esercizio del diritto al silenzio da parte del co-accusato o accusato in un procedimento connesso, 35 il carattere sconvolgente del confronto per la vittima del reato di abuso sessuale, 36 la 30 Cfr. le sentenze: Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 41; Delta c. Francia cit., par. 36; Asch c. Austria cit., par. 27; Solakov c. ex Repubblica iugoslava cit., par. 57. 31 Cfr. Beernaert, La recevabilité des preuves cit., pp. 95-96. Una parte della dottrina ha suddiviso i casi che rendono impossibile o difficile un contraddittorio in udienza tra accusato e testimoni a suo carico distinguendo tra i testimoni assenti, i testimoni vulnerabili e i testimoni anonimi. Su tale questione si vedano Spencer, Orality and the Evidence of Absent Witnesses, in Criminal Law Review, 1994, pp. 628-644; Maffei, Prova d’accusa e dichiarazioni di testimoni «assenti» in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2001, p. 2836 ss.; Id., Le testimonianze anonime nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ibidem, 2003, p. 1700 ss. 32 Cfr. la sentenza nel caso Ferrantelli e Santangelo c. Italia cit., par. 52. 33 Cfr. la sentenza nel caso Isgrò c. Italia cit., par. 32, ove si legge che: «In deciding whether the applicant had a fair trial, the Court must accordingly proceed on the basis that it was not possible to obtain Mr D.’s presence at the trial». In altre sentenze si legge, come regola generale, che: «lorsque le défaut de confrontation est dû à l’impossibilité de localiser le témoin, il doit être établi que les autorités compétentes ont activement recherché celui-ci aux fins de permettre cette confrontation» (Rachdad c. Francia cit., par. 24; Mayali c. Francia cit., par. 32; Zentar c. Francia cit., par. 26; Guillory c. Francia cit., par. 54; Balsan c. Repubblica ceca cit., par. 30; Gossa c. Polonia cit., par. 55). 34 Cfr. la sentenza Unterpertinger c. Austria cit., par. 30, dove si legge: «Mrs. Unterpertinger and Miss Tappeiner refused to give evidence, as they were entitled to do by virtue of Article 152(1)(1) of the Austrian Code of Criminal Procedure. ...The provision manifestly is not incompatible with Article 6 §§ 1 and 3 (d) (art. 6-1, art. 6-3-d) of the Convention: it makes allowance for the special problems that may be entailed by a confrontation between someone ‘‘charged with a criminal offence’’ and a witness from his own family and is calculated to protect such a witness by avoiding his being put in a moral dilemma»; cfr. anche la sentenza Asch c. Austria cit. 35 Cfr. le sentenze della Corte nei casi: Lucà c. Italia cit.; Craxi c. Italia cit.; Carta c. Italia cit.; Balsan c. Repubblica ceca cit. 36 Cfr. le sentenze della Corte nei casi A.M. c. Italia cit.; P.S. c. Germania cit.; S. N. c. Svezia cit., par. 4; Mayali c. Francia cit., par. 34; Bocos-Cuesta cit., par. 69. rassegne 57 necessità di mantenere l’anonimato di poliziotti 37 o di persone che temono rappresaglie o danni alla loro sicurezza. 38 Per escludere la violazione del diritto all’equo processo, allorché manchi il confronto in udienza, la Corte richiede che vengano adottate tutte le misure che consentano di controbilanciare i diritti della difesa con quelli dei testimoni. Essa richiede, dunque, che l’accusato abbia avuto un’occasione adeguata e sufficiente per contestare la testimonianza a carico ed interrogarne l’autore, al momento della deposizione o piú tardi. 39 La necessità di verificare che la difesa abbia avuto un’adeguata possibilità di interrogare i testimoni a carico emerge con piú forza qualora le dichiarazioni da questi rilasciate abbiano costituito le uniche prove o abbiano rivestito un ruolo determinante nella decisione finale. 40 In numerose sentenze la Corte ha escluso la sussistenza di un processo equo laddove la condanna del ricorrente era stata basata esclusivamente o in maniera determinante sulle dichiarazioni di testimoni che né l’accusato né il suo avvocato avevano avuto la possibilità di esaminare in alcuna fase del processo. In altre decisioni, invece, essa ha escluso la violazione dei paragrafi 1 e 3 lett. d dell’art. 6 allorquando la prova raccolta nella fase precedente al giudizio, pur non essendo stata portata in pubblica udienza, era stata corroborata da altre prove. 41 Il principio, peraltro, è stato espressamente affermato in termini generali solo a partire dalla decisione nel caso A.M. c. Italia del 14 dicembre 1999 nella quale si legge: «In particular, the rights of the defence are restricted to an extent that is incompatible with the requirements of Article 6 if the conviction is based solely, or in a decisive manner, on the depositions of a witness 37 Cfr. le sentenze della Corte nei casi: Lüdi c. Svizzera cit., par. 49; Van Mechelen c. Paesi Bassi cit., par. 56. 38 Cfr. le sentenze nei casi: Kostovski c. Paesi Bassi cit.; Windisch c. Austria cit.; Doorson c. Paesi Bassi cit.; Kok c. Paesi Bassi, ric. 43149/98; Visser c. Paesi Bassi, 14 febbraio 2002; Birutis e a. c. Lituania, 28 marzo 2002; Krasniki c. Repubblica ceca, 28 febbraio 2006. 39 Cfr. le sentenze nei casi: Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 41; Windisch c. Austria cit., par. 26; Delta c. Francia cit., par. 36; Isgrò c. Italia cit., par. 34; Asch c. Austria cit., par. 27; Lüdi c. Svizzera cit., par. 47; Saı̈di c. Francia, 20 settembre 1993, par. 43; Ferrantelli e Santangelo c. Italia cit., par. 51; Van Mechelen e a. c. Paesi-Bassi cit., par. 51; A.M. c. Italia cit., par. 25; Lucà c. Italia cit., par. 38; Sadak c. Turchia cit., par. 64; Solakov c. ex Repubblica iugoslava cit., par. 57; P.S. c. Germania cit., par. 21; Birutis e a. c. Lituania cit., par. 28; S.N. c. Svezia cit., par. 44; Craxi c. Italia cit., par. 85; Hulki Gunes c. Turchia cit., par. 86; Rachdad c. Francia cit., par. 23; Mayali c. Francia cit., par. 31; Bracci c. Italia cit., par. 54; Bocos-Cuesta c. Paesi Bassi cit., par. 68; Krasniki c. Repubblica ceca cit., par. 75; Vaturi c. Francia cit., par. 50; Zentar c. Francia cit., par. 26; Carta c. Italia cit., par. 48; Guillory c. Francia cit., par. 52; Balsan c. Repubblica ceca cit., par. 30. 40 Cfr. la sentenza nel caso Visser c. Paesi Bassi cit., par. 45, in cui si legge: «Article 6 § 3 (d) only required the possibility to cross-examine such witnesses in situations where this testimony played a main or decisive role in securing the conviction». 41 Cfr. la sentenza Artner c. Austria cit. 58 rassegne whom the accused has had no opportunity to examine or to have examined either during the investigation or at trial». 42 Qualora l’imputato o il suo avvocato, dunque, abbiano avuto un’occasione adeguata e sufficiente di contestare le dichiarazioni del testimone assente, al momento in cui sono state rilasciate o piú tardi, il loro uso non è in contrasto con l’art 6 par. 1 e 3 lett. d. 43 Qualora, invece, l’accusato non abbia avuto tale possibilità, la condanna non deve essere stata fondata unicamente o in misura determinante su tali deposizioni. In alcune sentenze la Corte richiama gli Stati contraenti della convenzione all’osservanza dell’obbligo, derivante dall’art. 6 par. 1 in combinato disposto con il par. 3 del medesimo articolo, di prendere provvedimenti positivi per consentire all’accusato di esaminare o far esaminare i testimoni a carico. Tali misure costituiscono parte della diligenza che gli stessi Stati devono esercitare in modo da assicurare che i diritti garantiti dall’art. 6 siano goduti in maniera effettiva. 44 In particolare nel caso Balsan c. Repubblica ceca, proprio la constatazione della negligenza delle autorità statali porta la Corte a concludere per l’inesistenza di un processo equo. Si legge infatti nella sentenza: «En l’occurrence, la Cour estime que dans une situation où L.Š. a décidé de garder le silence, les autorités nationales auraient dû, pour satisfaire à ladite exigence de «diligence», rechercher d’autres preuves corroborant le verdict sur la culpabilité du requérant. Or, étant donné que les tribunaux nationaux se sont contentés d’une seule preuve à charge que l’intéressé n’a pas pu contester de manière adéquate et suffisante, et que la juridiction d’appel n’a pas accédé à sa demande de réentendre l’auteur de ce témoignage, la Cour estime que le requérant a subi de telles atteintes à ses droits de la défense qu’il n’a pas bénéficié d’un procès équitable». 45 Al contrario, i giudici di Strasburgo hanno deciso per la insussistenza di una violazione dell’art. 6 nei casi in cui l’impossibilità di esaminare i testimoni da parte del ricorrente o dell’avvocato era dovuta al comportamento di questi ultimi, 46 interpretabile univocamente come una rinun42 Cfr. le sentenze nei casi: A.M. c. Italia cit., par. 25; Lucà c. Italia cit., par. 40; Sadak c. Turchia cit., par. 65; Solakov c. ex Repubblica iugoslava cit., par. 57; P.S. c. Germania cit., par. 24; Craxi c. Italia cit., par. 86; Hulki Gunes c. Turchia cit., par. 86; Rachdad c. Francia cit., par. 23; Mayali c. Francia cit., par. 31, Bracci c. Italia cit., par. 55; Vaturi c. Francia cit., par. 50; Zentar c. Francia cit., par. 26; Carta c. Italia cit., par. 49; Guillory c. Francia cit., par. 53; Balsan c. Repubblica ceca cit., par. 30. 43 Cfr. le sentenze nei casi Craxi c. Italia cit., par. 86; Bracci c. Italia cit., par. 55; Vaturi c. Francia cit., par. 50; Carta c. Italia cit., par. 49; Guillory c. Francia cit., par. 53. 44 Cfr. le sentenze nei casi Sadak c. Turchia cit., par. 67; Balsan c. Repubblica ceca cit., par. 34. 45 Cfr. la sentenza nel caso Balsan c. Repubblica ceca cit., par. 35. 46 Cfr. le sentenze nei casi Pullar c. Regno Unito cit., par. 46; S.N. c. Svezia cit., par. 49. rassegne 59 cia tacita alle garanzie riconosciute dall’art. 6 par. 3 lett. d. A tal proposito la Corte ha chiarito che siffatta rinuncia all’esercizio di un diritto garantito dalla convenzione deve essere accertata in maniera inequivocabile e non deve essere in contrasto con l’interesse pubblico. 47 In particolare, si legge nella sentenza Vaturi c. Francia: «la faculté offerte à ‘‘l’accusé’’ d’interroger ou faire interroger un témoin doit pouvoir s’exercer aussi bien en première instance qu’en appel, à moins de considérer que l’intéressé a renoncé au droit qu’il tient de l’article 6 § 3 d) de la Convention puisque ni la lettre ni l’esprit de cet article n’empêchent une personne de renoncer de son plein gré aux garanties y consacrées de manière expresse ou tacite, mais pareille renonciation doit être non équivoque et ne se heurter à aucun intérêt public important». Nella verifica della univocità della rinuncia alle garanzie del processo equo, assume un ruolo importante la considerazione dell’ esistenza di una facoltà effettiva di chiedere l’interrogatorio dei testimoni a carico o di opporsi alla lettura, e quindi all’uso delle dichiarazioni degli stessi. 5. In alcune decisioni la Corte ha affrontato il delicato tema dei testimoni anonimi che pongono significative limitazioni al diritto di difesa. 48 Se la difesa, infatti, non è consapevole dell’identità di una persona che chiede di interrogare, essa viene privata degli elementi i quali le consentono di dimostrare che tale persona è ostile o inaffidabile o è animata da pregiudizio. Una testimonianza o altre dichiarazioni a carico dell’accusato possono essere false o semplicemente erronee: e la difesa difficilmente può fare emergere ciò se le mancano le informazioni necessarie a provare l’inaffidabilità dell’autore o a sollevare dubbi sulla sua credibilità. 49 Di qui la cautela della Corte che ha ritenuto ammissibile l’anonimato subordinatamente al rispetto di determinate condizioni che garantiscono il carattere equo del procedimento. Costituisce un primo requisito che tale misura risponda ad un’esigenza 47 Cfr. le sentenze nei casi Sadak c. Turchia cit., par. 67; Craxi c. Italia cit., par. 91; Vaturi c. Francia cit., par. 53. 48 Sul tema delle testimonianze anonime alla luce della convenzione cfr. in dottrina, Selvaggi, Il difficile bilanciamento tra esigenze di difesa della società e diritti della difesa: il testimone anonimo davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 1996, pp. 2419-2423; Vogliotti, La logica floue della Corte Europea dei diritti dell’uomo tra tutela del testimone e salvaguardia del contraddittorio: il caso delle «testimonianze anonime», in Giur. it., 1998, 851-860; Renucci, Les témoins anonymes et la Convention européenne des droits de l’homme, in Rev. pénit. droit pén., 1998, p. 3 s.; De Smet, La défense face aux témoin anonymes et les exigences d’un procés equitable dans la jurisprudence de la Cour Européenne des Droits de l’Homme, in Rev. int. droit pén., 1999, pp. 761-776; Maffei, Le testimonianze anonime cit., p. 1700 ss. 49 Cfr. le sentenze nei casi Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 42; Windisch c. Austria cit., par. 28. 60 rassegne imperativa e nessun altro mezzo, eventualmente meno limitativo dei diritti della difesa, possa ritenersi altrettanto efficace; tali circostanze devono essere motivate dal giudice statale in maniera adeguata. La necessità di mantenere l’anonimato dei testimoni può essere collegata sia all’esigenza di evitare rappresaglie da parte dell’accusato nei confronti di essi o delle loro famiglie, sia, qualora si tratti di agenti di polizia impiegati in attività segrete, alla necessità di consentire il loro utilizzo in future operazioni, oltre che di proteggere la loro vita e quella dei familiari. 50 Nell’ipotesi in cui si è trattato di preservare l’anonimato di persone appartenenti alle forze di polizia la Corte ha precisato come la loro posizione sia differente da quella di un comune cittadino chiamato a testimoniare e sollevi problemi speciali. Gli agenti di polizia, infatti, sono tenuti ad un dovere generale di obbedienza alle autorità dell’Esecutivo dello Stato e spesso hanno collegamenti con la pubblica accusa; per tali ragioni si dovrebbe fare ricorso al loro uso come testimoni anonimi solo in circostanze eccezionali. Inoltre è nella natura delle cose che i loro doveri, specialmente nel caso di poliziotti che arrestano, possano comportare l’obbligo di rendere testimonianza davanti ad un tribunale in udienza pubblica. 51 Nei vari casi sottoposti all’attenzione della Corte – sia nelle ipotesi di dichiarazioni rilasciate da persone appartenenti alle forze di polizia, sia in quelle di dichiarazioni rese da comuni cittadini – essa ha verificato inoltre se i tribunali nazionali avessero sufficientemente dato ragione dei motivi per mantenere segreta l’identità degli informatori, e che si trattasse di una ragione diversa dalla semplice gravità del reato commesso. Infatti nelle sentenze Visser c. Paesi Bassi e Krasniki c. Repubblica ceca, l’organo giudiziario di Strasburgo ha attribuito un’importanza decisiva alla considerazione che le corti nazionali non avevano accertato la ragionevolezza e serietà del timore dei testimoni, a motivo del quale era stato consentito l’anonimato. 52 50 Cfr. le sentenze nei casi Lüdi c. Svizzera cit., par. 49; Van Mechelen c. Paesi Bassi cit., par. 57. 51 Cfr. la sentenza nel caso Van Mechelen c. Paesi Bassi cit., par. 56, in cui si legge: «In the Court’s opinion, the balancing of the interests of the defence against arguments in favour of maintaining the anonymity of witnesses raises special problems if the witnesses in question are members of the police force of the State. Although their interests – and indeed those of their families – also deserve protection under the Convention, it must be recognised that their position is to some extent different from that of disinterested witness or a victim. They owe a general duty of obedience to the State’s executive authorities and usually have links with the prosecution; for these reasons alone their use as anonymous witnesses should be resorted to only in exceptional circumstances. In addition, it is in the nature of things that their duties, particularly in the case of arresting officers, may involve giving evidence in open court». 52 Cfr. le sentenze nei casi Visser c. Paesi Bassi cit., par. 47; Krasniki c. Repubblica ceca cit., par. 81, 82. rassegne 61 La successiva verifica operata dalla Corte in casi del genere è stata quella di controllare se le testimonianze anonime fossero state decisive per la condanna dell’imputato. La maggiore o minore incidenza di tali prove sul verdetto finale è stata considerata di un certo peso al fine di controbilanciare le difficoltà causate alla difesa dall’uso delle stesse. Nel caso Kok c. Paesi Bassi, ad esempio, si legge: «in assessing whether the procedures involved in the questioning of the anonymous witness were sufficient to counterbalance the difficulties caused to the defence due weight must be given to the above conclusion that the anonymous testimony was not in any respect decisive for the conviction of the applicant. The defence was thus handicapped to a much lesser degree». 53 Infatti nelle già menzionate sentenze Visser c. Paesi Bassi e Krasniki c. Repubblica ceca la Corte ha giudicato non necessario procedere oltre nella verifica del sufficiente controbilanciamento delle difficoltà della difesa, dal momento che erano emerse la mancata giustificazione delle ragioni per mantenere l’anonimato dei testimoni e l’incidenza determinante delle loro dichiarazioni ai fini del giudizio di condanna dell’accusato. 54 Laddove, invece, la Corte di Strasburgo ha analizzato la procedura seguita dalle autorità giudiziarie, essa ha evidenziato l’esigenza che il testimone fosse stato almeno ascoltato da un giudice imparziale e indipendente che conoscesse la sua identità e che avesse potuto valutare tanto le ragioni per le quali il testimone voleva conservare l’anonimato che la sua affidabilità. 55 Cosı́, nel caso Kostovski c. Paesi Bassi lo Stato convenuto è stato condannato perché gli stessi magistrati, dinanzi ai quali si svolgeva il processo, ignoravano la vera identità del testimone stesso. Occorre, peraltro, che alla difesa sia attribuita un’occasione adeguata di partecipare all’ escussione e di interrogare direttamente il testimone. La partecipazione della difesa pare sufficientemente garantita, a giudizio della Corte, allorché i testimoni anonimi siano stati interrogati da un 53 Cfr. le pronunce Kok c. Paesi Bassi, 4 luglio 2000 (decisione di inammissibilità); Visser c. Paesi Bassi cit., par. 46; Krasniki c. Repubblica ceca cit., par. 79. 54 Cfr. le sentenze nei casi Visser c. Paesi Bassi cit., par. 51; Krasniki c. Repubblica ceca cit., par. 85. 55 Cfr. le sentenze nei casi: Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 43: «It is true that one of the anonymous persons was heard by examining magistrates. The examining magistrates themselves were unaware of the person’s identity a situation which cannot have been without implications for the testing of his/her reliability. As for the other anonymous person, he was not heard by an examining magistrate at all, but only by the police»; Windisch c. Austria cit., par. 27: «the two persons in question had only been heard, at the investigation stage, by the police officers in charge of the case, who later gave evidence in court concerning their statements; they were neither examined by the trial court itself, nor questioned by any examining magistrate»; Birutis e a. c. Lituania cit., par. 34: «the anonymous statements were read before the trial court as they had been recorded by the investigating authorities». 62 rassegne giudice istruttore in presenza dell’avvocato dell’imputato in grado di porre loro tutte le domande ritenute utili per gli interessi della difesa, salvo quelle che avrebbero potuto condurre a svelare l’identità dei testimoni. 56 Tale non sembra, per contro, essere il caso allorché la difesa ha avuto appena la possibilità di rivolgere ai testimoni domande scritte per il tramite del giudice istruttore. 57 Riguardo alla questione della partecipazione della difesa all’interrogatorio, la giurisprudenza della Corte ha suscitato alcune perplessità. Cosı́, nel caso Van Mechelen c. Paesi Bassi del 23 aprile 1997, la Corte ha concluso per la violazione dell’art. 6 a motivo della procedura che era stata seguita nel caso di specie e che era consistita nel far interrogare i testimoni anonimi da un giudice istruttore offrendo alla difesa – come alla accusa – la possibilità di partecipare all’ interrogatorio a distanza, per mezzo di una connessione sonora. 58 Se ne è cosı́ dedotto che la Corte richiedesse un contatto visivo diretto tra il testimone anonimo e la difesa, 59 in modo tale che questa potesse osservare le reazioni del testimone stesso alle sue domande 60 e scoprire particolarmente tutti i segnali non verbali emessi. 61 Un anno dopo l’organo di Strasburgo, nella decisione di inammissibilità sul caso Kok c. Paesi Bassi, ha rigettato il ricorso ritenendo che la procedura seguita si avvicinasse, per quanto possibile, ad un’audizione di un testimone in udienza pubblica sebbene le circostanze di specie fossero molto simili a quelle che avevano determinato la condanna nel caso precedente. Ed invero, la procedura era consistita in un interrogatorio tenutosi in una stanza nella quale non solo la difesa, ma anche la pubblica accusa erano assenti; la difesa aveva potuto sottoporre domande ed aveva potuto seguire l’esame del testimone attraverso un collegamento sonoro. Le risposte alle domande venivano, dapprima, fornite al giudice istruttore con il collegamento sonoro spento e, successivamente, ripetute dal testimone dopo che il giudice istruttore lo aveva rassicurato sul mantenimento dell’anonimato. 62 È stato osservato, in relazione a questo caso, che la Corte ha manifestato una certa contraddittorietà in quanto non ha piú affermato cosı́ perentoriamente – come nella citata sentenza Van Mechelen c. Paesi Bassi – che l’art. 6 della convenzione esige di offrire alla difesa la possibilità di osservare 56 Cfr. la sentenza nel caso Doorson c. Paesi Bassi cit., par. 73. Cfr. la sentenza nel caso Kostovski c. Paesi Bassi cit., par. 42. 58 Cfr. la sentenza nel caso Van Mechelen c. Paesi Bassi cit., par. 59. 59 Cfr. De Codt, La preuve par témoignage anonyme et les droits de la défense, in Rev. trim. droits de l’homme, 1998, p. 166; Beernaert, La recevabilité des preuves cit., p. 99. 60 Cfr. Beernaert, Témoignage anonyme: un vent nouveau venu de Strasbourg, in Rev. droit pénal crim., 1997, p. 1232; Guerrin, Le téimognage anonyme au regard de la giurisprudenze de la Cour européenne des droits de l’homme, in Rev. trim. droits de l’homme, 2002, p. 58; Beernaert, La recevabilité des preuves cit., p. 100. 61 Cfr. Beernaert, op. loc. ult. cit. 62 Cfr. il caso Kok c. Paesi Bassi cit. 57 rassegne 63 personalmente le reazioni dei testimoni anonimi alle sue domande dirette; ne risulterebbe la mancanza di certezza sul modo in cui deve svolgersi l’interrogatorio del testimone anonimo per essere conforme all’equo processo. 63 In realtà, ci sembra che non si sia trattato di un cambio di rotta nella giurisprudenza di Strasburgo, ma di una differente valutazione in funzione delle differenti circostanze del caso di specie. Ed invero, nel primo dei due casi citati il testimone anonimo era un poliziotto e quindi le particolari cautele richieste possono spiegarsi alla luce della diffidenza che la Corte mostra per l’anonimato di tali soggetti legati al potere esecutivo; non va trascurato, inoltre, che in tale caso la testimonianza anonima era l’unica prova, mentre nella seconda fattispecie essa si accompagnava ad altri elementi probatori. 64 6. Un particolare tipo di testimoni a carico è costituito dai c.d. pentiti, cioè da coloro che, autori di determinate infrazioni spesso in concorso con l’accusato, decidono di collaborare con la giustizia in cambio di alcuni benefici come la riduzione di pena. 65 L’uso delle loro dichiarazioni in giudizio suscita perplessità e può mettere in discussione l’equità del processo in quanto, a differenza di altri tipi di testimoni, essi sono interessati a cooperare con le autorità; le loro informazioni sono suscettibili di manipolazione e possono essere state rilasciate semplicemente per ottenere vantaggi o per vendetta personale. 66 Tuttavia la Corte, pur essendo consapevole della natura ambigua delle dichiarazioni dei suddetti soggetti (c.d. criminal witness), ha escluso che il loro impiego da parte dei giudici nazionali sia sufficiente di per sé a rendere non equo il processo. 67 Nella verifica della sussistenza di una violazione dell’art. 6 della convenzione, invece, la Corte ha proceduto analizzando 63 Cfr. Beernaert, op. loc. ult. cit. Si legge nella sentenza della Corte nel caso Kok c. Paesi Bassi cit., par. 1 che, in primo luogo «there were sufficient reasons for keeping secret the identity of the informant»; in secondo luogo «the anonymous witness was not a police officer whose identity was kept concealed essentially for operational reasons but a person who needed to be protected and whose evidence could not be obtained if sufficient protection was not forthcoming» e infine, «the applicant’s conviction was not based exclusively or to a decisive extent on the evidence of the anonymous witness». 65 In dottrina cfr. Beernaert, La recevebilité des preuves cit., pp. 88-90. 66 Cfr. le pronunce nei casi Erdem c. Germania, 9 dicembre 1999, (decisione di inammissibilità); Lorsé c. Paesi Bassi, 27 gennaio 2004, (decisione di inammissibilità); Verhoek c. Paesi Bassi, 27 gennaio 2004, (decisione di inammissibilità); Cornelis c. Paesi Bassi, 25 maggio 2004, (decisione di inammissibilità). 67 Cfr. le pronunce nei casi Erdem c. Germania cit.; Lorsé c. Paesi Bassi cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 64 64 rassegne tutte le circostanze del caso. 68 In tale analisi essa ha prestato attenzione ad alcuni precisi elementi. In primo luogo, la Corte ha dato peso alla conoscenza, da parte della difesa e dei giudici interni, degli accordi intervenuti tra i testimoni pregiudicati e la pubblica accusa. 69 In secondo luogo, essa ha verificato se il ricorrente e il suo avvocato avessero avuto l’opportunità di analizzare la legalità delle intese concluse e di porre domande ai suddetti testimoni per verificare la loro credibilità e affidabilità; 70 o, nel caso di irreperibilità dei testimoni non dovuta a negligenza delle autorità, 71 se la difesa avesse avuto la possibilità di esaminare la credibilità degli stessi attraverso informazioni ottenute da altri soggetti nel processo. Un terzo elemento rilevante, secondo la Corte, è quello del livello di consapevolezza, da parte dei giudici nazionali, dei pericoli, delle difficoltà e degli inganni che circondano gli accordi con i collaboratori di giustizia e quindi dello svolgimento di uno scrutinio esteso e attento di tutti gli aspetti delle predette intese e delle obiezioni della difesa. 72 Infine l’ultimo oggetto di analisi della Corte ha riguardato il peso attribuito alle dichiarazioni dei criminal witness nella condanna dell’accusato. 73 Passando a considerare, invece, la seconda parte dell’art. 6 par. 3, per la quale «ogni accusato ha diritto di ottenere la convocazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico», la Corte ha evidenziato che tale disposizione non esige la convocazione e l’interrogatorio di tutti i testimoni a favore dell’imputato, ma, come si desume dall’espressione «nelle stesse condizioni», ha piuttosto come scopo essenziale la attuazione di una completa uguaglianza di armi in materia. 74 Nei vari casi in cui si è trovata a trattare ricorsi concernenti la mancata convocazione di testimoni a discarico, la Corte ha anche ribadito che il suo 68 Cfr. le sentenze della Corte nei casi Lorsè c. Paesi Bassi cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 69 Cfr. le pronunce nei casi Erdem c. Germania cit.; Lorsé c. Paesi Bassi cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 70 Cfr. le sentenze della Corte nei casi Erdem c. Germania cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 71 Cfr. il caso Lorsé c. Paesi Bassi cit. 72 Cfr. le pronunce della Corte nei casi: Erdem c. Germania cit.; Lorsé c. Paesi Bassi cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 73 Cfr. le sentenze nei casi Erdem c. Germania cit.; Lorsé c. Paesi Bassi cit.; Verhoek c. Paesi Bassi cit.; Cornelis c. Paesi Bassi cit. 74 Cfr. le sentenze nei casi Engel e a. c. Paesi Bassi cit., par. 91; Vidal c. Belgio cit., par. 33; Pisano c. Italia cit., par. 21; Solakov c. ex Repubblica iugoslava cit., par. 57; Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 63; Destrehem c. Francia cit., par. 39; Vaturi c. Francia cit., par. 51; Guilloury c. Francia, 22 giugno 2006, par. 55. rassegne 65 compito non consiste nell’esprimere un’opinione sulla rilevanza di una prova richiesta e poi scartata, né piú generalmente sulla colpevolezza o l’innocenza del ricorrente, ma nel controllare se l’accusato abbia avuto un’occasione adeguata e sufficiente di contestare le accuse gravanti su di lui e se la procedura – considerata nel suo insieme 75 – rivesta il carattere equo richiesto dal par. 1 dell’art. 6. 76 È, dunque, lasciata alle giurisdizioni interne la responsabilità di apprezzare gli elementi raccolti da esse e la pertinenza di quelli di cui l’accusato desidera la produzione in giudizio; 77 in altri termini se è opportuno o necessario ammettere certe prove, come l’assunzione di un testimone. 78 Sebbene, in linea di principio, incomba ai giudici nazionali di decidere della necessità o opportunità di citare testimoni, alcune circostanze eccezionali potrebbero indurre la Corte a concludere per l’incompatibilità con l’art. 6 della mancata audizione di una persona come testimone. 79 In effetti la Corte è giunta a tale conclusione nei casi in cui ha verificato che il giudice nazionale, cui era stata presentata la domanda di audizione dei testimoni a discarico, non aveva sufficientemente motivato il rigetto della stessa; 80 inoltre il ricorrente aveva dimostrato, non solo di non aver potuto interrogare i suddetti testimoni, ma anche che la loro presenza e il loro esame avrebbero potuto apportare elementi nuovi e pertinenti per la trattazione del suo affare. 81 Ancora, l’organo giudiziario di Strasburgo ha escluso il carattere equo del processo in un caso in cui il ricorrente era stato condannato in appello senza che il giudice avesse accettato di riascoltare i testimoni le cui dichiarazioni gli apparivano non credibili, sebbene esse avessero giustificato l’assoluzione del ricorrente nel primo grado di giudizio. 82 Viceversa, la Corte ha escluso la violazione del diritto all’equo processo nei casi in cui il giudice nazionale aveva valutato la credibilità dei differenti mezzi di prova presentati, avuto riguardo all’insieme delle cir75 Cfr. la sentenza nel caso Pisano c. Italia cit., par. 21, ove si legge: «La Cour rappelle d’abord que la question de savoir si un procès est conforme aux exigences de l’article 6 s’apprécie sur la base d’un examen de l’ensemble de la procédure et non d’un élément isolé. Ce principe vaut aussi bien pour les garanties spécifiques du paragraphe 3 que pour la notion de procès équitable». 76 Cfr. le sentenze nei casi Vidal c. Belgio cit., par. 34; Pisano c. Italia cit., par. 21; Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 63; Vaturi c. Francia cit., par. 49; Guilloury c. Francia cit., par. 55; Muttilainen c. Finlandia cit., par. 21. 77 Cfr. le sentenze della Corte nei casi Pisano c. Italia cit., par. 21; Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 63; Destrehem c. Francia cit., par. 39. 78 Cfr. la sentenza nel caso Bricmont c. Belgio cit., par. 89. 79 Cfr. le sentenze nei casi Bricmont c. Belgio cit., par. 89; Destrehem c. Francia cit., par. 41; Vaturi c. Francia cit., par. 51. 80 Cfr. la sentenza nel caso Vidal c. Belgio cit., par. 34. 81 Ibidem, par. 32. 82 Cfr. la sentenza nel caso Destrehem c. Francia cit. 66 rassegne costanze della fattispecie, e aveva debitamente motivato la sua decisione a tale riguardo, 83 e/o il ricorrente non aveva provato che l’audizione di testimoni a suo favore sarebbe potuta risultare necessaria per la ricerca della verità. 84 7. Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo emerge con chiarezza che l’esigenza generale di equità dei processi penali, posta dall’art. 6 della convenzione, non è soddisfatta allorché vengano utilizzati in un processo elementi di prova raccolti a seguito di una attività di provocazione della polizia. 85 La Corte è consapevole della necessità di fare ricorso a speciali metodi investigativi – quali, ad esempio, le operazioni sotto copertura o gli agenti informatori – al fine di acquisire prove utili per la lotta contro certi crimini, ma richiede che il loro uso sia mantenuto entro chiari limiti e sia circondato da particolari garanzie. 86 Nella verifica della legittimità di un processo basato su prove acquisite a seguito di attività del tipo suddetto, la Corte ha concentrato la sua attenzione sulla distinzione tra ciò che costituisce provocazione (c.d. instigation o incitement o entrapment) e ciò che, invece, rappresenta una mera infiltrazione. Nel far ciò, essa ha tenuto conto di due elementi: da una parte, l’atteggiamento dei poliziotti o dei privati 87 intervenuti nel reato e, dall’altra, la presenza di sospetti sul coinvolgimento del futuro accusato nell’attività delittuosa. Sulla base di questi due parametri, essa ha considerato come instigation il comportamento di poliziotti o di privati allorché questi non si siano limitati ad indagare sull’attività criminale in maniera passiva, come undercover agents, ma abbiano esercitato un’ influenza tale da incitare la commissione del reato e allorché non avessero il sospetto che tale reato, 83 Cfr. le sentenze nei casi Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 68; Pisano c. Italia cit., par. 24. Cfr. le sentenze nei casi Engel c. Paesi Bassi cit., par. 91; Morel c. Francia (n. 2) cit., par. 65; Guilloury c. Francia cit., par. 64. 85 Cfr. le sentenze nei casi Texeira De Castro c. Portogallo cit., par. 39; Vanyan c. Russia cit., par. 49; Ramanauskas c. Lituania cit., par. 73. 86 Cfr. le pronunce nei casi: Texeira De Castro c. Portogallo cit., par. 36; Calabrò c. Italia, 21 marzo 2002, (decisione di inammissibilità); Sequeira c. Portogallo, 6 maggio 2003, (decisione di inammissibilità); Eurofinacom c. Francia, 7 settembre 2004, (decisione di inammissibilità); Vanyan c. Russia cit., par. 46; Khudobin c. Russia, 26 ottobre 2006, par. 128; Ramanauskas c. Lituania cit., par. 51, 53. 87 La Corte non ha escluso automaticamente la violazione dell’art. 6 della convenzione nei casi in cui ha rilevato un entrapment da parte di un privato. Essa ha, invece, ritenuto che l’ammissibilità e l’uso di una prova cosı́ ottenuta possa in certe occasioni rendere il processo non equo. Nel caso Shannon c. Regno Unito, 6 aprile 2004, (decisione di inammissibilità) la Corte ha dichiarato inammissibile la domanda del ricorrente in quanto essa, dall’analisi di tutte le circostanze, ha riscontrato che il sig. Shannon non era stato spinto a commettere il reato dal comportamento del giornalista M., ma aveva volontariamente agito e accettato di vendergli la droga, senza aver subito alcuna pressione. 84 rassegne 67 senza il predetto intervento, sarebbe stato commesso ugualmente. 88 La Corte ha, dunque, con fermezza escluso l’utilizzabilità di prove ottenute come risultato di una attività di provocazione e ha ritenuto irrilevante la considerazione dell’esistenza di un interesse pubblico. 89 Ha, invece, riconosciuto che il semplice intervento di un agente infiltrato non comporta la violazione del diritto ad un processo equo, se esso non ha avuto per effetto di causare la commissione dell’infrazione. 90 Laddove la Corte ha riscontrato che l’attività degli agenti di polizia non aveva oltrepassato quella di agenti sotto copertura (undercover agents), essa ha operato un ulteriore controllo sullo svolgimento del processo verificando l’equità dello stesso alla luce di due parametri cui piú volte si è fatto riferimento nel corso della presente analisi. In primo luogo, essa ha vagliato se all’accusato fosse stata concessa l’opportunità di contestare l’uso di una prova raccolta attraverso i metodi investigativi suddetti e di invocare il dubbio sulla sua credibilità. In secondo luogo, ha concentrato la sua attenzione sul valore e sull’incidenza attribuiti a siffatto tipo di prova ai fini della condanna del ricorrente. A tal proposito si possono richiamare le pronunce nei casi Ludi c. Svizzera, Calabrò c. Italia e Germania e Sequeira c. Portogallo. Nella prima, la Corte ha concluso per la violazione dell’art. 6 della convenzione in quanto ha constatato che, sebbene l’attività dell’agente di polizia non avesse ecceduto quella di undercover agent, né il ricorrente né il suo avvocato avevano avuto la possibilità di porgli domande nel corso del processo per mettere in dubbio la sua affidabilità. Nella pronuncia Calabrò c. Italia, invece, la Corte ha dichiarato inammissibile la domanda del ricorrente, dal momento che l’attività dell’agente segreto non aveva costituito una provocazione: l’agente infiltrato si era limitato, infatti, ad osservare il comportamento di soggetti che si muovevano in ambienti vicini alla criminalità e la commissione del reato era dipesa, in ultima analisi, dalla libera scelta del reo, non influenzata in maniera sostanziale dall’azione dell’agente stesso. Inoltre nel processo l’avvocato del ricorrente aveva rinunciato ad esaminare colui che era stato utilizzato come agente segreto e le dichiarazioni di 88 Cfr. le pronunce nei casi Sequeira c. Portogallo cit.; Eurofinacom c. Francia cit.; Ramanauskas c. Lituania cit., par. 51, 53. Tale sospetto deve essere basato su elementi concreti che mostrano un inizio di attuazione dei fatti costitutivi dell’infrazione per la quale l’accusato è stato successivamente perseguito. 89 «The general requirements of fairness embodied in Article 6 apply to proceedings concerning all types of criminal offence, from the most straightforward to the most complex. The public interest cannot justify the use of evidence obtained as a result of police incitement»: v. le pronunce nei casi Texeira De Castro c. Portogallo cit., par. 36; Calabrò c. Italia cit.; Sequeira c. Portogallo cit.; Eurofinacom c. Francia cit.; Vanyan c. Russia cit., par. 46; Khudobin c. Russia cit., par. 128; Ramanauskas c. Lituania cit., par. 51, 53. 90 Cfr. le pronunce nei casi Lüdi c. Svizzera cit.; Calabrò c. Italia cit.; Sequeira c. Portogallo cit.; Shannon c. Regno Unito cit.; Eurofinacom c. Francia cit. 68 rassegne quest’ultimo non avevano costituito un fattore decisivo ai fini della condanna del ricorente. Nella pronuncia Sequeira c. Portogallo, infine, la Corte ha escluso la violazione dell’art. 6 perché, dopo aver constatato che gli agenti A. e C. non avevano agito come agents provocateurs, ha appurato che il ricorrente aveva avuto l’opportunità di porre loro alcune domande e che il giudice nazionale non aveva fondato la sua decisione esclusivamente sulle affermazioni di tali soggetti. 91 91 Proprio dalla decisione di irricevibilità nel caso Sequeira c. Portogallo cit., emerge chiaramente la duplicità di analisi che la Corte deve svolgere nel caso di operazioni sotto copertura. Si legge infatti: «These factors establish a clear distinction between the present case and Teixeira de Castro, and show that A. and C. cannot be described as agents provocateurs. ...The Court is also required to consider whether the involvement of A. and C. in the operation, even if they were acting as undercover agents rather than agents provocateurs, nevertheless undermined the fairness of the trial. In this respect, it notes that A. and C. took part in the proceedings and were examined at a hearing in public by the Benavente Criminal Court. The applicant had an opportunity to question them and to cast doubt on their credibility and that of the member of the criminal-investigation department who had also particpated, as an undercover agent, in the cocaine shipment. Finally, the court had not based its findings exclusively on the undercover agents’ statements, but also on the statements of other members of the criminal-investigation department who had taken part in the operation and on documents found in the applicants possession». COMMENTI IL DIRITTO ALLA CONTINUITÀ DI COGNOME DI MINORI PROVVISTI DELLA CITTADINANZA DI UNO STATO NON MEMBRO DELLA COMUNITÀ E DELLA CITTADINANZA ITALIANA di PIERALBERTO MENGOZZI professore a contratto nell’università degli studi di bologna Sommario: 1. Il problema della derogabilità all’automatica attribuzione ad un minore del solo cognome del padre postosi davanti al Tribunale di Bologna: i dati normativi. – 2. La non pertinenza dei precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione, delle sentenze della Corte Costituzionale e dell’art. 10 della Costituzione invocati dal Tribunale di Bologna. – 3. L’incidenza della sentenza della Corte di giustizia nel caso Garcia Avello. – 4. L’irrilevanza della pronuncia della Corte di giustizia nel caso Grunkin-Paul. – 5. La convenzione di Monaco di Baviera del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi. – 6. La rilevanza in materia delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs. – 7. Il caso Garcia Avello e quello in esame. – 8. La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e la preminenza del superiore interesse del minore. – 9. Il necessario riguardo alla scelta del minore o di chi ne cura gli interessi in materia di scelta del cognome. 1. Da tempo il Parlamento italiano, anche seguendo un suggerimento della Corte Costituzionale, si sta impegnando nell’elaborazione di una nuova legge che, in linea con il principio di eguaglianza tra l’uomo e la donna e con quello della protezione dei minori, superi la regola secondo cui il figlio assume automaticamente solo il cognome del padre, seguita nel nostro come in altri Paesi europei. 1 Nel frattempo i giudici comunitari e i giudici italiani sono stati richiesti di pronunciarsi sulla derogabilità, ad un titolo o ad un altro, di tale regola. La Corte di giustizia, in due casi, sottoposti alla sua attenzione nel quadro di procedure pregiudiziali, 2 ha ritenuto che una tale deroga sia necessaria in Paesi che seguono tale regola quando l’applicazione rigida 1 Al momento pendono davanti alla Camera dei Deputati e davanti al Senato della Repubblica sette disegni di legge presentati rispettivamente dagli On. Bindi (atto n. 1712), Mussolini (atto n. 1702), Garavini (atto n. 1699), Santelli (atto n. 1053) e Colucci (atto n. 960) e dai Sen. Franco (atto n. 86) e Poretti (atto n. 130). 2 Corte di giustizia, 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello c. Stato belga, in que- 70 commenti di questa possa dissuadere cittadini dell’Unione dall’esercitare la libertà di soggiorno e di circolazione attribuita ad essi dal trattato CE. Ai giudici italiani il problema si è posto, oltre che in una situazione del medesimo tipo in relazione alla quale essi hanno assunto la stessa posizione, 3 in un caso che non poteva essere risolto sulla base del principio che sancisce detta libertà e che è stato deciso dal Tribunale di Bologna con decreto dell’11 settembre 2007. 4 Nel caso presentatosi ai giudici di Bologna due cittadini italiani, conviventi e non coniugati, genitori di una bambina nata a Montreal, avevano chiesto all’ufficiale dello stato civile la trascrizione in Italia di un certificato di nascita canadese relativo alla propria figlia dal quale risultava che secondo il diritto del Canada ad essa era stato attribuito, oltre alla cittadinanza canadese, un cognome riproducente quello di entrambi i genitori. L’ufficiale di stato civile, in ragione del fatto che la bambina, cittadina italiana iure sanguinis, secondo il diritto italiano doveva assumere il cognome del padre, procedeva alla sua registrazione omettendo la menzione del cognome della madre, ed attribuendole unicamente quello del padre. Contro la trascrizione a questo modo compiuta, i genitori avevano proposto un articolato ricorso, facendo presente di esser formalmente residenti in Italia ma di vivere, prevalentemente, in Canada, Paese nel quale la figlia era universalmente conosciuta e identificata con il doppio cognome non recepito dall’ordinamento italiano. Per decidere su quanto richiesto dai ricorrenti il Tribunale di Bologna era condizionato da quattro ordini di dati normativi, che non potevano non imporsi immediatamente alla sua attenzione: 1) il comma 2 dell’art. 19 della legge 31 maggio 1995 n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il quale, dopo aver stabilito che, «se la persona ha piú cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento piú stretto», precisa: «se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale», cosı́ portando a ritenere che in un caso quale quello in considerazione debba applicarsi il codice civile italiano; 2) il comma 1 dell’art. 24 della legge n. 218 del 1995, secondo cui «l’esistenza ed il contenuto dei diritti della personalità sono regolati dalla legge nazionale del soggetto»; 3) il comma primo dell’art. 262 cod. civ. che, con riferimento al cognome del figlio, stabilisce che «se il riconoscimento [del figlio] è stato sta Rivista, 2003, p. 1088 ss.; e 14 ottobre 2008 Grunkin-Paul, in questo fascicolo della Rivista, p. 221 ss. 3 Cfr. Trib. Bologna, decreto 9 giugno 2004, citato nell’ordinanza della Corte di Cassazione del 22 settembre 2008, pubblicata in questo fascicolo della Rivista, p. 152 ss. 4 Vedilo in questo fascicolo della Rivista, p. 99 ss. commenti 71 effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre»; 4) il comma 2 dell’art. 98 del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, 5 nuovo regolamento dello stato civile, a termini del quale «l’ufficiale di stato civile provvede [a debita correzione] nel caso in cui riceva, per la registrazione, un atto di nascita relativo a cittadino italiano nato all’estero... relativo a cittadino riconosciuto come figlio naturale ai sensi dell’art. 264, primo comma cod. civ., al quale sia stato imposto un cognome diverso da quello ad esso spettante per la legge italiana. Quest’ultimo cognome deve essere indicato nell’annotazione». Il Tribunale di Bologna ha superato tali dati normativi ed accolto il ricorso, evidenziando l’interesse della minore «ad essere identificata con lo stesso cognome sia nei periodi in cui vivrà in Italia, sia in quelli in cui vivrà in Canada». E ciò «sia in relazione al suo diritto ad un armonico sviluppo della personalità connesso all’unicità del suo nome, sia alle prevedibili difficoltà nascenti dal dovere – in caso contrario – di trascrivere nei due Paesi atti che la riguardano se ella mantenesse nei due Paesi generalità diverse (matrimonio, separazione, filiazione, ecc.)». Come verrà precisato in seguito si ritiene di condividere pienamente la conclusione a cui il Tribunale è pervenuto; sembra però necessario procedere ad alcune messe a punto quanto alla motivazione della pronuncia. 2. Il Tribunale di Bologna, nell’accedere all’innovativa soluzione, afferma di aver trovato conforto in alcune pronunce della Cassazione, tra le quali la sentenza 26 maggio 2006 n. 12641, 6 con la quale la Suprema Corte ha chiarito che la ratio dell’art. 262 cod. civ. è quella di «garantire l’interesse del figlio a conservare o a non cambiare il nome con cui è ormai conosciuto nell’ambito delle proprie relazioni sociali» e che nell’applicazione dell’art. 262 cod. civ. l’organo giurisdizionale è «chiamato ad emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero (e prudente) apprezzamento, nell’ambito 5 Vedilo riprodotto in questa Rivista, 2002, p. 262 ss. In Foro it., 2006, I, 2314, in Fam. dir., 2006, p. 460 con nota di Carbone, I conflitti sul cognome del minore in carenza di un intervento legislativo e l’emergere del diritto all’identità personale, in Dir. fam. pers., 2006, I, p. 1649 con nota di Gazzoni, Cognome del figlio naturale, femminismo, lotta alla camorra ed obiter dicta, in Nuovo dir., 2006, p. 1207 con nota di De Simone, Tutela dell’identità personale del minore e attribuzione del cognome paterno, in Dir. & Giustizia, 2006, 25, p. 10 con nota di Dosi, Gli ermellini: addio vecchio patronimico. Cognomi, piú identità e discendenza. Il nome è un bene in sé, indipendentemente dallo status familiare, in Familia, 2006, II, p. 951 con nota di Carbone, L’inarrestabile declino del patronimico, in Corr. giur. 2006, p. 1210 con nota di Carbone, Riconoscimento tardivo del figlio naturale: conservazione del cognome materno. 6 72 commenti del quale rileva non tanto l’interesse dei genitori quanto il modo piú conveniente di individuazione del minore, con riguardo allo sviluppo della sua personalità, nel contesto delle relazioni sociali in cui si trovi ad essere inserito». Tale riferimento, tuttavia, non è stato ritenuto dal Tribunale del tutto appagante. Del resto, con l’indicata pronuncia la Cassazione ha affrontato e risolto un caso non del tutto sovrapponibile a quello considerato dai giudici felsinei. Ha ritenuto, infatti, con quella sentenza, derogabile l’automatismo insito nell’attribuzione del cognome del padre stabilito dall’art. 262 cod. civ., in nome del superiore diritto del minore all’identità personale, ma per il caso di filiazione accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento materno. Ha rilevato che «il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo», dotato di «copertura costituzionale assoluta», sicché deve essere attribuito al giudice un ampio margine di discrezionalità e rilevante libertà di apprezzamento nell’eleggere «il modo piú conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre». Per tale via, la Corte ha stabilito che al minore possa esser consentito di conservare il solo cognome materno nei casi in cui, a seguito del riconoscimento paterno, l’assunzione di quest’ultimo possa provocare «un danno all’interessato». Ciò può verificarsi, in particolare, se il cognome materno sia «ormai naturalmente associato al minore dal contesto in cui egli si trova a vivere», talché la soccombenza di tale cognome per effetto del riconoscimento paterno si tradurrebbe nell’ingiusta privazione di un elemento della personalità del minore, tradizionalmente definito come «diritto ad essere sé stesso». Tanto premesso, è evidente che il principio di diritto affermato dalla citata pronuncia della Cassazione non si presta ad essere applicato al caso di specie, in cui non si discute di attribuzioni, successive nel tempo, di cognomi diversi, l’uno recessivo rispetto all’altro, ma si tratta, invece di un caso in cui si pretendeva, invocando la normativa di uno dei Paesi di cui il nuovo nato aveva ex lege la cittadinanza, la contemporanea assunzione di due cognomi. Inoltre, è la non sufficiente pertinenza del richiamo alla citata pronuncia della Corte di Cassazione, per i motivi testé esposti, che deve aver spinto il Tribunale di Bologna a cercare altri riferimenti a suffragio della propria decisione. Esso ha, infatti, aggiuntivamente operato un richiamo a tre sentenze della Corte Costituzionale (le sentenze 23 luglio 1996 n. 297, 7 7 In Foro it., 1996, I, 3600. commenti 73 11 maggio 2001 n. 120 8 e 24 giugno 2002 n. 268), 9 e l’ha motivato in base al rilievo che l’art. 10 della Costituzione attribuirebbe alla convenzione di New York del 18 dicembre 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. 10 Ha infine concluso qualificando la posizione presa come una «interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 98 comma 2 d.p.r. n. 396/2000 e dell’art. 262 cod. civ. da esso richiamato». Tuttavia, né il richiamo alle citate pronunce del giudice delle leggi, né il riferimento alla citata convenzione, per il tramite dell’indicata norma costituzionale, possono ritenersi sufficienti a motivare la decisione del Tribunale. Ancora diverse da quella esaminata dal Tribunale di Bologna sono, infatti, le situazioni disciplinate dalle richiamate pronunce, nelle quali la Corte Costituzionale: a) ha considerato costituzionalmente illegittimo l’art. 262 cod. civ. nella misura in cui non preveda che il figlio naturale possa mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, quando assume quello del genitore che lo ha successivamente riconosciuto; b) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 299 cod. civ. nella parte in cui non prevede che un figlio naturale non riconosciuto possa mantenere il cognome originariamente attribuitogli nell’assumere quello dell’adottante; c) ha confermato la costituzionalità dell’art. 55 della legge n. 184 del 4 maggio 1983 11 nella parte in cui prevede il mantenimento del precedente cognome dell’adottato a fronte dell’aggiunta di quello dell’adottante. Quanto al rilievo secondo il quale, a norma dell’art. 10 della Costituzione, «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute», deve osservarsi che esso non è idoneo a qualificare i principi generali consacrati nella convenzione di New York del 1979, nella parte in cui programmaticamente prescrivono agli Stati aderenti di eliminare ogni forma di discriminazione tra uomo e donna, come suscettibili di attribuire a tali principi il rango di norme di diritto interno immediatamente applicabili, con prevalenza rispetto ad altre norme, di carattere specifico, già esistenti. Si può allora, considerata la non pertinenza dei dati fin qui esaminati, dubitare che il riferimento finale ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 98 del d.p.r. n. 396/2000 e dell’art. 262 cod. civ. sia 8 Ibidem, 2002, I, 646, con nota di Raparelli, Alcune riflessioni sul fondamento giuridico del diritto al nome. 9 Ibidem, 2003, I, 2933. 10 Eseguita dall’Italia con la legge n. 132 del 14 marzo 1985, in Gazz. Uff., n. 89 del 15 aprile 1985, suppl. ord. 11 La legge è riprodotta in questa Rivista, 1983, p. 676 ss. 74 commenti sufficiente a giustificare l’adozione, da parte del Tribunale, di una decisione tanto dirompente. 3. La soluzione data dal decreto in esame al problema in questione, anche se appare apprezzabile perché conforme a principi costituzionali in virtú dell’idea di protezione dei minori cui è ispirata, potrebbe allora risultare destinata a restare isolata. Ciò provoca, indubbiamente, un certo disagio, anche in ragione del trattamento deteriore che, per tale via, l’ordinamento italiano riserverebbe ai minori provvisti della cittadinanza di un solo paese comunitario (oltre a quella di un Paese terzo) a cui l’ordinamento di quel paese permetta di avere solo il cognome del padre rispetto a minori aventi la cittadinanza di due Paesi comunitari uno dei quali attribuisca loro il cognome di entrambi i genitori. Tale disagio non può, peraltro, non aumentare se si considera la pronuncia, che la Corte di giustizia ha reso il 2 ottobre 2003 nel caso Garcia Avello. 12 Come noto si trattava, nella specie, di due minori che, nati in Belgio da due coniugi spagnoli, erano provvisti, sin dalla nascita, di cittadinanza spagnola iure sanguinis e di cittadinanza belga iure soli. Essi, di conseguenza, risultavano legittimati a portare il doppio cognome in Spagna, mentre, secondo la legislazione del Belgio, erano legittimati a usare solo il cognome del padre, e con tale cognome, in quest’ultimo Paese, era stato redatto il loro atto di nascita. I genitori, a fronte di un rifiuto dell’ufficio di stato civile belga di correggere l’atto di nascita basato sul carattere prevalente che, secondo la legislazione belga, 13 deve essere attribuito alla cittadinanza nazionale rispetto a quella di qualsiasi altro paese, hanno promosso una serie di ricorsi che hanno portato il Consiglio di Stato belga a chiedere alla Corte di giustizia una pronuncia pregiudiziale sulla compatibilità di detta legislazione con gli artt. 12 e 17 del trattato CE. La Corte di giustizia ha risposto statuendo che i due articoli devono essere interpretati nel senso che ostano all’applicazione di detta legislazione in ragione del fatto che a) il divieto di discriminazione di cui all’art. 12 del trattato CE impone di non trattare situazioni diverse in maniera uguale e b) che «nel caso di specie è pacifico che le persone che possiedono, oltre alla cittadinanza belga, quella di un altro Stato membro sono, di regola, trattate allo stesso modo delle persone che abbiano soltanto la cittadinanza belga», con la conseguenza che sono sottoposte 12 cit. Corte di giustizia, 2 ottobre 2003, in causa C-148/02, Garcia Avello c. Stato belga 13 Sulla legislazione belga in materia di doppia cittadinanza cfr. Clerici, Recenti orientamenti di alcuni Stati europei nei confronti della doppia cittadinanza, in Collisio legum. Studi di diritto internazionale privato per G. Broggini, Milano, 1997, p. 116. commenti 75 a seri inconvenienti tanto di ordine professionale quanto privato quali non incontrano invece persone provviste unicamente della cittadinanza belga. Considerata la motivazione con cui la Corte di giustizia ha adottato tale decisione, il Tribunale di Bologna avrebbe dovuto chiedersi se i giudici dei Paesi membri della Comunità non debbano farsi carico di ovviare ai seri inconvenienti che ai minori cittadini comunitari provvisti anche della cittadinanza di uno Stato terzo può procurare la differenza di cognomi loro attribuiti da ordinamenti statali diversi, non soltanto quando una tale differenza discenda dagli ordinamenti di due Stati membri della Comunità, ma anche quando essa si verifichi per effetto delle diverse previsioni di legge di uno Stato membro e di un Paese non comunitario (come è avvenuto nel caso qui in commento). 4. Un problema analogo, ma non identico, a quello testé indicato è stato affrontato, successivamente all’adozione del decreto in esame, nella sentenza pregiudiziale che la Grande Sezione della Corte di giustizia ha emesso il 14 ottobre 2008 nella causa C-353/06, Grunkin-Paul. 14 Nella causa principale, che ha dato occasione al rinvio alla Corte, i genitori di cittadinanza tedesca di un bambino, di nome Leonhard Matthias, nato in Danimarca quando essi erano entrambi ivi residenti, avevano chiesto all’ufficio di stato civile tedesco di riconoscere il cognome GrunkinPaul attribuito al figlio in Danimarca, che riproduceva, come consentito dal diritto di tale Paese, il cognome di entrambi i genitori. Essi avevano evidenziato che il bambino risiedeva in tale Paese con la madre ma si spostava frequentemente in Germania (dove, dopo avere divorziato dalla moglie, il padre si era stabilito) esercitando il diritto di libera circolazione previsto dall’art. 18 del trattato CE. L’attribuzione in Danimarca di quel cognome era avvenuta in virtú di una norma di diritto internazionale privato danese, secondo la quale una persona ha il cognome che le è attribuito dal Paese di residenza. Ai sensi dell’art. 10 delle norme di diritto internazionale privato tedesche, invece, il cognome di una persona è determinato dalla legge del Paese di cui essa ha la cittadinanza. Gli uffici dello stato civile tedesco avevano rigettato la domanda avanzata dai genitori in quanto il diritto tedesco non consente ad un figlio di portare un doppio cognome, composto da quello del padre e da quello della madre. A seguito di una serie di ricorsi contro tale rigetto l’Amtsgericht Flensburg ha chiesto alla Corte di giustizia se «alla luce del divieto di discriminazione contenuto nell’art. 12 CE e in considerazione della libertà di circolazione garantita ad ogni cittadino dell’Unione dall’art. 18 CE, sia valida 14 V. supra, nota 2. 76 commenti la norma di conflitto prevista dall’art. 10 EGBGB in quanto, riguardo alla normativa sul nome di una persona, essa fa riferimento solo alla cittadinanza». La Corte di giustizia, esclusa l’incompatibilità con l’art. 12 del trattato CE del rigetto da parte dell’autorità tedesca della domanda avanzata dai genitori di Leonhard Matthias in quanto tale autorità aveva applicato ad un cittadino tedesco il diritto nazionale di questo, si è concentrata sulla compatibilità con l’art. 18 dell’applicazione nel caso di specie dell’art. 10 EGBGB e della normativa sostanziale tedesca sulla base di questo applicabile. Essa ha basato la propria pronuncia sulla motivazione con cui ha adottato la sentenza Garcia Avello, sopra ricordata; ha, in particolare, richiamato di avere adottato tale sentenza in ragione di seri inconvenienti suscettibili di prodursi per persone che siano provviste della cittadinanza di due Paesi membri che attribuiscono loro cognomi diversi e mantengano collegamenti continui con l’uno e con l’altro Paese. Operato tale richiamo, nella nuova pronuncia ha precisato che: a) «siffatti seri inconvenienti possono presentarsi allo stesso modo in una situazione come quella» in cui si trova Leonhard Matthias; e b) «poco importa se la diversità dei cognomi è conseguenza della doppia cittadinanza degli interessati o della circostanza che, nello Stato di nascita e di residenza, la determinazione del cognome è collegata alla residenza, mentre nello Stato di cui questi ultimi possiedono la cittadinanza tale determinazione è collegata alla cittadinanza». Sulla base di tale ragionamento ha ritenuto che «il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 CE». 15 E dopo avere escluso la sussistenza di cause giustificative, ha potuto concludere che «l’art. 18 CE, in circostanze come quelle della causa principale, osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita». Un tale rifiuto, a suo avviso, è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Le due precisazioni (di cui ai punti a e b) con cui la Corte, ha motivato nella sentenza Grunkin-Paul, potrebbero apparire idonee a fornire una risposta positiva all’interrogativo che avrebbe dovuto porsi il Tribu15 Vedi rispettivamente i punti 24 e 22. commenti 77 nale di Bologna. Ma a questa conclusione non è possibile pervenire ove si consideri che le espressioni usate, ancorché formulate in termini generali, a prima vista idonei ad essere applicati a qualunque caso di doppio cognome di persone circolanti in Stati diversi, sono strettamente legate alla tutela del diritto dei cittadini dell’Unione di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» ed alla verifica che la Corte di giustizia ha compiuto dell’esistenza di un ostacolo illegittimo all’esercizio di un tale diritto. Il Tribunale di Bologna avrebbe potuto dare una risposta positiva a detto interrogativo solo sulla base di dati giuridici diversi da quelli considerati nella sentenza Grunkin-Paul o a seguito di un’ulteriore pronuncia della Corte di giustizia che estendesse il diritto dei cittadini dell’Unione a circolare liberamente anche fuori dal territorio degli Stati membri (pronuncia che, al momento, non è dato prevedere). 5. Dei disagi suscettibili di essere sofferti da minori, a cui distinti Paesi con cui abbiano un collegamento effettivo attribuiscano cognomi diversi, si fanno carico in modo piú immediatamente utile due autori che, intervenendo recentemente sull’argomento, si riferiscono alla convenzione di Monaco di Baviera del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai cognomi e nomi, a cui l’ordinamento italiano si è adattato con la legge 19 novembre 1984 n. 950. Rilevato che tale convenzione non affronta esplicitamente il problema della doppia cittadinanza e che il Rapporto esplicativo che accompagna il suo testo osserva che «la materia del nome è troppo circoscritta perché risulti utile dettare un’apposita regola al riguardo», essi propongono che, agli effetti dell’applicazione delle norme risultanti dall’adattamento dell’ordinamento italiano a detta convenzione (ovviamente considerate speciali rispetto al comma 2 dell’art. 19 della legge n. 218 del 1995), per la disciplina del nome di bipolidi si debba ricorrere alla stessa soluzione «internazionale» utilizzata ai fini dell’applicazione della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 16 sulla protezione dei minori, vale a dire si debba applicare la legge dello Stato della cittadinanza «piú effettiva». 17 Questa proposta ha il pregio di conferire ad analisi quali quella oggetto della pronuncia del Tribunale di Bologna un respiro piú ampio rispetto a quello che tale Tribunale, pur meritoriamente, ha mostrato interpretando il comma 2 dell’art. 19 della legge 218 del 1995 e l’art. 262 cod. civ. alla luce delle disposizioni della nostra Costituzione e della 16 Ad essa l’ordinamento italiano si è adattato con la l. 24 ottobre 1980 n. 742 (contenente l’autorizzazione alla sua ratifica), in Gazz. Uff., n. 310 del 12 novembre 1980, suppl. ord. 17 Mosconi, Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte speciale, 2ª ed., 2006, pp. 19, 20. In senso conforme cfr. Cafari Panico, Lo stato civile e il diritto internazionale privato, Padova, 1992, p. 87. 78 commenti convenzione di New York del 1979: la estende tenendo debitamente conto dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della stessa legge n. 218, a termini dei quali, rispettivamente, le disposizioni di tale legge «non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia» e «nell’interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro applicazione uniforme». 18 E, peraltro, ha anche il pregio di superare l’impressione, quale traspare in vari interventi dottrinali, che la disapplicazione di disposizioni quali quelle dell’art. 19 della nostra legge, scaturita dalla sentenza che la Corte di giustizia ha adottato nel caso Garcia Avello, costituisca un fatto eccezionale, capace di prodursi solo in ragione della diretta applicabilità degli artt. 12 e 17 del trattato CE e, piú in generale, della non applicabilità di norme degli Stati membri nei casi in cui la loro applicazione risulti non compatibile con il diritto comunitario. Risultato questo non condivisibile, perché si può ritenere che con tale sentenza la Corte di giustizia si sia fermata di proposito a trovare la soluzione del problema sottopostole in articoli del trattato, in quanto è un punto fermo della sua politica giudiziaria limitarsi a risolvere, per quanto possibile, le questioni che le sono sottoposte sulla base del diritto comunitario, trattenendosi, nel quadro di un self-restraint, dall’estendere, quando non necessario, la propria analisi a considerazioni tratte da fonti esterne. E nel caso di specie la diretta applicabilità degli artt. 12 e 17 del trattato forniva una base inequivocabilmente sufficiente ai fini della decisione che la Corte ha preso, senza necessità di richiamare altre questioni e principi. Occorre, allora, chiedersi, sulla base del suggerimento proveniente dai suddetti autori, se ai seri inconvenienti illustrati nella motivazione della sentenza Garcia Avello si possa far fronte, con riferimento a casi in cui il contrasto tra discipline regolanti l’attribuzione del cognome riguardi da un lato la disciplina di uno Stato membro della Comunità e dall’altro quella di uno Stato non comunitario, mediante l’applicazione di norme e valori giuridici desumibili da fonti diverse da quelle comunitarie e da quelle specificamente richiamate dal Tribunale di Bologna. 18 Per una sottolineatura della necessità di tener conto di tale disposizione nel quadro dell’applicazione della legge n. 218 del 1995 cfr. Cass., 9 gennaio 2001 n. 1, in questa Rivista, 2002, p. 129 ss.; e in dottrina, Baratta, Verso la «comunitarizzazione» dei principi fondamentali del diritto di famiglia, ibidem, 2005, pp. 588-589. Un cenno a tale necessità si trova pure nel decreto oggetto del presente commento, il quale si riferisce, sı́, alla convenzione di New York del 18 dicembre 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (la quale vincola l’Italia ad «assicurare gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome»), ma solo a titolo sussidiario optando decisamente per «un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 98 comma 2 d.p.r. 396/00 e dell’art. 262 cod. civ. da esso richiamato». commenti 79 6. Una volta ampliata l’analisi nella direzione risultante dall’art. 2 della legge n. 218 del 1995, non ci si può fermare alla sola prospettiva comunitaria. Se, in altri termini, superando quanto la Corte di giustizia nel suo indicato self-restraint ha espressamente statuito nella sentenza Garcia Avello, si tiene conto delle riflessioni che hanno potuto portare alla posizione in essa presa, non si può trascurare quanto la Corte sia stata incoraggiata ad assumere tale posizione (e, conseguentemente, a contrastare posizioni degli Stati membri che sostenevano la necessità, per pretese ragioni di certezza giuridica, di rispettare le scelte operate in materia dalle rispettive lex fori) dal richiamo che, nelle conclusioni presentate nella medesima causa, 19 l’avvocato generale Jacobs ha operato alle sue conclusioni del 9 dicembre 1992 nel caso Konstantinidis, e da quanto a queste, nelle nuove conclusioni del 2003, 20 ha aggiunto. Nel caso Konstantinidis l’avvocato generale Jacobs aveva rilevato che è possibile far discendere dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo «e dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in generale, l’esistenza di un principio secondo il quale lo Stato deve rispettare non solo il benessere fisico della persona ma anche la sua dignità, la sua integrità morale e la coscienza della sua identità»; 21 e, soprattutto, aveva aggiunto: «non credo che possano sussistere dubbi sul fatto che tali ‘‘diritti morali’’ siano violati qualora uno Stato obblighi qualcuno ad abbandonare o a modificare il suo nome, a meno che comunque non agisca cosı́ per motivi piú che validi». Nel caso Garcia Avello egli, allargando ulteriormente lo spettro della sua analisi, si è riferito alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), 22 ed in particolare ai suoi artt. 3 19 Vedi le conclusioni presentate il 22 maggio 2003, in Raccolta, 2003, I, p. 11613. Ibidem, 1993, p. I-1191. 21 Corte di giustizia, 30 marzo 1993, causa C-168/91, Christos Konstantinidis c. Stadt Altensteig, Standesamt e Landratsamt Calw, Ordnungsamt, ivi, punto 39. Tale idea l’avv. gen. Jacobs ha espresso in termini ancor piú larghi nelle conclusioni del 30 giugno 2005 nel caso Standesamt Stadt Niebüll (causa C-96/04, ibidem, 2006, p. I-3561), che presentava caratteristiche sostanzialmente simili a quelle del caso Garcia Avello; in questa ulteriore occasione egli (punto 55) ha sottoposto all’attenzione della Corte il fatto che «il nome di una persona è un elemento fondamentale dell’identità e della vita privata la cui tutela è ampiamente riconosciuta nelle costituzioni nazionali e nei trattati internazionali». 22 La cui autorizzazione alla ratifica è avvenuta da parte dell’Italia con la l. 27 maggio 1991 n. 175, che ha altresı́ determinato la «piena ed intera esecuzione della convenzione nel nostro Paese», in Gazz. Uff., n. 135 dell’11 giugno 1991, suppl. ord. Per un riferimento a tale convenzione per la determinazione della disciplina in ambito comunitario della materia cfr. Tonolo, La legge applicabile al diritto al nome dei bipolidi nell’ordinamento comunitario, in questa Rivista, 2004, pp. 960-961. Sulla tutela dei diritti della personalità nel diritto internazionale ed europeo cfr. Nascimbene, I diritti della personalità nel diritto internazionale ed 20 80 commenti par. 1, 7 par. 1 e 8 par. 1, a termini dei quali, rispettivamente, «in tutti gli atti relativi ai fanciulli, intrapresi dalle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dai giudici, dalle autorità amministrative o dagli organi legislativi, l’interesse del fanciullo deve avere importanza preminente», il fanciullo deve essere «registrato immediatamente dopo la sua nascita e deve avere diritto ad un nome dalla nascita» e «gli Stati aderenti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la cittadinanza, il nome e le relazioni familiari, cosı́ come riconosciuta dalla legge, senza ingerenze illegali». 7. Quanto sottoposto alla riflessione della Corte delle Comunità europee dall’avvocato generale Jacobs, induce a due considerazioni, una di carattere generale attinente all’interpretazione della sentenza Garcia Avello, e un’altra relativa alla convenzione sui diritti del fanciullo. Sul piano generale, vi è da domandarsi se i riferimenti, che la Corte di giustizia ha operato nel caso Garcia Avello e nel caso Grunkin-Paul, rispettivamente, agli artt. 12 e 17 del trattato CE ed agli artt. 12 e 18 non abbiano costituito elementi atti a precisare, in una società tendente a divenire multiculturale, quel principio generale di rispetto della dignità della persona che, come indicato, l’avvocato generale ha evocato nelle sue conclusioni nella causa Konstantinidis. È sulla scia di una tale idea, in larga misura corrispondente a quella che ha ispirato la pronuncia oggetto di questo commento, infatti, che un autorevole studioso, commentando la sentenza che la Corte Costituzionale tedesca ha emesso il 5 marzo 1991 accanto alla sentenza che la Corte di giustizia ha reso nell’indicato caso Konstantinidis, e sottolineando il parallelismo esistente tra le due pronunce, ha evidenziato come la prima si sia espressa in questi termini: il cognome (nome acquisito per la nascita) di una persona è espressione dell’individualità e dell’identità; per questo motivo l’individuo può pretendere in principio che l’ordinamento giuridico lo rispetti e lo protegga. 23 Inoltre, in un altro commento alla sentenza Garcia Avello si conclude indicando come «rispondente agli attuali principi portanti dell’Unione europea e di una società multiculturale» la consacrazione di una europeo, in L’unificazione del diritto internazionale privato e processuale. Studi in memoria di M. Giuliano, Padova, 1989, p. 703 ss. 23 Cfr. Jayme, Cognome e diritto di famiglia nella recente riforma tedesca (con spunti di diritto comparato), in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 72. Nello stesso senso, traendo sempre spunto da detta sentenza della Corte Costituzionale tedesca cfr. Gattini, Diritto al nome e scelta del nome nei casi di plurima cittadinanza, in Riv. dir. int., 1996, p. 95. Per una sottolineatura della posizione dell’avv. gen. Jacobs e per una convergenza con questo nel ritenere che il diritto al nome è un diritto fondamentale comune alle Costituzioni degli Stati membri e, in quanto tale, protetto dal diritto comunitario cfr. Tonolo, La legge applicabile cit., p. 960. commenti 81 libertà di autodeterminazione della persona, o di chi ne cura gli interessi (i genitori, almeno fino al momento in cui il figlio non è in grado di assumere una volontà consapevole), rispetto a scelte essenziali, ogni volta che l’esercizio di tale libertà non urti contro principi di ordine pubblico. 24 Tuttavia, per quanto suggestiva può essere l’idea che, nei casi Garcia Avello e Grunkin-Paul, la Corte di giustizia abbia invocato detti articoli non in quanto tali, ma in quanto precisazione di un principio generale di rispetto della dignità umana, detto argomento non si presenta, di per sé, per la sua indeterminatezza, idoneo a giustificare la disapplicazione di disposizioni senz’altro precettive nel nostro ordinamento e a permettere di concludere, a fronte del chiaro enunciato dell’art. 262 cod. civ., che «l’organo giurisdizionale è chiamato ad emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero (e prudente) apprezzamento», come ritiene il Tribunale di Bologna nel decreto in esame richiamando la sopra ricordata sentenza n. 12641 del 26 maggio 2006 della Corte di Cassazione. 25 8. Tutt’altro si deve osservare riguardo al riferimento che l’avvocato generale Jacobs effettua alla convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, che è stata ratificata da tutti gli Stati membri, Italia compresa, 26 ed al fatto che, come egli rileva, l’art. 3 par. 1 di detta convenzione vincoli gli Stati membri a far sı́ che «in tutti gli atti relativi a fanciulli intrapresi dalle autorità amministrative o dagli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve avere importanza preminente». Appare invero sicuro che, se si qualifica l’art. 19 comma 2 della legge n. 218 del 1995 come norma di diritto internazionale privato, in quanto integrante le disposizioni internazionalprivatistiche italiane applicabili in materia di statuto delle persone, e come norma che impone, in via generale, ad ogni persona dotata di cittadinanza italiana accanto ad una cittadinanza straniera, il cognome che è previsto dall’ordinamento italiano (e quindi dall’art. 262 cod. civ.), altrettanto sicuro è che l’adattamento dell’ordinamento italiano alla convenzione delle Nazioni Unite tramite ordine di esecuzione dà luogo ad una norma speciale idonea, in quanto tale, a trovare applicazione anche in deroga a norme successive quali sono le norme della legge n. 218 del 1995. 27 E, peraltro, la norma speciale che ne risulta, per il 24 Cfr. Palmeri, Doppia cittadinanza e diritto al nome, in Europa e dir. priv., 2004, p. 230. 25 26 27 Supra cit., nota 5. Sul punto cfr. Baratta, Verso la «comunitarizzazione» cit., p. 581. Per una prospettazione dell’incidenza che la convenzione sui diritti del fanciul- 82 commenti suo venire a far corpo con le norme a tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, e per l’assunzione tra queste di un rilievo ancor piú speciale, non può non assumere una portata prevalente quale quella che, rispetto alle norme di diritto internazionale privato, è riconosciuta alle cosiddette norme di applicazione necessaria. 28 Ne consegue che è sulla base del particolare carattere speciale che la suddetta disposizione della convenzione delle Nazioni Unite ha assunto nell’ordinamento italiano (in virtú appunto del fatto che questo si è adattato ad essa, e della sua connotazione come norma di applicazione necessaria) che si può, con piú solida base, sorreggere la posizione assunta con la decisione in commento; ed è in ragione del fatto che tale norma viene a imporre specificamente alle autorità amministrative e ai giudici di decidere sempre attribuendo «importanza preminente» all’«interesse superiore del fanciullo», che potrebbe trovare valido fondamento l’affermazione del Tribunale, già ricordata, secondo cui, applicando l’art. 262 cod. civ., «l’organo giurisdizionale è chiamato ad emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero (e prudente) apprezzamento». 9. Resta però da stabilire quando la deroga all’applicazione del comma 2 dell’art. 19 della legge n. 218 del 1995 e, conseguentemente, dell’art. 262 cod. civ., resa possibile dall’adattamento dell’ordinamento italiano all’art. 3 par. 1 della convenzione delle Nazioni Unite del 1989, possa considerarsi consona all’esigenza che quest’ultima dispo- lo è destinata ad avere per gli Stati parte ad essa nel senso di portarli a calibrare la disciplina dello statuto personale dei minori sui suoi bisogni morali, materiali ed educativi cfr. Baratta, Verso la «comunitarizzazione» cit., p. 581; nonché Marchegiani, Convenzione sui diritti del fanciullo, in Sesta (a cura di), Codice della Famiglia, Milano, 2007, I, p. 86 ss., la quale (aderendo a quanto precedentemente sostenuto da Moro (Figli e genitori separati, quali soluzioni per garantire il diritto ai minori di incontrare i genitori, Relazione introduttiva, Malosco, 2003, p. 4, www.minoriefamiglia.it), secondo cui in sede giudiziaria l’interesse preminente del minore deve costituire criterio di valutazione, chiave ermeneutica di interpretazione del diritto, che si pone come elemento essenziale per integrare e chiarire la portata e l’estensione di ogni singolo diritto, nella concretezza del caso e nella specificità della situazione contingente) sostiene che «il principio del superiore interesse del fanciullo si è consolidato come criterio determinante di ogni azione e questione che riguardi il minore tanto da diventare parametro di riferimento imprescindibile nell’approccio alla tutela e promozione dei diritti». 28 Su tale rilievo attribuito alle norme di applicazione necessaria anche rispetto a norme di diritto internazionale privato mi permetto di fare riferimento a Mengozzi, Pieralberto, Règles communautaires et règles impératives en tant que ‘‘limites’’ et ‘‘contrelimites’’ imposés à l’autonomie contractuelle, in Revue Marché Unique eur., 1999, p. 199 ss. e alla bibliografia ivi citata. commenti 83 sizione vuole sia soddisfatta, e quindi espressione di prudente apprezzamento. Certamente non può, di per sé, risultare tale la soluzione secondo la quale un elemento preferenziale deve individuarsi nel «collegamento piú stretto», che il minore abbia con un determinato Stato piuttosto che con un altro (come suggerito dalla dottrina, già rammentata, che vorrebbe risolvere il problema di contrasto tra discipline riferendosi alla convenzione di Monaco di Baviera del 1980 interpretata alla luce dei criteri dettati dalla convenzione dell’Aja del 1961 per il caso di minori provvisti di doppia cittadinanza, italiana e di uno Stato non comunitario). 29 L’utilizzazione di questo criterio, applicato di per sé, infatti, corre il rischio di risultare ancorata a valutazioni di carattere obiettivo e materiale (quali, ad esempio, la residenza abituale) 30 e non attenta a fattori di carattere psicologico ed affettivo, legati anche alla vita familiare, 31 che invece non possono mancare in una materia per la quale, come richiede la convenzione delle Nazioni Unite, assume «importanza preminente» l’«interesse superiore del minore». Parimenti non consona all’esigenza che la convenzione delle Nazioni Unite intende salvaguardare sarebbe, per le stesse ragioni, una soluzione che si ispirasse all’esigenza di tener conto, di per sé, del principio dell’uguaglianza tra moglie e marito sancita dalla convenzione di New York del 18 dicembre 1979 (indirettamente richiamata dal Tribunale di Bologna nei termini già esposti). Il criterio che resta utilmente invocabile, in quanto ancorato a dati normativi suscettibili di giustificare l’operata deroga, è – allora – quello di un’attribuzione all’autorità amministrativa, deputata ad assumere le decisioni in materia di cognome dei minori, di un dovere, in via generale e di principio, di improntare ogni sua decisione al superiore interesse di costoro, che in concreto risponda a ciò che viene indicato dai minori stessi o da chi ne cura gli interessi. Con la possibilità, ovviamente, per 29 Sulla difficoltà di identificare la cittadinanza «piú effettiva» di un neonato cfr. Struycken, La Convenzione di Monaco cit., p. 590. Su tale concetto cfr. Lagarde, Le principe de proximité dans le droit international privé contemporain, in Recueil des Cours, t. 196, 1986-I, p. 82 ss.; Vers une approche fonctionnelle du conflit positif de nationalités (à propos notamment de l’arrêt Dujaque de la première chambre civile du 22 juillet 1987), in Revue critique, 1988, p. 29 ss. 30 Per un’identificazione della cittadinanza del paese di residenza abituale come la cittadinanza piú effettiva cfr. Tonolo, La legge applicabile cit., p. 973. 31 Sul rilievo che si attribuisce alla vita familiare nel diritto comunitario cfr. Rossi, Cittadini, in Tizzano (a cura di), Il diritto privato dell’Unione europea, Torino, 2006, I, p. 97 ss.; Rossi, Stranieri, ivi, p. 129 ss.; Zanobetti-Pagnetti, Il ricongiungimento familiare fra diritto comunitario, norme sull’immigrazione e rispetto della vita familiare, in Fam. dir., 2004, p. 545; Bergamini, La famiglia nel diritto comunitario e dell’Unione europea, Torino, in corso di pubblicazione. 84 commenti tale autorità, di non seguire l’indicazione data, e di non recepire la volontà esternata dai soggetti interessati, qualora elementi del caso di specie inducano a ritenere che la scelta effettuata non corrisponda a ciò che è meglio per il minore, o vi sia contrarietà all’ordine pubblico. L’ultima parola, in tal caso, sarebbe naturalmente sempre affidata all’autorità giudiziaria. 32 32 In tal senso cfr. Lang, Cittadinanza dell’Unione, non discriminazione in base alla nazionalità e scelta del nome, in Dir. pubblico comp. eur., 2004, I, p. 249; Palmeri, Doppia cittadinanza cit., p. 230. Per un atteggiamento sostanzialmente identico cfr. Gattini, Diritto al nome cit., p. 106, secondo il quale l’ufficiale di stato civile o il giudice chiamato a determinare il cognome del bipolide è tenuto ad applicare il suo statuto personale straniero «se la persona lo richiede e ciò risulti necessario per evitare l’insorgere di situazioni giuridiche confliggenti». Per una soluzione legislativa in tal senso cfr., ad es., l’art. 311-21 del codice civile francese e il terzo comma dell’art. 57 del codice civile del Lussemburgo, quale risulta dalla modifica a questo apportata dall’art. 1 della legge del 23 dicembre 2005 «relative au nom des enfants». RICORSO IN CASSAZIONE PER I PROVVEDIMENTI DI VOLONTARIA GIURISDIZIONE E REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 di GIULIO PERONI ricercatore nell’università degli studi di milano Sommario: 1. Un caso recente e complesso sull’affidamento dei minori. – 2. L’esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale. – 3. L’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di volontaria giurisdizione. – 4. Il difetto di giurisdizione nella volontaria giurisdizione. – 5. Considerazioni finali. 1. In due recenti sentenze 1 relative al medesimo caso, la Corte di Cassazione a sezioni unite affronta alcuni quesiti assai rilevanti in tema di volontaria giurisdizione anche con riferimento a fattispecie implicanti conflitti di giurisdizione. Nella prima pronuncia la Suprema Corte si sofferma sulle modalità tramite le quali le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, emesse e rese esecutive in un dato ordinamento di uno Stato membro della Comunità europea, possano essere dichiarate esecutive in un altro. Nella seconda i giudici di legittimità ritornano ancora una volta sul dibattuto tema dell’esperibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di esercizio della potestà sui figli minori, con particolare riferimento a situazioni in cui il ricorrente lamenti la violazione di norme processuali, specificamente di quelle relative alla sussistenza della giurisdizione in capo al giudice italiano, da farsi valere o meno mediante il regolamento di giurisdizione. In via preliminare, è opportuno ricostruire nelle sue linee essenziali la vicenda decisamente complessa da cui derivano le decisioni in commento. Essa ha avuto inizio con un provvedimento del Tribunale per i minorenni di Napoli, confermato dalla competente Corte d’Appello, con cui una minore italo-spagnola veniva affidata, in occasione della separa- 1 Cass. s.u., 20 dicembre 2006 n. 27188, in questa Rivista, 2007, p. 1093 ss., nonché in Dir. fam. persone, 2007, pp. 705-710; e Cass. s.u., 2 novembre 2007 n. 23030, in questo fascicolo della Rivista, p. 104 ss., nonché, per la sola parte motiva, in Fam. dir., 2008, pp. 463464. Nella vicenda si è inserita anche l’ordinanza della Suprema Corte n. 18760 del 2007 con cui si dichiarava inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto dalla madre della minore avverso l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Napoli, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., sospendeva il processo; ciò in forza della intervenuta pronuncia delle Sezioni Unite n. 27188 in virtú della quale doveva considerarsi esaurita la ragione della disposta sospensione. 86 commenti zione giudiziale dei genitori, alla madre spagnola con l’obbligo di risiedere nella penisola sorrentina, luogo in cui la prima era sino ad allora vissuta. Successivamente la madre si trasferiva in Spagna, suo Paese d’origine, unitamente alla figlia. Il padre ricorreva, quindi, al Tribunale per i minorenni di Napoli contestando la legittimità di detto trasferimento e chiedendo l’affidamento della figlia. Tale richiesta, respinta dal Tribunale, veniva accolta, invece, dalla Corte d’Appello con decreto emesso il 9 novembre 2005. Successivamente, il padre, esercitando il diritto di visita, riportava la figlia in Italia. La madre a questo punto presentava un nuovo ricorso al Tribunale di Napoli, affinché fosse disposto l’immediato rientro in Spagna della minore sostenendo che il contegno del padre configurava un’arbitraria sottrazione internazionale di minore 2 in quanto la decisione della Corte d’Appello di Napoli doveva ritenersi inefficace poiché privo di exequatur da parte della competente autorità spagnola. Il Tribunale con decreto del 15 febbraio 2006 respingeva la domanda. A questo punto la madre presentava due ricorsi in Cassazione. Con il primo ricorso, sfociato nella sentenza 20 dicembre 2006 n. 27188, essa chiedeva la cassazione del decreto del Tribunale ed il rientro immediato della minore in Spagna in virtú della carenza di exequatur del provvedimento emesso dalla Corte d’Appello. Con il secondo ricorso, invece, impugnava il decreto della Corte d’Appello del 9 novembre 2005 nella parte in cui affidava la minore al padre con attribuzione esclusiva dell’esercizio della potestà genitoriale e regolamentava il diritto di visita della madre. La ricorrente denunciava, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 8, 9, 10 e 12 del regolamento (CE) n. 2201/2003 3 deducendo il 2 Per sottrazione internazionale di minore, secondo quanto previsto dalla convenzione dell’Aja del 1980 agli artt. 1 e 3, s’intende l’illecito trasferimento o trattenimento in uno Stato membro diverso da quello della sua residenza abituale. Va detto, inoltre che il fenomeno del «sequestro» del minore da parte di uno dei genitori, che si allontana con lui e lo conduce in uno Stato diverso da quello di residenza, sottraendolo non solo alle cure dell’altro genitore, ma all’esercizio legittimo della potestà dell’altro è di solito diffuso, come nel caso di specie, nelle coppie bipolidi. Per approfondimenti sul tema si rinvia a Rinoldi, L’interesse del minore nelle convenzioni internazionali concernenti la sua sottrazione da parte di un genitore, in Mosconi, Rinoldi (a cura di), La sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore. Studi e documenti sul kidnapping internazionale, Padova, 1988, p. 141 ss.; Marini, La sottrazione di minore nell’ordinamento internazionale, in Beghè Loreti (a cura di), La tutela internazionale dei diritti del fanciullo, Padova, 1995, pp. 138-158; Carella, La Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, in questa Rivista, 1994, pp. 777-794; Salzano, La sottrazione internazionale di minori: accordi internazionali a tutela dell’affidamento e del diritto di visita, Milano, 1995; Paraggio, La sottrazione internazionale di minori. Casistica e giurisprudenza, Roma, 2005; mi si consenta, inoltre, di rinviare a Peroni, L’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1980 e il rimpatrio del minore illecitamente sottratto, in Dir. immigrazione citt., 2002, pp. 48-62. 3 Per commenti ed analisi sul regolamento in oggetto e sulle sue prime applicazioni giurisprudenziali si veda Rimini, La responsabilità genitoriale nel regolamento CE 2201/2003 (Relazione tenuta a Roma in data 19 febbraio 2008 nell’ambito dell’incontro di studi sul tema commenti 87 difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello spagnolo, in quanto la figlia minore doveva ritenersi avere la propria residenza abituale in Spagna, paese in cui la stessa si era definitivamente trasferita con la madre. 2. Sul primo ricorso, come sopra osservato, la Cassazione 4 ha statuito che le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, emesse e rese esecutive in uno Stato membro sono, a norma dell’art. 28 del regolamento del Consiglio n. 2201/2003 5 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale) «eseguibili in altro ordinamento dopo esservi state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata, purché siano state notificate». Tale norma va letta in combinato disposto con gli artt. 21, 22 e 23 del regolamento 6 citato da cui emerge che le decisioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale, pur essendo anch’esse sottoposte al principio generale dell’automatico riconoscimento, non possono, solo perché riconosciute, essere poste in esecuzione, cioè non possono costituire titolo «La filiazione: realtà, principi e regole in evoluzione», organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura), in Fam. Persone e Successioni, 2008, pp. 542-550; Berloco, Sentenze straniere sulla responsabilità genitoriale, in Lo stato civile italiano, 2008, pp. 415-417; Fittipaldi, Regolamento CE 2201/2003 ed esecuzione delle decisioni di modifica dell’affidamento di un minore trasferito all’estero: tuttora si rende necessario l’exequatur del giudice straniero, in Fam. dir., 2007, pp. 698-705; in generale sul tema si veda Baratta, Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Picone (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, pp. 163-203; Baruffi, Osservazioni sul regolamento Bruxelles II-bis, in Bariatti (a cura di), La famiglia nel diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2007, pp. 175-223. 4 Sentenza n. 27188/2006. In dottrina per ulteriori commenti alla stessa si vedano Tedioli, Regolamento Ce 2201/2003 ed esecuzione delle decisioni in tema di affidamento di minori, in Fam. Persone e Successioni, 2007, pp. 891-899; Long, Riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti stranieri de potestate alla luce del regolamento Ce 2201/2003 (con cenni al tema della validità dei divieti di espatrio e degli obblighi di soggiorno), in Nuova giur. civ. comm., 2007, pp. 974-980. 5 In Gazz. Uff. Un. eur., n. L 338 del 23 dicembre 2003, p. 1 ss. e in questa Rivista, 2003, p. 1143 ss. In esso è stata riportata gran parte delle norme già presenti nel regolamento del Consiglio n. 1347/2000 del quale è stata disposta l’abrogazione; tuttavia, risulta disciplinata praticamente ex novo la parte relativa alla responsabilità genitoriale cui il precedente regolamento dedicava scarne previsioni. Sul regolamento n. 1347/2000 (in questa Rivista, 2001, p. 198 ss.) nella vasta bibliografia, si vedano, Ancel, Muir Watt, La désunion européenne: le Règlement dit ‘‘Bruxelles II’’, in Revue critique, 2001, p. 403 ss., Mosconi, Giurisdizione e riconoscimento delle decisioni in materia matrimoniale secondo il regolamento comunitario del 29 maggio 2000, in Riv. dir. proc., 2001, pp. 376-408; Bonomi, Il regolamento comunitario sulla competenza e sul riconoscimento in materia matrimoniale e di potestà dei genitori, in Riv. dir. int., 2001, pp. 298-346. 6 Per un esauriente commento alle norme citate si rinvia a Cafari Panico, Artt. 21-23, in Zaccaria (a cura di), Commentario breve al diritto di famiglia, Padova, 2008, pp. 24762481. 88 commenti per un’attività modificativa della situazione di fatto, in quanto occorre che, oltre alla previa notificazione del provvedimento su istanza dell’interessato, intervenga un’apposita declaratoria di esecutività da parte dello Stato in cui il provvedimento deve essere attuato. Vi è, dunque, una notevole differenza rispetto ad altre decisioni, come quelle relative alla regolamentazione del diritto di visita 7 e quelle che ordinano il ritorno del minore ai sensi dell’art. 11 par. 3 per cui è, invece, stata prevista la soppressione dell’exequatur. 8 Rispetto a queste ultime situazioni si è ammessa una tendenziale equivalenza delle decisioni degli altri Stati membri a quelle dei giudici interni, tanto che ormai della decisione straniera ci si può valere come titolo esecutivo nazionale, senza necessità di esperire alcuna procedura intermedia, salvo l’obbligo per il giudice dello Stato d’origine di rilasciare un certificato (in base all’art. 39) che attesti talune circostanze relative al giudizio svoltosi innanzi a lui. 9 Tale documento, che ai sensi dell’art. 45 deve essere depositato dinanzi al giudice dello Stato richiesto, costituisce l’unico presupposto per ottenere l’esecuzione della decisione. 10 Secondo i giudici di legittimità la differenza di «trattamento» suindicata 7 Tale diritto viene definito dal regolamento all’art. 2 come «il diritto di condurre il minore in luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo». Dunque, il diritto di visita si caratterizza per il trasferimento temporaneo della residenza del minore, nonché per il carattere transfrontaliero dello stesso. Sul punto, è opportuno evidenziare che per il regolamento de quo non si è in presenza di un diritto di visita, riconoscibile ed eseguibile senza exequatur, quando debba essere esercitato nello Stato di residenza abituale del minore diverso dallo Stato di origine della decisione. Nel senso che l’abolizione dell’exequatur riguardi le decisioni sul diritto di visita di cui siano titolari anche soggetti diversi dai genitori si veda Magrone, La disciplina del diritto di visita nel regolamento (CE) n. 2201/2003, in questa Rivista, 2005, pp. 339-370, spec. p. 363; in senso contrario, Mosconi, Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e contratti, Torino, 4a ed., 2007, pp. 330-332. In generale sul diritto di visita si rinvia a Baruffi, Il diritto di visita nel diritto internazionale privato e comunitario, Padova, 2005. 8 La norma dispone che «Un’autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di cui al paragrafo 1 procede al rapido trattamento della domanda stessa, utilizzando le procedure piú rapide previste nella legislazione nazionale. Fatto salvo il primo comma l’autorità giurisdizionale, salvo nel caso in cui circostanze eccezionali non lo consentano, emana il provvedimento al piú tardi sei settimane dopo aver ricevuto la domanda». 9 Essenzialmente si tratta del rispetto del principio del contraddittorio e, dunque, aver provveduto: all’audizione delle parti, alla notifica tempestiva dell’atto introduttivo del convenuto contumace, all’audizione del minore ove ritenuta opportuna. Va ricordato anche che il certificato, oltre ad attestare quanto prima menzionato, contiene informazioni di carattere pratico volte a facilitare l’esecuzione del provvedimento come nomi e indirizzi dei titolari del diritto di visita, dei titolari della responsabilità parentale e dei minori interessati. 10 Il certificato summenzionato è richiesto anche con riguardo alle decisioni concernenti il ritorno del minore di cui all’art. 40 par. 1 lett. b. L’art. 42 par. 1 elenca i motivi che possono essere di ostacolo al rilascio di detto certificato in parte coincidenti con quelli previsti per il diritto di visita, non venendo, infatti, presa in considerazione l’ipotesi di contumacia prevista, commenti 89 trova giustificazione nella diversa incidenza che le pronunce sull’affidamento del minore hanno sulle sue abitudini di vita, in quanto idonee a comportarne lo sradicamento dall’ambiente in cui è nato e cresciuto. Per questi motivi si può condividere la decisione dei Supremi giudici con cui è stata riconosciuta l’illegittimità del trasferimento della minore posto in essere dal padre sulla base del decreto della Corte d’Appello non munito di exequatur da parte del giudice spagnolo ai sensi dell’art. 28 del regolamento. 3. Passando ora alla seconda pronuncia, 11 relativa alla revoca del provvedimento di affidamento, dunque in merito all’ammissibilità al ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di volontaria giurisdizione con particolare riferimento a quelli in materia di responsabilità genitoriale, sembra, altresı́, da condividere la tesi del Supremo Collegio. Secondo tale pronuncia non è proponibile lo strumento processuale sopraindicato, unitamente al regolamento di giurisdizione, 12 quando si tratti di far valere i profili di carattere processuale come per l’appunto il difetto di giurisdizione non solo tra giurisdizioni speciali ed ordinaria, tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, ma soprattutto tra giudice italiano e giudice straniero. Come noto, la volontaria giurisdizione consiste nell’amministrazione invece, per quanto concerne il diritto di visita. Sul punto si veda Di Lieto, Il regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in Dir. com. scambi int., 2004, pp. 117-137, spec. p. 135. Va, infine, segnalato che la Corte di giustizia ha interpretato nel senso piú favorevole possibile per il figlio conteso fra genitori di diversi Stati l’art. 42 del reg. n. 2201/2003 per cui è irrilevante, ai fini del rilascio di detto certificato, una volta che un provvedimento contro il ritorno sia stato emanato e portato a conoscenza del giudice d’origine, che tale provvedimento sia stato sospeso, riformato, annullato o, comunque, non sia passato in giudicato o sia stato sostituito da un provvedimento di ritorno, quando il ritorno del minore non ha avuto effettivamente luogo. Sul punto si veda la recente pronuncia della Corte di giustizia, 11 luglio 2008, in causa C-195/08PPU, Rinau, con nota di Castellaneta, in Guida dir., 2008, pp. 121-122; e in questa Rivista, 2008, p. 134 ss. 11 Cass. s.u., n. 23030/2007. 12 Viene cosı́ superata quella posizione dottrinale espressa da Ginaldi, Ricorso per cassazione negli affari di volontaria giurisdizione, in Riv. dir. proc., 1954, pp. 200-215; successivamente ripresa da Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, 1990, pp. 776-777, per cui il regolamento di giurisdizione poteva utilizzarsi verso i decreti di volontaria giurisdizione che risolvevano questioni di giurisdizione assumendo su quel punto valore di sentenza. Tale assunto si ricavava secondo l’A. per identità di ratio, da alcune pronunce della Cassazione (Cass., 1º marzo 1983 n. 1540; 24 febbraio 1983 n. 1416, in Giust. civ. Mass, 1983; 22 luglio 1980 n. 4781, ibidem, 1980) per cui i decreti camerali quando risolvono una questione di competenza assumono contenuto di sentenza e sono impugnabili unicamente con regolamento di competenza e non con reclamo al giudice superiore, il quale, se proposto, deve dichiarare inammissibile il reclamo stesso, senza che debba richiedere il regolamento d’ufficio di competenza. 90 commenti pubblica del diritto privato, 13 ossia in quell’attività in cui la pubblica autorità è chiamata a garantire la legittimità o l’opportunità, in alcuni casi, di atti che rientrano nella sfera dei diritti privati operando un controllo preventivo o successivo rispetto agli stessi. Pur trattandosi di attività amministrativa, la volontaria giurisdizione rientra, comunque, nella competenza del giudice ordinario, sicché nel nostro ordinamento in caso di conflitto tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria non è possibile proporre il regolamento di giurisdizione, bensı́ quello di competenza ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ. e seguenti. Diversi sono, però, i profili che distinguono i due tipi di attività giurisdizionale, tra i quali quello piú rilevante ai fini della pronuncia in commento è senza dubbio quello della revocabilità del provvedimento di volontaria giurisdizione. 14 Infatti, in sede contenziosa i giudici emettono un provvedimento, che è in grado di regolare con stabilità il rapporto controverso tra le parti in lite (art. 2909 cod. civ.), mentre nel campo della giurisdizione volontaria le decisioni sono emesse in forza di una valutazione di opportunità che può mutare nel tempo; infatti, i provvedimenti del 13 In questo senso Mortara, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1923, p. 28; Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1936, p. 315; Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1942, p. 74; Redenti, Diritto processuale civile, I, Milano, 1952, pp. 31, 348. Piú recentemente Mazzacane, La giurisdizione volontaria nell’attività notarile, Roma, 1986, p. 12; Jannuzzi, Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2006, pp. 4-6 ss. Il fatto che il legislatore non abbia fornito una precisa ed autonoma configurazione alla volontaria giurisdizione è stata foriero di forti contrasti dottrinali sulla natura e portata di questo tipo di giurisdizione. Infatti, per alcuni Autori (vedi, in particolare, Micheli, Significato e limiti della giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1957, p. 526; Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 62; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Padova, 1959, p. 21), la volontaria giurisdizione costituisce una vera e propria attività giurisdizionale perché tende alla formazione di un comando giuridico ad opera del giudice su richiesta delle parti. Per tali autori costituisce attività giurisdizionale ogni attività in cui un organo imparziale è chiamato all’attuazione del diritto oggettivo a tutela di interessi privati. Secondo un altro orientamento (v. Fazzalari, Giurisdizione volontaria, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 330 ss.), la volontaria giurisdizione sarebbe un tertium genus ossia avrebbe un ruolo ed una funzione autonoma rispetto a quella prettamente giurisdizionale ed a quella amministrativa. Per una recente ricostruzione di dette posizioni minoritarie si rinvia ad Auciello, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2000, pp. 3-6; Genghini, La volontaria giurisdizione, Padova, 2006, pp. 3-6. 14 Oltre al summenzionato profilo della revocabilità, le diversità tra i due tipi di giurisdizione riguardano la contenziosità che manca nella volontaria giurisdizione in quanto il provvedimento volontario non incide sul conflitto di interesse esistente tra parti contrapposte, ma è rivolto alla realizzazione di un unico interesse; la mancanza di coazione nella volontaria giurisdizione: il provvedimento volontario, infatti, non può avere contenuto sanzionatorio (il giudice non può privare il titolare di un diritto soggettivo contro la sua volontà; egli invece collabora con le parti alla formazione di un rapporto giuridico); nella forma del provvedimento che generalmente è un decreto in volontaria giurisdizione, mentre è sentenza in quello contenzioso; nonché nella struttura del procedimento che in quello volontario si svolge sempre in camera di consiglio. commenti 91 giudice possono essere sempre revocati e modificati (art. 742 cod. proc. civ.). Il provvedimento di volontaria giurisdizione risulta cosı́ sottoposto al principio rebus sic stantibus, perciò su di esso non può mai venire a formarsi il giudicato. Per questi motivi la dottrina 15 unitamente alla giurisprudenza 16 propende per l’inammissibilità del ricorso in cassazione avverso i provvedimenti di volontaria giurisdizione, senza che tale soluzione possa configurare una possibile violazione degli artt. 360 cod. proc. civ e 111, comma settimo Cost. 17 Norma, quest’ultima, che, come noto, ammette senza limitazione alcuna il ricorso in cassazione per violazione di legge avverso tutte le sentenze e i provvedimenti pronunciati da organi giurisdizionali ordinari o speciali. Le disposizioni sopra citate presuppongono una pronuncia definitiva ed idonea a passare in giudicato; dunque, dal loro ambito di applicazione esulano i provvedimenti di volontaria giurisdizione in quanto revocabili 18 e modificabili 19 in ogni tempo, per motivi originari o sopravvenuti, da parte dello stesso giudice che li ha emessi. Ciononostante, la stessa giurisprudenza di legittimità ha affermato in deroga a questo suo orientamento la possibilità di ricorrere in cassazione con riguardo a quei provvedimenti di volontaria giurisdizione che assumono la forma di sentenza 20 o abbiano natura decisoria, siano cioè idonei ad incidere su diritti soggettivi, 21 ovvero di provvedimenti che 15 In particolare Jannuzzi, Lorefice, op. cit., pp. 30-35; Mazzacane, op. cit., pp. 9193; Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 325 ss.; Mandrioli, Procedimenti camerali su diritti e ricorso straordinario per cassazione, in Riv. dir. proc., 1988, p. 921 ss.; Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, p. 97 ss. 16 Cfr. Cass., 18 novembre 1976 n. 4305; 10 aprile 1993 n. 4354; 29 luglio 1993 n. 8455; 19 novembre 1993 n. 11431; 26 aprile 1994 n. 3942; 11 giugno 1997 n. 5229. 17 Ricordo che il precetto normativo de quo prima della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 (l. 1º marzo 2001 n. 63), costituiva il secondo comma di detto articolo. 18 Con la revoca è possibile riesaminare un provvedimento divenuto efficace e come tale non piú reclamabile, quando siano sopravvenute nuove circostanze o si voglia rimuovere un atto illegittimo. Tale mezzo d’impugnazione differisce dal reclamo che presuppone un provvedimento non ancora efficace. A differenza di quest’ultimo la revoca non è un mezzo di gravame poiché ha per oggetto un provvedimento già passato in cosa giudicata formale. 19 Va chiarito che con l’espressione «modifica» la legge ex art. 742 cod. proc. civ. si riferisce tanto ad una revoca parziale, quanto ad un’integrazione del provvedimento. 20 Secondo Cass., 25 luglio 1964 n. 2050; 18 luglio 1973 n. 2102, l’art. 739 cod. proc. civ. nella parte in cui sancisce l’irreclamabilità dei provvedimenti pronunciati in sede di reclamo, si riferisce ai soli provvedimenti ammessi sotto forma di decreto. Nello stesso senso Cass., 6 novembre 1987 n. 8219, per cui il ricorso ex art. 111, secondo comma Cost. (oggi settimo comma) è residuale rispetto a quello di cui all’art. 360 cod. proc. civ. ed è riservato ai provvedimenti giurisdizionali aventi contenuto decisorio, ma non rivestiti dalla forma della sentenza. Per una completa ricostruzione di tali orientamenti giurisprudenziali si rinvia a Mandrioli, Diritto processuale civile, 19a ed., Torino, 2007, pp. 335-339. 21 Cosı́ ad es. Cass., 18 gennaio 2000 n. 474 ha ritenuto ricorribile ed idoneo al giudicato 92 commenti abbiano «attitudine a produrre effetti con efficacia di giudicato, riguardo a diritti sostanziali o anche solo processuali con la conseguenza di arrecare ad una delle parti contrapposte un pregiudizio definitivo ed irreparabile». 22 Nel caso in commento il Supremo Collegio afferma che i provvedimenti relativi all’esercizio della potestà genitoriale (decadenza, reintegrazione, affidamento) non sono ricorribili per cassazione in quanto non possono essere assistiti da autorità di giudicato perché sprovvisti di contenuto decisorio; esso conferma cosı́ il suo ormai consolidato orientamento per cui i provvedimenti di volontaria giurisdizione non sono impugnabili in cassazione salvo l’eccezione prima descritta. Infatti, la potestà o responsabilità genitoriale non è altro che l’autorità personale e patrimoniale che l’ordinamento attribuisce ai genitori sul figlio minore nel suo esclusivo interesse e che ha per contenuto la cura e l’educazione della persona, la rappresentanza della stessa e l’amministrazione ordinaria e straordinaria del suo patrimonio. 23 In quanto tale essa è un officium, ossia un dovere morale giuridicamente rilevante per l’adempimento del quale il genitore ha potere d’agire; solo ed unicamente nei riguardi dei terzi può, eventualmente, assumere la natura di diritto soggettivo, cioè di diritto alla funzione e all’esercizio della stessa e, dunque, solo rispetto a questo profilo il provvedimento di volontaria giurisdizione è in grado di acquisire quel carattere decisorio e definitivo in senso sostanziale come prima indicato. 24 Si può conclusivamente il decreto col quale la Corte d’Appello rigettava in sede di reclamo il ricorso per fallimento; cosı́ pure Cass., 15 dicembre 2000 n. 15834 con riguardo al provvedimento che nega l’ammissibilità del reclamo; ancora Cass., 18 maggio 1996 n. 4620, in Foro it., 1996, I, 2376, con riferimento al decreto con cui la Corte d’Appello provvede in sede di reclamo su decreto del tribunale in camera di consiglio che ha revocato l’amministratore di condominio ex art. 64 disp. att. cod. civ. Piú risalenti nel tempo Cass., 3 maggio 1991 n. 4839, in Giur. it., 1993, I, 1, 209, relativamente ad un provvedimento di nomina di curatore speciale per l’impugnazione del riconoscimento di paternità; cosı́ pure Cass., 24 febbraio 1981 n. 115, in Foro it., 1982, I, 1144, che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione nei confronti di un decreto del tribunale dei minorenni in merito ad una questione preliminare di diritto; e cosı́ pure Cass., 16 giugno 1983 n. 4128, in un caso di contrasto tra genitori su provvedimenti da assumere nei confronti del figlio minore. Per una rassegna con distinzione tra i provvedimenti nei cui confronti la cassazione ammette o non ammette il ricorso straordinario cfr. Foro it., 1990, I, 1959, ad opera di Pazzi, Orientamenti giurisprudenziali in tema di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso provvedimenti camerali. 22 Cosı́ Cass., 12 gennaio 1988 n. 146, in Foro it., 1988, I, 3517; 16 marzo 1993 n. 3127, in Giust. civ. Mass., 1993, 505; 21 luglio 1993, n. 8147, in Giur. it., 1994, I, 1, 724; 10 marzo 1997 n. 2141, in Giust. civ. Mass., 1997, 377; 21 novembre 1997 n. 11604, ibidem, 1997, 2237. 23 In questo senso, i giudici di legittimità nella sentenza in commento n. 23030/2007 richiamano ex plurimis le seguenti pronunce: Cass., 9 settembre 2005 n. 17994, in Giust. civ. Mass., 2005, 6; n. 13823/2004; 12 luglio 2002 n. 10128, in Fam. diritto, 2003, p. 153. 24 In dottrina si vedano Bucciante, Potestà dei genitori, in Enc. Dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 774; Ferri, Potestà dei genitori, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, commenti 93 affermare sul punto che quando i giudici di legittimità negano l’esperibilità del ricorso in cassazione avverso i provvedimenti in materia di responsabilità genitoriale assunti in sede di reclamo dalla Corte di Appello, perché privi dei caratteri summenzionati, ciò presuppone che tali decisioni non accertino situazioni giuridiche qualificabili come diritti soggettivi o status in funzione della precarietà del decisum che rimane sempre modificabile o revocabile per qualsiasi ragione. 4. Sulla base di tali osservazioni si può comprendere l’argomentazione della Suprema Corte in relazione alla questione di giurisdizione sollevata dalla parte ricorrente con cui essa lamentava il difetto della medesima in capo al giudice italiano a favore di quello spagnolo con riferimento al regolamento n. 2201/2003. Il Supremo Collegio ha seguito l’orientamento espresso dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza n. 11026/ 2003 25 secondo cui quando il provvedimento impugnato risulti privo dei requisiti della decisorietà e definitività in senso sostanziale, il ricorso per cassazione non è azionabile anche se il ricorrente affermi la lesione di situazioni con rilievo puramente processuale, in quanto queste ultime non sono altro che espressione del diritto di azione. Secondo le Sezioni Unite, perciò, una pronuncia sull’osservanza delle norme processuali ha la stessa natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, se questo è privo dell’idoneità al giudicato, non è conseguentemente possibile ricorrere per cassazione neanche per far valere illegittimità esclusivamente processuali. È opportuno ricordare per completezza che la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite si è per cosı́ dire resa necessaria per risolvere il con- 1988, p. 2000; Boccaccio, L’interesse del minore - La potestà del genitore, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, p. 162. Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza: v. su tutte Cass., 25 gennaio 2002 n. 911, in Foro it., 2002, I, 1008 con nota di Maltese, Decreti camerali incidenti sulla ‘‘patria potesta’’. Regime attuale di revoca e proposte di riforma, in cui si illustra lo stato della dottrina e della giurisprudenza che, in tema di potestà genitoriale, distinguono tra il profilo esterno, imperniato sul diritto soggettivo alla titolarità dello status, dall’aspetto interno relativo al rapporto tra figlio e genitore, quale interesse legittimo affidato al procedimento camerale. Tale costruzione è stata criticata, in particolare, da Pelosi, Patria potestà, in Noviss. Dig. it., Torino, 1965, XII, p. 582 ss., secondo cui la potestà è un potere dovere e non può considerarsi mai un diritto soggettivo neppure nei riguardi dei terzi. Non è necessario secondo l’Autore ricorrere al descritto sdoppiamento perché come i diritti soggettivi anche i poteri in senso stretto possono essere assoluti vale a dire con efficacia erga omnes. In termini pressoché analoghi si vedano recentemente Bianca, La famiglia e le successioni, Milano, 2005, p. 330; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2002, p. 296; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, pp. 68-69. 25 In Fam. dir., 2004, p. 165 con nota di Donzelli, La tutela dei diritti processuali violati nei procedimenti ablativi e limitativi della potestà parentale, in Giur. it, 2004, I, p. 1165 con osservazioni di Perilli, In tema di ricorso straordinario per cassazione contro i provvedimenti in camera di consiglio in materia di potestà dei genitori. 94 commenti trasto tra due diversi orientamenti sviluppatisi in seno alla Cassazione negli anni precedenti a detto intervento. Da un lato, 26 infatti, si sosteneva che anche i provvedimenti di volontaria giurisdizione relativi alla potestà genitoriale potessero essere ricorribili per cassazione quando il provvedimento impugnato riguardava il diritto di azione di una delle parti: un diritto, si affermava, che per sua natura non avrebbe potuto ricevere idonea tutela attraverso gli ordinari rimedi della revoca o modifica del provvedimento camerale che avesse negato, in sede di reclamo, tale prerogativa processuale. Dunque, a fronte di un provvedimento non piú impugnabile che avesse violato il diritto processuale d’azione doveva ammettersi in base all’art. 24 Cost. il ricorso straordinario in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., settimo comma. 27 Dall’altro lato, in via decisamente prevalente, si sosteneva che non di autonomia, ma di strumentalità doveva intendersi connotato il rapporto tra la tutela di merito e quella processuale, nel senso che la seconda doveva intendersi subordinata alla prima; perciò non era possibile che, nei procedimenti in potestate destinati a sfociare in decisioni di merito prive di decisorietà e definitività, tali caratteri potessero essere riscontrati nelle decisioni che negli stessi procedimenti si fossero limitate a risolvere questioni pregiudiziali di rito o fossero intervenute a risolvere questioni in tema di competenza e giurisdizione. Secondo tale orientamento, perciò, non era accettabile che la decisione su questioni processuali potesse beneficiare di una tutela maggiore rispetto a quella prevista per il merito. «In linea di coerente sviluppo» 28 rispetto a tale impostazione fatta propria dalle Sezioni Unite nella pronuncia richiamata, la Cassazione afferma, poi, nella sentenza in esame, che in relazione ai procedimenti di volontaria giurisdizione non è neppure proponibile il ricorso preventivo di giurisdizione in quanto l’intervento anticipatorio delle Sezioni Unite presuppone che al giudice del merito competa una pronuncia decisoria sulla giurisdizione, suscettibile, se non impugnata, di produrre effetti preclusivi. Come si è avuto modo di osservare, secondo la Corte ciò non si verifica rispetto ai provvedimenti di volontaria giurisdizione relativi alla potestà genitoriale. La Corte Suprema, nel dichiarare inammissibile il ricorso innanzi ad essa presentato dalla madre della minore per le ragioni suesposte, conclude affermando che la mancata pronuncia sul difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello spagnolo lamentato dalla ricorrente non esclude la possibilità di un nuovo intervento del giudice cui appar26 Sul punto, tra le decisioni piú recenti, cfr. Cass., 5 ottobre 2000 n. 13271, in Giust. Civ., 2001, I, p. 281; 15 dicembre 2000 n. 15384, ivi, p. 632. 27 Cosı́ Cass., 16 marzo 1993 n. 3127, in Foro it., 1995, I, 975 con nota di Barone, Osservazioni. 28 Cosı́ testualmente si pronunciano i giudici nella sentenza n. 23030/2007. commenti 95 tiene «allo stato» la competenza giurisdizionale ai sensi del regolamento n. 2201/2003. Detto giudice ai sensi dell’art. 8 del regolamento sarà quello del luogo di residenza abituale del minore. 29 Questo titolo di giurisdizione pone, però, il non agevole problema di individuare i criteri idonei a determinare ove tale residenza debba intendersi ubicata. Sul punto, la normativa comunitaria in questione non contiene alcuna disposizione che possa aiutare a chiarire il contenuto di detto criterio; né tanto meno si ritiene possa venire in aiuto la giurisprudenza comunitaria quale nel corso degli anni si è venuta a formare sul concetto di residenza abituale, qualificandola come «il luogo in cui l’interessato ha stabilito il centro permanente dei suoi interessi». 30 Infatti, come è stato opportunamente osservato, 31 tale declinazione del criterio de quo non è utilizzabile in relazione ad un minore, poiché quest’ultimo acquista di norma la residenza dei genitori o del genitore affidatario o, ancora, del tutore se sottoposto a tutela. Dunque, spetterà al giudice, a seconda di come si presenta il caso concreto, accertare di volta in volta se un minore soggiorna in un certo luogo abitualmente in forza della valutazione delle sole circostanze materiali, cioè di puro fatto, senza, peraltro, richiedere per la sussistenza del requisito in oggetto il decorso di uno specifico lasso di tempo. 32 5. Si pone, a questo punto, un ulteriore problema relativo alla competenza della Corte di Cassazione in materia di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 68 del trattato CE; 33 in particolare, ciò riguarda quei casi in cui, 29 Sull’argomento si vedano Kennett, Current Developments: Private International Law, in Int. Comp. Law Quarterly, 2000, p. 187 e ss.; Campiglio, Mosconi, Giurisdizione e riconoscimento di sentenze in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, in Digesto, IV, Disc. pubbl., Aggiornamento, Torino, 2005, pp. 336-359; Ancel, Muir Watt, L’intérêt supérior de l’enfant dans le concert des juridictions: Le règlement de Bruxelles II-bis, in Revue critique, 2005, pp. 565-605; Magrone, Nelle controversie che investono un minore piú tutela con il criterio di vicinanza, in Guida al diritto Dir. com. int., 2005, pp. 19-23; Baruffi, op. cit., pp. 191-193. 30 In questi termini si è espressa la Corte di giustizia nella sentenza 23 aprile 1991, in causa C-297/89, Ryborg, in Raccolta, 1991, p. I-1943. 31 Biagioni, Il nuovo regolamento comunitario sulla giurisdizione e sull’efficacia delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori, in Riv. dir. int., 2004, pp. 1004-1007. 32 Accanto al foro generale e ai diversi fori speciali previsti dal regolamento esiste poi una regola generale di competenza per quei casi in cui non è possibile stabilire la residenza abituale del minore purché la competenza giurisdizionale non sia prorogata ai sensi dell’art. 12 del regolamento stesso. In questo caso sono competenti i giudici dello Stato membro in cui il minore risulta temporaneamente presente, come pure nel caso di minori rifugiati o internazionalmente sottratti in virtú dell’art. 13 del medesimo provvedimento normativo. 33 Per cui «quando è sollevata, in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno una questione concernente l’interpretazione del presente titolo oppure la validità o l’interpre- 96 commenti avanti al giudice a cui la Cassazione rinvia, viene sollevata una questione relativa all’interpretazione all’applicazione di una delle norme contenute nel regolamento con specifico riferimento all’art. 8 del medesimo che, come rileva, individua nel luogo di residenza abituale del minore il foro generale per la giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale. L’art. 68 viene in rilievo in quanto il regolamento n. 2201/2003 costituisce un tipico atto adottato in attuazione dell’art. 65 del trattato, 34 norma compresa nel titolo IV rubricato «Visti, asilo immigrazione altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» e dunque rientrante nell’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 68 che, come noto, ha fortemente rimodellato il sistema di competenze della Corte di giustizia in senso essenzialmente restrittivo. 35 L’art. 68 riserva, però, solo alle giurisdizioni di ultima istanza la possibilità di sollevare una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia per le materie comprese nel titolo IV. 36 Ciò comporta, in virtú di quanto sino ad ora esposto, che la Corte di Cassazione non dovrebbe essere mai competente a sollevare una simile questione in quanto la stessa ha escluso la possibilità di pronunciarsi sia sui profili di merito sia su quelli processuali relativi a casi di volontaria giurisdizione in tema di responsabilità genitoriale. In questo modo, però, l’art. 68 risulta svuotato della funzione a cui è preordinato e di fatto inapplicabile rispetto ai profili problematici che possono inerire alla materia disciplinata dal regolamento n. 2201/2003, ai fini di una sua corretta interpretazione ed applicazione, attinente ai casi di tazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul presente titolo, tale giurisdizione, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su tale punto, domanda alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione». 34 Il regolamento costituisce un importante esempio dei casi in cui l’ordinamento comunitario sta esercitando la competenza dell’art. 65 del trattato CE per l’adozione di misure in materia di diritto internazionale privato e processuale. Per commenti all’articolo in oggetto si veda Adam, La cooperazione in materia di Giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo intergovernativo, in Dir. Un. eur., 1998, p. 381 ss.; Pocar, La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una ‘‘European conflicts of laws revolution’’?, in questa Rivista, 2000, p. 873 ss.; Bariatti, La cooperazione giudiziaria in materia civile dal terzo pilastro all’Unione europea al Titolo IV del trattato CE, in Dir. Unione eu., 2001, p. 261 ss.; Clerici, Art. 65, in Pocar (a cura di), Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell’Unione europea, Milano, 2001, p. 308 ss. 35 Ciò con specifico riferimento proprio alla competenza pregiudiziale prevista dall’art. 234 del trattato che in assenza di quella nuova disposizione si sarebbe applicato anche alla materie qui in oggetto, sottoposte al cosiddetto processo di «comunitarizzazione» per effetto del trattato di Amsterdam. L’art. 68, dunque, introduce un regime speciale per le materie disciplinate dal titolo IV con riferimento al sistema della competenza pregiudiziale comunitaria. 36 Va precisato che il testo della disposizione attribuisce alla giurisdizione nazionale legittimata di valutare la rilevanza della questione («qualora reputi necessaria»); dunque si è in presenza di un rinvio facoltativo che si traduce, però, in obbligatorio una volta che questa valutazione sia operata in termini positivi dai giudici legittimati al suo esercizio. commenti 97 volontaria giurisdizione tra cui per l’appunto quelli relativi alla responsabilità genitoriale. Quale soluzione, dunque, per poter investire eventualmente della questione processuale la Cassazione con riferimento al regolamento n. 2201/ 2003, in ossequio anche all’art. 68 del trattato CE? Sul punto è stato suggerito, seppur con forti dubbi, di procedere ad una «etero integrazione» 37 del sistema di volontaria giurisdizione con quello della giurisdizione contenziosa al fine di permettere, quantomeno per i soli profili processuali soprattutto per la questione di giurisdizione, un intervento della Suprema Corte sui provvedimenti di volontaria giurisdizione non incidenti su diritti soggettivi o status. Da un lato, si afferma la possibilità di una disapplicazione di tali ultimi provvedimenti in sede contenziosa su richiesta della parte interessata. 38 Dall’altro lato, si ammette l’esperibilità dell’actio nullitatis contro il decreto camerale, nel corso di un procedimento contenzioso diretto all’impugnazione del negozio 39 compiuto in base a quel provvedimento, quando quest’ultimo si ritiene che sia stato assunto in violazione delle regole processuali. 40 Qualora tale soluzione non si ritenesse praticabile si potrebbe, forse, fruire del «ricorso nell’interesse della legge» 41 di cui all’art. 68 par. 3 del trattato. 42 Tale norma consente agli Stati membri, al Consiglio e alla Commissione di rivolgersi alla Corte di giustizia affinché si pronunci sull’interpretazione delle norme di cui al titolo IV nonché sugli atti adottati in base alle stesse norme. In questo modo da un lato, grazie all’azione della Commissione quale «custode del diritto dei trattati» si consente di accertare ed eliminare all’occorrenza eventuali divergenze di interpretazioni intercorse tra le diverse giurisdizioni degli Stati membri; mentre, 37 Cosı́ Lai, Procedimenti de potestate e ricorso straordinario per cassazione: un’esclusività giustificata?, in Fam. dir., 2008, pp. 472-474. 38 Ciò avverrebbe quando nel giudizio contenzioso vengono in considerazione gli effetti del provvedimento di volontaria giurisdizione ed il giudice, riconosciuta fondata la richiesta, disapplica il provvedimento; cioè non tiene conto degli accertamenti e delle statuizioni in esso contenute, reputandolo non idoneo a regolare l’interesse in esso contemplato. Per approfondimenti sul punto si rinvia a Cerino Canova, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Studi di diritto processuale civile, Padova, 1992, p. 71; Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, p. 241 ss. 39 Si pensi ad un qualsiasi contratto concluso dal minore in forza di autorizzazione da parte del giudice della volontaria giurisdizione. 40 In questo senso Carratta, Sulla tutela del diritto soggettivo di natura processuale ‘‘inciso’’ dal provvedimento camerale, in Giur. it., 1996, 6, p. 767; Jannuzzi, Lorefice, op. cit., pp. 58-59. 41 Cosı́ Biavati, Prime note sulla giurisdizione dopo il Trattato di Amsterdam, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 821. 42 Per un dettagliato commento alla disposizione in oggetto si veda Adinolfi, Art. 68, in Pocar (a cura di), Commentario breve cit., pp. 319-320. 98 commenti dall’altro lato, in virtú dell’azione del singolo Stato interessato si potrebbe compensare la mancanza della facoltà per i giudici che emettono sentenze impugnabili di proporre questioni pregiudiziali quando non vengono effettuati rinvii pregiudiziali da parte dei rispettivi giudici di ultima istanza. La competenza in esame è paragonabile a quella pregiudiziale, in quanto si attribuisce alla Corte di giustizia il compito di interpretare norme comunitarie al fine di assicurarne l’applicazione uniforme entro i diversi ordinamenti nazionali. GIURISPRUDENZA ITALIANA Tribunale di Bologna, decreto 11 settembre 2007 Presidente Rel., Betti - P.M. Cicoira e Santato contro Ministero degli interni. Nel caso di minore, figlio naturale di cittadini italiani nato in Canada e cittadino canadese e italiano dalla nascita, l’ufficiale di stato civile non deve procedere alla automatica correzione del cognome, prevista dall’art. 98 comma 2 del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, dovendosi invece applicare l’art. 95 comma 3 con riconoscimento del suo diritto al mantenimento del doppio cognome (paterno e materno) attribuitogli in Canada. La prevalenza del comma 3 dell’art. 95 rispetto al comma 2 dell’art. 98 del d.p.r. n. 396/2000 è fondata sul riconoscimento dei diritti sanciti dagli articoli 2, 3, 29, comma secondo e 10, comma secondo della Costituzione.1* Si osserva quanto segue. Fabio Cicoira e Clara Santato sono cittadini italiani residenti a Bologna, conviventi e non coniugati, genitori di Sibilla Cicoira nata a Montreal il 6 dicembre 2005. Cittadina canadese per nascita, la loro bambina ha assunto in Canada le generalità di Santato Cicoira Sibilla, come apparente dal suo certificato di nascita e dal suo passaporto canadese in atti in copia. Sulla richiesta dei genitori di trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, l’ufficiale di stato civile del Comune di Bologna ha provveduto alla trascrizione correggendo il doppio cognome originario in «Cicoira», ai sensi dell’art. 98 comma 2 d.p.r. 396/2000 e 262 cod. civ. I genitori hanno proposto ricorso avverso la correzione chiedendo che alla loro figlia venisse attribuito il doppio cognome originariamente assegnatole all’atto della nascita e nel conseguente procedimento l’Avvocatura di Stato si è costituita per il Ministero dell’interno, chiedendo il rigetto del ricorso e riaffermando la correttezza della correzione eseguita dall’ufficiale di stato civile. Esaminati gli atti e valutate le prospettazioni fornite dalle parti, il Tribunale ha deciso per l’accoglimento del ricorso proposto. Va premesso che il caso qui in esame riguarda una minore che ha due cittadinanze acquisite secondo le rispettive leggi nazionali: quella canadese acquisita alla nascita iure soli e quella italiana contemporaneamente acquisita iure sanguinis. La minore ha subito ottenuto un passaporto canadese in cui appare il doppio cognome ed in tale modo è conosciuta ed identificata nel Paese in cui prevalentemente vive. Solo successivamente i genitori, italiani, hanno chiesto la trascrizione dell’atto di nascita anche in Italia. Per quanto è emerso nel proce* Si veda il commento del prof. Pieralberto Mengozzi a questo decreto, a p. 69 ss. GRAFICHE FIORINI – Via Altichiero 11, – Tel. 045 - 525609 - Fax 528077 E:/GIULIANO/1.09/GIUR-IT.3D - Iª BOZZA [Ver. progr. 7.51o/W (Apr 14 2003)] 100 giurisprudenza italiana dimento, la minore ed i suoi genitori continuano a vivere in Canada anche all’attualità (per tale motivo i genitori ricorrenti non sono comparsi all’udienza 13 marzo 2007). Va anche premesso che in questo caso la filiazione è avvenuta fuori dal matrimonio, quindi il valore identificativo dell’appartenenza familiare della minore assume ben diverso rilievo, poiché ella è nata al di fuori della filiazione legittima regolata dal capo I, titolo VII del primo libro cod. civ. In questa situazione di fatto, il valore principale del cognome da attribuire alla minore in Italia non è quello pubblicistico di riconoscere la sua appartenenza ad un nucleo familiare bensı́ quello, sempre piú emergente dalla lettura datane dalla giurisprudenza delle supreme corti, di assicurare la protezione della sua identità personale essenzialmente individuata nel suo nome. La lettura del quadro normativo è coerentemente tracciata dalla Corte di Cassazione, in ripetute e recenti pronunce. «È dato ormai incontrovertibile che il cognome nel nostro ordinamento giuridico... assolve anche a una fondamentale funzione di natura privatistica, quale strumento identificativo della persona. La protezione dell’identità personale, immancabilmente contraddistinta da peculiari connotati morali, culturali, ideologici, trova, infatti, il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che viene considerato non tanto come mezzo necessario di individuazione del singolo nell’ambito dei soggetti di un ordinamento giuridico secondo principi normativi di interesse generale, quanto piuttosto nella sua corrente qualità di simbolo emblematico della identità personale di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana. Come è stato rilevato in dottrina, la tutela costituzionale del diritto al mantenimento del nome attribuito alla persona al momento della nascita in accordo con le norme di legge deve ritenersi assoluta ...Poiché il nome costituisce il primo e piú immediato elemento che caratterizza l’identità personale, è riconosciuto come bene oggetto di autonomo diritto riconducibile nell’ambito dell’art. 2 Cost.» (Cass., n. 12641 del 2006). È proprio in base a tale riconoscimento di una fonte normativa costituzionale direttamente applicabile alla fattispecie che la Corte di Cassazione ha rilevato che nella applicazione dell’art. 262 cod. civ. va esclusa ogni automaticità ma deve valutarsi l’interesse esclusivo del minore, riferito al suo diritto alla propria identità personale come posseduta nel suo ambiente di vita ed a ogni altro elemento rilevante nel caso concreto (Cass., n. 6098/2001). Ancora citando la sentenza Cass., n. 12641/2006: «la ratio dell’art. 262 cod. civ.... è invece garantire l’interesse del figlio a conservare o a non cambiare il cognome con cui è ormai conosciuto nell’ambito delle proprie relazioni sociali. Nell’applicazione dell’art. 262 cod. civ. quindi, l’organo giurisdizionale è chiamato a emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero (e prudente) apprezzamento, nell’ambito del quale rileva non tanto l’interesse dei genitori quanto il modo piú conveniente di individuazione del minore, con riguardo allo sviluppo della sua personalità, nel contesto delle relazioni sociali in cui si trovi ad essere inserito». Nel caso in esame, va considerato attentamente il fatto che la minore figlia naturale di due cittadini italiani abbia acquisito alla nascita la cittadinanza canadese, e sia quindi portatrice ab origine della doppia cittadinanza. Quale cittadina originariamente canadese le è stato legittimamente attribuito il doppio cognome Santato Cicoira nel rispetto delle norme del Paese d’origine e con quel doppio giurisprudenza italiana 101 cognome ella è ora conosciuta in Canada e sempre sarà identificata in quel modo in base al suo passaporto canadese. Al contrario, a seguito della rettifica operata dall’ufficiale di stato civile di Bologna qui reclamata, ella in Italia sarebbe conosciuta ed identificata solo col cognome Cicoira. Trattandosi di figlia di cittadini italiani che per ragioni di lavoro (la madre è ricercatrice ed il padre è un chimico) risiedono a lungo e reiteratamente in Canada pur rientrando regolarmente in Italia dove sono le loro famiglie d’origine, la minore si troverebbe nelle condizioni di doversi identificare con generalità diverse nei periodi in cui è in Italia ed in quelli in cui si trova in Canada. Il fenomeno di trasferimenti temporanei di individui e di famiglie da uno Stato all’altro è peraltro sempre piú frequente nella società moderna, sia per la maggior facilità degli spostamenti sia per la aumentata flessibilità del lavoro, e va quindi individuata una soluzione della questione prospettata in linea con la realtà odierna e la prevedibile evoluzione della vita della minore. Nel caso di Sibilla Santato Cicoira, è evidente il suo interesse ad essere identificata con lo stesso cognome sia nei periodi in cui vivrà in Italia sia in quelli in cui vivrà in Canada: ciò sia in relazione al suo diritto ad un armonico sviluppo della personalità connesso alla unicità del suo nome, sia alle prevedibili difficoltà nascenti dal dovere – in caso contrario – trascrivere nei due Paesi atti che la riguardano se ella mantenesse per i due Paesi generalità diverse (matrimonio, separazione, filiazione, ecc.). Nel primario ed esclusivo interesse della minore, va quindi data una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 98 comma 2 d.p.r. n. 396/2000 e dell’art. 262 cod. civ. da esso richiamato. La automatica applicazione dell’art. 98 eseguita dall’ufficiale di stato civile, con cancellazione del cognome materno concorrente, secondo la prospettazione contenuta nella ordinanza della I sezione della Corte di Cassazione n. 13298 del 17 luglio 2004 sarebbe incostituzionale sotto diversi profili. Sarebbe in primis leso l’art. 2 che esige la protezione del diritto di ciascuno alla identità personale – ed in particolare al nome quale sua primaria espressione – nelle formazioni sociali e quindi specialmente nella famiglia, quale diritto del figlio di acquisire l’identificazione rispetto ad entrambi i genitori, testimoniando cosı́ la continuità della sua storia familiare anche con riferimento alla linea materna. Sarebbe poi leso l’art. 3 perché l’esclusione dell’attribuzione del cognome materno costituirebbe violazione del principio di uguaglianza e pari dignità dei coniugi e la preferenza indefettibile del cognome paterno costituirebbe una discriminazione basata sul sesso non consentita. Sarebbe inoltre leso l’art. 29, secondo comma Cost. poiché l’unità familiare si rafforza solo nella misura in cui i rapporti tra i coniugi siano governati dalla solidarietà e dalla parità. Secondo questo Tribunale l’automatica attribuzione del solo cognome paterno in questo caso violerebbe anche l’art. 10, secondo comma Cost. L’ordinamento italiano si conforma infatti, ai sensi dell’art. 10 Cost., alle norme dei diritto internazionale generalmente riconosciute. In specifico, sia lo Stato italiano che quello canadese hanno sottoscritto la convenzione di New York del 18 dicembre 1979 sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, convenzione ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 132 del 14 marzo 1985. Tale legge vincola l’Italia ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni affe- 102 giurisprudenza italiana renti i rapporti familiari ed in particolare all’art. 16 lett. g ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome». La norma convenzionale pienamente vigente in Italia impone allo Stato di riconoscere nel nostro territorio il diritto della madre di attribuire il proprio cognome alla figlia, cosı́ come legittimamente esercitato in un altro Stato aderente alla convenzione. La legge n. 218/1995 sul diritto internazionale privato infatti prevede espressamente all’art. 2 che le disposizioni italiane in materia di diritto internazionale privato non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia: con la conseguenza che in questo caso, in cui entrambi gli Stati hanno aderito alla convenzione, troverà applicazione la disciplina convenzionale anziché quella dell’art. 19 legge n. 218/1995 che in caso di plurima cittadinanza darebbe la prevalenza – in assenza di convenzioni internazionali – alla legge italiana. Ai genitori devono quindi essere assicurati in Italia pari diritti nella scelta del cognome, cosı́ come nella fattispecie è stato assicurato dallo Stato canadese che ha attribuito entrambi i cognomi dei genitori – su loro richiesta – alla minore loro figlia cittadina canadese. Sulla prospettata incostituzionalità della attribuzione del solo cognome paterno la Corte Costituzionale si è già pronunciata piú volte ed è interessante notare l’esito delle decisioni in relazione alla concreta fattispecie regolata dalle norme sottoposte al vaglio del giudice delle leggi. Da un lato vi sono le ordinanze n. 176 del 1988, n. 586 del 1988 e n. 61 del 2006 che riguardano casi di figli nati all’interno del matrimonio e quindi di filiazione legittima. Le prime due ordinanze dichiarano la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, 72, 73 r.d. 9 luglio 1939 nella parte in cui non consentivano ai genitori la facoltà di attribuire al figlio legittimo entrambi i loro cognomi, sull’argomento che l’unità familiare tutelata dall’art. 29 II Cost. sarebbe stata pregiudicata se il cognome dei figli legittimi non fosse prestabilito fin dal momento del matrimonio. La terza ordinanza dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma cod. civ. e 33 e 34 d.p.r. n. 396/2000 laddove prevedono l’automatica attribuzione del cognome paterno anche in presenza di una diversa volontà dei coniugi, motivando che la pronunzia sarebbe esorbitante i suoi poteri in quanto materia riservata al legislatore. Nella medesima pronuncia, peraltro, è la stessa Corte Costituzionale a definire l’automatica attribuzione del solo cognome paterno un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica, e di una tramontata potestà maritale, non piú coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna» (Corte Cost., n. 61/2006). D’altro lato vanno però esaminate le sentenze n. 297/1996, n. 120 del 2001 e n. 268 del 2002 che riguardano casi rispettivamente di figli naturali, di adottati maggiorenni o di adottati in casi particolari. La prima sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 262 cod. civ. laddove non prevede che il figlio naturale possa mentenere il cognome precedentemente attribuitogli – e ormai segno distintivo della sua identità – quando assume anche quello del genitore che lo ha riconosciuto. La seconda sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 299 cod. civ. nella parte in cui non prevede che il figlio naturale non riconosciuto possa mantenere il cognome originariamente attribuitogli quando assume quello dell’adottante. La giurisprudenza italiana 103 terza sentenza conferma la costituzionalità dell’art. 55 legge n. 184/1983 laddove prevede il mantenimento sia del cognome dell’adottante che del precedente cognome dell’adottato. La lettura coordinata delle citate pronunce fa emergere quindi la preoccupazione della Corte di non scardinare l’automatica attribuzione del solo cognome paterno all’interno del sistema della filiazione legittima, tema altamente sensibile su cui ritiene indispensabile l’intervento del legislatore, mentre nei diversi casi in cui non sia in gioco la filiazione legittima, la Corte ha dato prioritario riconoscimento al diritto al nome come elemento caratterizzante l’identità personale e quindi immediatamente protetto dall’art. 2 Cost. La Corte Costituzionale consente cioè – nel caso di filiazione naturale – una interpretazione della norma costituzionalmente orientata secondo i parametri imposti dai citati artt. 2, 3, 29, secondo comma e 10, secondo comma, con conseguente non necessità di sottoporre al vaglio della corte la legittimità della applicazione nel caso concreto degli artt. 98 d.p.r. n. 396/2000 e 262 cod. civ. Nel caso in esame la minore è figlia naturale ed è dalla nascita cittadina canadese: come tale le è stato originariamente e legittimamente attribuito il cognome Santato Cicoira. All’interno del d.p.r. n. 396/2000 l’art. 95 comma 3 espressamente garantisce il diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuito quale segno di identità, prevedendo espressamente che: «L’interessato può comunque richiedere il diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale». Per una bambina identificata in Canada col doppio cognome, nonostante la giovane età, il suo prevedibile trascorrere lunghi periodi di vita in Canada comporta il riconoscimento del cognome canadese come segno distintivo della sua identità personale. Essendo cosı́ stata identificata alla nascita, correttamente nell’ambito della legislazione canadese applicabile ai cittadini di quella nazionalità, va riconosciuto il suo diritto ad essere identificata allo stesso modo anche nel Paese della sua seconda cittadinanza italiana. Come recentemente sostenuto da un argomentato decreto della Corte d’Appello di Bologna del 26 luglio 2007, una eventuale modifica del cognome mediante applicazione della legge dello Stato non è consentita quando i soggetti sin dalla nascita posseggano una doppia cittadinanza: il che è coerente con la lettera dell’art. 98 d.p.r. n. 396/2000 che si riferisce espressamente al solo caso di cittadini italiani, senza mai fare riferimento a soggetti con doppia cittadinanza. In definitiva, nel caso di minore nato fuori dal matrimonio e dalla originaria cittadinanza canadese l’ufficiale di stato civile non deve procedere alla automatica correzione prevista daIl’art. 98 comma 2, d.p.r. n. 396/2000, dovendosi invece applicare l’ultimo comma dell’art. 95 comma 3 stessa legge, con riconoscimento del suo diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli e distintivo della sua identità. La prevalenza dell’ultima parte dell’art. 95 sul comma 2 dell’art. 98 è fondata sul riconoscimento dei diritti sanciti dagli artt. 2, 3, 29, comma secondo e 10, comma secondo Cost. A nulla rileva il fatto che la correzione sia stata eseguita in base a precise circolari emanate in merito dal Ministero dell’Interno ed a pareri analogamente emessi dagli uffici competenti: in nessun caso, infatti, una decisione amministrativa può comprimere un diritto soggettivo, costituzionalmente protetto. 104 giurisprudenza italiana Va conseguentemente disposta la cancellazione della correzione apposta a margine dell’atto di nascita trascritto dall’ufficiale di stato civile di Bologna il 28 giugno 2006 col n. 682. Tenendo conto della particolarità della materia e della evoluzione della giurisprudenza al riguardo, sussistono giustificati motivi per porre le spese a carico di chi le ha anticipate. P.Q.M., il Tribunale, in accoglimento del ricorso, cosı́ provvede: in accoglimento del ricorso proposto, dispone la cancellazione della correzione apposta a margine dell’atto di nascita di Sibilla Santato Cicoira nata a Montreal il 6 dicembre 2005, cosı́ come trascritto il 28 giugno 2006 nel registro degli atti di nascita dello stato civile del Comune di Bologna, parte II serie b.1 n. 682. Dispone la trasmissione a cura della Cancelleria di copia del presente decreto all’ufficiale di stato civile del Comune di Bologna. Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 2 novembre 2007 n. 23030 Primo Presidente agg., Carbone - Consigliere Rel., Luccioli - P.M., Narudi (concl. diff.) C.M.L. (avv. Felice) contro S.L. (avv. Ceschini). Non è ammissibile il ricorso per cassazione contro i provvedimenti in materia di decadenza o di reintegrazione nella potestà, di affidamento della prole e quelli adottati ai sensi dell’art. 333 cod. civ., in quanto non sono assistiti dall’autorità del giudicato sostanziale, ma si caratterizzano per un’efficacia meno intensa, propria dei provvedimenti camerali di giurisdizione volontaria, i quali sono soggetti a modifica o a revoca per motivi originari o sopravvenuti da parte dello stesso giudice che li ha emessi. In relazione ai procedimenti volti alla emanazione di tali provvedimenti di volontaria giurisdizione non è neppure proponibile ricorso preventivo di giurisdizione in quanto l’affermazione esplicita o implicita della giurisdizione formulata dal giudice nei provvedimenti in discorso è strumentale alla decisione nel merito e non è dotata di una natura diversa da quella inerente al merito, atteso che la revocabilità del provvedimento e la riproponibilità dell’istanza disattesa impediscono qualsiasi effetto preclusivo, e quindi privano di base sistematica l’intervento sostitutivo delle Sezioni Unite. La nuova situazione di fatto determinata da una successiva pronuncia del tribunale per i minorenni italiano, quale giudice del rinvio, di rimpatrio in Spagna del minore in seguito al suo trasferimento in Italia attuato dal genitore affidatario residente in Italia in mancanza di dichiarazione di esecutività da parte del giudice spagnolo della decisione di modifica dell’affidamento a favore dello stesso genitore, non vale a porre in discussione la natura e l’efficacia del provvedimento emesso ai sensi dell’art. 317-bis cod. civ. e quindi il suo regime impugnatorio, ma piuttosto postula un nuovo intervento del giudice cui appartiene la competenza giurisdizio- giurisprudenza italiana 105 nale, secondo i criteri dettati dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del 27 novembre 2003. 1* Svolgimento del processo. Nel settembre 2002 S.L. chiedeva al Tribunale per i minorenni di Napoli l’affidamento esclusivo, o in subordine quello congiunto, della figlia C., nata il 1º dicembre 1999 dalla sua relazione con C.M.L., di nazionalità italo-spagnola. Con decreto del 9 maggio 2003 il Tribunale per i minorenni disponeva in via provvisoria ed urgente l’affidamento della minore alla madre, autorizzando quest’ultima a condurre la bambina fuori del Comune di residenza, previo avviso all’altro genitore, regolava il diritto di visita del padre ed ordinava l’espletamento di consulenza tecnica di ufficio diretta a verificare le capacità genitoriali delle parti. Avverso tale provvedimento proponeva reclamo lo S. e con decreto del 7-20 luglio 2004 la Corte di Appello di Napoli disponeva che i genitori fossero avviati ad un percorso di mediazione presso adeguata struttura e la minore ad un percorso psicologico di sostegno; confermava l’affidamento della minore alla madre, dettando peraltro una serie di prescrizioni dirette ad evitare, anche con l’imposizione della residenza nella penisola sorrentina, che la bambina fosse sradicata dal suo ambiente di vita e a consentire al padre di fornire il proprio apporto educativo nel quotidiano e di esercitare il diritto di visita, che compiutamente regolava; autorizzava inoltre la madre a portare la figlia all’estero per due mesi l’anno. Con successivo ricorso del 14 giugno 2005 lo S., deducendo che la C. si era trasferita definitivamente in Spagna con la figlia e segnalando di avere già avviato la procedura per il rimpatrio dinanzi all’autorità giudiziaria spagnola ai sensi della convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980, chiedeva al Tribunale per i minorenni l’affidamento esclusivo della figlia ed in subordine l’affido congiunto. Con decreto del 21-28 luglio 2005 il giudice adito rigettava il ricorso, ritenendo l’insussistenza di elementi idonei a determinare la modifica del regime di affidamento della minore. Il reclamo proposto dallo S. era accolto dalla Corte di Appello di Napoli, sezione per i minorenni, con decreto del 9 novembre-14 dicembre 2005, con il quale si affidava la minore al padre, cui si attribuiva in via esclusiva l’esercizio della potestà genitoriale, e si regolava il diritto di visita della madre. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione la C. deducendo un unico motivo. Lo S. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione. Con l’unico motivo di ricorso la C., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9, 10 e 12 del regolamento (CE) n. 2201/2003, deduce il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello * La sentenza riportata affronta una vicenda già portata innanzi alle Sezioni Unite e precedentemente decisa con la sentenza 20 dicembre 2006 n. 27188, pubblicata in questa Rivista, 2007, p. 1093 ss. e con l’ordinanza n. 18760 del 2007. Si veda il commento del dott. Peroni a tali pronunce, in questo fascicolo della Rivista, p. 85 ss. Tra le sentenze della Corte di Cassazione citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: s.u., 25 gennaio 2002 n. 911, ivi, 2003, p. 159 ss. 106 giurisprudenza italiana spagnolo, sul rilievo che alla data di proposizione da parte dello S. del ricorso dinanzi al Tribunale per i minorenni l’Italia non era il Paese di residenza abituale della minore, stante il suo definitivo trasferimento in Spagna con la madre affidataria. Il ricorso è inammissibile. Come è noto, secondo l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte – non contraddetto dalle sentenze richiamate dalla ricorrente, che attengono a tipologie di provvedimenti non assimilabili a quello in oggetto – i provvedimenti in materia di decadenza o di reintegrazione nella potestà, di affidamento della prole e quelli adottati ai sensi dell’art. 333 cod. civ., nel quadro degli atti innominati incidenti sull’esercizio della potestà dei genitori, non sono ricorribili per cassazione, in quanto non sono assistiti dall’autorità del giudicato sostanziale, ma si caratterizzano per un’efficacia meno intensa, propria dei provvedimenti camerali di giurisdizione volontaria, i quali sono soggetti a modifica o a revoca per motivi originari o sopravvenuti da parte dello stesso giudice che li ha emessi, avendo essi la funzione non già di decidere una lite tra soggetti contrapposti attribuendo ad uno di loro un bene della vita, ma quella di controllare e governare l’interesse del minore di fronte all’incessante mutamento delle condizioni di fatto ed all’incalzare dei problemi esistenziali, che esigono una pronta risposta con il duttile strumento del decreto camerale. Coerentemente con tale funzione il giudice deve ricercare di ufficio i dati informativi per conoscere quale sia la soluzione migliore per il minore nel momento dato: la possibilità che il suo interesse in futuro possa mutare o anche che sia stato erroneamente valutato comporta che debba poter mutare la pronuncia che tale interesse ha ritenuto di ravvisare (v., tra le tante, Cass., n. 17994/2005; n. 13823/2004; n. 10128/2002; n. 3279/2002; s.u., n. 911/2002). Con la sentenza n. 11026 del 2003 le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno anche chiarito che quando il provvedimento impugnato sia privo dei necessari requisiti della decisorietà e definitività in senso sostanziale il ricorso straordinario per cassazione non è esperibile neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni con rilievo esclusivamente processuale, quali espressione del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme regolatrici del processo ha necessariamente la stessa natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato; ed invero la natura strumentale delle disposizioni processuali, dirette a disciplinare i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, comporta che al diritto processuale di azione non possa essere attribuita una tutela piú forte di quella prevista dalla normativa costituzionale e ordinaria in relazione all’atto destinato a provvedere sulla posizione sostanziale (v. nello stesso senso, tra le altre, Cass., n. 3988/2004; n. 1393/ 2004). In linea di coerente sviluppo con tale impostazione si è ancora affermato che in relazione a procedimenti volti alla emanazione del provvedimento di volontaria giurisdizione non è neppure proponibile ricorso preventivo di giurisdizione, presupponendo l’intervento anticipatorio delle Sezioni Unite che al giudice di merito spetti una pronuncia decisoria sulla giurisdizione, suscettibile, se non impugnata, di effetti preclusivi. Al contrario, l’affermazione esplicita o implicita della giurisdizione formulata dal giudice nei provvedimenti in discorso è strumentale alla decisione nel merito e non è dotata di una sua specifica natura, diversa da quella inerente al giurisprudenza italiana 107 merito, tale da determinare un diverso regime di impugnazione, atteso che la revocabilità del provvedimento e la riproponibilità dell’istanza disattesa dinanzi al giudice adito da uno dei genitori che chieda una diversa regolamentazione della potestà sul figlio investono ogni profilo, impedendo qualsiasi effetto preclusivo, e quindi privando di base sistematica l’intervento sostitutivo delle Sezioni Unite (v. s.u., n. 5847/1993; n. 8791/1987). Il Collegio ha ben presenti le iniziative processuali e le conseguenti pronunce intervenute successivamente alla emissione del provvedimento impugnato, sulla quale le parti si sono lungamente soffermate, ed in particolare non omette di considerare che la C. ha proposto separati ricorsi al Tribunale per i minorenni ed alla Corte di Appello di Napoli per ottenere, rispettivamente, la modifica per circostanze sopravvenute e la revoca, ai sensi dell’art. 742 cod. proc. civ., del provvedimento stesso; che entrambi i procedimenti sono stati sospesi in attesa della definizione del ricorso dalla medesima proposto per il rientro della bambina in Spagna, dopo che lo S., il 27 dicembre 2005, la aveva riportata con sé in Italia; che queste Sezioni Unite, con sentenza n. 27188 del 2006, in accoglimento del ricorso proposto dalla C. avverso il decreto del Tribunale per i minorenni in data 15 febbraio 2006 che aveva rigettato l’istanza di rimpatrio, hanno cassato con rinvio il decreto impugnato, rilevando che il comportamento dello S., integrante esecuzione in Spagna del provvedimento del giudice italiano modificativo dell’affidamento, non poteva considerarsi assistito da titolo valido ed efficace, in mancanza della dichiarazione di esecutività da parte del giudice spagnolo; che il giudice del rinvio, con decreto dell’8 febbraio 2007, ha disposto il rimpatrio in Spagna della bambina; che infine con ordinanza n. 18760 del 2007 questa Suprema Corte ha dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso proposto dalla C. avverso l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Napoli aveva disposto la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., per essere intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite innanzi richiamata, e quindi per essere venuta meno la ragione della disposta sospensione. E tuttavia osserva il Collegio che tali ulteriori vicende processuali – e segnatamente la nuova situazione di fatto determinata dalla pronuncia del Tribunale per i minorenni, quale giudice del rinvio, di rimpatrio in Spagna – non valgono a porre in discussione la natura e l’efficacia dei provvedimento emesso ai sensi dell’art. 317-bis cod. civ., qui oggetto di ricorso, e quindi il suo regime impugnatorio, ma piuttosto postulano un nuovo intervento del giudice cui appartiene allo stato la competenza giurisdizionale, secondo i criteri dettati dal regolamento (CE) n. 2201/2003, il quale adotti i coerenti provvedimenti assumendo come valore primario da tutelare l’interesse della minore, valutato all’attualità. La natura della causa giustifica la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M., la Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Compensa le spese. 108 giurisprudenza italiana Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 dicembre 2007 n. 26089 Primo Presidente, Carbone - Consigliere Rel., Ambroso - P.M., Carestia (concl. conf.) Sidel SA (avv. Gigli, Cherubini, Toffoletto, Bottini) contro Simonazzi (avv. Manzi, Glendi, Bertone, Silvagna) e Sidel Filling s.r.l. (già Aslim s.r.l.) (intimata). Ai sensi dell’art. 19 lett. a del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, il datore di lavoro può essere convenuto davanti ai giudici dello Stato membro in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua attività. Sussiste la giurisdizione italiana in una controversia tra un lavoratore italiano e una società francese qualora l’attività del primo sia oggettivamente stata svolta in Italia, indipendentemente dalle allegazioni contrarie fornite inizialmente dal medesimo. 1* Ritenuto in fatto. 1. Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., notificato in data 13 ottobre 2003, Olivia Simonazzi conveniva avanti al Tribunale di Parma, quale giudice del lavoro, la società francese Sidel SA al fine di ottenere l’accertamento nei suoi confronti della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la conseguente illegittimità del licenziamento, rappresentato dalla sua estromissione dalla Direzione generale della «divisione riempimento», con le conseguenti richieste economiche. Esponeva che la Sidel SA era una società di diritto francese facente parte di un gruppo internazionale specializzato nella produzione di macchine ed impianti per l’imbottigliamento, di cui faceva parte anche la società Alsim s.r.l. (ora Sidel Filling s.r.l.), società di diritto italiano. La Simonazzi era stata Presidente del consiglio di amministrazione della società Alsim s.r.l., Direttore generale della «divisione riempimento» del Gruppo Sidel, nonché membro del comitato esecutivo del Gruppo Sidel. In qualità di Direttore generale della «divisione riempimento», la Simonazzi assicurava il coordinamento delle diverse società, che, nell’ambito del Gruppo Sidel, erano dedite all’attività di produzione di macchine per il riempimento. Le gravi difficoltà riscontrate nella gestione della «divisione riempimento» e soprattutto i contrasti tra la Simonazzi e il management delle società del Gruppo Sidel (in particolare della società Rémy) determinarono la revoca della Simonazzi dalle funzioni di responsabile della «divisione riempimento» del Gruppo e la revoca della stessa dalla carica di amministratore della società Alsim. 2. Si costituiva in giudizio la società Sidel SA che eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana per quanto riguarda la domanda di riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra Sidel SA e la Simonazzi; contestava poi il fondamento delle domande di merito delle quali chiedeva il rigetto. All’udienza del 5 dicembre 2003, il Tribunale di Parma, quale giudice del * Tra le pronunce citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: Corte giust., 10 aprile 2003, causa C-437/2000, ivi, 2003, p. 1045 ss.; 27 febbraio 2002, causa C-37/2000, ivi, 2002, p. 206 ss. giurisprudenza italiana 109 lavoro, si riservava in ordine all’eccezione pregiudiziale di carenza di giurisdizione dando termine alle parti per deposito di note scritte. Mentre la Simonazzi sosteneva da parte sua la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano e segnatamente del Tribunale di Parma a conoscere della controversia, la società Sidel SA concludeva invece per la carenza di giurisdizione del giudice italiano a conoscere le domande relative all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato, in applicazione dell’art. 19 del regolamento (CE) n. 44/2001. Infatti, secondo i criteri di determinazione della giurisdizione competente, posti da detto articolo, cosı́ come interpretato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, e cioè quelli del domicilio del datore di lavoro, del luogo di svolgimento abituale dell’attività e del luogo in cui è situato lo stabilimento d’assunzione, il potere di giudicare in ordine alla pretesa della Simonazzi in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato spettava – secondo la difesa della società resistente – alla giurisdizione francese e non già a quella italiana. 3. Il Tribunale di Parma, con ordinanza in data 2 marzo 2004, rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione, disponendo attività istruttorie. 4. In questo giudizio la società Sidel SA ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 cod. proc. civ. Resiste con controricorso la Simonazzi eccependo l’inammissibilità del ricorso e comunque sostenendo la giurisdizione del giudice italiano. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l’affermazione della giurisdizione ordinaria. La società ha altresı́ depositato memoria. Considerato in diritto. 1. Nel ricorso, articolato in due motivi, la società Sidel SA, premesso di non riconoscere affatto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Simonazzi, deduce che risulterebbe dalle stesse deduzioni della Simonazzi, che la domanda di quest’ultima rientra nella giurisdizione francese. Infatti – secondo la società ricorrente – è la stessa Simonazzi che nell’atto introduttivo del giudizio afferma, nell’intento di veder dichiarata l’esistenza di un preteso rapporto di lavoro subordinato con la società, di aver svolto la sua attività in prevalenza sul territorio francese. Afferma, ad esempio, di esser stata incaricata dell’intervento riorganizzativo delle società del gruppo, tutte di diritto francese, e sostiene di aver avuto tra i suoi piú stretti collaboratori persone appartenenti a dette società. Ancora sostiene e documenta di essere stata coinvolta dal Presidente della società Sidel SA nella riorganizzazione del gruppo Sidel e produce una lettera nella quale scrive a nome del gruppo Sidel. Inoltre afferma di esser stata destinataria di informazioni predisposte dai direttori delle società francesi. Dalla presentazione di detti fatti prospettati dalla stessa ricorrente risulta – secondo la difesa della società – che, se prestazioni di lavoro subordinato fossero state rese dalla stessa a favore di Sidel SA, queste non potrebbero che essere state rese in territorio francese e che di conseguenza della causa in corso tra la Sidel SA e la Simonazzi è legittimato a conoscere solo il giudice francese. 2. Va preliminarmente rigettata l’eccezione della Simonazzi che ha sostenuto la nullità del ricorso per difetto di valida procura, sia per la mancata indicazione della identità e della qualità del sottoscrittore, sia perché l’autografia non poteva essere 110 giurisprudenza italiana certificata dal difensore italiano, trattandosi di procura all’evidenza rilasciata all’estero. L’eccezione è infondata. Questa Corte (Cass. s.u., 7 marzo 2005 n. 4810) ha già affermato – e qui ribadisce – che la circostanza che la sottoscrizione apposta dalla parte nella procura alle liti stesa in calce o a margine dell’atto risulti illeggibile è irrilevante laddove le generalità del sottoscrittore siano indicate nel testo dell’atto, della procura o nella certificazione di autografia resa dal difensore, ovvero l’identità del sottoscrittore sia comunque individuata per effetto dell’indicazione della specifica funzione o della carica ricoperta, unitamente alle informazioni reperibili presso il sistema di pubblicità del registro delle imprese. L’eccezione è infondata anche con riferimento al secondo profilo di nullità, atteso il costante orientamento di questa Corte (Cass., sez. III, 1º agosto 2001 n. 10485) secondo cui, quando l’autentica della sottoscrizione sia stata effettuata da un difensore esercente in Italia, il rilascio del mandato e l’autentica della sottoscrizione del mandante devono presumersi avvenuti nel territorio dello Stato, anche qualora il mandante risieda all’estero, in difetto di prova contraria da parte di chi ne contesti la validità. Nella specie la procura speciale è stata rilasciata in calce al ricorso e la sottoscrizione del legale rappresentante della società Sidel SA risulta autenticata dai due difensori esercenti in Italia, sicché, in difetto di prova contraria, può ritenersi rilasciata in Italia, a nulla rilevando che non sia stato indicato il luogo del rilascio o che il mandante abbia la propria sede in Francia. 3. Anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per essersi il Tribunale di Parma già pronunciato sulla giurisdizione con ordinanza, è infondata. Assume la ricorrente che ai fini della preclusione del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 cod. proc. civ. è necessario privilegiare il profilo contenutistico del provvedimento e nella specie all’ordinanza emessa dal Tribunale deve attribuirsi natura di sentenza in considerazione della motivazione articolata e del suo contenuto decisorio. Deve invece ritenersi, in conformità al piú recente orientamento di questa Corte, che la preclusione alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non opera nel caso in cui il giudice adito abbia, con ordinanza, affermato la propria giurisdizione, atteso che tale provvedimento è per sua natura sempre modificabile e revocabile dallo stesso giudice che l’abbia emesso sicché non costituisce decisione finale del giudizio di primo grado, ostativa alla proponibilità del regolamento preventivo di giurisdizione (cfr. Cass. s.u., 11 gennaio 2005 n. 307; Cass. s.u., 22 ottobre 2003 n. 15843). Peraltro nella specie la questione della giurisdizione è stata trattata dal Tribunale al solo fine di valutare l’opportunità di procedere all’istruzione della causa, come risulta chiaramente dal suo contenuto e dalla mancanza di una formale pronuncia sulla giurisdizione. 4. Nel merito la prospettazione difensiva della società ricorrente va disattesa, dovendo dichiararsi la giurisdizione del giudice italiano. Va premesso che l’art. 19 del regolamento (CE) n. 44 del 2001, che per espressa previsione del suo art. 68 sostituisce, a decorrere dal 1º marzo 2002, le disposizioni della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con l. 21 giugno 1971 n. 804, prevede che il datore di lavoro domiciliato nel giurisprudenza italiana 111 territorio di uno Stato membro, qual è nella specie la società Sidel SA, può essere convenuto davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato oppure, ricorrendo specifici presupposti, in un altro Stato membro. In questa seconda evenienza il datore di lavoro può essere convenuto: a) davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente; b) oppure, qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo Paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto. Questa regolamentazione si pone in linea di continuità con l’art. 5 n. 1 della cit. convenzione di Bruxelles, che stabiliva: «Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; in materia di contratto individuale di lavoro, il luogo è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività; qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un solo paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale è stato assunto». In proposito la Corte di giustizia delle Comunità europee (sent. 10 aprile 2003, in causa C-437/2000) ha affermato che «in materia di contratti di lavoro, l’interpretazione dell’art. 5 punto 1 della convenzione deve tener conto dell’esigenza di garantire un’adeguata tutela alla parte contraente piú debole dal punto di vista sociale, ossia il lavoratore, e che tale tutela è meglio garantita se le liti relative ad un contratto di lavoro rientrano nella competenza del giudice del luogo in cui il lavoratore adempie le sue obbligazioni nei confronti del datore di lavoro, in quanto proprio in tale luogo il lavoratore può, con minor spesa, rivolgersi ai giudici a difendersi dinanzi ad essi». Da ciò la Corte ha dedotto che l’art. 5 n. 1 della convenzione deve essere interpretato nel senso che, in materia di contratti di lavoro, il luogo di esecuzione dell’obbligazione pertinente, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui il lavoratore esercita di fatto le attività convenute con il datore di lavoro. Essa ha precisato che, nell’ipotesi in cui il lavoratore adempia le obbligazioni derivanti dal suo contratto di lavoro in piú Stati contraenti, il luogo dove egli svolge abitualmente la sua attività, ai sensi dell’art. 5 n. 1 della convenzione, è il luogo nel quale, o a partire dal quale, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, egli adempie di fatto la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del datore di lavoro. In precedenza la stessa Corte (Corte giust. CE, 27 febbraio 2002, in causa C37/2000) aveva ritenuto che il citato art. 5 n. 1 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 va interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore adempia le obbligazioni derivanti dal suo contratto di lavoro in piú Stati contraenti, il luogo dove egli svolge abitualmente la sua attività, ai sensi di questa disposizione, è il luogo nel quale, o a partire dal quale, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, egli adempie di fatto la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del datore di lavoro, trascorrendo la maggior parte del tempo lavorativo, ferma restando una diversa soluzione nel caso in cui, avuto riguardo agli elementi di fatto del caso di specie, l’oggetto della controversia in questione presenti dei nessi piú stretti con un altro luogo di lavoro, il quale risulterebbe pertinente ai fini dell’applicazione dell’art. 5 n. 1 della convenzione. Aveva poi precisato che, qualora 112 giurisprudenza italiana i criteri definiti dalla Corte non consentissero al giudice nazionale di determinare il luogo abituale di lavoro prevista dall’art. 5 n. 1 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, il lavoratore avrà la scelta di citare il datore di lavoro sia davanti al giudice del luogo dello stabilimento presso il quale è stato assunto, sia davanti ai giudici dello Stato contraente sul territorio del quale è domiciliato il datore di lavoro. Rispetto all’art. 5 n. 1 della citata convenzione di Bruxelles, l’art. 19 del regolamento (CE) n. 44 del 2001 ha accentuato la tutela del lavoratore prendendo in considerazione anche l’ultimo luogo in cui svolgeva abitualmente la sua attività lavorativa. 5. Orbene, l’ipotesi che nella specie viene in rilievo è quella prevista dalla cit. lett. a dell’art. 19 del regolamento (CE) n. 44 del 2001 essendo controverso tra le parti il «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività». Nel ricorso per regolamento di giurisdizione la società ricorrente sostiene – come già rilevato – che la stessa Simonazzi, nel suo ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, avrebbe allegato che il rapporto di lavoro si era svolto abitualmente in Francia; circostanza questa che però non trova conferma negli atti di causa. Premesso che la ricorrente nel giudizio a quo invoca un rapporto di lavoro subordinato dal dicembre 2001 fino al 9 settembre 2002, data della revoca dell’incarico e quindi del licenziamento, deve in proposito considerarsi che risulta, sempre dalle allegazioni della ricorrente, coonestate documentalmente..., che la stessa era nominata Direttore generale della Divisione del riempimento del gruppo Sidel e che quel posto avrebbe avuto come base Parma ed a Parma avrebbe avuto base anche la sede di tale Divisione di riempimento. Come ha puntualmente rilevato la difesa della controricorrente, si legge nella lettera citata da una parte la designazione a direttore generale («Je fais suite à nos récents entretiens et te confirme ta nomination, à partir du 1er janvier 2002, au poste de Directeur général de la Division Remplissage du Groupe Sidel»), e d’altra parte l’individuazione del luogo di lavoro in Parma («Ce poste sera basé à Parme où sera basé le siège de la division remplissage...»). Inoltre – come ha osservato anche il P.G. – la sede della Divisione «riempimento» era in Parma ed avrebbe raggruppato le attività di quattro società del gruppo, come risulta dalla nota interna Sidel SA del 20 dicembre 2001 (...), dove si legge «Le siège de la Division ‘Filling’ sera basé à Parme (Italie)». In tal senso poi depone l’ulteriore documentazione prodotta dalla resistente, come la comunicazione a tutto il gruppo da parte di Gérard Stricher, Presidente della società ricorrente, che, in sua assenza per ferie, potevano essere contattati i tre top-manager del gruppo, tra cui la Simonazzi «basée à Parme» (...). Questa documentazione non è revocata in dubbio dai rilievi della società ricorrente secondo cui la stessa Simonazzi avrebbe affermato, nell’atto introduttivo del giudizio, di aver svolto la sua attività in prevalenza sul territorio francese, stante l’assoluta genericità della deduzione, a fronte della puntualità della documentazione prodotta dalla controricorrente, tra cui quella sopra menzionata; mentre è null’altro che una petizione di principio l’affermazione della società ricorrente secondo cui «se le prestazioni di lavoro subordinato fossero state rese dalla stessa [i.e. dalla Simonazzi] a favore di Sidel SA, queste non potrebbero che essere state rese in territorio francese». giurisprudenza italiana 113 Quindi, impregiudicata la contestata sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, dalle allegazioni e dalla documentazione della ricorrente risulta in realtà che, all’atto dell’assunzione ed in prosieguo nel corso del rapporto, la sede di lavoro era considerata Parma, che radica in Italia il foro facoltativo ai sensi del citato art. 19 del regolamento (CE) n. 44 del 2001. 6. Va quindi dichiarata la giurisdizione del giudice italiano. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M., la Corte, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice italiano; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione... Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 20 marzo 2008 n. 7444 Primo Presidente, Carbone - Consigliere Rel., Segreto - P.M., Iannelli (concl. conf.) European City Guide S.L. (avv. Sablone) contro Gaudiosi (avv. Petrilli). Ai sensi dell’art. 23 del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 il requisito della forma scritta per la clausola di proroga risulta soddisfatto dall’unica sottoscrizione dell’intero contratto, non necessitando che tale clausola abbia una specifica e autonoma approvazione per iscritto anche nel caso che essa figuri tra le condizioni generali predisposte da una parte poste sul retro del contratto sottoscritto, purché quest’ultimo faccia espresso riferimento a dette condizioni generali. Non sussiste la giurisdizione italiana in relazione ad un’azione promossa da un medico odontoiatra nei confronti di una casa editrice di una guida europea, avente sede in Spagna, volta all’accertamento della nullità del contratto di inserzione pubblicitaria della sua attività professionale per l’esistenza nel contratto di una valida clausola di proroga a favore del giudice spagnolo, non potendosi ritenere che il contratto in questione costituisca contratto concluso da un consumatore ai sensi dell’art. 15 del regolamento n. 44/2001, non essendo stato stipulato per un fine estraneo all’attività professionale e per esigenze di consumo privato dell’individuo. 1* Svolgimento del processo. Emiliano Gaudiosi ha convenuto davanti al Giudice di pace di Roma la European City Guide S.L. di diritto spagnolo * Tra le pronunce citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: Corte giust., 14 dicembre 1976, in causa 24/76, ivi, 1977, p. 434 ss.; 3 luglio 1997, in causa C-269/95, ivi, 1998, p. 466 ss.; 20 gennaio 2005, in causa C-464/01, ivi, 2005, p. 473 ss.; Cass. s.u., 26 luglio 2006 n. 17004, ivi, 2008, p. 231 ss. (breve). 114 giurisprudenza italiana chiedendo l’accertamento della nullità del contratto, sottoscritto il 31 luglio 2001, di inserzione pubblicitaria nella guida, edita dalla convenuta, per errore essenziale, con condanna della convenuta alla restituzione della somma di euro 787,00. La convenuta non si costituiva. Il Giudice di pace adito, con sentenza depositata il 12 novembre 2004, dichiarava risolto il contratto a seguito di disdetta da parte dell’attore; rigettava la domanda di restituzione della somma e condannava la convenuta alle spese processuali. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la convenuta, che ha sollevato questione di difetto di giurisdizione del giudice italiano. Resiste con controricorso l’attore. Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, in relazione all’art. 360 n. 1 cod. proc. civ. Assume la ricorrente che, ai sensi dell’art. 2 del regolamento CE n. 44/2001, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro; che, conseguenzialmente, avendo essa società convenuta sede e domicilio in Spagna, solo in detto Stato poteva essere convenuta. Inoltre la ricorrente afferma la giurisdizione del giudice spagnolo, poiché la lettera-formulario in questione presentava l’espressa proroga di competenza giurisdizionale in favore del giudice di residenza della casa editrice (Spagna) per qualunque azione legale intrapresa da uno dei contraenti. 2.1. Ritengono queste Sezioni Unite che vada dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Va anzitutto esaminata la questione dell’assunta proroga di competenza. L’art. 23 del regolamento CE n. 44/2001 statuisce che: «Qualora le parti, di cui una almeno domiciliata nel territorio di uno Stato membro, abbiano attribuito la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta a questo giudice o ai giudici di questo Stato membro. Detta competenza è esclusiva salvo diverso accordo tra le parti. La clausola attributiva della competenza deve esser conclusa per iscritto o oralmente con conferma scritta». Il comma 5 dello stesso articolo statuisce che «le clausole attributive della competenza... non sono valide se in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 13, 17 o 21». L’art. 17 del regolamento esclude la possibilità di derogare al foro del consumatore (artt. 15 e 16) anteriormente al sorgere della controversia, salve le ipotesi di cui ai nn. 2 e 3 dello stesso art. 17 (irrilevanti nella fattispecie). Come risulta dal considerando 14 al regolamento, nella determinazione del foro competente l’autonomia delle parti ha un ruolo non diverso da quello del domicilio del convenuto, nel senso di esprimere un criterio di collegamento di carattere generale, al quale si contrappongono, come limite, solo le competenze esclusive previste dall’art. 22 reg. e le competenze ordinate a tutela della parte debole del rapporto, ma queste non in senso assoluto, perché è la proroga anteriore ad essere giurisprudenza italiana 115 ammessa solo in certi casi o a certi fini, mentre quella posteriore al sorgere della controversia è sempre consentita. 2.2. Nella fattispecie nel modulo-formulario, predisposto dalla ECG e sottoscritto dall’attore, emerge espressamente una clausola di proroga di competenza giurisdizionale in favore del giudice «del luogo di residenza della casa editrice nel caso di azione legale intrapresa da uno dei contraenti». Risulta soddisfatto il requisito della forma scritta, essendo tale lettera-formulario sottoscritta dall’attore. A tal fine va rilevato che il requisito della forma scritta per la clausola di proroga della giurisdizione, di cui all’art. 23 del reg. CE n. 44/2001, risulta soddisfatto dall’unica sottoscrizione dell’intero contratto, non necessitando che la clausola in questione abbia anche una specifica ed autonoma approvazione per iscritto. Va, anzi, rilevato che la Corte di giustizia CE, con sentenza 14 dicembre 1976, causa 24/76, Estasis Salotti, ha statuito che il requisito della forma scritta, stabilito dall’art. 17 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (analogo sul punto all’art. 23 del reg. n. 44/2001) è rispettato anche nel caso che tale clausola figuri tra le condizioni generali predisposte da una parte e poste sul retro del contratto sottoscritto, purché nel contratto sottoscritto si faccia espresso riferimento a tali condizioni generali poste sul retro. 3.1. Va ora esaminato se tale proroga della competenza giurisdizionale, con clausola anteriore alla controversia, sia nella fattispecie illegittima, perché effettuata in violazione delle norme sul foro del consumatore, come sostenuto dal resistente. L’art. 16 del regolamento facultizza il consumatore, allorché egli sia attore, a proporre l’azione davanti al giudice del luogo del suo domicilio. L’art. 15 del regolamento qualifica il contratto concluso da «consumatore» come quello concluso da una persona «per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale», qualora si tratti di vendite rateali di beni mobili, di operazioni di credito, o di contratto concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette verso tale Stato membro, purché il contratto rientri nell’ambito di tali attività. 3.2. Secondo l’orientamento giurisprudenziale italiano prevalente deve essere considerato consumatore e beneficia della disciplina di cui agli artt. 1469-bis cod. civ. e ss. (attualmente artt. 3 e 33 e segg. d.lgs. n. 206/2005) la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività; mentre deve essere considerato «professionista» tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale e professionale, ricomprendendosi in tale nozione anche gli atti posti in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’impresa (Cass., 23 febbraio 2007 n. 4208; 25 luglio 2001 n. 10127). Non sono mancate critiche a tale orientamento, finalizzate ad un’interpretazione estensiva del concetto di consumatore, fondata sulla distinzione tra atti della professione e atti inerenti alla professione e con la tendenza ad escludere dall’ambito di applicazione della tutela dei consumatori solo quegli atti che presentino una pertinenza specifica con l’attività professionale svolta e non quelli in cui il collegamento sia riconducibile ad un rapporto di pertinenza generica, sul 116 giurisprudenza italiana presupposto che in tali situazioni il soggetto vessato, pur agendo per finalità diverse dal puro consumo privato, è sostanzialmente un profano, sfornito di quelle competenze specifiche che possono farlo ritenere in posizione di parità con il contraente forte. A tale linea di pensiero si riporta il resistente, sostenendo che nella fattispecie pur trattandosi di un contratto di inserzione pubblicitaria della propria attività di medico odontoiatra, non si trattava di atto della sua professione, per cui egli costituiva «parte debole» di tale contratto. 3.3. Sennonché nella fattispecie, attinente all’applicazione degli artt. 15 ss. del regolamento CE n. 44/2001, stante il carattere vincolante dell’interpretazione dalla Corte di giustizia CE, (Cass., s.u., 12 dicembre 2006 n. 26434; 26 luglio 2006 n. 17004) è esclusivamente all’interpretazione data dalla CGCE che occorre fare riferimento. Ha rilevato la Corte di giustizia (3 luglio 1997, causa C-269/95, Benincasa) che l’art. 13 della convenzione di Bruxelles del 1968 (analogo all’art. 15 reg.) definisce il consumatore «come una persona che agisce per un fine che può essere considerato estraneo alla sua attività professionale». Continua la European City Guide S.L. affermando che «secondo la giurisprudenza costante, si deduce dalla lettera e dalla finalità di tale norma che essa contempla esclusivamente il caso del consumatore finale privato, non impegnato in attività commerciali o professionali. Risulta da quanto precede che, al fine di stabilire lo status di consumatore di una persona, nozione che va interpretata restrittivamente, occorre riferirsi al ruolo di tale persona in un contratto determinato, rispetto alla natura ed alla finalità di quest’ultimo, e non invece alla situazione soggettiva di tale stessa persona. Soltanto i contratti conclusi al fine di soddisfare le esigenze di consumo privato di un individuo rientrano nelle disposizioni di tutela del consumatore, in quanto parte considerata economicamente debole. La particolare tutela perseguita da tali disposizioni non si giustifica nel caso di contratti il cui scopo sia un’attività professionale, prevista soltanto per il futuro, dato che il carattere futuro di tale attività nulla toglie alla sua natura professionale» (vedasi anche, CGCE, 20 gennaio 2005 n. 464). 3.4. Ne consegue che nella fattispecie non può ritenersi che costituisca contratto concluso da consumatore quello con cui un medico odontoiatra richieda l’inserzione pubblicitaria della sua attività ad una casa editrice di una guida europea di informazioni commerciali e professionali, non essendo tale contratto stipulato per un fine estraneo all’attività professionale e per esigenze di consumo privato dell’individuo. 4. In definitiva, stante nella fattispecie la clausola di proroga di competenza giurisdizionale in favore del giudice spagnolo ed esclusa l’esistenza dell’ipotesi di contratto concluso da consumatore, va accolto il primo motivo di ricorso e va dichiarato assorbito il secondo; per l’effetto va cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Esistono giusti motivi (segnatamente la peculiarità della questione) per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio. P.Q.M. (la Corte), accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano e cassa senza rinvio l’impugnata sentenza. Compensa per intero le spese dell’intero giudizio. giurisprudenza italiana 117 Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2008 n. 11628 Presidente, Proto - Consigliere Rel., Salvato - P.M., Golia (concl. diff.) Care Cosmetics BV (avv. Nascimbene, Valeri) contro Trussardi s.p.a. (avv. Musumeci, Bonotto). L’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 richiede che nel procedimento per il riconoscimento delle decisioni rese in un altro Stato membro non si possa presumere la congruità del termine di comparizione dalla regolarità della notifica o della comunicazione, ma dispone che il giudice dello Stato richiesto accerti se in concreto il convenuto abbia avuto sufficiente tempo per difendersi a partire dalla data della notifica o della comunicazione regolarmente effettuate, avendo riguardo ai parametri elaborati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee. Ai sensi dell’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles del 1968, la mancata impugnazione della sentenza oggetto del riconoscimento non preclude ogni valutazione sulla congruità del termine per predisporre la difesa processuale, a differenza di quanto disposto, con una norma di carattere innovativo, dall’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, non applicabile alla fattispecie. 1* Svolgimento del processo. (Omissis) Motivi della decisione. 1. La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, della legge di ratifica ed esecuzione (l. 21 giugno 1971 n. 804), con particolare riferimento alla regolarità della notifica (o comunicazione) della domanda giudiziale, in relazione all’art. 2 l. 31 maggio 1995 n. 218 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). A suo avviso, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto applicabile nella specie l’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles, da ritenersi prevalente sull’art. 64 legge n. 218/1995, in virtú di un criterio non compiutamente apprezzato dalla Corte territoriale. Nel giudizio svoltosi innanzi al giudice olandese, l’atto di citazione è stato notificato il 4 aprile 2001, per l’udienza dello stesso 4 aprile; il giudice olandese * Tra le sentenze della Corte di Cassazione citate in motivazione sono riprodotte in questa Rivista: 21 novembre 1996 n. 10275, ivi, 1997, p. 952 s.; s.u., 24 maggio 1967 n. 12067, ivi, 2008, p. 226 ss.; 25 settembre 1998 n. 9615, ivi, 1999, p. 983 ss.; 27 maggio 1982 n. 3245, ivi, 1983, p. 644 ss.; 11 aprile 1983 n. 2549, ivi, 1984, p. 366 ss. Inoltre, tra le decisioni della Corte di giustizia, possono leggersi: 16 giugno 1981, in causa 166/80, ivi, 1982, p. 141 ss.; 11 giugno 1985, in causa 49/84, ivi, 1986, p. 418 ss.; 12 novembre 1992, in causa C-123/91, ivi, 1993, p. 758 ss.; 21 aprile 1993, in causa C-172/91, ivi, 1994, p. 425 ss.; 13 luglio 1995, in causa C-474/93, ivi, 1996, p. 375 ss.; 14 ottobre 2004, in causa C-39/02, ivi, 2005, p. 178 ss.; 3 luglio 1990, in causa 305/88, ivi, 1992, p. 146 ss.; 16 luglio 1992, in causa C-83/91; ordinanza 16 maggio 1994, in causa C-428/93, ivi, 1994, p. 659 ss.; 6 ottobre 1982, in causa 283/ 81, ivi, 1983, p. 159 ss.; 15 luglio 1982, in causa C-228/81, ivi, 1982, p. 884 ss.; 14 dicembre 2006, in causa C-283/05, ivi, 2007, p. 497 ss. 118 giurisprudenza italiana aveva disposto la riconvocazione della convenuta per il 31 ottobre 2001 e la nuova notifica era stata effettuata il 4 ottobre 2001. Il giudice del merito ha ritenuto non adeguato quest’ultimo termine di 26 giorni, «sia alla luce delle norme di rito dei due Stati, sia, piú in generale, rispetto alle esigenze difensive», con conclusione contraddittoria rispetto alla affermazione che la congruità doveva costituire oggetto di «valutazione in concreto, non vincolata né alle norme di rito dello Stato straniero, né a quelle dello Stato italiano». La regolarità della prima notificazione non è stata dunque contestata dalla Corte territoriale che, tuttavia, non avrebbe desunto da questa constatazione le corrette conseguenze. In primo luogo, detta regolarità rileva in quanto permette di negare l’incidenza del giudizio promosso dalla Trussardi s.p.a. in Italia, con citazione del 14 giugno 2001, e correttamente sospeso. In secondo luogo, rileva, poiché consente di ritenere conosciuto l’atto introduttivo del giudizio, quindi congruo il termine in relazione alle udienze successive, in quanto nel diritto olandese, ...non operano decadenze e preclusioni. D’altronde, è verosimile che proprio la conoscenza di tale atto abbia indotto la Trussardi s.p.a. ad instaurare il giudizio in Italia nel giugno 2001. Infine, la sentenza impugnata non svolge considerazioni in ordine al rispetto dell’ordine pubblico processuale, e ciò significa che la disciplina della notificazione è stata rispettata. 1.1. La valutazione di congruità del termine di 26 giorni avrebbe dovuto essere poi svolta tenendo conto sia del fatto che la convenuta è una delle piú note case di moda internazionali, certo assistita da consulenti legali che conoscono le lingue, in possesso di mezzi tecnologici (fax, e-mail, teleconferenza) che permettono una rapida comunicazione, sia della distanza tra Dordrecht e Milano, non maggiore, esemplificativamente, di quella che separa la seconda città da Catania o da L’Aquila. Tutti questi elementi sarebbero stati trascurati dalla Corte distrettuale e sarebbe mancata ogni motivazione sul punto e sulla circostanza che la convenuta non si è costituita neppure alle udienze successive al 31 ottobre 2001, nelle quali pure avrebbe potuto svolgere difese, senza subire decadenze e preclusioni. Inoltre, la pronuncia neppure ha motivato in ordine alla mancata impugnazione della sentenza del Tribunale olandese. Siffatta circostanza, ai sensi dell’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 (che ha modificato l’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles) ed in virtú del favor per il riconoscimento-libera circolazione delle sentenze nei Paesi membri della Comunità europea, comporterebbe, infatti, che i vizi della notifica e l’incongruità del termine non possono impedirne l’esecuzione, qualora la pronuncia non sia stata impugnata. 1.2. La ricorrente, con il secondo motivo, denuncia omessa o insufficiente motivazione sulla congruità del termine, in relazione alle circostanze dedotte in causa e all’orientamento della giurisprudenza in relazione all’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). A suo avviso, questa Corte, con la sentenza n. 9615 del 1998, ha affermato che la congruità del termine deve essere valutata «in relazione a tutte le circostanze di fatto allegate dalle parti», compresa sia «l’esistenza di moderni mezzi di comunicazione, che consentono di ridurre notevolmente i tempi per la scelta di un avvo- giurisprudenza italiana 119 cato nel Paese straniero e per la predisposizione della linea di difesa», sia la possibilità per la parte di chiedere il differimento dell’udienza. Siffatta pronuncia richiama anche la sentenza della Corte del Lussemburgo 16 giugno 1981, in causa 166/80, Klomps, essendo altresı́ pertinenti le sentenze 11 giugno 1985, in causa 49/84; 12 novembre 1992, in causa C-123/91; 21 aprile 1993, in causa C-172/91; 13 luglio 1995, in causa C-474/93; 14 ottobre 2004, in causa C39/02, che hanno efficacia vincolante. L’ultima di dette pronunce ha affermato che l’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles «ha lo scopo di garantire che un provvedimento non sia riconosciuto né eseguito a norma della convenzione, qualora il convenuto non abbia avuto la possibilità di difendersi dinanzi al giudice di origine» (punto 55) e non può essere invocato, «qualora egli sia stato informato degli elementi della lite e sia stato posto in grado di difendersi» (punto 56). Inoltre, nelle conclusioni rese dall’avvocato generale, anche richiamando la sentenza 3 luglio 1990, in causa C-305/88, è stato precisato che il controllo in ordine alla condizione di contumacia ed alla regolarità della notifica spetta al giudice dello Stato di origine. Dunque, nella specie «deve essere compiuta una valutazione di diritto olandese, alla luce della convenzione di Bruxelles... sia sulla ‘‘regolarità’’, sia sulla ‘‘dichiarazione di contumacia’’, ovvero sull’avvenuta informazione del convenuto con riguardo agli elementi della lite». Secondo il ricorrente, «sulla regolarità della notifica e del procedimento seguito nei Paesi Bassi, si è ampiamente detto negli atti di causa avanti alla Corte d’Appello» e, «se mai sussistessero dubbi», potranno essere poste «una o piú questioni pregiudiziali» alla Corte di giustizia delle Comunità europee, in ordine all’interpretazione della convenzione di Bruxelles, ai sensi dell’art. 3 par. 1. In particolare, il quesito dovrebbe avere ad oggetto la possibilità di affermare che una notifica ritenuta regolare secondo il diritto olandese lo sia anche secondo la convenzione di Bruxelles, tenendo conto che nelle sentenze Klomps e Debaecker la Corte europea ha affermato che il giudice «tiene conto di tutte le circostanze concrete, ivi compreso il modo di notifica o di comunicazione usato, dei rapporti fra l’attore e il convenuto, o del carattere dell’azione che si è dovuta intraprendere per evitare la pronuncia in contumacia», nonché di «fatti o circostanze eccezionali intervenuti dopo la regolare notifica». La Corte europea, richiesta di accertare quale sia il dies a quo per il computo del «termine utile» per preparare le difese (se cioè coincida con quello in cui la domanda giudiziale è pervenuta al domicilio del convenuto), ha affermato che l’art. 27 n. 2 citato ha carattere eccezionale. La regola è il riconoscimento della sentenza, dunque «il giudice richiesto può in generale ritenere che, in esito alla notifica o comunicazione regolare, il convenuto possa cominciare ad agire per la difesa dei propri interessi dal momento in cui l’atto è stato notificato o comunicato, al suo domicilio o altrove», dovendo tuttavia accertare se la notifica, benché regolare, non sia stata «sufficiente per mettere il convenuto in grado di cominciare a difendersi». Il carattere eccezionale della norma ed il favor per il riconoscimento della sentenza sono, peraltro, i motivi ispiratori della modifica realizzata con l’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001, sottolineati dalla dottrina, secondo la quale la giurisprudenza italiana si è correttamente ispirata alla regola di detto favor. Infatti, questa Corte ha ritenuto congruo il termine di 30 giorni (Cass., n. 2718/ 120 giurisprudenza italiana 1995), ovvero di 22 (Cass., n. 9615/1998), ma anche di 14 (Cass., n. 10275/1996) e la giurisprudenza di merito quelli di 28 o 20 giorni. Pertanto, sotto questo profilo, la motivazione della sentenza sarebbe viziata. Infine, la ricorrente chiede che, qualora non sia condivisa l’interpretazione proposta, sussistendo dubbi interpretativi, sia disposto rinvio pregiudiziale, ai sensi degli artt. 2, par. 1, e 3 par. 1, in ordine all’interpretazione dell’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles – e, per quanto occorra, del protocollo allegato, art. IV –, chiedendo che la Corte europea si pronunci sui seguenti quesiti (Omissis). 2.1. L’esame delle censure rende opportuno premettere che la sentenza della quale è stato chiesto il riconoscimento è stata emessa dal Tribunale di Dordrecht il 19 dicembre 2001; la pronuncia qui impugnata: a) ha ritenuto la fattispecie governata dall’art. 27 della convenzione di Bruxelles, affermando che «non può trovare applicazione il regolamento CE n. 44 del 2001» (regolamento (CE) 22 dicembre 2000 n. 44/2001) – quindi la modifica da questo apportata all’art. 27 citato –, in quanto, ai sensi dell’art. 66 comma 1 di tale atto normativo «le disposizioni del presente regolamento si applicano solo alle azioni proposte ed agli atti pubblici formati posteriormente alla sua entrata in vigore» (...); a-1) ha reputato inconferenti gli argomenti svolti dall’opponente fondati sulla legge n. 218 del 1995, in considerazione della ritenuta «prevalenza delle norme convenzionali sulle norme di diritto internazionale privato di cui alla legge n. 218/ 1995» (...), negando altresı́ che il giudizio promosso in Italia dalla Trussardi s.p.a. nel giugno 2001 potesse incidere sulla dichiarazione di esecutività, escludendo i presupposti della sospensione ex art. 295 cod. proc. civ.; a-2) non ha accolto la deduzione della Trussardi s.p.a. in ordine alla «‘‘nullità’’ della prima notifica, perché recante inidoneo termine a comparire», affermando che la «valutazione di ‘‘regolarità’’» spettante al giudice nazionale è limitata «all’atto della notifica in sé e non [è] estesa alla citazione od ai suoi eventuali vizi» ed al profilo della «‘‘regolarità’’ del termine a comparire» (...), concernendo soltanto la sua «congruità». La convenzione di Bruxelles mira, infatti, a garantire «l’effettiva instaurazione del contraddittorio», «ma contestualmente intende sottrarre al giudice dell’esecuzione, salvo i tassativi casi previsti, l’esame di tutti quegli altri vizi od errori del procedimento e della sentenza che sono riservati alla naturale sede d’impugnazione» (...); a-3) ha rigettato la deduzione dell’attuale ricorrente, secondo la quale sarebbe «assorbente la verifica della regolarita della notifica ritenuta in sentenza, con la dichiarazione di contumacia, da parte del Giudice straniero» (...). La pronuncia ha ritenuto di dovere verificare «solo il requisito della ‘‘congruità’’» del termine, all’esito di una «valutazione in concreto, non vincolata né alle norme di rito dello Stato straniero, né a quelle dello Stato italiano», con conseguente irrilevanza anche del richiamo da parte della Trussardi «al ‘‘vecchio’’, ovvero al ‘‘nuovo’’ codice di rito civile dei Paesi Bassi ed all’art. 163-bis cod. proc. civ.»; a-4) ha ritenuto che la notifica dell’atto introduttivo avvenuta il 4 aprile 2001, per l’udienza del 4 aprile 2001, era stata giudicata dal Tribunale olandese «troppo breve» e questi aveva dunque «dato onere alla parte attrice di riconvocare il convenuto, con esplicito mantenimento del predetto atto di citazione per il 31 ottobre 2001» (...); a-5) ha, infine, accertato che la notificazione dell’atto di riconvocazione era giurisprudenza italiana 121 stata «efficacemente eseguita... solo in data 4 ottobre 2001» ed ha ritenuto incongruo il termine di 26 giorni intercorrente tra quest’ultima data e quella del 31 ottobre 2001, giorno fissato per l’udienza. 2.2. Le premesse poste nel paragrafo che precede rendono chiara, in primo luogo, l’infondatezza della censura svolta nel primo motivo, con la quale è stato dedotto che la sentenza «non ‘‘tiene conto’’, se non in modo del tutto parziale e limitato» della prevalenza della convenzione di Bruxelles – peraltro, formulata senza indicare il punto ed il modo in cui la sentenza avrebbe disatteso detto criterio – dato che la Corte territoriale, sotto il profilo formale, lo ha espressamente enunciato e, sotto quello sostanziale, ha proceduto alla verifica delle condizioni per il riconoscimento avendo riguardo appunto, e soltanto, alla convenzione di Bruxelles. In secondo luogo, rendono palese che la Corte d’Appello non ha affatto dubitato della regolarità della notifica e della impossibilità per il giudice nazionale di verificare vizi ed errori dell’atto introduttivo, spettando a questo esclusivamente il controllo in ordine alla «congruità» del termine. Dunque, sono manifestamente irrilevanti le considerazioni svolte: nel primo motivo, in ordine alla regolarità della notifica, al fine di negare che sul giudizio svolto in Olanda e sul riconoscimento della sentenza incidesse il giudizio instaurato dalla Trussardi in Italia nel giugno 2001...; nel secondo motivo, sul punto della spettanza al giudice straniero del «controllo della condizione di contumacia» e «della regolarità della notifica» o della verifica da compiere sul punto in base al diritto olandese..., nonché in ordine alla circostanza che è sufficiente che il convenuto abbia avuto la «possibilità» di conoscere l’atto... La valutazione di irrilevanza è resa chiara dalla considerazione che, come risulta dalla sintesi sopra riportata nel par. 2.1., la Corte territoriale non ha dubitato della regolarità della notifica, ma ha solo esaminato il differente profilo della congruità del termine concretamente avuto dalla convenuta. In terzo luogo, le deduzioni con le quali la ricorrente prospetta che, ai fini del riconoscimento, non è stata valorizzata la mancata impugnazione della sentenza oggetto del riconoscimento che, ai sensi dell’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001, preclude ogni valutazione sulla congruità del termine... e sostiene che detta norma sarebbe rilevante... sono manifestamente inconferenti ed infondate, alla luce delle premesse poste nel par. 2.1. Al riguardo, la Corte d’Appello ha, infatti, espressamente affermato l’inapplicabilità della norma del regolamento, con conclusione corretta, tenuto conto che la pronuncia oggetto di riconoscimento è del 19 dicembre 2001 e che l’art. 66 del medesimo dispone l’applicabilità delle norme del medesimo «solo alle azioni proposte ed agli atti pubblici formati posteriormente alla sua entrata in vigore», e cioè il 1º marzo 2002. Questa corretta conclusione, addirittura condivisa dalla ricorrente (che... sostiene anch’essa l’inapplicabilità del citato regolamento), comporta, evidentemente, l’impossibilità di valorizzare circostanze poste dalla norma del regolamento. In riferimento all’art. 27 n. 2, nel testo qui applicabile, la mancata impugnazione della sentenza non aveva invece efficacia sanante dell’eventuale incongruità del termine. Questo effetto è stato infatti stabilito, con norma di carattere innovativo, soltanto dall’art. 34 n. 2 del regolamento n. 44/2001. Conforta questa esegesi dell’art. 27 n. 2 cit. – nel testo qui rilevante ratione temporis – l’orientamento espresso dalla Corte europea che, in relazione ad un 122 giurisprudenza italiana profilo analogo, concernente appunto la rilevanza della mancata impugnazione della sentenza, ha affermato che detta norma va interpretata nel senso che una sentenza pronunciata in contumacia in uno Stato contraente non può essere riconosciuta in altro Stato contraente quando la domanda giudiziale non è stata notificata regolarmente al convenuto contumace, anche se questi è venuto dopo a conoscenza della sentenza e non l’ha impugnata con i mezzi previsti dalle norme processuali dello Stato di origine (sentenza 12 novembre 1992, in causa C-123/91, Minalmet). 2.3. Siffatte conclusioni rendono palese l’insussistenza dei presupposti per disporre il chiesto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee in relazione ai quesiti sopra riportati... In ordine alle condizioni del rinvio, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea, non sussiste l’obbligo di disporlo, qualora la questione sia meramente ipotetica (sentenza 16 luglio 1992, in causa C-83/91, Meilicke) e non obiettivamente necessaria al giudice nazionale per risolvere la controversia (sentenza 16 maggio 1994, in causa C-428/93, Monin Automobiles), ovvero difetti di un collegamento sufficiente con l’oggetto della causa (tra le molte, sentenze 11 novembre 1997, in causa C-408/95, Eurotunnel SA; 13 dicembre 1994, in causa C-306/93, Smw Winzersekt GmbH), oppure qualora la risposta al quesito non alimenti alcun ragionevole dubbio interpretativo (sentenza 6 ottobre 1982, in causa 283/81, Cilfit; 17 maggio 2001, in causa C-340/99, Traco), in virtú di un principio che, come bene ha osservato la dottrina, ha introdotto «nel sistema comunitario la teoria dell’atto chiaro». Pertanto, occorre che la questione interpretativa sia rilevante ai fini della decisione e che sussistano effettivi dubbi sulla interpretazione, essendo il rinvio inutile (comunque non obbligato), quando l’interpretazione della norma sia evidente o il senso della stessa sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte del Lussemburgo (sentenza 27 marzo 1963, in cause 28-30/62, Da Costa; Cass. s.u., n. 12067/2007). Nella specie, poiché il giudice del merito non ha dubitato della regolarità della notifica dell’atto introduttivo, e neppure sussiste controversia in ordine alla regolare instaurazione del giudizio a quo, essendo in questione esclusivamente la valutazione «di fatto» in ordine alla congruità del termine, risulta manifesta l’irrilevanza della questione oggetto del quesito formulato dalla parte... 2.4. La questione posta con le residue censure in relazione alla valutazione operata dalla Corte d’Appello sulla «congruità» del termine concesso alla controricorrente, che è pacifico era rimasta contumace nel processo svoltosi innanzi al giudice olandese, è infondata nella parte in cui denuncia un’erronea interpretazione dell’art. 27 n. 2 citato richiede la sottoposizione alla Corte europea delle questioni pregiudiziali sintetizzate... 2.4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, alla quale va data continuità, in difetto di argomenti che possano condurre ad una sua rimeditazione, l’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles (nel testo qui applicabile) va interpretato nel senso che lo stesso riferisce il requisito della regolarità soltanto alla notificazione e comunicazione, richiedendo per il termine di comparizione solo il requisito della congruità, da accertare sulla base delle circostanze che caratterizzano la fattispecie concreta, indipendentemente dalle giurisprudenza italiana 123 norme dei singoli ordinamenti processuali (Cass., n. 9615/1998; n. 6112/1979; n. 3245/1982; n. 2549/1983). Siffatta interpretazione, come anche Stato precisato (Cass., n. 9615/1998), e va ribadito, è conforme a quella data dalla Corte di giustizia delle Comunità europee. La Corte del Lussemburgo, richiesta di stabilire se, in virtú dell’art. 27 n. 2 citato, «qualora un giudice dello Stato di origine abbia già accertato la regolarità della notifica, il giudice richiesto dall’altro Stato contraente debba ancora accertare se detta notifica sia stata effettuata in tempo utile perché il convenuto abbia potuto presentare le proprie difese» (sentenza 16 giugno 1981, in causa C-166/80, Klomps, punto 14), ha premesso che la norma pone due condizioni: «l’una, riguardante la regolarità della notifica, implica una decisione basata sulla normativa dello Stato di origine e sulle convenzioni che lo vincolano in fatto di notifica e di comunicazione; l’altra, riguardante il necessario perché il convenuto possa presentare le proprie difese, implica valutazioni di fatto» (punto 15). «Il provvedimento riguardante la prima di queste due condizioni», ha precisato la pronuncia, «non può quindi dispensare il giudice richiesto dall’obbligo di procedere all’esame della seconda condizione» (punto 15). La sentenza ha quindi risolto la questione enunciando il seguente principio: a) anche quando il giudice dello Stato di origine ha accertato la regolarità della notificazione o comunicazione, «l’art. 27 n. 2 esige che il giudice richiesto esamini, ciò non di meno, la questione se tale notificazione o comunicazione sia stata effettuata in tempo utile perché il convenuto abbia potuto presentare le proprie difese» (punto 24 n. 5). In riferimento alla seconda delle succitate condizioni, la sentenza ha sottolineato che essa «tende a garantire al convenuto un termine adeguato per preparare le proprie difese o fare quanto occorre per evitare una pronunzia in contumacia», osservando che la questione posta «non riguarda[va] la durata di questo termine, ma piuttosto il dies a quo» e che l’art. 27 n. 2 citato, «non esige la prova che il convenuto abbia effettivamente avuto conoscenza della domanda giudiziale». La sentenza ha quindi enunciato il seguente principio: b) «il giudice richiesto, in via generale, può limitarsi ad accertare se il termine, a partire dalla data in cui la notifica o comunicazione è stata regolarmente effettuata, abbia lasciato al convenuto abbastanza tempo per difendersi; tuttavia egli deve accertare se, nel caso concreto, sussistano circostanze eccezionali tali che la notifica o la comunicazione, benché regolare non sia stata tuttavia sufficiente per far decorrere detto termine» (punto 25 n. 6). Il principio sub a è stato ribadito dalla Corte del Lussemburgo, rimarcando che l’art. 27 n. 2 citato «va interpretato nel senso che esso è diretto a tutelare i diritti di difesa del convenuto contumace... anche se la disciplina della notifica o della comunicazione di questo Stato contraente è stata rispettata» (sentenza 11 giugno 1985, in causa C-49/84, Debaecker-Plouvier, punto 12) ed «abbia avuto luogo nel rispetto di un termine fissato dal giudice dello Stato d’origine» (punto 13; analogamente, sentenza 15 luglio 1982, in causa 228/81, Pendy Plastics Products; nella giurisprudenza di questa Corte, Cass., n. 15591/2003). La sentenza del 1985 ha anche ribadito che «il problema di stabilire se la notificazione sia stata effettuata in tempo utile rientra in una valutazione di fatto e non può dunque essere risolto né sulla base del diritto nazionale del giudice di origine né sulla base del diritto nazionale del giudice richiesto» (punto 27 della 124 giurisprudenza italiana sentenza da ultimo richiamata), ma va deciso tenendo conto di «tutte le circostanze concrete, ivi compreso il modo di notifica o di comunicazione usato, dei rapporti fra l’attore e il convenuto e del carattere dell’azione» (sentenza 11 giugno 1985, in causa C-49/84, Debaecker-Plouvier, punto 21). Dalle pronunce emerge, altresı́, che il termine decorre dal giorno in cui l’atto è stato notificato o comunicato, in coerenza con l’univoca lettera della norma, restando esclusa soltanto la necessità di prova sulla conoscenza effettiva della domanda, presunta, una volta che sia stata verificata la sua notificazione e/o comunicazione. Pertanto, risulta chiaro che, contrariamente alla deduzione della ricorrente, l’art. 27 n. 2 citato secondo la costante interpretazione datane dalla Corte europea, non fa discendere (né presumere) dalla regolarità della notifica o della comunicazione la congruità del termine. La norma impone, invece, al giudice dello Stato richiesto di accertare se il termine, a partire dalla data in cui la notifica o comunicazione è stata regolarmente effettuata, nel caso concreto, abbia lasciato al convenuto abbastanza tempo per difendersi. Ne consegue la manifesta irrilevanza della questione pregiudiziale, nei termini posti nel par. 1.2 sub 2, in riferimento al primo profilo, dato che nella specie non sussiste alcuna contestazione in ordine alla regolarità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, che la Corte d’Appello non ha affatto negato. Anche la questione posta nel par. 1.2, sub 2.1 è manifestamente irrilevante, in quanto la sentenza ha ritenuto l’atto conosciuto dalla data della notificazione, in coerenza con l’orientamento in tal senso espresso dalla Corte europea, in virtú di una esegesi imposta dalla chiara lettera della norma, al di là di ogni ragionevole dubbio, non essendo peraltro in discussione nella specie la conoscenza da un momento diverso. D’altronde, di tanto, a ben vedere, si dimostra chiaramente consapevole la stessa ricorrente che, da un canto, propone un quesito in riferimento a locuzioni e circostanze che neppure sono poste dall’art. 27 n. 2 citato... Dall’altro, correttamente dà atto che la Corte europea ha individuato nel momento della notifica o comunicazione dell’atto il dies a quo in relazione al quale va verificata la congruità del termine per svolgere le difese. Al riguardo, occorre altresı́ ricordare che la Corte del Lussemburgo, in riferimento alla norma nel testo qui applicabile, ha anche affermato che l’irregolarità della notifica non è sanata dalla conoscenza de facto della domanda giudiziale da parte del convenuto contumace (sentenza 12 novembre 1992, in causa C-123/91, Minalmet), con affermazione qui rilevante, in quanto permette appunto di affermare la valorizzabilità, ai fini che interessano, dalla notificazione e/o comunicazione della domanda. Il quesito posto nel par. 1.2 sub 2.2., è, invece, manifestamente inammissibile, nella parte in cui chiede che sia rimesso alla Corte europea di accertare se possa ritenersi congruo il termine di ventisei giorni. Un tale accertamento, secondo il pacifico orientamento della Corte europea sopra riportato, del quale la stessa ricorrente si dimostra consapevole (ha, infatti, richiamato le sentenze 11 giugno 1985, in causa C-49/84, Debaecker-Plouvier; 16 giugno 1981, in causa C-166/80, Klomps), involge «valutazioni di fatto» che, all’evidenza, non possono essere sottoposte al Giudice europeo, il quale ha peraltro anche già offerto univoche ed esaustive indicazioni in ordine alle circostanze che, in linea generale, devono essere prese in esame al fine della formulazione del relativo apprezzamento. giurisprudenza italiana 125 Infine, il quesito formulato nel par. 1.2 sub 2.2. è manifestamente inammissibile, nella parte in cui mira a ritenere valorizzabile la mancata impugnazione della decisione. In ordine a tale punto, l’art. 27 n. 2 citato è chiaro nello stabilire l’irrilevanza della mancata impugnazione della sentenza, espressamente affermata dalla Corte europea in riferimento alla norma nel testo qui applicabile (sentenza 12 novembre 1992, in causa C-123/91, Minalmet), risultando dunque palese che il quesito mira ad ottenere l’interpretazione della norma nel testo conseguente dalla innovazione introdotta dall’art. 34 n. 2 del regolamento n. 44/2001, che è qui inapplicabile, con conseguente inammissibilità della questione (ed inconferenza del richiamo della sentenza 14 dicembre 2006, in causa C-283/05, Semiconductor Industry Services GmbH, che ha ad oggetto l’interpretazione del citato art. 34 n. 2). 2.5. I motivi sono invece fondati nella parte in cui denunciano con il secondo mezzo e con il primo mediante le argomentazioni sintetizzate nel punto 1.1. – un vizio di motivazione. In linea preliminare, occorre ricordare che, secondo la Corte europea, il giudice richiesto, nello svolgere il giudizio di congruità – che implica una «valutazione di fatto» (sentenza 11 giugno 1985, in causa 49/84, Debaecker-Plouvier, punto 27) – deve tenere conto «dei rapporti fra l’attore e il convenuto», del «carattere dell’azione» (sentenza 16 giugno 1981, in causa C-166/80, Klomps) ed «anche di fatti o circostanze eccezionali intervenuti dopo la regolare notifica» (sentenza 11 giugno 1985, in causa C-49/84, Debaecker-Plouvier). Inoltre, per orientamento consolidato di questa Corte, il giudizio di congruità da svolgere per verificare se la domanda giudiziale innanzi al giudice straniero sia stata notificata o comunicata al convenuto in tempo utile perché questi potesse presentare le proprie difese, può essere censurato in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione, trattandosi di giudizio di fatto che coinvolge l’accertamento di elementi materiali e che comporta un apprezzamento degli stessi riservato al giudice di merito (per tutte, Cass., n. 15730/2006; n. 9615/1998), fermo restando che detto giudizio va svolto avendo riguardo ai parametri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea. Nel quadro di detti principi, va osservato che la sentenza ha ritenuto l’incongruità del termine in riferimento all’udienza del 31 ottobre 2001, in quanto ha ritenuto che la prima notificazione (del 4 aprile 2001), «come ha constatato lo stesso Giudice olandese» (quindi, correttamente rimettendosi sul punto alla valutazione del giudice d’origine), era «stata sostanzialmente ininfluente sulle concrete possibilità di difesa», essendo incontroverso che l’atto era stato notificato il 4 ottobre 2001. Inoltre, ha affermato che la causa «stando alla stessa articolata citazione iniziale» era di «notevole complessità, sia in diritto che in fatto», essendo «in questione la giurisdizione, la competenza, l’interpretazione del rapporto tra le parti, la legittimità della disdetta e della condotta commerciale successiva, il diritto al risarcimento e l’entità del medesimo». In considerazione di dette circostanze, la Corte territoriale ha ritenuto «indispensabili uno studio non breve, una ricerca di documenti sul rapporto controverso e ripetute consultazioni (con l’impaccio della lingua) tra difensore e cliente, e scelte preliminari e di merito attentamente ponderate», al fine della costituzione «presso il Tribunale di Dordrecht, non certo centralissimo», che richiedeva un tempo superiore a ventisei giorni. 126 giurisprudenza italiana Infine ha esplicitato che, nella valutazione di congruità, ha tenuto conto della circostanza che non «sarebbe stata necessaria, come rileva l’opposta, una già completa articolazione delle eccezioni e delle prove». La motivazione cosı́ svolta non è immune dalle censure svolte dalla ricorrente. Questa Corte ha, infatti, già sottolineato come, nell’effettuare la valutazione in esame, debba riconoscersi peculiare rilevanza alla disciplina processuale del Paese d’origine, osservando come la circostanza che non siano previste decadenze e preclusioni debba essere a questo fine adeguatamente valorizzata (Cass., n. 9615 del 1998, che ha censurato la motivazione della sentenza di merito la quale, non valutando adeguatamente questa circostanza aveva ritenuto insufficiente il termine di 22 giorni in relazione ad un giudizio promosso in Grecia). Pertanto, la motivazione risulta insufficiente, ed in parte contraddittoria, nella parte in cui, da un canto, dà atto che nella specie non «sarebbe stata necessaria, come rileva l’opposta, una già completa articolazione delle eccezioni e delle prove» in riferimento alla prima udienza, dall’altro, non trae le coerenti conseguenze e, comunque, si limita a precisare che «però occorreva comunque predisporre una costituzione in giudizio». In relazione a questo profilo, va osservato che la sentenza valorizza, negativamente, la non solerte rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, ma manca poi di ogni considerazione in ordine all’eventuale rilevanza della circostanza che l’atto – sia pure in riferimento ad una udienza poi rinviata – risultava comunque già conosciuto dalla convenuta sin dall’aprile del 2001, considerazione che, invece, avrebbe dovuto essere effettuata ed esplicitata. Inoltre, posto che la stessa pronuncia indica che nel giugno 2001 la Trussardi s.p.a. aveva iniziato un giudizio in Italia avente oggetto analogo, la completezza e congruità della motivazione ancora di piú esigevano, ed esigono, un apprezzamento di detti elementi, al fine di valutare se questi, implicando eventualmente che della controversia l’attuale controricorrente aveva contezza, influiscano sulla congruità del termine di 26 giorni, tenuto appunto conto della pregressa conoscenza che delle vicenda, e dell’atto, aveva la convenuta. Analogamente, nonostante in questo giudizio – come fondatamente sostenuto dalla ricorrente e pure già affermato da questa Corte – debba tenersi conto dei «moderni mezzi di comunicazione, che consentono di ridurre notevolmente i tempi per la scelta di un avvocato nel Paese straniero e per la predisposizione della linea di difesa» (Cass., n. 9615/1998), questo profilo non risulta affatto preso in compiuta considerazione, comunque non è stato oggetto di specifica, puntuale e completa valutazione, nonostante la sua oggettiva e notoria rilevanza. Il giudizio di complessità del processo, come emerge dalla motivazione sopra riportata, risulta, infine, affidato alla sintetica enunciazione di elementi indicati genericamente che, in difetto di ogni ulteriore illustrazione, non permette di apprezzare compiutamente le ragioni a conforto della valutazione formulata in tal senso e che, peraltro, richiedeva di essere esplicitata anche alla luce della qualità delle parti e dei rapporti commerciali esistenti tra le medesime. In conclusione, rigettate le censure aventi ad oggetto la denuncia di asserite violazioni o falsa applicazione di norme, la sentenza deve essere cassata, entro i termini e nei limiti sopra precisati, per vizio della motivazione, e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Milano che, in diversa composizione, procederà al riesame giurisprudenza italiana 127 della controversia, attenendosi ai principi sopra enunciati, regolando anche le spese di questa fase. P.Q.M., la Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese della presente fase. Corte di Cassazione, sentenza 12 maggio 2008 n. 11797 Presidente, Luccioli - Consigliere Rel., Schirò - P.M., Pivetti (concl. conf.) Euganea Trasporti di Trolese & C. s.n.c. (avv. Appella, Martellato) contro Sicagieb Bétail SA, Martini e Pozzati (intimati). L’opposizione al decreto di esecutorietà di una decisione resa in uno Stato contraente della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, proposta ai sensi dell’art. 36, non può essere fondata sulla mancanza dei requisiti previsti dall’art. 64 della legge 31 maggio 1995 n. 218, ma solo di quelli contemplati dagli artt. 27 e 28 della convenzione medesima. Ai fini di accertare il contrasto con una decisione resa tra le medesime parti, ai sensi dell’art. 27 n. 3 della convenzione di Bruxelles del 1968, le parti non possono che essere intese come i soggetti del rapporto processuale che deriva dalla proposizione della domanda. La dichiarazione di esecutività in Italia delle decisioni rese in uno Stato contraente della convenzione di Bruxelles del 1968 integra un procedimento di cognizione di tipo monitorio con contradditorio differito alla eventuale, successiva fase di opposizione, che si instaura con l’opposizione ad ingiunzione ex art. 645 cod. proc. civ. e nella quale le parti hanno la possibilità di modificare e precisare le originarie domande ed eccezioni nei limiti consentiti dall’art. 183 cod. proc civ. 1* Svolgimento del processo. I. Con citazione notificata in data 7, 14 e 28 aprile 1999 la s.n.c. Euganea Trasporti di Trolese & C. (di seguito, per brevità, «Euganea Trasporti») conveniva in giudizio davanti alla Corte d’Appello di Venezia, ex art. 36 ss. della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con legge 21 giugno 1971 n. 804, la società Sicagieb Bétail SA (di seguito «Sicagieb»), con sede in Montbeugny-Ferme di Montedoux (Francia), e i signori Zeno Martini e Miriana Pozzati, proponendo, nei confronti della prima, domanda di revoca del decreto della medesima Corte in data 19 gennaio 1999, con il quale era stata apposta la formula esecutiva alla sentenza della Corte di appello di Riom, * Tra le pronunce della Corte di Cassazione citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: 28 maggio 2004 n. 10378, ivi, 2005, p. 129 ss.; s.u., 16 luglio 2004 n. 6704, ivi, 1995, p. 724 ss.; 20 luglio 2007 n. 16163, ivi, 2008, p. 537 ss. 128 giurisprudenza italiana sezione commerciale, n. 166/1998 in data 25 marzo 1998, che l’aveva condannata a corrispondere alla società francese la somma di franchi fr. 428.300 e 5.000 a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alla mancata consegna ai destinatari indicati nella lettera di vettura del bestiame trasportato su incarico della medesima società e formulando, nei confronti degli altri convenuti, domanda di manleva in ordine alle pretese della società Sicagieb, avendo l’attrice eseguito, nel provvedere alla consegna del bestiame, le indicazioni verbali del Martini, agente di detta società. A sostegno dell’opposizione e della domanda di sospensione del procedimento e della esecutorietà della sentenza e del decreto, l’attrice invocava le prescrizioni di cui all’art. 64 lett. d, g, e e c della l. 31 maggio 1995 n. 218 ed eccepiva la nullità del decreto del 19 gennaio 1999, anche per nullità della procura rilasciata da soggetto non legittimato, attesa la mutata condizione giuridica della Sicagieb, sottoposta a procedura di «dissolution anticipée». Mentre la società convenuta resisteva alla domanda, contestandone la fondatezza, il Martini e la Pozzati chiedevano preliminarmente l’estromissione dal giudizio, in quanto estranei ai procedimenti intentati davanti ai giudici francesi, e comunque eccepivano l’impossibilità del riconoscimento nei loro confronti di una sentenza straniera pronunciata tra altre parti, invocavano la precedenza del giudizio di cassazione in Francia tra le due società ed escludevano la sussistenza dei presupposti per una pronuncia di manleva nei loro confronti, tenuto conto della pendenza di un’esecuzione immobiliare in danno della Pozzati per i medesimi crediti. II. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 339/2004 del 26 febbraio 2004, dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti dei coniugi Martini e Pozzati e rigettava quella contro la Sicagieb. A fondamento della decisione, la Corte territoriale cosı́ motivava: II.a. la domanda proposta nei confronti del Martini e della Pozzati era inammissibile, stante la loro estraneità al giudizio svoltosi in Francia e alla sentenza munita di exequatur e tenuto conto dei limiti di competenza della stessa Corte ai sensi dell’art. 36 ss. della convenzione di Bruxelles; II.b. nel merito, i motivi proposti dalla parte opponente fino all’udienza ex art. 183 cod. proc. civ. erano infondati in relazione alle prescrizioni di cui agli artt. 27 ss. della convenzione di Bruxelles, resa esecutiva in Italia con l. 21 giugno 1971 n. 804, che erano alla base del decreto oggetto dell’opposizione; II.c. quanto all’eccezione di contrasto del riconoscimento della sentenza della Corte di Appello di Riom con norme di ordine pubblico – sul presupposto che l’esecuzione di detta sentenza avrebbe portato ad ulteriori conseguenze i reati di truffa e di falso in scritture private di cui al procedimento penale in corso presso il Tribunale di Grande Istanza di Moulins, promosso con riferimento alle circostanze che, nella fattispecie, erano state dalla società attrice osservate le indicazioni verbali fornite al Martini, agente della Sicagieb, in ordine alla consegna del bestiame a destinatari diversi da quelli originariamente indicati nella lettera di vettura, come confermato dalla transazione del 17 maggio 1995, conclusa tra il Martini e la Sicagieb medesimi, e che la società francese aveva valorizzato e utilizzato insoluti relativi a fatture pretestuosamente inviate ai destinatari iniziali – doveva ritenersi che, in mancanza dell’accertamento da parte dei giudici penali dei reati denunciati, la pretesa contrarietà all’ordine pubblico del riconoscimento della sentenza della Corte di Appello di Riom restava una semplice affermazione dell’opponente; giurisprudenza italiana 129 II.d. non era ravvisabile neppure la dedotta contrarietà della sentenza della Corte di Appello di Riom con altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e individuata dall’attrice nel decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano ai danni del Martini e della Pozzati in forza della transazione 17 maggio 1995 e nella esecuzione immobiliare n. 190/1996 pendente davanti al Tribunale di Padova ai danni del Martini e della Pozzati, essendo con evidenza differenti le parti, i titoli e i contenuti delle obbligazioni rispettivamente affermate a carico della società Euganea Trasporti nella sentenza dei giudici francesi e a carico dei coniugi Martini e Pozzati nel decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano; II.e. l’eccezione di nullità della procura alle liti in quanto rilasciata, a margine dell’istanza tesa all’exequatur, dal Presidente del consiglio di amministrazione della società Sicagieb, anziché dal liquidatore, essendo stata detta società già messa in liquidazione, era rimasta priva di efficacia, dopo la produzione da parte della citata società francese di procure nelle date 13 dicembre 2000 e 7 febbraio 2001, entrambe rilasciate dal liquidatore in linea con gli indirizzi giurisprudenziali sulla sanabilità del vizio in questione in tutto il corso del giudizio; II.f. era altresı́ infondato l’assunto relativo alla pretesa contrarietà all’ordine pubblico italiano del riconoscimento della sentenza della Corte di Appello di Riom, per essere detto riconoscimento coltivato dal Presidente del consiglio di amministrazione della Sicagieb che si trovava già nello stato di liquidazione e perciò da un soggetto privo di capacità processuale, in quanto detta eccezione, oltre che di dubbia valenza in relazione alle regole del nostro ordinamento, che si limitavano a sanzionare con responsabilità personale solidale l’amministratore che agiva per la società in stato di liquidazione, si risolveva in un vizio rilevabile nel processo e ormai coperto da giudicato dopo la pronuncia in data 2 maggio 2001 della Corte di Cassazione francese; II.g. non poteva essere esaminata l’eccezione proposta, solo nella comparsa conclusionale, in relazione alla sentenza del Tribunale penale di Padova in data 24 gennaio 2002, mentre non si ravvisavano ragioni per la sospensione prevista dall’art. 38 della convenzione di Bruxelles. III. Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di cinque motivi e memoria, la società Euganea Trasporti, mentre gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione. I. Con il primo motivo la ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia – censura la sentenza impugnata per non aver rilevato quale causa ostativa all’esecutorietà della citata sentenza della Corte di Appello di Riom, ai sensi dell’art. 27 n. 3 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con l. 21 giugno 1971 n. 804, e dell’art. 64 lett. c ed f della l. 31 maggio 1995 n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal Tribunale di Milano il 26 settembre 1995 in favore della Sicagieb e nei confronti del Martini e della Pozzati, in forza della transazione conclusa tra le medesime parti con scrittura del 17 maggio 1995 – con la quale il Martini si era obbligato, in solido con la Pozzati, a pagare alla società francese, a saldo e stralcio dell’intera posizione, il credito portato dalle medesime fatture che erano state oggetto della sentenza della Corte di Appello di Riom del 1998, per l’originario importo di franchi fr. 7.858.285, 130 giurisprudenza italiana ridotto a franchi fr. 5.000.000 e successivamente a franchi fr. 4.493.330 (pari Lit. 1.419.892.280), per essere stati dedotti i pagamenti ricevuti in precedenza in conto delle fatture medesime, e la Sicagieb si era impegnata «a non agire giudizialmente sulla base delle fatture» in questione ed anzi a cedere al Martini stesso il credito dalle medesime derivante – e il successivo procedimento esecutivo promosso in danno del Martini e della Pozzati presso il Tribunale di Padova. In particolare la società Euganea Trasporti deduce che: 1.1. sia a norma dell’art. 27 n. 3 della convenzione di Bruxelles, che dell’art. 64 lett. e ed f della legge n. 218/1995, sussiste contrasto tra la sentenza della Corte di Appello di Riom n. 166/1998 e il menzionato decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano, che costituisce decisione ai sensi dell’art. 25 della stessa convenzione, in quanto, al fine di stabilire se vi sia inconciliabilità tra le due pronunce, occorre ricercare se le decisioni controverse producano effetti giuridici che si escludono reciprocamente, essendo irrilevante la diversità della causa petendi, invece valorizzata, per escludere il contrasto tra le due decisioni, dalla Corte di Appello di Venezia, la quale non ha neppure tenuto conto dell’anteriorità del procedimento introdotto in Italia dalla Sicagieb, con conseguente strumentalità del giudizio introdotto dalla stessa società in Francia; inoltre, in ordine al requisito dell’identità dei soggetti coinvolti, la nozione di parti deve necessariamente essere riferita a soggetti interessati agli stessi fatti e attinti dagli effetti contrastanti delle decisioni, perché altrimenti si ammetterebbero facili elusioni; 1.1.1. in particolare, tra le due menzionate decisioni vi sarebbe contrasto, perché le fatture per le quali è stata pronunciata condanna nella sentenza della Corte di Riom n. 166/1998 sono le medesime contemplate anche nella transazione del 1995 e quindi nel decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano che alla stessa ha dato esecuzione, con la conseguenza che, essendo unico il credito fatto valere, la Sicagieb, una volta ottenuta la condanna del Martini e della Pozzati, non aveva piú titolo per agire nei confronti della Euganea Trasporti, che doveva considerarsi loro condebitore solidale, sia pure per un diverso titolo di responsabilità, tenuto conto che la transazione giova anche ai debitori in solido, che dichiarino di volerne profittare ex art. 1304 cod. civ. – dichiarazione per la quale non è prevista una forma particolare e che può essere compiuta validamente anche da un procuratore ad litem ed essere contenuta in corso di giudizio in un atto di causa, senza termini di decadenza e requisiti di forma – e che l’adempimento di uno dei debitori in solido libera gli altri; inoltre la circostanza dell’intervenuta transazione con il Martini e la Pozzati esclude in radice la legittimazione della Sicagieb ad agire contro gli altri eventuali corresponsabili e, tenuto conto che il titolo giudiziale (decreto ingiuntivo) si è sostituito alla transazione, facendone proprio il contenuto, deve conseguentemente ravvisarsi il contrasto, anche per duplicazione del credito, tra la decisione della Corte di Appello di Riom e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano, che comunque è stato emesso prima dell’introduzione della causa in Francia avverso gli autotrasportatori. 2. Con il secondo motivo la ricorrente – denunciando violazione degli artt. 34 e 27 n. 1 della convenzione di Bruxelles e 64 lett. g della legge n. 218/1995, nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia – censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto, senza motivare al riguardo, che il riconoscimento della sentenza della Corte di Appello di Riom era contrario all’ordine pubblico dello Stato italiano, per violazione del divieto che lo stesso credito venga giurisprudenza italiana 131 richiesto e pagato due volte, e per non aver preso in esame a tale scopo anche i fatti sopravvenuti, quale il procedimento esecutivo promosso dalla Sicagieb avanti al Tribunale di Padova sulla base del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano ed avente ad oggetto il patrimonio immobiliare del Martini e della Pozzati. 3. Con il successivo motivo si prospetta la violazione degli artt. 34 e 27 n. 1 e n. 3 della convenzione di Bruxelles e 64 lett. e, f e g della legge n. 218/1995, nonché omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, e si censura la sentenza impugnata per non aver rilevato d’ufficio un’ulteriore ragione di contrarietà all’ordine pubblico dello Stato italiano del provvedimento di esecutorietà della sentenza della Corte di Appello di Riom, ragione costituita dalla decisione del Tribunale penale di Padova depositata il 24 gennaio 2002 e venuta ad esistenza nel corso del processo davanti alla Corte di Appello di Venezia e dopo la scadenza dei termini di cui agli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. Afferma in particolare la ricorrente che i fatti su cui il giudice penale italiano si è pronunciato sono gli stessi del presente giudizio e che la sentenza penale ha fornito spiegazione delle ragioni per le quali sia stato indicato ai trasportatori di consegnare il bestiame ad un soggetto diverso da quello indicato nella lettera di vettura, secondo un meccanismo collaudato quantomeno dal 1991 e tale da costituire associazione per delinquere, di cui è stato vittima, secondo la prospettiva del giudice penale italiano, lo Stato italiano. 4. Con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 36 ss. della convenzione di Bruxelles – la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibile la domanda proposta contro il Martini e la Pozzati per la loro estraneità al procedimento in Francia e per i limiti di competenza della Corte ai sensi delle richiamate norme della convenzione di Bruxelles. La società Euganea Trasporti deduce al riguardo che soltanto nel contraddittorio con il Martini e la Pozzati sarebbe possibile apprezzare l’identità delle circostanze e quindi i profili di contrasto della decisione francese con quella italiana e con l’ordine pubblico interno, mentre l’art. 36 della convenzione di Bruxelles non esclude la partecipazione al giudizio di altri soggetti e nella fattispecie la domanda di manleva proposta contro il Martini e la Pozzati costituisce la naturale conseguenza del contrasto esistente tra le due decisioni. 5. Con il quinto motivo la ricorrente – prospettando violazione degli artt. 34 e 27 n. 1 della convenzione di Bruxelles e 75 cod. proc. civ., nonché omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia – critica la decisione impugnata per non avere la Corte territoriale rilevato che la Sicagieb ha agito in giudizio senza dichiarare lo stato di liquidazione («dissolution anticipée») e in persona del Presidente del consiglio di amministrazione, anziché del liquidatore. Deduce al riguardo la società Euganea Trasporti che nell’ordinamento giuridico francese il rapporto tra liquidatore e società in liquidazione è analogo a quello che vi è tra curatore fallimentare e società fallita, nel senso che «la società fallita non esiste piú per l’ordinamento giuridico», mentre «la società in ‘‘dissolution anticipée’’ esiste soltanto per le operazioni di liquidazione e, soltanto a tale scopo, è rappresentata esclusivamente dal liquidatore che ad essa si sostituisce», con la conseguenza «che la nullità derivante dalla circostanza che la società in liquidazione non dichiari tale sua sostanziale mutazione ed agisca attraverso organi che non possono rappresentarla, è una nullità radicale e sostanziale», ex art. 117 cod. proc. civ. francese. La ricorrente afferma in particolare che il difetto di valida procura nel giudizio di opposizione al provvedi- 132 giurisprudenza italiana mento di esecutorietà della sentenza della Corte di Appello di Riom non è stato sanato dal successivo rilascio di procura da parte del liquidatore della società, in quanto il vizio attiene alla capacità processuale della parte ex art. 75 cod. proc. civ., mentre è irrilevante il giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di Riom, che il vizio suddetto non ha rilevato, trattandosi di pronuncia riguardante un «soggetto diverso da quello attualmente esistente» e quindi per quest’ultimo nulla ed inefficace, con la conseguenza che non può darsi esecuzione neIl’ordinamento italiano ad una decisione che non è eseguibile neppure nell’ordinamento dello Stato estero in cui è stata pronunciata. 6. Il ricorso è privo di fondamento. 6.1. Rileva preliminarmente il Collegio che la sentenza gravata di ricorso in questa sede di legittimità ha per oggetto, come si evince dalle conclusioni formulate dalla società attrice e dalle statuizioni assunte dalla Corte di Appello di Venezia nel provvedimento impugnato, l’opposizione proposta dalla società Euganea Trasporti, a norma dell’art. 36 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con l. 21 giugno 1971 n. 804, avverso il decreto della medesima Corte territoriale con il quale è stata apposta la formula esecutiva alla sentenza n. 166/1998 del 25 marzo 1998 della Corte di Appello di Riom, alla stregua della procedura di esecuzione in Italia delle decisioni rese da uno Stato aderente a detta convenzione. Tale procedura di esecuzione integra un procedimento di cognizione di tipo monitorio che prevede l’emissione, da parte della corte di appello, di un provvedimento inaudita altera parte, suscettibile di contraddittorio differito in caso di opposizione, e si distingue dalla procedura per la verifica giudiziale delle condizioni per il riconoscimento delle sentenze straniere prevista dagli artt. 64 e 67 della l. 31 maggio 1995 n. 218 (Cass., 20 luglio 2007 n. 16163). Ai sensi dell’art. 34 comma 2 della menzionata convenzione l’istanza per il decreto di esecutorietà della decisione resa in uno Stato contraente può essere rigettata solo per uno dei motivi contemplati negli artt. 27 e 28 della convenzione medesima, con la conseguenza che l’opposizione al decreto di esecutorietà della decisione non può che essere fondata sulla esistenza di una o piú delle cause di non riconoscimento in detti articoli menzionate mentre, a norma dell’art. 67 della legge n. 218/1995, il riconoscimento della sentenza straniera in Italia può avvenire in generale – e salve le fattispecie di cui agli artt. 65 e 66 – nei casi contemplati dall’art. 64 della stessa legge (Cass., n. 10378/2004) e il relativo giudizio non può che avere ad oggetto l’accertamento dei requisiti di riconoscimento da tale disposizione previsti. Discende da quanto precede che l’opposizione al decreto di esecutorietà della decisione resa in uno Stato aderente alla convenzione di Bruxelles, proposta a norma dell’art. 36 della convenzione medesima, non può essere fondata sulla mancanza dei requisiti di riconoscimento della sentenza straniera previsti dall’art. 64 della legge n. 218/1995, da farsi valere soltanto con la procedura di cui all’art. 67 della stessa legge, e che, per quanto riguarda il ricorso per cassazione proposto in questa sede, sono prive di fondamento le censure mosse nel primo, secondo e terzo motivo per violazione dell’art. 64 lett. e, f e g della legge n. 218/1995, ossia di norme di diritto non applicabili nel giudizio di opposizione al decreto di esecutorietà della sentenza resa da uno Stato aderente alla convenzione di Bruxelles, promosso nell’ambito della procedura di esecuzione dalla stessa convenzione prevista. giurisprudenza italiana 133 6.2. Sulla base delle considerazioni che precedono, il primo motivo del ricorso – da esaminarsi con riferimento alle residue censure per violazione degli artt. 34 e 27 n. 3 della convenzione di Bruxelles e degli artt. 1304, 1292, 1293 cod. civ., nonché per vizio della motivazione, in relazione al contrasto tra la sentenza della Corte di Appello di Riom n. 166/1998 e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano del 26 settembre 1995 – è privo di fondamento in quanto, a norma del citato art. 27 n. 3 della convenzione di Bruxelles, la decisione non può essere riconosciuta se è «in contrasto con una decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto», mentre nella fattispecie, secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dalla stessa ricorrente, le parti del processo davanti alla Corte di Appello di Riom (Sicagieb e Euganea Trasporti) e quelle del giudizio relativo al decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano (Sicagieb, Martini e Pozzati) non sono coincidenti. Al riguardo non può condividersi l’assunto della ricorrente, secondo la quale la nozione di parti deve essere necessariamente intesa, per evitare facili elusioni della norma, come riferita ai soggetti interessati agli stessi fatti e attinti dagli effetti contrastanti delle decisioni. Invero, proprio perché sono quelle che risentono degli effetti della decisione e della formazione del giudicato, le parti non possono che essere intese come i soggetti del rapporto processuale che deriva dalla proposizione della domanda e non invece, genericamente, come i soggetti che, senza aver promosso il giudizio o senza esservi intervenuti, siano portatori di interessi in ordine ai medesimi fatti che hanno costituito oggetto della domanda giudiziale. Esclusa quindi la sussistenza della ragione ostativa al riconoscimento prevista dal n. 3 dell’art. 27 della convenzione di Bruxelles, restano assorbite le ulteriori censure relative alla mancata rilevazione della solidarietà delle obbligazioni gravanti sulla Euganea Trasporti, da un lato, e sul Martini e la Pozzati dall’altro, in relazione agli effetti della transazione, che giova anche ai debitori in solido, e dell’adempimento da parte di uno degli obbligati solidali, che è liberatorio anche per gli altri obbligati solidali. 7. Il secondo motivo è infondato. Diversamente da quanto affermato dalla Euganea Trasporti, la Corte d’Appello di Venezia si è espressamente pronunciata sulla questione prospettata dalla opponente, escludendo che nella fattispecie dedotta ricorresse la lamentata situazione di duplicazione del credito, in quanto, con evidenza, erano diversi le parti, i titoli e i contenuti delle obbligazioni rispettivamente affermate a carico dell’opponente medesima nella sentenza della Corte di Appello di Riom e a carico dei coniugi Martini e Pozzati nel decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano. Le ulteriori argomentazioni critiche della ricorrente in ordine alla mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, di circostanze di fatto attinenti alla procedura esecutiva promossa dalla Sicagieb davanti al Tribunale di Padova costituiscono inammissibili censure di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale in ordine all’asserita duplicazione del credito. 8. Parimenti infondato è il terzo motivo. Come già rilevato, la procedura di esecuzione in Italia delle decisioni rese da uno Stato aderente alla convenzione di Bruxelles integra un procedimento di cognizione di tipo monitorio che prevede l’emissione, da parte della corte di appello, di un provvedimento inaudita altera parte, con contraddittorio differito alla eventuale, successiva fase di opposizione, nella quale, come nell’ordinario 134 giurisprudenza italiana processo di cognizione che si instaura con l’opposizione ad ingiunzione ex art. 645 cod. proc. civ., opposto ed opponente, nelle rispettive posizioni sostanziali di attore e convenuto, hanno la possibilità di modificare e precisare le originarie domande, eccezioni e conclusioni nei limiti consentiti dall’art. 183 cod. proc. civ. (Cass., n. 6704/1995; n. 16163/2007). Tuttavia nella specie è la stessa ricorrente ad affermare che la sentenza del Tribunale penale di Padova depositata il 24 gennaio 2002, dalla quale il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto trarre elementi di contrarietà all’ordine pubblico del richiesto riconoscimento della sentenza francese (elementi peraltro non definitivi, in quanto non risulta in atti che la pronuncia fosse passata in giudicato), è stata pronunciata nel corso del processo davanti alla Corte di Appello di Venezia e dopo la scadenza dei termini previsti dagli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. 9. Privo di fondamento è anche il quarto motivo, atteso che la domanda di manleva proposta dalla società opponente nei confronti del Martini e della Pozzati è estranea all’oggetto del giudizio di opposizione al decreto di esecutorietà della sentenza straniera, come delineato dalla procedura prevista dalla convenzione di Bruxelles e riguardante soltanto il sindacato sulla sussistenza dei requisiti per la pronuncia di delibazione per i motivi contemplati dagli artt. 27 e 28 della stessa convenzione (artt. 34 e 36 legge n. 804/1971). 10. Va rigettato infine anche il quinto motivo di ricorso. 10.1. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il difetto di valida procura nel giudizio di opposizione al provvedimento di esecutorietà della sentenza della Corte di Appello di Riom è stato sanato, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, dal successivo rilascio di procura da parte del liquidatore della società. Trova infatti applicazione nella specie il principio, già affermato da questa Corte e condiviso dal Collegio secondo cui, qualora la società in liquidazione promuova il giudizio per mezzo del precedente amministratore, ormai privo di poteri rappresentativi, il vizio che ne consegue concerne la capacità processuale della medesima società, in quanto relativo alla titolarità del potere di proporre la domanda e non alla legittimazione ad agire (ossia al prospettarsi come titolare del diritto azionato) e, pertanto, ad un difetto di legittimazione processuale. Tale vizio può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della spontanea costituzione del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, ossia il liquidatore, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator, e la sanatoria non può essere impedita dalla previsione dell’art. 182 cod. proc. civ., secondo cui sono fatte salve le decadenze già verificatesi, perché questo limite attiene alle decadenze sostanziali (sancite cioè per l’esercizio del diritto e dell’azione: art. 2964 ss. cod. civ.) e non a quelle che si esauriscono nel processo (Cass., n. 21811/2006; n. 15304/2007). 10.1.1. Restano inoltre coperti dal giudicato, come già osservato nella sentenza impugnata, gli asseriti vizi concernenti il processo svoltosi davanti alla Corte di Appello di Riom e in quella sede non rilevati per avere la Sicagieb agito in giudizio senza dichiarare lo stato di liquidazione e in persona del Presidente del consiglio di amministrazione, anziché del liquidatore. Non può neppure condividersi l’assunto della Euganea Trasporti, secondo cui la richiamata sentenza francese, pronunciata nei confronti della società Sicagieb, riguarderebbe un soggetto diverso da quello attualmente esistente (Sicagieb in giurisprudenza italiana 135 liquidazione), atteso che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, la società francese in «dissolution anticipée» continua ad esistere per le operazioni di liquidazione, secondo il principio, vigente anche nel nostro ordinamento, per il quale dopo la messa in liquidazione la società sopravvive come soggetto collettivo, anche se all’unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale (Cass., n. 11393/ 1997; n. 1037/1999; n. 741/2004). 11. Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. P.Q.M., la Corte rigetta il ricorso. Corte di Cassazione, sentenza 22 maggio 2008 n. 13228 Presidente, Schettino - Consigliere ReI., Goldoni - P.M., Scardaccione (concl. parz. diff.) Tomoana Pelt Processors Ltd (avv. Verticchio, Rocchi) contro Conceria pellami GASM dei F.lli Luciano s.n.c. (avv. F. De Dominicis, G. De Dominicis). La procura speciale conferita all’estero al rappresentante legale e sottoscritta in un luogo diverso da quello in cui la sottoscrizione sia stata autenticata non è idonea a conferire la rappresentanza della parte; ai sensi dell’art. 2703 cod civ., applicabile a titolo di lex fori, è necessario infatti che dall’autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione è stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l’identità del sottoscrittore, anche se poi tale autenticazione non è redatta nello stesso giorno in cui è avvenuta la sottoscrizione, ma successivamente. 1* Svolgimento del processo. Di fronte a questa Corte è stato proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova, in data 3 luglio-5 agosto 2003, con cui, in completa riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, emessa nel procedimento promosso da Tomoana Pelts Processors Ltd nei confronti della s.n.c. Conceria pellami GASM e volto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del comportamento della convenuta, che non aveva provveduto al pagamento di merce acquistata, era stata sancita l’inesistenza della procura conferita dall’attrice e la nullità dell’attività svolta dal procuratore in base ad essa. Aveva ritenuto la Corte ligure che nel caso di specie, il testo dell’atto in questione era chiaramente e testualmente conformato quale procura speciale, ovvero conferita per tutti gli affari e le controversie relative ad un’unica controparte e che * L’ordinanza della Corte di Cassazione, 5 maggio 2006 n. 10312, citata in motivazione, è pubblicata in questa Rivista, 2006, p. 1076 ss. 136 giurisprudenza italiana quindi la mancata indicazione della medesima non poteva modificare la natura dell’atto, facendolo assurgere a procura generale. Il ricorso, basato su di un solo motivo, è stato proposto da Tomoana Pelts Processors Ltd; resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, la s.n.c. Conceria Pellami GASM. Motivi della decisione. Preliminarmente ed ai fini di esaminare l’ammissibilità del presente ricorso, occorre valutare la procura sulla cui base lo stesso è stato proposto; poiché nella stessa si invoca la procura del 19 ottobre 1998, in forza della quale l’avv. Enrico Bonavera ha conferito procura speciale ai designati difensori a rappresentare nel presente giudizio per cassazione la Tomoana Pelt Processors Ltd, va verificato se trattandosi di procura conferita in Nuova Zelanda, la stessa sia utile al fine e corretta. Le Sezioni Unite di questa Corte (ord. n. 10312 del 2006) hanno recentemente affermato al riguardo che a norma dell’art. 2703 cod. civ., l’autenticazione consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l’identità della persona che sottoscrive. Va tuttavia rilevato che, per quanto la norma di diritto sostanziale suddetta regoli anche l’ipotesi dell’autenticazione della scrittura privata, con cui si sia rilasciata procura a norma dell’art. 83 cod. proc. civ., essa da una parte non richiede che l’autenticazione sia effettuata contestualmente o nella stessa data in cui avviene la sottoscrizione della scrittura privata e, dall’altro, non è necessario l’uso di formule sacramentali o di rito. Ciò tanto piú nei casi in cui l’autenticazione sia stata effettuata da notaio straniero. Quello che è necessario, per il rispetto del precetto della lex fori italiana, è che dall’autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione è stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l’identità del sottoscrittore, anche se poi tale autenticazione non è redatta nello stesso giorno in cui è avvenuta la sottoscrizione, ma successivamente. Questa Corte ha piena facoltà di esaminare la procura in esame, atteso che investe il profilo processuale della validità della procura speciale con cui si è conferito il mandato a proporre il presente ricorso; orbene, dalla stessa emerge in modo inequivoco che il rappresentante legale della Tomoana Pelts Processors Ltd ha sottoscritto la procura in Hastings, mentre il notaio ha redatto l’autenticazione in Havelock, cosa questa che comporta che la sottoscrizione non è stata apposta in presenza del pubblico ufficiale. In applicazione dei suesposti e condivisi principi, la procura de qua non è quindi idonea a conferire all’avv. Bonavera la rappresentanza della parte che ha proposto il presente ricorso, cosa questa che ineludibilmente comporta l’inammissibilità dello stesso. Tale constatazione comporta la conseguente pronuncia di inammissibilità del ricorso stesso. Considerata la peculiare natura della questione esaminata, e che ovviamente assorbe i profili di doglianza in cui è articolato l’unico motivo di ricorso, si ritiene di compensare integralmente tra le parti le spese inerenti al presente procedimento per cassazione. P.Q.M., la Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese. giurisprudenza italiana 137 Corte di Cassazione, sentenza 23 maggio 2008 n. 13425 Presidente, Morelli - Consigliere Rel., Pettiti - P.M., Schiavon (concl. diff.) Markische Viskose GmbH (avv. Cardi, Franzosi, Santonocito, Jandoli) contro MTM - Manifattura Tessuti Milano s.p.a. (avv. d’Angelantonio, Antongiovanni). In tema di riconoscimento di una sentenza resa in un altro Stato membro, l’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 impone al giudice richiesto di accertare se l’atto introduttivo del giudizio sia stato notificato o comunicato al convenuto in tempo utile perché questo potesse predisporre le sue difese nel rispetto delle norme processuali dello Stato in cui si è svolto il processo e soddisfi i principi fondamentali dell’ordinamento, in modo tale da non ledere i diritti essenziali della difesa, primo tra tutti quello al contraddittorio. La notifica effettuata in base alle norme dello Stato in cui il convenuto, persona giuridica, ha la propria sede e non in forza di quelle dello Stato in cui ha avuto luogo il procedimento è in contrasto con l’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001. 1* Svolgimento del processo. Con decreto in data 10 dicembre 2002, la Corte d’Appello di Milano, verificata la sussistenza dei requisiti indicati dal regolamento (CE) n. 44/2001, dichiarava esecutiva in Italia la sentenza pronunciata il 31 maggio 2002 dal Tribunale di Postdam (Germania), con la quale la contumace società italiana MTM era stata condannata al pagamento, in favore dalla tedesca Markische Viskose, in amministrazione controllata, della somma di euro 214.396,96 oltre accessori e spese. La MTM, ricevuta notifica di questa decisione, proponeva rituale opposizione dinanzi alla stessa Corte d’Appello, sostenendo di non aver mai ricevuto la notifica dell’atto di citazione introduttiva del giudizio tedesco, conclusosi in sua contumacia, e di avere comunque, già alla data dell’asserita notifica, preventivamente adito sulla medesima vicenda il Tribunale di Milano. Si costituiva l’opposta, sostenendo, per un verso, la regolarità della notifica avvenuta a mezzo posta in data 16 novembre 2001 e, per altro verso, la irrilevanza della pendenza della lite italiana, destinata alla improcedibilità per essere già passata in giudicato la sentenza tedesca. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza in data 16 gennaio 2004, revocava la dichiarazione di esecutività in Italia della sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Postdam in data 31 maggio 2002, compensando tra le parti le spese processuali. Premesso che, ai sensi degli artt. 34 e 45 del regolamento (CE) n. 44/2001, una decisione emessa in uno Stato membro non può essere riconosciuta negli altri Stati – tra l’altro – quando la domanda giudiziale che l’ha introdotta non sia stata notificata al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da consentire la difesa, e premesso altresı́ che la verifica sulla esistenza e validità dalla notifica compete al giudice dello Stato nel quale viene richiesto il riconoscimento, la Corte * Tra le sentenze della Corte di Cassazione citate in motivazione sono riprodotte in questa Rivista: 29 novembre 1999 n. 13315, ivi, 2001, p. 162 ss. (breve); 25 luglio 2006 n. 16978, ivi, 2007, p. 432 ss. 138 giurisprudenza italiana d’Appello rilevava che la notifica datata 16 novembre 2001 della citazione introduttiva dinnanzi al Tribunale di Postdam risultava avvenuta in un indirizzo di Rho dove la MTM non aveva piú la sua sede legale, da mesi trasferita a Gandino. Peraltro, anche ammesso che la MTM avesse conservato in Rho la sua sede effettiva, la notifica ivi effettuata non poteva ritenersi valida. La citazione e la ricevuta di ritorno risultavano infatti indirizzate in Rho alla «Manifattura Tessuti Milano s.p.a., dr. Giuseppe Ranghino»; questi non era, alla data del 16 novembre, legale rappresentante dalla società, ma solo un suo procuratore; la firma del destinatario apposta sulla ricevuta era totalmente illeggibile; mancava nell’avviso di ricevimento qualsiasi indicazione sulla identità del sottoscrittore, sulla sua qualità e sul suo rapporto con la società destinataria. Pertanto, escluso che la sottoscrizione apposta sulla ricevuta di ritorno fosse quella del Ranghino e non potendosi da essa presumersi una qualsiasi identità o qualità, non poteva condividersi l’opinione della opposta secondo cui, in mancanza di disconoscimento ex art. 215 cod. proc. civ., la sottoscrizione in calce alla ricevuta di ritorno avrebbe dovuto considerassi riconosciuta come la firma del legale rappresentante di MTM o di un soggetto autorizzato a ricevere le notificazioni: l’onere di disconoscimento, invero, vale solo nei riguardi di sottoscrizioni almeno apparentemente riconducibili ad uno specifico autore; il che, nella specie, doveva escludersi. La radicale incertezza sul soggetto che aveva ricevuto la notificazione costituiva ad un tempo causa e prova della nullità della stessa. Per la cassazione di questa sentenza ricorre Markische Viskose GmbH sulla base di quattro motivi; resiste, con controricorso, MTM - Manifattura Tessuti Milano s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dall’art. 34 del regolamento (CE) n. 44/2001; omessa motivazione su punto decisivo e mancata considerazione della parte della norma che ne esclude l’applicazione in caso di omessa impugnazione. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe letto integralmente il testo dell’art. 34 n. 2 del citato regolamento, il quale dispone che una decisione emessa in uno Stato membro non possa essere riconosciuta negli altri Stati quando «la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stata notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile ed in modo tale da poter presentare le proprie difese, eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione». Secondo tale disposizione, sostiene la ricorrente, la notificazione dell’atto introduttivo non sarebbe sempre rilevante; anzi, in alcuni casi essa sarebbe del tutto irrilevante. Si tratta, in particolare, del caso in cui il convenuto contumace abbia avuto la possibilità di impugnare la decisione straniera e non lo abbia fatto. Nel caso di specie, certamente la sentenza oggetto della richiesta di dichiarazione di efficacia era una sentenza contumaciale e tuttavia la Corte d’Appello ha completamente omesso di verificare se la società convenuta abbia o meno avuto la possibilità di impugnare la sentenza straniera. La sentenza tedesca infatti è stata notificata il 18 giugno 2002 a MTM ed è passata in giudicato il 9 agosto 2002, come risulta dall’attestazione apposta a margine della sentenza dal cancelliere, che presuppone l’avvenuta notificazione dalla sentenza stessa. E MTM non ha proposto impugnazione avverso tale sentenza; né MTM ha chiesto di essere rimessa in termini per proporre l’impugnazione a seguito dalla notifica della richiesta di exequatur din- giurisprudenza italiana 139 nanzi alla Corte d’Appello di Milano. Ed anche sul punto la sentenza impugnata non contiene alcun accertamento, con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare l’opposizione, per non avere la MTM proposto impugnazione avverso la sentenza straniera contumaciale, pur avendone avuto la possibilità. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce nuovamente violazione e/o falsa applicazione dall’art. 34 del regolamento (CE) n. 44/2001; omessa motivazione su punto decisivo, e lamenta altresı́ che la Corte d’Appello abbia applicato la legge italiana in luogo del regolamento comunitario al fine della valutazione della notificazione. Premesso che l’art. 34 del regolamento reca una formulazione meno rigorosa di quella contenuta nell’art. 27 n. 2 della convenzione di Bruxelles del 1968, nel senso che, mentre questa convenzione prevedeva che l’atto fosse notificato al convenuto contumace «regolarmente», l’art. 34 n. 2 non contiene piú tale precisazione, e premesso che questa modificazione deve essere letta nell’ottica della massima semplificazione affermata dal considerando n. 2 del regolamento n. 44/2001, deve ritenersi che la verifica delle condizioni per il riconoscimento della sentenza emessa in uno Stato membro negli altri Stati membri debba essere condotta alla stregua della normativa comunitaria e non già di quella nazionale. La Corte d’Appello non si sarebbe attenuta a questa indicazione, tanto è vero che ha ritenuto la nullità della notificazione dell’atto introduttivo alla luce di principi enunciati dalla Corte di Cassazione omettendo invece di verificare se la notificazione fosse stata fatta «in tempo utile ed in modo tale da presentare le proprie difese», come prescritto dalla norma comunitaria. Con il terzo motivo, la Markische Viskose GmbH denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 145 cod. proc. civ., 46 cod. civ., 112 cod. proc. civ., 2907 cod. civ., 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., in relazione alla regole civilistiche e processualistiche in astratto applicabili all’accertamento della regolarità della notificazione. Premesso che nell’ordinamento italiano il principio in tema di notificazione alle persone giuridiche è quello per cui la notificazione deve presumersi validamente effettuata quando l’atto da notificarsi sia stato ricevuto da una persona che si trovi presso la sede (legale o effettiva) della persona giuridica medesima, la ricorrente rileva che, nel caso di specie, la notificazione, secondo quanto risultava dall’avviso di ricevimento, era stata effettuata presso la sede effettiva di MTM, il che doveva far presumere che l’atto fosse stato ricevuto da una persona addetta da MTM alla ricezione degli atti, con la conseguenza che la notifica doveva ritenersi regolarmente eseguita. La Corte d’Appello ha invece omesso di applicare quel principio cosı́ violando gli artt. 145 cod. proc. civ. e 46 cod. civ.; e ciò tanto piú in quanto l’onere di provare la invalidità dalla notificazione incombe su colui che la eccepisce e che MTM non aveva fornito alcuna prova volta a dimostrare che chi aveva ricevuto la notificazione non aveva ricevuto alcun incarico da MTM ovvero che la firma apposta sulla cartolina era diversa dalla firma di tutti gli addetti alla propria sede. In sostanza, osserva la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare l’eccezione di MTM, la quale si era limitata a sostenere che la notificazione era avvenuta al di fuori della propria sede, e invece ha affermato che MTM non aveva alcun onere di disconoscere la sottoscrizione in quanto non attribuibile ad alcuna persona specifica. In tal modo, peraltro, la Corte ha pronunciato in violazione dei principi del chiesto e pronunciato, della domanda, dell’onere della prova e del principio dispositivo, giacché ha preso in considerazione un fatto impeditivo (illeggibilità della sottoscrizione) non prospettato da MTM. 140 giurisprudenza italiana Con il quarto motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione alle regole in concreto applicate in ordine all’accertamento della regolarità della notificazione. La Corte d’Appello non avrebbe spiegato in modo esauriente le ragioni per le quali la notificazione presso la sede effettiva non dovesse far presumere che il soggetto che aveva ricevuto l’atto fosse un soggetto addetto alla ricezione da parte di MTM e per le quali il mancato ottemperamento all’onere della prova non abbia prodotto il rigetto della domanda. La motivazione sarebbe insufficiente anche là dove si afferma che MTM non avrebbe dovuto disconoscere la firma in quanto non attribuibile ad uno specifico autore, giacché tale firma avrebbe dovuto essere attribuita ad un addetto alla ricezione atti per conto di MTM. Infine, mentre MTM ha affermato che la notificazione non sarebbe stata regolare perché effettuata in luogo diverso dalla società, contraddittoriamente la Corte, pur avendo accertato che la notificazione è avvenuta presso la sede effettiva della società, non ha disatteso l’eccezione di MTM, e la ha invece accolta per ragioni diverse da quelle prospettate. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. L’art. 34 del regolamento (CE) n. 44/2001 prevede che «Le decisioni non sono riconosciute: ...b) se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione». La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello non abbia letto tale disposizione nella sua interezza e non abbia quindi ritenuto che nel caso di specie si era verificata la situazione derogatoria di cui all’ultima parte; e ciò sul presupposto che la società resistente, pur avendo avuto la possibilità di impugnare la decisione emessa dal Tribunale tedesco oggetto dalla richiesta di dichiarazione di esecutività nell’ordinamento italiano, non lo abbia fatto. Una simile questione, peraltro, come si desume dalla stessa formulazione del motivo, lungi dal risolversi nella mera interpretazione della norma comunitaria, della quale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, postula accertamenti di fatto relativi alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della eccezione invocata con il primo motivo di ricorso. Ma, né dalla sentenza impugnata, né dal ricorso emerge che la questione della sussistenza dalle condizioni di fatto per l’applicazione dell’art. 34 n. 2, ultima parte del regolamento (CE) n. 44/2001 sia stata trattata dinnanzi alla Corte d’Appello di Milano. Dalla lettura degli atti, consentita in considerazione della natura dalla questione proposta, risulta che l’opposizione al decreto con il quale era stata dichiarata esecutiva la sentenza emessa dal Tribunale di Postdam era stata proposta dalla MTM assumendo: a) di non avere mai ricevuto notifica dell’atto introduttivo del procedimento conclusosi con detta sentenza; b) che era già stato instaurato in Italia un giudizio avente il medesimo oggetto; c) che il giudice tedesco era privo di competenza giurisdizionale. Risulta altresı́ che, a fronte di tali motivi di opposizione, la attuale ricorrente, per quanto qui rileva, si è limitata a contestare la asserita mancanza della notificazione dell’atto introduttivo. Nessun riferimento è invece contenuto alla non contestabilità del difetto di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio svoltosi dinnanzi al giudice tedesco per effetto della preclusione derivante dalla disposizione di cui all’art. 34 n. 2, ultima parte (eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione). Il motivo di ricorso in esame si rivela allora inammissibile stante la sua novità. giurisprudenza italiana 141 Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso. L’art. 34 n. 2 lett. b del regolamento (CE) n. 44/2001, come si desume dal suo tenore letterale, non detta prescrizioni specifiche in tema di notificazioni dell’atto introduttivo del giudizio definito con la sentenza della quale si chiede il riconoscimento in uno Stato membro diverso da quello nel quale la sentenza è stata emessa. Costituisce, peraltro, principio generale del diritto internazionale privato – del quale sono espressione l’art. 12 e l’art. 64 comma 1 lett. b l. 31 maggio 1995 n. 218 – quello per il quale le regole di instaurazione di un processo civile sono quelle stabilite dalla legge dello Stato nel quale il processo si svolge. L’art. 12 citato, infatti, dispone che «il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana»; l’art. 64 comma 1 lett. b, a sua volta, stabilisce che «la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: ...b) l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo ove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa». Nel fare applicazione di quest’ultima disposizione, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio per cui «in tema di riconoscimento di sentenze straniere, la l. 31 maggio 1995 n. 218, art. 64 comma 1 lett. b, prevede un duplice requisito: a) che l’atto introduttivo del giudizio sia portato a conoscenza del convenuto «in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo; b) che nell’ambito del processo svoltosi dinanzi al giudice straniero non siano stati violati i diritti essenziali della difesa. Entrambi i requisiti devono concorrere (l’indagine relativa al primo di essi riguardando un controllo di legittimità in ordine al puntuale rispetto della legge straniera in tema di notificazioni, l’indagine relativa al secondo coinvolgendo un controllo di regolarità dell’intero processo alla stregua dei principi di ordine pubblico sanciti dall’ordinamento interno a salvaguardia del contraddittorio e dal diritto di difesa in ambito processuale), di tal che la verifica relativa alla sussistenza dall’uno dei due requisiti non assorbe quella attinente alla sussistenza dell’altro» (Cass., n. 13663/2004; Cass., n. 16978/2006). Nella sentenza n. 16978 del 2006, questa Corte ha altresı́ precisato, proprio con riferimento alla questione della validità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio definito con la sentenza della quale si chiede il riconoscimento in Italia, che il rispetto del principio del contraddittorio deve essere verificato alla luce dei principi di ordine pubblico internazionale che soli rilevano in sede di riconoscimento della sentenza straniera. Tali principi, si è ulteriormente chiarito, non s’identificano con il rispetto delle norme di diritto interno dello Stato italiano in quanto i criteri da queste previsti non devono essere necessariamente applicati perché venga rispettato il principio del contraddittorio, come si evince dalla disciplina prevista dalle convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito. Cosı́, ad esempio, la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 prevede all’art. 27 n. 2 che le decisioni di un giudice straniero di un Paese aderente alla convenzione non possano essere riconosciute «se la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace regolarmente ed in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese», senza peraltro precisare quali formalità debbano essere rispettate per ritenere ritualmente instaurato il contraddittorio. Negli stessi termini, si è osservato, si esprime la convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, e questa Corte ha ritenuto che, in tema di delibazione di sentenza 142 giurisprudenza italiana straniera, non può considerarsi contraria all’ordine pubblico italiano la sentenza che sia stata pronunciata in un ordinamento straniero, il quale, agli effetti della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio a mezzo di plico raccomandato, non richieda, per il perfezionamento della notificazione, la prova della effettiva ricezione dell’atto, ma solo della spedizione del plico, poiché anche nell’ordinamento italiano talvolta sono ritenute sufficienti formalità che non assicurano la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, ma solo la sua conoscibilità secondo la media diligenza, come nelle ipotesi dagli artt. 139, terzo e quarto comma, 142, 143 e 327 comma 1 cod. proc. civ.; principio enunciato in un caso in cui trovava applicazione l’art. 797 n. 7 cod. proc. civ. (Cass., n. 13315/1999). Orbene, da quanto sin qui rilevato emerge con chiarezza che la Corte d’Appello, in sede di riconoscimento ex art. 34 dal regolamento (CE) n. 44/2001 deve accertare se le modalità di notificazione o comunicazione dell’atto introduttivo del giudizio siano rispettose dalla legge del luogo nel quale il processo si è svolto. In particolare, nell’effettuare tale indagine i giudici d’appello non possono applicare pedissequamente i principi in tema di notificazione dettati dalla legge italiana, dovendo anzi verificare se la comunicazione o notificazione dell’atto introduttivo rispetti le regole previste dal diritto straniero e soddisfi i principi fondamentali dell’ordinamento, in modo tale da non ledere i diritti essenziali dalla difesa, primo tra tutti quello al contraddittorio. Nel quadro di questi principi, il motivo di ricorso in esame risulta fondato. La Corte d’Appello di Milano, infatti, dopo aver richiamato l’art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001, ha affermato che la verifica circa l’avvenuta notifica al convenuto della domanda giudiziale proposta dinnanzi al Tribunale tedesco in tempo utile e in modo tale da consentire la difesa, «compete – per l’espressa richiamata previsione regolamentare – al giudice dello Stato in cui viene chiesto il riconoscimento». Sulla base di tale rilievo, la Corte d’Appello ha quindi disatteso l’assunto della società opposta, secondo cui sarebbe assorbente la verifica della regolarità della notificazione ritenuta nella sentenza oggetto di riconoscimento, con la dichiarazione di contumacia da parte del giudice straniero, osservando, in proposito, che «la norma del regolamento – che vuole avere funzione di garanzia per lo Stato dell’esecuzione e per il condannato – sarebbe altrimenti normalmente inutile, posto che la valida instaurazione del contraddittorio costituisce in ambito comunitario presupposto, almeno implicito, di qualsiasi sentenza». Orbene, se è incontestabile il rilievo che la norma regolamentare postula l’accertamento, da parte del giudice dallo Stato richiesto del riconoscimento di una sentenza straniera, dell’esistenza della notificazione della domanda giudiziale al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, risulta peraltro evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’Appello, la quale ha condotto la verifica della validità della notificazione ad una persona giuridica avente sede in Italia dell’atto introduttivo di un giudizio svoltosi in Germania alla stregua della normativa nazionale in tema di notifica alle persone giuridiche e dei principi in proposito enunciati da questa Corte, anziché alla luce della normativa dello Stato nel quale il processo si è svolto. La Corte d’Appello di Milano si è in tal modo posta in contrasto con i principi enunciati da questa Corte prima ricordati. Il secondo motivo di ricorso che censura la sentenza impugnata per tale ragione deve essere quindi accolto, con assorbimento degli ulteriori motivi che censurano il giurisprudenza italiana 143 concreto apprezzamento della Corte d’Appello circa la invalidità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio svoltosi dinnanzi al Tribunale tedesco alla luce della normativa italiana. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, la quale, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della opposizione al decreto di dichiarazione di esecutività della sentenza emessa dal Tribunale di Postdam emesso dalla medesima Corte d’Appello in data 10 dicembre 2002, verificando la validità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio conclusosi con detta sentenza alla luce del diritto dello Stato del luogo di svolgimento del processo. Al giudice dal rinvio è demandata altresı́ la regolamentazione delle spese dal giudizio di legittimità. P.Q.M., la Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione. Corte di Cassazione, sentenza 7 luglio 2008 n. 18614 Presidente, Luccioli - Consigliere Rel., Genovese - P.M., Sorrentino (concl. conf.) C.A. (avv. Giuliano) contro K.L.K. (avv. Barletta Caldarera). L’art. 16 della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale di minori vieta alle autorità amministrative o giudiziarie dello Stato nel quale il minore è stato trasferito o trattenuto di deliberare in merito all’affidamento; perciò la proposizione di domande relative ai rapporti coniugali o alla potestà genitoriale non hanno nessun rilievo ai fini della decisione del rientro del minore. Ai sensi dell’art. 17 della convenzione dell’Aja del 1980 il provvedimento emesso in violazione dell’art. 16 dal giudice nazionale, ignaro dell’illecito trattenimento, non costituisce motivo legittimo di rifiuto del rientro del minore presso la sua residenza abituale. La nozione di residenza abituale posta a fondamento della convenzione dell’Aja del 1980 va intesa come una situazione di fatto, ovverosia il luogo in cui il minore, in virtú di una stabile e duratura permanenza, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali. Svolgimento del processo. 1. A seguito dell’istanza inoltrata dalla signora K.L.K., nata in Anaheim (USA), all’Autorità centrale convenzionale presso il Dipartimento della giustizia minorile, madre dei due minori E.J.A. (2002) e N.M.A. (2004), il P.M. ricorreva, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 64 del 1994, davanti al Tribunale per i minorenni di Catania chiedendo l’accoglimento dell’istanza della genitrice. Il Tribunale, sentite le due parti, costituite in giudizio, ed il P.M., ha ordinato 144 giurisprudenza italiana l’immediato rientro dei minori presso la loro residenza abituale, individuata nella città di Albany (California - USA). 2. Il Tribunale, in particolare, premesso che la disciplina applicabile al caso era quella prevista dalla convenzione dell’Aja aperta alla firma il 25 ottobre 1980 (d’ora in avanti semplicemente la convenzione), sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall’Italia con la legge n. 64 del 1994, accertava che i minori, prima del trasferimento oggetto del ricorso, risiedevano abitualmente in California, dove i genitori lavoravano e dove avevano frequentato la scuola, dal novembre 2005 al maggio 2007, e dove avrebbero dovuto far rientro a luglio, dopo un viaggio in Italia, compiuto assieme al padre. 2.1. Concludeva che, nella specie, il diritto all’affidamento e alla custodia dei figli, spettante anche alla madre in base all’art. 3010 del codice della famiglia della California, diritto non contestato anche in ragione del suo effettivo esercizio, era stato leso a causa del trasferimento dei due minori eseguito dal padre, il quale – senza il suo consenso – non li aveva piú riportati presso la casa coniugale, come si è detto, posta nella città di Albany (California - USA). 2.2. Escludeva che, nella specie, potesse ravvisarsi una situazione di pericolo fisio-psichico per i due minori, a causa ed in ragione dei comportamenti della madre, cosı́ come narrati dal padre e come riscontrati dai servizi sociali e psicologici, tali da costituire una ragione ostativa ed un impedimento all’immediato rientro dei minori, ai sensi dell’art. 13 della convenzione. Tali fatti, il cui onere probatorio era posto a carico del padre-resistente, non sarebbero stati provati, quantomeno in una misura di gravità necessaria ad impedire il loro rientro in USA, Paese dal quale, invece, sarebbero pervenuti attestati elementi contrari a quelli offerti dal resistente. 3. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione il signor C.A., padre dei minori, con ricorso affidato a cinque mezzi, ciascuno concluso con la formulazione di un quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., contro cui resiste la signora, K.L.K., madre dei minori, con controricorso. Motivi della decisione. 1.1. Con il primo motivo di ricorso, il signor A., premesso che: a) la domanda di riconsegna dei figli minori era stata proposta solo dopo che era stata introdotta, da parte sua, altra domanda, riguardante la limitazione della potestà genitoriale, ai sensi dell’art. 330 cod. civ., nei confronti del coniuge e b) il Tribunale per i minorenni aveva emesso, in tale procedimento, altro decreto con cui disponeva il divieto per la signora K. di portare con sé i figli; ha sostenuto che tale procedimento (con le relative implicazioni in ordine alla spettanza della potestà genitoriale) avesse priorità logica rispetto a quello relativo alla presunta sottrazione dei minori. Il ricorrente, perciò, pone il seguente quesito di diritto: «se, in pendenza di procedura concernente la limitazione della potestà genitoriale, ai sensi dell’art. 330 cod. civ., nell’ambito della quale è stato adottato provvedimento provvisorio e urgente che ha fatto divieto alla madre di lasciare il territorio italiano con i figli, sia consentito disporre la riconsegna degli stessi minori, con decreto adottato in altra procedura relativa alla sottrazione internazionale di minori, posto che il provvedimento limitativo della potestà genitoriale, sia pure provvisorio e urgente, essendo emanato a tutela dei minori ha natura e contenuto prevalenti rispetto a quello adottato in sede di procedura di sottrazione, il cui oggetto consiste in una mera tutela del diritto di affidamento». giurisprudenza italiana 145 1.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, premesso che la residenza abituale dei minori non era stata correttamente esaminata ed approfondita e che il Tribunale avrebbe ben definito solo in teoria la nozione di residenza, mentre in concreto ne avrebbe fatto applicazione non adeguata, pone il seguente quesito di diritto: «se sia viziato, sul piano logico e adottato in contrasto alla legge, il provvedimento che nel ricercare la residenza dei minori destinatari di provvedimenti di restituzione obbligatoria ex art. 12 della convenzione dell’Aja del 1980, premessa una astratta corretta definizione di residenza, ometta di svolgere un puntuale accertamento circa l’effettiva collocazione del centro degli interessi dei minori, e utilizzi invece, quali criteri di riferimento, i comportamenti e gli atti dei genitori, di per sé non sufficienti e non idonei a localizzare il richiamato ‘‘centro di interessi’’, dal punto di vista dei minori». 1.3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente pone il seguente quesito di diritto: «se sia del pari viziato sul piano logico e adottato in contrasto alla legge, il provvedimento che nell’ordinare il ritorno del minore ai sensi dell’art. 12 della convenzione dell’Aja del 1980, non tenga conto del criterio derogativo previsto dal successivo art. 13 lett. a della convenzione stessa». 1.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente, premesso che il Tribunale per i minorenni aveva emanato un decreto in data 19 luglio 2007 con il quale faceva divieto alla signora K. di espatriare con i minori, provvedimento revocato – per ragioni di giurisdizione – solo con altro provvedimento depositato il 16 novembre 2007, pone il seguente quesito di diritto: «se si configuri l’ipotesi di sottrazione internazionale di minore quando un genitore ha condotto con sé i figli con il consenso dell’altro genitore e, successivamente, omette di ricondurli indietro, essendo intervenuto un provvedimento del giudice italiano che fa divieto di espatrio dei bambini». 1.5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente, premesso che dalla documentazione allegata nel corso del giudizio sarebbe emerso che vi erano motivi validi per limitare la potestà materna, pone il seguente quesito di diritto: «se quando si temono rischi per l’equilibrio psico-fisico di minori ritenuti meritevoli di provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, il giudice debba svolgere ogni accertamento necessario atto a fugare il timore che tali rischi sussistano, soprattutto a fronte di relazioni tecniche che li hanno prospettati; una mera dichiarazione di non condivisione equivalendo a difetto di motivazione e costituendo violazione dell’art. 13 lett. b della convenzione dell’Aja del 1980, che impone una attenta valutazione dei pregiudizi che i minori possono subire in conseguenza dell’ordine di riconsegna». 2. Il ricorso, che è infondato, deve essere respinto in ogni doglianza. 3. Innanzitutto, nella prima. 3.1. La convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, resa esecutiva con legge n. 64 del 1994, facendo esclusivo riferimento alla situazione di mero fatto, è diretta a proteggere il minore da un trasferimento o mancato rientro «illecito», dalla o nella sua residenza abituale (art. 3), e a impedire che tali situazioni producano effetti dannosi per la sua personalità in formazione. Ciò sulla base della presunzione secondo cui l’interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana (per tutte, da ultima, Cass. n. 17648/2007). 3.2. Nessun rilievo, rispetto alla situazione di fatto oggetto della tutela e del- 146 giurisprudenza italiana l’accertamento ai fini applicativi della convenzione può avere la proposizione di domande o l’introduzione di altri procedimenti tesi a definire i rapporti coniugali e l’assetto della potestà genitoriale sui figli, davanti al giudice di uno dei due Paesi di origine dei genitori (nella specie, quelle del padre, l’Italia), per la limitazione della potestà dell’altro di essi (nella specie, la potestà della madre, ai sensi dell’art. 330 cod. civ.). 3.3. Infatti, l’art. 16 della convenzione, diretto precipuamente alle autorità giudiziarie e amministrative nazionali, stabilisce che «dopo aver ricevuto notizia di un trasferimento illecito di un minore o del suo mancato ritorno ai sensi dell’art. 3, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non potranno deliberare per quanto riguarda il merito dei diritti di affidamento, fino a quando non sia stabilito che le condizioni della presente convenzione, relativa al ritorno del minore sono soddisfatte, a meno che non venga presentata una istanza, in applicazione della presente convenzione, entro un periodo di tempo ragionevole a seguito della ricezione della notizia». In sostanza, tale previsione dispone una sorta di «blocco» delle deliberazioni nei procedimenti civili e amministrativi, eventualmente intrapresi da uno dei due genitori, per influire – tramite la formazione di una nuova situazione giuridica – sulle decisioni giudiziarie relative ai trasferimenti o trattenimenti illeciti di minori, ai sensi delle previsioni convenzionali. 3.3.1. Il divieto di adottare decisioni relative all’affidamento dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti (tra le quali sicuramente rientra lo speciale procedimento di cui all’art. 330 cod. civ., per i riflessi che sugli stessi ha la delimitazione o l’ablazione della potestà d’uno dei genitori), che l’art. 16 della convenzione statuisce in ordine ai casi in cui si ha già notizia del trasferimento o del trattenimento illecito di un minore, si completa – nella disciplina pattizia – con il successivo art. 17. Qui, infatti, è stabilito che «il solo fatto che una decisione relativa all’affidamento sia stata presa o sia passibile di riconoscimento nello Stato richiesto non può giustificare il rifiuto di fare ritornare il minore, in forza della presente convenzione; tuttavia, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto possono prendere in considerazione le motivazioni della decisione nell’applicare la convenzione». Tale secondo tassello della disciplina prende in esame il caso in cui l’autorità giudiziaria nazionale sia stata chiamata a deliberare sull’affidamento dei minori, anche ignorando le problematiche in atto relative all’illecito trasferimento o trattenimento di un minore, ed opera una «sterilizzazione» delle statuizioni eventualmente adottate dall’autorità nazionale, con il solo limite della conoscenza delle motivazioni poste a base di quelle (il cui apprezzamento, da parte del giudice della convenzione, è espressamente consentito). 3.3.2. Laddove la notizia dell’illecito trasferimento (o trattenimento) non vi sia stata (com’è probabile sia avvenuto nella specie), il provvedimento del giudice nazionale, ignaro dell’illecito in corso di consumazione, che si sia pronunciato nell’ambito di un procedimento riguardante (direttamente o indirettamente, non importa) l’affidamento del minore, non può costituire – secondo la convenzione – un motivo legittimo di rifiuto del rientro del minore presso la sua residenza abituale (salva, come si è detto, la considerazione delle motivazioni contenute in quel provvedimento giudiziale, da parte del giudice della convenzione). 3.4. Il coordinamento dei due procedimenti giurisdizionali, quello convenzionale e quello oggetto di considerazione da parte del solo diritto statuale, comporta giurisprudenza italiana 147 la prevalenza del primo, perché cosı́ dispone la fonte internazionale pattizia, prevalente rispetto alla disciplina nazionale, passata o futura (Corte Cost., n. 73/2001 e n. 10/1993), in quanto fonte normativa riconducibile ad una competenza atipica. E, in tali sensi, deve darsi risposta al primo quesito di diritto posto dal ricorrente con l’esaminata impugnazione. 4. Da tanto deriva l’infondatezza, anche del quarto motivo di ricorso, quello con il quale il ricorrente domanda di sapere «se si configuri l’ipotesi di sottrazione internazionale di minore quando un genitore (abbia) condotto con sé i figli con il consenso dell’altro e, successivamente, omett(a) di ricondurli indietro, essendo intervenuto un provvedimento del giudice italiano che fa divieto di espatrio dei bambini». 4.1. Una volta che il coordinamento tra i due procedimenti (quello convenzionale e quello nazionale) sia stato risolto a favore del primo (e salva la possibilità della sola considerazione delle ragioni motivazionali contenute nel provvedimento decisorio reso in ordine al secondo) la risposta al quesito non può che essere sempre positiva. Il provvedimento dell’autorità nazionale, reso in un procedimento statale ove si trascuri inconsapevolmente o scientemente, l’esistenza di un «illecito» convenzionale non è idoneo ad escludere la sussistenza di questo e, quindi, anche la legittima prevalenza della decisione pronunciata dal giudice della convenzione, rispetto al provvedimento del giudice (o dall’autorità amministrativa) statale in un procedimento già instaurato e deciso in favore dell’autore dell’illecita sottrazione del minore. Ove, infatti, si opinasse il contrario, bisognerebbe postulare una sorta di principio di prevenzione in ordine alla competenza, in forza del quale dovrebbe prevalere il giudice preventivamente adito, ciò che invece la fonte internazionale non vuole, imponendo la prioritaria considerazione dei mezzi di risoluzione pattizia della situazione dei minori. 5. Per comodità espositiva va, a questo punto, esaminato il terzo motivo del ricorso, strettamente connesso ai due sopra considerati, ma anch’esso – come si vedrà – infondato. Si tratta del quesito di diritto cosı́ concepito: «se sia del pari viziato sul piano logico e adottato in contrasto alla legge, il provvedimento che nell’ordinare il ritorno del minore ai sensi dell’art. 12 della convenzione dell’Aja del 1980, non tenga conto del criterio derogativo previsto dal successivo art. 13 lett. a della convenzione stessa». 5.1. La questione è connessa con le due precedentemente esaminate in quanto l’art. 13 lett. a della convenzione, invocato dal ricorrente, dispone che: «Nonostante le disposizioni del precedente articolo, l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora la persona, istituzione od ente che si oppone al ritorno, dimostri: a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno». 5.2. Il quesito di diritto presuppone che si dia per scontato che, in forza del provvedimento pronunciato dall’autorita nazionale, in un procedimento diverso da quello convenzionale (e che si è già visto essere inefficace rispetto al potere decisorio attribuito al giudice della convenzione, che è assolutamente libero e ancorato 148 giurisprudenza italiana solo all’apprezzamento della situazione di mero fatto), possa farsi valere in giudizio il fatto che la madre dei minori abbia subito una limitazione della sua potestà genitoriale, onde l’irrilevanza della situazione fattuale anteriore a quella decisione, limitatrice della sua trazione di potestà, che è invece quella il parametro decisionale adottato dalla convenzione. Ma s’è visto, e si è già detto, che un tale dictum non può prevalere su quello, anche se temporalmente successivo, adottato dal giudice della convenzione; il solo autorizzato ad accertare l’illecito, sulla base di situazioni di mero fatto, e a pronunciare i provvedimenti conseguenti. 5.3. La risposta al quesito sottoposto a questa Corte è, per quanto detto, negativa. 6. Riprendendo l’ordine dettato dal ricorso per cassazione, va adesso esaminato il secondo mezzo, con il quale viene posto il seguente quesito di diritto: «se sia viziato, sul piano logico e adottato in contrasto alla legge, il provvedimento che, nel ricercare la residenza dei minori destinatari di provvedimenti di restituzione obbligatoria ex art. 12 della convenzione dell’Aja del 1980, premessa una astratta corretta definizione di residenza, ometta di svolgere un puntuale accertamento circa l’effettiva collocazione del centro degli interessi dei minori, e utilizzi invece, quali criteri di riferimento, i comportamenti e gli atti dei genitori, di per sè non sufficienti e non idonei a localizzare il richiamato ‘‘centro di interessi’’, dal punto di vista dei minori». 6.1. Il mezzo è in parte infondato ed in parte inammissibile. 6.2. Infondato, perché, come questa Corte ha già chiarito (per tutte, nella sentenza n. 2093/2005), e in tali sensi deve rispondersi al quesito di diritto posto, per il ritorno del minorenne presso l’affidatario al quale è stato sottratto, la nozione di «residenza abituale», posta a parametro decisorio dalla succitata convenzione non coincide con quella di «domicilio», né con quella, di carattere formale, di residenza scelta d’accordo tra i coniugi, ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtú di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione. 6.3. Inammissibile, perché il relativo accertamento, è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato, come è nella specie. 7. Anche il quinto ed ultimo mezzo deve essere disatteso. 7.1. Con esso si chiede «se quando si temono rischi per l’equilibrio psico-fisico di minori ritenuti meritevoli di provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, il giudice debba svolgere ogni accertamento necessario atto a fugare il timore che tali rischi sussistano, soprattutto a fronte di relazioni tecniche che li hanno prospettati; una mera dichiarazione di non condivisione equivalendo a difetto di motivazione e costituendo violazione dell’art. 13 lett. b della convenzione dell’Aja del 1980, che impone una attenta valutazione dei pregiudizi che i minori possono subire in conseguenza dell’ordine di riconsegna». 7.2. Si tratta, però, di un quesito che impinge in una richiesta di riesame del merito (perché, sotto le apparenze di un quesito di diritto a risposta scontata, fa – in realtà – istanza d’una diversa attività istruttoria e d’una diversa valutazione del materiale già acquisito, in ordine a fatti ostativi alla restituzione dei minori al giurisprudenza italiana 149 genitore che – assieme ai minori – continui a vivere nel luogo della loro abituale residenza) rivolta, inammissibilmente, al giudice della legittimità. 7.3. Ma questa Corte ha già enunciato (con la sentenza n. 11999/2001), e in questa sede va confermato, il principio di diritto secondo cui l’accertamento svolto dal Tribunale per i minorenni, in ordine alla ricorrenza dell’ipotesi di deroga rispetto all’obbligo di immediata restituzione del minore, implica un’indagine in fatto in ordine alla quale il controllo di legittimità non può riguardare il riesame della valutazione degli elementi probatori considerati, essendo l’ambito del giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., limitato al riscontro, sulla base delle censure prospettate, della coerenza e della esaustività della motivazione. Ciò che, peraltro, non viene neppure censurato, rivolgendosi un inammissibile quesito di diritto che nasconde una censura svolta ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. 8. In conclusione, il ricorso nel suo complesso deve essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento della spese, liquidate come in dispositivo. P.Q.M., (la Corte) rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. Corte di Cassazione, sentenza 10 luglio 2008 n. 19067 Presidente, Carnevale - Consigliere Rel., Nappi - P.M., Destro (concl. conf.) Caniglia (avv. Laurentiis) contro Banca Sparkasse Essen (intimata). La dichiarazione di esecutività in Italia di un atto notarile, a norma dell’art. 50 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, non richiede la previa notifica al debitore dell’atto, non sussistendo, nel caso degli atti notarili, alcuna esigenza di informazione ulteriore del debitore che ha partecipato alla stipulazione. Con l’opposizione ex art. 36 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 possono essere dedotte esclusivamente questioni attinenti alle condizioni dettate dalla stessa convenzione per l’apposizione della formula esecutiva; le questioni attinenti alla validità del contratto rogato dal notaio di cui si chieda l’esecutività può essere dedotta soltanto in un giudizio ordinario di opposizione all’esecuzione in quanto anche l’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico dello Stato richiesto è limitata, secondo quanto prevede l’art. 50 della convenzione, alla prospettiva dell’esecuzione dell’atto autentico, e non è estensibile alla prospettiva della sua stipulazione. 1* Svolgimento del processo. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello * La sentenza della Corte di Cassazione, 11 aprile 1983 n. 2544, citata in motivazione, è pubblicata in questa Rivista, 1984, p. 362 ss. 150 giurisprudenza italiana di Lecce ha rigettato l’opposizione proposta da V. Caniglia avverso il decreto dichiarativo di esecutività in Italia dell’atto notarile rogato in Germania il 14 aprile 1998, con il quale l’opponente aveva riconosciuto un proprio debito di trecentoventicinquemila marchi, oltre interessi, nei confronti della Banca Sparkasse di Essen. Hanno ritenuto i giudici del merito che la dichiarazione di esecutività in Italia di un atto notarile, a norma dell’art. 50 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, non richiede la previa notifica al debitore dell’atto, richiesta invece dall’art. 47 della stessa convenzione per la dichiarazione di esecutività delle decisioni giudiziarie. Sicché l’eccezione di difetto di notifica proposta dall’opponente è irrilevante ed è comunque anche infondata, perché è stata acquisita agli atti una ricevuta di recapito postale, dalla quale risulta la consegna personale al destinatario dell’atto notarile. Contro questa decisione ricorre ora per cassazione V. Caniglia e propone due motivi d’impugnazione, mentre non ha spiegato difese la Banca Sparkasse Essen. Motivi della decisione. 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 46, 47 e 50 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, e degli artt. 474 s. e 139 s. cod. proc. civ. Lamenta che i giudici del merito abbiano ritenuto effettuata la notifica sulla base della sola sottoscrizione del postino incaricato della consegna, senza considerare che mancava la sua sottoscrizione e che egli risultava all’epoca già trasferito in altra città tedesca. Aggiunge che, per la legge tedesca come per quella italiana, è sempre necessaria la notifica del titolo esecutivo, tanto che nel rogito notarile si dà atto della consegna al solo creditore di una copia esecutiva, mentre al debitore viene consegnata una copia semplice. Sicché erroneamente la Corte leccese ritenne non necessaria la previa notifica del titolo al debitore. Il motivo è infondato. La convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 stabilisce, al titolo terzo, condizioni e procedimento per il riconoscimento all’estero (sezione prima) e per l’apposizione della formula esecutiva (sezione seconda) alle decisioni giudiziali assunte in uno degli Stati contraenti. Nella terza sezione del terzo titolo la convenzione, nel dettare disposizioni comuni sia al riconoscimento sia all’apposizione della formula esecutiva alle decisioni giudiziali, stabilisce tra l’altro, all’art. 47, che la parte richiedente l’esecuzione deve produrre qualsiasi documento atto a comprovare che, secondo la legge dello Stato di origine, la decisione è esecutiva ed è stata notificata. L’apposizione della formula esecutiva agli altri atti che possono essere in tale forma spediti nei Paesi contraenti è disciplinata distintamente nel titolo quarto della convenzione. L’art. 50 prevede in particolare che, su richiesta di parte e con la procedura stabilita anche per munire di formula esecutiva le decisioni giudiziali, gli atti autentici ricevuti e aventi efficacia esecutiva in uno Stato contraente debbono essere muniti della formula esecutiva in ogni altro Stato contraente, salvo che l’esecuzione dell’atto autentico risulti contraria all’ordine pubblico dello Stato richiesto. E aggiunge che le disposizioni della terza sezione del terzo titolo, vale a dire le disposizioni comuni al riconoscimento e all’apposizione della formula esecutiva alle decisioni giudiziali, sono applicabili solo per quanto occorra. giurisprudenza italiana 151 I giudici del merito hanno interpretato queste norme nel senso che la previa notifica dell’atto al debitore sia necessaria per il riconoscimento e l’apposizione della formula esecutiva alle decisioni giudiziali, ma non per l’esecutività di un atto notarile, alla cui formazione il debitore ha partecipato, ricevendone immediatamente anche una copia. E questa interpretazione è del tutto plausibile, perché la ratio dell’art. 47 della convenzione, laddove richiede la previa notifica della decisione giudiziale, va individuata nell’esigenza di consentire al debitore l’eventuale impugnazione di una decisione, che, pur certamente già esecutiva, potrebbe essere tuttora impugnabile e per di piú potrebbe essere stata assunta senza la sua presenza in giudizio. Infatti l’art. 46 ammette l’esecuzione anche di una decisione contumaciale, ove sia stato prodotto l’originale o una copia certificata conforme del documento comprovante che la domanda giudiziale è stata notificata o comunicata al contumace. È ragionevole pertanto la considerazione dei giudici del merito circa la mancanza, nel caso degli atti notarili, di ogni esigenza di informazione ulteriore del debitore, che ha partecipato alla stipulazione. Né ha rilievo il fatto che nel caso in esame il notaio abbia consegnato solo al creditore una copia in forma esecutiva dell’atto, mentre al debitore consegnò una copia semplice. Infatti il debitore non ha alcun interesse a ricevere una copia munita di formula esecutiva, ma appunto solo una copia idonea a garantirgli la documentazione dell’atto da lui sottoscritto. Risultando dunque irrilevante la questione dell’effettiva previa notificazione dell’atto notarile a V. Caniglia, il motivo va rigettato. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 31 s., 46, 47 e 50 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, dell’art. 12 legge n. 218 del 1995, dell’art. 2703 cod. civ., vizi di motivazione della decisione impugnata. Lamenta che i giudici del merito abbiano omesso di considerare le sue dedotte condizioni di incapacità psichica e di accertare l’effettiva certezza, liquidità ed esigibilità del credito riconosciuto, posto che lo stesso notaio rogante informa il debitore sulla possibilità di provare un minore importo del debito. Eccepisce infine l’inesistenza della procura ad litem, e di conseguenza l’invalidità dell’elezione di domicilio della Banca Sparkasse Essen, lamentando peraltro che il notaio tedesco non avesse verificato i poteri di rappresentanza della società creditrice. Questo motivo è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di legittimità, invero, le questioni attinenti alla validità del contratto rogato dal notaio, come quelle relative alla validità della decisione giudiziale di cui si chiede la dichiarazione di esecutività a norma della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, possono essere dedotte solo con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. Con l’opposizione ex art. 36 della convenzione possono essere dedotte esclusivamente questioni attinenti alle condizioni dettate dalla stessa convenzione per l’apposizione della formula esecutiva (Cass., 11 aprile 1983 n. 2544, m. 427408). La stessa esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico dello Stato richiesto è limitata alla prospettiva dell’esecuzione dell’atto autentico, secondo quanto espressamente prevede l’art. 50 della convenzione, e non è estensibile alla prospettiva della sua stipulazione. Quanto alla deduzione di inesistenza della procura ad litem della Banca Spar- 152 giurisprudenza italiana kasse Essen, essa è del tutto generica, perché non risultano specificate le ragioni di invalidità del mandato. Al rigetto del ricorso non consegue una pronuncia sulle spese, in mancanza di difese da parte della banca intimata. P.Q.M., la Corte rigetta il ricorso. Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 22 settembre 2008 n. 23934 Presidente, Luccioli - Consigliere Rel., Salmé - P.M., Schiavon (concl. conf.) Cusan e Fazzo (avv. Fazzo) contro Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano (intimato). Alla luce della recente giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie (ovvero, dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che rinvia tra l’altro alla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000), occorre valutare se le norme relative all’attribuzione del cognome paterno ai figli legittimi possano essere oggetto di una interpretazione costituzionalmente orientata oppure se la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale. 1* Svolgimento del processo. Con decreto del 25 ottobre 2006 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da Alessandra Cusan e Guido Fazzo, in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio Guido, nato a Milano il 2 giugno 2003, diretto a ottenere la rettificazione dell’atto di nascita nella parte in cui ha attribuito al figlio stesso il cognome paterno invece che quello materno, come richiesto dal padre al momento della denuncia di nascita. La Corte d’Appello di Milano, con decreto del 19 febbraio 2007, ha confermato la pronuncia di primo grado richiamando, innanzi tutto, quanto osservato in altra occasione in relazione a identica questione sollevata dagli stessi ricorrenti, e in particolare sottolineando che: a) in occasione della riforma del diritto di famiglia (legge n. 151 del 1975), pur avendo il legislatore dettato norme dirette a dare piú efficace attuazione al principio costituzionale di uguaglianza dei coniugi, non è stata affrontata la questione relativa al cognome dei figli legittimi, con ciò riconoscendo persistente validità alla norma consuetudinaria che impone al figlio legittimo il cognome paterno; b) che in sede di modificazioni dell’ordinamento di stato civile * Si veda in argomento l’articolo del prof. Pieralberto Mengozzi, a p. 69 ss. di questo fascicolo della Rivista. Tra le sentenze citate in motivazione possono leggersi: Corte Cost., 16 febbraio 2006 n. 61, ivi, 2007, p. 473 s. (breve); 29 gennaio 1996 n. 15, ivi, 1997, p. 180 ss. (breve); Corte di giustizia, 2 ottobre 2003, causa C-148/2002, ivi, 2003, p. 188 ss.; Tribunale di Bologna, decreto 9 giugno 2005, ivi, 2006, p. 759 s. giurisprudenza italiana 153 (d.p.r. n. 396/2000), pur affrontando talune problematiche afferenti al cognome, il legislatore non è intervenuto a disciplinare il tema di cui si discute; c) dopo avere previsto che il figlio legittimato assume il cognome paterno (art. 33 d.p.r. n. 396/ 2000), la nuova legge di stato civile ha espressamente attribuito al figlio che sia legittimato dopo il conseguimento della maggiore età la possibilità, da esercitare entro un determinato lasso di tempo, di aggiungere o anteporre al cognome in precedenza usato quello del genitore che lo ha legittimato; d) che tali recenti opzioni legislative dimostrerebbero l’inesistenza di una lacuna e la necessità di un intervento esplicito, anche se è stata stimata rispondente ai principi essenziali del nostro assetto sociale la regola dell’imposizione al figlio legittimato del cognome paterno, con intento di equipararne lo status a quello del figlio legittimo. La Corte territoriale ha inoltre affermato che ogni ulteriore considerazione in diritto sarebbe stata superflua alla stregua delle motivazioni espresse dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 61 del 2006, che ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità delle norme che prevedono che il figlio nato nel matrimonio acquisti automaticamente il cognome paterno, in quanto la soluzione richiesta avrebbe comportato un’operazione manipolativa esorbitante dai propri poteri. A identica conclusione è giunta la sentenza di questa Corte n. 16093 del 2006 che ha ritenuto insormontabile la norma di sistema che attribuisce al figlio legittimo il cognome paterno, spettando al legislatore ridisegnare la materia in senso costituzionalmente adeguato. D’altra parte la Commissione giustizia del Senato, dopo avere esaminato diversi disegni di legge, ha redatto un testo unificato, comunicato alla presidenza il 22 gennaio 2007, che prevede la possibilità per i genitori di scegliere se attribuire al figlio il cognome paterno o quello materno e tale iniziativa legislativa, sollecitata dalla Corte Costituzionale, conferma la persistente vigenza del sistema contestato dai reclamanti, rispetto alla quale il giudice non ha spazio per adottare soluzioni difformi. Avverso il decreto della Corte d’Appello di Milano Alessandra Cusan e Luigi Fazzo hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Motivi della decisione. (Omissis) 2. Con sentenza n. 16093 del 2006 questa Corte, decidendo su ricorso dei coniugi Cusan-Fazzo proposto nei confronti di provvedimento negativo della Corte d’Appello di Milano su richiesta, analoga a quella di cui è causa, relativa ad altro figlio, preso atto che, con sentenza n. 61 del 16 febbraio 2006, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità degli art. 143-bis cod. civ., art. 236 cod. civ., art. 237, secondo comma cod. civ., art. 262 cod. civ., art. 299 cod. civ., comma terzo, artt. 33 e 34 d.p.r. n. 396 del 2000, nella parte in cui prevedono che tale attribuzione debba avvenire automaticamente anche quando vi sia una diversa volontà dei genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma Cost. – sollevata con ordinanza n. 13298/2004 – sul rilievo che, anche in relazione al circoscritto petitum della predetta ordinanza (limitato alla richiesta di esclusione dell’automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nella sola ipotesi di manifesta concorde volontà dei coniugi in tal senso) resterebbe «aperta tutta una serie di opzioni» e, quindi, che «l’intervento che si invoca richiede un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte», ha ritenuto che all’accoglimento del ricorso si oppone «la sussistenza della norma attributiva del cognome paterno al figlio legittimo» sia pure ‘‘retaggio di una concezione patriarcale della famiglia’’ e sia pure non in sintonia con le fonti sopranazionali (che impongono agli Stati membri l’adozione di misure adeguate ad eliminare discri- 154 giurisprudenza italiana minazioni di trattamento nei confronti della donna) che spetta comunque al legislatore ridisegnare in senso costituzionalmente adeguato». Ritiene il Collegio che la soluzione alla quale la Corte è in precedenza pervenuta meriti di essere riesaminata alla luce di alcune circostanze sopravvenute e a tal fine sia opportuno rimettere gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. 3.1. Com’era stato già segnalato con l’ordinanza 17 luglio 2004 n. 13298 ed è stato ribadito con la sentenza della Corte Costituzionale n. 61 del 2006, la norma sull’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, anche in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori, desumibile dal sistema normativo, in quanto presupposta dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ. nonché dall’art. 72, primo comma r.d. n. 1238/1939 e, ora, dagli artt. 33 e 34 d.p.r. n. 396 del 2000, oltre a non essere piú coerente con i principi dell’ordinamento, che ha abbandonato la concezione patriarcale della famiglia, e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna, si pone in contrasto con alcune norme di origine sopranazionale. A parte, infatti la risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa 27 settembre 1978 n. 37 (che invita gli Stati membri a eliminare ogni discriminazione fondata sul sesso nella scelta del nome della famiglia e nella trasmissione dei nomi dei genitori ai figli) e le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 28 aprile 1995 n. 1271 (che chiede agli Stati membri di adottare misure appropriate per garantire una rigorosa eguaglianza tra i coniugi nella scelta del nome della famiglia) e 18 marzo 1999 n. 1362 (che, nel reiterare gli inviti precedentemente formulati, chiede agli Stati membri di indicare entro quale termine adotteranno le misure antidiscriminatorie), la norma in cui si discute appare contrastante con l’art. 16, primo comma lett. g della convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata a resa esecutiva con l. 14 marzo 1988 n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome». Della violazione degli artt. 9 e 14 della convenzione europea sui diritti dell’uomo la Corte di Strasburgo ha discusso in alcuni casi aventi ad oggetto vicende relative al nome patronimico. In particolare nei casi Ünal Tekeli c. Turchia (sentenza 16 febbraio 2005, che ha dichiarato priva di qualsiasi giustificazione oggettiva e ragionevole, in quanto non necessaria per soddisfare esigenze di salvaguardia dell’unità familiare, la norma che imponeva alla donna la perdita del cognome d’origine, in caso di matrimonio, o che, a seguito di recenti modifiche della legislazione turca, consente solo l’aggiunta di tale cognome a quello del marito), Stjzna c. Finlandia (sentenza 24 ottobre 1994, che, pur ammettendo che decisioni degli Stati membri in ordine al nome possono violare le disposizioni citate, ha in concreto negato la sussistenza di tale violazione nel rifiuto di consentire il cambiamento del nome usato da oltre duecento anni dalla famiglia del richiedente), Burghartz c. Svizzera (sentenza 24 gennaio 1994, che ha dichiarato costituire violazione degli artt. 8 e 14 il rifiuto dell’autorità svizzera di consentire al marito di aggiungere al nome della moglie, scelto dai coniugi come nome della famiglia, anche il proprio cognome d’origine). Non va tralasciato, inoltre, che l’art. 5 del settimo protocollo addizionale della convenzione, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984, stabilisce giurisprudenza italiana 155 che i coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimento. In una fattispecie particolare (si trattava di figli di padre spagnolo e madre belga, con doppia cittadinanza spagnola e belga, ai quali il Belgio, stato di residenza, aveva attribuito il cognome paterno che il padre voleva correggere nel doppio cognome) anche la Corte di giustizia CE (sentenza 2 ottobre 2003, in causa C-148/2002) è intervenuta ad affermare che il comportamento dello Stato di residenza che rifiutava la correzione costituisce discriminazione in base alla nazionalità vietata dagli artt. 12 e 17 del trattato. Gli artt. 3 e 23, quarto comma del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge n. 881 del 25 ottobre 1977, prevedono, rispettivamente, l’impegno degli Stati a garantire l’eguale diritto degli uomini e delle donne a godere dei diritti civili e politici previsti dal Patto e ad adottare le misure per garantire ai coniugi l’eguaglianza nel rapporto matrimoniale e al momento dello scioglimento di tale rapporto. 3.2. Con le sentenze n. 348 e n. 349 del 24 ottobre 2007 la Corte Costituzionale ha affermato che il nuovo testo dell’art. 117, primo comma Cost., colmando la lacuna esistente nella disciplina previgente, in conseguenza della quale «la violazione di obblighi internazionali derivanti da norme di natura convenzionale non contemplate dall’art. 10 e dall’art. 11 Cost. da parte di leggi interne comportava l’incostituzionalità delle medesime solo con riferimento alla violazione diretta di norme costituzionali» (cosı́ la sent. n. 348/2007), ha previsto l’obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme con la conseguenza che la norma nazionale con le stesse incompatibile viola per ciò stesso l’art. 117, primo comma Cost., perché la norma convenzionale, alla quale la norma costituzionale fa rinvio «mobile», «dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata ‘‘norma interposta’’» (sent. n. 348/2007). Ora, poiché nessuna delle norme convenzionali indicata al precedente paragrafo rientra nella sfera di applicazione degli artt. 10 e 11 Cost. (che il Patto internazionale sui diritti civili e politici, benché approvato dall’Assemblea dell’ONU, non abbia natura di norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, in quanto di formazione convenzionale e non consuetudinaria, è stato affermato da Corte Cost. n. 15 del 1996, con considerazioni immediatamente applicabili anche alla convenzione di New York del 18 dicembre 1979, mentre, per l’esclusione delle norme CEDU dalle fattispecie di cui agli artt. 10 e 11 Cost., cfr. le citate sentenze n. 348 e n. 349/2007), ne deriva che la possibilità di utilizzarle come norme interposte e quindi come parametri del giudizio di costituzionalità delle norme interne (non presa in considerazione della sentenza n. 61 del 2006) è sorta soltanto a seguito dell’approvazione del nuovo art. 117, primo comma Cost., cosı́ come interpretato con le sentenze n. 348 e n. 349/2007. Quindi solo attualmente il giudice ha la possibilità di percorrere la duplice alternativa strada dell’interpretazione della norma sull’applicazione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, anche in caso di concorde difforme volontà dei genitori, in senso costituzionalmente orientato al rispetto dei parametri desumibili dalle norme convenzionali indicate al paragrafo precedente ovvero, nel caso in cui ritenga che il testo della 156 giurisprudenza italiana norma (nella specie, come rilevato, si tratta tuttavia di norma implicita nel sistema) non consenta questa operazione ermeneutica, di valutare se non sia manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della norma stessa. 4. Il 13 dicembre 2007 i Capi di Stato e di governo dei ventisette membri dell’Unione europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione e quello istitutivo della Comunità europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (la parità tra donne e uomini è oggetto dall’art. 1-bis e la lotta alla discriminazione e la promozione della parità è oggetto dall’art. 2, terzo comma, secondo periodo del trattato sull’Unione), l’art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000 dai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (l’art. 7 afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 21 vieta ogni discriminazione fondata sul sesso; l’art. 23 assicura la parità tra uomini e donne) e prevede l’adesione alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto dell’Unione. Con la ratifica del trattato di Lisbona di cui alla l. 2 agosto 2008 n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada all’applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque, al controllo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, non può essere escluso: a) quando la legge interna è diretta ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza dei trattati della Comunità in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi; b) quando venga in rilievo il limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona; c) quando si ravvisa un contrasto fra norma interna e direttiva comunitaria non dotata di efficacia diretta (Corte Cost., 13 luglio 2007 n. 284). 5. Già con l’ordinanza n. 176 del 1988 la Corte Costituzionale ha affermato che «sarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all’evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, piú rispettoso dell’autonomia dei coniugi, il quale concilii i due principi sanciti dall’art. 29 Cost., anziché avvalersi dell’autorizzazione a limitare l’uso in funzione dell’altro». Con la sentenza n. 61 del 2006, inoltre, la Corte ha ribadito, ancora piú nettamente, che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica, o di una tramontata potestà maritale, non piú coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna». In entrambi i casi la Corte ha implicitamente sollecitato un intervento del legislatore che, pur avendo affrontato il tema da ormai quasi un trentennio (proposta di legge n. 832 del 30 ottobre 1979), non è ancora pervenuto a soluzioni concrete. Nel panorama degli ordinamenti contemporanei la soluzione al problema delle attribuzioni del cognome al figlio legittimo date dalla normativa italiana appare quasi del tutto isolata, anche se le opzioni alle quali sono ispirate le discipline giurisprudenza italiana 157 straniere sono diverse tra loro. Ma tale pluralità di opzioni relative alla complessità problematica dell’attribuzione del cognome al figlio legittimo, la cui scelta indubbiamente compete al legislatore, non viene necessariamente in considerazione rispetto alla fattispecie concreta, che riguarda la sola ipotesi in cui i genitori siano concordi nell’attribuire al figlio il cognome materno. La soluzione in tal caso appare «a rima obbligata», perché si tratta non di scegliere tra una pluralità di alternative, ma solo tra l’ammettere o escludere la possibilità di deroga alla norma di sistema, in un contesto in cui le altre fattispecie non resterebbero prive di regole dovendo alle stesse comunque applicarsi la predetta norma implicita. Peraltro una scelta conforme alle richieste concordi dei genitori risulta compiuta da alcuni giudici del merito. Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 1º ottobre 1984, ha ritenuto che l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, contrastando con il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e con la tutela della personalità, autorizza l’accoglimento della domanda congiunta dei genitori diretta ad aggiungere a quello paterno il cognome della madre e il Tribunale di Bologna, con sentenza (decreto, n.d.r.) del 9 giugno 2004, ha accolto l’istanza per la correzione di un atto di nascita di un minore di doppia cittadinanza italiana e spagnola, nato in Spagna ed iscritto nei registri dello stato civile spagnoli con il doppio cognome, a cui in sede di trascrizione dell’atto di nascita l’ufficiale di stato civile italiano aveva attribuito il solo cognome paterno, ravvisando nella decisione dell’ufficiale di stato civile la violazione del combinato disposto degli artt. 12 e 17 CE, cosı́ come interpretati dalla Corte di giustizia con la citata sentenza 2 ottobre 2003. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con decisione del 25 gennaio 1999 n. 63 (sez. IV), ha ritenuto illegittimo il rifiuto dell’autorità amministrativa di consentire l’aggiunta del cognome materno a quello paterno, in caso di consenso di entrambi i genitori e di uso di tale cognome nel contesto familiare, scolastico e sociale, anche tenendo conto dell’evoluzione della coscienza sociale e del contesto europeo, e, con parere del 17 marzo 2004 n. 515 (sez. I), reso nell’ambito di un procedimento iniziato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ha ritenuto fondata la richiesta al Ministro dell’interno, concordemente formulata dai genitori, per il cambiamento del cognome del figlio legittimo con l’attribuzione del cognome materno, motivata con ragioni di riconoscenza nei confronti del nonno materno, ritenendo non irrinunciabile il diritto al cognome paterno e non condivisibile la motivazione secondo la quale la sostituzione del cognome comprometterebbe lo status di figlio legittimo e i valori della famiglia fondata sul matrimonio. Sulla base delle considerazioni svolte appare opportuno trasmettere gli atti al Primo Presidente ai fini della eventuale rimessione alle Sezioni Unite, per valutare se ai fini della presente controversia, alla luce della mutata situazione della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie, possa essere adottata un’interpretazione della norma di sistema costituzionalmente orientata ovvero, se tale soluzione sia ritenuta esorbitatne dai limiti dell’attività interpretativa, la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale. P.Q.M., la Corte rimette gli atti al primo presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. 158 giurisprudenza italiana Corte di Cassazione penale (s.u.), sentenza 23 settembre 2008 n. 36522 Presidente, Morelli - Giudice Rel., Canzio Sul ricorso proposto da N.N. L’art. 12 della convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, che autorizza lo Stato di esecuzione della pena alla modifica della durata della medesima in senso favorevole al condannato nei soli casi della grazia, dell’amnistia o della commutazione, deve essere interpretato (in contrasto con la soluzione accolta dalla costante giurisprudenza di legittimità) come applicabile a qualsiasi equivalente istituto che, nell’ambito dei singoli ordinamenti, corrisponde all’esercizio di un potere di clemenza, sia in forma individuale che generalizzata, diretto alla sostanziale riduzione della pena; secondo tale interpretazione la disciplina di cui all’art. 12 deve essere estesa anche all’indulto, pur in mancanza di un espresso riferimento. Ritenuto in fatto. 1. Con sentenza del 19 luglio 1999 la Corte d’Appello di Milano, in applicazione della convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate ed agli effetti dell’esecuzione della pena in Italia, riconosceva la sentenza 15 giugno 1989 della Crown Court di Strafford (U.K.), con la quale N.N. era stato condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio volontario, determinando in trenta anni di reclusione la pena da eseguirsi nello Stato italiano. Con ordinanza del 31 maggio 2007 la stessa Corte dichiarava inapplicabile al N. l’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che aveva costantemente escluso l’applicabilità dell’indulto alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena ai sensi della citata convenzione, sul duplice assunto che lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura e alla durata della sanzione stabilite dallo Stato di condanna e che la modifica della durata della pena in senso favorevole al condannato è ipotesi eccezionale, prevista dall’art. 12 della convenzione solo per effetto di «grazia, amnistia e commutazione della pena», ma non di indulto, istituto ivi non contemplato e diverso dalla commutazione della pena. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il N., il quale ne ha chiesto l’annullamento denunziando la violazione dell’art. 606. lett. b, c ed e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 174 cod. pen., 9, 12 e 14 della convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, 672 cod. proc. pen. ed alla legge n. 241 del 2006. Sostiene il ricorrente, anche con successiva memoria difensiva, che nell’espressione «commutazione della pena» di cui al citato art. 12 è ricompreso l’indulto, istituto che non trova un equivalente nella terminologia anglosassone né in quella francese, essendo comunque manifesta la volontà di consentire nella fase esecutiva del giudicato straniero l’applicazione della generalità dei benefici che hanno ad effetto la riduzione della pena e che sono previsti dalla legislazione sostanziale e processuale sia dello Stato di condanna sia dello Stato in cui la persona condannata è trasferita, cui l’art. 9 affida l’esclusiva responsabilità dell’esecuzione. Un’interpre- giurisprudenza italiana 159 tazione difforme da quella invocata, ad avviso del ricorrente, esporrebbe la legge di ratifica della convenzione a dubbi di costituzionalità, sottoponendo la persona condannata all’estero e trasferita in Italia ad un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto alla persona giudicata e condannata in Italia. 3. La Prima Sezione, ritenuto di dover condividere la soluzione interpretativa difforme dal costante indirizzo di legittimità, che motiva l’inapplicabilità dell’indulto alla persona condannata all’estero e trasferita in Italia con riguardo alla formulazione letterale e alla natura eccezionale del citato art. 12 della convenzione, sul rilievo che esso, in effetti, designa con i termini «grazia, amnistia e commutazione della pena» qualsiasi istituto corrispondente nei singoli ordinamenti all’esercizio di un potere di clemenza, in forma individuale o generalizzata, con ordinanza del 12 marzo-22 maggio 2008, sussistendo una situazione di potenziale contrasto giurisprudenziale, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite, cui il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente per l’odierna udienza in camera di consiglio. Anche la Procura Generale presso questa Corte, convenendo con la tesi del ricorrente e sottolineando la precipua finalità della convenzione di dare ingresso in sede di esecuzione della pena a qualsivoglia trattamento piú favorevole al condannato, ha modificato le precedenti conclusioni ed ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto. 1. Le Sezioni Unite sono chiamate a rispondere al quesito «se sia applicabile l’indulto (di cui, nella specie, alla l. 31 luglio 2006 n. 241) alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena con la procedura stabilita dalla convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 25 luglio 1988, n. 334». Sulla questione di diritto la Corte di Cassazione ha da tempo espresso un orientamento interpretativo univoco nel senso che, ai sensi degli artt. 9 e 12 della convenzione sul trasferimento delle persone condannate, non è applicabile il beneficio dell’indulto in favore di persona condannata all’estero e detenuta in Italia (Cass., 29 gennaio 2008 n. 10266, Nogarin; 20 dicembre 2007 n. 2106, PG in proc. Falcone; 5 dicembre 2007 n. 47005, Lenti; 31 ottobre 2007 n. 42420, Adesso, rv. 237971; 25 ottobre 2007 n. 40804, P.G. in proc. Perinato; 11 aprile 2007 n. 19444, Greco; 21 marzo 2007 n. 17804, Melina, rv. 236583; 14 marzo 2007 n. 19076, P.G. in proc. Poma, rv. 238434; 23 gennaio 2007 n. 17583, Cutrona, rv. 236510; 14 dicembre 2000, Di Cesare, rv. 217967; 28 febbraio 1997, Giacon, rv. 207188; 7 ottobre 1994, P.G. in proc. Falci, rv. 199937; 22 giugno 1994, Pileggi, rv. 198914). Le ragioni addotte a sostegno dell’ormai consolidata soluzione ermeneutica possono essere sinteticamente individuate: a) nel vincolo sancito dall’art. 10 della convenzione per lo Stato di esecuzione, il quale deve, in linea di principio, conformarsi alla natura giuridica e alla durata della sanzione cosı́ come stabilite dallo Stato di condanna; b) nell’argomento di ordine letterale desunto dalla circostanza che l’art. 12 della convenzione autorizza lo Stato di esecuzione alla modifica della durata della pena in senso favorevole al condannato unicamente nei casi di concessione della grazia o dell’amnistia e di commutazione della pena, senza includere il diverso istituto dell’indulto; c) nell’impossibilità di assimilare l’indulto agli istituti previsti 160 giurisprudenza italiana dall’art. 12, aventi ciascuno un preciso significato tecnico-giuridico; d) nella natura eccezionale e di stretta interpretazione della previsione contenuta nell’art. 12, non suscettibile perciò di interpretazione analogica o estensiva. Si aggiunge, in una delle piú recenti elaborazioni del tema (Cass., n. 42420/ 2007, Adesso, cit.), che il lemma «commutazione» assume nell’ordinamento interno un preciso significato tecnico-giuridico: l’art. 174 cod. pen. stabilisce che «l’indulto ... condona in tutto o in parte la pena inflitta, ovvero la commuta in una altra specie di pena stabilita dalla legge», con l’effetto alternativo di estinguere, in tutto o in parte, la pena (condono), ovvero di trasformarla in un’altra sanzione meno afflittiva prevista dalla legge (commutazione); sicché l’art. 12 della convenzione farebbe riferimento solo a una delle due forme dell’indulto, la commutazione della pena, ma non anche al condono, istituto questo peculiare del nostro ordinamento e non comune alla generalità degli ordinamenti degli Stati firmatari della convenzione. 2. E però, deve darsi atto che la linea interpretativa stabilmente seguita dalla Corte di Cassazione è decisamente criticata dalla dottrina e non ha incontrato il consenso unanime della giurisprudenza di merito, non mancando in quest’ultima decisioni (Corte di Appello Caltanissetta, 9 maggio 2002; Corte di Appello di Roma, 21 settembre 2006, Baraldini e Corte di Appello Catanzaro, 1 dicembre 2006, Vizza, in Foro It., 2007, II, p. 60) che, in aperto e di consapevole dissenso dalla giurisprudenza di legittimità, hanno affermato posizioni favorevoli all’applicazione dell’indulto ai condannati trasferiti in Italia per l’espiazione di pene inflitte all’estero. Le Sezioni Unite, alla stregua di un’attenta valutazione delle ragioni addotte a sostegno dell’una o dell’altra tesi, opportunamente rimeditate con riguardo alle osservazioni critiche sia della Sezione rimettente sia del Procuratore Generale, ritengono che l’indirizzo, pur costantemente enunciato finora dalla giurisprudenza di legittimità, non possa essere condiviso e che l’opposta soluzione sia sorretta da argomenti maggiormente affidabili sul piano logico e sistematico. 3. Mette conto preliminarmente di sottolineare che il metodo interpretativo da adottare per l’esatta ricostruzione del contenuto delle norme della convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate deve ispirarsi alle direttive contenute nella convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, stipulata il 23 maggio 1969, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 12 febbraio 1974 n. 112, che stabilisce criteri ermeneutici non sovrapponibili a quelli utilizzati per l’interpretazione delle disposizioni dell’ordinamento interno. Con particolare riguardo alla disciplina dettata dagli artt. 31 («Regola generale di interpretazione»), 32 («Mezzi complementari di interpretazione») e 33 («Interpretazione dei trattati autenticati in due o piú lingue») della sezione 3 della parte III di detta convenzione, sulla «Interpretazione dei trattati», rilevano i seguenti criteri: qualsiasi espressione di un trattato dev’essere interpretata «in buona fede», si presume, salvo diversa e certa intenzione delle parti, che il significato obiettivo di un determinato termine coincida con il «senso ordinario» dello stesso; questo va ricercato nel «contesto» ed alla luce dello «scopo» e dell’«oggetto» del trattato; il «contesto» comprende, oltre al testo, il preambolo ed ogni altro accordo o strumento ad esso assimilato intervenuto tra le parti, come ad esempio il rapporto esplicativo; sono consentiti mezzi complementari di interpretazione per ottenere giurisprudenza italiana 161 la conferma o il chiarimento del senso risultante dall’operazione ermeneutica svolta sulla base dei criteri principali. Si ritiene altresı́ pacificamente che costituisca regola generale d’interpretazione dei trattati, implicitamente inclusa nell’art. 31 par. 1, il principio ut res magis valeat quam pereat, in base al quale, tra piú significati attribuibili ad una determinata espressione, deve privilegiarsi quello che consente alla norma di produrre un determinato effetto, piuttosto che quello che la rende superflua; e si aggiunge che tutti i principi elencati devono essere presi in considerazione nel loro complesso, non potendo ritenersi completa un’interpretazione che escluda uno di essi, dovendo tutti, cumulativamente, concorrere a determinare l’esatto significato della singola disposizione in esame. 4. La convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate, adottata il 21 marzo 1983, fu sottoposta alla ratifica parlamentare mentre era in corso l’esame del disegno di legge governativo sugli «effetti delle sentenze penali straniere ed esecuzione all’estero delle sentenze penali italiane», presentato nella IX Legislatura (S/1741), ripresentato nella successiva Legislatura (S/774) e poi abbandonato all’esito della ratifica della convenzione e in vista dell’approvazione del nuovo codice di rito. Va rimarcato, per quanto possa rilevare ai fini della ricostruzione storica del problema interpretativo in esame, che nel disegno di legge si prevedeva, tra l’altro, all’art. 20 che «sono regolate dalla legge italiana l’estinzione delle pene conseguenti al riconoscimento della sentenza straniera e la concessione della grazia, dell’amnistia e dell’indulto». La convenzione di Strasburgo costituisce uno strumento elaborato dal Consiglio d’Europa allo scopo (esplicitato sia nel preambolo sia nel rapporto esplicativo) di facilitare il trasferimento nello Stato di cittadinanza delle persone condannate all’estero mediante una procedura semplice, rapida e flessibile. La cooperazione, in un quadro uniforme che riserva ai singoli accordi in forma semplificata tra gli Stati di volta in volta interessati la decisione sul trasferimento dell’esecuzione, è diretta alla buona amministrazione della giustizia ed a favorire il reinserimento sociale e la riabilitazione dei condannati nell’ambiente sociale d’origine (finalità, questa, che il rapporto esplicativo, par. 23, definisce «primary purpose» della convenzione), rilevandosi altresı́ che il rimpatrio dei detenuti nello Stato di nazionalità, condizionato dal consenso del detenuto e giustificato da ragioni umanitarie (difficoltà di comunicazione, alienazione dalla cultura e dalle tradizioni locali, assenza di contatti con i familiari), deve comunque costituire «the best interest of the prisoners as well as of the governments» (rapporto esplicativo, par. 9). Una volta raggiunto tra gli Stati interessati l’accordo per il trasferimento della persona condannata, l’art. 9 della convenzione indica due, alternativi, meccanismi opzionali di riconoscimento della sentenza ai fini dell’esecuzione: la continuazione (art. 10) o la conversione della pena (art. 11). Lo Stato di esecuzione, mentre con la prima procedura prosegue idealmente l’esecuzione della condanna già iniziata presso lo Stato che l’ha pronunciata, pur con taluni possibili adattamenti, con la seconda procedura di riconoscimento (exequatur) sostituisce il titolo esecutivo originario con una propria decisione, senza entrare nel merito dei fatti accertati, cosı́ che l’esecuzione non è piú basata direttamente sulla sentenza dello Stato di condanna. Nella l. 25 luglio 1988 n. 334 di ratifica ed esecuzione della convenzione è stato 162 giurisprudenza italiana indicato (art. 3) nella «continuazione» il meccanismo scelto dall’Italia, mentre la l. 3 luglio 1989 n. 257, recante, tra l’altro, norme di attuazione della convenzione sul trasferimento delle persone condannate, stabilisce che nel determinare la pena la corte d’appello applica i criteri previsti nell’art. 10 della convenzione (art. 3 comma 2) e che tale corte è equiparata, a ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario (art. 4 comma 1): disposizioni, queste, che vanno infine integrate con l’art. 738 comma 1 cod. proc. pen., per il quale «le pene... conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana». 4.1. Qualunque sia l’opzione prescelta, l’esecuzione della pena è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione (art. 9 par. 3): riferimento questo che va interpretato «in a wide sense» - «au sense large», cosı́ da comprendere «ad esempio, le regole per l’ammissibilità alla liberazione condizionale», dovendo essere chiaro che la direttiva comporta che «the administering State alone shall be competent to take all appropriate decisions» (rapporto esplicativo, par. 47). L’art. 10, a sua volta, stabilisce, quanto al meccanismo della continuazione, che lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della condanna come determinate dallo Stato di condanna. Ciò comporta «che la condanna da eseguire, soggetta ad ogni ulteriore decisione dello Stato di esecuzione, ad esempio sulla liberazione condizionale o sulla riduzione della pena (‘‘remission’’ - ‘‘remise de peine’’), corrisponda all’ammontare dell’originaria sentenza, tenuto conto del periodo già sofferto e di ogni riduzione maturata nello Stato di condanna prima del trasferimento» (rapporto esplicativo, par. 49). Attese le differenze tra i sistemi penali degli Stati aderenti, la convenzione consente anche a quelli che optano per la continuazione di «adattare» la sanzione («merely to adapt the sanction»), purché vengano rispettati certi limiti: la pena cosı́ adattata deve, possibilmente, corrispondere a quella imposta, non dovendo in ogni caso essere piú grave, per natura o durata, e non deve eccedere la pena edittale massima prevista per lo stesso fatto dallo Stato di esecuzione (rapporto esplicativo, par. 50). Circa i rapporti tra la regola stabilita dall’art. 9 par. 3 e il vincolo posto dall’art. 10 per lo Stato di esecuzione di rispettare la quantità di pena imposta dallo Stato di condanna, questa Corte ha in piú occasioni affermato che, se va rispettata la «durata della sanzione» nell’adattamento della pena, per le modalità di trattamento penitenziario e per le misure ad esso relative nella fase dell’esecuzione deve, tuttavia applicarsi la normativa vigente nello Stato di esecuzione (Cass., 30 marzo 1999, Di Carlo, rv. 213490 e 7 ottobre 2003 n. 42996, Mazzucchetti, rv. 228190, in tema di liberazione anticipata e, rispettivamente, di affidamento in prova). L’unico divieto concerne l’applicabilità di una misura piú grave per natura o durata della sanzione imposta nello Stato di condanna, mentre non esiste il divieto di imporre una pena in misura meno grave rispetto a quella dello Stato di condanna (Cass., 13 gennaio 1999 n. 180, P.G. in proc. van Dijck, rv. 212568). Sulla portata della regola indicata dall’art. 9 par. 3 della convenzione va segnalato anche il rapporto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla raccomandazione 1527 (2001) del 27 giugno 2001, approvato il 23 gennaio 2003 (doc. CM/AS(2003) Rec1527final, Appendice, punto 9, iii), con il quale s’invitava il Comitato: a fare chiarezza che la convenzione non è designata ad essere usata giurisprudenza italiana 163 per l’immediata liberazione della persona condannata una volta rimpatriata; a chiedere agli Stati contraenti di non rifiutare il trasferimento a motivo della possibilità del condannato di beneficiare di una liberazione anticipata nello Stato di esecuzione; a specificare la soglia minima della pena che deve essere scontata (per esempio, il 50%), sotto la quale gli Stati possono rifiutare legittimamente il trasferimento, ma sopra la quale dovrebbero facilitarlo. Alla base di tale raccomandazione vi era, tra l’altro, il rapporto del Committee on Legal and Human Rights del Consiglio d’Europa del 7 giugno 2001 (doc. n. 9117 del 7 giugno 2001 «Operation of the Council of Europe. Convention on the Transfer of Sentenced Persons – critical analysis and recommendations», parte II, p. D, par. 24 ss.), che, nell’illustrare le problematiche attinenti alle differenze esistenti nelle modalità di esecuzione della pena negli ordinamenti degli Stati interessati, rilevava che il meccanismo della convenzione comporta, sulla base dell’art. 9 par. 3, che la pena da scontare possa essere ridotta rispetto a quella imposta in origine: ciò in quanto l’esecuzione è governata dalla legge dello Stato che accoglie la persona trasferita, che è l’unico competente ad adottare tutte le decisioni «on remission of sentence, parole, early release etc.», determinando un trattamento piú clemente e la liberazione anticipata del condannato. 4.2. L’art. 12 della convenzione prevede che ogni Parte può accordare «pardon, amnesty or commutation of the sentence» – «la grâce, l’amnistie ou la commutation de la peine», conformemente alla Costituzione e alle proprie leggi. Il rapporto esplicativo (par. 59), chiarisce che, benché lo Stato di esecuzione sia l’unico responsabile per l’esecuzione della pena, «inclusa ogni decisione correlata (ad esempio, la decisione di sospendere l’esecuzione)», i relativi provvedimenti possono essere accordati anche dallo Stato di condanna, sicché la norma costituisce un’eccezione alla regola stabilita dall’art. 9 par. 3 della convenzione. Sull’ampiezza del potere attribuito ad entrambi gli Stati dall’art. 12, mentre l’Italia non ha espresso alcuna riserva, hanno avanzato dichiarazioni procedurali soltanto l’Azerbaijan, per cui le decisioni riguardanti l’applicazione di «pardons and amnesties» in relazione a sentenze pronunciate in tale Stato dovranno essere concordate con le competenti autorità, e la Germania, che si è riservata il diritto di trasferire un condannato solo a condizione che, sulla base di una dichiarazione fatta caso per caso o in via generale dallo Stato di esecuzione, il «pardon» sarà concesso da quest’ultimo solo in accordo con le competenti autorità tedesche. L’art. 14 della convenzione prevede che lo Stato di esecuzione debba porre termine all’esecuzione della condanna non appena lo Stato di condanna l’abbia informato di qualsiasi provvedimento che tolga carattere esecutivo alla stessa, quali ad esempio quelli indicati al citato art. 12 (rapporto esplicativo, par. 63). In ogni caso, lo Stato di esecuzione è tenuto ad informare lo Stato di condanna sullo stato dell’esecuzione (art. 15), in particolare quando ritiene cessata l’esecuzione della condanna, ovvero in caso di «sentence served, remission, conditional release, pardon, amnesty, commutation» – «condamnation purgée, remise, libération conditionnelle, grâce, amnistie, commutation» (rapporto esplicativo, par. 64). 4.3. Al fine di migliorare le modalità di cooperazione contenute nella convenzione di Strasburgo del 1983, nell’ambito del programma di misure per l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni penali tra gli Stati appartenenti all’Unione europea, è stata elaborata la proposta – non ancora formalmente approvata (per il testo piú recente v. doc. n. 5602/2008 del 21 aprile 2008 - 164 giurisprudenza italiana COPEN 12) – di decisione quadro «relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea» (doc. Consiglio UE n. 5597/2005 del 24 gennaio 2005). In essa si esplicitano talune regole già contenute nella suddetta convenzione, come quella dell’esecuzione della pena secondo la legislazione dello Stato di esecuzione (art. 17), rimarcandosi che le autorità dello Stato di esecuzione sono le sole competenti a prendere le decisioni concernenti le «modalià» di esecuzione e a stabilire tutte le misure che ne conseguono, compresa la liberazione anticipata o condizionale. Qualora lo richieda, lo Stato di condanna può ottenere informazioni in ordine alle disposizioni applicabili in materia di liberazione anticipata o condizionale, per revocare la richiesta di trasferimento. In ordine ai provvedimenti di clemenza, l’art. 19 conferma che «l’amnistia o la grazia possono essere concesse dallo Stato di emissione nonché dallo Stato di esecuzione». Identiche disposizioni sono contenute nella decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, approvata il 24 febbraio 2005 e relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, rispetto alla quale la l. 25 febbraio 2008 n. 34 (legge comunitaria 2007) reca la delega al governo per l’adozione del decreto legislativo di attuazione, nel senso di «prevedere che eventuali provvedimenti di amnistia o grazia possano essere concessi sia dallo Stato di decisione che dallo Stato italiano» (art. 32 lett. m). 4.4. Il quadro normativo di riferimento in materia di trasferimento di persone condannate va integrato, infine, con il richiamo delle disposizioni contenute in alcuni trattati bilaterali sottoscritti dall’Italia. Nel trattato di cooperazione per l’esecuzione delle sentenze penali con la Thailandia del 28 febbraio 1984, ratificato con l. 27 luglio 1988 n. 369, si stabilisce che lo Stato ricevente può applicare le proprie leggi e le procedure che regolano le modalità di esecuzione della detenzione o delle altre forme di restrizione della libertà, della sospensione condizionale e di «parole», nonché quelle che regolano la «riduzione dei termini di detenzione» a seguito di provvedimento di «parole», di liberazione condizionale o di «altro» tipo di provvedimento («or otherwise»). Si prevede inoltre che spetta «anche» allo Stato trasferente il potere di graziare il condannato o di commutargli la pena. Nel trattato con il Perú del 24 novembre 1994, ratificato con l. 24 marzo 1999 n. 90, si prevede all’art. 10 che lo Stato trasferente si riserva la facoltà di condonare la pena o concedere amnistia o grazia alla persona condannata e che l’esecuzione della pena della persona trasferita dev’essere effettuata conformemente alle norme del regime penitenziario dello Stato ricevente, ivi compresi i benefici contemplati dalla sua legislazione e quelli concessi dallo Stato trasferente. Nel trattato con Hong Kong del 18 dicembre 1999, ratificato con l. 11 luglio 2002 n. 149, si stabilisce all’art. 6 che si applicano le leggi e le procedure dello Stato di esecuzione in ordine alla riduzione del periodo di reclusione, ai provvedimenti di «parole», remissione, commutazione, liberazione condizionale ed «altro». Nel trattato per l’esecuzione delle sentenze penali tra Italia e Cuba del 9 giugno 1998, ratificato con l. 18 luglio 2000 n. 207, si prevede all’art. 12 che «ognuno degli Stati potrà concedere grazia, amnistia o indulto alla persona condannata, in conformità alle sue leggi, comunicandolo immediatamente all’altro Stato». 5. Tanto premesso, le Sezioni Unite ritengono, in primo luogo, che il dato giurisprudenza italiana 165 letterale che fa leva sull’omessa menzione dell’indulto nel testo dell’art. 12 della convenzione di Strasburgo del 1983 non assuma decisivo rilievo ermeneutico, atteso che: la convenzione è redatta nelle due lingue ufficiali del Consiglio di Europa; la traduzione in lingua italiana non è ufficiale; l’«indulto» – «condono», totale o parziale, della pena ai sensi dell’art. 174 comma 1 cod. pen. (diverso dall’indulto meramente commutativo, pure unitariamente delineato nella medesima norma), a differenza della grazia, dell’amnistia e della commutazione della pena, corrisponde ad un istituto ignoto ovvero definito in termini non analoghi negli ordinamenti degli altri Stati contraenti, in particolare del Regno Unito e della Francia. Il rapporto esplicativo chiarisce, infatti, che rientra nei poteri dello Stato di esecuzione ogni decisione di «remission of the penalty» – «remise de peine» (par. 49 e 64) ed è interessante rilevare che con tale espressione sia stata tradotta la nozione di «indulto» in taluni documenti dell’Unione europea elaborati in lingua italiana (lingua ufficiale): ad esempio, nella proposta di decisione del Consiglio che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS: COM(2008) 332 del 27 maggio 2008), fra i parametri comuni di misure incidenti sulla condanna soggetta ad iscrizione, è previsto, nella versione italiana, l’indulto («remission of the penalty» – «remise de peine»), oltre alla grazia e all’amnistia. Del pari, l’indulto previsto dalla legge italiana è identificato nella «remise de peine» dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 maggio 1980, Artico c. Italia, par. 45; Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 luglio 2003, Grava c. Italia, par. 31 ss.; Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 marzo 2006, Pilla c. Italia, par. 19), come in altri documenti di fonte internazionale. Definisce «remise de peine» (d’origine parlementaire) l’indulto secondo la legge italiana uno studio comparativo condotto dal Senato francese nel 2007 sugli istituti clemenziali previsti in taluni Stati europei (Les documents de travail du Sénat, série Législation Comparée, l’amnistie et la grâce, doc. LC 177, 1 octobre 2007), rilevando che in Italia e in Portogallo sono previste forme di remises de peine da parte del Parlamento, simili alla «grazia collettiva» (pardon collective), che, tradizionalmente concessa dal Presidente della Repubblica in occasione della festa nazionale francese, comporta una «remise partielle de peine» per le persone detenute o condannate da calcolarsi sulla pena da scontare; secondo tale studio, anche in Belgio e in Olanda si è fatto ricorso a grazie collettive, accordate dal Re. E la Corte di Cassazione francese (Cour de cassation, Chambre Criminelle, 10 marzo 1998 n. 97-81.151), in relazione al trasferimento di un condannato dal Regno Unito, ha sostenuto che, in base agli artt. 9 par. 3 e 10 par. 1 della convenzione di Strasburgo, alla residua pena da scontare si applica la legislazione francese, escludendo peraltro nella specie, ma solo ratione temporis, l’applicazione di una «remise de peine résultant du décret de grace collective» emanato prima del trasferimento del condannato in Francia. In particolare, circa la figura del «collective pardon», risulta dai documenti del Consiglio d’Europa che tale istituto, distinto dall’amnistia, è previsto oltre che in Italia (cosı́ è definito l’indulto ex legge n. 241 del 2006) in Austria, Armenia, Belgio, Francia, Moldovia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Macedonia. I «collective pardons» sono presi in considerazione nell’appendice (par. 23) alla raccomandazione R(99)22 adottata il 30 settembre 1999 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, riguardante il sovrapopolamento delle carceri, 166 giurisprudenza italiana che, nell’incoraggiare lo sviluppo di misure per ridurre la durata delle pene da scontare, indica la preferenza per misure individuali come il provvedimento di «parole», rispetto a misure collettive per lo svuotamento delle carceri («amnesties, collettive pardons»). L’eterogeneità degli istituti di clemenza previsti dalle legislazioni dei Paesi europei è stata rilevata, d’altra parte, sia dalla Commissione europea nel Libro verde sul ravvicinamento, il reciproco riconoscimento e l’esecuzione delle sanzioni penali nell’Unione europea (COM(2004) 334 del 30 aprile 2004, par. 3.1.8., p. 36), per cui «le legislazioni degli Stati membri sull’amnistia e la grazia differiscono considerevolmente», sia dall’Avvocato Generale della Corte di giustizia delle Comunità europee nelle conclusioni presentate l’8 aprile 2008 nella causa C-297/2007 (parte D, par. 80), riguardante la questione pregiudiziale dell’applicazione del principio di ne bis in idem in caso di mancata esecuzione della pena per effetto di «amnistia». Con questo termine, ha osservato l’Avvocato Generale, si definisce, in un’accezione ampia, «qualsivoglia misura di perdono o remissione delle pene, inclusa la grazia» (tradotta in lingua italiana «indulto» dal testo originario in spagnolo), che si caratterizza per l’individualità, a differenza di altre misure di clemenza rivolte ad un gruppo di persone, senza che ne sia alterata la comune «efficacia estintiva dello ius puniendi» in tutti gli Stati. È altresı́ significativo rilevare che il Portogallo, che ha un istituto di clemenza simile all’indulto (c.d. pardon parlamentare o generale), ha previsto nella legislazione sulla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale (legge n. 144 del 31 agosto 1999 e succ. modd., art. 101) che, in caso di trasferimento dell’esecuzione in Portogallo, l’amnistia, il «perdão genérico» e la grazia possono essere concessi da entrambi gli Stati. In definitiva, emerge chiaramente dall’indagine comparativistica la non perfetta sovrapponibilità degli istituti dell’amnistia e della grazia, coprendo le rispettive nozioni situazioni affatto eterogenee nei vari Stati, sicché il mero dato testuale, che fa leva sull’omessa menzione dell’indulto nell’art. 12 della convenzione, appare sprovvisto di reale incidenza ermeneutica per la soluzione della questione giuridica controversa. La ricostruzione sistematica della reale portata della disciplina va piuttosto affidata ai piú solidi criteri ermeneutici costituiti dalla «equivalenza giuridica degli istituti» e dalla ratio della disciplina dettata dalla convenzione, nella prospettiva della razionalità e dell’organicità del sistema fondato sulla fonte sopranazionale e multilaterale e nel rispetto del metodo interpretativo desumibile dalle direttive della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. 6. D’altra parte, la tesi contraria all’applicazione dell’indulto non è suffragata neppure dall’asserita natura eccezionale e di stretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 12 della convenzione, dal momento che il regime giuridico dell’esecuzione per i condannati trasferiti in Italia è disegnato alla stregua della regola fondamentale enunciata dall’art. 9 par. 3, secondo cui «l’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l’unico competente a prendere ogni appropriata misura al riguardo» e in forza del quale le modalità di esecuzione della pena devono conformarsi ai principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato italiano. Che la disciplina degli artt. 9 e 10 della convenzione faccia salvo l’ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione, i suoi principi e le sue regole costitu- giurisprudenza italiana 167 zionali è stato perentoriamente affermato dal Giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 73 del 2001), che, chiamato a pronunciarsi, nella vicenda del trasferimento dagli Stati Uniti della cittadina italiana Silvia Baraldini, sulla legittimità costituzionale dell’art. 2 della l. 25 luglio 1988 n. 334, nella parte in cui, nel dare esecuzione alla convenzione del 1983, consentirebbe di derogare, mediante la stipulazione degli accordi di trasferimento, all’applicazione di istituti a tutela di diritti fondamentali della persona, ha cosı́ ricostruito il sistema e lo spirito della convenzione di Strasburgo: a) lo Stato di condanna può potestativamente prestare o negare il consenso al trasferimento del condannato, quando ritenga che il regime legale dell’esecuzione penale nel potenziale Paese di esecuzione, rispettivamente, sia o non sostanzialmente equivalente a quello previsto dal proprio ordinamento e, perché passa prendere le proprie determinazioni con cognizione di causa, dev’essere informato circa i caratteri di tale regime nello Stato di esecuzione; b) lo Stato di esecuzione, a sua volta, è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione, quale è prevista nell’ordinamento dello Stato di condanna, «ma non al di là del limite superato il quale si determinerebbe una rottura del proprio ordinamento», essendo possibile per evitare tale conseguenza, in caso di disomogeneità degli ordinamenti, operare l’adattamento che la salvaguardia dei principi fondamentali di quello interno, in particolare le sue regole costituzionali, rende strettamente necessario; c) è chiaramente esclusa, tuttavia, «l’eventualità che il soggetto trasferito sia sottoposto a un vero e proprio regime di esecuzione speciale e personale, concernente i diritti, oltre che i doveri, che lo riguardano come detenuto». Va segnalato al riguardo che alla Baraldini è stato applicato l’indulto ex legge n. 241 del 2006 dalla Corte d’Appello di Roma, con ordinanza irrevocabile del 21 settembre 2006, cit., e che il Ministero della giustizia, sulla richiesta di collaborazione avanzata in un caso analogo dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, aveva già espresso l’avviso, con nota del 4 dicembre 2001, che la mancata indicazione dell’indulto all’interno della norma dell’art. 12 della convenzione si giustifica, secondo gli uffici ministeriali, con il fatto che non è previsto, nelle legislazioni dei Paesi aderenti alla convenzione di Strasburgo, un istituto che produca gli stessi effetti né si rinviene, sul piano della terminologia francese e anglosassone, un’espressione equivalente, non potendosi escludere che nel termine «commutazione» vada ricompreso anche l’indulto, in quanto «appare logicamente innegabile che il piú contenga il meno». La tesi favorevole all’esclusione del carattere tassativo della disciplina posta dall’art. 12, dovuta alla semplificazione delle formule, necessariamente comprensive di istituti equivalenti in un contesto multilaterale, trova, d’altra parte, determinante sostegno nelle numerose, precise ed inequivoche indicazioni contenute del rapporto esplicativo. Ed invero: nel par. 47, ribadito il criterio per cui l’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione, viene precisato che il riferimento a tale legge deve essere interpretato in senso ampio, sı́ da ricomprendervi, «per esempio», la liberazione condizionale, misura pure non elencata nell’art. 12 della Convenzione; il par. 59 avverte che nel riconoscimento al solo Stato di esecuzione della responsabilità dell’esecuzione della condanna è compresa, «per esempio», la facoltà di disporne la sospensione; il par. 64, in riferimento all’art. 15 della convenzione riguardante le informazioni sull’esecuzione della pena, contiene l’elenca- 168 giurisprudenza italiana zione di varie cause che determinano la cessazione dell’esecuzione («per esempio»: espiazione della pena, remissione della stessa, liberazione condizionale, grazia, amnistia, commutazione), delle quali alcune non sono certo riconducibili ai singoli istituti menzionati dall’art. 12. 7. A conclusione dei precedenti rilievi esegetici ritengono le Sezioni Unite che non sia rispondente alla corretta interpretazione dell’art. 12, né tantomeno allo spirito e alle finalità della convenzione di Strasburgo, la tesi che esclude l’applicazione dell’indulto in base alla pretesa natura eccezionale e tassativa della disciplina ivi contenuta. Puntuali e decisivi argomenti logici e sistematici militano, per contro, a favore della tesi che – in contrasto con la soluzione accolta dalla pur costante giurisprudenza di legittimità – interpreta il citato art. 12 nel senso che gli Stati contraenti hanno fatto riferimento alla grazia, all’amnistia e alla commutazione della pena non con l’intento di limitare i benefici concedibili ai condannati, ma per designare qualsiasi, equivalente, istituto che, nell’ambito dei singoli ordinamenti, corrisponde all’esercizio di un potere di clemenza, sia in forma individuale che generalizzata, diretto alla sostanziale riduzione della pena. È stato lucidamente osservato, in proposito, che l’amnistia può essere rappresentata come un cerchio concentrico di dimensioni maggiori rispetto all’indulto, essendo quest’ultimo compreso nel primo, di guisa che, agli effetti della disciplina dell’art. 12, tracciare distinzioni tra i due istituti significa introdurre discriminazioni non ragionevoli, restando priva di qualsiasi, plausibile, base logica una soluzione che ammetta l’applicazione dell’amnistia (che estingue il reato e, di riflesso, la relativa pena) e, contemporaneamente, neghi l’applicazione dell’indulto, che ha effetti ben piú contenuti, incidendo soltanto sulla pena. Va infine rilevato che l’eventuale interpretazione di segno difforme potrebbe indurre ad un rilievo d’incostituzionalità della legge di ratifica della convenzione, in quanto esporrebbe il cittadino italiano condannato all’estero che sia stato trasferito in Italia per l’esecuzione della condanna ad un trattamento (irragionevolmente) deteriore rispetto agli altri detenuti, italiani e stranieri, i quali potrebbero beneficiare nella fase esecutiva della generalità degli istituti clemenziali e dei benefici previsti dalle rispettive legislazioni: e ciò nonostante lo scopo dichiarato del trasferimento del condannato che è quello di favorirne il reinserimento sociale nel Paese d’origine. 8. Di talché, aderendo alla soluzione ermeneutica prospettata sia dalla Sezione rimettente che dal Procuratore Generale, può enunciarsi il seguente principio di diritto: «È applicabile l’indulto (di cui, nella specie, alla l. 31 luglio 2006 n. 241) alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena con la procedura stabilita dalla convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 25 luglio 1988 n. 334». E, poiché la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata non risulta coerente col principio di diritto suindicato, il ricorso va accolto disponendosi, di conseguenza, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. P.Q.M., (la Corte) annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano. giurisprudenza italiana 169 Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 27 ottobre 2008 n. 25875 Primo Presidente, Carbone - Consigliere Rel., Travaglino - P.M., Martone (concl. conf.) Nei ricorsi riuniti proposti da Caracciolo (avv. Giovannetti, Weigmann, Montalenti) contro Grande Stevens (avv. Aloisio, Gandini), Agnelli de Pahlen (avv. Abbatescianni, Coggiatti, Vaccarella) e Maron e Gabetti (intimati); e da Maron (avv. Pontecorvo, Carbone) contro Agnelli de Pahlen (avv. Abbatescianni, Coggiatti, Vaccarella), Grande Stevens (avv. Aloisio, Gandini) e Gabetti e Caracciolo (intimati). In una controversia avente ad oggetto principale la petitio haereditatis e lo scioglimento della comunione ereditaria relativa ad una successione apertasi in Italia (e, solo in via incidentale e condizionata, l’efficacia e la validità dell’atto transattivo stipulato tra le parti della controversia) sussiste la giurisdizione del giudice italiano ai sensi dell’art. 50 della legge 31 marzo 1995 n. 218, trattandosi di materia esclusa dall’ambito di applicazione della convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 ai sensi dell’art. 1. Ai sensi dell’art. 6 della convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 sussiste la giurisdizione italiana in una controversia avente ad oggetto obbligazioni di rendiconto relative alla gestione di una successione apertasi in Italia promossa nei confronti dei gestori chiamati al rendiconto, due dei quali domiciliati in Italia e uno nella Confederazione elvetica, per la presenza del vincolo di connessione derivante dalla funzione unitariamente ricostruttiva di un unico asse ereditario esperita dall’azione esercitata e dal nesso di pregiudizialità rispetto alla petitio haereditatis esercitata nel medesimo giudizio. 1* Premesso in fatto. 1) che Margherita Agnelli, nella dichiarata qualità di erede di Giovanni Agnelli (deceduto a Torino il 24 gennaio 2003), ha citato dinanzi al tribunale del capoluogo piemontese la madre, Marella Caracciolo (in qualità di coerede), e Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Siegfried Maron (quali professionisti della cui attività il de cuius si era avvalso per la gestione del proprio patrimonio), rassegnando le conclusioni che seguono: a) in via preliminare, ordinare ex art. 263 cod. proc. civ. disgiuntamente all’avv. Franzo Grande Stevens, al dr. Gianluigi Gabetti e al signor Siegfried Maron il rendimento del conto, con l’esibizione di tutta la necessaria documentazione, relativa alla gestione di tutti i beni di proprietà del de cuius, anche se detenuti indirettamente, ovunque essi si trovino, siano essi mobili, immobili, depositi bancari, titoli, investimenti in genere, anche se realizzati attraverso fondazioni, trusts e analoghi istituti fiduciari, nonché partecipazioni sociali; disporre che il conto venga sottoscritto, reso in forma analitica, cespite per cespite, con precisazione degli atti di gestione compiuti e con l’indicazione dell’evoluzione storica del valore nei due periodi che vanno, rispettivamente, dal 24 gennaio 1993 e fino al 24 gennaio 2003, nonché da tale ultima data al momento della resa del conto; b) in via pregiudiziale, ove occorra, dichiarare la nullità, annullabilità, ineffica* Tutte le pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: 27 settembre 1988, causa C-189/1997, ivi, 1989, p. 927 ss.; 27 ottobre 1998, causa C-51/1997, ivi, 1999, p. 191 ss.; 13 luglio 2006, causa C-593/1943, ivi, 2007, p. 229 ss. 170 giurisprudenza italiana cia degli accordi intercorsi in Svizzera tra la sig.ra Margherita Agnelli e donna Marella Caracciolo successivamente all’apertura della successione del senatore Giovanni Agnelli; c) in via principale, accertare e dichiarare nei confronti di tutti i convenuti la qualità di erede del senatore Giovanni Agnelli, a norma dell’art. 581 cod. civ., dell’attrice sig.ra Margherita Agnelli in relazione a tutti i beni oggetto di rendiconto; d) in via principale eventuale, condannare l’avv. Franzo Grande Stevens, il dott. Gianluigi Gabetti e il sig. Siegfried Maron in solido al risarcimento dei danni eventualmente provocati dalla loro violazione degli obblighi di mandatari e/o gestori di affari altrui in relazione all’asse ereditario, nella misura che verrà determinata in corso di causa a favore delle coeredi; e) in via principale, dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria mediante assegnazione in proprietà esclusiva, nella misura che verrà accertata in corso di causa, con obbligo di collazione, del beni facenti parte della massa ereditaria, previe tutte le necessarie stime del valore economico dei cespiti, anche a mezzo di consulenza tecnica ai fini della formazione dei lotti di beni da dividere; f) in via subordinata, in caso di ravvisata non materiale divisibilità dei singoli beni oggetto di comunione ereditaria, previa loro stima, disporre la vendita degli stessi con liquidazione pro-quota a ciascun erede del ricavato; 2) che, nel costituirsi in giudizio, Marella Caracciolo ha eccepito il difetto di giurisdizione dei giudice italiano, indicando come competente a decidere la causa il giudice svizzero, in conseguenza della domanda, definita «pregiudiziale» dalla stessa attrice, avente ad oggetto (supra, sub b) la declaratoria di nullità, annullabilità, inefficacia degli accordi intercorsi inter partes in Svizzera in epoca posteriore all’apertura della successione di Giovanni Agnelli. Tale eccezione, poi consacrata nel ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, trovava giuridico fondamento, secondo quanto opinato da parte convenuta, nelle circostanze per cui: a) entrambe le eredi erano residenti in Svizzera, onde doveva nella specie ritenersi impredicabile il riferimento all’art. 3, comma primo della legge n. 218/ 1995 al fine di radicare la giurisdizione del giudice italiano; b) ai sensi dell’art. 2 della convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 (ratificata in Italia con legge n. 198/1992), le persone aventi domicilio nel territorio di uno Stato contraente dovevano essere convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato; c) tale regula iuris era stata, peraltro, espressamente recepita e consacrata in seno ad una convenzione negoziale di natura transattiva stipulata tra le parti in Svizzera il 18 febbraio 2004, onde porre fine alla controversia relativa alla successione per la quale è processo. Si era, difatti, convenuto che ogni controversia afferente alla materia de qua sarebbe stata sottoposta alla competenza esclusiva del giudice svizzero; d) alla carenza di giurisdizione del giudice italiano sulla domanda pregiudiziale in parola conseguiva, specularmente, quella sulle altre domande cosı́ come proposte in citazione. 3) che il difetto di giurisdizione del giudice italiano è stato altresı́ eccepito, e riproposto con altro ricorso per regolamento preventivo, dal convenuto Siegfried Maron, il quale, nella qualità di cittadino svizzero residente nella Confederazione elvetica, ha dal suo canto invocato l’applicazione della già ricordata convenzione di Lugano, preliminarmente, nella parte in cui (art. 2) essa stabilisce la regola del foro giurisprudenza italiana 171 del domicilio del convenuto, e comunque, in via generale, in conseguenza del petitum attoreo, sı́ come avente ad oggetto obbligazioni di rendiconto relative al c.d. Family Office (e ciò tanto in caso di ritenuta natura contrattuale di tali obbligazioni, dacché eseguite integralmente in Svizzera, con conseguente applicazione dell’art. 5 e/o 16 della convenzione di Lugano, quanto in ipotesi di asserito carattere aquiliano delle obbligazioni medesime, trovando in tal caso applicazione il criterio di collegamento del luogo di attuazione dei comportamenti generatori del danno). Secondo quanto ancora opinato dal ricorrente, non appariva legittimamente invocabile, nella specie, l’applicazione dell’art. 6 della convenzione di Lugano (che, in caso di pluralità di convenuti, prevede che tutte le parti possano essere citate dinanzi al giudice nella cui circoscrizione è ubicato il domicilio di una di esse), attesa la mancanza di connessione tra le domande di rendiconto (espressamente introdotte in via disgiuntiva e latere actoris). 4) che nulla hanno osservato gli altri convenuti, Grande Stevens e Gabetti, in ordine alla questione di giurisdizione, il primo rimettendosi, in sede di controricorso, alle decisioni di questa corte regolatrice. 5) che Margherita Agnelli ha altresı́ proposto ricorso ex art. 42, comma primo cod. proc. civ. avverso il provvedimento con il quale, a seguito della proposizione del sopradescritto regolamento di giurisdizione, il Tribunale di Torino ha sospeso il giudizio di merito ex art. 367 cod. proc. civ. 6) che tutte le parti hanno depositato tempestive memorie. Osserva in diritto. Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi proposti, rispettivamente, ex artt. 41 e 42 del codice di rito civile. I ricorsi per regolamento di giurisdizione non possono essere accolti, dovendo il processo proseguire dinanzi al giudice italiano. Il ricorso per regolamento di competenza va dichiarato conseguentemente inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. 1) Quanto al ricorso Caracciolo, è convincimento di queste Sezioni Unite che, al di là ed a prescindere da qualsiasi questione in ordine alla esistenza, validità, efficacia dell’accordo transattivo stipulato tra le due coeredi del senatore Giovanni Agnelli in epoca successiva alla sua morte, l’identificazione del giudice competente a conoscere, quoad iurisdictionis, della presente controversia debba essere compiuta con riferimento al contenuto dell’atto di citazione (riportato in narrativa per esteso), onde individuare compiutamente i rapporti tra le diverse domande in esso contenute. Una puntuale esegesi dell’atto processuale de quo, pur condotta entro i limiti consentiti a questa Corte dalla natura del presente giudizio, conduce alla irrefutabile conclusione secondo cui domanda principale è senz’altro a dirsi quella avente ad oggetto la petitio haereditatis, formulata dall’attrice, nonché quella, ad essa conseguente, di scioglimento della comunione ereditaria (supra, sub 1, c ed e). La richiesta di «dichiarare» la nullità, annullabilità, inefficacia degli accordi intercorsi in Svizzera tra la sig.ra Margherita Agnelli e donna Marella Caracciolo, di cui al punto b dell’atto di citazione, si pone, difatti, oltre che in un rapporto di pregiudizialità soltanto eventuale rispetto alla domanda successoria svolta in via principale, anche e soprattutto sul piano del merito della causa (atteso che, in via di ipotesi astratta, l’eccezione di transazione sı́ come paventata dall’attrice sarebbe ben potuta non essere opposta dalla convenuta) e, come tale, irremediabilmente sottratta alla cognizione e all’esame di questa Corte quoad iurisdictionis. Corretta appare, pertanto, 172 giurisprudenza italiana la qualificazione giuridica che, alla piú volte ricordata pregiudiziale sub b dell’atto introduttivo del giudizio di merito, parte attrice attribuisce in questa sede, rappresentandola (a giusta ragione) in termini di «accertamento incidentale condizionato» quanto alla (eventuale) inefficacia lato sensu da attribuirsi all’atto transattivo stipulato in Svizzera tra le stesse parti della controversia successoria. La natura ereditaria dell’odierna controversia non può, pertanto, subire alcuna mutazione, né genetica né funzionale, sul piano del petitum e della causa petendi, per il solo fatto che l’attore, in previsione di una possibile eccezione di res litis transacta, ne chieda, in limine, un accertamento pregiudiziale a sé favorevole, poiché, va ribadito, tale questione attiene evidentemente al merito della controversia, e non alla giurisdizione (restando cosı́ superate tutte le questioni – pur sollevate in sede di ricorso, di memorie e di discussione orale dalle parti e dal rappresentante dell’ufficio del P.G. nelle sue richieste scritte del 23 luglio 2008 – in ordine agli altrettanto controversi aspetti formali e sostanziali dell’atto transattivo de quo). Ne consegue la applicabilità, nella specie, dell’art. 1 della convenzione di Lugano, a mente del quale le cause ereditarie sono escluse dalla relativa sfera di applicazione, rientrando esse, di converso, nella previsione dell’art. 50 della legge n. 218/1995: essendosi la successione del senatore Giovanni Agnelli apertasi in Italia, sarà il giudice di questo Paese l’autorità competente a conoscere della controversia di merito. 2) Quanto al ricorso Maron, esso appare a sua volta destituito di giuridico fondamento, per un duplice ordine di ragioni: – da un canto, difatti, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell’azione di rendiconto proposta nei suoi confronti (che essa, riguardi, cioè, rapporti obbligatori sorti ex contractu piuttosto che ex delicto), deve trovare nella specie applicazione l’art. 6 della convenzione di Lugano (in forza del quale l’esistenza di una pluralità di convenuti consente all’attore la citazione di tutti dinanzi al giudice nella cui circoscrizione è situato il domicilio di uno di essi: nella specie, i convenuti nella stessa domanda di rendiconto, Grande Stevens e Gabetti, hanno domicilio in Italia), la cui interpretazione, alla luce dei piú recenti orientamenti della Corte di giustizia (ex multis, 27 settembre 1988, in causa C-189/1987; 27 ottobre 1998, in causa C-51/1997; 13 luglio 2006, in causa C-539/2003, ove è specificato, tra l’altro, che «spetta al giudice nazionale valutare la sussistenza di un vincolo di connessione fra le varie domande ad esso presentate, vale a dire del rischio di soluzioni incompatibili se le cause fossero decise separatamente») è quella secondo cui: a) le varie domande devono avere tra loro un vincolo di connessione al momento del loro esperimento; b) deve sussistere un interesse ad un’istruttoria e ad una pronuncia uniche per evitare il rischio di soluzioni eventualmente incompatibili se le cause fossero decise separatamente; c) non è inoltre necessario verificare ulteriormente che dette domande non siano state presentate esclusivamente allo scopo di sottrarre uno dei convenuti ai giudici dello Stato membro in cui egli ha il suo domicilio; d) non osta, infine, la circostanza che domande proposte nei confronti di una pluralità di convenuti abbiano fondamenti normativi diversi. Vere tali premesse (che possono testualmente rinvenirsi nel dispositivo della sentenza 13 luglio 2006, in causa C-539/2003, dianzi citata), appare non revocabile in dubbio la predicabilità, nel caso di specie, di tutti i necessari presupposti di un giudizio unico nei confronti dei tre soggetti gestori chiamati al rendiconto, attesa la giurisprudenza italiana 173 funzione unitariamente ricostruttiva di un altrettanto unitario asse ereditario cui l’azione esperita mira in concreto, senza che spieghi alcuna influenza, in contrario, la natura disgiuntiva dell’incarico ricevuto dai chiamati al rendiconto; – dall’altro, non può non considerarsi l’ulteriore, evidente rapporto di connessione da pregiudizialità della causa di rendiconto rispetto a quella principale di petitio haereditatis, con conseguente attrazione della prima nell’orbita di quest’ultima, con conseguente individuazione, anche sotto tale profilo, della competenza giurisdizionale del giudice italiano, giusta il combinato disposto dell’art. 1 della convenzione di Lugano e dell’art. 50 della legge n. 218/1995. Il regolamento di competenza proposto da Margherita Agnelli deve essere, all’esito di tale decisum, dichiarato inammissibile poiché ormai carente di interesse. La disciplina delle spese (che possono essere in questa sede compensate, attesa la natura, la complessità e la rilevanza delle questioni trattate) segue come da dispositivo. P.Q.M., la Corte riunisce i ricorsi, dichiara la giurisdizione del giudice italiano e dichiara altresı́ inammissibile il regolamento di competenza. Spese interamente compensate tra tutte le parti costituite. GIURISPRUDENZA IN BREVE Corte di Cassazione, sentenza 25 luglio 2007 n. 16417, Ufficio territoriale del Governo di Torino (avv. dello Stato) c. Fofana Cheikh (intimato). Ai fini dell’accertamento di un fatto persecutorio che, ai sensi dell’art. 19 comma 1 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, impedisce l’espulsione dello straniero, ove potenzialmente esposto a persecuzione anche per motivi sessuali nello Stato di origine, occorre verificare se la legislazione del medesimo preveda come reato il fatto in sé, ovvero soltanto l’ostentazione delle pratiche omosessuali non conformi al sentimento pubblico del Paese stesso; tale verifica richiede un rigoroso esame del materiale probatorio volto, anzitutto, all’accertamento delle qualità del soggetto. Con sentenza 25 luglio 2007 n. 16417, la Corte di Cassazione (pres. Adamo, rel. Piccininni, p.m. Golia, conf.) ha cassato con rinvio il decreto del Giudice di pace di Torino il quale, avendo accertato che nel Senegal l’omosessualità è punita con la reclusione, aveva accolto il ricorso presentato da un cittadino senegalese contro il decreto di espulsione, cosı́ motivando: «va innanzitutto osservato, in via preliminare, che è del tutto condivisibile l’affermazione contenuta nel decreto impugnato, secondo la quale l’omosessualità va riconosciuta ‘‘come condizione dell’uomo degna di tutela, in conformità ai precetti costituzionali’’, assunto da cui discende che la libertà sessuale va ‘‘intesa anche come libertà di vivere senza condizionamenti e 174 giurisprudenza italiana restrizioni le proprie preferenze sessuali’’ in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalità, tutelato dall’art. 2 della Costituzione. «Partendo da tale corretta premessa, tuttavia, il giudice di pace è pervenuto a conclusioni che non appaiono sorrette da adeguata motivazione. «Egli ha infatti ritenuto sussistere l’ipotesi prevista dall’art. 19 comma 1 d.lgs. n. 286/1998 (che stabilisce il divieto di espulsione dello straniero, ove potenzialmente esposto a persecuzione, fra l’altro per motivi di sesso ricorrenti nella specie) in ragione di un duplice dato, vale a dire la configurabilità di un fatto persecutorio nella previsione della omosessualità come reato, punito con la reclusione da uno a cinque anni, nello Stato di appartenenza del soggetto espulso (Senegal), e l’accertata omosessualità del Fofana. «Come rilievo preliminare sul primo dato sopra considerato sembra intanto utile precisare che per persecuzione si deve intendere una forma radicale e spietata di lotta contro una minoranza, che si manifesta con maltrattamenti, soprusi, coercizioni e modalità comunque contrarie alla tutela dei diritti umani. «Tale strategia di aggressione può però essere attuata non solo con vessazioni di carattere materiale, ma anche sul piano giuridico sicché, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, per integrare il concetto di persecuzione è sufficiente – in via del tutto astratta e salve le ulteriori specificazioni sul punto – la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione (tanto piú ove le modalità di attuazione del trattamento penitenziario nello Stato senegalese avessero carattere vessatorio e fossero lesive della dignità umana), non essendo a tal fine necessaria anche la concreta emanazione di una condanna. «Tuttavia, oltre al fatto che non è stato accertato se l’ordinamento giuridico senegalese preveda degli istituti che consentano il differimento della esecuzione della pena o la sua attuazione al di fuori delle strutture penitenziarie (quali a titolo esemplificativo la sospensione della pena o l’affidamento al servizio sociale), il punto di decisiva rilevanza che è rimasto in ombra nella decisione impugnata è quello relativo all’identificazione dell’oggetto del precetto penale dettato nella legislazione senegalese. «Ed invero, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la statuizione relativa al divieto di espulsione non è errata perché in contrasto ‘‘con le basi del principio di autodeterminazione e sovranità dello Stato straniero inteso come sistema di norme’’, e ciò in quanto la questione da affrontare non è quella concernente la possibile interferenza della decisione con l’autonomia legislativa degli altri Stati, ma piuttosto quella di soddisfare l’esigenza di evitare ingiuste sopraffazioni nei confronti di cittadini stranieri, aprioristicamente legate ad un fatto di appartenenza (razza, sesso, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali). «Tuttavia, fermo restando quanto sinora esposto, il semplice richiamo alla rilevanza penale attribuita all’omosessualità nello Stato senegalese non vale di per sé ad integrare gli estremi del fatto persecutorio, essendo questo configurabile soltanto laddove la sanzione penale sia prevista con riferimento alla qualità dell’agente, e non necessariamente anche in relazione alla pratiche che dalla stessa eventualmente conseguano. «Ai fini dell’accertamento della ravvisabilità o meno di un fatto persecutorio occorre cioè stabilire, venendo al concreto, se la legislazione senegalese preveda come reato il fatto in sé dell’omosessualità (ipotesi che certamente varrebbe in sé ad integrarne gli estremi), ovvero soltanto l’ostentazione delle pratiche omosessuali giurisprudenza italiana 175 non conformi al sentimento pubblico di quel paese atteso che, in tale ultimo caso, il divieto non si sottrarrebbe al principio di ragionevolezza. «Solo nella prima ipotesi, infatti, sarebbe ravvisabile un fatto persecutorio, alla stregua dei principi generali di libertà e dignità della persona. L’accoglimento dell’opposizione del Fofana, come detto, è stata determinata dall’ulteriore dato relativo alla prova che sarebbe stata raggiunta in ordine alla sua omosessualità. «In particolare è stato già rilevato che detta prova è stata ricavata dall’essersi egli ‘‘iscritto all’Arci Gay in tempi non sospetti, subito dopo il suo ingresso in Italia, e di essere socio da diversi anni di un altro club riservato agli omosessuali’’. «Si tratta certamente di elementi indiziari significativi, che però non risultano tali da conferire la certezza necessaria alla dichiarata omosessualità del Fofana. «Giova innanzitutto premettere, in proposito, che la natura della fattispecie in esame richiede una rigorosa attenzione nell’esame del materiale probatorio, poiché è una ipotesi derogatoria rispetto alla disciplina generale dell’espulsione e per di piú, ove diversamente considerata, potrebbe dare adito a strumentalizzazioni e ad agevoli elusioni della disciplina generale, strumentalizzazioni che non possono comunque essere escluse solo per il tempo trascorso dalla data di iscrizione ai Club (cui il giudicante ha annesso significativa rilevanza), non necessariamente riconducibile ad una genuinità di intenti. «Orbene, alla luce di quanto ora esposto è da ritenere che la semplice iscrizione (nel caso in esame duplice) ad un club di omosessuali non rappresenti una prova sufficiente a dare dimostrazione di una omosessualità dichiarata dell’iscritto, la quale pure potrebbe provarsi con il ricorso alla prova orale. «Indipendentemente da quanto detto a proposito della possibile strumentalità delle adesioni (che già di per sé renderebbe insufficiente la prova della omosessualità, ove non ulteriormente confortata), va infatti rilevato che dal provvedimento del Giudice di pace non si evince che vi sia stato accertamento in ordine alla limitazione della iscrizione in favore di omosessuali, che al contrario dall’art. 8 dello statuto dell’Arci Gay, quale riportato nel ricorso, si desume che l’iscrizione non soffre di limitazioni sul piano sessuale (la stessa è invero consentita a tutti coloro che si riconoscono nelle finalità dell’associazione), che non solo non vi sono ragioni di ordine logico che possano indurre a prevedere limiti di iscrizione in relazione agli orientamenti sessuali, ma sono viceversa individuabili chiare ragioni in senso opposto, non essendovi motivo di operare discriminazioni sulla base di opzioni personali sul piano sessuale (eterosessuale o omosessuale), a fronte di iniziative di sostegno in favore dell’associazione per le finalità da essa perseguite». Corte di Cassazione, sentenza 2 agosto 2007 n. 17005, Chiavetta (avv. Ramadori, Coran, Reiterer) c. Nicolardi (intimato). Corte di Cassazione, sentenza 2 agosto 2007 n. 17006, Marpasa s.p.a. (avv. Stabile) c. Bellefroid (intimata). La proposizione dell’opposizione alla decisione che respinge l’istanza per la dichiarazione di esecutività di cui all’art. 40 della convenzione di Bruxelles del 27 176 giurisprudenza italiana settembre 1968 è soggetta ai medesimi termini di cui all’art. 36 della stessa convenzione per l’opposizione alla decisione di accoglimento e che decorrono dalla notificazione della decisione; avverso la decisione emessa dalla corte d’appello sull’istanza di riconoscimento la parte deve necessariamente proporre opposizione avanti alla stessa corte prima di ricorrere in cassazione, posto che il giudizio delineato dalla suddetta convenzione per il riconoscimento di una sentenza di uno Stato contraente in un altro Stato è articolato su tre gradi. In data 2 agosto 2007 la Corte di Cassazione ha pronunciato due sentenze in materia di opposizione alla decisione di una Corte d’Appello sulla richiesta di esecutività di una sentenza straniera emessa in uno Stato parte della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 a norma dei suoi artt. 36 ss. Nella sentenza n. 17005 (pres., Adamo, rel., Ragonesi, p.m. Uccella, conf.) la Corte ha tra l’altro cosı́ statuito: «In merito alla tardività dell’opposizione per deposito dell’apposizione oltre il termine, la Corte d’Appello non stabilisce quale fosse il termine entro cui effettuare il deposito stesso non facendo richiamo ad alcuna norma in proposito. «Nella fattispecie tuttavia è di tutta evidenza che il riferimento normativo per la determinazione del termine per proporre opposizione non può che essere quello di cui agli artt. 36 e 40 della legge n. 804/1971 di ratifica della convenzione di Bruxelles. (Omissis) «Tutto ciò chiarito, si osserva che l’art. 36 della convenzione di Bruxelles stabilisce che, se l’esecuzione viene accordata, la parte contro cui viene fatta valere può proporre opposizione nel termine di trenta giorni dalla notifica della decisione. «Tale termine peraltro diviene di sessanta giorni se la parte che deve proporre opposizione è domiciliata in uno Stato diverso da quello della emanazione della decisione. «L’art. 40 disciplina la diversa ipotesi – ricorrente nel caso di specie – dell’opposizione che deve essere proposta da chi ha visto rigettare la propria istanza di esecuzione della decisione straniera. «Tale articolo non contiene invero alcuna disposizione circa i termini entro cui l’opposizione debba essere proposta. «A tale proposito va, peraltro, osservato che l’opposizione in esame costituisce una vera e propria impugnazione la cui disciplina è contenuta negli articoli da 36 a 41 della convenzione di Bruxelles che, tra l’altro, stabiliscono le autorità giurisdizionali dei diversi paesi innanzi alle quali si può proporre l’opposizione, fissano i termini di impugnazione, disciplinano la costituzione dell’opposto e la contumacia, regolano le ipotesi di sospensione del giudizio, prevedono l’adozione di provvedimenti conservativi e stabiliscono le ipotesi di ricorso ad una istanza superiore. «La ricostruzione dell’intero sistema impugnatorio va quindi fatta sulla base di una interpretazione d’insieme del quadro normativo citato che si presenta come un complesso unitario. «In base a ciò deve necessariamente ritenersi che, non potendo i termini per proporre l’opposizione che essere gli stessi per entrambe le parti in causa, sia che queste siano uscite vittoriose o perdenti dal giudizio, i termini previsti all’art. 36 della convenzione di Bruxelles, convertita con legge n. 804/1971, rivestono carattere generale e sono quindi applicabili in ogni caso di opposizione qualunque sia la parte impugnata e qualunque sia stato l’esito del giudizio e, quindi, anche nella fattispecie disciplinata dall’art. 40 della convenzione». giurisprudenza italiana 177 Nella sentenza n. 17006 (pres., Adamo, rel., Ragonesi, p.m. Uccella, conf.) la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto cosı́ tra l’altro motivando: «...l’art. 26 della convenzione di Bruxelles prevede che in caso di contestazione, la parte interessata possa chiedere il riconoscimento di una sentenza di uno Stato contraente secondo le disposizioni di cui alle sezioni 2 e 3 del titolo III della convenzione che si riferiscono all’esecuzione della sentenza di uno Stato estero. «Dette disposizioni stabiliscono che la parte che intende chiedere il riconoscimento di una sentenza straniera nell’ambito della convenzione di Bruxelles deve fare istanza all’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, che nel caso dell’Italia specificamente indicata nella Corte d’Appello (art. 32) (Omissis). «L’art. 36 stabilisce poi che, se il riconoscimento viene accordato, la parte contro cui viene fatto valere può proporre opposizione in un certo termine dalla notifica della decisione mentre l’art. 37 individua l’autorità giudiziaria innanzi alla quale la stessa può essere proposta che, anche in questo caso, è per l’Italia la Corte d’Appello. «L’art. 40 disciplina la diversa ipotesi dell’opposizione che deve essere proposta da chi ha visto rigettare la propria istanza di riconoscimento della decisione straniera. «Risulta dalla normativa in esame che l’opposizione costituisce una vera e propria impugnazione, posto che gli artt. da 36 a 40, tra l’altro, stabiliscono le autorità giurisdizionali dei diversi paesi innanzi alle quali si può proporre l’opposizione, fissano i termini di impugnazione, disciplinano la costituzione dell’opposto e la contumacia, regolano le ipotesi di sospensione del giudizio di riconoscimento, prevedono l’adozione di provvedimenti conservativi. «L’art. 41 stabilisce infine che la decisione presa sull’opposizione può costituire unicamente oggetto di ricorso in cassazione. «Il giudizio cosı́ delineato dalla convenzione di Bruxelles per il riconoscimento di una sentenza di uno Stato contraente in un altro risulta, quindi, articolato su tre gradi: il primo che si conclude con una istanza di accoglimento o rigetto della istanza di riconoscimento; il secondo che si pronuncia sull’impugnazione di tale decisione, e che è costituito dall’opposizione, ed il terzo che è costituito dal ricorso per cassazione. (Omissis) «Da quanto fin qui detto, discende che avverso la decisione emessa dalla Corte d’Appello sull’istanza di riconoscimento, la parte doveva necessariamente proporre opposizione avanti alla stessa Corte d’Appello prima di ricorrere per cassazione». Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 ottobre 2007 n. 3105, su richiesta del Ministero dell’interno. Dopo l’entrata in vigore del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, che ha abrogato il secondo comma dell’art. 115 cod. civ. e il relativo obbligo di effettuare le pubblicazioni in Italia, l’obbligo di rendere pubblica in via preventiva la volontà dei nubendi di unirsi in matrimonio innanzi a una autorità straniera all’estero sussiste solo se 178 giurisprudenza italiana previsto dalla legge del luogo di celebrazione, da accordi internazionali o da norme speciali. Nel parere n. 3105 del 24 ottobre 2007 (cui ha fatto seguito la circolare del Ministero dell’interno n. 5659 del 22 maggio 2008, in questo fascicolo della Rivista, p. 258) il Consiglio di Stato (pres. Fabbri, rel. Borioni) ha cosı́ motivato: «Il Ministero dell’interno segnala una divergenza di opinioni con il Ministero degli affari esteri in tema di obbligatorietà delle pubblicazioni di matrimonio da celebrare all’estero dinanzi all’autorità locale, dopo la riforma dell’ordinamento dello stato civile approvata con il d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396. «A parere del Ministero dell’interno l’abrogazione del secondo comma dell’art. 115 cod. civ. non esprime la volontà del legislatore di sopprimere l’obbligo della pubblicazione, ma è da riferire soltanto la circostanza che gli artt. 93, 94 e 95 cod. civ. in esso menzionati sono stati, in tutto o in parte, abrogati e sostituiti da nuove norme. Sottolinea poi che la pubblicazione è ‘‘uno dei cardini del sistema matrimoniale in Italia’’ e ne mette in evidenza la necessità per evitare che siano celebrati matrimoni in presenza di impedimenti che potrebbero dare vita a giudizi di nullità o di annullamento, con gravi conseguenze sia per gli stessi sposi sia, soprattutto, per la prole. «A parere della sezione l’assunto e le sottostanti pur comprensibili preoccupazioni del Ministero dell’interno incontrano, come rileva il Ministero degli esteri, un ostacolo insuperabile nel fatto che la pubblicazione del matrimonio del cittadino all’estero era stabilita dall’art. 115, secondo comma cod. civ. e tale disposizione è stata abrogata in modo esplicito e integrale dall’art. 110 comma 3 del citato d.p.r. n. 396/2000. «L’abrogazione, d’altra parte, si allinea con il disposto dell’art. 16 dello stesso d.p.r., che consente ai cittadini italiani di celebrare il matrimonio all’estero innanzi all’autorità locale ‘‘secondo le leggi del luogo’’, e, in tal caso, pone a loro carico la sola formalità di trasmettere una copia dell’atto all’autorità diplomatica o consolare. «Pertanto, sussistono concordanti ragioni di ordine testuale e sistematico per ritenere che, dopo l’entrata in vigore del citato d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, l’obbligo di rendere pubblica in via preventiva la volontà dei nubendi di unirsi in matrimonio all’estero innanzi ad una autorità locale sussiste se è previsto dalle ‘‘leggi del luogo’’ della celebrazione, alle quali, in caso affermativo, occorre anche riferirsi per accertare le modalità con le quali deve essere adempiuto, ovvero se è previsto da accordi internazionali o da norme speciali. «Beninteso nulla impedisce che, nelle sedi competenti, possano essere individuate soluzioni diverse secondo valutazioni di opportunità che, per le ragioni esposte, non hanno ingresso in sede interpretativa». Corte di Cassazione, sentenza 16 novembre 2007 n. 23794, Seima Italiana s.p.a. (avv. Colarizi, Vecchione) c. Migliore (avv. Ferri, Russo). In relazione ad un contratto di leasing finanziario stipulato tra due società italiane aventi sede in Italia si applica l’art. 1705 cod. civ. e non gli articoli 10 e 12 della giurisprudenza italiana 179 convenzione di Ottawa del 28 maggio 1988 sul leasing internazionale, anche se queste norme possono costituire un utile termine di raffronto per la ricostruzione della disciplina dell’inadempimento del fornitore. Nella sentenza 16 novembre 2007 n. 23794 la Corte di Cassazione (pres. Varrone, rel. Finocchiaro, p.m. Martone, conf.) si è pronunciata in relazione ad un giudizio di accertamento negativo introdotto dalla società attrice Seima Italiana s.p.a. nei confronti dell’impresa Migliore Francesco-Costruzioni Edili in ordine a pretese di quest’ultima derivanti da un contratto di appalto con il quale la società italiana Sava Leasing aveva affidato a quell’impresa, su indicazione della società attrice, lavori di ampliamento dello stabilimento industriale precedentemente concesso in leasing finanziario dalla stessa società Sava Leasing alla società attrice. In relazione al primo motivo di ricorso la Corte ha cosı́ osservato: «premesso che il caso che ci occupa è inquadrabile nella fattispecie contrattuale del leasing-appalto con effetti traslativi della proprietà, parte ricorrente assume che l’utilizzatore ha sempre l’azione diretta, che ciò sia previsto contrattualmente o meno, nei confronti di colui che fornisce o costruisce l’opus oggetto della locazione finanziaria, sia essa con o senza effetti traslativi della proprietà, atteso che l’utilizzatore è l’unico detentore sostanziale dell’interesse concreto alla corretta esecuzione della fornitura e rimane, quindi, l’unico sostanziale legittimato a resistere a pretese ulteriori rispetto al prezzo pattuito proveniente dall’appaltatore, sempre teso a avanzare richieste di maggiori compensi, attraverso la esplicitazione di riserve, alle quali è solo l’utilizzatore destinatario della obbligazione di pagamento del corrispettivo, che in concreto ha l’interesse a opporsi». A tale riguardo la Corte ha cosı́ statuito: «3.1. Quanto al primo aspetto della controversia si osserva che in caso di leasing finanziario – atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (sicché ai sensi dell’art. 1705, secondo comma cod. civ., il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) – l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto (Cass., 27 luglio 2006 n. 17145). Sempre nel senso che nell’ambito del contratto di leasing finanziario è l’utilizzatore che ha la legittimazione a far valere nei confronti del fornitore le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto inadempimento dello stesso, Cass., 1º ottobre 2004 n. 19657, nonché Cass., 13 dicembre 2000 n. 15762 e la fondamentale Cass., 2 novembre 1998 n. 10926). «Se – alla luce della giurisprudenza richiamata sopra, per superare la quale nulla appone la sentenza impugnata, né la difesa del controricorrente – che in caso di leasing finanziario l’utilizzatore è legittimato a far valere nei confronti del fornitore le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura, deve concludersi 180 giurisprudenza italiana che lo stesso sia, altresı́, legittimato a sentire accertare quale sia l’esatto corrispettivo spettante allo stesso fornitore. «Non va sottaciuto che questa soluzione viene sostanzialmente a coincidere con quella che risulta dalle norme introdotte nell’ordinamento italiano attraverso l’esecuzione data alla convenzione di Ottawa sul leasing internazionale del 28 maggio 1988, con la l. 14 luglio 1993 n. 259, norme che, ancorché non immediatamente applicabili nella controversia in esame, possono costituire un utile termine di raffronto per la ricostruzione della disciplina dell’inadempimento del fornitore. «Si tratta, infatti, di norme che, sia pure agli effetti della regolamentazione del leasing internazionale e nell’ambito soggettivo della loro applicazione, rappresentano una tipizzazione del contratto di leasing. Invero, se il bene non viene consegnato o viene consegnato in ritardo o non è conforme al contratto di fornitura, l’utilizzatore può agire direttamente contro il fornitore, non per la risoluzione del contratto di fornitura, se manchi al riguardo il consenso del concedente (art. 10.2 della convenzione), ma per far valere gli altri obblighi che al fornitore derivano dal contratto da lui concluso (artt. 12.6 e 10.1). «L’utilizzatore può agire in confronto del fornitore come se egli fosse stato parte del contratto di fornitura e il bene gli dovesse essere fornito direttamente (art. 10.1). «L’utilizzatore può ottenere il risarcimento del danno dal fornitore, ma questi non sarà responsabile nei confronti sia del concedente che dell’utilizzatore per il medesimo danno (art. 10.1). «Certo quanto sopra è di palmare evidenza la assoluta non pertinenza, al fine di pervenire a una diversa soluzione della controversia, delle considerazioni ampiamente svolte dalla difesa di parte controricorrente, allorché sottolinea, da una parte, che all’utilizzatore è preclusa l’eccezione di inadempimento del fornitore per vizio del bene per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente, nonché la facoltà (salvo che non sia espressamente prevista nel contratto di leasing) di chiedere la risoluzione del contratto stipulato tra il fornitore e la società di leasing. «Non solo, nella specie, il giudizio è stato proposto nei confronti del fornitore (e non del concedente, al fine di non adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti di quest’ultimo) ma deve – decisamente – escludersi che la domanda di accertamento [negativo] delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a questo ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale». Corte di Cassazione, sentenza 28 novembre 2007 n. 24743, Ignazio Messina & C. s.p.a. (avv. Dardani) c. Setramar s.p.a. e altri (avv. D’Alessandro, Arato, Ghigi) e Ministero dei trasporti (intimato). L’art. 12 par. 1 della convenzione bilaterale tra Italia e Costa d’Avorio del 25 ottobre 1979, interpretato alla luce dello scopo dell’accordo e del contesto in cui la disposizione in esame è inserita, in ossequio alle regole di interpretazione dei trattati contenute negli artt. 31 e 32 della convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, dispone che può partecipare alla riserva di traffico marittimo prevista dalla conven- giurisprudenza italiana 181 zione la compagnia di navigazione marittima di diritto italiano che, pur essendo priva della qualifica di «compagnia armatrice italiana» di cui all’art. 3 legge n. 210/1991, utilizzi per i traffici con tale Stato navi anche non battenti bandiera italiana. Con sentenza 28 novembre 2007 n. 24743, la Corte di Cassazione (pres. Di Nanni, rel. Durante, p.m. Schiavon, conf.) conferma la sentenza del giudice di primo grado in una controversia tra due compagnie di navigazione italiane in cui veniva dedotto nei confronti della convenuta l’illecito inserimento nell’ambito delle quote di traffico riservate dall’accordo bilaterale del 25 ottobre 1979 tra l’Italia e la Costa d’Avorio alle sole compagnie battenti bandiera italiana. Il Ministero dei trasporti interviene in sostegno della tesi del convenuto, che viene rigettata in primo grado ma accolta in secondo. La Corte di Cassazione, confermando la decisione di seconde cure, muove dalla premessa che i traffici marittimi sono liberi e che la riserva di una parte del traffico è stata attuata con la convenzione di Ginevra del 6 dicembre 1974, non accolta da tutti i paesi. Con i paesi non aderenti sono stati quindi conclusi accordi bilaterali. La Corte ha tra l’altro cosı́ motivato: «2.2. In proposito va rilevato che, come ricordato dalla società ricorrente, l’interpretazione dei trattati internazionali recepiti nell’ordinamento statale va condotta in base ai criteri testuale, finalistico e sistematico previsti dagli artt. 31 e 32 della convenzione di Vienna sul diritto applicabile ai trattati (Cass., 21 luglio 1995 n. 7950). «2.3. Com’è noto, i traffici marittimi sono in via di principio liberi; solo recentemente si è affermato il principio di riservare una parte del traffico agli Stati capolinea del traffico stesso. Tale principio è stato parzialmente recepito nella convenzione di Ginevra del 6 novembre 1974 su un codice di comportamento per le compagnie marittimme. In alternativa a questo codice si è sviluppata per gli Stati che non vi aderiscono la prassi degli accordi bilaterali mediante i quali il traffico viene ripartito fra i due Stati in una certa misura. «Questo sistema tendenzialmente protezionistico, che ha sostituito la libertà dei traffici, implica una crescente ingerenza dell’autorità pubblica che ai esplica in varie direzioni fra cui quella di tutelare e gestire la quota di riserva spettante alle imprese nazionali. «La Comunità europea è intervenuta in questa materia con diversi regolamenti allo scopo di disciplinare la partecipazione degli Stati membri ai codice di comportamento e di applicare ai trasporti marittimi il principio della libera prestazione dei servizi e le regole di concorrenza comunitarie. «2.4. Secondo la convenzione di Ginevra del 6 aprile 1974 resa esecutiva in Italia con legge n. 92/1989 compagnia di navigazione nazionale è un vettore che gestisce navi; ha i propri uffici principali di amministrazione e l’effettivo controllo in quel paese; è riconosciuto tale dalle autorità competenti. «L’art. 3 legge n. 210/1991 dispone che rispondono ai requisiti di compagnia marittima nazionale le imprese sociali o individuali che, oltre a presentare i requisiti soggettivi indicati, utilizzano abitualmente o prevalentemente navi di bandiera nazionale (Cass. s.u., 12 giugno 1999 n. 335). «La qualità di compagnia marittima nazionale è dichiarata con decreto del Ministro competente; le compagnie hanno un diritto soggettivo all’attribuzione della qualifica, poiché il Ministro non ha alcuna discrezionalità ed è tenuto solo ad accertare la sussistenza dei requisiti occorrenti. 182 giurisprudenza italiana «2.5. Gli esiti interpretativi ai quali è pervenuta la Corte di merito si sottraggono alle censure della società ricorrente. «In particolare nell’applicazione del criterio dell’interpretazione letterale la Corte ha rilevato che l’art. 12 par. 1 dell’accordo bilaterale tra Italia e Costa d’Avorio del 25 ottobre 1979 stabilisce la riserva in base all’elemento della compagnia di navigazione nazionale che utilizza la nave e non a quello della bandiere dalla nave. «Ha trovato conferma del risultato interpretativo raggiunto nel criterio sistematico che impone di leggere l’art. 12 par. 1 nell’intero contesto dell’accordo ed in proposito ha osservato che il detto articolo prescinde sia dalla nozione di nave della parte contraente fornita dall’art. 2 par. 2 (nave immatricolata nei registri di una parte e battente la sua bandiera) che dalla nozione di compagnia marittima nazionale desumibile dall’art. 2 par. 3 (compagnia riconosciuta dalla competente autorità marittima di ciascuna parte), derivandone per argomento a contrario che, se le parti avessero voluto riservare la quota alle navi battenti bandiera italiana o alla compagnie marittime italiane che utilizzano navi italiane, avrebbero adoperato la nazione di nave della parte contraente. «Né vale rilevare che la nozione di compagnia marittima nazionale come compagnia che utilizza abitualmente e prevalentemente navi di bandiera nazionale delineata dalla legge n. 210/1991 costituisce il fulcro, oltre che della disciplina del traffico conferenziato, di tutti gli accordi bilaterali di cooperazione e ripartizione del traffico, atteso che, come ritenuto dalla Corte di merito, è impossibile desumere da una normativa speciale, quale è la legge n. 210/1991, una nozione da applicare in via generale. «Il criterio teleologico è ben lungi dall’avallare la tesi interpretativa della società ricorrente, essendo lo scopo dell’accordo non già quello di rafforzare la posizione delle compagnie che utilizzano navi di bandiera nazionale, ma quello di ‘‘sviluppare le relazioni marittime fra la Repubblica Italiana e la Repubblica della Costa d’Avorio, di assicurare un miglior coordinamento del traffico e di prevenire tutte le misure che possano recare pregiudizio allo sviluppo dei trasporti marittimi fra i due Paesi’’ (art. 1 dell’accordo bilaterale). «Può, pertanto, affermarsi che l’interpretazione dell’art. 12 dell’accordo bilaterale fra Italia e Costa d’Avorio ratificato in Italia con legge n. 952/1984, condotta con i criteri letterale, sistematico e finalistico, porta a ritenere che possono partecipare alla quota di riserva del traffico marittimo tra le parti contraenti le compagnie di navigazione marittima riconosciute dalla competente autorità italiana indipendentemente dal fatto che utilizzino navi battenti bandiera nazionale». Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 29 novembre 2007 n. 24814, Al Zuhair S. Harb (avv. Clementi) c. TVR - Tecnologie Vetroresina s.p.a. (avv. Merla). Sussiste la giurisdizione del giudice italiano in un procedimento intentato da un cittadino arabo saudita nei confronti di una società italiana poiché l’esistenza della condizione di reciprocità di cui all’art. 16 disp. prel. cod. civ., ponendosi come fatto giurisprudenza italiana 183 costitutivo del diritto azionato dallo straniero, è una questione di merito e pertanto non può integrare un’eccezione di difetto di giurisdizione rilevabile dal convenuto, ai sensi dell’art. 11 della legge 31 maggio 1995 n. 218, in ogni stato e grado del processo. Nella sentenza, resa a sezioni unite, 29 novembre 2007 n. 24814 la Corte di Cassazione (primo pres. agg. Carbone, rel. Salmé, p.m. Nardi, conf.) ha, tra l’altro, cosı́ statuito: «È principio pacifico che l’esistenza della condizione di reciprocità di cui all’art. 16 disp. prel. cod. civ. non incide sulla giurisdizione, ponendosi come fatto costitutivo del diritto azionato dallo straniero, che deve essere da lui provato in caso di contestazione (Cass., n. 5583, n. 10360 e n. 8171 del 2000; n. 6918 e n. 12978 del 1995; n. 1309/1993; n. 7395/1990; n. 1669/1986). Corretta appare, pertanto, la qualificazione giuridica della contestazione, da parte del convenuto italiano, della mancanza di condizione di reciprocità come mera difesa di merito e non come eccezione di (rito) di difetto di giurisdizione. Peraltro, se la contraria tesi sostenuta dal ricorrente fosse fondata, resterebbe sempre valida l’affermazione della Corte territoriale relativa alla tempestività dell’eccezione, poiché (salvi gli effetti dell’eventuale accettazione espressa o tacita della giurisdizione) tale eccezione può essere sollevata dal convenuto in ogni stato e grado del processo (art. 11 legge n. 218/1995). «Poiché, invece, come è stato accertato dalla Corte territoriale ed emerge dagli atti, la TVR, fin dalla memoria ex art. 184 cod. proc. civ. del 31 luglio 1998 (posizione ribadita all’udienza ex art. 184 cod. proc. civ. del 23 settembre 1998 e di precisazione delle conclusioni del 28 gennaio 1999) ha negato la sussistenza del fatto costitutivo del diritto azionato, trattandosi di mera difesa non si pone un problema di decadenza o di preclusione, ma, eventualmente solo un profilo di ammissibilità della contestazione in relazione a un precedente comportamento processuale di non contestazione (cfr. Cass., n. 761 del 2002), profilo, tuttavia, non sollevato dal ricorrente e pertanto estraneo al tema da decidere. «Peraltro, a fronte della contestazione da parte della convenuta, l’attore, in sede di memorie e di repliche ex art. 184 cod. proc. civ., ben avrebbe potuto chiedere di essere ammesso a provare la sussistenza della condizione di reciprocità, e ciò smentisce la fondatezza del rilievo secondo cui la valutazione di ammissibilità della contestazione della convenuta avrebbe pregiudicato l’esercizio dell’attività difensiva dello Harb Al Zuhair». Corte di Cassazione, sentenza 20 dicembre 2007 n. 26822, G.S. (avv. Consoli) c. Ministero dell’interno e altri (intimati). Presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato politico sono la condizione socio-politica e normativa del Paese di provenienza e la correlazione di questa con la specifica posizione del richiedente, senza che la prima possa fondarsi sul ricorso al notorio e senza che possa ricavarsi sillogisticamente la seconda dalla prima, rilevando invece la situazione persecutoria di chi (per l’appartenenza ad etnia, associa- 184 giurisprudenza italiana zione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita) rischi verosimilmente specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità fisica o libertà personale. Nella sentenza 20 dicembre 2007 n. 26822, la Corte di Cassazione (pres. De Musis, rel. Macioce, p.m. Ceniccola, conf.) ha, tra l’altro, cosı́ statuito: «deve considerarsi esatta la duplice considerazione, contenuta nel decreto stesso, per la quale da un canto il ricorso al ‘‘notorio’’ non può sostituire la ricerca di un sostegno probatorio adeguato alla prospettazione attorea relativa alla persecuzione di una intera minoranza etnica da parte di uno Stato extra-europeo e, dall’altro canto, la persecuzione rilevante ai fini del riconoscimento dello status è quella che specificamente può coinvolgere il singolo richiedente. «E si tratta di considerazioni del tutto in linea con i principi espressi da questa Corte in ripetute pronunzie (Cass. n. 25028/2005; n. 18353/2006; n. 18941/2006; n. 19930/2007; cfr. anche n. 16417/2007) alla stregua delle quali deve essere ribadito che la situazione persecutoria rilevante ai fini in disamina è quella di chi, per l’appartenenza ad etnia, associazione, credo politico o religioso ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita rischi verosimilmente, nel paese di origine o provenienza, specifiche misure sanzionatorie (penali, amministrative, materiali) a carico della sua integrità fisica o libertà personale. «La valutazione demandata quindi al giudice del merito, adito in opposizione al diniego frapposto alla domanda dalla competente commissione, si deve fondare sulla verifica della ricorrenza di entrambi i dati oggettivi (attinta anche in via di ragionamenti inferenziali), quello afferente la condizione socio politica normativa del Paese di provenienza e quella relativa alla singola posizione del richiedente (esposto a rischio concreto di sanzioni), senza poter ricavare sillogisticamente ed automaticamente dalla prima la seconda (non ogni appartenente ad una minoranza discriminata essendo automaticamente un perseguitato). «La Corte di merito ha negato tanto la ragionevole prova della concreta generale situazione discriminatoria dei curdi in Turchia (non ritenendo satisfattivo il ricorso a indeterminate fonti di stampa) quanto la correlazione della situazione generale alla posizione del G.S. (affermando essere solo asserite la sua appartenenza alla etnia in questione e il pericolo quoad vitam che ne deriverebbe)». Corte di Cassazione penale, sentenza 21 dicembre 2007 n. 47527, sul ricorso proposto da E.C. In terna di estradizione per l’estero, la corte d’appello, qualora pervenga ad una decisione favorevole all’accoglimento della relativa domanda, deve disporre la custodia in carcere dell’estradando sul solo presupposto della richiesta formulata in tal senso dal Ministero della giustizia, non assumendo piú alcun rilievo le esigenze cautelari cui la misura è subordinata ai sensi dell’art. 714 comma 2 cod proc. pen.; qualora l’estradando sia stato rimesso in libertà per il venir meno delle esigenze cautelari è giurisprudenza italiana 185 necessaria una specifica richiesta del Ministero della giustizia per giustificare l’adozione della misura cautelare. Nella sentenza 21 dicembre 2007 n. 47527, la Corte di Cassazione penale (pres. Lattanzi, rel. De Roberto, p.m. Febbraro, diff.) ha, tra l’altro, cosı́ statuito: «2. La richiesta di misura cautelare contemplata dall’art. 714 cod. proc. pen. delinea un vero e proprio presupposto processuale in mancanza del quale il potere cautelare del giudice dell’estradizione (se si eccettui il diverso esercizio del potere precautelare di cui all’art. 716, peraltro, intimamente legato all’esercizio dei poteri coercitivi della polizia giudiziaria) non può neppure venire in essere. Una volta, però, che il Ministro abbia effettuato la richiesta e questa sia stata accolta dal giudice, non sembra necessaria l’attivazione di un’ulteriore richiesta a norma dell’art. 704 cod. proc. pen., a meno che il Ministro non abbia precedentemente revocato la richiesta di misura cautelare. Il tutto se e sempreché, come è chiaramente stabilito dall’art. 704, ‘‘la persona da estradare’’ non ‘‘si trovi in libertà’’. «Pure se l’utilizzazione della misura cautelare della custodia in carcere come ‘‘prosecuzione’’ della cautela a suo tempo richiesta dal Ministro della giustizia potrebbe apparire strumento eccedente il fine che con la cautela si intende perseguire, il regime cosı́ delineato deriva a corollario dal principio in base al quale la detenzione dell’estradando non consegue necessariamente (v., invece, l’art. 663 del codice abrogato) all’avvio del procedimento estradizionale. «Se lo stato di custodia cautelare sia proseguito ininterrottamente fino alla decisione favorevole sulla domanda di estradizione, si verifica una sorta di ‘‘conversione’’ della custodia nei termini indicati dall’art. 704 comma 3 la cui attuazione è sottesa al disposto della norma adesso ricordata che richiede la duplice richiesta nel (solo) caso che la persona da estradare si trovi in libertà. «Nel caso in cui l’estradando si trovi in stato di libertà (o perché mai siano stati esercitati i poteri di cui all’art. 714 o perché, una volta esercitati i detti poteri, la persona sia stata rimessa in libertà dall’autorità giudiziaria per il venir meno delle esigenze cautelari) solo una richiesta ministeriale potrà giustificare la privazione dello status libertatis. Salvo il caso di rimessione in libertà per decorrenza dei termini stabiliti dall’art. 714 comma 4 cod. proc. pen., nel qual caso la misura – almeno secondo la prevalente giurisprudenza – non può essere ripristinata dovendosi applicare anche al procedimento di estradizione il principio stabilito dall’art. 13 della Costituzione che impone la previsione di limiti massimi alla carcerazione preventiva (Sez. VI, 25 ottobre 2001, M.). (Omissis). «Quel che appare decisivo è che, in conseguenza della cessazione della misura cautelare non è consentito ritenere, come pare desumersi dall’ordinanza impugnata, che una volta che il Ministro abbia effettuato la richiesta cautelare e questa sia stata accolta dal giudice, pur in presenza di una rimessione in libertà che comprova l’assenza o l’attenuazione delle esigenze cautelari a base dell’art. 714, sia consentito alla Corte d’Appello, disporre – di ufficio – l’emissione della misura cautelare finalizzata alla consegna. «Infatti, la corte di appello, qualora pervenga ad una decisione favorevole all’accoglimento della relativa domanda, deve disporre la custodia in carcere dell’estradando sul solo presupposto della richiesta in tal senso formulata dal Ministro della giustizia, non assumendo piú alcun rilievo le esigenze cautelari cui la misura è subordinata, a norma dell’art. 714 comma 2 cod. proc. pen., 186 giurisprudenza italiana quando la richiesta è valutata prima della sentenza favorevole all’estradizione (Sez. VI, 14 dicembre 2004, N.A.). Il che sta a significare che una volta che l’estradando sia stato rimesso in libertà cosı́ venendo meno la custodia cautelare applicata in forza dell’art. 714 cod. proc. pen. (sempre ferma restando la possibilità di ripristino della stessa o di una diversa cautela, ma ancora una volta a norma dell’art. 714), solo una nuova domanda, questa volta ai sensi dell’art. 704 dello stesso codice, può giustificare l’adozione di una nuova misura che, in quanto preordinata alla consegna, non può che assumere un diverso titolo. Occorre ribadire, infatti, come l’emanazione della sentenza favorevole all’estradizione non determina il ripristino della custodia cautelare né alcuna altra automatica conseguenza sulla libertà personale, ma consente soltanto al Ministro della giustizia di richiedere la custodia in carcere ai sensi dell’art. 704 comma 3 cod. proc. pen. (Sez. VI, 25 ottobre 2001, M.)». Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 28 dicembre 2007 n. 27172, Sagatrans S.A. (avv. Di Lorenzo, Rossi) e Ministero dell’economia e delle finanze (avv. dello Stato). Per opporsi a un’ingiunzione di pagamento emessa da una dogana italiana, il soggetto obbligato non può che adire il giudice italiano, essendo in particolare irrilevante ai fini della giurisdizione la questione dell’immissione in consumo in Italia della merce in transito comunitario. Con sentenza 28 dicembre 2007 n. 27132, la Corte di Cassazione, a sezioni unite (primo pres. f.f. Corona, rel. Merone, p.m. Palmieri, conf.), ha deciso un ricorso in merito alla giurisdizione in materia doganale, il quale trovava origine in un’opposizione da parte di una società francese avverso un’ingiunzione doganale, fondata tra l’altro sull’assenza della prova che la merce sarebbe stata immessa in Italia. Essa ha tra l’altro cosı́ affermato: «2.2. La parte ricorrente sostiene il difetto di giurisdizione del giudice italiano, considerando che non è provato che le merci in regime di transito comunitario siano state immesse in consumo in Italia e che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto che la ricorrente fosse gravata dell’onere di provare la regolarità del transito, in violazione del disposto dell’art. 34 del regolamento CEE/2726/1990, dal quale si evinca, invece, che l’onere è a carico dell’amministrazione finanziaria richiedente. «2.3. Preliminarmente, occorre chiarire che il problema relativo al ‘‘se’’ e ‘‘dove’’ è stata commessa l’infrazione per la quale è stata emessa l’ingiunzione opposta dalla ricorrente, attiene al merito della controversia ed eventualmente alla legittimazione dell’amministrazione finanziaria ad emettere il provvedimento che è all’origine del contenzioso. Per opporsi all’ingiunzione emessa dalla dogana italiana, il soggetto obbligato non poteva che adire il giudice italiano. È principio generale che lo straniero può sempre esercitare il suo diritto di azione e proporre domanda giudiziale al giudice italiano. In sostanza, la questione relativa alla sussistenza della immissione in consumo in Italia della merce in transito comunitario costituisce la materia del contendere e non il presupposto della giurisdizione italiana. In altri giurisprudenza italiana 187 termini se la società ricorrente vuole ottenere una sentenza di accertamento negativo del debito vantato dalla dogana italiana, bene ha fatto a rivolgersi al giudice italiano. Anche perché, in quanto attore, avrebbe potuto scegliere di rivolgersi ad altro giudice ritenuto competente. Infatti, l’art. 11 della l. 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ha poi sancito espressamente che ‘‘il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana’’, salvo che la giurisdizione italiana sia esclusa per effetto di una norma internazionale. Nella specie, non risulta che le giurisdizione italiana sia esclusa né da norme internazionali, né da norme interne. Inoltre, il problema della individuazione del soggetto tenuto a provare l’esistenza della violazione, o tenuto a fornire la prova negativa, sul quale è incentrato il motivo di ricorso, è un tipico problema che riguarda le regole della decisione del giudice e non le regole stabilite per individuare il giudice dotato di giurisdizione». Corte di Cassazione penale, sentenza 8 febbraio 2008 n. 6342, sul ricorso proposto da L.F. Nei casi in cui l’art. 11 della legge 16 marzo 2006 n. 146, di esecuzione della convenzione e dei protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, prevede la confisca di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente alle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, è altresı́ ammesso, ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod. proc. pen., il sequestro preventivo per equivalente. Nel rigettare un ricorso proposto avverso un’ordinanza del Tribunale di Trento, sezione del riesame, che aveva concesso un sequestro preventivo per equivalente relativo a beni immobili appartenenti a un indagato per il reato di partecipazione a un’organizzazione finalizzata al contrabbando di tabacco lavorato estero, rientrante tra quelli di cui all’art. 3 della l. 16 marzo 2006 n. 146, di esecuzione della convenzione e dei protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, la Corte di Cassazione penale (pres. Vitalone, rel. Gazzara, p.m. Ciampoli, conf.), nella sentenza 8 febbraio 2008 n. 6342, ha cosı́ statuito: «Rilevasi che la legge n. 146/2006, ha ratificato e posto in esecuzione la convenzione ed i protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato trasnazionale, adottati dall’Assemblea generale, il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001. «L’art. 11 prevede ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente per i reati di cui all’art. 3 della medesima legge, qualora non sia possibile l’applicazione di detta misura di sicurezza sulle cose che costituiscano il prodotto, il profitto od il prezzo del reato, ed il citato art. 3 definisce reato trasnazionale quello punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché sia commesso in 188 giurisprudenza italiana piú di uno Stato; ovvero, sia commesso in uno Stato ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in piú di uno Stato; ovvero sia commesso in uno Stato, ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. «Con il gravame si eccepisce che la norma riportata prevederebbe solo la possibile confisca per equivalente, da parte del giudice, con la sentenza di condanna, ma non anche la possibilità del sequestro preventivo per equivalente nel corso del procediraento. «L’eccezione è infondata, rilevato che, come correttamente affermato dal Tribunale di Trento, deve ritenersi applicabile al caso di specie la misura cautelare reale finalizzata alla confisca per equivalente, ex art. 321 cod. proc. pen., in correlato al disposto dell’art. 11 della legge n. 146/2006, in quanto il reato per il quale risulta indagato il L. rientra tra quelli di cui all’art. 3 della medesima normativa: costui, sottoposto a misura cautelare personale, unitamente ad altri soggetti – a termini di contestazione, faceva parte di una organizzazione finalizzata al contrabbando di tabacco lavorato estero, organizzando la importazione dalla Indonesia in Italia di circa 20.000 kg di tabacco, con conseguente evasione di imposta per milioni di euro. «Del pari priva di pregio appare la seconda doglianza mossa dal ricorrente fondata sulla asserzione che l’ipotesi di confisca per equivalente, di cui all’art. 322-ter comma 2 cod. pen., non permetterebbe, in assoluto, la possibilità di disporre la misura cautelare invocata, nella specie, dal P.M. in caso di reati inerenti il contrabbando di tabacchi lavorati esteri: si rileva, infatti, che l’art. 321 cod. proc. pen., fa riferimento a tutte le ipotesi di confisca e, conseguentemente, anche a quelle previste dalle leggi speciali, come la n. 146/2006». Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 13 febbraio 2008 n. 3410, Media Barter s. a r.l. (avv. Fusillo, Frittelli) c. Cairo Communication s.p.a. (avv. Magnocavallo) Una procura speciale rilasciata in Panama e autenticata da un notaio in Lussemburgo in data successiva è nulla, difettando il necessario requisito della firma davanti al notaio previo accertamento dell’identità del sottoscrittore poiché, sebbene secondo l’art. 12 della legge 31 maggio 1995 n. 218 la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana (la quale, consentendo l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia, quanto alla validità formale, al diritto sostanziale della lex loci actus), occorre però che il diritto straniero conosca i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che li caratterizzano nell’ordinamento italiano. Con ordinanza 13 febbraio 2008 n. 3410, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (primo pres. Carbone, rel. Rordorf, p.m. Uccella, conf.) ha dichiarato inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione presentato in giurisprudenza italiana 189 relazione ad un procedimento pendente presso il Tribunale fallimentare di Roma contro una società lussemburghese, ravvisando un difetto di forma nella procura speciale rilasciata dalla società ricorrente al difensore. La Corte ha, tra l’altro, cosı́ motivato: «[Considerato in diritto che] la procura speciale cui il ricorso della Media Barter fa riferimento appare in effetti esser stata depositata nella cancelleria di questa Corte, unitamente al medesimo ricorso, in data 26 ottobre 2005: occorre pertanto esaminarla; «detta procura è datata 30 settembre 2005, figura rilasciata nella Repubblica di Panama e reca in calce la firma di persona che si qualifica come il sig. Francis Perez, a ciò autorizzato con delibera del consiglio di amministrazione in pari data della società panamense Liguria Services Corp., a propria volta investita della carica di amministratore (gérant unique) della ricorrente Media Barter, come da delibera anch’essa allegata; «sul retro del documento recante l’anzidetta procura figura la seguente annotazione: ‘‘The undersigned Paul Bettingen, notary public residing in Niederanven (Gran Duchy of Luxembourg) hereby certifies the authenticity of the signature apposed on the previous page – Senningerberg, the 14th of October 2005’’ (Il sottoscritto Paul Bettigen, notaio pubblico residente in Niederanven, nel Granducato del Lussemburgo, con la presente certifica l’autenticità della firma apposta alla pagina precedente – Senningerberg, il 14 ottobre 2005), annotazione seguita dall’impronta del timbro del notaio Bettingen e dalla Apostille attestante, a norma della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, l’autenticità della sottoscrizione del predetto notaio e la sua qualità; «per il disposto dell’art. 12 della l. 31 maggio 1995 n. 218, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci, occorrendo però che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che li caratterizzano nell’ordinamento italiano e che in particolare consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e che egli ha preventivamente accertato l’identità del sottoscrittore (si vedano, da ultimo, Cass. s.u., 24 luglio 2007 n. 16296; Cass. s.u., 5 maggio 2006 n. 10312; Cass., 25 maggio 2007 n. 12309; Cass., 30 settembre 2005 n. 19214; Cass., 29 aprile 2005 n. 8933; Cass., 12 luglio 2004 n. 12821); «i requisiti sopra ricordati, nella specie, non sono ravvisabili, giacché – come detto – la procura alle liti dianzi menzionata appare essere stata rilasciata in Panama il 30 settembre 2005, ma la firma in calce ad essa è stata autenticata dal notaio lussemburghese in epoca successiva, il 14 ottobre 2005, di modo che non solo non risulta espressamente indicato che detto notaio fosse presente al momento della sottoscrizione dell’atto e che abbia proceduto alla preventiva identificazione del sottoscrittore, ma la divergenza delle date e dei luoghi rispettivamente indicati nel testo della procura ed in quello della certificazione notarile stanno palesemente a dimostrare il contrario: ossia che il notaio non era presente nel momento e nel posto in cui la procura è stata sottoscritta e non ha potuto, perciò, identificare preventivamente il sottoscrittore; 190 giurisprudenza italiana «detta certificazione notarile appare, quindi, corrispondente a quell’atto che, nell’ordinamento italiano, si è soliti designare col nome di ‘‘autentica minore’’, la quale però – per le ragioni già ricordate – non corrisponde per natura ed efficacia alla vera e propria autenticazione della firma del soggetto che rilascia la procura alle liti, richiesta dall’art. 83 cod. proc. civ. (cfr. ancora, in particolare, Cass. s.u., n. 16296/2007 cit.); «inoltre, la circostanza che la certificazione notarile di cui s’è detto è stata vergata solo il 14 ottobre 2005, e cioè in epoca posteriore alla data indicata nell’atto di conferimento della procura (30 settembre 2005), impedisce di considerare certa quest’ultima data e, per ciò stesso, non è sufficiente a provare che il rilascio della procura sia avvenuto – com’è indispensabile ai fini dell’ammissibilità del ricorso – anteriormente alla notifica del ricorso stesso, che risulta eseguita il 10 ottobre 2005». Corte di Cassazione penale (s.u), sentenza 6 marzo 2008 n. 10281, sul ricorso proposto da G.M. In materia di estradizione attiva, il principio di specialità previsto dall’art. 14 par. 1 della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e dall’art. 721 cod proc. pen. non è riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione; ne consegue che la persona estradata in Italia per ragioni diverse può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna. Adita di un ricorso avverso un decreto della Corte d’Appello di Bari di conferma di un decreto del Tribunale di Bari che aveva sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. un estradato dalla Spagna in base alla convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, la V sezione penale della Cassazione lo ha rimesso alle Sezioni Unite, appurata l’esistenza di un contrasto della giurisprudenza di legittimità sulla questione, cosı́ sintetizzata dalle Sezioni stesse, «se, in materia di estradizione, il principio di specialità previsto dagli artt. 721 cod. proc. pen. e 14 n. 1 della convenzione europea di estradizione, sia riferibile anche alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione». Le Sezioni Unite (pres. Battisti, rel. Milo, p.m. lzzo, conf.), con sentenza 6 marzo 2008 n. 10281, hanno rigettato il ricorso, risolvendo negativamente la suddetta questione con la seguente motivazione: «Due sono gli orientamenti giurisprudenziali che si confrontano. (Omissis) «2. Le Sezioni Unite condividono, per le ragioni che verranno analiticamente illustrate, la prima opzione ermeneutica, perché piú aderente alla normativa che regola il procedimento di estradizione nonché alla natura e alle finalità delle misure di prevenzione personali. «2a. Assume rilievo centrale il dato testuale della normativa convenzionale e di quella interna, che evidenzia l’estraneità delle misure di prevenzione, a differenza di giurisprudenza italiana 191 quanto previsto per le misure di sicurezza, alla disciplina che regola la materia dell’estradizione. «Con specifico riferimento al caso in esame, la norma pattizia che viene in considerazione è l’art. 1 della convenzione europea di estradizione 13 dicembre 1957, resa esecutiva in Italia con l. 30 gennaio 1963 n. 300 e recepita dall’ordinamento spagnolo a fare data dal 5 agosto 1982. Tale disposizione, nel prevedere l’obbligo reciproco di estradizione per le parti che aderiscono alla convenzione, fa riferimento soltanto alla consegna di ‘‘persone che sono perseguite per un reato o ricercate per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza’’. «Di segno non diverso, d’altra parte, è l’art. 720 cod. proc. pen., che detta la disciplina interna dell’estradizione attiva dell’‘‘imputato’’ o del ‘‘condannato’’ e nessun accenno fa al soggetto proposto per una misura ante o praeter delictum ovvero già assoggettato alla medesima. (Omissis) «2.c. È proprio all’art. 14 della convenzione europea che deve farsi riferimento per la soluzione del caso in esame. «Ed invero, alla luce dell’art. 696 cod. proc. pen., le norme dell’ordinamento interno si applicano soltanto negli spazi lasciati liberi dalle regole di diritto internazionale alla cui osservanza lo Stato si è impegnato e, poiché tanto l’Italia (Stato richiedente) quanto la Spagna (Stato richiesto) hanno aderito alla convenzione, dovranno ricevere applicazione, anche in ordine al principio di specialità, le corrispondenti regole, la cui piú ampia portata rispetto alla disposizione codicistica (art. 721 cod. proc. pen.) assegna allo stesso principio la sua ‘‘massima valenza prescrittiva’’ (cfr. Cass. s.u., 28 febbraio 2001, Ferrarese). «La regola di specialità, pur da piú parti annoverata – per lo meno nella sua portata precettiva piú esigua – tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, in relazione alle quali opera il meccanismo di adeguamento ‘‘automatico’’ di cui all’art. 10, primo comma Cost., accentua tuttavia, in quanto normalmente inserita – con variegate articolazioni – nelle convenzioni tra Stati, il suo carattere pattizio, senza con ciò rinnegare la genesi consuetudinaria del suo nucleo essenziale (cfr. la citata sentenza Ferrarese). «Va inoltre precisato che la regola in esame si configura, ex art. 14 della convenzione europea, come introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale, all’esecuzione di una sentenza di condanna o all’adozione di un ‘‘qualsiasi altro’’ provvedimento restrittivo della libertà personale nei confronti dell’estradato per fatto anteriore e diverso da quello che ha dato luogo alla consegna, con l’effetto che di tale configurazione deve tenersi conto nell’affrontare la problematica relativa alla questione portata all’attenzione delle Sezioni Unite. «3. La rilevata simmetria tra l’ambito applicativo dell’istituto dell’estradizione e la sfera di efficacia della regola di specialità trova il suo punto di contatto nel ‘‘fatto’’, quale oggetto del procedimento attraverso il quale si articola il primo e quale termine di raffronto per misurare l’osservanza della seconda. «3a. Con il termine ‘‘fatto’’ deve intendersi non una qualsiasi ‘‘fattispecie astratta’’ ma il ‘‘fatto-reato’’ quale accadimento storico tipico, considerato nei suoi elementi costitutivi ed avente una sua ben precisa collocazione temporale. «Tanto chiaramente si evince dalla formulazione dell’art. 14 della convenzione, che testualmente recita: ‘‘la persona estradata non sarà perseguita, giudicata, arrestata in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né sottoposta 192 giurisprudenza italiana a qualsiasi altra restrizione della sua libertà personale, per un qualsiasi fatto anteriore alla consegna, diverso da quello che ha dato luogo alla estradizione...’’. «Sulla stessa linea è anche l’art. 721 cod. proc. pen.: ‘‘la persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa...’’. «È evidente il riferimento, presente nelle citate norme, al fatto come ‘‘oggetto di condanna penale’’ (estradizione esecutiva) ovvero come ‘‘fatto-reato sub iudice’’ (estradizione processuale); nell’uno e nell’altro caso – quindi – il riferimento è al fatto inteso nell’accezione innanzi precisata ed esplicitata, senza possibilità di equivoci, nelle norme, sopra richiamate, che definiscono il perimetro di operatività dell’istituto dell’estradizione (artt. 1 della convenzione e 720 cod. proc. pen., nonché, per l’estradizione passiva, gli art. 697 ss. cod. proc. pen.). «Non è superfluo, peraltro, precisare, a conforto della tesi qui privilegiata, che nei testi delle convenzioni bilaterali, che espressamente richiamano la clausola di specialità, ricorre con maggiore frequenza il termine ‘‘reato’’, attorno al quale è costruita la corrispondente disciplina, piuttosto che il termine ‘‘fatto’’ (art. XVI del trattato di estradizione con gli Stati Uniti d’America; art. 44 convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione con il Marocco; art. XV del trattato di estradizione col Canada; art. 17 del trattato di estradizione con l’Australia). «Devesi inoltre riconoscere che detta clausola altro non è che una derivazione del principio della previsione bilaterale del fatto (o della doppia incriminabilità o della punibilità bilaterale): la necessità cioè che il fatto per il quale l’estradizione viene richiesta sia considerato come reato in entrambi gli ordinamenti coinvolti nella procedura. «Quest’ultimo principio è riconosciuto da quasi tutte le convenzioni internazionali, ivi compresa la convenzione europea di estradizione, che lo richiama espressamente all’art. 2 par. 1, e si ritiene debba considerarsi come implicitamente sancito ove anche non fosse espressamente previsto. D’altronde, in assenza di norma pattizia, il criterio della doppia incriminazione è anche previsto dall’ordinamento interno e segnatamente dal comma secondo dell’art. 13 cod. pen. Ciò conferma che l’ambito operativo dell’estradizione è delimitato, in sintonia con i principi fondamentali che la informano, dal fatto-reato e ha lo scopo di consentire allo Stato richiedente di instaurare un rapporto processuale nei confronti dell’indagato per l’accertamento dello specifico illecito che gli si ascrive ovvero un rapporto con il condannato per l’esecuzione della pena già inflittagli, obiettivi questi che si attuano mediante la consegna fisica del soggetto che trovasi nello Stato di rifugio. «Va peraltro rilevato che si muove lungo la stessa linea di continuità la disciplina del mandato di arresto europeo. La l. 22 aprile 2005 n. 69, infatti, traccia i confini del campo di operatività della procedura di consegna con riferimento sempre al ‘‘reato’’ per il quale si procede o in relazione al quale è già intervenuta sentenza irrevocabile (artt. 6, 7, 8, per la procedura passiva; artt. 28 e 30, per quella attiva); definisce la portata del principio di specialità (per fatto anteriore alla consegna e diverso da quello che ne è oggetto) attraverso il divieto di: a) sottoposizione a un procedimento penale; b) privazione della libertà personale in esecuzione di una giurisprudenza italiana 193 pena o di una misura di sicurezza; c) assoggettamento ad altra misura privativa della libertà personale (artt. 26 e 32). «3b. Presupposto applicativo della misura di prevenzione, invece, è l’accertamento della ‘‘pericolosità attuale’’ del proposto, la quale non è collegata alla commissione di un fatto specifico costituente reato, che solo eventualmente può venire in considerazione, ma alla sussistenza di una situazione complessa, avente ‘‘un connotato di durata’’ e rivelatrice di un particolare sistema di vita del soggetto, che desta allarme per la sicurezza pubblica. «In sostanza, l’anteriorità e diversità del ‘‘fatto’’ non è apprezzabile nel giudizio di ‘‘pericolosità attuale’’, perché questo implica una valutazione articolata, su piani differenziati di apprezzamento, di plurime condotte soggettive, non necessariamente inquadrabili in parametri penalistici ma certamente rivelatrici di pericolosità sociale. «Poiché il procedimento di prevenzione prescinde dalla commissione di reati e non è quindi espressione del binomio responsabilità penale/sanzione, evidente la incompatibilità con i principi ispiratori (ivi compreso quello di specialità) dell’estradizione, che, come si è detto, presuppone necessariamente la commissione di un fatto-reato. «L’‘‘attualità’’ che deve caratterizzare la pericolosità sociale del soggetto porta ad escludere, inoltre, la misura di prevenzione dalla sfera di efficacia del principio di specialità estradizionale, proprio perché il relativo giudizio deve essere formulato con riferimento al momento deliberativo e deve conservare valenza anche nella fase esecutiva, con l’effetto che le circostanze ‘‘anteriori’’ e ‘‘diverse’’ possono venire in rilievo soltanto per la loro incidenza sull’‘‘attualità’’ e in questa finiscono contestualmente per confondersi ed esaltarsi. «Rimane comunque prioritaria e dirimente, per la corretta soluzione della questione in esame, la differenza strutturale tra la fattispecie astratta delle misure di prevenzione e il ‘‘fatto’’ al quale si ricollega il procedimento di estradizione, il cui ambito operativo, si ripete, è circoscritto al perseguimento di un reato ovvero all’esecuzione, conseguente a pronuncia di condanna, di una pena o di una misura di sicurezza, laddove le misure di prevenzione non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, né si fondano sulla colpevolezza, che è elemento proprio del reato, né hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici, ma sono collegate a un complesso di comportamenti integranti una ‘‘condotta di vita’’, che il legislatore assume come indice di pericolosità sociale, e sono funzionali alla tutela della sicurezza pubblica. «3c. L’orientamento interpretativo favorevole all’inclusione delle misure di prevenzione, comportanti limitazione della libertà personale, nell’ambito operativo dell’estradizione e quindi nella sfera di efficacia del principio di specialità fa leva su due argomenti particolarmente suggestivi: a) la irragionevole disparità di trattamento che si determinerebbe, seguendo la tesi qui privilegiata, rispetto alla disciplina propria delle misure di sicurezza (per es., la libertà vigilata) che in quell’ambito rientrano; b) il riferimento che la normativa convenzionale e quella interna fanno, nel disciplinare il principio di specialità, rispettivamente ‘‘a qualsiasi altra’’ o ‘‘ad altra’’ misura restrittiva della libertà personale. «Quanto al primo argomento, osserva la Corte che le misure di sicurezza e quelle di prevenzione hanno indubbiamente un fondamento comune e una comune finalità, ravvisabili nell’esigenza di prevenzione di fronte alla pericolosità sociale del 194 giurisprudenza italiana soggetto, ma è comunque innegabile ‘‘una netta differenziazione tra i due ordini di misure, per diversità di struttura, settore di competenza, campo e modalità di applicazione’’. «Le misure di sicurezza sono sanzioni penali applicate nei confronti di chi abbia commesso un reato o un quasi-reato (artt. 492 commi 2-4 e 115 commi 24 cod. pen.) e sia considerato socialmente pericoloso. «Le misure di prevenzione non hanno carattere sanzionatorio e sono misure specialpreventive ante o praeter delictum, applicabili a soggetti ritenuti pericolosi all’esito di un giudizio prognostico negativo circa il compimento di future attività delinquenziali. «Queste ultime misure, definite da studiosi del settore vere e proprie ‘‘fattispecie del sospetto’’, s’indirizzano, ai sensi della legge n. 1423/1956 e successive modifiche, a: ‘‘1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi’’, ‘‘2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose’’, ‘‘3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica’’. (Omissis) «Le due tipologie di misure, pur accomunate da una omogeneità funzionale, restano strutturalmente diverse e autonome tra loro, con l’effetto che il riferimento alle misure di sicurezza contenuto nella disciplina estradizionale non può ritenersi esteso automaticamente a quelle di prevenzione. Ciò conduce a non ravvisare alcuna irragionevole disparità di trattamento nella disciplina cosı́ come ricostruita, proprio in considerazione della rilevata diversità strutturale. (Omissis) «Tale equiparazione non trova giustificazione, inoltre, nel sistema positivo interno e nella stessa definizione che delle ‘‘mesures de sureté’’ dà l’art. 25 della convenzione europea di estradizione: ‘‘Agli effetti della presente convenzione, l’espressione ‘misure di sicurezza’ designa qualsiasi misura restrittiva della libertà personale ordinata in aggiunta o in sostituzione di una pena, con sentenza di una giurisdizione penale’’. È agevole cogliere il riferimento a misure che accompagnano una pena inflitta o la sostituiscono a seguito di giudizio penale, che è cosa ben diversa dal procedimento di prevenzione. «L’altro argomento su cui fa leva l’orientamento che si contrasta è costituito dal rilievo che il principio di specialità limita comunque la c.d. potestà coercitiva dello Stato richiedente, tenuto conto del riferimento che gli articoli 14 della convenzione europea e 721 cod. proc. pen., fanno non solo alla esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, ma anche a qualsiasi altra (o altra) restrizione della libertà personale, formula generica – questa – che ricomprenderebbe la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. «Anche tale ulteriore argomento non può essere condiviso, considerato che il richiamo ‘‘a qualsiasi altra restrizione della libertà personale’’ (art. 14 conv.) o ‘‘ad altra misura restrittiva della libertà personale’’ (art. 721 cod. proc. pen.), non in funzione della esecuzione di una pena o misura di sicurezza, deve essere letto in coerenza col sistema complessivo dell’istituto dell’estradizione, nel senso cioè che con quelle espressioni si vuole evocare l’assoggettamento dell’estradato ad una misura cautelare restrittiva della libertà personale per un fatto-reato sub iudice anteriore alla consegna e diverso da quello oggetto dell’estradizione. Lo stretto giurisprudenza italiana 195 collegamento tra restrizione della libertà personale e reato anteriore e diverso per il quale lo Stato richiedente intende procedere nei confronti dell’estradato trova puntuale conferma nel piú ampio testo della norma convenzionale (art. 14), applicabile nella specie, nella parte in cui disciplina – alla lettera a) del primo paragrafo – l’eventuale richiesta di estradizione suppletiva, che è riferita esplicitamente al ‘‘reato’’ e deve essere corredata dai documenti prescritti dall’art. 12 (sentenza di condanna esecutiva, mandato di cattura o qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia). «Non mancano trattati che, nel disciplinare il principio di specialità, rapportano, in maniera inequivoca, il divieto di altre forme di restrizione della libertà personale (diverse dalla detenzione esecutiva) a ‘‘qualsiasi reato’’ commesso prima della consegna (art. 17 del trattato della convenzione bilaterale tra Italia e Australia). «Deve, pertanto, escludersi ogni riferimento implicito alle misure di prevenzione, le quali, pur incidendo sulla libertà della persona anche se in modo meno invasivo delle misure detentive, prescindono del tutto dalla cotromissione di uno specifico reato. «Né, infine, la ormai pacifica configurazione giurisdizionale del procedimento di prevenzione (ulteriore argomento pure utilizzato dalla tesi contraria) si pone in contrasto con il principio di specialità di cui all’art. 14 della convenzione europea, che, ponendo il divieto per gli Stati aderenti di perseguire, giudicare, arrestare in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, di sottoporre a qualsiasi restrizione della libertà personale la persona consegnata, per un qualsiasi fatto commesso prima della consegna, non fa altro che richiamare, in coerenza con i principi di fondo che ispirano l’estradizione, le tre fasi del processo penale ordinario, nelle quali si estrinseca la potestà ‘‘giurisdizionale e cioè quella requirente, quella di cognizione e quella esecutiva’’. Anche sotto tale profilo, quindi, deve escludersi che il principio di specialità sia riferibile anche al procedimento di prevenzione, del quale si è segnalata l’estraneità alla sfera della responsabilità penale e la distanza dal paradigma sanzionatorio. «3d. Non è superfluo sottolineare che anche la Corte di Strasburgo, nell’affrontare la questione della qualificazione delle misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento, recependo la c.d. concezione autonomistica dell’illecito penale, le ha ritenute estranee all’area della ‘‘materia penale’’ e le ha escluse addirittura, almeno in astratto, dal novero delle misure privative della libertà personale di cui all’art. 5 della CEDU, qualificandole come semplici restrizioni alla libertà di circolazione di cui all’art. 2 del protocollo n. 4 della CEDU (cfr. sentenze 6 novembre 1980, Guzzardi; 22 febbraio 1994, Raimondo; 6 aprile 2000, Labita). (Omissis) «3f. Il paventato timore che la tesi sin qui sostenuta potrebbe vanificare la funzione del principio di specialità, consentendo – senza incorrere in alcuna violazione formale – l’applicazione di misure di prevenzione (anche particolarmente gravi come la sorveglianza speciale) per motivi politici, riposa su una prospettazione meramente astratta e non è idonea a contrastare efficacemente il percorso esegetico della normativa innanzi esaminata. «Non va sottaciuto, al riguardo, che, nella verifica della sussistenza delle condizioni per la concessione dell’estradizione, lo Stato richiesto, in base alla previsione di cui all’art. 3 della convenzione europea, può sempre negarla ove ritenga che ricorrano seri motivi che conclamino il carattere strumentale della domanda di 196 giurisprudenza italiana consegna per un reato di diritto comune, ma in realtà finalizzata a perseguire o punire la persona per considerazioni razziali, di religione, di nazionalità o di opinioni politiche. «Le Parti aderenti alla convenzione sono internazionalmente obbligate a dare esecuzione alla medesima in buona fede, per non alterare la correttezza dei rapporti interstatuali. «L’art. 696 cod. proc. pen., inoltre, operando un collegamento tra la norma pattizia sulla specialità e il diritto interno, attribuisce all’estradato un vero e proprio diritto soggettivo all’osservanza delle norme convenzionali, con la conseguenza che l’eventuale elusione di queste può sempre essere fatta valere attraverso gli strumenti legali che l’ordinamento democratico appresta. «3g. A conclusione di tutte le suesposte argomentazioni e alla stregua dell’analisi logico-sistematica della normativa di riferimento, va enunciato, in ossequio al disposto dell’art. 173, terzo comma disp. att. cod. proc. pen., il seguente principio di diritto in ordine al quesito interpretativo sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite: ‘‘In materia di estradizione attiva, il principio di specialità previsto dall’art. 14 par. 1 della convenzione europea di estradizione e dall’art. 721 cod. proc. pen. non è riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione; ne consegue che la persona estradata in Italia per ragioni diverse può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna’’. «La ratio decidendi del decreto impugnato è conforme a tale principio di diritto e deve, pertanto, essere disatteso il corrispondente motivo di ricorso». Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 7 marzo 2008 n. 6172, Azienda ospedaliero-universitaria (avv. Stolzi) c. G. M. (avv. Consoli). In materia di azione civile contro la discriminazione, il procedimento previsto dall’art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 costituisce un procedimento cautelare a cui si applicano, in forza dell’art. 669-quaterdecies cod. proc. civ. e in quanto compatibili, le norme sul procedimento cautelare uniforme previsto dal libro IV, titolo I, capo III cod. proc. civ.; di conseguenza il decreto della corte d’appello avverso l’ordinanza resa ai sensi della norma suddetta non è qualificabile come provvedimento definitivo con carattere decisorio e sono inammissibili contro di esso il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., e il regolamento preventivo di giurisdizione. Nella sentenza 7 marzo 2008 n. 6172, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (primo pres. Carbone, rel. De Matteis, p.m. Nardi, diff.) si sono pronunciate su un’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 44 del t.u. sull’immigrazione attraverso cui un medico albanese, in precedenza escluso da un concorso pubblico, vi era stato riammesso, tra l’altro cosı́ statuendo: «Costituendo il decreto della Corte d’Appello ex art. 44 in esame, sia secondo la disciplina del tempo, sia secondo quella attuale, provvedimento sottoponibile a verifica in sede di merito, la relativa fattispecie giurisprudenza italiana 197 differisce dagli altri provvedimenti camerali per i quali questa Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (ad es. decreto, pronunciato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 739 e 742-bis cod. proc. civ., con il quale la Corte d’Appello decide in ordine alla domanda di autorizzazione ad entrare o a permanere temporaneamente sul territorio nazionale, proposta, in deroga alle disposizioni generali sull’immigrazione, dal cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico di un familiare minorenne, ai sensi del d.lgs. n. 286/1998, art. 31 comma 3 qui in esame (Cass. sez. I, 11 gennaio 2006 n. 396; Cass. s.u., 16 ottobre 2006 n. 22216; Cass., 15 gennaio 2007 n. 747); il decreto della Corte d’Appello emanato in sede di reclamo, in camera di consiglio, avverso il provvedimento di radiazione dal ruolo nazionale dei periti assicurativi (Cass. s.u., 6 febbraio 2006 n. 2447); il provvedimento di liquidazione di onorari di avvocato, il quale, ai sensi della l. 13 giugno 1942 n. 794, artt. 29 e 30 è emesso a seguito di procedimento in camera di consiglio, con ordinanza non impugnabile (ex plurimis Cass., 7 febbraio 2007 n. 2623; Cass., 11 maggio 2006 n. 10939); il provvedimento del giudice che abbia deciso sull’opposizione proposta dal custode contro il decreto di liquidazione delle spese emesso dal magistrato che procede al giudizio nell’ambito del quale è stato disposto il sequestro (Cass. s.u., 13 luglio 2005 n. 14696); nonché (non senza contrasti), il decreto pronunciato dalla Corte d’Appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del Tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione dei coniugi concernenti il mantenimento dei figli (Cass., 4 febbraio 2005 n. 2348; Cass., 30 dicembre 2004 n. 24265). «Si deve a questo punto esaminare la questione se la mancanza, nel procedimento cautelare, del passaggio obbligatorio alla fase di merito, e la conseguente stabilizzazione dell’efficacia del provvedimento cautelare anticipatorio, non renda ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. o il regolamento preventivo di giurisdizione. «La questione è stata esaminata di recente da queste Sezioni Unite con riferimento alla previsione dell’art. 669-octies comma 6 cod. proc. civ., sopra riferita. La Corte (Cass. s.u., 28 dicembre 2007 n. 27187), è pervenuta a conclusione negativa sul rilievo che la novella affida ora alla facoltà di ciascuna parte di iniziare la causa di merito, attenuando cosı́, ma non eliminando, il carattere strumentale del provvedimento cautelare. «Si deve conclusivamente formulare il seguente principio di diritto: «‘‘Il procedimento previsto dal d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, art. 44 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) costituisce un procedimento cautelare, cui si applicano, in forza dell’art. 669 comma 14 cod. proc. civ., le norme sul procedimento cautelare uniforme previsto dal libro IV, titolo I, capo III cod. proc. civ. in quanto compatibili; in particolare si applica l’art. 669-octies cod. proc. civ., sull’inizio della fase di merito. Ne deriva che, non essendo l’ordinanza resa su ricorso o il decreto della Corte d’Appello reso su reclamo provvedimento definitivo con carattere decisorio, è inammissibile contro di essa il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., né questo può essere convertito in regolamento preventivo di giurisdizione’’». GIURISPRUDENZA COMUNITARIA Corte di giustizia, sentenza 3 settembre 2008 nelle cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P Presidente, Skouris – Avvocato generale, Poiares Maduro Kadi e Al Barakaat International Foundation contro Consiglio dell’Unione europea, sostenuto da Regno di Spagna, Repubblica francese e Regno dei Paesi Bassi, e Commissione delle Comunità europee, sostenuta da Repubblica francese e Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. L’art. 308 del trattato CE non consente, neppure nel contesto specifico degli artt. 60 e 301 del trattato CE, l’adozione di atti comunitari aventi ad oggetto non uno degli scopi della Comunità europea, bensı́ uno degli obiettivi propri del trattato UE in materia di relazioni esterne, tra cui vi è la PESC. Tuttavia, l’art. 308 del trattato CE, in combinato disposto con gli artt. 60 e 301 del trattato CE, costituisce il legittimo fondamento normativo del regolamento (CE) n. 881/2002 del 27 maggio 2002, in quanto l’obiettivo perseguito da tale regolamento, cioè di impedire immediatamente ai soggetti associati ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani di disporre di qualsiasi risorsa finanziaria ed economica al fine di evitare il finanziamento di attività terroristiche, può essere ricollegato ad uno degli scopi assegnati alla Comunità dal trattato CE. Gli obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l’effetto di compromettere i principi costituzionali del trattato CE, tra i quali vi è il principio secondo cui tutti gli atti comunitari devono rispettare i diritti fondamentali come condizione della loro legittimità. I giudici comunitari devono, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del trattato CE, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari che mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Il regolamento (CE) n. 881/2002 deve essere annullato, nella parte in cui riguarda i ricorrenti, poiché è stato adottato nell’ambito di un procedimento in cui sono stati violati i loro diritti di difesa, in particolare il diritto al contraddittorio, il principio di tutela giurisdizionale effettiva e il loro diritto di proprietà. 1* * Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. La sentenza del Tribunale di primo grado, 21 settembre 2005 in causa T-306/01, una delle due impugnate dinanzi alla Corte di giustizia, è pubblicata in questa Rivista, 2006, p. 203 ss. Tra le pronunce della Corte di giustizia citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: parere n. 2/94 del 28 marzo 1996, ivi, 1997, p. 201 ss.; sentenze 14 gennaio 1997, in GRAFICHE FIORINI – Via Altichiero 11, – Tel. 045 - 525609 - Fax 528077 E:/GIULIANO/1.09/GIUR-COM.3D - Iª BOZZA [Ver. progr. 7.51o/W (Apr 14 2003)] giurisprudenza comunitaria 199 1. Con le loro impugnazioni il sig. Kadi (C-402/05 P) e la Al Barakaat International Foundation (in prosieguo: la «Al Barakaat») (C-415/05 P) chiedono l’annullamento delle sentenze del Tribunale di primo grado delle Comunità europee del 21 settembre 2005, rispettivamente, causa T-315/01, Kadi c. Consiglio e Commissione (in Raccolta, p. II-3649), nonché causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione (ibidem, p. II3533) (in prosieguo, rispettivamente: la «sentenza impugnata Kadi» e la «sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat» nonché, congiuntamente, le «sentenze impugnate»). 2. Con tali sentenze il Tribunale ha respinto i ricorsi d’annullamento proposti dal sig. Kadi e dalla Al Barakaat avverso il regolamento (CE) del Consiglio del 27 maggio 2002 n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli ed estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan (Gazz. Uff. Com. eur., L 139, p. 9; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui tale atto li riguarda. Contesto normativo (omissis) Sui motivi riguardanti il fondamento normativo del regolamento controverso Argomenti delle parti (omissis) Giudizio della Corte 163. Occorre in secondo luogo pronunciarsi sulla fondatezza della tesi sostenuta in via principale dalla Commissione, secondo cui gli artt. 60 CE e 301 CE, considerato il loro tenore letterale e il loro contesto, costituiscono da soli un fondamento normativo appropriato e sufficiente per il regolamento controverso. 164. Questa tesi è diretta contro i punti 92-97 della sentenza impugnata Kadi nonché 128-133 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, in cui il Tribunale si è pronunciato in senso contrario. 165. Detta tesi dev’essere respinta. 166. (omissis) 194. Occorre, in quarto luogo, esaminare le censure sollevate dal sig. Kadi, nell’ambito della seconda e della terza parte del suo primo motivo, avverso i punti 122-135 della sentenza impugnata Kadi, dalla Al Barakaat avverso i punti 158-170 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, nonché la critica formulata dalla Commissione avverso questi stessi punti delle sentenze impugnate. 195. In detti punti, il Tribunale ha stabilito che il regolamento controverso aveva potuto essere adottato in base al combinato disposto degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, dal momento che, considerato il collegamento specificamente creato tra le azioni della Comunità che comportano sanzioni economiche ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE, da un lato, e gli obiettivi del trattato UE in materia di causa C-124/95, ivi, 1997, p. 766 ss.; 16 giugno 1998, in causa C-162/96, ivi, 1999, p. 1038 ss.; 30 luglio 1996, in causa C-84/95, ivi, 1997, p. 211 ss. 200 giurisprudenza comunitaria relazioni esterne, dall’altro, il ricorso all’art. 308 CE, nel contesto specifico considerato dai due primi articoli, è giustificato per raggiungere simili obiettivi, nella fattispecie l’obiettivo della PESC considerato dal regolamento controverso, vale a dire la lotta al terrorismo internazionale e il [al: n.d.r.] finanziamento dello stesso. 196. A tal proposito, occorre rilevare che le sentenze impugnate sono effettivamente viziate da un errore di diritto. 197. Infatti, se è corretto ritenere, come ha fatto il Tribunale, che sia stato creato un collegamento tra le azioni della Comunità che comportano sanzioni economiche ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE e gli obiettivi del trattato UE in materia di relazioni esterne, tra cui la PESC, né il tenore letterale delle disposizioni del trattato CE né la struttura di quest’ultimo forniscono alcun fondamento ad una concezione secondo cui tale collegamento si estenderebbe ad altre disposizioni del trattato CE, in particolare all’art. 308 CE. 198. Per quanto concerne specificamente l’art. 308 CE, se si dovesse accogliere la posizione del Tribunale, tale disposizione consentirebbe, nel contesto specifico degli artt. 60 CE e 301 CE, l’adozione di atti comunitari aventi ad oggetto non uno degli scopi della Comunità, bensı́ uno degli obiettivi propri del trattato UE in materia di relazioni esterne, tra cui vi è la PESC. 199. Tuttavia, si deve necessariamente rilevare che una siffatta concezione contrasta con il tenore letterale stesso dell’art. 308 CE. 200. Infatti, per far ricorso a tale disposizione è necessario che l’azione prevista, per un verso, si riferisca al «funzionamento del mercato comune» e, per altro verso, miri a realizzare «uno degli scopi della Comunità». 201. Orbene, quest’ultima nozione, alla luce della sua formulazione chiara e precisa, non può in alcun caso essere intesa nel senso che include gli obiettivi della PESC. 202. La coesistenza dell’Unione e della Comunità come ordinamenti giuridici integrati ma distinti, nonché l’architettura costituzionale dei pilastri, volute dagli autori dei trattati attualmente in vigore, giustamente rilevate dal Tribunale ai punti 120 della sentenza impugnata Kadi e 156 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, rappresentano inoltre considerazioni di natura istituzionale che depongono in senso sfavorevole ad un’estensione del citato collegamento ad articoli del trattato CE diversi da quelli con cui esso introduce espressamente un collegamento. 203. Peraltro, l’art. 308 CE, essendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del detto trattato, in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità (parere 2/94 [del 28 marzo 1996, in Raccolta, p. I-1759] cit., punto 30). 204. Del pari l’art. 3 UE, cui il Tribunale fa riferimento ai punti 126-128 della sentenza impugnata Kadi nonché 162-164 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, in particolare il secondo comma del suddetto articolo, non può fungere da base per un ampliamento delle competenze della Comunità al di là degli scopi comunitari. 205. L’incidenza di tale errore di diritto sulla validità delle sentenze impugnate sarà esaminata successivamente, al termine della valutazione delle altre censure giurisprudenza comunitaria 201 sollevate avverso gli sviluppi di tali sentenze relativi alla possibilità di includere l’art. 308 CE nel fondamento normativo del regolamento controverso, in combinato disposto con gli artt. 60 CE e 301 CE. 206. Tali altre censure possono essere suddivise in due categorie. 207. (omissis) 211. Quanto alla prima categoria delle dette censure, è necessario rammentare che l’art. 308 CE ha lo scopo di supplire all’assenza di poteri di azione attribuiti espressamente o implicitamente alle istituzioni comunitarie da specifiche disposizioni del trattato CE, quando poteri di tale genere dovessero apparire non di meno necessari affinché la Comunità possa svolgere i propri compiti ai fini della realizzazione degli obiettivi fissati dal trattato (parere 2/94 cit., punto 29). 212. Orbene, a giusto titolo il Tribunale ha stabilito che l’art. 308 CE poteva essere incluso, unitamente agli artt. 60 CE e 301 CE, nel fondamento normativo del regolamento controverso. 213. Infatti, quest’ultimo, imponendo misure restrittive di natura economica e finanziaria, rientra evidentemente nell’ambito d’applicazione ratione materiae degli artt. 60 CE e 301 CE. 214. In tal senso, l’inclusione degli articoli citati nel fondamento normativo del regolamento controverso era quindi giustificata. 215. Peraltro, dette disposizioni sono ascrivibili alla prosecuzione di una prassi basata, prima dell’introduzione degli artt. 60 CE e 301 CE ad opera del trattato di Maastricht, sull’art. 113 del trattato CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 133 CE) (v., in tal senso, sentenze 17 ottobre 1995, causa C-70/94, Werner, in Raccolta, p. I-3189, punti 8-10, e 14 gennaio 1997, causa C-124/95, Centro-Com, ibidem, p. I-81, punti 28 e 29), consistente nell’attribuire alla Comunità l’attuazione di azioni decise nell’ambito della cooperazione politica europea e che implicavano l’imposizione di misure restrittive di natura economica nei confronti di paesi terzi. 216. Tuttavia, poiché gli artt. 60 CE e 301 CE non prevedono poteri d’azione espressi o impliciti per imporre siffatte misure a destinatari non aventi alcun legame con il regime dirigente di un paese terzo come quelle di cui al regolamento controverso, si poteva supplire a tale assenza di potere, dovuta alle limitazioni nell’applicazione ratione personae delle disposizioni in questione, facendo ricorso all’art. 308 CE quale fondamento normativo del regolamento di cui trattasi, oltre ai due primi articoli, che fondano tale atto dal punto di vista della sua portata materiale, purché, tuttavia, risultassero soddisfatte tutte le altre condizioni richieste per l’applicabilità dell’art. 308 CE. 217. Devono pertanto essere respinte, in quanto infondate, le censure di cui alla prima categoria sopra citata. 218. Per quanto riguarda le altre condizioni di applicabilità dell’art. 308 CE, occorre poi esaminare la seconda categoria di censure, sopra citata. 219. La Commissione sostiene che se la posizione comune n. 2002/402, che il regolamento controverso mira ad attuare, persegue l’obiettivo della lotta al terrorismo internazionale, obiettivo rientrante nella PESC, tale regolamento deve, da parte sua, essere considerato implicare una misura esecutiva volta ad imporre sanzioni economiche e finanziarie. 220. Orbene, tale obiettivo rientrerebbe tra gli scopi della Comunità ai sensi 202 giurisprudenza comunitaria dell’art. 308 CE, in particolare quelli relativi alla politica commerciale comune e alla libera circolazione dei capitali. 221. Il Regno Unito afferma che l’obiettivo specifico del regolamento controverso, puramente strumentale, vale a dire l’introduzione di misure economiche coercitive, deve essere distinto dall’obiettivo sotteso al medesimo, riconducibile alla PESC, relativo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Orbene, tale obiettivo contribuirebbe a realizzare lo scopo comunitario implicito sotteso agli artt. 60 CE e 301 CE che è quello di fornire, ricorrendo esclusivamente a misure economiche coercitive, efficaci strumenti di attuazione, di atti adottati nell’ambito della PESC. 222. Occorre in proposito rilevare che l’obiettivo perseguito dal regolamento controverso è di impedire immediatamente ai soggetti associati ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani di disporre di qualsiasi risorsa finanziaria ed economica, al fine di impedire il finanziamento di attività terroristiche (sentenza 11 ottobre 2007, causa C-117/06, Möllendorf e Möllendorf-Niehuus, in Raccolta, p. I-8361, punto 63). 223. Contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale ai punti 116 della sentenza impugnata Kadi nonché 152 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, tale obiettivo può essere ricollegato ad uno degli scopi assegnati alla Comunità dal trattato CE. Pertanto, le sentenze impugnate sono altresı́ viziate da un errore di diritto su tale punto. 224. Occorre in proposito rammentare che, come chiarito al punto 203 della presente sentenza, l’art. 308 CE, essendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dall’insieme delle disposizioni del trattato CE. 225. Orbene, l’obiettivo perseguito dal regolamento controverso può essere ricollegato a uno degli scopi della Comunità ai sensi dell’art. 308 CE, per cui l’adozione di tale regolamento non ha rappresentato una violazione dell’ambito delle competenze comunitarie, come risulta dal quadro generale costituito dall’insieme delle disposizioni del trattato CE. 226. Infatti, gli artt. 60 CE e 301 CE, prevedendo una competenza comunitaria ad imporre misure restrittive di natura economica allo scopo di porre in essere azioni decise nell’ambito della PESC, sono l’espressione di un obiettivo implicito e soggiacente, vale a dire quello di rendere possibile l’adozione di misure di tal genere mediante l’efficace utilizzo di uno strumento comunitario. 227. Tale obiettivo può essere considerato costitutivo di uno scopo della Comunità ai sensi dell’art. 308 CE. 228. Detta interpretazione è avvalorata dall’art. 60 n. 2 CE. Infatti, se il primo comma di tale numero prevede una competenza rigidamente circoscritta degli Stati membri ad assumere misure unilaterali contro un paese terzo riguardanti i movimenti di capitali e i pagamenti, tale competenza, ai termini di questo stesso comma, può essere esercitata esclusivamente fintantoché non siano state adottate misure comunitarie secondo quanto disposto dal n. 1 dell’articolo in questione. 229. L’attuazione di misure restrittive di natura economica decise nell’ambito della PESC mediante uno strumento comunitario non travalica il quadro generale risultante dall’insieme delle disposizioni del trattato CE, dal momento che misure giurisprudenza comunitaria 203 siffatte, per loro natura, presentano altresı́ un legame con il funzionamento del mercato comune, legame che, come esposto al punto 200 della presente sentenza, rappresenta un ulteriore requisito d’applicazione dell’art. 308 CE. 230. Infatti, se misure economiche e finanziarie quali quelle imposte dal regolamento controverso, consistenti nel congelamento, in linea di principio generalizzato, di tutti i capitali e le altre risorse economiche delle persone e delle entità considerate, venissero applicate unilateralmente da ciascuno Stato membro, una proliferazione di misure nazionali siffatte sarebbe idonea a compromettere il funzionamento del mercato comune. Misure di tal genere potrebbero in particolare avere un’incidenza sugli scambi tra gli Stati membri, segnatamente per quanto riguarda il movimento dei capitali e dei pagamenti, nonché sull’esercizio da parte degli operatori economici del loro diritto di stabilimento. Potrebbero inoltre derivarne distorsioni concorrenziali, posto che eventuali divergenze tra le misure assunte unilateralmente dagli Stati membri potrebbero favorire la posizione concorrenziale di taluni operatori economici o pregiudicarla, senza che tali vantaggi o svantaggi siano basati su ragioni economiche. 231. L’affermazione del Consiglio, al quarto considerando del regolamento controverso, secondo cui è necessario adottare una normativa comunitaria «in particolare per evitare distorsioni della concorrenza» si rivela quindi, a tale proposito, pertinente. (omissis) Sui motivi relativi alla violazione di taluni diritti fondamentali (omissis) Giudizio della Corte (omissis) 280. Si devono esaminare le censure con le quali i ricorrenti contestano al Tribunale di avere stabilito, in sostanza, che dai principi che disciplinano il concatenarsi dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario discende che il regolamento controverso, poiché mira ad attuare una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite che non lascia alcun margine a tal fine, non può essere oggetto di un controllo giurisdizionale quanto alla sua legittimità interna, salvo per quanto concerne la sua compatibilità con le norme riconducibili allo ius cogens, e beneficia dunque in tal senso di un’immunità giurisdizionale. 281. Occorre rammentare in proposito che la Comunità è una comunità di diritto nel senso che né i suoi Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale fondamentale costituita dal trattato CE e che quest’ultimo ha istituito un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni (sentenze 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts c. Parlamento, in Raccolta, p. 1339, punto 23). 282. Si deve del pari ricordare che un accordo internazionale non può pregiudicare il sistema delle competenze definito dai Trattati e, di conseguenza, l’autonomia dell’ordinamento giuridico comunitario di cui la Corte di giustizia assicura il rispetto in forza della competenza esclusiva di cui essa è investita a norma dell’art. 220 CE, competenza che la Corte ha peraltro già considerato come facente parte dei fondamenti stessi della Comunità (v., in tal senso, parere 14 dicembre 1991, 1/ 204 giurisprudenza comunitaria 91, in Raccolta, p. I-6079, punti 35 e 71, nonché sentenza 30 maggio 2006, causa C459/03, Commissione c. Irlanda, ibidem, p. I-4635, punto 123 e giurisprudenza ivi citata). 283. Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un particolare significato (v., in particolare, sentenza 26 giugno 2007, causa C-305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophones e a., in Raccolta, p. I-5305, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). 284. Emerge altresı́ dalla giurisprudenza della Corte che il rispetto dei diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti comunitari (parere 2/94 cit., punto 34) e che nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto di questi ultimi (sentenza 12 giugno 2003, causa C112/00, Schmidberger, in Raccolta, p. I-5659, punto 73 e giurisprudenza ivi citata). 285. Da tutti gli elementi citati emerge che gli obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l’effetto di compromettere i principi costituzionali del trattato CE, tra i quali vi è il principio secondo cui tutti gli atti comunitari devono rispettare i diritti fondamentali, atteso che tale rispetto costituisce il presupposto della loro legittimità, che spetta alla Corte controllare nell’ambito del sistema completo di mezzi di ricorso istituito dal trattato stesso. 286. In proposito è necessario sottolineare come, in un contesto quale quello della fattispecie, il controllo di legittimità che deve essere in tal modo garantito dal giudice comunitario abbia ad oggetto l’atto comunitario volto ad attuare l’accordo internazionale in questione, e non quest’ultimo in quanto tale. 287. Per quanto riguarda, in particolare, un atto comunitario che, come il regolamento controverso, mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, non spetta quindi al giudice comunitario, nell’ambito della competenza esclusiva prevista dall’art. 220 CE, controllare la legittimità di una tale risoluzione adottata dal citato organo internazionale, quand’anche tale controllo si limitasse all’esame della compatibilità di tale risoluzione con lo ius cogens. 288. Peraltro, l’eventuale sentenza di un giudice comunitario con cui si stabilisse che un atto comunitario volto ad attuare una risoluzione siffatta è contrario a una norma superiore facente parte dell’ordinamento giuridico comunitario non rimetterebbe in discussione la prevalenza di tale risoluzione sul piano del diritto internazionale. 289. Infatti, la Corte ha già annullato una decisione del Consiglio che approvava un accordo internazionale dopo avere esaminato la legittimità interna della stessa con riferimento all’accordo in questione e dopo aver rilevato la violazione di un principio generale del diritto comunitario, nella fattispecie, il principio generale di non discriminazione (sentenza 10 marzo 1998, causa C-122/95, Germania c. Consiglio, in Raccolta, p. I-973). 290. Si deve pertanto verificare se, come stabilito dal Tribunale, i principi che disciplinano il concatenarsi dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario implichino che un giurisprudenza comunitaria 205 controllo giurisdizionale della legittimità interna del regolamento controverso sotto il profilo dei diritti fondamentali sia in linea di principio escluso, nonostante il fatto che, come emerge dalla giurisprudenza richiamata ai punti 281-284 della presente sentenza, un tale controllo costituisca una garanzia costituzionale che fa parte dei fondamenti stessi della Comunità. 291. A tale proposito, occorre anzitutto rammentare che le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (citate sentenze [24 novembre 1992, causa C-286/90,] Poulsen e Diva Navigation, [in Raccolta, p. I-6019], punto 9, nonché [16 giugno 1998, causa C-162/96,] Racke, [ibidem, p. I-3655], punto 45), e che la Corte ha inoltre precisato, allo stesso punto della prima di tali sentenze, che un atto adottato in forza di tali competenze va interpretato, e la sua sfera d’applicazione circoscritta, alla luce delle norme pertinenti del diritto internazionale. 292. Oltretutto, la Corte ha stabilito che le competenze della Comunità previste dagli artt. 177 CE-181 CE in materia di cooperazione e di sviluppo devono essere esercitate nel rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali (sentenza 20 maggio 2008, Commissione c. Consiglio, causa C-91/05, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 65 e giurisprudenza ivi citata). 293. Il rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite si impone anche nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, in sede di attuazione ad opera della Comunità, mediante l’adozione di atti comunitari ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE, di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. 294. Nell’esercizio di quest’ultima competenza, la Comunità è infatti tenuta ad attribuire particolare importanza al fatto che, a norma dell’art. 24 della Carta delle Nazioni Unite, l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di risoluzioni in base al capitolo VII di detta carta costituisce l’esercizio della responsabilità principale di cui è investito tale organo internazionale per mantenere, su scala mondiale, la pace e la sicurezza, responsabilità che, nell’ambito del citato capitolo VII, include il potere di determinare ciò che costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, nonché di assumere le misure necessarie per il mantenimento o il ristabilimento di queste ultime. 295. È necessario poi rilevare che le competenze previste dagli artt. 60 CE e 301 CE possono essere esercitate esclusivamente a seguito dell’adozione di una posizione comune o di un’azione comune in forza delle disposizioni del trattato UE relative alla PESC che preveda un’azione della Comunità. 296. Orbene, qualora, in conseguenza dell’adozione di un atto del genere, la Comunità sia tenuta ad assumere, nell’ambito del trattato CE, le misure imposte dall’atto stesso, tale obbligo implica, quando si tratti dell’attuazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che, in occasione dell’elaborazione di tali misure, la Comunità tenga in debita considerazione i termini e gli obiettivi della risoluzione di cui trattasi nonché gli obblighi pertinenti che derivano dalla Carta delle Nazioni Unite relativamente ad una siffatta attuazione. 297. La Corte ha del resto già stabilito che, ai fini dell’interpretazione del regolamento controverso, si deve egualmente considerare il testo e l’oggetto della risoluzione n. 1390(2002) cui il suddetto regolamento, ai termini del suo quarto 206 giurisprudenza comunitaria considerando, intende dare esecuzione (sentenza Möllendorf e Möllendorf-Niehuus cit., punto 54 e giurisprudenza ivi citata). 298. Occorre tuttavia rilevare che la Carta delle Nazioni Unite non impone la scelta di un modello prestabilito per attuare le risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII di tale Carta, posto che tale attuazione deve intervenire nel rispetto delle modalità applicabili a tal fine nell’ordinamento giuridico interno di ciascun membro dell’ONU. Infatti, la Carta delle Nazioni Unite lascia in linea di principio ai membri dell’ONU la libera scelta tra vari modelli possibili di recepimento di dette risoluzioni nel loro ordinamento giuridico interno. 299. Da tutte le considerazioni svolte emerge che i principi che disciplinano l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite non implicano che un controllo giurisdizionale della legittimità interna del regolamento controverso sotto il profilo dei diritti fondamentali sia escluso per il fatto che l’atto in questione mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. 300. Una simile immunità giurisdizionale di un atto comunitario, quale il regolamento controverso, come corollario del principio di prevalenza sul piano del diritto internazionale degli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare di quelli relativi all’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza adottate in base al capitolo VII di tale Carta, non trova del resto alcun fondamento nell’ambito del trattato CE. 301. È certamente vero che la Corte ha già ammesso che l’art. 234 del trattato CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 307 CE), qualora ne ricorressero i presupposti d’applicazione, poteva consentire deroghe addirittura al diritto primario, ad esempio all’art. 113 del trattato CE, relativo alla politica commerciale comune (v., in tal senso, sentenza Centro-Com cit., punti 56-61). 302. È altresı́ vero che l’art. 297 CE consente implicitamente che si pongano ostacoli al funzionamento del mercato comune conseguenti a misure adottate da uno Stato membro allo scopo di attuare impegni internazionali da esso assunti per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. 303. Tuttavia, tali disposizioni non possono essere intese nel senso che autorizzano una deroga ai principi di libertà, di democrazia nonché di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sanciti dall’art. 6 n. 1 UE quale fondamento dell’Unione. 304. L’art. 307 CE non potrebbe infatti in alcun caso consentire di mettere in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, che include il controllo, ad opera del giudice comunitario, della legittimità degli atti comunitari quanto alla loro conformità a tali diritti fondamentali. 305. Un’immunità giurisdizionale del regolamento controverso relativamente al controllo della sua compatibilità con i diritti fondamentali, che trovi origine in un’asserita prevalenza assoluta delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che tale atto intende attuare, non potrebbe neppure basarsi sulla posizione assunta dagli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite nella gerarchia delle norme dell’ordinamento giuridico comunitario, qualora tali obblighi fossero classificati in tale gerarchia. 306. Infatti, l’art. 300 n. 7 CE dispone che gli accordi conclusi alle condizioni giurisprudenza comunitaria 207 indicate in detto articolo siano vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri. 307. Quindi, in base a tale disposizione, se essa fosse applicabile alla Carta delle Nazioni Unite, quest’ultima prevarrebbe sugli atti di diritto comunitario derivato (v., in tal senso, sentenza 3 giugno 2008, causa C-308/06, Intertanko e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). 308. Tuttavia, tale prevalenza sul piano del diritto comunitario non si estenderebbe al diritto primario e, in particolare, ai principi generali nel cui novero vi sono i diritti fondamentali. 309. Questa interpretazione è confortata dal n. 6 dello stesso art. 300 CE, secondo cui un accordo internazionale non può entrare in vigore se la Corte ha espresso parere negativo circa la sua compatibilità con il trattato, a meno che esso non sia stato previamente modificato. 310. Si è tuttavia sostenuto dinanzi alla Corte, segnatamente in sede di udienza, che, al pari della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale in numerose decisioni recenti si è dichiarata incompetente a controllare la conformità di taluni atti intervenuti nell’ambito dell’attuazione di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, i giudici comunitari dovrebbero astenersi dal controllare la legittimità del regolamento controverso con riferimento ai diritti fondamentali, dal momento che tale atto mira, del pari, ad attuare risoluzioni di tal genere. 311. A tale proposito, occorre dichiarare che, come peraltro rilevato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, vi è una differenza fondamentale tra la natura degli atti interessati dalle decisioni citate, nei confronti dei quali tale giudice si è dichiarato incompetente ad esercitare un controllo di conformità rispetto alla CEDU, e quella di altri atti per i quali la sua competenza appare incontestabile (v. Corte europea dei diritti dell’uomo, decisione Behrami e Behrami c. Francia e Saramati c. Francia, Germania e Norvegia del 2 maggio 2007, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, par. 151). 312. Infatti, se la Corte europea dei diritti dell’uomo, in talune cause di cui è stata investita, si è dichiarata incompetente ratione personae, esse riguardavano azioni direttamente imputabili all’ONU quale organizzazione a vocazione universale che persegue un obiettivo imperativo di sicurezza collettiva, in particolare azioni di un organo ausiliario dell’ONU istituito nell’ambito del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ovvero azioni che si inserivano nell’ambito dell’esercizio di poteri validamente delegati dal Consiglio di sicurezza in applicazione di questo stesso capitolo, e non azioni imputabili agli Stati convenuti dinanzi a tale Corte, trattandosi peraltro di azioni che non avevano avuto luogo nel territorio di tali Stati e che non avevano avuto origine da una decisione delle autorità di questi ultimi. 313. Al contrario, al par. 151 della citata decisione Behrami e Behrami c. Francia e Saramati c. Francia, Germania e Norvegia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che, nella causa che ha dato origine alla sua sentenza Bosphorus Hava Yollari Turizm ve Ticaret Anonim Sirketi c. Irlanda [del 30 giugno 2005, in Recueil des arrêts et décisions 2005-VI, par. 155] cit., riguardante una misura di pignoramento posta in essere dalle autorità dello Stato convenuto nel suo territorio nazionale a seguito di una decisione di un ministro di tale Stato, essa si è riconosciuta competente, segnatamente ratione personae, nei confronti dello Stato convenuto, 208 giurisprudenza comunitaria benché la misura in questione fosse stata decisa sulla base di un regolamento comunitario adottato, esso stesso, in applicazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza. 314. Nella fattispecie, occorre rilevare che il regolamento controverso non può essere considerato come un atto direttamente imputabile all’ONU, quale azione riconducibile ad uno dei suoi organi ausiliari istituito nell’ambito del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ovvero che si inserisce nell’ambito dell’esercizio di poteri validamente delegati dal Consiglio di sicurezza in applicazione di questo stesso capitolo. 315. Oltre a ciò, in ogni caso, la questione della competenza della Corte a pronunciarsi sulla validità del regolamento controverso si pone in un contesto radicalmente diverso. 316. Infatti, come già rammentato ai punti 281-284 della presente sentenza, il controllo da parte della Corte della validità di qualsiasi atto comunitario sotto il profilo dei diritti fondamentali deve essere considerato come l’espressione, in una comunità di diritto, di una garanzia costituzionale derivante dal trattato CE, quale sistema giuridico autonomo, che non può essere compromessa da un accordo internazionale. 317. La questione della competenza della Corte si pone infatti nel contesto dell’ordinamento giuridico interno ed autonomo della Comunità, di cui fa parte il regolamento controverso e nel cui ambito la Corte è competente a controllare la validità degli atti comunitari sotto il profilo dei diritti fondamentali. 318. È stato inoltre sostenuto che, considerata la deferenza cui sono tenute le istituzioni comunitarie nei confronti delle istituzioni delle Nazioni Unite, la Corte dovrebbe rinunciare all’esercizio di un controllo della legittimità del regolamento controverso con riferimento ai diritti fondamentali, anche se un tale controllo risultasse possibile, poiché, nell’ambito del regime di sanzioni instaurato dalle Nazioni Unite, tenuto conto in particolare della procedura di riesame di recente significativamente migliorata mediante varie risoluzioni del Consiglio di sicurezza, i diritti fondamentali sono sufficientemente tutelati. 319. Secondo la Commissione, visto che nel citato regime di sanzioni gli individui o le entità interessati hanno una possibilità accettabile di instaurare un contraddittorio grazie ad un meccanismo di controllo amministrativo integrato nel sistema giuridico delle Nazioni Unite, la Corte non dovrebbe in alcun modo intervenire. 320. A tale proposito occorre anzitutto rilevare che, se, effettivamente, a seguito dell’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di varie risoluzioni, sono state apportate modifiche al regime delle misure restrittive instaurato dalle Nazioni Unite per quanto riguarda sia l’iscrizione nell’elenco riassuntivo, sia la radiazione da quest’ultimo [v. in particolar modo le risoluzioni 19 dicembre 2006 n. 1730(2006), e 22 dicembre 2006 n. 1735(2006)], tali modifiche sono intervenute successivamente all’adozione del regolamento controverso, di modo che, in linea di principio, esse non possono essere prese in considerazione nell’ambito delle presenti impugnazioni. 321. In ogni caso, l’esistenza nell’ambito di tale regime delle Nazioni Unite della procedura di riesame dinanzi al comitato per le sanzioni, anche tenendo conto delle recenti modifiche che vi sono state apportate, non può comportare un’immu- giurisprudenza comunitaria 209 nità giurisdizionale generalizzata nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno della Comunità. 322. Infatti, una tale immunità, che rappresenterebbe una deroga rilevante al regime di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali previsto dal trattato CE, non appare giustificata, poiché detta procedura di riesame non offre manifestamente le garanzie di una tutela giurisdizionale. 323. A tale proposito, se è ormai possibile per ogni persona o entità rivolgersi direttamente al comitato per le sanzioni presentando la propria domanda di radiazione dall’elenco riassuntivo al punto detto «focale», è giocoforza rilevare che la procedura dinanzi a detto comitato rimane essenzialmente di natura diplomatica e interstatale, posto che le persone o entità interessate non hanno alcuna possibilità effettiva di difendere i loro diritti e il comitato stesso assume le proprie decisioni per approvazione, laddove ciascuno dei suoi membri dispone di un diritto di veto. 324. Emerge a tale proposito dalle direttive del comitato per le sanzioni, come modificate da ultimo il 12 febbraio 2007, che il ricorrente che ha presentato istanza di radiazione non può in alcun modo far valere esso stesso i propri diritti nel corso della procedura dinanzi al comitato per le sanzioni, né può farsi rappresentare a tal fine, dal momento che solo il governo dello Stato in cui egli ha la residenza o di cui ha la cittadinanza ha la facoltà di trasmettere, eventualmente, osservazioni sull’istanza stessa. 325. Inoltre, tali direttive non obbligano il comitato per le sanzioni a comunicare al detto ricorrente le ragioni e gli elementi di prova che giustificano la sua iscrizione nell’elenco riassuntivo, né a fornirgli un accesso, ancorché limitato, a tali dati. Infine, in caso di rigetto dell’istanza di radiazione da parte del comitato in questione, non sussiste in capo a quest’ultimo alcun obbligo di motivazione. 326. Deriva da quanto precede che i giudici comunitari devono, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del trattato CE, garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti comunitari con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ivi inclusi gli atti comunitari che, come il regolamento controverso, mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. 327. Pertanto, il Tribunale è incorso in un errore di diritto stabilendo, ai punti 212-231 della sentenza impugnata Kadi nonché 263-282 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, che dai principi che disciplinano il concatenarsi dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario discende che il regolamento controverso, in quanto mira ad attuare una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite che non lascia alcun margine a tal fine, deve beneficiare di un’immunità giurisdizionale quanto alla sua legittimità interna, salvo per quanto concerne la sua compatibilità con le norme riconducibili allo ius cogens. 328. I motivi dei ricorrenti risultano quindi fondati su tale punto, di modo che le sentenze impugnate devono essere, in proposito, annullate. (omissis). Sui ricorsi dinanzi al Tribunale 331. A norma dell’art. 61, primo comma, seconda frase dello Statuto della 210 giurisprudenza comunitaria Corte di giustizia, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta. 332. Nella fattispecie, poiché lo stato degli atti dei ricorsi d’annullamento del regolamento controverso proposti dai ricorrenti lo consente, la Corte ritiene necessario statuire definitivamente sugli stessi. 333. Occorre anzitutto esaminare le censure che il sig. Kadi e la Al Barakaat hanno sollevato con riferimento alla violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto al contraddittorio e del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, che deriverebbe dalle misure di congelamento di capitali loro imposte dal regolamento controverso. 334. A tale proposito, alla luce delle circostanze concrete in cui è intervenuta l’inclusione dei nomi dei ricorrenti nell’elenco delle persone e delle entità interessate dalle misure restrittive contenuto nell’allegato I del regolamento controverso, deve stabilirsi che i diritti della difesa, in particolare il diritto al contraddittorio e il diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo di questi ultimi non sono stati manifestamente rispettati. 335. Infatti, in base ad una giurisprudenza costante, il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU, principio che è stato peraltro ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (Gazz. Uff. Com. eur., C 364, p. 1) (v. sentenza 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, in Raccolta, p. I-2271, punto 37). 336. Inoltre, alla luce della giurisprudenza della Corte in altri settori (v., in particolare, sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., in Raccolta, p. 4097, punto 15, nonché 28 giugno 2005, cause riunite C-189/02 P, C-202/02 P, da C-205/02 P a C-208/02 P e C-213/02 P, Dansk Rørindustri e a. c. Commissione, ibidem, p. I-5425, punti 462 e 463), si deve concludere, nella fattispecie, che l’efficacia del controllo giurisdizionale, che deve poter avere ad oggetto, segnatamente, la legittimità dei motivi sui quali si basa se del caso l’inclusione del nome di una persona o di un’entità nell’elenco che costituisce l’allegato I del regolamento controverso e che comporta l’applicazione a tali destinatari di un insieme di misure restrittive, implica che l’autorità comunitaria in questione sia tenuta a comunicare detti motivi alla persona o entità interessata, per quanto possibile, al momento in cui tale inclusione è stata decisa, o, quantomeno, il piú rapidamente possibile dopo tale decisione, in modo da consentire ai destinatari di esercitare, entro i termini, il loro diritto di ricorso. 337. L’osservanza di tale obbligo di comunicare detti motivi è infatti necessaria sia per consentire ai destinatari delle misure restrittive di difendere i loro diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile per loro adire il giudice comunitario (v., in tal senso, sentenza Heylens e a. cit., punto 15), sia per consentire pienamente a quest’ultimo di esercitare il controllo della legittimità dell’atto comunitario di cui trattasi, cui è tenuto ai sensi del trattato CE. 338. Per quanto riguarda i diritti della difesa, in particolare il diritto al contraddittorio, con riferimento a misure restrittive quali quelle imposte dal regolamento controverso, non può richiedersi alle autorità comunitarie di comunicare giurisprudenza comunitaria 211 detti motivi prima dell’inserimento iniziale di una persona o di un’entità nell’elenco stesso. 339. Infatti, come rilevato dal Tribunale al punto 308 della sentenza impugnata Yusuf e Al Barakaat, una simile comunicazione preventiva sarebbe tale da compromettere l’efficacia delle misure di congelamento di capitali e di risorse economiche imposte da tale regolamento. 340. Per raggiungere l’obiettivo perseguito dal detto regolamento, misure siffatte devono, per loro stessa natura, poter beneficiare di un effetto sorpresa e, come già rilevato dalla Corte, applicarsi con effetto immediato (v., in tal senso, sentenza Möllendorf e Möllendorf-Niehuus cit., punto 63). 341. Per ragioni anch’esse relative all’obiettivo perseguito dal regolamento controverso e all’efficacia delle misure da esso previste, le autorità comunitarie non erano neppure tenute a procedere a un’audizione dei ricorrenti prima dell’inserimento iniziale dei loro nomi nell’elenco di cui all’allegato I di tale regolamento. 342. Inoltre, trattandosi di un atto comunitario inteso a dare attuazione ad una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza nell’ambito della lotta al terrorismo, talune considerazioni imperative riguardanti la sicurezza o la conduzione delle relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri possono ostare alla comunicazione agli interessati di taluni elementi e, pertanto, all’audizione degli stessi in merito a tali elementi. 343. Ciò non significa tuttavia, quanto all’osservanza del principio di tutela giurisdizionale effettiva, che misure restrittive quali quelle imposte dal regolamento controverso si sottraggano a qualsivoglia controllo del giudice comunitario in quanto si affermi che l’atto che le prevede riguarda la sicurezza nazionale e il terrorismo. 344. Tuttavia, in casi simili, spetta al giudice comunitario attuare, nell’ambito del controllo giurisdizionale da esso esercitato, tecniche che consentano di conciliare, per un verso, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazioni prese in considerazione nell’adottare l’atto di cui trattasi e, per altro verso, la necessità di concedere in maniera adeguata al singolo di beneficiare delle regole procedurali (v., in tal senso, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Chahal c. Regno Unito del 15 novembre 1996, in Recueil des arrêts et décisions 1996-V, par. 131). 345. Nella fattispecie, è giocoforza rilevare anzitutto che né il regolamento controverso né la posizione comune n. 2002/402, cui quest’ultimo rinvia, prevedono alcuna procedura di comunicazione degli elementi che giustifichino l’inclusione dei nomi degli interessati nell’allegato I del citato regolamento e di audizione di questi ultimi, né contemporaneamente né successivamente a tale inclusione. 346. Deve inoltre rilevarsi che il Consiglio non ha mai comunicato ai ricorrenti gli elementi assunti a loro carico che avrebbero giustificato l’iniziale inclusione dei loro nomi nell’allegato I del regolamento controverso e, pertanto, l’applicazione delle misure restrittive da questo previste. 347. È infatti pacifico che ai ricorrenti non è stata fornita alcuna informazione in proposito, né nell’ambito del regolamento n. 467/2001, come modificato, rispettivamente, dai regolamenti n. 2062/2001 e n. 2199/2001, che ha citato per la prima volta i loro nomi in un elenco di persone, entità o organismi interessati da una 212 giurisprudenza comunitaria misura di congelamento di capitali, né nell’ambito del regolamento controverso, né in una qualsiasi fase successiva. 348. Dal momento che il Consiglio non ha comunicato ai ricorrenti gli elementi assunti a loro carico per fondare le misure restrittive loro imposte, né ha concesso a questi ultimi il diritto di prenderne conoscenza entro un termine ragionevole dopo l’adozione di tali misure, i ricorrenti non erano in grado di far conoscere utilmente il loro punto di vista in proposito. Pertanto, i diritti della difesa dei ricorrenti, in particolare quello al contraddittorio, non sono stati rispettati. 349. Inoltre, non essendo stati informati degli elementi assunti a loro carico e tenuto conto dei rapporti, già rilevati ai punti 336 e 337 della presente sentenza, esistenti tra i diritti della difesa e il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, i ricorrenti non hanno neppure potuto difendere i loro diritti con riferimento a tali elementi in condizioni soddisfacenti dinanzi al giudice comunitario, cosicché deve del pari rilevarsi una violazione del citato diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo. 350. Si deve infine rilevare che nell’ambito dei presenti ricorsi non è stato posto rimedio a tale violazione. Infatti, dal momento che nessun elemento di tale natura può essere oggetto di verifica da parte del giudice comunitario, secondo la posizione di principio adottata dal Consiglio, quest’ultimo non ha fatto valere alcun elemento a tal fine. 351. La Corte può quindi solo constatare di non essere in grado di procedere al controllo della legittimità del regolamento controverso nella parte in cui esso riguarda i ricorrenti, cosicché deve concludersi che, anche per tale motivo, il diritto fondamentale ad un ricorso giurisdizionale effettivo di cui essi beneficiano non è stato, nella fattispecie, rispettato. 352. Deve pertanto concludersi che il regolamento controverso, nella parte in cui riguarda i ricorrenti, è stato adottato senza fornire alcuna garanzia quanto alla comunicazione degli elementi assunti a loro carico o quanto alla loro audizione in proposito, cosicché si deve constatare che tale regolamento è stato adottato nell’ambito di un procedimento in cui non sono stati rispettati i diritti della difesa, il che ha avuto altresı́ come conseguenza la violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva. 353. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che i motivi sollevati dal sig. Kadi e dalla Al Barakaat a sostegno dei loro ricorsi d’annullamento avverso il regolamento controverso e basati su una violazione dei loro diritti di difesa, in particolare il diritto al contraddittorio, nonché del principio di tutela giurisdizionale effettiva, sono fondati. 354. Occorre in secondo luogo esaminare il motivo sollevato dal sig. Kadi in ordine alla violazione del diritto al rispetto della proprietà derivante dalle misure di congelamento impostegli in base al regolamento controverso. 355. Secondo una giurisprudenza costante, il diritto di proprietà fa parte dei principi generali del diritto comunitario. Tale principio, tuttavia, non si configura come una prerogativa assoluta, ma deve essere preso in considerazione in relazione alla sua funzione nella società. Conseguentemente, possono essere apportate restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà, a condizione che rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e giurisprudenza comunitaria 213 inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti garantiti (v., in particolare, sentenza Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ERSA cit., punto 119 e giurisprudenza ivi citata; v. altresı́, in tal senso, nell’ambito di un regime di misure restrittive, sentenza [30 luglio 1996, causa C-84/95,] Bosphorus [in Raccolta, p. I-3953] cit., punto 21). 356. Per stabilire la portata del diritto fondamentale al rispetto della proprietà, principio generale del diritto comunitario, occorre tener conto, segnatamente, dell’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, che sancisce tale diritto. 357. Si deve quindi valutare se la misura di congelamento prevista dal regolamento controverso rappresenti un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto fondamentale al rispetto della proprietà di persone che, come il sig. Kadi, sono menzionate nell’elenco riportato all’allegato I del citato regolamento. 358. Detta misura di congelamento rappresenta una misura cautelare, non intesa a privare tali persone della loro proprietà. Tuttavia, essa implica incontestabilmente una restrizione all’esercizio del diritto di proprietà del sig. Kadi, restrizione che dev’essere oltretutto ritenuta considerevole, data la portata generale della misura di congelamento e tenuto conto del fatto che essa è applicabile al sig. Kadi dal 20 ottobre 2001. 359. Si pone quindi la questione se tale restrizione all’esercizio del diritto di proprietà del sig. Kadi sia giustificabile. 360. In proposito, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Deve quindi verificarsi se sia stato mantenuto l’equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e l’interesse del o degli individui coinvolti. Cosı́ facendo si deve riconoscere al legislatore un ampio margine discrezionale sia nello scegliere le modalità d’attuazione, sia nel decidere se le loro conseguenze siano legittimate, nell’interesse generale, dalla volontà di perseguire l’obiettivo della legislazione di cui trattasi [v. in tal senso, segnatamente, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza J.A. PYE (Oxford) Ltd e J.A. PYE (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito del 30 agosto 2007, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, parr. 55 e 75]. 361. Come la Corte ha già stabilito nell’ambito di un altro regime comunitario di misure restrittive di natura economica, ugualmente attuativo di risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, l’importanza degli obiettivi perseguiti da un atto comunitario quale il regolamento controverso è tale da giustificare eventuali conseguenze negative, anche di un certo peso, per taluni operatori, ivi compresi quelli che non hanno alcuna responsabilità riguardo alla situazione che ha condotto all’adozione delle misure in questione, ma che si vedono pregiudicati, segnatamente, nei loro diritti di proprietà (v., in tal senso, sentenza Bosphorus cit., punti 22 e 23). 362. Nella fattispecie, le misure restrittive previste dal regolamento controverso contribuiscono all’attuazione, a livello comunitario, delle misure restrittive stabilite dal Consiglio di sicurezza nei confronti di Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associate. 363. Di fronte a un obiettivo di interesse generale cosı́ fondamentale per la 214 giurisprudenza comunitaria Comunità internazionale quale la lotta con ogni mezzo, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli atti terroristici, il congelamento di capitali, proventi finanziari e altre risorse economiche delle persone individuate dal Consiglio di sicurezza o dal comitato per le sanzioni come associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda, ai talibani non può, di per se stesso, essere considerato inadeguato o sproporzionato (v., in tal senso, sentenza Bosphorus cit., punto 26, nonché Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Bosphorus Hava Yollari Turizm ve Ticaret Anonim Sirketi c. Irlanda cit., par. 167). 364. A questo proposito occorre altresı́ considerare il fatto che il regolamento controverso, nella versione modificata dal regolamento n. 561/2003, adottato in seguito alla risoluzione n. 1452(2002), prevede, tra le altre deroghe ed esenzioni, che, su richiesta degli interessati, e salvo espressa opposizione del comitato per le sanzioni, le autorità nazionali competenti dichiarino che il congelamento dei capitali non si applica ai capitali necessari per coprire le spese di base, compresi gli acquisti di generi alimentari, nonché i pagamenti di affitti, medicinali e cure mediche, imposte o servizi pubblici. Inoltre, i capitali necessari per coprire qualsiasi altra «spesa straordinaria» possono essere scongelati mediante espressa autorizzazione del comitato per le sanzioni. 365. Occorre inoltre rilevare che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza che il regolamento controverso mira ad attuare prevedono un meccanismo periodico di riesame del regime generale delle misure adottate, nonché una procedura che consente agli interessati di sottoporre in qualsiasi momento il loro caso al comitato per le sanzioni ai fini di un riesame mediante un’istanza che può ormai essere rivolta direttamente al comitato stesso con l’intermediazione del cosiddetto punto «focale». 366. Deve concludersi che le misure restrittive imposte dal regolamento controverso rappresentano restrizioni al diritto di proprietà che sono, in linea di principio, giustificabili. 367. Si deve inoltre esaminare se, nell’applicare tale regolamento al sig. Kadi, il suo diritto di proprietà sia stato, nella fattispecie, rispettato. 368. A tale proposito, occorre ricordare che le procedure applicabili devono altresı́ fornire alla persona interessata un’occasione adeguata di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti. Per garantire il rispetto di tale condizione, che rappresenta un requisito intrinseco dell’art. 1 del protocollo n. 1 della CEDU, è necessario considerare le procedure applicabili da un punto di vista generale (v. in tal senso, segnatamente, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Jokela c. Finlandia del 21 maggio 2002, in Recueil des arrêts et décisions 2002-IV, par. 45, e giurisprudenza ivi citata, nonché par. 55). 369. Orbene, il regolamento controverso, nella parte riguardante il sig. Kadi, è stato adottato senza fornire a quest’ultimo alcuna garanzia che gli consentisse di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti, e ciò in un contesto in cui la restrizione dei suoi diritti di proprietà dev’essere ritenuta considerevole, data la portata generale e la durata effettiva delle misure restrittive a suo carico. 370. Si deve quindi concludere che, nelle circostanze della fattispecie, l’applicazione al sig. Kadi delle misure restrittive derivanti dal regolamento controverso, a causa della sua inclusione nell’elenco contenuto nell’allegato I del rego- giurisprudenza comunitaria 215 lamento controverso, costituisce una restrizione ingiustificata del suo diritto di proprietà. 371. Pertanto, il motivo del sig. Kadi basato sulla violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà è fondato. 372. Risulta quindi da quanto precede che il regolamento controverso dev’essere annullato nella parte in cui riguarda i ricorrenti. 373. Tuttavia, l’annullamento, in tale misura, del regolamento controverso con effetto immediato potrebbe arrecare un pregiudizio grave ed irreversibile all’efficacia delle misure restrittive imposte da tale regolamento e che la Comunità è tenuta ad attuare, dal momento che, nel lasso di tempo che precede la sua eventuale sostituzione con un nuovo regolamento, il sig. Kadi e la Al Barakaat potrebbero assumere provvedimenti per evitare che possano esser loro nuovamente applicate misure di congelamento di capitali. 374. Peraltro, dato che emerge dalla presente sentenza che il regolamento controverso dev’essere annullato, nella parte in cui riguarda i ricorrenti, per una violazione di principi applicabili nell’ambito della procedura seguita nell’adottare le misure restrittive introdotte dal regolamento stesso, non è da escludere che, nel merito, possa comunque rivelarsi giustificata l’applicazione di tali misure ai ricorrenti. 375. Alla luce di tali elementi, ai sensi dell’art. 231 CE devono essere mantenuti gli effetti del regolamento controverso, nella parte in cui esso include i nomi dei ricorrenti nell’elenco costitutivo del suo allegato I, per un breve periodo, che dev’essere stabilito in modo tale da consentire al Consiglio di porre rimedio alle violazioni constatate, ma che tenga altresı́ debito conto della rilevante incidenza delle misure restrittive di cui trattasi sui diritti e sulle libertà dei ricorrenti. 376. Di conseguenza, si applicherà correttamente l’art. 231 CE mantenendo gli effetti del regolamento controverso, nella parte in cui esso riguarda i ricorrenti, per un periodo non eccedente i tre mesi a decorrere dalla data di pronuncia della presente sentenza. Sulle spese (omissis) P.Q.M., la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 1) Le sentenze del Tribunale di primo grado delle Comunità europee del 21 settembre 2005, causa T-315/01, Kadi c. Consiglio e Commissione, nonché causa T306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, sono annullate. 2) Il regolamento (CE) del Consiglio del 27 maggio 2002 n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan, è annullato nella parte in cui riguarda il sig. Kadi e la Al Barakaat International Foundation. 3) Gli effetti del regolamento n. 881/2002, nella parte in cui riguarda il sig. Kadi e la Al Barakaat International Foundation, sono mantenuti per un periodo non eccedente i tre mesi a decorrere dalla data di pronuncia della presente sentenza. 216 giurisprudenza comunitaria Corte di giustizia, sentenza 2 ottobre 2008 nella causa C-372/07 Presidente, Jann – Avvocato generale, Bot Sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court (Irlanda) nelle cause Hassett contro South Eastern Health Board, con l’intervento di Howard, Medical Defence Union Ltd e MDU Services Ltd, e Doherty contro North Western Health Board, con l’intervento di Davidson, Medical Defence Union Ltd e MDU Services Ltd. L’art. 22 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un’azione, nell’ambito della quale una parte afferma che una decisione adottata da un organo di una società ha leso i diritti che, ad avviso della detta parte, le competono in base allo statuto di tale società, non riguarda la validità delle decisioni degli organi di una società ai sensi della disposizione citata. 1* 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 22 n. 2 del regolamento (CE) del Consiglio del 22 dicembre 2000 n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Gazz. Uff. Com. eur., 2001, L 12, p. 1). 2. Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di due controversie che vedono contrapposti i sigg. R. Howard e B. Davidson (in prosieguo: i «medici») alle società Medical Defence Union Ltd e MDU Services Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «MDU»), loro organizzazioni professionali, e aventi ad oggetto la richiesta di indennizzo e/o contribuzione rispetto a qualsiasi importo che ciascuno di essi possa essere condannato a pagare a titolo di indennizzo al servizio sanitario per il quale lavorava, nell’ambito di un’azione per il risarcimento dei danni cagionati da errore professionale avviata dalle sig.re N. Hassett e C. Doherty contro i suddetti servizi sanitari. Contesto normativo 3. L’undicesimo considerando del regolamento n. 44/2001 è cosı́ redatto: «Le norme sulla competenza devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio della competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento». 4. L’art. 2 par. 1 del regolamento citato prevede che: * Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. Tutte le sentenze della Corte di giustizia citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: 13 luglio 2006, in causa C-103/05, ivi, 2007, p. 236 ss.; 14 dicembre 1977, in causa 73/ 77, ivi, 1978, p. 417 ss.; 27 gennaio 2000, in causa C-8/98, ivi, 2000, p. 525 ss.; 18 maggio 2006, in causa C-343/04, ivi, 2006, p. 1126 ss.; 17 maggio 1994, in causa C-294/92, ivi, 1994, p. 663 ss. giurisprudenza comunitaria 217 «Salve le disposizioni del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro». 5. L’art. 5 dello stesso regolamento dispone che: «La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: «1) a) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; «... «3) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire; «...». 6. Ai sensi dell’art. 6 del regolamento n. 44/2001: «[Una persona domiciliata sul territorio di uno Stato membro] può inoltre essere convenuta: «... «2) qualora si tratti di chiamata in garanzia o altra chiamata di terzo, davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, sempre che quest’ultima non sia stata proposta solo per distogliere colui che è stato chiamato in causa dal suo giudice naturale; «...». 7. L’art. 22 del suddetto regolamento prevede che: «Indipendentemente dal domicilio, hanno competenza esclusiva: «... «2) in materia di validità, nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche, aventi la sede nel territorio di uno Stato membro, o riguardo alla validità delle decisioni dei rispettivi organi, i giudici di detto Stato membro... «...». Causa principale e questione pregiudiziale 8. Dalla decisione di rinvio risulta che le cause a quibus scaturiscono da due azioni per il risarcimento dei danni intentate dalle sig.re Hassett e Doherty dinanzi ai giudici irlandesi contro due servizi sanitari irlandesi per una grave lesione che si presume causata dall’errore professionale dei medici dipendenti dai suddetti servizi. Le due azioni citate sono state oggetto di transazione, che ha dato luogo al pagamento di un’indennità a favore di ciascuna parte attrice. 9. Nell’ambito di tali azioni, i servizi sanitari in parola hanno chiamato in causa i medici, onde reclamare il pagamento da parte loro di una contribuzione o di un indennizzo in relazione alle citate azioni per risarcimento danni. 10. All’epoca dei fatti di causa i medici erano membri della MDU. La MDU è un’organizzazione professionale, costituita in forma di società a responsabilità limitata di diritto inglese, avente sede nel Regno Unito e il cui scopo statutario consiste, tra l’altro, nel fornire ai propri membri un indennizzo nell’ambito di procedimenti riguardanti errori professionali di cui questi si siano resi responsabili. 11. I medici hanno pertanto chiesto alla MDU un indennizzo e/o una contribuzione per qualsiasi cifra che ciascuno di essi potrà essere condannato a pagare ai servizi sanitari coinvolti. La MDU ha deciso di respingere le loro domande d’in- 218 giurisprudenza comunitaria dennizzo invocando gli artt. 47 e 48 del suo statuto, che prevedono che la decisione relativa alle richieste d’indennizzo sia oggetto del potere discrezionale assoluto del consiglio d’amministrazione. 12. Ritenendo che tali decisioni di rigetto ledessero i propri diritti statutari, i medici hanno chiesto, e ottenuto con ordinanze della High Court (Corte d’appello) 22 giugno 2005, l’intervento coatto nella causa della MDU. 13. La MDU ha quindi sollevato un’eccezione procedurale tesa all’annullamento di tali chiamate in causa. Essa ha sostenuto che l’oggetto delle azioni intentate contro di lei riguardava, in sostanza, la validità di decisioni adottate dal suo consiglio d’amministrazione e che, pertanto, tali azioni rientravano nel campo d’applicazione dell’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001, con la conseguenza che sarebbero stati competenti unicamente i giudici britannici e non i giudici irlandesi. 14. I medici, per contro, hanno fatto valere che, alla luce della natura delle loro domande, i giudici irlandesi sarebbero stati competenti in forza degli artt. 5 n. 1 e n. 3 e 6 n. 2 del regolamento n. 44/2001. In particolare, da un lato, la MDU sarebbe venuta meno ai propri obblighi contrattuali omettendo di esaminare in modo debito le richieste d’indennizzo che le erano state rivolte. Dall’altro, dal momento che la MDU aveva già fornito assistenza ai medici nella conduzione della loro difesa nell’ambito del procedimento per errore professionale, essa non avrebbe potuto negare loro un indennizzo ad uno stadio cosı́ avanzato della procedura. 15. L’eccezione sollevata dalla MDU è stata respinta in base all’argomento che le domande giudiziali dei medici non ricadevano nell’art. 22 n. 2 del detto regolamento. La MDU ha interposto appello dinanzi alla Supreme Court (Corte di cassazione costituzionale irlandese) la quale ha sospeso il procedimento ed ha posto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Allorché medici costituiscono un’organizzazione professionale sotto forma di società assoggettata alle leggi di uno Stato membro, allo scopo di fornire assistenza e indennizzo ai membri di questa che esercitino la loro attività professionale in detto Stato membro e in un altro, e allorché la prestazione di tale assistenza o indennizzo dipende dall’adozione, in forma assolutamente discrezionale, di una decisione a opera del consiglio di amministrazione della suddetta società, conformemente allo statuto sociale, se il procedimento nel quale un medico, che esercita la propria attività in un altro Stato membro, impugna una decisione che, conformemente a tali disposizioni, reca diniego di assistenza o di indennizzo nei suoi confronti, in quanto tale decisione comporta la violazione da parte della società di diritti contrattuali o altri diritti del medico di cui trattasi, debba essere considerato un procedimento in materia di validità di una decisione di un organo della detta società, ai sensi dell’art. 22 [n.] 2 del [regolamento n. 44/ 2001], cosicché hanno competenza esclusiva i giudici dello Stato membro in cui ha sede la detta società». Sulla questione pregiudiziale 16. Con tale questione il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se l’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001 debba essere interpretato nel senso che un’azione, come quella di cui trattasi nella causa principale, nell’ambito della quale una parte afferma che una decisione adottata da un organo di una società ha leso i diritti giurisprudenza comunitaria 219 che, ad avviso della detta parte, le competono in base allo statuto di tale società, riguarda la validità delle decisioni degli organi di una società ai sensi della disposizione citata. 17. Per risolvere il suddetto quesito occorre rammentare che, da un lato, le disposizioni del regolamento n. 44/2001 vanno interpretate in modo autonomo, alla luce del loro sistema e delle loro finalità (v., inter alia, sentenza 13 luglio 2006, causa C-103/05, Reisch Montage, in Raccolta, p. I-6827, punto 29). 18. Dall’altro, come risulta dall’undicesimo considerando del regolamento n. 44/2001, in via di principio la competenza del giudice del domicilio del convenuto deve valere in ogni ipotesi, salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere giustifica un diverso criterio di collegamento. Ipotesi siffatte devono quindi essere sottoposte ad un’interpretazione restrittiva. 19. La Corte ha per l’appunto adottato siffatta interpretazione per quanto attiene alle disposizioni dell’art. 16 della convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Gazz. Uff. Com. eur., 1972, L 299, p. 32; in prosieguo: la «convenzione di Bruxelles»), disposizioni in sostanza identiche a quelle di cui all’art. 22 del regolamento n. 44/2001. Infatti, a tal riguardo la Corte ha giudicato che, in quanto eccezione alla regola generale sulla competenza, le citate disposizioni della convenzione di Bruxelles non devono essere interpretate in senso piú ampio di quanto non richieda la loro finalità, poiché hanno l’effetto di privare le parti della scelta, che altrimenti spetterebbe loro, del foro competente e, in taluni casi, di portarle davanti ad un giudice che non è quello del domicilio di alcuna di esse (v. sentenze 14 dicembre 1977, causa 73/77, Sanders, in Raccolta, p. 2383, punti 17 e 18; 27 gennaio 2000, causa C-8/98, Dansommer, ibidem, p. I-393, punto 21, e 18 maggio 2006, causa C-343/04, CEZ, ibidem, p. I-4557, punto 26). 20. Orbene, come confermato peraltro dalla relazione Jenard sulla convenzione di Bruxelles (Gazz. Uff. Com. eur., 1979, C 59, p. 1), l’obiettivo primario perseguito mediante siffatta eccezione, che stabilisce la competenza esclusiva dei giudici dello Stato membro della sede della società, è quello di centralizzare la competenza allo scopo di evitare decisioni contraddittorie in ordine all’esistenza delle società e alla validità delle delibere dei loro organi. 21. Come risulta parimenti dalla suddetta relazione, i giudici dello Stato membro nel quale la società ha la sua sede paiono, infatti, quelli che sono meglio situati per dirimere siffatte controversie, per il fatto in particolare che le formalità di pubblicità della società sono state svolte all’interno dello stesso Stato. L’attribuzione di una tale competenza esclusiva a detti giudici è dunque effettuata nell’interesse della sana amministrazione della giustizia (v., in tal senso, sentenza Sanders cit., punti 11 e 17). 22. Tuttavia, contrariamente a quanto suggerito dalla MDU, dai principi ricordati ai punti precedenti non può dedursi che sia sufficiente che un’azione giudiziaria presenti un qualsivoglia nesso con una decisione adottata da un organo di una società perché sia applicabile l’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001 (v., per analogia con l’art. 16 n. 1 della convenzione di Bruxelles, sentenze 17 maggio 1994, causa C-294/92, Webb, in Raccolta, p. I-1717, punto 14, e Dansommer cit., punto 22). 220 giurisprudenza comunitaria 23. Difatti, come sostengono i medici, se ogni controversia riguardante una decisione adottata da un organo di una società dovesse ricadere nell’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001, ciò significherebbe in realtà che le azioni giudiziarie intentate contro una società in materia contrattuale, di responsabilità da fatto illecito o altro rientrerebbero quasi sempre nella competenza dei giudici dello Stato membro della sede di tale società. 24. Orbene, siffatta interpretazione dell’articolo citato avrebbe l’effetto di sottoporre alla competenza derogatoria in discorso sia controversie che non sarebbero atte a dar luogo a decisioni contraddittorie sulla validità delle delibere degli organi di una società, giacché la loro soluzione non avrebbe alcuna incidenza su tale validità, sia controversie che non richiedono minimamente l’esame delle formalità di pubblicità applicabili ad una società. 25. La suddetta interpretazione estenderebbe pertanto il campo d’applicazione dell’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001 al di là di quanto richiesto dalla sua finalità, come rammentato ai punti 20 e 21 della presente sentenza. 26. Da ciò deriva che, come a giusto titolo rilevano i medici e la Commissione delle Comunità europee, l’articolo citato deve essere interpretato nel senso che il suo campo d’applicazione riguarda esclusivamente le controversie nelle quali una parte contesta la validità di una decisione di un organo di una società alla luce del diritto delle società applicabile o delle disposizioni statutarie attinenti al funzionamento dei suoi organi. 27. Orbene, dalla decisione di rinvio non risulta che i medici abbiano sollevato siffatte contestazioni dinanzi alla High Court. 28. Infatti, nelle cause principali, i medici non mettono affatto in discussione la circostanza che il consiglio d’amministrazione della MDU disponesse, in conformità dello statuto di quest’ultima, del potere di adottare la decisione di diniego della loro domanda d’indennizzo. 29. Invece, detti medici criticano le modalità d’esercizio di tale potere. In questo caso, essi affermano che la MDU ha respinto d’ufficio la loro richiesta d’indennizzo, senza dedicarsi ad un approfondito esame di quest’ultima, in tal modo violando i diritti che essi asseriscono spettare loro in base allo statuto della MDU in quanto membri della stessa. 30. Pertanto, le controversie a quibus, che vedono contrapposti i suddetti medici alla MDU, non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001. 31. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando che l’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che un’azione, come quella in esame nella causa principale, nell’ambito della quale una parte afferma che una decisione adottata da un organo di una società ha leso i diritti che, ad avviso della detta parte, le competono in base allo statuto di tale società, non riguarda la validità delle decisioni degli organi di una società ai sensi della disposizione citata. Sulle spese 32. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. giurisprudenza comunitaria 221 P.Q.M., la Corte (Prima Sezione) dichiara: L’art. 22 n. 2 del regolamento (CE) del Consiglio del 22 dicembre 2000 n. 44/ 2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un’azione, come quella in esame nella causa principale, nell’ambito della quale una parte afferma che una decisione adottata da un organo di una società ha leso i diritti che, ad avviso della detta parte, le competono in base allo statuto di tale società, non riguarda la validità delle decisioni degli organi di una società ai sensi della disposizione citata. Corte di giustizia, sentenza 14 ottobre 2008 nella causa C-353/06 Presidente, Skouris – Avvocato generale, Sharpston Sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Amtsgericht Flensburg (Germania) nella causa promossa da Grunkin e Paul, con l’intervento di Grunkin-Paul e Standesamt Niebüll. L’art. 18 del trattato CE osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, richiamato dalle norme di conflitto di tale Stato che accolgono il criterio della cittadinanza, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita. 1* 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 12 CE e 18 CE. 2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Grunkin e la sig.ra Paul, da una parte, e lo Standesamt Niebüll (Ufficio dello stato civile della città di Niebüll), dall’altra, in merito al rifiuto, da parte di quest’ultimo, di riconoscere il cognome del figlio Leonhard Matthias, cosı́ come esso è stato determinato e registrato in Danimarca, e di iscrivere quest’ultimo nel libretto di famiglia aperto per loro presso il detto servizio. Contesto normativo tedesco Il diritto internazionale privato 3. L’art. 10 n. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile (Einführungsge* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. Tra le sentenze della Corte di giustizia citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: 27 aprile 2006, in causa C-96/04, ivi, 2006, p. 1144 ss. (breve); 2 ottobre 2003, in causa C-148/02, ivi, 2003, p. 1088 ss. 222 giurisprudenza comunitaria setz zum Bürgerlichen Gesetzbuch; in prosieguo: l’«EGBGB») dispone quanto segue: «Il cognome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa possiede la cittadinanza». Il diritto civile 4. Per quanto riguarda la determinazione del cognome del figlio di genitori che portano cognomi diversi, l’art. 1617 del codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch; in prosieguo: il «BGB») cosı́ recita: «(1) Qualora i genitori non portino un cognome coniugale e abbiano la custodia congiunta del figlio, essi devono scegliere, mediante dichiarazione resa dinanzi ad un ufficiale dello stato civile, il cognome del padre o quello della madre al momento della dichiarazione quale cognome da assegnare al figlio alla nascita... «(2) Qualora i genitori non abbiano effettuato la dichiarazione entro un mese dalla nascita del figlio, il Familiengericht [tribunale della famiglia] conferisce ad uno dei genitori il diritto di stabilire il cognome del figlio. Il par. 1 è applicabile mutatis mutandis. Il giudice può fissare al genitore un termine per l’esercizio di tale diritto. Qualora il diritto di scegliere il cognome non venga esercitato prima della scadenza del termine, al figlio viene assegnato il cognome del genitore cui è stato conferito tale diritto. «(3) Qualora il figlio sia nato al di fuori del territorio tedesco, il giudice attribuisce a un genitore il diritto di sceglierne il cognome ai sensi del par. 2 soltanto se un genitore o il figlio lo richiede, ovvero se occorre indicare il cognome del figlio in un atto dello stato civile tedesco o su un documento d’identità tedesco». Causa principale e questione pregiudiziale 5. Il 27 giugno 1998 nasceva in Danimarca Leonard Matthias Grunkin-Paul, figlio della sig.ra Paul e del sig. Grunkin, che all’epoca erano sposati e che sono entrambi cittadini tedeschi. È anch’egli cittadino tedesco e vive dalla nascita in Danimarca. 6. In conformità al certificato di riconoscimento del nome («navnebevis») rilasciato dalla competente autorità danese, il figlio riceveva, in virtú del diritto danese, il cognome Grunkin-Paul, che veniva ugualmente iscritto nel suo atto di nascita danese. 7. Gli uffici dello stato civile tedesco si rifiutavano di riconoscere il cognome del figlio cosı́ come esso era stato determinato in Danimarca in quanto, in forza dell’art. 10 dell’EGBGB, il cognome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa possiede la cittadinanza e il diritto tedesco non consente a un figlio di portare un doppio cognome composto da quello del padre e da quello della madre. I ricorsi presentati dai genitori del piccolo Leonhard Matthias avverso tale rifiuto venivano respinti. 8. I genitori del bambino, che nel frattempo hanno divorziato, non portavano un cognome coniugale e si sono rifiutati di determinare il cognome del figlio in conformità all’art. 1617 par. 1 del BGB. 9. L’Amtsgericht Niebüll veniva adito dallo Standesamt Niebüll per decidere sul trasferimento a uno dei genitori del piccolo Leonhard Matthias del diritto di determinare il cognome di quest’ultimo in applicazione dell’art. 1617 par. 2 e par. 3 del BGB. Tale giudice sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giurisprudenza comunitaria 223 giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE. Nella sua sentenza 27 aprile 2006, causa C-96/04, Standesamt Stadt Niebüll (in Raccolta, p. I-3561), la Corte dichiarava che l’Amtsgericht Niebüll, adito nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, agiva in qualità di autorità amministrativa senza essere al contempo chiamato a dirimere una controversia, di modo che non si poteva ritenere che esso esercitasse un’attività giurisdizionale. Per questo motivo, la Corte si dichiarava incompetente a risolvere la questione sottopostale. 10. Il 30 aprile 2006 i genitori del piccolo Leonhard Matthias chiedevano all’autorità competente di iscrivere quest’ultimo con il cognome Grunkin-Paul nel libretto di famiglia tenuto a Niebüll. Con decisione 4 maggio 2006, lo Standesamt Niebüll respingeva tale richiesta d’iscrizione adducendo che il diritto tedesco in materia di cognomi non la consentiva. 11. Il 6 maggio 2006 i genitori del detto bambino adivano l’Amtsgericht Flensburg chiedendo che fosse ingiunto allo Standesamt Niebüll di riconoscere il cognome del figlio cosı́ come determinato e registrato in Danimarca e di iscriverlo nel libretto di famiglia con il nome Leonhard Matthias Grunkin-Paul. 12. Il giudice del rinvio constata che non è possibile ingiungere allo Standesamt Niebüll di iscrivere un cognome non ammesso in base al diritto tedesco, ma nutre tuttavia dubbi in merito alla compatibilità con il diritto comunitario del fatto che un cittadino dell’Unione sia costretto a portare un cognome diverso in diversi Stati membri. 13. Stanti tali premesse, l’Amtsgericht Flensburg ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se, alla luce del divieto di discriminazione contenuto nell’art. 12 CE e in considerazione della libertà di circolazione garantita ad ogni cittadino dell’Unione dall’art. 18 CE, sia valida la norma di conflitto prevista dall’art. 10 dell’EGBGB in quanto, riguardo alla normativa sul nome di una persona, essa fa riferimento solo alla cittadinanza». Sulla questione pregiudiziale 14. Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 12 CE e 18 CE ostino al fatto che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita. Sull’ambito di applicazione del trattato CE 15. In limine, occorre constatare che la situazione del piccolo Leonhard Matthias rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del trattato CE. 16. Infatti, sebbene allo stato attuale del diritto comunitario le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono tuttavia rispettare il diritto comunitario, a meno che non si tratti di una situazione interna che non ha alcun collegamento con il diritto comunitario (v. sentenza 2 ottobre 2003, causa C148/02, Garcia Avello, in Raccolta, p. I-11613, punti 25 nonché 26 e giurisprudenza citata). 17. Ebbene, la Corte ha già dichiarato che un siffatto collegamento con il diritto comunitario esiste nel caso di figli che siano cittadini di uno Stato membro e al 224 giurisprudenza comunitaria contempo soggiornino legalmente nel territorio di un altro Stato membro (v. sentenza Garcia Avello cit., punto 27). 18. Pertanto, in linea di principio, il piccolo Leonhard Matthias può a buon diritto invocare, nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino, il diritto conferito dell’art. 12 CE di non subire una discriminazione basata sulla sua cittadinanza, nonché il diritto, sancito dell’art. 18 CE, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Sull’art. 12 CE 19. Per quanto riguarda l’art. 12 CE, occorre tuttavia constatare, innanzi tutto, che, come affermato da tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte nonché dalla Commissione delle Comunità europee, il piccolo Leonhard Matthias, in Germania, non subisce alcuna discriminazione in base alla cittadinanza. 20. Infatti, dato che il detto bambino e i suoi genitori possiedono unicamente la cittadinanza tedesca e che, per l’attribuzione del cognome, la norma di conflitto tedesca oggetto della causa principale fa riferimento al diritto sostanziale tedesco in materia di cognomi, la determinazione del cognome di tale bambino in Germania in conformità alla normativa tedesca non può costituire una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Sull’art. 18 CE 21. Occorre ricordare che una normativa nazionale che svantaggia taluni cittadini nazionali per il solo fatto che hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute a tutti i cittadini dell’Unione dall’art. 18 n. 1 CE (v. sentenze 18 luglio 2006, causa C-406/04, De Cuyper, in Raccolta, p. I-6947, punto 39, e 22 maggio 2008, causa C-499/06, Nerkowska, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32). 22. Orbene, il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 CE. 23. Occorre infatti rammentare che la Corte ha già dichiarato, per quanto riguarda i figli in possesso della cittadinanza di due Stati membri, che una situazione di diversità di cognomi è tale da generare per gli interessati seri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto privato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, in uno Stato membro di cui hanno la cittadinanza, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cognome riconosciuto nell’altro Stato membro del quale possiedono la cittadinanza (sentenza Garcia Avello cit., punto 36). 24. Siffatti seri inconvenienti possono presentarsi allo stesso modo in una situazione come quella di cui alla causa principale. Infatti, a tale proposito poco importa se la diversità dei cognomi è conseguenza della doppia cittadinanza degli interessati o della circostanza che, nello Stato di nascita e di residenza, la determinazione del cognome è collegata alla residenza, mentre nello Stato di cui questi ultimi possiedono la cittadinanza tale determinazione è collegata alla cittadinanza. 25. Come rileva la Commissione, numerose azioni della vita quotidiana, sia nel giurisprudenza comunitaria 225 settore pubblico sia in quello privato, richiedono la prova dell’identità, prova che di norma è fornita dal passaporto. Poiché il piccolo Leonhard Matthias possiede unicamente la cittadinanza tedesca, il rilascio del detto documento rientra esclusivamente nella competenza delle autorità tedesche. Ebbene, qualora queste ultime si oppongano al riconoscimento del cognome cosı́ come esso è stato determinato e registrato in Danimarca, a tale bambino verrà rilasciato dalle dette autorità un passaporto nel quale figurerà un cognome diverso da quello che egli ha ricevuto in quest’ultimo Stato membro. 26. Di conseguenza, ogni volta che l’interessato dovrà dimostrare la sua identità in Danimarca, Stato membro in cui è nato e risiede sin dalla nascita, egli rischia di essere obbligato a dissipare dubbi sulla sua identità e ad allontanare sospetti di falsa dichiarazione suscitati dalla divergenza tra, da una parte, il cognome che egli utilizza da sempre nella vita quotidiana – che compare sia nei registri delle autorità danesi sia in tutti i documenti ufficiali che lo riguardano redatti in Danimarca, come, tra l’altro, l’atto di nascita – e, dall’altra parte, il cognome che figura sul suo passaporto tedesco. 27. Inoltre, la quantità di documenti – in particolare attestati, certificati e diplomi – dai quali emerge una divergenza per quanto riguarda il cognome dell’interessato rischia di aumentare nel corso degli anni, in quanto il bambino ha un rapporto molto stretto sia con la Danimarca sia con la Germania. Dal fascicolo emerge infatti che egli, pur vivendo principalmente con la madre in Danimarca, soggiorna regolarmente in Germania per visitare il padre, che vi si è stabilito dopo il divorzio. 28. Orbene, ogni volta che il cognome utilizzato in una situazione concreta non corrisponde a quello che figura nel documento presentato come prova dell’identità di una persona – in particolare per fruire di una qualsiasi prestazione o di un qualsiasi diritto, oppure per attestare il superamento di prove o l’acquisizione di capacità – o che il cognome che figura in due documenti presentati congiuntamente non è lo stesso, una siffatta divergenza di cognome è idonea a suscitare dubbi in merito all’identità di tale persona e all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti. 29. Un ostacolo alla libera circolazione come quello risultante dai seri inconvenienti descritti ai punti 23-28 della presente sentenza può essere giustificato solo se è basato su considerazioni oggettive e se è adeguatamente commisurato allo scopo legittimamente perseguito (v., in questo senso, sentenza 11 settembre 2007, causa C-318/05, Commissione c. Germania, in Raccolta, p. I-6957, punto 133 e giurisprudenza citata). 30. Per giustificare il collegamento esclusivo della determinazione del cognome alla cittadinanza, il governo tedesco e taluni degli altri governi che hanno presentato osservazioni alla Corte affermano, tra l’altro, che tale collegamento costituisce un criterio oggettivo che consente di determinare il cognome di una persona in modo certo e continuo, di garantire l’unicità del cognome nell’ambito della fratria e di mantenere le relazioni tra i membri di una famiglia allargata. Inoltre, tale criterio sarebbe diretto a far sı́ che tutte le persone che posseggono una determinata cittadinanza siano trattate allo stesso modo e ad assicurare un’identica determinazione del cognome delle persone aventi la medesima cittadinanza. 31. Orbene, nessuno dei motivi dedotti a sostegno del collegamento della determinazione del cognome di una persona alla sua cittadinanza, per quanto 226 giurisprudenza comunitaria possano di per sé essere legittimi, merita di essere considerato talmente importante da giustificare che le autorità competenti di uno Stato membro, in circostanze come quelle della causa principale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio è nato e risiede sin dalla nascita. 32. Infatti, nei limiti in cui il collegamento alla cittadinanza ha lo scopo di garantire che il cognome di una persona possa essere determinato in modo continuo e stabile, occorre constatare, come ha fatto la Commissione, che, in circostanze come quelle della causa principale, siffatto collegamento sfocerà in un risultato contrario a quello voluto. In effetti, ogni volta che il figlio attraversa la frontiera tra la Danimarca e la Germania, porterà un nome diverso. 33. Quanto all’obiettivo di garantire l’unicità del cognome nell’ambito della fratria, è sufficiente constatare che nella causa in esame non si pone un problema di questo genere. 34. Peraltro, il collegamento della determinazione del cognome di una persona alla sua cittadinanza, operato dal diritto internazionale privato tedesco, non è privo di eccezioni. È infatti pacifico che le regole di conflitto tedesche relative alla determinazione del cognome di un figlio consentono un collegamento alla residenza abituale di uno dei genitori quando questa si trova in Germania. Pertanto, un figlio che, al pari dei genitori, non possiede la cittadinanza tedesca, può tuttavia vedersi attribuire in Germania un cognome formato ai sensi della normativa tedesca quando la residenza abituale di uno dei suoi genitori si trova in Germania. Una situazione simile a quella del piccolo Leonhard Matthias potrebbe quindi verificarsi anche in Germania. 35. Il governo tedesco asserisce inoltre che la normativa nazionale non permette l’attribuzione di cognomi composti per motivi di ordine pratico. A suo avviso, deve essere possibile limitare la lunghezza dei cognomi. Esso adduce che il legislatore tedesco ha adottato disposizioni affinché la generazione seguente non sia costretta a rinunciare ad una parte del cognome: ciò che una generazione guadagnerebbe in termini di libertà se i doppi cognomi fossero ammessi sarebbe perso dalla generazione successiva. Quest’ultima, infatti, non disporrebbe piú delle stesse possibilità di combinazione a disposizione della generazione precedente. 36. Tuttavia, siffatte considerazioni di praticità amministrativa non sono sufficienti a giustificare un ostacolo alla libera circolazione come quello constatato ai punti 22-28 della presente sentenza. 37. Peraltro, come emerge dalla decisione di rinvio, la normativa tedesca non esclude in toto la possibilità di attribuire cognomi composti a figli di cittadinanza tedesca. Come ha confermato il governo tedesco in udienza, infatti, quando uno dei genitori possiede la cittadinanza di un altro Stato, i genitori possono scegliere di formare il cognome del figlio secondo la normativa di tale Stato. 38. Inoltre, occorre dichiarare che dinanzi alla Corte non è stata dedotta alcuna specifica ragione eventualmente idonea ad ostare al riconoscimento del cognome del piccolo Leonhard Matthias cosı́ com’è stato attribuito e registrato in Danimarca, come ad esempio la contrarietà di tale cognome all’ordine pubblico in Germania. 39. Alla luce delle osservazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata nel senso che, in circostanze come quelle della causa principale, l’art. 18 CE osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e giurisprudenza comunitaria 227 registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita. Sulle spese 40. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. P.Q.M., la Corte (Grande Sezione) dichiara: L’art. 18 CE, in circostanze come quelle della causa principale, osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cosı́ come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita. GIURISPRUDENZA IN BREVE Corte di giustizia (pres. Skouris, avv. gen. Kokott), sentenza 29 gennaio 2008 nella causa C-275/06, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de lo Mercantil n. 5 de Madrid (Spagna) nella causa tra Productores de Música de España (Promusicae) e Telefónica de España SAU. Le direttive 2000/31/CE dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), 2001/29/CE del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, 2004/48/CE del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, e 2002/58/CE del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, non impongono agli Stati membri di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile. Tuttavia, le norme nazionali di trasposizione di queste direttive devono essere interpretate in modo da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario ed evitare conflitti con gli altri principi generali del diritto comunitario, come il principio di proporzionalità. 1* Con sentenza del 29 gennaio 2008, la Corte di giustizia (Grande Sezione) ha * Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. 228 giurisprudenza comunitaria risolto negativamente la questione se le direttive 2000/31/CE dell’8 giugno 2000, 2001/29/CE del 22 maggio 2001 e 2004/48/CE del 29 aprile 2004, lette anche alla luce degli artt. 17 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, impongono agli Stati membri di istituire, al fine di garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore, l’obbligo di comunicare taluni dati personali nel contesto di un procedimento civile, cosı́ in particolare motivando: «Sui diritti fondamentali «61. Occorre osservare che nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio fa riferimento agli artt. 17 e 47 della Carta [dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000], il primo dei quali riguarda la tutela del diritto di proprietà, in particolare della proprietà intellettuale, e il secondo il diritto ad un ricorso effettivo. Occorre ritenere che, cosı́ facendo, il detto giudice voglia capire se l’interpretazione delle tre direttive fatte valere – secondo la quale gli Stati membri non sono tenuti ad istituire, per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore, un obbligo di comunicare dati personali nel contesto di un procedimento civile – non comporti una violazione del diritto fondamentale di proprietà e del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva. «62. A tale riguardo va ricordato che il diritto fondamentale di proprietà, di cui fanno parte i diritti di proprietà intellettuale, come il diritto d’autore (v., in tal senso, sentenza 12 settembre 2006, causa C-479/04, Laserdisken, in Raccolta, p. I8089, punto 65), e il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale effettiva costituiscono principi generali del diritto comunitario (v. in tal senso, rispettivamente, sentenze 12 luglio 2005, cause riunite C-154/04 e C-155/04, Alliance for Natural Health e a., ibidem, p. I-6451, punto 126 e giurisprudenza ivi citata, nonché 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet, ibidem, p. I-2271, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). «63. Tuttavia, occorre rilevare che nella controversia in relazione alla quale il giudice del rinvio ha sollevato tale questione risulta coinvolto, oltre ai due suddetti diritti, anche un altro diritto fondamentale, vale a dire quello che garantisce la tutela dei dati personali e, quindi, della vita privata. «64. Ai sensi del secondo considerando della direttiva 2002/58, quest’ultima mira a rispettare i diritti fondamentali e si attiene ai principi riconosciuti in particolare dalla Carta. Segnatamente, essa mira a garantire il pieno rispetto dei diritti delineati agli artt. 7 e 8 di tale Carta. L’art. 7 di quest’ultima riproduce in sostanza l’art. 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, il quale garantisce il diritto al rispetto della vita privata, mentre l’art. 8 della Carta proclama espressamente il diritto alla tutela dei dati personali. «65. Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame solleva la questione della necessaria conciliazione degli obblighi connessi alla tutela di diversi interessi fondamentali: da una parte, il diritto al rispetto della vita privata e, dall’altra, i diritti alla tutela della proprietà e ad un ricorso effettivo. «66. I meccanismi che consentono di trovare un giusto equilibrio tra questi diversi diritti e interessi sono contenuti, da un lato, nella stessa direttiva 2002/58, in quanto essa prevede norme che stabiliscono in quali situazioni ed in qual misura il giurisprudenza comunitaria 229 trattamento dei dati personali è lecito e quali salvaguardie devono essere previste, nonché nelle tre direttive menzionate dal giudice del rinvio, che fanno salvo il caso in cui le misure adottate per tutelare i diritti che esse disciplinano inciderebbero sulla tutela dei dati personali. Dall’altro lato, tali meccanismi devono risultare dall’adozione, da parte degli Stati membri, di disposizioni nazionali che garantiscano la trasposizione di queste direttive e dall’applicazione di queste da parte delle autorità nazionali (v. in tal senso, per ciò che riguarda la direttiva 95/46, sentenza Lindqvist cit., punto 82). «67. Per quanto riguarda le dette direttive, le loro disposizioni presentano un carattere relativamente generico, in quanto devono applicarsi a un gran numero di situazioni diverse che possono presentarsi nell’insieme degli Stati membri. Esse contengono quindi logicamente norme che lasciano agli Stati membri il necessario margine di discrezionalità per definire misure di recepimento che possano essere adattate alle diverse situazioni possibili (v., in tal senso, sentenza [6 novembre 2003, causa C-101/01] Lindqvist, [in Raccolta, p. I-12971] cit., punto 84). «68. Di conseguenza, gli Stati membri sono tenuti, in occasione della trasposizione delle suddette direttive, a fondarsi su un’interpretazione di queste ultime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento di tali direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme alle dette direttive, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i summenzionati diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come, ad esempio, il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenze Lindqvist cit., punto 87, e 26 giugno 2007, causa C-305/ 05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., in Raccolta, p. I-5305, punto 28). «69. D’altronde, a tale riguardo occorre ricordare che il legislatore comunitario ha espressamente richiesto, ai sensi dell’art. 15 n. 1 della direttiva 2002/58, che le misure previste da tale paragrafo siano adottate dagli Stati membri nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario, compresi quelli di cui all’art. 6 n. 1 e n. 2 UE. «70. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sottoposta dichiarando che le direttive 2000/31, 2001/29, 2004/48 e 2002/58 non impongono agli Stati membri, in una situazione come quella oggetto della causa principale, di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile. Tuttavia, il diritto comunitario richiede che i detti Stati, in occasione della trasposizione di queste direttive, abbiano cura di fondarsi su un’interpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario. Poi, in sede di attuazione delle misure di trasposizione delle dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come il principio di proporzionalità». 230 giurisprudenza comunitaria Corte di giustizia (pres. Jann, avv. gen. Trstenjak), sentenza 17 aprile 2008 nella causa C-404/06, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) nella causa tra Quelle AG e Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände. L’art. 3 della direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo che presenta un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo. 1* Con sentenza 17 aprile 2008, la Corte di giustizia (Prima Sezione) ha per la prima volta interpretato la direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, cosı́ motivando: «27. L’art. 3 n. 2 della direttiva elenca i diritti che il consumatore può far valere nei confronti del venditore in caso di difetto di conformità del bene consegnato. In primo luogo, il consumatore ha il diritto di esigere il ripristino della conformità del bene. Ove non sia possibile ottenere tale ripristino della conformità del bene, il consumatore può esigere, in seconda battuta, una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. «28. Quanto al ripristino della conformità del bene, l’art. 3 n. 3 della direttiva precisa che il consumatore ha il diritto di esigere dal venditore la riparazione del bene o la sua sostituzione, in entrambi i casi senza spese, a meno che la sua richiesta non sia impossibile da soddisfare o sproporzionata. «(omissis) «31. Quanto all’espressione ‘‘senza spese’’, essa viene definita all’art. 3 n. 4 della direttiva come riferentesi ‘‘ai costi necessari per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese di spedizione e per la mano d’opera e i materiali’’. Dal fatto che il legislatore comunitario utilizza la locuzione avverbiale ‘‘in particolar modo’’ risulta che tale elenco presenta carattere esemplificativo e non tassativo. «(omissis) «33. Risulta pertanto sia dal tenore letterale sia dai pertinenti lavori preparatori della direttiva che il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al consumatore da tale direttiva. «34. Tale obbligo incombente al venditore di gratuità del ripristino della conformità del bene, indipendentemente dal fatto che esso venga attuato mediante riparazione o sostituzione del bene non conforme, mira a tutelare il consumatore dal rischio di oneri finanziari che, come rilevato dall’avvocato generale al par. 49 delle sue conclusioni, potrebbe dissuadere il consumatore stesso dal far valere i propri diritti in caso di assenza di una tutela di questo tipo. Tale garanzia di gratuità voluta dal legislatore comunitario porta ad escludere la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione del* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. giurisprudenza comunitaria 231 l’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità del bene oggetto del contratto. «35. Tale interpretazione risulta corroborata dall’intenzione, manifestata dal legislatore comunitario all’art. 3 n. 3, terzo comma della direttiva, di garantire al consumatore una tutela effettiva. Tale disposizione precisa infatti che le riparazioni e le sostituzioni devono essere effettuate non soltanto entro un lasso di tempo ragionevole, ma altresı́ senza notevoli inconvenienti per il consumatore. «36. La detta interpretazione risulta inoltre conforme alla finalità della direttiva, che, come indicato dal suo primo considerando, è di garantire un livello elevato di protezione dei consumatori. Come risulta dall’art. 8 n. 2 della direttiva, la protezione offerta da quest’ultima costituisce una garanzia minima e gli Stati membri, pur potendo adottare disposizioni piú rigorose, non possono pregiudicare le garanzie previste dal legislatore comunitario. «37. Gli altri argomenti addotti dal governo tedesco contro un’interpretazione siffatta non valgono ad inficiare la correttezza della stessa. «38. Quanto, da un lato, alla portata che occorre riconoscere al quindicesimo considerando della direttiva, il quale accorda la possibilità di prendere in considerazione l’uso che il consumatore ha fatto del bene non conforme, è importante rilevare come la prima parte di tale considerando faccia riferimento ad un ‘‘rimborso’’ da versare al consumatore, mentre la seconda parte menziona le ‘‘[modalità di] risoluzione del contratto’’. Tali termini sono identici a quelli utilizzati nella posizione comune del Consiglio cui ha fatto riferimento anche il governo tedesco. «39. Questa terminologia mostra chiaramente come l’ipotesi considerata dal quindicesimo considerando sia limitata al caso della risoluzione del contratto, previsto dall’art. 3 n. 5 della direttiva, caso nel quale, in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del bene. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal governo tedesco, il quindicesimo considerando non può essere interpretato come un principio generale che autorizzi gli Stati membri a prendere in considerazione, in tutte le situazioni in cui essi lo desiderino – ivi compresa quella di una semplice domanda di sostituzione presentata ai sensi dell’art. 3 n. 3 della direttiva –, l’uso che il consumatore ha fatto di un bene non conforme. «40. Quanto, dall’altro lato, all’affermazione del governo tedesco, secondo cui la possibilità per il consumatore di beneficiare, mediante la sostituzione di un bene non conforme, di un nuovo bene senza essere tenuto a versare una compensazione economica costituirebbe un arricchimento senza causa, occorre ricordare che l’art. 3 n. 1 della direttiva pone a carico del venditore la responsabilità, nei confronti del consumatore, di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. «41. Il venditore, ove fornisca un bene non conforme, non esegue correttamente l’obbligazione che si era assunto con il contratto di vendita e deve dunque sopportare le conseguenze di tale inesatta esecuzione del contratto medesimo. Ricevendo un nuovo bene in sostituzione del bene non conforme, il consumatore, che ha invece versato il prezzo di vendita e dunque correttamente eseguito la propria obbligazione contrattuale, non beneficia di un arricchimento senza causa. Egli non fa altro che ricevere, in ritardo, un bene conforme alle clausole del contratto, quale avrebbe dovuto ricevere sin dall’inizio. «42. Del resto, gli interessi economici del venditore sono tutelati, da un lato, dal 232 giurisprudenza comunitaria termine di prescrizione di due anni previsto dall’art. 5 n. 1 della direttiva e, dall’altro, dalla possibilità che gli è concessa dall’art. 3 n. 3, secondo comma di quest’ultima di rifiutare la sostituzione del bene nel caso in cui tale rimedio si riveli sproporzionato in quanto gli impone spese irragionevoli». Corte di giustizia (pres. Tizzano, avv. gen. Poiares Maduro), sentenza 3 giugno 2008 nella causa C-308/06, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito) nella causa The Queen, su istanza di International Association of Independent Tanker Owners (Intertanko), International Association of Dry Cargo Shipowners (Intercargo), Greek Shipping Co-operation Committee, Lloyd’s Register, International Salvage Union, c. The Secretary of State for Transport. La validità della direttiva 2005/35/CE del 7 settembre 2005, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni, non può essere valutata né alla luce della convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, firmata a Londra il 2 novembre 1973, come completata dal protocollo del 17 febbraio 1978, poiché la Comunità europea non è vincolata da tale convenzione sebbene tutti gli Stati membri ne siano parti contraenti, né alla luce della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982, poiché essa non stabilisce norme destinate ad applicarsi direttamente ed immediatamente ai singoli né a conferire a questi ultimi diritti o libertà che possano essere invocati nei confronti degli Stati, indipendentemente dal comportamento dello Stato di bandiera della nave. 1* Con sentenza 3 giugno 2008, la Corte di giustizia (Grande Sezione), investita di un rinvio pregiudiziale di validità della direttiva 2005/35/CE del 7 settembre 2005, relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni, a motivo in particolare dell’incompatibilità di talune disposizioni della stessa con la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982, e con la convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, firmata a Londra il 2 novembre 1973, come completata dal protocollo del 17 febbraio 1978 (c.d. «convenzione Marpol n. 73/78»), ha escluso che la validità della suddetta direttiva possa essere valutata alla luce di tali convenzioni, cosı́ motivando: «42. Come risulta dall’art. 300 n. 7 CE, le istituzioni della Comunità sono vincolate dagli accordi conclusi da quest’ultima e, di conseguenza, tali accordi prevalgono sugli atti di diritto comunitario derivato (v., in questo senso, sentenze * Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. Tra le sentenze della Corte di giustizia citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: 14 luglio 1994, in causa C-379/92, ivi, 1994, p. 888 ss.; 16 giugno 1998, in causa C-162/ 96, ivi, 1999, p. 1038 ss. giurisprudenza comunitaria 233 10 settembre 1996, causa C-61/94, Commissione c. Germania, in Raccolta, p. I3989, punto 52, e 12 gennaio 2006, causa C-311/04, Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht, ibidem, p. I-609, punto 25). «43. Ne consegue che l’incompatibilità di un atto di diritto comunitario derivato con siffatte disposizioni del diritto internazionale può incidere sulla sua validità. Qualora tale invalidità sia fatta valere dinanzi ad un giudice nazionale, la Corte verifica quindi, in applicazione dell’art. 234 CE, la validità dell’atto comunitario in esame alla luce di tutte le norme del diritto internazionale, purché siano rispettate due condizioni. «44. In primo luogo, la Comunità deve essere vincolata da tali norme (v. sentenza 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72-24/72, International Fruit Company e a., in Raccolta, p. 1219, punto 7). «45. In secondo luogo, la Corte può procedere all’esame della validità di una normativa comunitaria alla luce di un trattato internazionale solo ove ciò non sia escluso né dalla natura né dalla struttura di esso e, inoltre, le sue disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (v., in questo senso, in particolare, sentenza 10 gennaio 2006, causa C-344/ 04, IATA e ELFAA, in Raccolta, p. I-403, punto 39). «46. Occorre pertanto verificare se tali due condizioni siano soddisfatte per quanto riguarda la convenzione Marpol n. 73/78 e la convenzione di Montego Bay. «47. In primo luogo, per quanto riguarda la convenzione Marpol n. 73/78, occorre innanzi tutto rilevare che la Comunità non ne è parte contraente. «48. Inoltre, come la Corte ha già dichiarato, non risulta che, in forza del trattato CE, la Comunità abbia assunto le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d’applicazione della convenzione Marpol n. 73/78, né, conseguentemente, che le disposizioni di quest’ultima siano vincolanti per la Comunità (sentenza 14 luglio 1994, causa C-379/92, Peralta, in Raccolta, p. I-3453, punto 16). A tale proposito, quindi, la convenzione Marpol n. 73/78 si distingue dal GATT del 1947, nell’ambito del quale la Comunità ha progressivamente assunto competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri, con la conseguenza che gli impegni derivanti da tale accordo sono divenuti per essa vincolanti (v., in questo senso, in particolare, sentenza International Fruit Company e a. cit., punti 10-18). Pertanto, tale giurisprudenza relativa al GATT del 1947 non può essere trasposta alla convenzione Marpol n. 73/78. «49. Vero è che tutti gli Stati membri della Comunità sono parti contraenti della convenzione Marpol n. 73/78. Tuttavia, in mancanza di un integrale trasferimento alla Comunità delle competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri, quest’ultima non può, per il semplice fatto che tutti questi Stati sono parti contraenti della convenzione Marpol n. 73/78, essere vincolata dalle norme in essa contenute, che la Comunità non ha autonomamente approvato. «50. Posto che la Comunità non è vincolata dalla convenzione Marpol n. 73/78, neanche la circostanza che la direttiva 2005/35 sia volta a incorporare nel diritto comunitario talune norme contenute in quest’ultima è sufficiente, di per sé, affinché la Corte sia tenuta a sindacare la legittimità di tale direttiva alla luce della detta convenzione. «51. È vero che, come risulta da una giurisprudenza consolidata, le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale, comprese le disposizioni delle convenzioni internazionali quando codificano norme 234 giurisprudenza comunitaria consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale (v., in questo senso, sentenze 24 novembre 1992, causa C-286/90, Poulsen e Diva Navigation, in Raccolta, p. I-6019, punti 9 e 10; 24 novembre 1993, causa C-405/92, Mondiet, ibidem, p. I-6133, punti 13-15, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, ibidem, p. I-3655, punto 45). Tuttavia, non risulta che le norme 9 e 11 lett. b dell’allegato I della convenzione Marpol n. 73/78, nonché 5 e 6 lett. b dell’allegato II di tale convenzione costituiscano espressione di norme consuetudinarie sancite dal diritto internazionale generale. «52. Pertanto, è giocoforza constatare che la validità della direttiva 2005/35 non può essere valutata alla luce della convenzione Marpol n. 73/78, sebbene questa sia vincolante per gli Stati membri. Quest’ultima circostanza, tuttavia, può produrre conseguenze sull’interpretazione, da una parte, della convenzione di Montego Bay e, dall’altra, delle disposizioni del diritto derivato che rientrano nell’ambito di applicazione della convenzione Marpol n. 73/78. Infatti, alla luce del principio consuetudinario della buona fede, che fa parte del diritto internazionale generale, e dell’art. 10 CE, la Corte deve interpretare tali disposizioni tenendo conto della convenzione Marpol n. 73/78. «53. In secondo luogo, per quanto riguarda la convenzione di Montego Bay, essa è stata sottoscritta dalla Comunità e poi approvata con decisione n. 98/392, con la conseguenza che vincola la Comunità, e che le disposizioni di tale convenzione, da quel momento, formano parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (v., sentenza 30 maggio 2006, causa C-459/03, Commissione c. Irlanda, in Raccolta, p. I-4635, punto 82). «54. Occorre pertanto verificare se la natura e la struttura della convenzione di Montego Bay, come emergono, in particolare, dalla finalità, dal preambolo e dai termini di quest’ultima, non ostino all’esame della validità degli atti comunitari alla luce delle disposizioni di tale convenzione. «55. Lo scopo principale della convenzione di Montego Bay è quello di codificare, precisare e sviluppare norme di diritto internazionale generale relative alla pacifica cooperazione della comunità internazionale nell’ambito dell’attività di esplorazione, di utilizzo e di sfruttamento degli spazi marittimi. «56. A tal fine, secondo il preambolo di tale convenzione, le parti contraenti hanno inteso stabilire, mediante quest’ultima, un ordinamento giuridico per i mari e per gli oceani che faciliti la navigazione internazionale, che tenga conto degli interessi e delle necessità di tutta l’umanità e, in particolare, degli interessi e delle necessità specifici dei paesi in via di sviluppo, e contribuisca al rafforzamento della pace, della sicurezza, della cooperazione e delle relazioni amichevoli tra tutte le nazioni. «57. In questa prospettiva, la convenzione di Montego Bay stabilisce i regimi giuridici del mare territoriale (artt. 2-33), delle acque degli stretti usati per la navigazione internazionale (artt. 34-45), delle acque arcipelagiche (artt. 46-54), della zona economica esclusiva (artt. 55-75), della piattaforma continentale (artt. 76-85) e dell’alto mare (artt. 86-120). «58. Per tutti questi spazi marittimi, tale convenzione mira a stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati rivieraschi e gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati di bandiera, interessi che possono essere contrapposti. A tale proposito, le parti contraenti, come emerge da varie giurisprudenza comunitaria 235 disposizioni della detta convenzione, quali gli artt. 2, 33, 34 n. 2, 56 o 89, intendono fissare i limiti materiali e territoriali dei loro rispettivi diritti sovrani. «59. Al contrario, i singoli, in linea di principio, non godono di diritti e di libertà autonome in forza della convenzione di Montego Bay. In particolare, essi possono usufruire della libertà di navigazione solamente se stabiliscono uno stretto rapporto tra la loro nave e uno Stato che attribuisce a quest’ultima la sua nazionalità divenendo cosı́ il suo Stato di bandiera. Tale rapporto deve essere costituito ai sensi del diritto interno del detto Stato. A questo proposito, l’art. 91 di detta convenzione precisa che ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, l’immatricolazione delle navi nel suo territorio e il diritto di battere la sua bandiera, fermo restando che fra tale Stato e le dette navi deve esistere un legame effettivo. Secondo l’art. 92 n. 1 della convenzione di Montego Bay, le navi battono la bandiera di un solo Stato e non possono cambiare bandiera durante una traversata o durante uno scalo in un porto, a meno che non si verifichi un effettivo trasferimento di proprietà o cambiamento di immatricolazione. «60. Quando una nave non è riconducibile ad uno Stato, né tale nave né le persone che vi si trovano a bordo godono della libertà di navigazione. A questo proposito, la convenzione di Montego Bay prevede, in particolare, al suo art. 110 n. 1, che una nave da guerra che incrocia una nave straniera nell’alto mare può legittimamente abbordarla se vi siano fondati motivi per sospettare che la nave sia priva di nazionalità. «61. È vero che il tenore letterale di talune disposizioni della convenzione di Montego Bay, quali i suoi artt. 17, 110 n. 3 e 111 n. 8, sembra attribuire diritti alle navi. Tuttavia, da ciò non discende che tali diritti siano in questo modo conferiti ai singoli che hanno un legame con dette navi, come i proprietari di queste ultime, poiché lo status giuridico internazionale della nave dipende dallo Stato di bandiera e non dall’appartenenza della nave a talune persone fisiche o giuridiche. «62. Allo stesso modo, è lo Stato di bandiera che è obbligato, ai sensi della detta convenzione, a adottare tutte le misure necessarie a salvaguardare la sicurezza in mare e, di conseguenza, a tutelare gli interessi degli altri Stati. Pertanto, tale Stato può anche essere ritenuto responsabile, nei confronti degli altri Stati, dei danni causati da navi battenti la sua bandiera agli spazi marini soggetti alla sovranità di questi ultimi, quando tali danni siano la conseguenza di un inadempimento dei propri obblighi da parte dello Stato di bandiera. «63. L’analisi che precede non è invalidata dalla circostanza che la parte XI della convenzione di Montego Bay associ le persone fisiche e giuridiche all’esplorazione, all’utilizzo e allo sfruttamento del fondo del mare e del relativo sottosuolo al di là dei limiti della giurisdizione nazionale, in quanto la causa in esame non riguarda affatto le disposizioni di tale parte XI. «64. In tali circostanze, occorre dichiarare che la convenzione di Montego Bay non stabilisce norme destinate ad applicarsi direttamente ed immediatamente ai singoli né a conferire a questi ultimi diritti o libertà che possano essere invocati nei confronti degli Stati, indipendentemente dal comportamento dello Stato di bandiera della nave. «65. Ne risulta che la natura e la struttura della convenzione di Montego Bay ostano a che la Corte possa valutare la validità di un atto comunitario alla luce di tale convenzione». 236 giurisprudenza comunitaria Corte di giustizia (pres. Tizzano, avv. gen. Poiares Maduro), sentenza 17 luglio 2008 nella causa C-94/07, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbeitsgericht Bonn (Germania) nella causa tra Raccanelli e Max-PlanckGesellschaft zur Förderung der Wissenschaften eV. Un’associazione di diritto privato è tenuta a rispettare, nei confronti dei lavoratori ai sensi dell’art. 39 del trattato CE, il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza. 1* Con sentenza del 17 luglio 2008, la Corte di giustizia (Quinta Sezione) ha affermato la diretta efficacia in senso orizzontale del divieto di discriminazione tra lavoratori sancito dall’art. 39 tr. CE, cosı́ motivando: «40. ...dalla seconda parte della motivazione della decisione di rinvio emerge che, con la seconda questione, l’Arbeitsgericht Bonn chiede in sostanza se la MPG [Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften eV], nonostante la sua costituzione in forma di associazione di diritto privato, sia tenuta al rispetto del divieto di discriminazione come se avesse lo status di ente di diritto pubblico e se, pertanto, da ciò derivi in capo a tale associazione l’obbligo di concedere al sig. Raccanelli il diritto di scegliere tra un contratto di borsa di studio e un contratto di lavoro. «41. A tale proposito occorre ricordare, da un lato, che ai sensi dell’art. 39 CE la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità europea implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro (sentenza 6 giugno 2000, causa C-281/98, Angonese, in Raccolta, p. I-4139, punto 29). «42. Dall’altro, occorre rilevare che il divieto di discriminazione sancito dall’art. 39 CE è formulato in termini generali, e che non si rivolge in maniera specifica agli Stati membri o agli enti di diritto pubblico. «43. La Corte ha cosı́ dichiarato che il divieto delle discriminazioni basate sulla cittadinanza riguarda non solo gli atti dell’autorità pubblica, ma anche le norme di qualsiasi natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, in Raccolta, p. 1405, punto 17, nonché Angonese cit., punto 31). «44. La Corte, infatti, ha considerato che l’abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone sarebbe compromessa se l’eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall’esercizio dell’autonomia giuridica di associazioni o enti di natura non pubblicistica (v. sentenze Walrave e Koch cit., punto 18, nonché 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, in Raccolta, p. I-4921, punto 83). «45. Per quanto concerne l’art. 39 CE, che sancisce una libertà fondamentale e costituisce una specifica applicazione del divieto generale di discriminazione enunciato all’art. 12 CE, la Corte ha quindi concluso che il divieto di discriminazione * Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia. Tra le sentenze della Corte di giustizia citate in motivazione può leggersi in questa Rivista: 6 giugno 2000, causa C-281/98, ivi, 2001, p. 479 ss. (breve). giurisprudenza comunitaria 237 riguarda del pari tutti i contratti che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato, come pure i contratti fra privati (v. sentenze 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne, in Raccolta, p. 455, punto 39, nonché Angonese cit., punti 34 e 35). «46. Si deve dunque rilevare che il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza, sancito dall’art. 39 CE, si applica anche alle associazioni di diritto privato quali la MPG». DOCUMENTAZIONE CONVENZIONE TRA L’ITALIA E LA SVIZZERA RELATIVA AL SERVIZIO MILITARE DEI DOPPI CITTADINI (Roma, 26 febbraio 2007) Nel supplemento ordinario n. 232 alla Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 ottobre 2008, recante «Atti internazionali entrati in vigore per l’Italia entro il 15 settembre 2008 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica», è pubblicata la convenzione tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera relativa al servizio militare dei doppi cittadini, firmata a Roma il 26 febbraio 2007. La medesima Gazzetta Ufficiale segnala altresı́ che l’accordo è entrato in vigore il 1º settembre 2008. Riproduciamo qui il testo in italiano della convenzione, che fa fede al pari di quello in francese. Si segnala altresı́ che i modelli A, B, C e D, allegati alla convenzione e non pubblicati nella Gazzetta Ufficiale sopra menzionata, sono reperibili al sito Internet www.admin.ch. Il Governo Italiano e il Consiglio Federale Svizzero, desiderando regolare di comune accordo i problemi relativi al servizio militare delle persone che posseggono contemporaneamente le cittadinanze italiana e svizzera e far sı́ che esse adempiano gli obblighi militari in uno solo dei due Stati, hanno convenuto le seguenti disposizioni: Art. 1 Definizioni Ai fini della presente Convenzione, le espressioni seguenti vanno intese come indicato di seguito: a) con l’espressione «doppio cittadino» si intende ogni persona che possegga contemporaneamente le cittadinanze italiana e svizzera, secondo le leggi in vigore in ognuno dei due Stati; b) con l’espressione «obblighi militari» si intende: – per l’Italia, il servizio militare effettivo in tutte le sue forme, o qualsiasi altro servizio o prestazione considerati equivalenti; – per la Svizzera, il servizio militare effettivo, il servizio civile effettivo e la tassa d’esenzione da questi servizi; c) con l’espressione «residenza abituale» si intende il luogo ove la persona dimora abitualmente con l’intenzione di stabilirvisi permanentemente. Art. 2 Ambito d’applicazione Le disposizioni della presente Convenzione si applicano ai doppi cittadini. Art. 3 Principi 1. Il doppio cittadino è sottoposto agli obblighi militari soltanto in uno dei due Stati contraenti. 2. Il doppio cittadino è sottoposto agli obblighi militari nello Stato in cui ha la residenza abituale al primo gennaio dell’anno in cui compie il 18º anno di età, salvo che dichiari di voler GRAFICHE FIORINI – Via Altichiero 11, – Tel. 045 - 525609 - Fax 528077 E:/GIULIANO/1.09/DOCUMENTAZIONE.3D - Iª BOZZA [Ver. progr. 7.51o/W (Apr 14 2003)] documentazione 239 adempiere detti obblighi nell’altro Stato contraente. Tale dichiarazione di opzione deve essere presentata, per i residenti in Italia, entro 6 mesi dalla data di compimento del 18º anno di età, e, per i residenti in Svizzera, entro la data di compimento del 19º anno di età. Tuttavia il doppio cittadino che ha già iniziato per sua domanda ad adempiere gli obblighi militari in uno dei due Stati prima della scadenza del termine previsto per l’opzione, li terminerà in questo Stato. Il doppio cittadino che esercita la facoltà di opzione non può avvalersi dell’eventuale dispensa dal servizio militare per il fatto di essere residente all’estero. La facoltà di opzione è ammessa a condizione che la legislazione dello Stato nel quale il doppio cittadino desidera adempiere i suoi obblighi militari, preveda un servizio militare obbligatorio o un servizio civile. Nell’ipotesi in cui uno dei due Stati elimini o sospenda il servizio militare obbligatorio, l’opzione resta valida se corredata da una dichiarazione esplicita con la quale l’interessato contrae un arruolamento volontario in uno dei servizi volontari previsti da questo Stato. 3. Il doppio cittadino che ha la residenza abituale in un terzo Stato può scegliere, prima di aver compiuto il 19º anno di età, in quale dei due Stati contraenti desidera adempiere gli obblighi militari. Sono applicabili le disposizioni di cui al comma 2, terzo e quarto paragrafo del presente articolo. Se l’opzione non è resa in tempo utile e se a causa di ciò il doppio cittadino è chiamato ad adempiere gli obblighi militari in uno dei due Stati, l’altro Stato considera soddisfatti gli obblighi militari. 4. L’Autorità competente nello Stato di residenza compila in duplice esemplare un’attestazione di residenza conforme al formulario modello A allegato alla presente Convenzione. Una copia di questo documento è rilasciata all’interessato, l’altra è inviata alla Rappresentanza diplomatica o all’Ufficio consolare competente dell’altro Stato. 5. Le facoltà di opzione previste al comma 2 e al comma 3 vengono esercitate per mezzo di dichiarazioni, conformi rispettivamente ai formulari modelli B e C allegati alla presente Convenzione, sottoscritte dagli interessati presso: a) le Autorità competenti dello Stato contraente in cui risiede abitualmente il doppio cittadino, nel caso previsto dal comma 2; b) le Rappresentanze diplomatiche o gli Uffici consolari dello Stato contraente per il quale ha optato il doppio cittadino, nel caso previsto dal comma 3. Una copia della dichiarazione d’opzione è rilasciata all’interessato e l’altra viene trasmessa dall’Autorità che la riceve all’Autorità competente dell’altro Stato contraente, tramite la Rappresentanza diplomatica o l’Ufficio consolare di tale Stato. 6. Il doppio cittadino che conformemente alle norme previste ai commi 2 e 3 adempie gli obblighi militari in uno dei due Stati contraenti alle condizioni previste dalla legislazione di questo Stato, è considerato dall’altro Stato come aver soddisfatto gli obblighi militari. 7. Qualora il servizio militare obbligatorio venga sospeso in uno dei due Stati contraenti, il doppio cittadino resta soggetto alla legislazione di quello dei due Stati ove è abitualmente residente al 1º gennaio dell’anno in cui compie il 18º anno di età. Art. 4 Adempimento degli obblighi militari in caso di acquisizione successiva della doppia cittadinanza 1. Fatta riserva di quanto previsto al successivo comma 2, il cittadino di uno dei due Stati che acquista la cittadinanza dell’altro Stato dopo il primo gennaio dell’anno in cui compie il 18º anno di età è sottoposto agli obblighi militari nello Stato in cui ha stabilito la residenza abituale al momento della naturalizzazione, salvo che dichiari entro un anno dall’acquisto dell’altra cittadinanza di voler adempiere detti obblighi nell’altro Stato contraente. Per comprovare la sua residenza abituale, l’interessato deve produrre l’attestazione di residenza prevista dall’articolo 3, comma 4. 240 documentazione 2. Se prima della sua naturalizzazione, il doppio cittadino ha già adempiuto ad obblighi militari nello Stato di cui possedeva la cittadinanza o ne è stato esonerato o dispensato, egli è tenuto ad adempiere gli altri eventuali obblighi militari soltanto in questo ultimo Stato ed è considerato aver soddisfatto gli obblighi militari anche nello Stato di cui acquista la cittadinanza per naturalizzazione. Art. 5 Esenzioni e dispense Per l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 della presente Convenzione: 1. Il doppio cittadino esentato, dispensato o escluso, nei casi previsti dalla legislazione vigente, dal compiere gli obblighi militari nello Stato contraente in cui egli deve compierli in conformità alle norme di cui all’articolo 3, è considerato aver soddisfatto gli obblighi stessi nell’altro Stato. 2. Tuttavia se si sarà avvalso della facoltà d’opzione prevista dall’articolo 3, comma 2 egli potrà beneficiare delle dispense e delle esenzioni dal servizio militare solo se esse sono previste dalla legislazione dei due Stati contraenti. Art. 6 Certificazione della posizione militare 1. Le Autorità competenti dello Stato alla legislazione del quale i doppi cittadini sono sottoposti, in ragione della residenza o della loro opzione, compilano un certificato conforme al modello D allegato e lo rimettono agli interessati, a loro domanda, affinché essi possano comprovare la loro posizione nei confronti dell’altro Stato. 2. Il medesimo certificato è rilasciato all’altro Stato qualora questo ne faccia domanda. Art. 7 Obblighi del militare in congedo Il doppio cittadino è soggetto agli obblighi del militare in congedo, qualora previsti dalla legislazione di uno dei due Stati, unicamente nello Stato in cui ha adempiuto i suoi obblighi militari. Art. 8 Mobilitazione In caso di mobilitazione, il doppio cittadino può essere chiamato in servizio unicamente dallo Stato in cui ha adempiuto gli obblighi militari. Art. 9 Cittadinanza Le disposizioni della presente Convenzione non pregiudicano in alcun modo lo status giuridico degli interessati per quanto concerne la loro cittadinanza. Art. 10 Esclusione dai benefici Il doppio cittadino che si sottrae agli obblighi militari nello Stato nel quale è tenuto ad adempierli, è segnalato dalle Autorità competenti di questo Stato a quelle dell’altro Stato ed è escluso dai benefici previsti dalla presente Convenzione. Art. 11 Disposizioni transitorie 1. I doppi cittadini che anteriormente all’entrata in vigore della presente Convenzione documentazione 241 hanno già adempiuto gli obblighi militari in uno dei due Stati saranno considerati aver soddisfatto gli stessi obblighi nell’altro Stato, anche se in quest’ultimo hanno subito denuncia per mancato adempimento degli obblighi militari. 2. I doppi cittadini che hanno iniziato ad adempiere gli obblighi militari in uno dei due Stati, prima dell’entrata in vigore della presente Convenzione, li termineranno in questo Stato. 3. I doppi cittadini che hanno iniziato ad adempiere gli obblighi militari nei due Stati prima dell’entrata in vigore della presente Convenzione possono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della Convenzione stessa, scegliere con dichiarazione scritta lo Stato nel quale continueranno ad adempiere gli obblighi militari. Art. 12 Esenzione dalla legalizzazione I certificati plurilingue rilasciati conformemente ai formulari modello A, B, C e D annessi alla presente Convenzione sono esenti da ogni legalizzazione. Art. 13 Modifica dei formulari modello Modifiche dei formulari modello di cui agli annessi A, B, C e D alla presente Convenzione saranno effettuate mediante scambio di note tra le Autorità competenti dei due Stati. Art. 14 Cooperazione tra le Autorità Il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport e il Ministero della difesa cooperano in stretta collaborazione ai fini dell’esecuzione delle disposizioni della presente Convenzione. Essi si comunicheranno le disposizioni della legislazione nazionale, in particolare i motivi di dispensa e di esenzione agli obblighi militari. Art. 15 Soluzione delle controversie Qualsiasi difficoltà o controversia relativa all’interpretazione e all’applicazione della presente Convenzione sarà risolta dai due Stati per la via diplomatica. Art. 16 Entrata in vigore e denuncia 1. Ciascuna delle Parti contraenti notificherà all’altra l’adempimento delle procedure richieste dalla propria Costituzione per la conclusione della presente Convenzione, che entrerà in vigore il primo giorno del secondo mese che segue l’ultima notifica. 2. La presente Convenzione è conclusa per un periodo indeterminato. Ciascuna delle Parti potrà denunciarla in qualsiasi momento e la denuncia avrà effetto il primo giorno del sesto mese successivo alla data della notifica. 3. Con l’entrata in vigore della presente Convenzione è abrogato l’articolo 4 del Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia del 22 luglio 1868. In fede di che i Rappresentanti dei due Governi, debitamente autorizzati a questo scopo, hanno firmato la presente Convenzione. Fatta a Roma, il 26 febbraio 2007, in due originali ciascuno nelle lingue italiana e francese. 242 documentazione MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2003/85/CE RELATIVA ALLE NORME MINIME PER LE PROCEDURE APPLICATE NEGLI STATI MEMBRI AI FINI DEL RICONOSCIMENTO E DELLA REVOCA DELLO STATUS DI RIFUGIATO (D.lgs. 3 ottobre 2008 n. 159, in Gazz. Uff., n. 247 del 21 ottobre 2008) 1* Art. 4 Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale 1. Le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, di cui all’articolo 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, assumono la denominazione di: «Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale», di seguito: «Commissioni territoriali», e si avvalgono del supporto organizzativo e logistico del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno. 2. Le Commissioni territoriali sono fissate nel numero massimo di dieci. Con decreto del Ministro dell’interno sono individuate le sedi e le circoscrizioni territoriali in cui operano le Commissioni. 3. Le Commissioni territoriali sono nominate con decreto del Ministro dell’interno, e sono composte, nel rispetto del principio di equilibrio di genere, da un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e da un rappresentante dell’ACNUR. In situazioni di urgenza, il Ministro dell’interno nomina il rappresentante dell’ente locale, su indicazione del sindaco del comune presso cui ha sede la Commissione territoriale, e ne dà tempestiva comunicazione alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Per ciascun componente sono nominati uno o piú componenti supplenti. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Le Commissioni territoriali possono essere integrate, su richiesta del presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con la qualifica di componente a tutti gli effetti, ogni volta che sia necessario, in relazione a particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale, in ordine alle domande per le quali occorre disporre di particolari elementi di valutazione in merito alla situazione dei Paesi di provenienza di competenza del Ministero degli affari esteri. Ove necessario, le Commissioni possono essere composte anche da personale in posizione di collocamento a riposo da non oltre due anni appartenente alle amministrazioni o agli enti rappresentati nella Commissione. Al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti, per ogni partecipazione alle sedute della Commissione, è corrisposto un gettone di presenza. L’ammontare del gettone di presenza è determinato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. * Si riproduce qui il testo degli articoli del d.lgs 28 gennaio 2008 n. 25 di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (in questa Rivista, 2008, p. 906 ss.; sulla direttiva 2005/85/CE del 1º dicembre 2005 si veda ibidem, 2006, p. 603 e 2007, p. 872 ss.) modificati dal d.lgs. «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 28 gennaio 2008 n. 25, recante attuazione della direttiva 2005/85/CE relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato». Le innovazioni sono pubblicate in corsivo cosı́ come risultano dal testo consolidato pubblicato nella Gazz. Uff. Il d.lgs n. 159 è accompagnato dalla circolare del Ministero dell’interno n. 10/2008 del 3 novembre 2008 reperibile sul sito Internet del Ministero all’indirizzo www.interno.it. documentazione 243 4. Le Commissioni territoriali sono validamente costituite con la presenza della maggioranza dei componenti e deliberano con il voto favorevole di almeno tre componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. 5. Salvo quanto previsto dall’art. 7 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, la competenza delle Commissioni territoriali è determinata sulla base della circoscrizione territoriale in cui è presentata la domanda ai sensi dell’art. 26, comma 1. Nel caso di richiedenti accolti o trattenuti ai sensi degli articoli 20 e 21 la competenza è determinata in base alla circoscrizione territoriale in cui è collocato il centro. 6. Le attività di supporto delle commissioni sono svolte dal personale in servizio appartenente ai ruoli dell’Amministrazione civile dell’interno. Art. 7 Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda 1. Il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fatto salvo quanto previsto dall’art. 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda, a norma dell’art. 32. Il prefetto competente stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare. 2. La previsione di cui al comma 1 non si applica a coloro che debbano essere: a) estradati verso un altro Stato in virtú degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo; b) consegnati ad una Corte o ad un Tribunale penale internazionale; c) avviati verso un altro Stato dell’Unione competente per l’esame dell’istanza di protezione internazionale. Art. 11 Obblighi del richiedente asilo 1. Il richiedente asilo ha l’obbligo, se convocato, di comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale. Ha altresı́ l’obbligo di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto. 2. Il richiedente è tenuto ad informare l’autorità competente in ordine ad ogni suo mutamento di residenza o domicilio. 3. In caso di mancata osservanza dell’obbligo di cui al comma 2, eventuali comunicazioni concernenti il procedimento si intendono validamente effettuate presso l’ultimo domicilio del richiedente. 4. In tutte le fasi della procedura, il richiedente è tenuto ad agevolare il compimento degli accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza. Art. 20 Casi di accoglienza 1. Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda. 2. Il richiedente è ospitato in un centro di accoglienza richiedenti asilo nei seguenti casi: a) quando è necessario verificare o determinare la sua nazionalità o identità, ove lo stesso non sia in possesso dei documenti di viaggio o di identità, ovvero al suo arrivo nel territorio dello Stato abbia presentato documenti risultati falsi o contraffatti; b) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo; c) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare; d) (soppressa). 244 documentazione 3. Nel caso di cui al comma 2, lettera a), il richiedente è ospitato nel centro per il tempo strettamente necessario agli adempimenti ivi previsti e, in ogni caso, per un periodo non superiore a venti giorni. Negli altri casi il richiedente è ospitato nel centro per il tempo strettamente necessario all’esame della domanda innanzi alla Commissione territoriale e, in ogni caso, per un periodo non superiore a trentacinque giorni. Allo scadere del periodo di accoglienza al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo valido tre mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda. 4. La residenza nel centro non incide sull’esercizio delle garanzie inerenti alla sua domanda, né sulla sfera della sua vita privata, fatto salvo il rispetto delle regole di convivenza previste nel regolamento di cui al comma 5, che garantiscono comunque la facoltà di uscire dal centro nelle ore diurne. Il richiedente può chiedere al prefetto un permesso temporaneo di allontanamento dal centro per un periodo di tempo diverso o superiore a quello di uscita, per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti all’esame della domanda, fatta salva la compatibilità con i tempi della procedura per l’esame della domanda. Il provvedimento di diniego sulla richiesta di autorizzazione all’allontanamento è motivato e comunicato all’interessato ai sensi dell’art. 10, comma 4. 5. Con il regolamento di cui all’art. 38 sono fissate, le caratteristiche e le modalità di gestione, anche in collaborazione con l’ente locale, dei centri di accoglienza richiedenti asilo, che devono garantire al richiedente una ospitalità che garantisca la dignità della persona e l’unità del nucleo familiare. Il regolamento tiene conto degli atti adottati dall’ACNUR, dal Consiglio d’Europa e dall’Unione europea. L’accesso alle strutture è comunque consentito ai rappresentanti dell’ACNUR, agli avvocati ed agli organismi ed enti di tutela dei rifugiati con esperienza consolidata nel settore, autorizzati dal Ministero dell’interno. Art. 21 Casi di trattenimento 1. È disposto il trattenimento, nei centri di cui all’art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, del richiedente: a) che si trova nelle condizioni previste dall’art. 1, paragrafo F, della Convenzione di Ginevra; b) che è stato condannato in Italia per uno dei delitti indicati dall’art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite; c) che è destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento. 2. Il provvedimento di trattenimento è adottato dal questore con le modalità di cui all’art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Quando è già in corso il trattenimento, il questore chiede al tribunale in composizione monocratica la proroga del periodo di trattenimento per ulteriori trenta giorni per consentire l’espletamento della procedura di cui all’art. 28. 3. L’accesso ai centri di identificazione ed espulsione è comunque garantito ai rappresentanti dell’ACNUR, agli avvocati ed agli organismi di tutela dei rifugiati con esperienza consolidata nel settore autorizzati dal Ministero dell’interno. Art. 32 Decisione 1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 23, 29 e 30 la Commissione territoriale adotta una delle seguenti decisioni: documentazione 245 a) riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, secondo quanto previsto dagli articoli 11 e 17 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; b) rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto i gravi motivi di cui al comma 2. b-bis) rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento. 2. Nel caso in cui il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro ed abbia addotto gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova, la Commissione non può pronunciarsi sulla domanda senza previo esame, svolto in conformità ai principi ed alle garanzie fondamentali di cui al capo secondo. Tra i gravi motivi possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti non costituenti reato per l’ordinamento italiano, riferiti al richiedente e che risultano oggettivamente perseguibili nel Paese di origine sicuro. 3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 4. La decisione di cui al comma 1, lettere b) e b-bis), ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli articoli 23 e 29 comportano alla scadenza del termine per l’impugnazione l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo. A tale fine si provvede ai sensi dell’art. 13, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nei confronti dei soggetti accolti o trattenuti ai sensi degli artt. 20 e 21 e ai sensi dell’art. 13, comma 5, del medesimo decreto legislativo nei confronti dei soggetti ai quali era stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta asilo. Art. 35 Impugnazione 1. Avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede il centro. 2. Avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione. 3. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l’avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria. 4. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. 246 documentazione 5. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l’udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati all’interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale. 6. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l’efficacia del provvedimento impugnato. 7. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’art. 22, comma 2, e dell’art. 32, comma 1, lettera b-bis), non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell’udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è disposta l’accoglienza nei centri di cui all’art. 20. 8. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell’art. 20, comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell’art. 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell’ordinanza di cui al comma 7. 9. All’udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l’atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell’istruttoria. 10. Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata. 11. Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d’appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. 12. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi. 13. Nel procedimento dinanzi alla corte d’appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10. 14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d’appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c. documentazione 247 MODIFICHE AL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE E SULLA CONDIZIONE DELLO STRANIERO (D.lgs. 3 ottobre 2008 n. 160, in Gazz. Uff. n. 247 del 21 ottobre 2008) 1* Art. 29 Ricongiungimento familiare 1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni; b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale; d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute. 1-bis. Ove gli stati di cui al comma 1, lettere b), c) e d), non possano essere documentati in modo certo mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di una autorità riconosciuta o comunque quando sussistano fondati dubbi sulla autenticità della predetta documentazione, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell’art. 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base dell’esame del DNA (acido desossiribonucleico), effettuato a spese degli interessati. 2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni * Si riproduce qui il testo dell’art. 29 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero come modificato dal d.lgs. «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007 n. 5 recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare». Le innovazioni sono pubblicate in corsivo cosı́ come risultano dal testo consolidato pubblicato nella Gazz. Uff. Il d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, come modificato dalla l. 30 luglio 2002 n. 189 «Bossi-Fini», è pubblicato in questa Rivista, 2003, p. 285 ss. Si vedano altresı́ le «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione» adottate con l. 12 novembre 2004 n. 271, ibidem, 2004, p. 1466 ss.; le «Modifiche al testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero in attuazione della direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003, della direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003, della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 e in ottemperanza alla procedura di infrazione 1998/2127», comprendenti quelle introdotte dal d.lgs 8 gennaio 2007 n. 5 recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare, cui il presente provvedimento si riferisce, ibidem, 2007, p. 837 ss.; la «Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio» adottata con l. 28 maggio 2007 n. 68, ibidem, 2008, p. 299 s.; il d.lgs. 9 gennaio 2008 n. 17 «Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica», ivi, p. 889; le «Modifiche al testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero» adottate con d.l. 23 maggio 2008 n. 92 recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito in l. 24 luglio 2008 n. 125, ivi, p. 1174 s.; e le «Ulteriori modifiche al testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero» adottate con d.l. 25 giugno 2008 n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito in l. 6 agosto 2008 n. 133, ivi, p. 1175. Il d.lgs n. 160 è accompagnato dalla circolare del Ministero dell’interno prot. n. 4660 del 28 ottobre 2008 reperibile sul sito Internet del Ministero all’indirizzo www.interno.it. 248 documentazione al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. 3. Salvo quanto previsto dall’art. 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità: a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o piú figli di età inferiore agli anni quattordici ovvero per il ricongiungimento di due o piú familiari dei titolari dello status di protezione sussidiaria è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente; b-bis) di una assicurazione sanitaria, o di altro titolo idoneo, a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell’ascendente ultrasessantacinquenne ovvero della sua iscrizione al Servizio sanitario nazionale previo pagamento di un contributo il cui importo è da determinarsi con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 30 ottobre 2008 e da aggiornarsi con cadenza biennale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 4. È consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. 5. Salvo quanto disposto dall’art. 4, comma 6, è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. 6. Al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’art. 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro. 7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti di cui al comma 3, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del governo competente per il luogo di dimora del richiedente, il quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, di cui all’art. 4, comma 3, ultimo periodo, e verificata l’esistenza dei requisiti di cui al comma 3, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute. 8. Trascorsi centottanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione. 9. La richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o documentazione 249 l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato. 10. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano: a) quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva; b) agli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85, ovvero delle misure di cui all’art. 20; c) nelle ipotesi di cui all’art. 5, comma 6. NUOVA VERSIONE DEGLI ALLEGATI A, B E C DEL REGOLAMENTO (CE) N. 1346/2000 DEL CONSIGLIO RELATIVO ALLE PROCEDURE DI INSOLVENZA (Regolamento (CE) n. 788/2008 del 24 luglio 2008, in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 213 dell’8 agosto 2008) 1* Il Consiglio dell’unione europea, visto il trattato che istituisce la Comunità europea, visto il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, 1 in particolare l’articolo 45, vista la proposta della Commissione, considerando quanto segue: (1) Gli allegati A, B e C del regolamento (CE) n. 1346/2000 elencano le denominazioni date nella legislazione nazionale degli Stati membri alle procedure e ai curatori cui si applica il regolamento. L’allegato A elenca le procedure di insolvenza di cui all’articolo 2, lettera a), di tale regolamento. L’allegato B elenca le procedure di liquidazione di cui all’articolo 2, lettera c), di tale regolamento e l’allegato C elenca i curatori di cui all’articolo 2, lettera b), di tale regolamento. (2) Il 13 dicembre 2007 la Repubblica di Lettonia ha notificato alla Commissione, conformemente all’articolo 45 del regolamento (CE) n. 1346/2000, le modifiche da apportare agli elenchi degli allegati A e B di tale regolamento. (3) A seguito delle modifiche apportate agli allegati A e B del regolamento (CE) n. 1346/ 2000 successivamente alla suddetta notifica da parte della Lettonia, si dovrebbe procedere ad * Il regolamento reca il titolo «Regolamento (CE) n. 788/2008 del Consiglio, del 24 luglio 2008, che modifica gli elenchi delle procedure di insolvenza e delle procedure di liquidazione di cui agli allegati A e B del regolamento (CE) n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza e codifica gli allegati A, B e C di tale regolamento». Si omette di riprodurre il testo dell’art. 1 in quanto già inserito negli allegati A e B. Il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000 è pubblicato in questa Rivista, 2002, p. 241 ss. Si vedano altresı́ il regolamento (CE) n. 694/2006 del Consiglio del 27 aprile 2006 e il regolamento (CE) n. 681/2007 del Consiglio del 13 giugno 2007, entrambi recanti modifiche agli elenchi delle procedure di insolvenza, delle procedure di liquidazione e dei curatori negli allegati A, B e C del regolamento (CE) n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, ibidem, rispettivamente 2006, p. 867 ss. e 2007, p. 1180 ss. La nota qui di seguito riprodotta è pubblicata nella Gazz. Uff. Un. eur. sopra indicata. 1 Gazz. Uff. Un. eur., n. L 160 del 30 giugno 2000, p. 1. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 681/2007 (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 159 del 20 giugno 2007, p. 1). 250 documentazione una codificazione degli allegati A, B e C di tale regolamento, per offrire la necessaria certezza del diritto a tutti i soggetti coinvolti in procedure di insolvenza contemplate da tale regolamento. (4) Il Regno Unito e l’Irlanda sono vincolati dal regolamento (CE) n. 1346/2000 e pertanto, ai sensi dell’articolo 45 del medesimo, partecipano all’adozione e all’applicazione del presente regolamento. (5) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca non partecipa all’adozione del presente regolamento e non è vincolata da esso né soggetta alla sua applicazione. (6) Occorre pertanto modificare gli allegati A e B del regolamento (CE) n. 1346/2000 e codificare in conseguenza gli allegati A, B e C, ha adottato il presente regolamento: Articolo 1 (Omissis) Articolo 2 Gli allegati A e B modificati in conformità dell’articolo 1 del presente regolamento e l’allegato C del regolamento (CE) n. 1346/2000 sono codificati e sostituiti dal testo figurante negli allegati I, II e III del presente regolamento. Articolo 3 Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. ALLEGATO I «ALLEGATO A PROCEDURE DI INSOLVENZA DI CUI ALL’ARTICOLO 2, LETTERA A) BELGIË/BELGIQUE – Het faillissement/La faillite – Het gerechtelijk akkoord/Le concordat judiciaire – De collectieve schuldenregeling/Le règlement collectif de dettes – De vrijwillige vereffening/La liquidation volontaire – De gerechtelijke vereffening/La liquidation judiciaire – De voorlopige ontneming van beheer, bepaald in artikel 8 van de faillissementswet/Le dessaisissement provisoire, visé à l’article 8 de la loi sur les faillites B$LGARIQ – Proizwodstwo no nes%stoqtelnost ČESKÁ REPUBLIKA – Konkurs – Reorganizace – Oddluženı́ DEUTSCHLAND – Das Konkursverfahren – Das gerichtliche Vergleichsverfahren – Das Gesamtvollstreckungsverfahren – Das Insolvenzverfahren documentazione 251 EESTI – Pankrotimenetlus EKKADA – Gpsx*vetrg – G eidijg* ejjaha*qirg – G pqorxqimg* diavei* qiog esaiqei* a|. G dioi* jgrg jai diavei* qirg sam pirsxsx*m – G tpacxcg* epivei* qgrg| tpo* epi* sqopo le rjopo* sg rt*mawg rtlbibarlot* le sotr pirsxse*| ESPAÑA – Concurso FRANCE – Sauvegarde – Redressement judiciaire – Liquidation judiciaire IRELAND – Compulsory winding-up by the court – Bankruptcy – The administration in bankruptcy of the estate of persons dying insolvent – Winding-up in bankruptcy of partnerships – Creditors’ voluntary winding-up (with confirmation of a court) – Arrangements under the control of the court which involve the vesting of all or part of the property of the debtor in the Official Assignee for realisation and distribution – Company examinership ITALIA – Fallimento – Concordato preventivo – Liquidazione coatta amministrativa – Amministrazione straordinaria JTPOR – Tpovqewsijg* ejjaha*qirg apo* so Dijarsg*qio – Ejot*ria ejjaha*qirg apo* piosxse*| jaso*pim Dijarsijot* Diasa*claso| – Ejot*ria ejjaha*qirg apo* le*kg – Ejjaha*qprg le sgm epopsei* a sot Diasa*claso| – Psx*vetrg jaso*pim Dijarsijot* Diasa*caso| – Diavei* qirg sg| peqiotri* a| pqorx*pxm pot apebi* xram aueqe*ccta LATVIJA – Tiesiskās aizsardzı̄bas process – Sanācija juridiskās personas maksātnespējas procesā – Izlı̄gums juridiskās personas maksātnespējas procesā – Izlı̄gums fiziskās personas maksātnespējas procesā – Bankrota procedūra juridiskās personas maksātnespējas procesā – Bankrota procedūra fiziskās personas maksātnespējas procesā LIETUVA – i˛monės restruktūrizavimo byla – i˛monės bankroto byla – i˛monės bankroto procesas ne teismo tvarka 252 documentazione LUXEMBOURG – Faillite – Gestion contrôlée – Concordat préventif de faillite (par abandon d’actif) – Régime spécial de liquidation du notariat MAGYARORSZÁG – Cso " deljárás – Felszámolási eljárás MALTA – Xoljiment – Amministrazzjoni – Stralċ volontarju mill-membri jew mill-kredituri – Stralċ mill-Qorti – Falliment f’każ tànegozjant NEDERLAND – Het faillissement – De surseance van betaling – De schuldsaneringsregeling natuurlijke personen ÖSTERREICH – Das Konkursverfahren – Das Ausgleichsverfahren POLSKA – Poste˛powanie upadl/ ościowe – Poste˛powanie ukl/ adowe – Upadl/ ość obejmuja˛ca likwidacje˛ – Upadl/ ość z mozliwoscia˛ zawarcia ukladu PORTUGAL – Processo de insolvência – Processo de falência – Processos especiais de recuperação de empresa, ou seja: – Concordata – Reconstituição empresarial – Reestruturação financeira – Gestão controlada ROMÂNIA – procedura insolvenţei – reorganizarea judiciară – procedura falimentului SLOVENIJA – Stečajni postopek – Skrajšani stečajni postopek – Postopek prisilne poravnave – Prisilna poravnava v stečaju SLOVENSKO – Konkurzné konanie – Reštrukturalizačné konanie documentazione 253 SUOMI/FINLAND – Konkurssi/konkurs – Yrityssaneeraus/företagssanering SVERIGE – Konkurs – Företagsrekonstruktion UNITED KINGDOM – Winding-up by or subject to the supervision of the court – Creditors’ voluntary winding-up (with confirmation by the court) – Administration, including appointments made by filing prescribed documents with the court – Voluntary arrangements under insolvency legislation – Bankruptcy or sequestration» ALLEGATO II «ALLEGATO B PROCEDURE DI LIQUIDAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 2, LETTERA C) BELGIË/BELGIQUE – Het faillissement/La faillite – De vrijwillige vereffening/La liquidation volontaire – De gerechtelijke vereffening/La liquidation judiciaire B$LGARIQ – Proizwodstwo no nes%stoqtelnost ČESKÁ REPUBLIKA – Konkurs DEUTSCHLAND – Das Konkursverfahren – Das Gesamtvollstreckungsverfahren – Das Insolvenzverfahren EESTI – Pankrotimenetlus EKKADA – Gpsx*vetrg – G eidijg* ejjaha*qirg ESPAÑA – Concurso FRANCE – Liquidation judiciaire IRELAND – Compulsory winding-up – Bankruptcy – The administration in bankruptcy of the estate of persons dying insolvent – Winding-up in bankruptcy of partnerships 254 documentazione – Creditors’ voluntary winding-up (with confirmation of a court) – Arrangements under the control of the court which involve the vesting of all or part of the property of the debtor in the Official Assignee for realisation and distribution ITALIA – Fallimento – Concordato preventivo con cessione dei beni – Liquidazione coatta amministrativa – Amministrazione straordinaria con programma di cessione dei complessi aziendali – Amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione di cui sia parte integrante un concordato con cessione dei beni JTPOR – Tpovqewsijg* ejjaha*qirg apo* so Dijarsg*qio – Ejjaha*qirg le sgm epopei* a sot Dijarsgqi* ot – Ejot*ria ejjaha*qirg apo* pirsxse*| (le sgm spijt*qxrg sot Dijarsgqi* ot) – Psx*vetrg – Diavei* qirg sg| peqiotri* a| pqorx*pxm pot apebi* xram aueqe*ccta LATVIJA – Bankrota procedūra juridiskās personas maksātnespējas procesā – Bankrota procedūra fiziskās personas maksātnespējas procesā LIETUVA – i˛monės bankroto byla – i˛monės bankroto procesas ne teismo tvarka LUXEMBOURG – Faillite – Régime spécial de liquidation du notariat MAGYARORSZÁG – Felszámolási eljárás MALTA – Stralċ volontarju – Stralċ mill-Qorti - ruġ tàmandat tàqbid mill-Kuratur f’każ tànegozjant fallut – Falliment inkluż il-h NEDERLAND – Het faillissement – De schuldsaneringsregeling natuurlijke personen ÖSTERREICH – Das Konkursverfahren POLSKA – Post˛epowanie upadl/ ościowe – Upadl/ ość obejmuja˛ca likwidacje˛ PORTUGAL – Processo de insolvência – Processo de falência ROMÂNIA – procedura falimentului documentazione 255 SLOVENIJA – Stečajni postopek – Skrajšani stečajni postopek SLOVENSKO – Konkurzné konanie SUOMI/FINLAND – Konkurssi/konkurs SVERIGE – Konkurs UNITED KINGDOM – Winding-up by or subject to the supervision of the court – Winding-up through administration, including appointments made by filing prescribed documents with the court – Creditors’ voluntary winding-up (with confirmation by the court) – Bankruptcy or sequestration» ALLEGATO III «ALLEGATO C CURATORI DI CUI ALL’ARTICOLO 2, LETTERA B) BELGIË/BELGIQUE – De curator/Le curateur – De commissaris inzake opschorting/Le commissaire au sursis – De schuldbemiddelaar/Le médiateur de dettes – De vereffenaar/Le liquidateur – De voorlopige bewindvoerder/L’administrateur provisoire B$LGARIQ – Nazna~en predwaritelno wremenen sinlik – Wremenen sinlik – (Iostoqnen) sinlik – Sluveben sinlnk CESKÁ REPUBLIKA – Insolvenčnı́ správce – Předběžný insolvenčnı́ správce – Oddělený insolvenčnı́ správce – Zvláštnı́ insolvenčnı́ správce – Zástupce insolvenčnı́ho správce DEUTSCHLAND – Konkursverwalter – Vergleichsverwalter – Sachwalter (nach der Vergleichsordnung) – Verwalter – Insolvenzverwalter – Sachwalter (nach der Insolvenzordnung) – Treuhänder – Vorläufiger Insolvenzverwalter 256 documentazione EESTI – Pankrotihaldur – Ajutine pankrotihaldur – Usaldusisik EKKADA – O rt*mdijo| – O pqorxqimo*| diaveiqirsg*|. G dioijot*ra epirqopg* sxm pirsxsx*m – O eidijo*| ejjahaqirg*| – O epi* sqopo| ESPAÑA – Administradores concursales FRANCE – Mandataire judiciaire – Liquidateur – Administrateur judiciaire – Commissaire à l’exécution du plan IRELAND – Liquidator – Official Assignee – Trustee in bankruptcy – Provisional liquidator – Examiner ITALIA – Curatore – Commissario giudiziale – Commissario straordinario – Commissario liquidatore – Liquidatore giudiziale JTPOR – Ejjaha*qirg*| jai pqorxqimo*| ejjahaqirsg*| – Epi* rglo| paqakg*psg| – Diaveiqirg*| sg| psx*vetrg| – Efesarsg*| LATVIJA – Maksātnespējas procesa administrators LIETUVA – Bankrutuojančiu˛ imoniu administratorius – Restruktūrizuojamu˛ i˛moniu˛ administratorius LUXEMBOURG – Le curateur – Le commissaire – Le liquidateur – Le conseil de gérance de la section d’assainissement du notariat MAGYARORSZÁG – Vagyonfelügyelo " documentazione – Felszámoló MALTA – Amministratur Proviżorju – Riċevitur Uffiċjali – Stralċjarju – Manager Speċjali – Kuraturi f’każ tàproċeduri tàfalliment NEDERLAND – De curator in het faillissement – De bewindvoerder in de surseance van betaling – De bewindvoerder in de schuldsaneringsregeling natuurlijke personen ÖSTERREICH – Masseverwalter – Ausgleichsverwalter – Sachwalter – Treuhänder – Besondere Verwalter – Konkursgericht POLSKA – Syndyk – Nadzorca sa˛dowy – Zarza˛dca PORTUGAL – Administrador da insolvência – Gestor judicial – Liquidatário judicial – Comissão de credores ROMÂNIA – practician ı̂n insolvenţă – administrator judiciar – lichidator SLOVENIJA – Upravitelj prisilne poravnave – Stečajni upravitelj – Sodišče, pristojno za postopek prisilne poravnave – Sodišče, pristojno za stečajni postopek SLOVENSKO – Predbežný správca – Správca SUOMI/FINLAND – Pesänhoitaja/boförvaltare – Selvittäjä/utredare SVERIGE – Förvaltare – Rekonstruktör 257 258 documentazione UNITED KINGDOM – Liquidator – Supervisor of a voluntary arrangement – Administrator – Official receiver – Trustee – Provisional liquidator – Judicial factor» CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL’INTERNO N. 5659 DEL 22 MAGGIO 2008 IN TEMA DI PUBBLICAZIONI DI MATRIMONIO DA CELEBRARE ALL’ESTERO 1* A seguito della abrogazione dell’art. 115 comma 2 del codice civile, disposto dall’art. 110 d.p.r. 396/2000, sono sorti contrasti interpretativi circa il permanere dell’obbligo della effettuazione delle pubblicazioni relativamente al matrimonio di un cittadino, quando tale matrimonio viene celebrato all’estero dalle autorità locali. A fronte della esplicita abrogazione della norma codicistica che imponeva le pubblicazioni in caso di matrimonio all’estero, si faceva notare da parte della dottrina che tale abrogazione era dovuta non alla volontà di sottoporre ad una normativa diversa il matrimonio all’estero, quanto piuttosto alla circostanza dell’avvenuta abrogazione delle norme di cui agli artt. 93, 94 e 95 del codice civile richiamate dall’art. 115 comma 2. Altra dottrina poneva invece in luce sia l’elemento formale della abrogazione dell’art. 115 comma 2 sia la sostanziale difficoltà di dare concreta attuazione alla previsione normativa in caso di matrimonio da celebrare all’estero ai sensi delle norme ivi vigenti. Dopo aver acquisito un parere in tal senso da parte del Consiglio di Stato, si ritiene di dover ora fornire le seguenti indicazioni. In caso di matrimonio da celebrare all’estero da parte di un cittadino italiano, innanzi alle autorità di tale paese, deve ritenersi che non vi sia alcun obbligo di procedere alle pubblicazioni di matrimonio in Italia, a meno che la legge straniera non richieda anch’essa tali pubblicazioni. Tale posizione interpretativa è corroborata sia dalla espressa abrogazione dell’art. 115 comma 2 del codice civile, sia dalla previsione dell’art. 28 della legge 218/95 che sottopone le formalità matrimoniali alla «legge del paese» dove il matrimonio viene celebrato. Le pubblicazioni continuano ovviamente ad essere richieste nel caso di matrimonio celebrato innanzi alle autorità consolari italiane, in quanto detta autorità celebra il rito ai sensi della normativa italiana. Si pregano le SSLL di voler comunicare quanto sopra evidenziato ai Sigg.ri Sindaci. * La circolare n. 5659 ha ad oggetto: «Comunicazione urgente in tema di pubblicazioni di matrimonio da celebrare all’estero davanti all’autorità locale» ed è reperibile sul sito Internet del Ministero dell’interno all’indirizzo http://www.servizidemografici.interno.it. Si veda il parere del Consiglio di Stato, sez. I, 24 ottobre 2007 n. 3105, in questo fascicolo della Rivista, p. 177 s. NOTIZIARIO LA SVIZZERA APRE LE FRONTIERE ALLO SPAZIO SCHENGEN Sommario: 1. L’associazione della Svizzera all’acquis di Schengen nel quadro delle relazioni bilaterali fra la Confederazione elvetica e l’Unione europea. – 2. Alcuni caratteri dell’accordo di associazione della Svizzera a Schengen (AAS): a) l’AAS e gli accordi con Danimarca, Norvegia e Islanda; b) l’AAS e la partecipazione della Svizzera al sistema di Dublino; c) i meccanismi previsti per garantire l’uniformità del diritto applicabile nello spazio Schengen; d) l’assistenza giudiziaria per reati fiscali e il segreto bancario svizzero; e) le basi giuridiche dell’accordo e le procedure di ratifica. – 3. Prospettive future nelle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea. 1. I rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea sono regolati da una serie di accordi bilaterali, 1 il primo dei quali, l’accordo di libero scambio (ALS), 2 risale al 1972. Tali rapporti si sono intensificati dopo il referendum con cui il popolo svizzero ha espresso il proprio rifiuto di aderire allo Spazio economico europeo (SEE). 3 A tale rifiuto è seguita, infatti, la decisione del Consiglio federale di congelare la domanda di adesione all’Unione europea, presentata il 26 maggio 1992 e di seguire, appunto, la via bilaterale. 4 Nel 1993 furono, dunque, avviati negoziati in sette settori (libera circolazione delle persone, trasporto aereo, trasporto terrestre, ostacoli tecnici agli scambi, appalti pubblici, agricoltura e cooperazione scientifica e tecnologica) rispettando le condizioni imposte dall’Unione europea ovvero che gli accordi fossero negoziati parallelamente, quindi firmati e attuati contemporaneamente nonché l’introduzione della clausola «ghigliottina», vale a dire la clausola secondo cui l’estinzione di uno dei sette accordi avrebbe determinato la decadenza 1 Sulle relazioni tra Svizzera e Unione europea cfr. di recente, Kaddous, The relations between the UE and Switzerland, in Dashwood, Maresceau (eds.), Law and practice of EU external relations, Cambridge, 2008, p. 227 ss. 2 L’ALS ha, in sostanza, creato una zona di libero scambio fra le Parti contraenti per i prodotti industriali originari della Svizzera e degli Stati membri della Comunità europea. Cfr. l’ALS in RU 1972, p. 2949 ss. e in Gazz. Uff. Com. eur., n. L300 del 31 dicembre 1972. 3 La votazione si è svolta il 6 dicembre 1992. Cfr. il messaggio sul programma successivo al rifiuto dell’accordo SEE del 24 febbraio 1993, in Foglio fed., 1993, p. 757 ss. In dottrina, cfr. Lang, La Svizzera e l’Accordo sullo Spazio economico europeo, in Dir. comm. int., 1993, p. 115 ss. 4 Ricordiamo, inoltre, che con referendum del 4 marzo 2001, il popolo svizzero ha respinto l’iniziativa «Sı́ all’Europa» che si poneva come obiettivo l’adesione della Svizzera all’Unione europea chiedendo un immediato avvio dei negoziati (25,9% i voti favorevoli, 74,1% quelli contrari). Veniva cosı́ confermata da parte dei cittadini elvetici la scelta del governo federale di seguire la via bilaterale nelle relazioni tra Confederazione e Unione europea. Cfr. il decreto federale sull’iniziativa popolare «Sı́ all’Europa!» del 23 giugno 2000, in Foglio fed., 2000, p. 3134 ss. e il decreto del Consiglio federale che accerta l’esito della votazione popolare del 4 marzo 2001, ibidem, 2001, p. 1779 ss. GRAFICHE FIORINI – Via Altichiero 11, – Tel. 045 - 525609 - Fax 528077 E:/GIULIANO/1.09/NOTIZIARIO.3D - Iª BOZZA [Ver. progr. 7.51o/W (Apr 14 2003)] 260 notiziario di tutti gli altri. 5 L’imposizione di tali vincoli aveva come obiettivo quello di assicurare un vantaggio globale per entrambe le parti che, rispetto ai singoli dossier, nutrivano interessi diversi. Questo pacchetto di accordi (c.d. bilaterali I), siglati il 21 giugno 1999, è stato approvato dal Parlamento federale della Confederazione svizzera con un unico decreto contro il quale è stato lanciato un referendum facoltativo. 6 Il popolo elvetico, il 21 maggio 2000, si è espresso in termini positivi (67,2% di voti favorevoli) e gli accordi sono entrati in vigore il 1º giugno 2002. 7 Nel 2004 una seconda serie di accordi (c.d. bilaterali II) ha esteso la cooperazione tra la Svizzera e l’Unione europea ad altri nove settori (associazione alla cooperazione Schengen e Dublino, fiscalità del risparmio, lotta contro la frode, prodotti agricoli trasformati, statistica, media, pensioni, educazione, ambiente). Tali accordi, diversamente dalla serie di «bilaterali I», non sono legati tra loro potendo quindi entrare in vigore in base a modalità diverse e indipendentemente gli uni dagli altri: il Parlamento svizzero, infatti, li ha approvati con decreti federali distinti. 8 2. Il 1º marzo 2008 è entrato formalmente in vigore l’accordo di associazione della Svizzera a Schengen (AAS) 9 mentre l’operatività dello stesso è stata possibile solo a partire dal 12 dicembre 2008 per le frontiere terrestri e lo sarà dal 29 marzo 2009 per 5 L’accordo sulla cooperazione scientifica e tecnologica non contiene tale clausola, in quanto riguarda la partecipazione al programma quadro di ricerca e sviluppo alla cui scadenza viene di volta in volta rinnovato. 6 Il sistema costituzionale svizzero prevede che entro cento giorni dall’approvazione parlamentare 50.000 aventi diritto al voto o otto Cantoni possono chiedere una pronuncia del popolo sulle leggi federali, le leggi federali dichiarate urgenti e con durata di validità superiore a un anno, i decreti federali, i trattati internazionali (di durata indeterminata e non denunciabili, o che prevedono l’adesione a un’organizzazione internazionale, o che comportano un’unificazione multilaterale del diritto). L’Assemblea federale, inoltre, può sottoporre a referendum facoltativo altri trattati internazionali (art. 141). Il referendum è, invece, obbligatorio qualora sia prevista, fra l’altro, l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o comunità sopranazionali (art. 140 Cost.). Mentre il referendum facoltativo richiede la sola maggioranza del popolo, quello obbligatorio richiede la maggioranza del popolo e dei Cantoni. 7 Sugli «accordi bilaterali I», cfr. in particolare, Schwok, Les accords sectoriels Union européenne-Suisse: une nouvelle forme de flexibilité dans la dimension extérieure de l’UE, in Rev. Marché commun Un. eur., 1999, p. 613 ss.; Samaden, Les sept accords bilatéraux entre la Suisse et l’Union européenne, ivi, p. 696 ss.; Sanna, Gli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea, in Dir. comm. int., 1999, p. 547 ss.; Felder, Kaddous (éds.), Accords bilatéraux Suisse-UE (Commentaires), Bâle-Genève-Munich-Bruxelles, 2001, p. 1 ss.; Breitenmoser, Sectoral Agreements between the EC and Switzerland: Contents and Context, in Common Market Law Rev., 2003, p. 1137 ss. 8 Cfr. il messaggio concernente l’approvazione degli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea, inclusi gli atti legislativi relativi alla trasposizione degli accordi («accordi bilaterali II») del 1º ottobre 2004, in Foglio fed., 2004, p. 5273 ss. In dottrina, cfr. Kaddous, Jametti Greiner (éds.), Accords bilatéraux II Suisse-UE et autres Accords récents, GenèveBâle-Munich-Bruxelles-Paris, 2006, p. 1 ss. 9 Cfr. l’accordo di associazione della Confederazione svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen (AAS) del 26 ottobre 2004, in RS 0.360.268.1 e in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 23 del 27 febbraio 2008. Ricordiamo che tutti gli «accordi bilaterali II» sono ormai entrati in vigore tranne quello contro la lotta alla frode che necessita della ratifica di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. notiziario 261 gli aeroporti. Queste date sono state definite dal Consiglio dell’Unione europea che, da marzo a settembre 2008, ha verificato il rispetto degli standard che un nuovo Stato deve avere per partecipare allo spazio Schengen (artt. 14 e 15 AAS). 10 a) I caratteri peculiari di tale cooperazione hanno influenzato i negoziati, il contenuto e la struttura dell’accordo finale. Innanzitutto, occorre osservare che l’AAS concluso dalla Svizzera con l’Unione europea è l’accordo piú importante ma non il solo, essendo affiancato da quelli che la Confederazione ha dovuto separatamente concludere con gli Stati a diverso titolo legati a Schengen ovvero Danimarca, Islanda e Norvegia. 11 Uno stretto legame giuridico connette tuttavia questi accordi che possono essere applicati e decadere come un unicum (art. 15 par. 3 AAS che rimanda all’art. 13 AAS e all’art. 18 AAS). Tale struttura si è resa necessaria per l’articolata applicazione territoriale dell’acquis di Schengen. 12 Come noto, infatti, nonostante l’interesse generale di tutti gli Stati membri a sopprimere i controlli alle frontiere interne, non si trovò, inizialmente, una convergenza sufficiente a sviluppare una cooperazione in materia nel quadro comunitario. Ciò indusse un gruppo di cinque Paesi (Francia, Germania e Benelux) a concludere una convenzione per realizzare tra loro la libera circolazione delle persone. 13 Nel corso degli anni successivi, tutti gli Stati membri, con l’eccezione di Regno Unito e Irlanda, hanno aderito all’area Schengen. 14 L’abolizione del controllo sistematico alle frontiere interne, obiettivo primario dell’accordo, è stata progressivamente compensata da una serie di misure intese a rafforzare e ad armonizzare i controlli alle frontiere esterne, ad intensificare la collaborazione tra Stati in materia di polizia 10 Decisione del Consiglio n. 2008/903 del 27 novembre 2008 sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen nella Confederazione svizzera, in Gazz. Uff. Un. eur., n L 327 del 5 dicembre 2008. La verifica del rispetto dei necessari requisiti per l’applicazione di tutte le parti dell’acquis di Schengen effettuata dal Consiglio dell’Unione rispetto alla Confederazione elvetica è una prassi standard prevista per l’adesione di ogni nuovo membro allo spazio Schengen. L’Italia, ad esempio, pur avendo ratificato il protocollo di adesione, ha potuto partecipare all’area Schengen solo dopo aver adottato la normativa pertinente. Sul punto, cfr. Nascimbene, Gli Accordi di Schengen e i problemi di applicazione in Italia, in Jus, 1999, p. 420 ss. Con decisione n. 2008/421/CE (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 149 del 7 giugno 2008), il Consiglio ha accertato l’esistenza dei requisiti necessari sulla protezione dei dati rendendo applicabile le disposizioni SIS a decorrere dal 14 agosto 2008. 11 Cfr. l’accordo tra la Confederazione svizzera, la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sull’attuazione, l’applicazione e lo sviluppo dell’acquis di Schengen nonché sui criteri e i meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in Svizzera, in Islanda o in Norvegia del 17 dicembre 2004, in RU 2008, p. 529 ss. e l’accordo tra la Confederazione svizzera e il Regno di Danimarca sull’attuazione, l’applicazione e lo sviluppo delle parti dell’acquis di Schengen basate sulle disposizioni del titolo IV del trattato che istituisce la Comunità europea del 28 aprile 2005, in RU 2008, p. 513 ss. 12 Sullo sviluppo della cooperazione di Schengen, cfr. Condinanzi, Lang, Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006, p. 254 ss. 13 Cfr. l’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni e la convenzione di applicazione (CAAS) del 19 giugno 1990, entrato in vigore nel 1995. 14 L’adesione è avvenuta tramite la conclusione di protocolli firmati, rispettivamente, con l’Italia il 27 novembre 1990, la Spagna e il Portogallo il 25 giugno 1991, la Grecia il 6 novembre 1992, l’Austria il 28 aprile 1995 e la Danimarca, la Finlandia e la Svezia il 19 dicembre 1996. 262 notiziario (in particolare mediante una banca dati, il Sistema d’informazione Schengen - SIS), ad uniformare le norme per il rilascio di visti di breve durata (tre mesi), a semplificare l’ambito dell’assistenza giudiziaria in materia penale e a contrastare l’uso abusivo di armi e di stupefacenti. Tali misure unitamente ai successivi protocolli e accordi di adesione nonché le decisioni e le dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo per garantire l’esecuzione dell’accordo e dai gruppi di lavoro istituti dallo stesso Comitato che ha loro affidato poteri decisionali, costituiscono «l’acquis di Schengen». Quest’ultimo è stato integrato nel quadro comunitario dal trattato di Amsterdam come materia del titolo VI UE, oggetto di cooperazione rafforzata 15 sino a quando il Consiglio lo ha definito 16 riconducendo poi i singoli atti alle basi giuridiche del titolo VI UE oppure del titolo IV CE. 17 L’applicazione territoriale di questo quadro normativo risulta assai articolata. Il Regno Unito e l’Irlanda non sono vincolati dall’acquis di Schengen ma possono chiedere di parteciparvi a tutto o in parte, fatta eccezione per le disposizioni relative alla politica dei visti. 18 Quanto allo sviluppo dell’acquis, tali Stati possono decidere se partecipare o no caso per caso. 19 La Danimarca, che aveva aderito agli accordi di Schengen (1996) ma non partecipa al titolo IV CE, prende parte alla cooperazione sulla base delle norme del diritto internazionale. Pertanto, sebbene vincolati dalle medesime norme, i relativi obblighi discendono dal diritto comunitario (titolo IV CE) e dal diritto dell’Unione (titolo VI UE) per tutti gli Stati; per la Danimarca essi derivano dal diritto internazionale. Se viene adottata una nuova decisione che sviluppa l’acquis di Schengen in applicazione delle disposizioni del titolo IV CE, la Danimarca dispone di un termine di sei mesi per decidere se accettarla. In caso affermativo, sarà vincolata in base al diritto internazionale; in caso negativo, gli Stati partecipanti alla cooperazione Schengen decideranno le misure appropriate per disciplinare la mancata partecipazione danese. 20 Inoltre, dal 25 marzo 2001 due Stati non membri dell’Unione europea, la Norvegia e l’Islanda, partecipano alla cooperazione Schengen. Questi Paesi formavano con la Danimarca, la Svezia e la Finlandia l’Unione nordica dei passaporti (UNP) ovvero uno spazio in cui il controllo dei viaggiatori alle frontiere interne era stato soppresso. 21 Affinché l’UNP 15 L’istituto della cooperazione rafforzata come strumento per integrare l’acquis di Schengen nel diritto comunitario si era rivelato necessario poiché il Regno Unito e l’Irlanda persistevano nell’intenzione di non parteciparvi. Cfr. le modalità dell’integrazione nel protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen, allegato al trattato di Amsterdam, in Gazz. Uff. Com. eur., n. C 340 del 10 novembre 1997. 16 Decisione n. 1999/435/CE del 20 maggio 1999, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 176 del 10 luglio 1999. 17 Decisione n. 1999/436/CE del 20 maggio 1999, ivi. 18 Cfr. il protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda allegato al trattato di Amsterdam. 19 Precisamente, entro tre mesi dalla presentazione di una proposta o di una iniziativa ciascuno dei due Stati può notificare che intende partecipare all’adozione e applicazione dell’atto. Viceversa, quando un atto è già stato adottato essi possono notificare al Consiglio e alla Commissione l’intenzione di attuare la misura. 20 La posizione della Danimarca è regolata dal protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato di Amsterdam, in particolare dall’art. 5. 21 Istituita con protocollo del 22 maggio 1954 e convenzione di Copenaghen del 12 maggio 1957, in United Nations Treaty Series, vol. 322, 1959, p. 245. notiziario 263 potesse essere mantenuta anche dopo l’adesione della Danimarca, della Svezia e della Finlandia alla cooperazione Schengen, la Norvegia e l’Islanda sono state autorizzate a partecipare alla stessa cooperazione senza dover aderire all’Unione europea. 22 Ecco dunque la necessità per la Svizzera di stipulare, oltre all’AAS con l’Unione europea, altri due accordi in materia, rispettivamente con Danimarca e con Norvegia e Islanda. Infine, relativamente all’ambito di applicazione territoriale della cooperazione, occorre ricordare la partecipazione del Liechenstein all’AAS (art. 16 AAS), disciplinata da un protocollo allegato all’accordo che diventerà applicabile nel corso del 2009. 23 b) Sin dall’inizio delle trattative, l’Unione europea ha chiesto che l’associazione della Svizzera a Schengen dovesse avvenire unitamente alla partecipazione della Confederazione alla disciplina comunitaria prevista per determinare lo Stato competente ad esaminare una domanda di asilo (c.d. sistema di Dublino). Tale condizione discende dallo stretto legame esistente tra i due settori di cooperazione normativa. Il sistema di Dublino, infatti, è stato inizialmente elaborato nell’alveo della cooperazione di Schengen, figurando in forma embrionale nella convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (CAAS), quindi nella convenzione di Dublino, sostituita, dopo l’integrazione nel quadro comunitario dell’acquis di Schengen, dal regolamento n. 343/2003/CE (c.d. regolamento Dublino). 24 Quest’ultimo, adottato sulla base dell’art. 63 par. 1 n. 1 CE, disciplina la materia nei 22 Cfr. la decisione del Consiglio n. 1999/439/CE del 17 maggio 1999, relativa alla conclusione dell’accordo con la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sulla loro associazione, all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 176 del 10 luglio 1999. Le modalità di attuazione sono regolata dalla decisione del Consiglio n. 1999/437/CE del 17 maggio 1999, ivi. Sulle caratteristiche di tali atti, cfr. Tizzano, A proposito dell’inserzione dell’acquis di Schengen nei trattati comunitari: l’accordo ‘‘del Consiglio’’ con Islanda e Norvegia, in Dir. Un eur., 1999, p. 521 ss. Cfr. anche la decisione del Consiglio n. 2000/777/CE del 1ºdicembre 2000, relativa alla messa in applicazione dell’acquis di Schengen in Danimarca, Finlandia e Svezia nonché in Islanda e Norvegia, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 309 del 9 dicembre 2000. 23 In base ad un accordo del 24 ottobre 1919 la Svizzera cura gli interessi del Liechtenstein nelle relazioni esterne; inoltre tra la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein è in vigore il trattato del 29 marzo 1923 di unione doganale, in RS 0.631.112.514. Sulle relazioni bilaterali tra Confederazione svizzera e Liechtenstein v. www.eda.admin.ch/ eda/it/home/reps/eur/vlie/billie.html. Cfr. le proposte di decisioni del Consiglio sulla conclusione, rispettivamente, a nome della Comunità europea e dell’Unione europea, del protocollo tra l’Unione europea, la Comunità europea, la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein sull’adesione del Principato del Liechtenstein all’accordo tra l’Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera riguardante l’associazione della Confederazione svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, COM(2006) 752 def.; cfr. inoltre le decisioni del Consiglio n. 2008/262/CE e n. 2008/ 261/CE del 28 febbraio 2008 (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 83 del 26 marzo 2008) sulla firma, rispettivamente a nome dell’Unione europea e a nome della Comunità europea, del suddetto protocollo e sull’applicazione provvisoria di alcune disposizioni del medesimo. 24 Cfr. la convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee (firmata a Dublino il 15 giugno 1990), in Gazz. Uff. Com. eur., n. C 254 del 19 agosto 1997; il regolamento è in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 50 del 25 febbraio 2003. Le modalità di applicazione sono de- 264 notiziario rapporti fra tutti gli Stati membri, compresa la Danimarca, cui è stata estesa l’applicazione del suddetto atto in forza di un accordo entrato in vigore il 1º aprile 2006. 25 A tale cooperazione partecipano anche Islanda e Norvegia in base ad un accordo del 2001. 26 Nell’ambito dei «bilaterali II», è stato quindi concluso un accordo tra l’Unione europea e al Svizzera che, di fatto, estende alla Confederazione l’applicazione del «regolamento Dublino» unitamente ad altri atti ad esso correlati (AAD), 27 e un accordo che regola la materia nei rapporti con Islanda e Norvegia. 28 L’AAD è strettamente legato a quello di Schengen tanto che l’applicazione dell’uno dipende direttamente da quella dell’altro (art. 15 par. 4 AAS, art. 14 par. 2 AAD) e la denuncia dell’uno fa decadere anche l’altro (art. 18 AAS, art. 16 par. 2 AAD). 29 c) Il sistema Schengen è stato concepito come un sistema destinato ad evolversi. Si è posto dunque il problema di codificare se e come la Svizzera possa partecipare alla formazione di nuove disposizioni e le modalità con le quali essa deve garantire una loro applicazione uniforme. Tali profili sono stati definiti tenendo presente lo schema degli accordi di associazione a Schengen della Norvegia e dell’Islanda, finite con regolamento n. 1560/2003/CE della Commissione, ibidem, n. L 222 del 5 settembre 2003. 25 Cfr. la decisione n. 2006/188/CE del Consiglio del 21 febbraio 2006, relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca, che estende alla Danimarca le disposizioni del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo e del regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio che istituisce l’Eurodac per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino, in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 66 dell’8 marzo 2006. L’accordo è entrato in vigore il 1º aprile 2006 come da comunicazione del Consiglio, ibidem, n. L 96 del 5 aprile 2006. 26 Cfr. la decisione del Consiglio n. 2001/258/CE del 15 marzo 2001 relativa alla conclusione di un accordo fra la Comunità europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sui criteri e i meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri oppure in Islanda o in Norvegia, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 93 del 3 aprile 2001. L’accordo è entrato in vigore il 1º aprile 2001 come da comunicazione del Consiglio, ibidem, n. L 112 del 21 aprile 2001. A seguito dell’applicazione alla Danimarca del regolamento n. 343/2003/CE, tale Stato ha aderito al presente accordo secondo le modalità stabilite in un protocollo in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 57 del 28 febbraio 2006. 27 Cfr. l’accordo di associazione a Dublino (AAD) del 26 ottobre 2004, in RU 2008, p. 515 ss. e in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 53 del 27 febbraio 2008, su cui v. Bogdañski, L’association de la Suisse au système de Dublin, in Kaddous, Jametti Greiner (éds.), Accords bilatéraux II Suisse-UE cit., p. 389 ss. 28 La Confederazione ha concluso un unico accordo con l’Islanda e la Norvegia relativo sia all’attuazione, applicazione e sviluppo dell’acquis di Schengen, sia ai criteri e ai meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in Svizzera, in Islanda o in Norvegia (accordo del 17 dicembre 2004 cit., supra, nota 11). 29 Con una dichiarazione allegata all’accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 114 del 30 aprile 2002 e in RS 0.142.112.581), la Svizzera aveva già dichiarato la sua volontà di partecipare al sistema di coordinamento dell’Unione europea in materia di domande d’asilo proponendo l’avvio di negoziati per la conclusione di una convenzione parallela alla convenzione di Dublino. notiziario 265 anch’essi, come la Confederazione, Stati non membri dell’Unione europea. 30 Proprio per questo motivo, l’adozione di nuovi atti giuridici concernenti Schengen spetta unicamente agli organi competenti dell’Unione europea (art. 7 AAS). La Svizzera non dispone del diritto di voto (c.d. decision making) ma può tuttavia partecipare attivamente all’elaborazione di nuovi atti giuridici e di nuove misure dell’acquis di Schengen attraverso il Comitato misto (c.d. decision shaping: art. 4 AAS). Quest’ultimo, composto da membri del Consiglio dell’Unione europea, della Commissione e da rappresentanti del Consiglio federale, 31 si riunisce, nei diversi livelli (esperti, funzionari, ministri), nel quadro delle sedute ordinarie dei gruppi di lavoro di livello corrispondente del Consiglio dell’Unione europea. La riunione avviene di regola con i Comitati misti istituiti dagli accordi di associazione a Schengen con Norvegia e Islanda; la presidenza degli incontri spetta ai tre Stati associati a rotazione. Al fine di favorire la partecipazione della Confederazione all’elaborazione di nuovi atti, il Comitato misto dell’AAS deve essere informato quando, nell’ambito del Consiglio, è in preparazione un atto o un provvedimento che può rientrare nei settori contemplati dall’accordo (art. 5 AAS); inoltre, nelle stesse condizioni, la Commissione è tenuta a consultare in via informale gli esperti svizzeri, cosı́ come consulta gli esperti degli Stati membri (art. 6 AAS). Con uno scambio di lettere allegato all’AAS, è stata poi assicurata la partecipazione della Confederazione elvetica ai lavori dei comitati che assistono la Commissione nell’esercizio del suo potere esecutivo, laddove questi operino nei settori coperti dall’AAS. L’accettazione e l’applicazione dei nuovi atti da parte della Svizzera è regolata dall’art. 7 AAS e da una dichiarazione allegata all’accordo relativa al termine di accettazione. La Svizzera deve notificare al Consiglio e alla Commissione dell’Unione europea, entro i trenta giorni successivi all’avvenuta adozione degli atti in questione, la propria posizione in merito all’accettazione e il recepimento degli stessi. 32 Come è stato sottolineato nel corso dei negoziati, questo termine riguarda la comunicazione della volontà politica e non è, necessariamente, quello entro il quale la misura deve essere applicata. 33 Al fine di tutelare le peculiari caratteristiche della procedura legislativa svizzera, quando la competenza a recepire la misura spetta al Parlamento federale viene previsto un termine di due anni. Si noti che, per l’accettazione dei nuovi atti Schengen, la Norvegia dispone di un termine massimo di sei mesi e l’Islanda di quattro settimane. Nel corso dei due anni la 30 Gli Stati terzi non aderiscono propriamente a questi strumenti ma vi si «associano» recependo l’acquis di Schengen nella forma raggiunta al momento della firma dell’accordo di associazione e regolando gli eventuali sviluppi. 31 Se sono coinvolte competenze cantonali, nella rappresentanza svizzera del Comitato misto vi sarà anche un rappresentante dei Cantoni. 32 La disposizione prevede che il Consiglio dell’Unione europea «notifichi immediatamente» l’adozione delle nuove misure. Il termine di trenta giorni decorre, però, dalla data di adozione dell’atto e non della sua notifica alla Confederazione che però già conosce, se non tutto, almeno gran parte del contenuto della misura, partecipando ai lavori preparatori della stessa attraverso il Comitato misto. 33 Sulle diverse ipotesi di recepimento in base alle competenze e procedure legislative previste sistema svizzero, cfr. Cornu, Les aspects institutionnels des Accords d’associations de la Suisse à Schengen et à Dublin, in Kaddous, Jametti Greiner (éds.), Accords bilatéraux II Suisse-UE cit., p. 234 ss. 266 notiziario Confederazione dovrebbe poter espletare la procedura parlamentare, far decorrere il termine per la proposizione del referendum (cento giorni dalla pubblicazione ufficiale dell’atto) e, se del caso, concludere la votazione. 34 Le stesse fasi potranno essere completate anche quando l’attuazione di una nuova misura implica una procedura parlamentare cantonale che potrebbe aprire la strada ad un referendum cantonale. 35 In certi casi, il contenuto dell’atto può essere applicato provvisoriamente (art. 7 par. 2 lett. b AAS). Spetta unicamente alla Svizzera stabilire, in base al proprio diritto interno, se un’applicazione provvisoria è possibile ma a condizione che ciò non crei difficoltà al buon funzionamento della cooperazione Schengen (art. 7 par. 2 comma 3 AAS). Nonostante la Confederazione abbia mantenuto l’autonomia legislativa circa l’accettazione degli «sviluppi» dell’acquis di Schengen, a determinate condizioni, il mancato recepimento dello stesso può condurre alla «decadenza» dell’AAS. 36 In sintesi, se la Svizzera non procede alle comunicazioni nei termini previsti (trenta giorni o, se del caso, al massimo due anni) o se non applica provvisoriamente un nuovo atto benché abbia comunicato alle altre Parti contraenti che un’attuazione provvisoria è possibile conformemente al diritto interno, l’AAS non è piú considerato applicabile, a meno che il Comitato misto, dopo aver esaminato attentamente tutte le possibilità per mantenere l’accordo in vigore, non decida altrimenti entro novanta giorni. Dopo tre mesi dalla scadenza suddetta, la validità dell’AAS cessa automaticamente, senza che sia necessaria una decisione formale di denuncia da parte dell’Unione europea e della Comunità europea (art. 7 par. 4 AAS). Una procedura speciale, tuttavia, è prevista dal regolamento interno del Comitato misto (art. 4 par. 3), 37 qualora la Svizzera ritenga che il contenuto di un atto o di una misura possa ledere i principi di neutralità, federalismo o democrazia diretta cosı́ come sanciti nella sua Costituzione. In tal caso, il Comitato misto è tenuto a riunirsi a livello ministeriale entro tre settimane per esaminare tutte le possibilità di mantenere in vita l’accordo, in particolare le soluzioni alternative proposte dalla Svizzera. Se nessuna soluzione viene accettata, la procedura di cessazione segue il suo corso. Questa ipotesi dovrebbe essere assai remota. Tuttavia, il meccanismo è assai significativo circa la volontà della Confederazione di preservare le proprie peculiarità istituzionali che hanno caratterizzato e determinato, nel corso del tempo, lo sviluppo complessivo delle relazioni con l’Unione europea. L’estinzione dell’AAS avviene anche nel caso in cui i tribunali e le autorità 34 Sulle tipologie di referendum previste dalla Costituzione svizzera, cfr. piú ampiamente, supra, nota 6. 35 Tale ipotesi si potrebbe verificare nel settore della cooperazione di polizia o della protezione dei dati. 36 L’estinzione dell’accordo per la mancata accettazione di uno sviluppo dell’acquis di Schengen è prevista anche nell’accordo in materia stipulato dall’Unione europea con la Norvegia e l’Islanda (art. 8). 37 Decisione del Comitato misto UE-Svizzera n. 1/2004 istituito in base all’accordo concluso tra l’Unione europea e la Confederazione svizzera sull’associazione di quest’ultima all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen del 26 ottobre 2004 recante adozione del suo regolamento interno, in Gazz. Uff. Un. eur., n. C 308 del 14 dicembre 2004. notiziario 267 svizzere deroghino sensibilmente all’interpretazione e all’applicazione dell’acquis di Schengen decisa dalla Corte di giustizia o dalle competenti autorità degli Stati membri dell’Unione europea e le parti all’accordo non riescano a trovare un’intesa in merito, nell’ambito del Comitato misto (art. 10 AAS). Le Parti contraenti, infatti, mantengono intatta la propria autonomia giurisdizionale sulle controversie relative all’applicazione dell’AAS, pur compensandola con una serie di misure intese ad assicurare una costante trasmissione reciproca della loro prassi (art. 9 AAS). L’AAS accorda, però, alla Confederazione il diritto di presentare memorie o osservazioni scritte nelle procedure pregiudiziali sollevate da un organo giurisdizionale di uno Stato membro dinanzi ai giudici comunitari, su una questione concernente l’interpretazione dell’acquis di Schengen (art. 8 par. 2 AAS). 38 d) In un solo caso il rifiuto di accettare un nuovo atto dell’acquis di Schengen non determina la decadenza dell’accordo. Le Parti contraenti hanno infatti disciplinato l’assistenza giudiziaria in materia fiscale secondo l’art. 51 CAAS in modo tale che la Svizzera, anche nell’eventualità di un’applicazione integrale di questo articolo ai reati d’evasione nel settore della fiscalità diretta, non sia obbligata a dar seguito a rogatorie a scopo di perquisizione e di sequestro. 39 Obiettivo dell’eccezione è quello di preservare il segreto bancario svizzero. Da un punto di vista giuridico, essa è fondata sulle condizioni previste dall’art. 51 lett. a della CAAS, per cui le rogatorie a scopo di perquisizione e di sequestro possono essere rifiutate se, per un reato, è irrogata una sanzione da un’autorità la cui decisione non può essere impugnata davanti a un tribunale penale. Dal momento che in Svizzera le decisioni delle autorità sui reati d’evasione in materia di fiscalità diretta non possono essere impugnate davanti a una giurisdizione competente segnatamente in materia penale (le decisioni dell’amministrazione fiscale possono essere oggetto di ricorso soltanto davanti a un tribunale amministrativo), la Confederazione non è tenuta, conformemente alla CAAS, a dare seguito alle rogatorie a scopo di perquisizione o di sequestro per reati d’evasione fiscale nel settore dell’imposizione diretta. Questo compromesso è stato espresso in una dichiarazione unilaterale che figura nell’atto finale dell’AAS in cui la Svizzera precisa che i reati fiscali nel settore dell’imposizione 38 Per un approfondimento sul grado di corrispondenza tra la giurisprudenza comunitaria e quella svizzera, cfr. Kaddous, L’influence du droit communautaire dans la jurisprudence du Tribunal fédéral suisse, in Le droit à la mesure de l’homme. Mélanges en l’honneur de Ph. Léger, Paris, 2006, p. 407 ss. Sull’indipendenza sotto il profilo giurisdizionale delle Parti contraenti l’AAS cfr. Id., La place des Accords bilatéraux II dans l’ordre juridique de l’Union européenne, in Kaddous, Jametti Greiner (éds.), Accords bilatéraux II Suisse-UE cit., p. 84 ss. 39 Precisamente, «se le disposizioni di un nuovo atto o di un nuovo provvedimento hanno l’effetto di non autorizzare piú gli Stati membri a subordinare alle condizioni di cui all’art. 51 CAAS l’esecuzione di una richiesta di assistenza giudiziaria in materia penale o il riconoscimento di un mandato di perquisizione e/o di sequestro di mezzi di prova proveniente da un altro Stato membro, la Svizzera può notificare al Consiglio e alla Commissione, nel termine di trenta giorni, che essa non accetterà, né recepirà il contenuto di tali disposizioni nel suo ordinamento giuridico interno, nella misura in cui queste ultime si applichino a richieste o a mandati di perquisizione e di sequestro relativi a inchieste o procedimenti relativi a reati in materia di fiscalità diretta che, se fossero stati commessi in Svizzera, non sarebbero stati punibili, secondo il diritto svizzero, con una pena privativa della libertà» (art. 7 par. 5 AAS). 268 notiziario diretta, perseguiti dalle autorità svizzere, non possono dar luogo, al momento dell’entrata in vigore dello stesso accordo, ad un ricorso davanti ad un organo giurisdizionale competente in materia penale. Alla Svizzera è stato quindi accordato un vero e proprio opting-out. 40 La Confederazione concederà invece l’assistenza giudiziaria nel caso di truffa fiscale sulla base del suo diritto interno (come avviene attualmente), in caso di evasione fiscale dovuta a una violazione delle disposizioni concernenti una delle imposte indirette elencate nell’art. 50 CAAS (accise, imposta sul valore aggiunto, dazi) e sulla base dell’art. 51 CAAS, anche a scopo di perquisizione e di sequestro per reati di sottrazione fiscale nel settore delle imposte indirette. In pratica, l’ampiezza dell’assistenza accordata in questi casi sarà comunque determinata dall’accordo fra la Svizzera e la CE sulla lotta alla frode. 41 Sempre al fine di tutelare il segreto bancario, una dichiarazione delle Parti contraenti permette di assicurare che le informazioni trasmesse dalla Svizzera, in particolare a seguito di una richiesta di assistenza giudiziaria concernente un reato nel settore della fiscalità indiretta, non siano utilizzate dalle autorità straniere senza il consenso della Confederazione per un procedimento nel settore della fiscalità. e) Il Parlamento federale ha approvato l’AAS il 1º dicembre 2004, unitamente agli accordi con Danimarca, Norvegia e Islanda nonché alle necessarie misure legislative di adattamento. 42 Contro il decreto federale è stato lanciato un referendum facoltativo in occasione del quale il popolo elvetico si è espresso in termini positivi, il 5 giugno 2005, con il 54,6% di voti favorevoli. 43 Per la Svizzera si è cosı́ conclusa la procedura di ratifica. Per l’Unione europea l’AAS è un accordo c.d. interpiliers o cross-pillar poiché la materia rientra in parte nel pilastro comunitario e in parte nelle competenze dell’Unione. 44 Il Consiglio ha dunque approvato l’ac- 40 L’art. 7 par. 5 CAAS esclude esplicitamente la denuncia dell’accordo. La stessa norma prevede poi che una delle Parti contraenti possa convocare una riunione del Comitato misto che discuta della situazione. Occorre, però, ricordare che il Comitato misto può prendere decisioni vincolanti unicamente all’unanimità, con il consenso indispensabile, quindi, della Svizzera. 41 Cfr. la dichiarazione comune delle Parti contraenti sull’art. 23 par. 7 della convenzione del 29 maggio 2000 relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea. Sull’accordo tra la Svizzera e l’Unione europea sulla lotta alla frode cfr. il decreto federale che approva l’accordo bilaterale con la CE e i suoi Stati membri sulla lotta contro la frode del 17 dicembre 2004, in Foglio fed., 2004, p. 6375 ss. 42 Il decreto federale pubblicato in Foglio fed., 2004, p. 6343 ss. 43 Il decreto federale di trasposizione riguardava sia l’AAS sia AAD e il popolo svizzero si è pronunciato su entrambi gli accordi, i soli ad essere stati sottoposti a referendum fra tutti i dossier dei «bilaterali II». 44 Sugli accordi interpiliers, cfr. Louis, Les accords conclus au titre des deuxième et troisième piliers, in Louis, Dony (dir.), Commentaire Mégret. Relations extérieures, vol. 12, Bruxelles, 2005, p. 329 ss.; Eeckhout, External relations of the European Union: legal and constitutional foundations, Oxford, 2004, p. 184; Bonafé, Il nuovo accordo ‘‘interpiliers’’ concluso dall’Unione europea con il Libano, in Dir. Un. eur., 2003, p. 407 ss. Sulla qualifica dell’AAS come accordo interpiliers cfr. Kaddous, La place des Accord bilatéraux cit., p. 72 ss.; Lang, Le relazioni esterne dell’Unione europea, in Chiti, Greco (dir.), Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte generale, II, Milano, 2007, p. 818. notiziario 269 cordo con due distinte decisioni, l’una in base al trattato CE, l’altra in base al trattato sull’UE. 45 3. Per ragioni di completezza, è opportuno ricordare anche lo sviluppo della cooperazione tra Svizzera e Unione europea realizzata in materia di libera circolazione delle persone. L’accordo che regola tale settore (ALC) è stato firmato il 21 giugno 1999 tra la Confederazione, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall’altra, ed è entrato in vigore il 1º giugno 2002 quale accordo settoriale nel quadro dei «bilaterali I». Si tratta senza dubbio dell’accordo piú complesso dell’intero pacchetto e certamente il piú «ostico» da accettare da parte della Svizzera. 46 Con la sola eccezione dell’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica, tutti gli accordi settoriali dei «bilaterali I» sono stati stipulati per una durata iniziale di sette anni. Essi vengono prorogati a tempo indeterminato, purché l’Unione europea o la Svizzera non notifichino alla controparte, prima della scadenza inizialmente concordata, una decisione in senso contrario: per l’ALC questo termine è il 31 maggio 2009. Si tratta di un accordo misto (competenza ripartita tra l’UE da un lato e i suoi Stati membri dall’altro) e quindi l’estensione dell’accordo ai dieci Stati entrati nell’Unione il 1º maggio 2004 non è avvenuta in modo automatico; è stato, infatti, necessario negoziare un protocollo aggiuntivo all’ALC, 47 ratificato dalla Svizzera e dall’Unione europea unitamente agli «accordi bilaterali II». 48 A seguito dell’allarga45 Cfr. la decisione del Consiglio n. 2008/146/CE del 28 gennaio 2008, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, dell’accordo tra l’Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera, riguardante l’associazione della Confederazione svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, fondata sugli artt. 62, 63 par. 3, 66 e 95, in combinato disposto con l’articolo 300 par. 2 e par. 3 trattato CE e la decisione del Consiglio del 28 gennaio 2008 relativa alla conclusione, a nome dell’Unione europea, dell’accordo tra l’Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera, riguardante l’associazione della Confederazione svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, n. 2008/149/GAI, fondata sugli art. 24 e 38 trattato UE, entrambe in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 53 del 27 febbraio 2008. 46 Sull’ALC cfr., in particolare Kaddous, A propos de la libre circulation des personnes entre la Suisse et l’Union européenne, in Epiney, Haag, Heinemann (éds.), Le défi des frontières. Mélanges en l’honneur de R. Bieber, Baden Baden, 2007, p. 528 ss. 47 Protocollo del 26 ottobre 2004 all’accordo tra la Confederazione svizzera, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, relativo alla partecipazione, in qualità di Parti contraenti, della Repubblica ceca, Repubblica di Estonia, Repubblica di Cipro, Repubblica di Lettonia, Repubblica di Lituania, Repubblica di Ungheria, Repubblica di Malta, Repubblica di Polonia, Repubblica di Slovenia e Repubblica Slovacca, successivamente alla loro adesione all’Unione europea, in RU 2006, p. 995 ss. e in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 89 del 28 marzo 2006. Le Parti hanno stabilito di estendere la libera circolazione delle persone ai dieci Stati che hanno aderito all’Unione europea nel 2004, procedendo a tappe e in modo controllato (priorità a favore dei lavoratori indigeni, contingentamenti, verifica preliminare delle condizioni salariali e lavorative) per un periodo transitorio che scadrà il 30 aprile 2011. Tale protocollo e alcune misure collaterali intese a migliorare la tutela dei lavoratori contro il dumping salariale e sociale sono stati approvati dal popolo svizzero in occasione del referendum del 25 settembre 2005 e sono entrate in vigore il 1º aprile 2006. 48 Cfr. Lang, I rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea: problemi generali, in Lang, 270 notiziario mento dell’Unione a Bulgaria e Romania, il 1º gennaio 2007, è stato concluso un secondo protocollo, firmato il 27 maggio 2008. Il Parlamento svizzero, in data 13 giugno 2008, ha adottato un unico decreto federale che approva sia il rinnovo dell’accordo tra la Svizzera e la Comunità europea ed i suoi Stati membri sulla libera circolazione delle persone sia il protocollo relativo all’estensione alla Bulgaria e alla Romania dell’ALC, sottoponendolo a referendum facoltativo che si svolgerà l’8 febbraio 2009. 49 Tale voto è assai rilevante poiché i singoli accordi settoriali contenuti nei «bilaterali I», come si è già rilevato, sono legati sotto il profilo della loro esistenza. Se un accordo viene disdetto o non viene rinnovato, gli altri accordi perdono automaticamente validità sei mesi dopo la notifica di tale decisione. Pertanto, se il popolo elvetico dovesse rifiutare il rinnovo dell’ALC, la Svizzera rischierebbe di compromettere l’intero «pacchetto bilaterali I». L’esito del referendum non pregiudica, invece, l’efficacia degli «accordi bilaterali II» e quindi, in caso di esito negativo, l’AAS resterebbe comunque in vigore. Sebbene il contenuto dei due accordi sia ben distinto, 50 è innegabile che l’acquis di Schengen rappresenta uno sviluppo della libera circolazione delle persone: in caso di esito negativo, il quadro delle relazioni bilaterali tra Svizzera ed Unione europea subirebbe un evidente regresso. 51 Cecilia Sanna Sanna (a cura di), Federalismo e regionalismo, esperienze italiana, svizzera e dell’Unione europea a confronto, Milano, 2005, p. 126 ss. Il risultato negoziale non è stato sottoposto alle procedure nazionali di approvazione e di ratifica poiché all’atto di adesione dell’ALC, gli Stati membri avevano delegato al Consiglio dell’Unione europea la competenza per la negoziazione e l’approvazione dell’estensione di tutti gli accordi misti da parte dell’Unione europea (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 157 del 21 giugno 2005). Per la Svizzera era invece previsto che la decisione in merito all’estensione dell’ALC fosse di competenza del Parlamento che avrebbe dovuto emanare un decreto soggetto a referendum facoltativo (cfr. l’art. 2 del decreto federale dell’8 ottobre 1999 che approva gli «accordi bilaterali I», in RU 2002, p. 1527 ss.). 49 Decreto federale che approva il rinnovo dell’accordo tra la Svizzera e la Comunità europea ed i suoi Stati membri sulla libera circolazione delle persone e approva e traspone nel diritto svizzero il protocollo relativo all’estensione alla Bulgaria e alla Romania dell’accordo sulla libera circolazione delle persone, in Foglio fed., 2008, p. 4655 ss. 50 Ricordiamo che l’ALC, in sintesi, facilita sia l’accesso reciproco al mercato del lavoro che il domicilio di cittadini dell’UE sul territorio svizzero e dei cittadini svizzeri sul territorio dell’Unione europea. Il diritto di libera circolazione delle persone è inoltre integrato da disposizioni concernenti la prestazione di servizi individuale e limitata nel tempo, il coordinamento dei sistemi di assicurazione sociale e il riconoscimento reciproco dei diplomi professionali. La Corte di giustizia ha pronunciato di recente una sentenza relativa all’applicazione dell’ALC ed in particolare sul principio di parità di trattamento rispetto ai lavoratori autonomi frontalieri: cfr. la sentenza 22 dicembre 2008, in causa C-13/08, Erich Stamm e Anneliese Hauser, reperibile sul sito web ufficiale della Corte di giustizia. 51 In corso di stampa, il referendum ha avuto luogo. Il popolo svizzero ha approvato il rinnovo dell’ALC e la sua estensione a Bulgaria e Romania con 59.6% di voti a favore e 40.4% contrari; in quattro Cantoni su ventisei (Ticino, Appenzello Interno, Glarona, Svitto) l’esito è stato tuttavia negativo. notiziario 271 Dalla pratica legislativa, giudiziaria e internazionale Trattati internazionali entrati in vigore per l’Italia (secondo i comunicati apparsi nella Gazzetta Ufficiale dal settembre 2008 al gennaio 2009). N.B. Il supplemento ordinario n. 232 alla Gazz. Uff. n. 242 del 15 ottobre 2008 riporta l’elenco di 4 atti internazionali entrati in vigore per l’Italia entro il 15 settembre 2008 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica. Il supplemento ordinario n. 11 alla Gazz. Uff. n. 15 del 20 gennaio 2009 riporta l’elenco di 12 atti internazionali entrati in vigore per l’Italia entro il 15 dicembre 2008 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica. Trattati bilaterali Algeria – Convenzione in materia di assistenza giudiziaria penale tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica algerina democratica e popolare (Algeri, 22 luglio 2003), resa esecutiva con l. 18 marzo 2008 n. 57 (GU 84, 9 aprile 2008), in vigore dal 25 novembre 2008 (GU 290, 12 dicembre 2008). Francia – Accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica francese relativo all’attuazione di una gestione unificata del tunnel di Tenda e alla costruzione di un nuovo tunnel (Parigi, 12 marzo 2007), reso esecutivo con l. 4 agosto 2008 n. 136 (GU 203, 30 agosto 2008, s.o. 206), in vigore dal 1º novembre 2008 (GU 257, 3 novembre 2008). Francia – Convenzione tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica francese relativa al traforo stradale del Monte Bianco (Lucca, 24 novembre 2006), resa esecutiva con l. 27 settembre 2007 n. 166 (G.U. 237, 11 ottobre 2007), in vigore dal 1º ottobre 2008 (GU 228, 29 settembre 2008). India – Accordo di cooperazione culturale tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica dell’India (New Delhi, 12 luglio 2004), reso esecutivo con l. 18 marzo 2008 n. 66 (GU 85, 10 aprile 2008), in vigore dal 6 ottobre 2008 (GU 285, 5 dicembre 2008). Islanda – Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica islandese per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con protocollo aggiuntivo (Roma, 10 settembre 2002), resa esecutiva con l. 4 agosto 2008 n. 138 (GU 206, 3 settembre 2008, s.o. 208), in vigore dal 14 ottobre 2008 (GU 262, 8 novembre 2008). Libano – Accordo di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica libanese (Beirut, 22 novembre 2000), con scambio di lettere integrativo (Beirut, 22 novembre 2000 e Roma, 27 gennaio 2001), reso esecutivo con l. 30 dicembre 2005 n. 287 (GU 7, 10 gennaio 2006), in vigore dal 6 dicembre 2008 (GU 270, 18 novembre 2008). 272 notiziario Lituania – Accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica di Lituania sulla cooperazione nel campo della difesa (Venezia, 27 marzo 1999), reso esecutivo con l. 27 settembre 2002 n. 230 (GU 249, 23 ottobre 2002), in vigore dal 28 agosto 2008 (GU 270, 18 novembre 2008). Oman – Memorandum di cooperazione nel campo della difesa tra il governo della Repubblica italiana e il sultanato dell’Oman (Roma, 22 marzo 2004), reso esecutivo con l. 6 marzo 2006 n. 132 (GU 75, 30 marzo 2006), in vigore dal 18 novembre 2006 (GU 248, 22 ottobre 2008). Polonia – Scambio delle note verbali per la denuncia dell’accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare di Polonia sulla promozione e protezione degli investimenti (Varsavia, 10 maggio 1989), reso esecutivo con l. 7 gennaio 1992 n. 30 (GU 21, 27 gennaio 1992, s.o. 16), il quale cesserà di produrre i propri effetti a partire dal 9 gennaio 2013 (GU 257, 3 novembre 2008). Trattati multilaterali 23 novembre 2001 – Convenzione sulla criminalità informatica STCE n. 185 (Budapest, 23 novembre 2001), resa esecutiva con l. 18 marzo 2008 n. 48 (GU 80, 4 aprile 2008), in vigore dal 1º ottobre 2008 (GU 262, 8 novembre 2008). 21 maggio 2003 – Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la lotta al tabagismo (Ginevra, 21 maggio 2003), resa esecutiva con l. 18 marzo 2008 n. 75 (GU 91, 17 aprile 2008), in vigore dal 30 settembre 2008 (GU 256, 31 ottobre 2008). 18 marzo 2004 – Protocollo sui privilegi e le immunità dell’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) (Ginevra, 18 marzo 2004), reso esecutivo con l. 7 gennaio 2008 n. 12 (GU 29, 4 febbraio 2008), in vigore dal 13 luglio 2008 (GU 291, 13 dicembre 2008). 6 febbraio 2008 – Protocollo sull’emendamento dell’accordo sulle relazioni tra la Commissione internazionale per il servizio internazionale delle ricerche e il Comitato internazionale della Croce Rossa (Varsavia, 6 febbraio 2008), in vigore dall’11 gennaio 2008 avendo tutti i governi contraenti notificato di aver completato le procedure interne per l’entrata in vigore dello stesso ed essendo in tale giorno pervenuta l’ultima delle predette comunicazioni al governo della Polonia (GU 220, 19 settembre 2008). Stato delle ratifiche e adesioni delle convenzioni dell’Aja in vigore. Diamo qui di seguito l’elenco delle convenzioni dell’Aja in vigore al 9 gennaio 2009 con l’indicazione degli Stati che le hanno ratificate o vi hanno aderito prima della data stessa. 1) Procedura civile (1º marzo 1954): Argentina, Armenia, Austria, Belgio, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Cina (territorio di Macao), Cipro, Città del Vaticano, Croazia, Danimarca, Egitto, Federazione russa, Finlandia, Francia, Germania, notiziario 273 Giappone, Islanda, Israele, Italia, Kirgichistan, Lettonia, Libano, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Marocco, Moldavia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Santa Sede, Serbia, Slovenia, Spagna, Suriname, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Uzbekistan. 2) Legge applicabile alle vendite di oggetti mobili corporali (15 giugno 1955): Belgio (denuncia), Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Niger, Norvegia, Svezia, Svizzera. 3) Legge applicabile alle obbligazioni alimentari verso i minori (24 ottobre 1956): Austria, Belgio, Cina (territorio di Macao), Francia, Germania, Giappone, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia. 4) Riconoscimento delle sentenze alimentari verso i minori (15 aprile 1958): Austria, Belgio, Cina (territorio di Macao), Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Spagna, Suriname, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. 5) Competenza e legge applicabile per la protezione dei minori (5 ottobre 1961): Austria, Cina (territorio di Macao), Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia. 6) Forma dei testamenti (5 ottobre 1961): Antigua e Barbuda, Armenia, Australia, Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Botswana, Brunei Darussalam, Cina (territorio di Hong Kong), Croazia, Danimarca, Estonia, Figi, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Grenada, Irlanda, Israele, Lesotho, Lussemburgo, Macedonia, Mauritius, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Serbia, Slovenia, Spagna, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Swaziland, Tonga, Turchia. 7) Soppressione della legalizzazione (5 ottobre 1961): Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaigian, Bahamas, Barbados, Belgio, Belize, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Botswana, Brunei Darussalam, Bulgaria, Cina (territori di Hong Kong e di Macao), Cipro, Colombia, Croazia, Danimarca, Dominica, Repubblica Dominicana, Estonia, Ecuador, Federazione russa, Figi, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Giappone, Grecia, Grenada, Honduras, India, Irlanda, Islanda, Isole Cook, Isole Marshall, Israele, Italia, Kazakistan, Lesotho, Lettonia, Liberia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malawi, Malta, Mauritius, Messico, Moldavia, Monaco, Montenegro, Namibia, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Panama, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica democratica di São Tomé e Prı́ncipe, Repubblica di Corea, Repubblica di Vanuatu, Repubblica slovacca, Romania, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Salvador, Samoa, San Marino, Serbia, Seychelles, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d’America, Sud Africa, Suriname, Svezia, Svizzera, Swaziland, Tonga, Trinidad e Tobago, Turchia, Ucraina, Ungheria, Venezuela. 8) Competenza, legge applicabile e riconoscimento delle adozioni (15 novembre 1965): Austria (denuncia), Regno Unito (denuncia), Svizzera (denuncia). 9) Notificazioni (15 dicembre 1965): Albania, Antigua e Barbuda, Argentina, Bahamas, Barbados, Belgio, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Botswana, Bulgaria, Canada, Cina, Cipro, Croazia, Danimarca, Egitto, Estonia, Federazione russa, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, India, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Kuwait, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malawi, Messico, Monaco, Norvegia, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repub- 274 notiziario blica di Corea, Repubblica slovacca, Romania, Saint Vincent e Grenadine, San Marino, Seychelles, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Venezuela. 10) Assunzione di prove (18 marzo 1970): Argentina, Australia, Barbados, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cina, Cipro, Danimarca, Estonia, Federazione russa, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, India, Islanda, Israele, Italia, Kuwait, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Messico, Monaco, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Seychelles, Singapore, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Stati Uniti d’America, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Venezuela. 11) Riconoscimento dei divorzi e delle separazioni (1º giugno 1970): Australia, Cina (territorio di Hong Kong), Cipro, Danimarca, Egitto, Estonia, Finlandia, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Svezia, Svizzera. 12) Riconoscimento ed esecuzione delle sentenze (1º febbraio 1971): Cipro, Paesi Bassi, Kuwait, Portogallo. 13) Protocollo addizionale alla convenzione sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze (1º febbraio 1971): Cipro, Kuwait, Paesi Bassi, Portogallo. 14) Legge applicabile agli incidenti della circolazione stradale (4 maggio 1971): Austria, Belgio, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Serbia, Slovenia, Spagna, Svizzera. 15) Amministrazione internazionale delle successioni (2 ottobre 1973): Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica slovacca. 16) Legge applicabile alla responsabilità per danni derivanti da prodotti (2 ottobre 1973): Croazia, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Serbia, Slovenia, Spagna. 17) Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni sugli obblighi alimentari (2 ottobre 1973): Australia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina. 18) Legge applicabile agli obblighi alimentari (2 ottobre 1973): Estonia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia. 19) Celebrazione e validità dei matrimoni (14 marzo 1978): Australia, Lussemburgo, Paesi Bassi. 20) Legge applicabile ai contratti di intermediazione (14 marzo 1978): Argentina, Francia, Paesi Bassi, Portogallo. 21) Legge applicabile ai regimi matrimoniali (14 marzo 1978): Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi. 22) Sottrazione internazionale dei minori (25 ottobre 1980): Albania, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Bahamas, Belgio, Belize, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Burkina-Faso, Canada, Cile, Cina (territori di Hong Kong e di Macao), Cipro, Colombia, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Finlandia, Figi, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Guatemala, Honduras, Irlanda, Israele, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Mauritius, Messico, Moldavia, Monaco, Montenegro, Nicaragua, Norvegia, Nuova notiziario 275 Zelanda, Paesi Bassi, Panama, Paraguay, Perú, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica dominicana, Repubblica slovacca, Romania, Saint Kitts e Nevis, Salvador, San Marino, Serbia, Seychelles, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Stati Uniti d’America, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Thailandia, Trinidad e Tobago, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Venezuela, Zimbabwe. 23) Accesso internazionale alla giustizia (25 ottobre 1980): Albania, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera. 24) Legge applicabile e riconoscimento dei trusts (1º luglio 1985): Australia, Canada, Cina (territorio di Hong Kong), Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Regno Unito, San Marino, Svizzera. 25) Protezione dei minori e cooperazione in materia di adozione internazionale (29 maggio 1993): Albania, Andorra, Armenia, Azerbaigian, Australia, Austria, Belgio, Belize, Bielorussia, Bolivia, Brasile, Bulgaria, Burkina-Faso, Burundi, Cambogia, Canada, Cile, Cina, Cipro, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Guatemala, Guinea, India, Islanda, Israele, Italia, Kenia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Madagascar, Mali, Malta, Mauritius, Messico, Moldavia, Monaco, Mongolia, Norvegia, Nuova Zelanda, Panama, Paesi Bassi, Paraguay, Perú, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica dominicana, Repubblica slovacca, Romania, Salvador, San Marino, Seychelles, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Stati Uniti, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Tailandia, Turchia, Ungheria, Uruguay, Venezuela. 26) Competenza, legge applicabile ed esecuzione delle decisioni sulla potestà parentale e sulla protezione dei minori (19 ottobre 1996): Armenia, Albania, Australia, Bulgaria, Ecuador, Estonia, Lettonia, Lituania, Marocco, Monaco, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia, Ucraina, Ungheria. 27) Protezione degli adulti (13 gennaio 2000): Germania, Francia, Regno Unito. Sull’entrata in vigore del regolamento Roma I per il Regno Unito. In data 7 novembre 2008 la Commissione ha formulato un parere «sulla domanda presentata dal Regno Unito in vista dell’accettazione del regolamento (CE) n. 593/ 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I)», COM(2008) 730 def. Il testo del parere è il seguente: «1. Introduzione 1. Il 17 giugno 2008 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (qui di seguito denominato «il regolamento 593/2008») (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 177 del 4 luglio 2008). A norma dell’articolo 1 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, il Regno Unito non ha partecipato alla sua adozione. 2. Tuttavia, in virtú dell’articolo 4 di detto protocollo, il Regno Unito può «in qualsiasi momento dopo l’adozione di una misura da parte del Consiglio a norma del titolo IV del trattato che istituisce la Comunità europea notificare al Consiglio e alla Commissione la sua intenzione di accettarla. In tal caso si applica, con gli 276 notiziario opportuni adattamenti, la procedura di cui all’articolo 11, paragrafo 3 del trattato che istituisce la Comunità europea». 3. Con lettera del 24 luglio 2008, pervenuta alla Commissione il 30 luglio 2008, il Regno Unito ha notificato alla Commissione l’intenzione di accettare il regolamento 593/2008. 4. Conformemente all’articolo 11A del trattato che istituisce la Comunità europea relativo alla cooperazione rafforzata, che pure trova applicazione con gli opportuni adattamenti, si segue la seguente procedura: «Ogni Stato membro che desideri partecipare a una cooperazione rafforzata instaurata a norma dell’articolo 11 notifica tale intenzione al Consiglio e alla Commissione, la quale, entro un termine di tre mesi dalla data di ricezione della notifica, dà un parere al Consiglio. Entro quattro mesi dalla data di ricezione della notifica, la Commissione decide sulla richiesta e sulle eventuali misure specifiche che può ritenere necessarie». 5. In applicazione di detto articolo, la Commissione presenta al Consiglio il parere esposto in appresso. 2. Parere La Commissione accoglie favorevolmente la domanda presentata dal Regno Unito in vista dell’accettazione del regolamento 593/2008, che è un elemento fondamentale dell’acquis comunitario nel settore della giustizia civile, e ritiene pertanto di dare un parere positivo in merito a tale partecipazione. Il regolamento dovrebbe entrare in vigore per il Regno Unito il giorno della notifica, a detto Stato, della decisione della Commissione relativa alla sua domanda. Come nel caso degli altri Stati membri, dovrebbe applicarsi a decorrere dal 17 dicembre 2009, fatta eccezione per l’articolo 26 applicabile dal 17 giugno 2009». Programmazione aggiuntiva dei flussi d’ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari per il 2008. La Gazz. Uff., n. 288 del 10 dicembre 2008 pubblica il testo del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008, recante «Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso di lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato per l’anno 2008». Tale decreto prevede l’ammissione di 150.000 unità di lavoratori extracomunitari individuati in base ai dati forniti dal Ministero dell’interno sulle richieste che erano state inviate agli sportelli unici per l’immigrazione entro il 31 maggio 2008 in applicazione del precedente decreto flussi del 30 ottobre 2007 (sul quale cfr. questa Rivista, 2008, p. 338). Le domande di nulla-osta al lavoro già presentate entro tale data e risultate valide ed ammissibili, ma in esubero rispetto al limite autorizzato per il 2007, saranno dunque utilizzate in via prioritaria per soddisfare la nuova quota indicata nel decreto in commento (art. 4 commi 1 e 2), in cui sono inoltre premiate all’interno di quelle richieste le esigenze del lavoro domestico o di assistenza alla persona (art. 3). Trascorsi sessanta giorni dalla pubblicazione, le quote non utilizzate saranno diversamente ripartite sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro (art. 5). Viene inoltre richiesto ai datori di lavoro extracomunitari che abbiano inoltrato tali richieste di dimostrare di essere in possesso di un permesso di soggiorno CE di lungo periodo o di avere inoltrato la domanda per ottenerlo, oltre che di confermare telematicamente (sul sito www.interni.it, a partire dal 15 dicembre 2008 fino a venti giorni successivi) l’interesse all’assunzione (artt. 4.3 e 4.4). notiziario 277 Comunità europea e convenzione sugli accordi di scelta del foro. Il documento COM(2008) 538 def. del 5 settembre 2008 reca la proposta della Commissione di decisione del Consiglio relativa alla firma da parte della Comunità europea della convenzione sugli accordi di scelta del foro, conclusa a L’Aja il 30 giugno 2005. Si segnala il par. 14 della relazione allegata alla proposta il quale pone in evidenza la «necessità per la Comunità di effettuare una dichiarazione ai sensi dell’articolo 21 della convenzione ed escludere quindi dal campo di applicazione della medesima i contratti di assicurazione in cui il titolare della polizza sia domiciliato nell’UE e il rischio, l’evento o il bene assicurato sia collegato esclusivamente all’UE nonché i diritti d’autore e i diritti connessi la cui validità sia collegata a uno Stato membro»; e l’art. 2 della proposta che prevede che al momento della firma della convenzione, la Comunità effettuerà la seguente dichiarazione ai sensi dell’art. 30 della convenzione: «La Comunità europea dichiara, ai sensi dell’articolo 30 della convenzione, di essere competente per tutte le materie disciplinate dalla presente convenzione. I suoi Stati membri non firmeranno, ratificheranno, accetteranno o approveranno la convenzione, ma ne saranno vincolati in forza della sua conclusione da parte della Comunità europea. Ai fini della presente dichiarazione, il termine ‘‘Comunità europea’’ non include la Danimarca, in virtú degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea [né il Regno Unito e l’Irlanda, in virtú dell’articolo 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea]». Recepimento in Danimarca delle modifiche introdotte dal regolamento (CE) n. 1393/2007. Con decreto amministrativo n. 1476 del 12 dicembre 2007 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno di Danimarca del 21 dicembre 2007) il Ministro della giustizia danese ha disposto il recepimento in questo Stato membro – che notoriamente non partecipa all’adozione delle misure proposte a norma del titolo IV CE e che non è vincolato da queste – del regolamento (CE) n. 1393/2007, che ha abrogato il regolamento (CE) n. 1348/2000, le cui disposizioni erano già applicabili in Danimarca in virtú dell’accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca relativo alla notificazione e alla comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (in questa Rivista, 2007, p. 534 ss.). Il provvedimento danese stabilisce unilateralmente che le disposizioni del regolamento n. 1393/2007 si applichino in Danimarca e che il riferimento da esso operato agli Stati membri debba intendersi come riferito anche alla Danimarca (par. 1). Al pari del testo comunitario, esso fissa l’entrata in vigore delle suddette disposizioni al 30 dicembre 2007 e ne stabilisce l’applicazione alle notifiche e comunicazioni effettuate a partire dal 13 novembre 2008. Viene disposta altresı́ l’abrogazione del decreto di attuazione in Danimarca del sopracitato accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca (par. 6). Introduzione dell’euro in Slovacchia. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 195 del 24 luglio 2008, pubblica i regolamenti (CE) n. 693/2008 e n. 694/2008 del Consiglio dell’8 luglio 2008. Il primo modifica il regolamento (CE) n. 974/98 del 3 278 notiziario maggio 1998 relativo all’introduzione dell’euro (pubblicato in questa Rivista, 1998, p. 657 ss.) per l’adozione della moneta unica in Slovacchia, già modificato in precedenza dal regolamento (CE) n. 2596/2000 (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 300 del 29 novembre 2000), in occasione dell’ingresso della Grecia nell’area UEM, dal regolamento (CE) n. 2169/2005 per preparare l’introduzione dell’euro negli Stati membri che non lo hanno ancora adottato (ibidem, n. L 346 del 29 dicembre 2005); dal regolamento (CE) n. 1674/2006 per la sostituzione della moneta slovena con l’euro (in questa Rivista, 2007, p. 279 s.); dal regolamento (CE) n. 1674/2006 per l’introduzione dell’euro a Cipro e Malta (ibidem, 2008, p. 328). La Slovacchia, come questi ultimi Stati membri, ai sensi dell’art. 122 CE è Stato con deroga la quale viene abolita a decorrere dal 1º gennaio 2009 in quanto soddisfa le condizioni necessarie per l’adozione della moneta unica, ai sensi della decisione 2008/608/CE del Consiglio, anch’essa dell’8 luglio 2008 (e pubblicata insieme ai regolamenti in commento), adottata in applicazione dell’art. 122 par. 2 CE, relativa all’adozione della moneta unica da parte di tale Stato. Nel considerando 10 del regolamento n. 693/2008, in particolare, si legge che «le banconote e le monete in euro avranno corso legale in detto Stato membro il giorno dell’introduzione dell’euro come moneta nazionale. Pertanto, la data di adozione dell’euro e di sostituzione del denaro liquido dovrebbe essere il 1º gennaio 2009. Il periodo di ‘‘abbandono graduale’’ non si applica». Il secondo regolamento n. 694/2008 fissa il tasso di conversione tra l’euro e la corona slovacca a 30,126 corone slovacche per 1 euro (considerando 4), corrispondente all’attuale tasso centrale della corona nel meccanismo di cambio (ERM II). Modifiche al regolamento di procedura della Corte di giustizia. Il 23 giugno e l’8 luglio 2008 la Corte di giustizia ha adottato alcune modifiche al proprio regolamento di procedura (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 200 del 29 luglio 2008; sulle precedenti modifiche si veda questa Rivista, 2008, p. 625 ss.) relative al procedimento di riesame delle decisioni del Tribunale di primo grado qualora quest’ultimo si pronunci in secondo grado, ovvero su impugnazione avverso una decisione di una camera giurisdizionale, o si pronunci su questioni pregiudiziali in materie specifiche determinate dallo Statuto. Le condizioni e i limiti del procedimento di riesame sono fissati agli artt. 62 ss. del protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia e le modifiche al regolamento di procedura sono volte a precisarne le modalità di svolgimento. A tal fine è inserito il nuovo titolo IV-bis intitolato «Del riesame delle decisioni del Tribunale di primo grado», costituito dai nuovi articoli da 123-ter a 123-sexies. In particolare, l’art. 123-bis regola il regime linguistico del procedimento, stabilendo che la lingua processuale sia quella della decisione del Tribunale che è oggetto del riesame; l’art. 123-ter istituisce una sezione speciale incaricata di valutare se la decisione del Tribunale debba essere oggetto di riesame; l’artt. 123-quinquies prevede che della decisione di procedere al riesame sia data notizia nella Gazz. Uff. Un. eur., mentre l’art. 123-sexies stabilisce che sia notificata alle parti e agli altri soggetti eventualmente interessati, comunicata al Tribunale di primo grado e, eventualmente, al giudice nazionale interessato; si prevede inoltre che i destinatari della notificazione possano, nel termine di un mese dalla stessa, depositare memorie o osservazioni. Successivamente il giudice relatore designato dal Presidente della Corte presenterà le proposte in merito all’adozione di eventuali notiziario 279 misure preparatorie, al collegio giudicante al quale occorre rinviare il riesame e alla necessità di prevedere un’udienza dibattimentale, nonché alle modalità della presa di posizione dell’avvocato generale, proposte sulle quali deciderà la Corte, statuendo, in alcuni specifici casi, anche sulle spese (art. 123-sexies). Infine, per garantire la celerità della procedura, l’art. 123-quater prevede che, non appena fissata la data di una pronuncia di una decisione che possa costituire oggetto di riesame ai sensi del nuovo titolo IV del regolamento di procedura della Corte, la cancelleria del Tribunale di primo grado ne informi la cancelleria della Corte, cui la decisione dovrà essere comunicata sin dalla data della pronuncia. Modifiche alla decisione 94/262/CECA, CE, Euratom concernente lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore. Il 18 giugno 2008 il Parlamento europeo ha adottato la decisione 2008/587/CE, Euratom (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 189 del 17 luglio 2008) che modifica la decisione 94/262/CECA, CE, Euratom concernente lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore (in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 113 del 4 maggio 1994). Come si legge nei considerando, le modifiche sono volte ad adeguare lo statuto del Mediatore migliorandone la sua capacità di svolgere indagini approfondite e imparziali e, in considerazione dell’evoluzione del ruolo delle istituzioni e degli organi dell’Unione nella lotta contro le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione stessa, a consentire al Mediatore di comunicare ai pertinenti organismi le informazioni di loro competenza. In particolare, il nuovo par. 2 dell’art. 3 della decisione 94/262/CECA, CE, Euratom prevede che il Mediatore abbia accesso anche ai documenti e alle informazioni secretati e/o sensibili che potranno essere utilizzati secondo le modalità concordate con l’istituzione o l’organo pertinente. Analoga possibilità è prevista per i documenti provenienti dagli Stati membri, salva la necessità di informare lo Stato membro interessato e, nel caso di documenti soggetti a segreto in virtú di una disposizione legislativa o regolamentare, del suo consenso. Con riguardo a funzionari e agli agenti delle istituzioni e degli organi comunitari il medesimo articolo prevede l’obbligo di testimoniare a richiesta del Mediatore, fatte salve le pertinenti norme del loro statuto e in particolare quelle sul segreto d’ufficio. È comunque previsto a carico del Mediatore e del personale alle sue dipendenze un obbligo di non divulgazione, specificato nei suoi contenuti dal nuovo art. 4 dello statuto, salvo peraltro il dovere di comunicare alla rappresentanza permanente presso le Comunità dello Stato interessato, all’istituzione o all’organo pertinente eventuali fatti di rilievo penale o disciplinare riguardanti funzionari o agenti delle Comunità. Infine, il nuovo art. 5 dispone che il Mediatore possa cooperare con le autorità corrispondenti che esistano in taluni Stati membri e, in particolare, con quelle competenti per la tutela dei diritti umani. In tema di cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 197 del 25 luglio 2008 pubblica le decisioni 2008/613/PESC e 2008/614/PESC del Consiglio del 24 luglio 2008, entrambe concernenti misure a sostegno dell’effettiva attuazione del mandato del Tribunale penale per la ex Iugoslavia. In particolare la prima, in 280 notiziario attuazione della posizione comune 2004/694/PESC (v. questa Rivista, 2005, p. 547 s.), la quale è stata recentemente prorogata fino al 10 ottobre 2009 dalla posizione comune 2008/761/PESC del Consiglio del 29 settembre 2008 (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 260 del 30 settembre 2009), provvede alla sostituzione dell’elenco delle persone destinatarie delle misure ivi previste mediante un nuovo allegato. In conseguenza a tale provvedimento anche il regolamento (CE) n. 1763/2008 è stato opportunamente modificato con i successivi regolamenti (CE) della Commissione n. 738/2008 (ibidem, n. L 201 del 30 luglio 2007) e n. 895/2008 (ibidem, n. L 247 del 16 settembre 2008), i quali aggiornano rispettivamente per la dodicesima e tredicesima volta l’elenco delle persone allegato al regolamento suddetto (per alcune precedenti modifiche v. questa Rivista, 2005, p. 547; 2007, p. 282 e 2008, p. 934). La seconda decisione di cui sopra, precisamente la n. 2008/614/ PESC, in attuazione della posizione comune 2004/293/PESC (v. ibidem, 2004, p. 465), aggiorna e modifica l’elenco ad essa allegato contenente i nominativi delle persone destinatarie delle misure restrittive ivi previste, dirette a impedire l’ingresso o il transito nel territorio degli Stati membri di soggetti coinvolti in attività che possano aiutare latitanti a sottrarsi alla giustizia per reati di cui sono stati incriminati dal Tribunale. In tema di cooperazione per la lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 210 del 6 agosto 2008 pubblica la decisione 2008/615/GAI del Consiglio del 23 giugno 2008 sul potenziamento della cooperazione tra Stati membri nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera. Essa recepisce nel quadro giuridico dell’Unione europea gli elementi fondamentali del trattato del 27 maggio 2005 fra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria riguardante l’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare al fine di lottare contro il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (di seguito: «trattato di Prüm»). In particolare, la decisione contiene disposizioni che, in conformità a tale trattato, mirano a migliorare lo scambio di informazioni fra le autorità responsabili, nei singoli Stati membri, della prevenzione dei reati e delle relative indagini. Si prevede a tal fine la concessione reciproca del diritto di accesso ai rispettivi schedari automatizzati di analisi del DNA, ai sistemi automatizzati di identificazione dattiloscopica e ai dati di immatricolazione dei veicoli, secondo le modalità tecniche e in linea con le disposizioni amministrative definite e disciplinate nella decisione 2008/616/GAI del Consiglio, pubblicata nella medesima Gazz. Uff. Un. eur., e nei documenti ad essa allegati. Onde assicurare poi che la trasmissione di informazioni avvenga nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, è previsto che ogni Stato membro garantisca nella propria legislazione nazionale un livello di protezione dei dati personali corrispondente almeno a quello che risulta dalla convenzione del Consiglio d’Europa del 28 gennaio 1981. Infine, nell’ottica del pieno ed efficace conseguimento degli obiettivi, che il suddetto trattato mira a realizzare, sono previste e disciplinate forme di collaborazione piú stretta fra le autorità giudiziarie e di polizia. notiziario 281 Modifiche al regolamento (CE) n. 1236/2005 relativo al commercio di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti. Il 16 luglio 2008 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 675/2008 (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 189 del 17 luglio 2008) recante modifica del regolamento (CE) n. 1236/2005 del Consiglio relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (ibidem, n. L 200 del 30 luglio 2005; v. questa Rivista, 2005, p. 1235 s.). A seguito della richiesta di alcuni Stati membri di modificare i dati relativi alle autorità nazionali, competenti a svolgere funzioni specifiche connesse all’attuazione del regolamento, e alla necessità di modificare l’indirizzo della Commissione cui presentare le notifiche, viene interamente sostituito l’allegato I del regolamento n. 1236/2005, contenente l’elenco delle autorità di cui agli artt. 8 e 11 (art. 1). Conformemente al suo art. 2, il regolamento è entrato in vigore il 20 luglio 2008. Nuovi provvedimenti relativi a misure restrittive nei confronti di Iran, Liberia, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, governo illegale di Anjouan nell’Unione delle Comore e Zimbabwe. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 300 dell’11 novembre 2008 pubblica il regolamento (CE) n. 1110/2008 del Consiglio del 10 novembre 2008, il quale modifica il regolamento (CE) n. 423/2007 (v. questa Rivista, 2007, p. 879 s.), concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran. In particolare il nuovo strumento mira a tutelare gli operatori economici comunitari da ogni possibile rischio di azione giudiziaria relativa a contratti o transazioni economiche sulla cui esecuzione tali misure possano incidere. A tal fine la disciplina contenuta nell’art. 1 del regolamento (CE) n. 423/2007 viene estesa a qualunque contratto, transazione, richiesta di indennizzo o di garanzia relativi alle operazioni di vendita e trasferimento di beni o tecnologie ivi elencate. Le norme che seguono prevedono invece il divieto di vendita, fornitura e prestazione di assistenza tecnica e finanziaria connessa all’utilizzo di categorie di beni ulteriori rispetto a quelle già oggetto delle misure, il cui elenco figura negli allegati I e I bis del nuovo regolamento, il quale prevede inoltre un obbligo di informazione da parte dello Stato membro interessato su tutti i beni provenienti dall’Iran o ivi diretti (art. 4 bis). Si prevede inoltre (art. 7 par. 1) il congelamento dei fondi e delle risorse economiche controllati o posseduti dalle persone, entità e organismi elencati nell’allegato IV al regolamento. Sono infine disposte misure dirette a enti creditizi e finanziari destinate a garantire un controllo sulla concessione di crediti e garanzie onde evitare che tali attività contribuiscano allo sviluppo e alla proliferazione del nucleare (art. 11 bis). Particolari controlli sono previsti per le operazioni con la Bank Siderat e sue succursali domiciliate nel territorio di Stati membri, le quali devono notificare ogni movimento alle autorità competenti, il cui elenco figura nell’allegato III al regolamento. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 26 del 4 ottobre 2008 pubblica il regolamento (CE) n. 973/2008 della Commissione del 2 ottobre 2008 che modifica il regolamento (CE) n. 872/2004 del Consiglio (v. questa Rivista, 2004, p. 1492), relativo ad ulteriori misure restrittive nei confronti della Liberia, mediante l’aggiornamento dell’allegato I, contenente l’elenco delle persone fisiche e giuridiche, degli organi- 282 notiziario smi e delle entità interessati dal congelamento dei fondi e delle risorse economiche ai sensi di tale regolamento. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 308 del 19 novembre 2008 pubblica la posizione comune 2008/873/PESC del 18 novembre 2008 che, in conformità a quanto stabilito dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1842 (2008), proroga le misure restrittive nei confronti della Costa d’Avorio, imposte con la posizione comune 2004/852/PESC (v. questa Rivista, 2005, p. 552), a decorrere dal 1º novembre 2008 e fino al 31 ottobre 2009. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 188 del 16 luglio 2008 pubblica il regolamento (CE) n. 666/2008 del Consiglio del 15 luglio 2008 recante modifica del regolamento (CE) n. 889/2005 (ibidem, n. L 152 del 15 giugno 2005), che istituisce misure restrittive nei confronti della Repubblica democratica del Congo, mediante sostituzione dell’art. 2. In particolare si stabilisce il divieto di fornitura, diretta o indiretta, di assistenza tecnica o finanziaria connesse ad attività militari a qualsiasi entità o persona non governativa che operi nel territorio di detto Stato, salvo che tali operazioni siano destinate a prestare assistenza alla missione delle Nazioni Unite (MONUC); in quest’ultimo caso è necessaria la notifica delle attività che si intendono intraprendere al comitato delle sanzioni, nonché l’acquisizione di apposita autorizzazione da parte delle autorità competenti dello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizio, il cui elenco figura nei siti web specificati nell’allegato al regolamento. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 197 del 25 luglio 2008 pubblica la posizione comune 2008/611/PESC del Consiglio del 24 luglio 2008 che abroga la posizione comune 2008/187/PESC concernente misure restrittive nei confronti del governo illegale di Anjouan nell’Unione delle Comore (v. questa Rivista, 2008, p. 936). La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 194 del 23 luglio 2008 pubblica la decisione 2008/ 605/PESC del Consiglio del 22 luglio 2008, recante attuazione della posizione comune 2004/161/PESC, che proroga le misure restrittive nei confronti dello Zimbabwe (v. questa Rivista, 2005, p. 1237). In particolare si prevede l’integrazione, mediante l’aggiunta di nuovi nominativi, dell’elenco delle persone ed entità elencate nell’allegato. Tale provvedimento ha reso opportuna la modifica anche dell’allegato III al regolamento (CE) n. 314/2004 del Consiglio (v. questa Rivista, 2004, pp. 460, 1492; ibidem, 2005, p. 1237; 2007, p. 879), relativo a talune misure restrittive nei confronti dello Zimbabwe, mediante il regolamento (CE) n. 702/2008 della Commissione del 23 luglio 2008 (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 195 del 24 luglio 2008) e conformemente al suo allegato. Infine la Gazz. Uff. Un. eur., n. L 205 del 1º agosto 2008 pubblica la posizione comune 2008/632/PESC del Consiglio del 31 luglio 2008 recante modifica della già menzionata posizione comune 2004/161/PESC, mediante il rafforzamento delle misure restrittive relative al divieto di ingresso o transito, nel territorio degli Stati membri, delle persone fisiche elencate nell’allegato a tale atto. Versione codificata delle direttive comunitarie relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. Nella Gazz. Uff. Un. eur., n. L 283 del 28 ottobre 2008 è pubblicata la direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di notiziario 283 lavoro. Come si legge nel primo considerando la materia era già stata regolamentata con la direttiva 80/987/CEE del Consiglio del 20 ottobre 1980 (in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 283 del 28 ottobre 1980), oggetto successivamente di sostanziali modifiche, da ultimo a seguito della direttiva 2002/74/CE (v. questa Rivista, 2003, p. 336); proprio questa circostanza ha reso opportuna la codificazione di tale strumento e degli interventi normativi successivi in un unico testo. La direttiva 2008/ 94/CE sostituisce e abroga le precedenti, fatti i salvi i termini di recepimento nel diritto nazionale in esse previsti, riportati nell’allegato I della nuova direttiva e, in ogni caso, già scaduti. Non viene invece previsto alcun nuovo termine di recepimento, non essendo introdotto alcun nuovo obbligo, sicché dal 17 novembre 2008, data di entrata in vigore della direttiva 2008/94/CE ai sensi del suo art. 17, tale atto sostituirà in tutto le direttive precedenti; il passaggio alla nuova normativa è peraltro agevolato dalla tavola di concordanza con la direttiva 80/987/CEE che figura nell’allegato II della nuova direttiva. Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione. Con decisione del 25 settembre 2008 il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 30 ottobre 2003, entrata in vigore il 14 dicembre 2005. Non tutti gli Stati membri hanno sinora ratificato la convenzione: l’Italia ha firmato la convenzione il 9 dicembre 2003, ma la legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione del trattato è ancora allo stato di disegno di legge. La convenzione è approvata dal Consiglio per consentire alla Comunità di diventarne parte nei limiti delle sue competenze. In occasione del deposito dello strumento di approvazione, la Comunità depositerà anche una dichiarazione relativa al proprio ambito di competenza con riferimento alle materie disciplinate dalla convenzione, cosı́ come richiesto dall’art. 67 par. 3 della convenzione. Quinta relazione della Commissione sulla cittadinanza dell’Unione (2004-2007). La Commissione europea ha esaminato l’applicazione delle disposizioni della parte seconda del trattato CE relativa alla cittadinanza dell’Unione nel periodo tra il 1º maggio 2004 e il 30 giugno 2007, e ha presentato con documento COM(2008) 85 def. del 15 febbraio 2008 la relazione conclusiva. La relazione si concentra sul nucleo fondamentale dei diritti dell’Unione, vale a dire il diritto di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri (art. 18), il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede (art. 19), il diritto alla tutela diplomatica e consolare nei Paesi terzi (art. 20), il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo e il diritto di rivolgersi al Mediatore (art. 21). Inoltre, la relazione fa un bilancio dei progressi realizzati in settori strettamente connessi con la cittadinanza in senso lato, come la non discriminazione in base alla nazionalità e la tutela dei diritti fondamentali. Comunicazione della Commissione per un’efficace tutela consolare nei Paesi terzi. Con il documento COM(2007) 767 def. del 5 dicembre 2007, la Commissione dà Comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, del Piano d’azione 2007- 284 notiziario 2009 dell’Unione europea per un’efficace tutela consolare nei Paesi terzi. Lo scopo del piano d’azione è quello di dare piena attuazione all’art. 20 CE, il quale dispone che tutti i cittadini dell’Unione godono, nel territorio di uno Stato terzo, della stessa tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro. Dal momento che l’indagine svolta dalla Commissione ha riscontrato una sostanziale ignoranza da parte dei cittadini dell’Unione sui diritti derivanti dall’art. 20 suddetto, la Commissione per il periodo 2007-2009 prevede diversi settori d’azione: informare i cittadini, raccomandare la riproduzione del testo dell’articolo sui passaporti, pubblicizzare i diritti consolari nei luoghi piú rilevanti a tal fine, creare un sito web della UE sulla tutela consolare, attivare un numero telefonico europeo, nonché migliorare e armonizzare le procedure applicative dei diritti consolari. Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori. L’8 ottobre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori, destinata ad abrogare le direttive 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali, 93/13/CEE sulle clausole abusive, 97/7/CE sui contratti a distanza e 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo. Tra le novità che la proposta introduce rispetto alle summenzionate direttive, meritano di essere sottolineati due aspetti. Il primo è costituito dal carattere completo e non piú minimo dell’armonizzazione realizzata dalla novella (art. 4). Il secondo è costituito dalle previsioni sulla legge applicabile ai contratti di consumo. L’art. 43 della proposta, infatti, sotto la rubrica «Carattere imperativo della direttiva», dispone: «Se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro i consumatori non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalla presente direttiva». La disposizione va letta alla luce del considerando n. 59, ai sensi del quale: «Il consumatore non può rinunciare ai diritti conferitigli a norma della presente direttiva. Se la legge applicabile al contratto è quella di un paese terzo, va applicato il regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) – che secondo il considerando n. 10 non è pregiudicato dalla direttiva – al fine di determinare se il consumatore mantiene la protezione concessa dalla presente direttiva». Proposta di direttiva sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari. Il documento COM(2008) 458 def. del 16 luglio 2008 reca la proposta della Commissione delle Comunità europee di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), volta a codificare le modifiche sino ad oggi introdotte alla direttiva 85/611/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 (in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 375 del 31 dicembre 1985), avente il medesimo oggetto della proposta in esame, e a tradurre le misure annunciate nel Libro bianco sul rafforzamento del quadro normativo del mercato unico relativo ai fondi di investimento, COM(2006) 686 def. del 15 novembre 2006. Sotto quest’ultimo profilo le principali novità sono rappresentate dalla semplificazione della procedura di notifica, prevista a carico degli OICVM che desiderano essere commercializzati notiziario 285 in un diverso Stato membro, e delle «informazioni essenziali» che l’OICVM è tenuto a presentare all’investitore prima che questi sottoscriva quote del fondo. A ciò si affiancano la previsione di un quadro giuridico armonizzato riguardante sia le fusioni nazionali che quelle transfrontaliere tra OICVM, l’introduzione della possibilità di istituire strutture master-feeder (caratterizzate dall’investimento da parte dell’OICVM feeder di tutte o quasi le proprie attività in un altro OICVM, l’OICVM master) e alcune regole volte a rafforzare la cooperazione tra le autorità di vigilanza. Libro verde della Commissione sulla trasparenza del patrimonio del debitore ai fini dell’esecuzione delle decisioni nell’Unione europea. Il 6 marzo 2008 la Commissione europea ha presentato un Libro verde intitolato «L’esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell’Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore», COM(2008) 128 def. Il documento, che si propone di lanciare un’ampia consultazione fra tutte le parti interessate al fine di individuare i modi piú opportuni per migliorare la trasparenza del patrimonio dei debitori nell’Unione europea, fa seguito a precedenti comunicazioni e studi, tutti volti a individuare soluzioni che facilitino il recupero trasfrontaliero dei crediti nell’Unione europea (si veda la comunicazione «Verso una maggiore efficienza nell’ottenimento e nell’esecuzione delle decisioni nell’ambito dell’Unione europea»; Gazz. Uff. Com. eur., n. C 33 del 31 gennaio 1998; sul «Programma di misure relative all’attuazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale» v. questa Rivista, 2001, p. 857 s.; ibidem, 2007, p. 282 s.; sul libro verde «Migliorare l’efficienza nell’esecuzione delle decisioni nell’Unione europea: il sequestro conservativo di depositi bancari», sul quale si erano espressi successivamente il CESE, ibidem, 2008, p. 633, e il Parlamento europeo, ibidem, 2008, p. 342). Il presente Libro verde completa il quadro delineato dallo studio del 2004 dedicato a come rendere piú efficace l’esecuzione delle decisioni giudiziarie nell’Unione europea (Studio JAI/A3/2002/02, reperibile sul sito Internet della Commissione) completando le informazioni ivi contenute sulle normative nazionali vigenti negli Stati membri con quelle relative ai dodici Stati membri che hanno da ultimo aderito all’Unione europea. Sulla base delle informazioni raccolte nel corso di tale attività, la Commissione illustra nel presente documento problemi che presenta la situazione attuale con riguardo alle difficoltà che incontrano il creditore e le autorità responsabili dell’esecuzione nell’ottenere informazioni circa il luogo in cui il debitore si trova e sulla consistenza del suo patrimonio; tale situazione può costituire un ostacolo per la libera circolazione delle ordinanze di pagamento e ostacolare cosı́ il corretto funzionamento del mercato interno. Essa prospetta inoltre alcune soluzioni che potrebbero essere adottate a livello comunitario allo scopo di rendere piú trasparente la situazione patrimoniale del debitore e, in particolare, di favorire lo scambio di informazioni tra autorità nazionali competenti, ad armonizzare le informazioni contenute nei registri dei diversi Stati e le regole di accesso alle stesse. Viene inoltre esaminata la possibilità di introdurre una «dichiarazione patrimoniale europea», stilata su un modulo standard disponibile in tutte le lingue comunitarie e acquisita da una autorità nazionale a ciò preposta, che renda accessibile su tutto il territorio dell’Unione alcuni dati relativi al patrimonio del debitore. 286 notiziario I contributi pervenuti alla Commissione dalle parti interessate saranno pubblicati sul suo sito Internet. Modifiche alle norme di conflitto del Regno Unito in materia di illecito. Il 18 novembre 2008 sono stati approvati dal Parlamento del Regno Unito sei atti normativi che introducono negli ordinamenti di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord i Law Applicable to Non-Contractual Obligations (England and Wales and Northern Ireland) Regulations 2008. L’adozione di tali strumenti, la cui entrata in vigore, al pari di quanto previsto per il regolamento (CE) n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»), in questa Rivista, 2007, p. 1153 ss., è fissata all’11 gennaio 2009, è preposta a una duplice finalità. Da una parte, si è inteso modificare la disciplina di conflitto, attualmente priva di uniformità, di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord in questa materia, nel rispetto della disciplina comunitaria. Sottolineando la prevalenza in ogni caso di quest’ultima, i regolamenti n. 2 e n. 3 (quest’ultimo da applicarsi solo in Inghilterra e Galles) emendano la disciplina nazionale di diritto internazionale privato contenuta nella parte terza del Private International Law (Miscellaneous Provisions) Act 1995; il regolamento n. 4 circoscrive l’applicazione di talune disposizioni del Foreign Limitaton Periods Act 1984 in vigore per Inghilterra e Galles e il regolamento n. 5 (applicabile unicamente in Irlanda del Nord) restringe l’applicazione delle analoghe previsioni dettate dal Foreign Limitaton Periods (Northern Ireland) Order 1985. Dall’altra parte, in deroga alla facoltà stabilita all’art. 25 par. 2 del regolamento Roma II, al fine di ampliare ulteriormente l’uniformità delle regole di conflitto in materia di illecito, il regolamento n. 6 sancisce che l’applicazione della disciplina comunitaria venga estesa anche ai conflitti di leggi che riguardano unicamente le diverse unità territoriali del Regno Unito e segnatamente Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord e Gibilterra. Segnalazioni Diciottesima riunione del Gruppo europeo di diritto internazionale privato (Bergen, 19-21 settembre 2008). Cinque temi sono stati oggetto di discussione da parte del Gruppo europeo di diritto internazionale privato nel corso della sua diciottesima riunione, tenutasi a Bergen dal 19 al 21 settembre 2008. Il primo e principale è stato quello dell’allargamento del regolamento Bruxelles I alle situazioni esterne. Sulla base delle proposte elaborate da un sotto-gruppo, composto dai professori J. Basedow, A. Borrás, H. Duintjer Tebbens, M. Fallon, P. Lagarde e F. Pocar, che muovevano a loro volta dalla risoluzione adottata nella riunione di Amburgo del 2007 (v. questa Rivista, 2008, p. 344 s.), il Gruppo europeo ha adottato una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, che si riproduce di seguito per esteso (omettendo il Commentaire explicatif, reperibile comunque al sito www.gedip-egpil.eu). Sono stati in secondo luogo discussi diversi problemi concernenti l’applicazione del regolamento (CE) n. 864/2007 c.d. Roma II agli illeciti civili connessi al trasporto marittimo, esposti dai professori J. Basedow e K. Siehr. Il dibattito che ne è seguito ha messo in notiziario 287 evidenza la specificità della responsabilità marittima e è stata pertanto sollevata la questione dell’opportunità di una disciplina speciale della materia, sul modello americano. Sono stati inoltre trattati, sulla base di una relazione del prof. P. Nielsen, diversi profili relativi al regolamento (CE) n. 593/2008 c.d. Roma I, e in particolare quello delle norme di applicazione necessaria straniere oggetto dell’art. 9 par. 3 del regolamento. Infine, il Gruppo europeo ha analizzato gli sviluppi recenti in materia di diritto internazionale privato sia nell’ambito comunitario che in seno alla conferenza dell’Aja. In particolare, il prof. Ch. Kohler ha posto l’attenzione sul rapporto tra le norme di conflitto dettate dal regolamento Roma I e le norme speciali contenute in altri atti comunitari e sui problemi di ordine istituzionale posti dalla proposta di modifica del regolamento (CE) n. 2201/2003 in materia di divorzio (c.d. Roma III). proposition de modification du reglement 44/2001 en vue de son application aux situations externes Lors de sa réunion de Bergen, du 19 au 21 septembre 2008, le Groupe européen de droit international privé, donnant suite aux conclusions de sa réunion de Hambourg en 2007 qui faisaient état d’un accroissement des compétences externes de l’Union en matière civile et commerciale, a analysé la question d’un élargissement du domaine du règlement 44/2001 dit «Bruxelles I» aux litiges présentant des liens avec des pays tiers et qui ne sont pas visés par les règles communes de compétence. Dans cette perspective, il propose une première approche, parmi d’autres possibles, visant à adapter le règlement à l’hypothèse d’une extension de ses règles de compétence à l’ensemble des situations externes. Ces propositions sont sans préjudice de l’examen d’autres voies conventionnelles, en particulier les conventions de la Conférence de La Haye de droit international privé, ou d’une analyse similaire concernant d’autres instruments, comme le règlement 2201/2003 dit «Bruxelles II-bis» ou la nouvelle Convention de Lugano du 30 octobre 2007. D’autres questions restent encore à examiner, notamment l’adaptation de l’article 6 du règlement «Bruxelles I», ainsi qu’une extension de celui-ci à la reconnaissance et à l’exécution des décisions rendues dans un pays tiers. Art. 4: supprimer Art. 5: Remplacer l’en-tête par: «Une personne, domiciliée ou non sur le territoire d’un Etat membre, peut être attraite dans un Etat membre autre que l’Etat de son domicile:». Art. 8: Supprimer les termes «de l’article 4 et». Art. 9: Remplacer les termes «L’assureur domicilié sur le territoire d’un Etat membre peut être attrait» par les termes «L’assureur, domicilié ou non sur le territoire d’un Etat membre, peut être attrait». Art. 15: Supprimer les termes «de l’article 4 et». Art. 18: Supprimer les termes «de l’article 4 et». Art. 19: Remplacer les termes «Un employeur ayant son domicile sur le territoire d’un Etat membre peut être attrait» par les termes «Un employeur, domicilié ou non sur le territoire d’un Etat membre, peut être attrait». Art. 22-bis: Ajouter un nouvel article rédigé comme suit: «1. Lorsque aucune juridiction d’un Etat membre n’est compétente en vertu de l’article 22, le juge d’un Etat membre saisi d’une demande concernant une matière 288 notiziario visée par cet article et qui serait compétent en vertu d’autres dispositions du présent règlement, surseoit à statuer s’il est établi que les juridictions d’un Etat non membre sont seules compétentes en vertu du droit de cet Etat sur la base de dispositions analogues à celles de l’article 22, à l’exception de celles concernant la matière des baux d’immeubles conclus en vue d’un usage personnel temporaire pour une période maximale de six mois consécutifs et la matière de l’exécution des décisions. «Il se dessaisit lorsque la juridiction de l’Etat non membre a rendu une décision qui peut être reconnue en vertu du droit de l’Etat membre du juge saisi. Il peut connaı̂tre du différend s’il apparaı̂t que cette juridiction ne statuera pas dans un délai raisonnable. «2. Par dérogation au paragraphe 1er, lorsque une question de validité de droits visés au paragraphe 4 de l’article 22 est soulevée à titre incident dans un litige porté devant le tribunal d’un Etat membre, ce tribunal est compétent pour en connaı̂tre, même si cette question relève de la compétence exclusive des juridictions d’un Etat non membre selon le droit de cet Etat. La décision rendue par ce tribunal n’aura pas effet à l’égard des tiers». Art. 23: Au paragraphe 1er, supprimer les termes «dont l’une au moins a son domicile sur le territoire d’un Etat membre». Supprimer le paragraphe 3. Modifier le paragraphe 5, et l’organiser de la manière suivante: «5. Les conventions attributives de juridiction ainsi que les stipulations similaires d’actes constitutifs de trust sont sans effet: «a) si elles sont contraires aux dispositions des articles 13, 17 et 21, ou «b) si les tribunaux à la compétence desquels elles dérogent sont exclusivement compétents en vertu de l’article 22 ou de l’article 22-bis, paragraphe 1er». Art. 23-bis: Ajouter un nouvel article rédigé comme suit: «1. Le juge d’un Etat membre saisi d’une demande relevant de sa compétence en vertu du présent règlement et pour laquelle les parties sont convenues d’un tribunal ou de tribunaux d’un Etat non membre pour en connaı̂tre à titre exclusif, par une convention répondant aux conditions fixées par l’article 23, ne peut connaı̂tre du différend tant que le juge désigné n’a pas décliné sa compétence. «Il surseoit à statuer tant que le juge désigné n’a pas été saisi ou, après avoir été saisi, n’a pas décliné sa compétence. Il se dessaisit lorsque le juge étranger a rendu une décision qui peut être reconnue en vertu du droit de l’Etat du juge saisi. «Toutefois, il peut connaı̂tre du différend s’il apparaı̂t que: «a) le juge désigné ne statuera pas dans un délai raisonnable; ou «b) le juge désigné rendra une décision qui ne pourra pas être reconnue selon le droit de l’Etat du juge saisi. «[2. Le choix par les parties d’un tribunal d’un Etat non membre est sans effet lorsque tous les autres éléments du litige sont localisés au moment de ce choix dans un même Etat membre]». Article 24: Remplacer les termes «en vertu de l’article 22» par les termes «en vertu de l’article 22 ou de l’article 22bis». Article 24 bis: Ajouter un nouvel article rédigé comme suit: «Lorsque aucune juridiction d’un Etat membre n’est compétente en vertu du présent règlement, une personne peut être attraite devant les juridictions de l’Etat membre avec lequel la demande présente un lien suffisant, notamment en raison de notiziario 289 la présence d’un bien ou de biens sur le territoire de cet Etat, si les exigences d’un procès équitable le requièrent, en particulier: a) si une procédure dans un Etat non membre s’avère impossible, ou b) si on ne peut exiger raisonnablement que la demande soit formée devant une juridiction d’un Etat non membre, ou c) si la décision rendue sur cette demande dans un Etat non membre ne peut être reconnue dans l’Etat du juge saisi en vertu du droit de cet Etat et que la reconnaissance est nécessaire à la réalisation effective des droits du demandeur». Article 30 bis: Ajouter un nouvel article rédigé comme suit: «En cas de litispendance ou de connexité au sens des articles 27 et 28, lorsqu’une demande est pendante devant une juridiction d’un Etat non membre, le juge d’un Etat membre saisi en second lieu peut surseoir à statuer jusqu’au prononcé de la décision du juge saisi en premier lieu s’il est prévisible que cette décision pourra être rendue dans un délai raisonnable et être reconnue en vertu du droit de cet Etat. Il se dessaisit lorsque le juge saisi en premier lieu a rendu une décision qui peut être reconnue en vertu du droit de cet Etat membre». Article 31: Supprimer les mots «en vertu du présent règlement». Remplacer les mots «autre Etat membre» par les mots «autre Etat». I corsi dell’Accademia di diritto internazionale dell’Aja per il 2009. Primo periodo (6-24 luglio). Diritto internazionale privato: Cours général: La dimension sociale du droit international privé (A. Bucher); L’exception d’ordre public international (P. de Vareilles Sommières); The Influence of International Sales of Goods Convention on Domestic Law Including Conflict of Laws (V. Musin); The Market as a Connecting Factor in Private International Law (T. Pfeiffer); The Interaction between Uniform Substantive Law and Conflict of Laws (K. Boele-Woelki); La protection de la partie faible en droit international privé (consommateurs, petites entreprises et activités non lucratives) (C. Lima Marques); Conflits de lois en droit maritime (S. Carbone); A Comparison of the Dispute Settlement System of the WTO and Investment State Arbitration under the ICSID Convention and Investment Treaties (D. Steger). Secondo periodo (27 luglio-14 agosto). Diritto internazionale pubblico: General Course: The Impact of Human Rights on International Law (B. Simma); La rétroactivité en droit international public (M. Kohen); The 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties – 40 Years After (M. Villiger); Les États déstructurés. Construction et reconstruction de l’État en droit international (G. Cahin); The Role of Judicial Procedures in the Process of the Pacific Settlement of International Disputes (M. Kawano); Les différends internationaux concernant les frontières terrestres dans la jurisprudence de la CIJ (A. Abouel-Wafa); A New Public International Law Regime for Foreign Direct Investment (J. Alvarez). 290 notiziario X premio di laurea «Giuseppe Barile e Pietro Verri» in diritto internazionale umanitario, diritti dell’uomo e diritto dei rifugiati. Su iniziativa del Comitato locale di Chiavari della Croce Rossa Italiana, che conferma l’impegno per lo sviluppo degli studi e della diffusione del diritto internazionale umanitario, dei diritti dell’uomo e del diritto dei rifugiati, sono istituiti quattro premi da attribuire a dissertazioni di laurea. I premi sono messi a disposizione dallo stesso Comitato di Chiavari della Croce Rossa, dal Comitato Centrale della Croce Rossa, dalla Sig.ra Marcella Barile. Le condizioni sono le seguenti: 1. Sono ammesse alla selezione dei premi, di euro 1.500,00 (millecinquecento) ciascuno, le tesi di laurea magistrale ai sensi dei vigenti ordinamenti didattici e quelle parificate alle tesi di laurea magistrale secondo i precedenti ordinamenti didattici. Le tesi devono avere a oggetto un argomento pertinente al diritto internazionale umanitario, ai diritti dell’uomo, al diritto dei rifugiati ed essere discusse in una università italiana, dal 1º aprile 2007 al 31 marzo 2009. 2. Le domande di ammissione al concorso, in carta semplice, dovranno pervenire al Comitato Centrale della Croce Rossa Italiana, Servizio 4º Attività Internazionali, Ufficio della Commissione Nazionale per la Diffusione del Diritto Internazionale Umanitario, Via Toscana 12, 00187 Roma, entro il 31 maggio 2009. Nella domanda dovrà essere indicato l’indirizzo, nonché il recapito telefonico, di fax, di posta elettronica del concorrente. 3. Alla domanda dovrà essere allegata una copia della tesi di laurea, nonché un certificato, in carta semplice, della competente segreteria universitaria, dal quale risultino la data dell’esame di laurea, la votazione conseguita e il titolo della dissertazione di laurea. 4. La Commissione giudicatrice, composta da tre specialisti della materia, è nominata dal Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana e deciderà con giudizio inappellabile. I premi potranno anche essere suddivisi fra tesi parimenti meritevoli. 5. La cerimonia per il conferimento del Premio si terrà presso il Comitato locale di Chiavari della Croce Rossa Italiana. Il vincitore si impegna a presenziare alla cerimonia di consegna del Premio. Per ulteriori eventuali richieste di informazioni ci si potrà rivolgere all’Ufficio della Commissione Nazionale di Diffusione del Diritto Internazionale Umanitario, Comitato Centrale della Croce Rossa Italiana, Via Toscana 12, 00187 Roma, tel. 06/ 4759430 – fax 06/4759223. Premio annuale SIDI per giovani studiosi italiani. La Società Italiana di Diritto Internazionale (SIDI), allo scopo di diffondere la conoscenza del diritto internazionale, assegna un premio a cadenza annuale riservato a giovani studiosi italiani, laureati da non piú di dieci anni, per un articolo in materia di diritto internazionale pubblico, diritto internazionale privato o diritto dell’Unione europea, pubblicato nel 2008 su una rivista scientifica o in opera collettanea, ad esclusione di opere a carattere monografico. La domanda di ammissione, corredata da curriculum, e il testo dell’articolo (in cinque copie) dovranno essere inviati alla SIDI – Società Italiana di Diritto Internazionale c/o via dei Taurini, 19 – 00185 Roma, entro il 18 aprile 2009. La consegna del premio, di euro 1.500,00, avverrà in occasione del Convegno annuale della SIDI, che si terrà a Bari nei giorni 18-19 giugno 2009. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Ronald A. Brand, Paul M. Herrup, The 2005 Hague Convention on Choice of Court Agreements. Commentary and Documents, Cambridge University Press, New York, 2008, pp. XV-319. La convenzione sugli accordi di elezione del foro approvata dalla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato e firmata il 30 giugno 2005 è il punto di arrivo di un lungo e faticoso negoziato cominciato agli inizi degli anni novanta su proposta degli Stati Uniti, inteso all’elaborazione di una convenzione multilaterale sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale. Tale progetto iniziale non riuscı́ tuttavia a centrare l’obiettivo. La difficoltà di conciliare il sistema europeo basato su una convenzione «doppia» come la convenzione di Bruxelles del 1968 con la proposta americana elaborata da Arthur von Mehren di porre al centro del negoziato una convenzione «mista» – con una lista di criteri di giurisdizione obbligatori, una lista di criteri vietati e un’area «grigia» lasciata alla valutazione degli Stati contraenti, con norme sul riconoscimento e l’esecuzione vincolanti solo nel primo caso – portarono ad una situazione di stallo del negoziato nel 1999. Nonostante la stesura di un progetto di testo in un primo tempo in larga misura accettato e l’elaborazione di un’esauriente relazione accompagnatoria a cura di Peter Nygh e del sottoscritto, prevalse l’orientamento a non proseguire il negoziato sulle basi sulle quali era iniziato e a spostare l’obiettivo su una convenzione di contenuto piú ristretto, limitata alle clausole di elezione del foro competente, che consentisse di utilizzare parte del lavoro e dei risultati acquisiti durante il lungo negoziato, con la prospettiva di offrire agli operatori uno strumento in certo modo parallelo alla convenzione di New York del 1958 sulle clausole arbitrali e la riserva di riprendere successivamente i lavori per un accordo di piú ampio respiro. La convenzione del 2005 è appunto il risultato di questo negoziato di contenuto piú modesto. Essa contiene norme sugli accordi di elezione del foro competente e sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze che ne risultano. Il quadro in cui queste norme sono inserite beneficia tuttavia di varie disposizioni, specie di natura generale, che già erano state elaborate in vista della convenzione piú ampia. La natura limitata della convenzione risulta d’altra parte non solo dal suo titolo, ma anche dalle norme che ne determinano il campo di applicazione. Basti pensare al lungo elenco di materie escluse fornito dall’art. 2 e alla possibilità di dichiarazioni unilaterali con cui ogni Stato contraente può apportare ulteriori restrizioni all’operare della convenzione in materia di giurisdizione e di riconoscimento delle sentenze in relazione sia al collegamento della lite con la giurisdizione adita (articoli 1920), sia a specifiche materie (art. 21), sia ancora all’esclusività della clausola di elezione di foro (art. 22). Questo volume è la prima opera dedicata ad un commento della convenzione, fatta eccezione naturalmente per la relazione accompagnatoria di Trevor Hartley e Masato Dogaouchi. Si tratta di un commento analitico delle singole disposizioni, GRAFICHE FIORINI – Via Altichiero 11, – Tel. 045 - 525609 - Fax 528077 E:/GIULIANO/1.09/RASS-BIB.3D - Iª BOZZA [Ver. progr. 7.51o/W (Apr 14 2003)] 292 rassegna bibliografica ma al tempo stesso sistematico, che guida il lettore attraverso il quadro complessivo della cooperazione internazionale che la convenzione ha inteso creare. È quasi superfluo dire che alla qualità del commento ha contribuito in modo determinante l’esperienza degli Autori, entrambi associati al negoziato con la delegazione statunitense e, per quanto riguarda Ronald Brand, redattore di documenti preliminari risultati estremamente utili e illuminanti nella fase del negoziato piú ampio degli anni novanta. La trattazione, chiara e precisa, è largamente basata su un confronto tra le soluzione adottate nella convenzione e quelle seguite nel diritto nazionale, e in particolare nel diritto statunitense, dando in tal modo non solo indispensabili riferimenti ma anche uno strumento per valutare la portata dei risultati conseguiti con la convenzione. Al tempo stesso, tale confronto permette di considerare le difficoltà che potranno presentarsi al momento dell’attuazione della convenzione negli Stati contraenti. Chiudono il volume il testo della convenzione e della relazione accompagnatoria, nonché di alcune parti pertinenti della relazione al progetto del 1999, quali necessari punti di riferimento del commento elaborato dagli Autori. Data la qualità della trattazione, non è difficile prevedere che il volume diventerà un’opera fondamentale di consultazione quando la convenzione entrerà in vigore. La recente firma dell’accordo da parte degli Stati Uniti sembra preludere a una possibile entrata in vigore rapida dell’importante strumento internazionale, che potrebbe in tal modo svolgere quella funzione di primo passo verso una piú stretta cooperazione giudiziaria fra le due sponde dell’Atlantico, nella prospettiva di un completamento del disegno piú ampio elaborato nell’ultimo decennio del secolo scorso. Fausto Pocar Guillermo Palao Moreno, Responsabilidad civil extracontractual en el derecho europeo, Tirant lo Blanch y Universitat de Valencia, Valencia, 2008, pp. 453. L’emanazione e la recente entrata in vigore del regolamento (CE) n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (c.d. Roma II) continua ovviamente a stimolare la pubblicazione di contributi scientifici, di varia impostazione ed ampiezza, ad esso dedicati. Tra gli ultimi apparsi, merita di essere segnalata questa monografia, il cui autore è «Profesor Catedrático» di Diritto internazionale privato all’Università di Valencia. Occorre subito rilevare il taglio piuttosto inconsueto dell’opera: ovvero, le numerose e dense pagine della prima parte, aventi ad oggetto l’analisi e lo stadio di avanzamento dei lavori, intrapresi in ambito comunitario, relativi all’elaborazione di norme materiali uniformi sui molteplici aspetti della responsabilità extracontrattuale. In effetti, senza nulla togliere alla bontà di una scelta, da parte delle Istituzioni comunitarie, di procedere ad una uniformazione a livello di norme di diritto internazionale privato, tale scelta si palesa evidentemente come residuale ove si consideri la disomogeneità di disciplina rassegna bibliografica 293 sostanziale che caratterizza i vari ordinamenti degli Stati membri: già a partire dalla stessa nozione di illecito civile e proseguendo, ad esempio, riguardo alla colpa, al danno patrimoniale c.d. puro, al riconoscimento dei punitive damages, e cosı́ via. Sulla necessità di un coordinamento e di una integrazione tra il percorso di unificazione delle norme materiali e quello delle regole di conflitto, ovvero di un «dialogo tra le fonti», l’A. d’altronde ritorna insistentemente, e a giusto titolo; tuttavia, tra le suddette fonti vanno annoverate anche le convenzioni internazionali attualmente in vigore, delle quali risulta, a nostro avviso, evidentemente assai meno agevole una «rivisitazione» in chiave di coordinamento con le altre. Nella medesima prospettiva si apre dunque anche la seconda parte del volume, destinata all’esame del regolamento Roma II, la quale affronta preliminarmente il tema della delimitazione materiale e territoriale delle presenti e future (o... futuribili) norme comunitarie nel settore qui indicato. Non poteva comunque mancare un adeguato spazio per un’indagine puntuale sulle regole vigenti: dall’incidenza in materia delle norme imperative o dell’ordine pubblico ai criteri di collegamento da esse adottati. Nelle dettagliate (e molteplici) conclusioni l’A. auspica tra l’altro un ampliamento della portata oggettiva del regolamento n. 864/2007, tale da sostituire totalmente le norme oggi presenti in alcune direttive e nelle convenzioni internazionali, da un lato. Dall’altro lato, traendo spunto dalla recentissima pubblicazione delle «regole modello» contenute nel Draft Common Frame of Reference (DCFR) curato da von Bar, Clive e Schulte-Nölke, con specifico riferimento a quelle contenute nel libro VI, viene delineata l’ipotesi di un futuro strumento comunitario (facoltativo e ampiamente alternativo agli ordinamenti statali) in grado di contribuire all’integrazione tra sistemi piú volte menzionata. Non resta che sottolineare, tra i pregi di quest’opera, l’ampia bibliografia. Roberta Clerici Karl-Heinz Böckstiegel, Stephan Michael Kröll, Patricia Nacimiento (eds.), Arbitration in Germany. The Model Law in Practice, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijin, The Hague, 2007, pp. XXXVII-1223. Come noto ai cultori della materia, la Germania nel 1998 ha adottato, in gran parte riproducendola letteralmente, la Model Law dell’UNCITRAL sull’arbitrato commerciale internazionale nel testo del 1985, modificando il libro 10 della Zivilprozessordnung (ZPO). Dopo quasi un decennio di vita, tale legge, che presenta la peculiarità di essere applicabile anche agli arbitrati interni, oltre che a quelli internazionali, è oggetto di questo ampio ed accurato commentario, a cura di alcuni tra i piú noti esperti della materia. L’opera, di vasto respiro ed indirizzata a un pubblico internazionale, è composta da quattro parti. La parte I contiene una descrizione di carattere generale delle principali caratteristiche dell’arbitrato che si svolge in Germania, e del regime di riconoscimento ed esecuzione di lodi esteri; la parte II, la piú ampia, è un com- 294 rassegna bibliografica mentario dettagliato di ciascuna disposizione del nuovo libro 10 della ZPO, alla luce della giurisprudenza arbitrale e statale e della dottrina; la parte III descrive, a sua volta articolo per articolo, le regole di arbitrato della Deutsche Institution für Schiedsgerichtsbarkeit, la principale istituzione arbitrale tedesca; la parte IV arricchisce il volume con una serie di contributi su temi scelti, con particolare riferimento a settori specifici in cui lo svolgimento di un arbitrato può sollevare problemi peculiari (tra tutti, la proprietà intellettuale e la materia societaria). L’opera è completata da serie di utili annessi di carattere documentale e da un’ampia bibliografia. Il libro è ricco di informazioni e di spunti interessanti che non si limitano all’ordinamento tedesco, nella misura in cui riguardano l’interpretazione e l’applicazione della Model Law dell’UNCITRAL. In questa prospettiva, meritano di essere segnalati al lettore italiano alcuni aspetti, come ad esempio il rapporto tra tribunali arbitrali e corti statali, o l’adozione di provvedimenti cautelari in corso di arbitrato, che differiscono in modo significativo dalla procedura italiana o che, se non altro, sono disciplinati con chiarezza. Il libro costituisce dunque un utilissimo strumento di lavoro per i pratici, non solo per coloro che hanno rapporti con la Germania, ma anche per chiunque volesse approfondire i problemi collegati ad un arbitrato, interno e internazionale. Per quanto riguarda l’Italia, esso potrebbe forse costituire anche l’occasione per rilanciare un dibattito, mai aperto con convinzione, circa l’opportunità di una scelta legislativa analoga a quella tedesca, almeno con riferimento agli arbitrati di natura internazionale. Alberto Malatesta