Il Trauma complesso nei bambini e negli adolescenti
Traduzione a cura del Centro Specialistico Provinciale Il Faro di Bologna
Libro Bianco del National Child Traumatic Stress Network
Complex Trauma Task Force
This project was funded by the Substance Abuse and Mental Health Services Administration, U.S.
Department of Health and Human Services.
Editors: Alexandra Cook, Ph.D., Margaret Blaustein, Ph.D., Joseph Spinazzola, Ph.D., and Bessel
van der Kolk, M.D.
Contributors: Margaret Blaustein, Ph.D., Alexandra Cook, Ph.D., Marylene Cloitre, Ph.D.,Ruth
DeRosa, Ph.D., Julian Ford, Ph.D.,Michele Henderson, LICSW, Rebecca Hubbard, LMFT, Kristine
Jentoft, LICSW, Cheryl Lanktree, Ph.D., Jill Levitt, Ph. D, Joan Liautaud, Psy.D., Erna Olafson,
Ph.D., Psy.D., Richard Kagan, Ph.D., Karen Mallah, Ph.D., Dan Medeiros, M.D., David Pelcovitz,
Ph.D., Paul Pagones, M.Ed., Frank Putnam, M.D., Raul Silva, M.D., Sabina Singh, M.D., Stefanie
Smith, Ph.D., Joseph Spinazzola, Ph.D., Bessel van der Kolk, M.D.
Affiliations: Trauma Center, Massachusetts Mental Health Institute; National Center on Family
Homelessness; New York University/Child Study Center Institute for Urban Trauma; North Shore
University Hospital Adolescent Trauma Treatment Development Center, Yale/University of
Connecticut Center for Children Exposed to Violence; Directions for Mental Health, Inc., Miller
Children’s Abuse and Violence Intervention Center; Heartland Health Outreach International
FACES; Child Abuse Trauma Treatment Replication Center, Cincinnati Children’s Hospital;
Parsons Child Trauma Study Center; Family Trauma Treatment Program, Mental Health Corp of
Denver; Mount Sinai Adolescent Health Center.
1
The authors wish to acknowledge the invaluable feedback, support, and technical assistance of
Robert Pynoos, John Fairbank, William Harris, Lisa Amaya Jackson, Jenifer Wood, Debbie Ling,
Melissa Brymer, Judy Holland, Christine Siegfried, Becky Warlick, Marla Zucker, Julie Foss, the
Learning from Research and Clinical Practice Core, and the staffs of the National Center for Child
Traumatic Stress and the Duke Clinical Research Institute.
National Child Traumatic Stress Network
www.NCTSNet.org
2003
The National Child Traumatic Stress Network is coordinated by the National Center for Child
Traumatic Stress, Los Angeles, Calif., and Durham, N.C.
This project was funded by the Substance Abuse and Mental Health Services Administration
(SAMHSA), U.S. Department of Health and Human Services (HHS). The views, policies, and
opinions expressed are those of the authors and do not necessarily reflect those of SAMHSA or
HHS.
Table of Contents
1. Vignette
3
2. What is Complex Trauma?
4
3. The Cost of Child Complex Trauma
4
4. Diagnostic Issues for Complex Trauma in Children
5
5. Table 1: Domains of Impairment in Children
Exposed To Complex Trauma
6
6. Impact of Complex Trauma on Development
7
7. Adaptation to Complex Trauma in Familial Context
18
8. Adaptation to Complex Trauma in Ethnocultural Context
20
9. Coping and Protective Factors
22
10. Approaches to Comprehensive Assessment of
Complex Trauma in Children
24
11. Approaches to Treatment of Complex Trauma in Children
25
12. Recommendations and Future Directions
31
13. Complex Trauma Survey
33
14. References
34
2
1. Vignetta
Michael è un ragazzo di origine caucasica collocato presso i nonni materni dopo che lui e i suoi
fratelli più piccoli sono stati allontanati da casa. Nonostante molteplici relazioni dei servizi di
protezione dell’infanzia, non vi erano sufficienti evidenze per proteggere lui e i suoi fratelli poiché
né Michael né i fratelli erano disposti a parlare con le Autorità. Solo all’età di 11 anni Michael
mostrò al suo insegnante alcune contusioni rivelando che il padre lo aveva percosso e che non
voleva tornare più a casa. Quello stesso giorno i servizi allontanarono lui e i suoi fratelli dai genitori
biologici. Successivamente, i ragazzi rivelarono tutti i maltrattamenti subiti con frequenza ripetuta;
molta e reiterata violenza del padre, prodotta anche con oggetti, isolamento, punizioni come rifiuto
di cibo e acqua per giorni interi; uso di sostanze dei genitori. Il fratello più piccolo rivelò anche
molestie sessuali provocate dal padre. Nonostante i due fratelli più grandi non avessero denunciato
violenze sessuali, fu possibile diagnosticare a Michael una malattia sessualmente trasmissibile. I tre
fratelli rivelarono che Michael a casa era il capro espiatorio di entrambi i genitori, molto punito e
considerato la causa dei problemi in famiglia. Michael confermò che per difendere i fratelli più
piccoli attirava su di sé l’ira dei genitori. Il padre fu condannato sulla base della testimonianza dei
figli. Dopo l’allontanamento da casa i tre fratelli furono divisi: il più piccolo fu posto in affido pre
adottivo e i due più grandi presso due differenti dimore parentali. Michael si mostrò gestibile e
collaborativo con la nonna materna. Trascorreva molto tempo da solo nella sua camera e aveva
creato un mondo interiore scrupolosamente celato alla nonna. Nonostante fosse gentile e
collaborante con gli adulti esprimeva rilevanti difficoltà con i pari e non era possibile coinvolgerlo
in attività. Nonostante un livello medio di QI e l’assenza di disabilità cognitive, il ragazzo aveva
scarsi risultati scolastici dovuti in larga parte al rifiuto di svolgere i compiti. Il ragazzo soffriva
inoltre di persistenti emicranie nonostante agli esami medici avessero escluso cause organiche. Di
notte, Michael si circondava di animali di peluche che lo facevano sentire più al sicuro.
Il comportamento del ragazzo divenne più problematico quando la sorella secondogenita, che
richiedeva maggiori attenzioni, fu collocata presso la nonna materna. Aumentò l’aggressività del
ragazzo e le sue manifestazioni di rabbia, in terapia disse a proposito della sorella “tutta quella
vecchia roba è ritornata ancora una volta…”. La nonna, a sua volta reduce da una propria storia
traumatica infantile, divenne presto depressa e incapace di gestire le esplosioni di rabbia sue e del
nipote e di agire con efficacia e contenimento emotivo. Il servizio di protezione dovette considerare
l’avvio di un programma più intensivo di cura per ciascun fratello.
3
2. Cos’è il trauma complesso?
Il termine descrive il duplice problema relativo all’esposizione dei bambini ad eventi traumatici e
gli effetti immediati e a lungo termine causati dall’impatto con tale esposizione. L’esposizione
traumatica complessa si riferisce all’esperienza relativa a eventi traumatici multipli che si verificano
nel sistema di cura primario- cioè in quello specifico ambiente sociale che si presuppone essere la
risorsa principale di stabilità e sicurezza per la vita del bambino. Generalmente include simultanee o
sequenziali esperienze di maltrattamento compreso l’abuso emotivo, la trascuratezza, la violenza
assistita, l’abuso sessuale e fisico che sono cronici e avvengono nella prima infanzia. Inoltre, le
esperienze iniziali di natura traumatica come ad esempio la trascuratezza o l’abuso psicologico, gli
effetti conseguenti come la perdita della capacità di regolazione affettiva, di una base sicura, di
regole, accanto all’incapacità di riconoscere e rispondere con adeguatezza ai pericoli, spesso
comportano rischi di ulteriori esposizioni ad eventi traumatici (ad esempio abusi sessuali, violenze
fisiche o di gruppo).
Gli esiti del trauma complesso di riferiscono agli esiti multipli della sintomatologia clinica che
appare dopo tale esposizione. Tali esperienze di stress traumatico nella prima infanzia hanno
conseguenze persistenti che vanno oltre il disturbo post traumatico da stress. Essi coinvolgono ed
indeboliscono molteplici funzioni: a) la regolazione del sé, l’attaccamento, l’ansia, disordini
affettivi nella prima infanzia e nell’infanzia, b) tossicodipendenza, aggressività, impotenza sociale e
disturbi alimentari; c) disordini dissociativi, somatoformi, cardiovascolari e immunologici; d)
disordini della condotta sessuale in adolescenza e in età adulta e ri-vittimizzazione (Dube, Anda,
Felitti, Chapman e all 2001); Dube, Anda, Felitti, Croft e all 2001; Felitti e all 1998; Gordon 2002;
Herman, Perry e van der Kolk 1989, Lyons Ruth e Jacobovitz 1999; van der Kolk, Roth ecc in
press; Yehruda, Spertus e Golier 2001).
3. Il costo del trauma complesso nell’infanzia
L’esposizione dei bambini al trauma complesso comporta costi enormi alla società sia esistenziali
sia economici. Sebbene essi non siano completamente stimabili, si possono inferire dai costi medici,
dall’utilizzo dei servizi di salute mentale, dai costi sociali, dalle risorse psicologiche messe a
disposizione delle vittime.
L’incidenza dell’abuso e della trascuratezza sull’infanzia può essere stimata dai dati di attività dei
servizi di protezione dell’infanzia e dalle ricerche epidemiologiche nazionali. Nonostante entrambi i
metodi tendano a sottostimare il fenomeno, è ormai dimostrata l’elevata incidenza dei casi di
trauma complesso. Negli Stati Uniti una ricerca molto estesa ha evidenziato che nel 1993 sono stati
abusati o trascurati 1.553.800 bambini di cui (212.800 trascurati e abusati psicologicamente,
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217.700 abusati sessualmente, 338.900 maltrattati fisicamente). Se si considerano anche i minori a
rischio di maltrattamento la cifra sale a 2.815.600 bambini. Questi tassi riflettono un significativo
aumento del fenomeno rispetto ai dati del 1986 che appare quadruplicato.
4. Risultati diagnostici del trauma complesso
Gli attuali sistemi di classificazione psichiatrica non sono adeguati per contemplare l’intera gamma
delle difficoltà derivanti da esperienze traumatiche infantili. Anche se la categoria diagnostica del
PTSD è spesso utilizzata, essa non risulta esaustiva nel descrivere l’entità dell’impatto sullo
sviluppo derivante dalla cronica esposizione a eventi traumatici complessi. Altre categorie
diagnostiche sono comunemente usate nell’ambito dell’abuso e del maltrattamento infantile: la
depressione, l‘AHDH, il disturbo oppositivo (ODD), il disturbo della condotta, il disturbo
generalizzato dell’ansia, il disordine di separazione e il disturbo reattivo di attaccamento.
Ciascuna di queste categorie diagnostiche descrive tuttavia un aspetto dell’esperienza traumatica del
bambino, ma non offre una panoramica completa dell’intero quadro. Di conseguenza il trattamento
è spesso focalizzato su uno specifico comportamento individuato piuttosto che sui deficit che
sottendono il disturbo traumatico complesso nei bambini.
Una struttura organizzata per valutare gli esiti del trauma complesso nell’infanzia e
nell’adolescenza
Questo contributo si propone di porre in evidenza i complessi esiti dei traumi infantili prendendo in
considerazione le sette principali funzioni primarie che sono compromesse a partire
dall’osservazione estesa dei bambini esposti a trauma complesso. Esse sono state identificate a
partire dalla letteratura clinica, da ricerche su adulti (disordini da stress non altrimenti specificato),
da vasti campioni clinici (Pelcovitz et al 1997; van der Kolk, Pelcovitz, Roth, Mandel, McFarlane,
& Herman, 1996; van der Kolk, Roth, et al., in press) e dall’esperienza combinata del NCTSN
Complex Trauma Taskforce. Questi domini di compromissione riguardano: I l’attaccamento, II la
biologia, III la regolazione affettiva, IV la dissociazione, V la regolazione del comportamento, VI la
cognizione, VII il concetto di sé.
Si suppone che la compromissione avvenga all’interno del contesto di crescita e che a sua volta
comprometta lo sviluppo successivo. La Tab 1 fornisce una lista di ciascun dominio con esempi di
sintomi associati. La ricerca deve comunque proseguire nella direzione di validare ulteriormente le
classificazioni diagnostiche del trauma complesso. Tuttavia, riteniamo che il quadro
fenomenologicamente fondato riguardante l’impatto all’esposizione da trauma complesso possieda
5
sufficiente utilità clinica per servire come base di partenza per la ricerca, lo sviluppo dei metodi di
cura e per iniziative politiche di prevenzione.
5. Table 1: Domains of Impairment in Children Exposed to Complex Trauma
I. Attachment
• Uncertainty atout the reliability and predictability of the world (Incertezza circa la
prevedibilità e la affidabilità del mondo circostante)
• Problems with boundaries (Problemi con i confini)
• Distrust and suspiciousness (Sfiducia e sospettosità)
• Social isolation (isolamento sociale)
• Interpersonal difficulties (Difficoltà interpersonali)
• Difficulty attuning to other people’s emotional states (Difficoltà a sintonizzarsi con gli stati
emotivi altrui)
• Difficulty with perspective taking (Diffficoltà ad assumere un punto di vista)
• Difficulty enlisting other people as allies (Difficoltà a riconoscere gli altri come alleati)
II. Biology
• Sensorimotor developmental problems (Problemi di sviluppo sensomotorio)
• Hypersensitivity to physical contact (Ipersensibilità al contatto fisico)
• Analgesia
• Problems with coordination, balance, body tone (Problemi di coordinazione corporea)
• Difficulties localizing skin contact (Difficoltà a localizzare il contatto con la pelle)
• Somatization (Somatizzazioni)
• Increased medical problems across a wide span, e.g., pelvic pain, asthma, skin problems,
autoimmune disorders, pseudoseizures ( Incremento di problemi sanitari ad ampio raggio ad
esempio dolori pelvici, dermatiti, asma, problemi immunologici ecc.)
III. Affect Regulation
• Difficulty with emotional self-regulation (Difficoltà nell’autoregolazione emozionale)
• Difficulty describing feelings and internal experience (Dificoltà a descrivere vissuti e
esperienze interne)
• Problems knowing and describing internal states (Difficoltà a comprendere e descrivere gli
stati interni)
• Difficulty communicating wishes and desires (Difficoltà a comunicare bisogni e desideri)
IV. Dissociation
• Distinct alterations in states of consciousness (Alterazione evidente degli stati di coscienza)
• Amnesia
• Depersonalization and derealization (Sintomi di depersonalizzazione e derelizzazione)
• Two or more distinct states of consciousness, with impaired memory for state-based events
(Due o più distinti stati di consapevolezza con compromissione della memoria)
V. Behavioral Control
• Poor modulation of impulses (Scarsa capacità di modulare gli impulsi)
• Self-destructive behavior (Comportamento autodistruttivo)
• Aggression against others (Comportamento aggressivo)
• Pathological self-soothing behaviors (Comportamenti autoconsolatori patologici)
6
•
•
•
•
•
•
•
Sleep disturbances (Disturbi del sonno)
Eating disorders (Disturbi della sfera alimentare)
Substance abuse (Uso di sostanze)
Excessive compliance (Eccessiva compiacenza)
Oppositional behavior (Comportamento oppositivo)
Difficulty understanding and complying with rules (Difficoltà a comprendere e a rispettare
le regole e le norme)
Communication of traumatic past by reenactment in day-to-day behavior or play (sexual,
aggressive, etc.) (Comunicazione di trascorsi eventi traumatici tramite la riattivazione go per
giorno nel comportamento o nel gioco (sessuale, aggressivo ecc))
VI. Cognition
• Difficulties in attention regulation and executive functioning (Difficoltà nella regolazione
dell’attenzione e nelle funzioni esecutive)
• Lack of sustained curiosity (Mancanza di curiosità)
• Problems with processing novel information (Problemi nella processazione di nuove
informazioni)
• Problems focusing on and completing tasks (Problemi di concentrazione e risoluzione di
compiti)
• Problems with object constancy (Problemi con la costanza dell’oggetto)
• Difficulty planning and anticipating (Difficoltà nella capacità di progettazione e previsione)
• Problems understanding own contribution to what happens to them (Problemi di
comprensione in generale su ciò che sta accadendo alla persona)
• Learning difficulties (Difficoltà di apprendimento)
• Problems with language development (Problemi di sviluppo del linguaggio)
• Problems with orientation in time and space (Problemi di orientamento nel tempo e nello
spazio)
• Acoustic and visual perceptual problems (Problemi di percezione acustica e visiva)
• Impaired comprehension of complex visual-spatial patterns (Compromissione della
coordinazione visuo-spaziale)
VII. Self-Concept
• Lack of a continuous, predictable sense of self (Scarso senso di sè prevedibile e costante)
• Poor sense of separateness (Scarsa capacità di individuazione)
• Disturbances of body image (Disturbi dell’immagine corporea)
• Low self-esteem (Bassa autostima)
• Shame and guilt (Vissuti di vergogna e colpa)
6. Impatto del trauma complesso sullo sviluppo
Gli esiti del trauma complesso si sviluppano e persistono con maggiori probabilità se un neonato o
un bambino sono esposti a pericoli imprevedibili e incontrollabili: in questi casi il corpo del
bambino deve destinare alla sopravvivenza risorse normalmente impegnate per la crescita e lo
sviluppo (Ford in press, van der Kolk in press). Il pericolo maggiore per un neonato o un bambino,
imprevedibile e incontrollabile, è l’assenza di un care giver che prontamente e responsivamente lo
protegge e si prende cura di lui/lei (Cicchetti e Lynch 1995). L’abilità del care giver di contribuire
7
alla regolazione delle risposte comportamentali e corporee fornisce al bambino l’esperienza della
co-regolazione, la quale a sua volta costituisce la base per acquisire la capacità di auto-regolazione
(Schore 2002, Siegel 1999). La mancanza di un sostegno nella regolazione con un care giver
primario pone il bambino a rischio di sviluppare inadeguata capacità di regolazione degli stati fisici
ed emotivi. Diviene quindi cruciale esaminare, sul piano clinico, le relazioni di attaccamento del
bambino
traumatizzato
che
spesso
costituiscono
un
elemento
critico.
Nelle
attuali
concettualizzazioni dello stress post traumatico infantile, pochi sforzi sono stati fatti per distinguere
tra l’impatto causato da eventi traumatici specifici e deficit nelle relazioni di attaccamento. Al fine
di comprendere il comportamento di questi bambini e formulare un adeguato piano di cura, è
necessario integrare l’impatto nell’esperienza traumatica con le relazioni di attaccamento precoci.
Attaccamento
La relazione primaria con il datore di cura configura un contesto relazionale nel quale il bambino
sviluppa i precoci modelli del sé, dell’altro e del sé in relazione all’altro. Questo attaccamento
relazionale fornisce anche la struttura di base per lo sviluppo di molte competenze dello sviluppo
inclusa la capacità di autoregolazione, la sicurezza con cui si esplora l’ambiente, la capacità di
esercitare una influenza sul mondo esterno, la capacità di comunicare in modo espressivo e
ricettivo. La relazione con il care giver può essere la fonte del trauma o può risentire enormemente
dell’impatto con un evento traumatico esterno. In ogni caso molte di queste competenze cruciali per
lo sviluppo vengono sconvolte.
Un modello di attaccamento sicuro presente approssimativamente nel 55-65% della popolazione
normativa, è ritenuto il risultato di relazioni di cura supportive, recettive e sensibili: il care giver
risponde in modo congruo ai segnali del bambino, provvedendo sia ai suoi bisogni di crescita che di
stimolazione. Il neonato diviene capace di internalizzare strategie di regolazione offertegli/le dal
care giver ed apprendere a comunicare e a interpretare correttamente i segnali non verbali. Care
givers responsivi, di fronte a stress di natura traumatica, generalmente forniscono al bambino un
ambiente supportivo nel quale recuperare e metabolizzare l’esperienza travolgente.
Insicurezza
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Modelli di attaccamento insicuri sono stati documentati in oltre l’80% di bambini maltrattati. Il
fallimento nel creare una relazione diadica primaria sicura con il care giver può innescare un
ambiente di vulnerabilità che può di fatto favorire l’esposizione al trauma complesso. Dopo
l’esposizione, l’attaccamento insicuro e ansioso può ulteriormente aggravarsi in quanto il bambino
percepisce il suo care giver come debole, troppo angosciato nell’affrontare questo tipo di difficoltà
(ad esempio a causa di eccessivo livello di stress, dissociazione, evitamento, intossicazione o storia
di trauma non risolta).
Bambini con modelli di attaccamento insicuro possono essere classificati come evitanti, ambivalenti
o disorganizzati. Lo stile evitante è stato associato a care giver prevedibilmente rifiutanti. Bambini
ripetutamente rifiutati o allontanati dai genitori imparano a ignorare o a non fidarsi delle loro
emozioni, relazioni, persino del loro stesso corpo. Inoltre, possono sviluppare modelli di relazione
ambivalenti, rifiutanti anche con altri adulti e con i coetanei (Ainsworth, 1978).
Quando il bambino sperimenta atteggiamento di cura alternati tra conferma e disconferma in modo
predicibile, possono sviluppare un modello ambivalente di attaccamento (Ainsworth, Blehar e
Waters, 1978) ed apprendere ad anticipare i repentini cambiamenti di atteggiamento dell’adulto ad
esempio dal distacco e trascuratezza all’intrusiovità in modelli prevedibili. Questi bambini spesso
operano una disconnessione tra sé e gli altri, in primo luogo i datori di cura poi gli insegnanti e altri
importanti adulti di riferimento coinvolti nella loro vita.
Quando la co-regolazione non è fornita o viene compromessa da avversità esterne nelle fasi precoci
dello sviluppo, il bambino è a rischio di sviluppare un modello di attaccamento disorganizzato
(Cassidy e Mohr, 2001, Cicchetti e Toth 1995, Lyons-Ruth e Jacobovitz 1999, Maunder e Hunter
2001) una forma più severa di disregolazione delle principali competenze biopsicosociali. Il stile
disorganizzato di attaccamento nei bambini si sviluppa in un modello relazionale imprevedibile con
il care giver ad esempio da appiccicoso a sprezzante e aggressivo. Nei bambini più grandi,
adolescenti e adulti, il comportamento disorganizzato sembra riflettere modelli primitivi di
sopravvivenza che appaiono rigidi, estremi e tematicamente concentrati (Lyons- Ruth e Jacobovitz
1999). Questi modelli operativi sono concentrati sia sul sentirsi indifesi (impotenza, tradimento,
scoraggiamento, fallimento in cui ogni espressione di rabbia è mortale, ci si sente destinati a essere
rifiutati), sia sul controllo coercitivo (colpa, rifiuto, intrusività, ostilità, pensare che si deve forzare
le persone a fare ciò che si vuole, pensare che non ci si può fidare di nessuno perché si può essere
strumentalizzati). Genitori di bambini con questo comportamenti sono stati spesso descritti come
fallimentari nell’azione protettiva e scarsamente efficaci nel fornire aiuto (George e Solomon,
1996).
9
Bambini che hanno sperimentato violenza imprevedibile e ripetuti abbandoni spesso falliscono
nello sviluppare un adeguato linguaggio e nell’elaborazione delle abilità verbali. I loro sforzi sono
orientati a sopravvivere e a controllare quello che accade intorno a loro. Ne deriva che essi non
sono in grado di organizzare risposte coerenti per affrontare con efficacia gli eventi della loro vita
(Siegel, 1999).
L’attaccamento disorganizzato influisce molto probabilmente con lo sviluppo delle connessioni
neuronali in aree importanti del cervello (ad esempio gli emisferi destro e sinistro, la corteccia
orbitale prefrontale e le sue connessioni (Schore 2001). Questo stile di attaccamento può
comportare una perdita della capacità di regolazione degli affetti, della gestione dello stress, della
capacità di empatia e della preoccupazione prosociale per gli altri, della capacità di utilizzare il
linguaggio per risolvere problemi interpersonali. Nel tempo, l’attaccamento disorganizzato porta a
sviluppare sintomi di PTSD, il disturbo borderline e i disordini antisociali di personalità (Herman,
Perry e van der Kolk, 1989, Main 1995). In una recente revisione, Mauder e Hunter (2001)
concludono che i deficit nell’attaccamento negli animali e negli umani spesso non hanno carattere
transitorio ma comportano bensì effetti a lungo termine come sintomi fisici e disagio psicosociale.
Tali rischi avvengono lungo tre direzioni principali che nel loro insieme costituiscono il nocciolo
delle competenze biopsicosociali che corrispondono alle caratteristiche principali dell’attaccamento:
1) aumentata suscettibilità allo stress (ad esempio difficoltà di concentrazione dell’attenzione, di
modulazione dell’arousal (cioè scoperta, attivazione, orientamento e conservazione; ( 2) incapacità
a regolare le emozioni senza un aiuto esterno (sentirsi sopraffatti da intense o intorpidite emozioni;
cioè attivazione, conservazione,esplorazione, consolidamento) e 3) alterate modalità di ricerca di
aiuto (eccessiva dipendenza e bisogno di aiuto o isolamento e disimpegno sociale; cioè difficoltà
nell’esplorazione e nell’affiliazione). Inoltre, non è solo la separazione a produrre effetti a lungo
termine sulla capacità di regolazione biologica, anche lo sconvolgimento di un sicuro legame di
attaccamento può avere effetti simili.
Biologia
Lo sviluppo neurobiologico si sviluppa a partire da una struttura di base definita geneticamente che
si modifica tramite gli stimoli ambientali. Livelli estremi di stimolazione (in eccesso o in difetto),
come ad esempio lo stress, si presume scatenino aggiustamenti adattivi che dipendono dalle
strutture cerebrali e dalle traiettorie che si formano nel corso dello sviluppo (Perry e Pollard 1998).
In tal senso il cervello “scolpisce sé stesso” in risposta agli stimoli esterni e allo stesso tempo si
sviluppa lungo una traiettoria di maturazione geneticamente determinata.
10
Durante i primi mesi di vita solo il tronco encefalico è sufficientemente sviluppato in modo da
sostenere le funzioni corporee di base e l’attenzione. Queste strutture di base regolano il sistema
nervoso autonomo, mobilitano l’arousal (eccitazione) tramite il ramo simpatico del sistema nervoso
autonomo regolando l’arousal attraverso il ramo parasimpatico. Deprivazioni, maltrattamenti,
trascuratezze o disfunzioni del care giver come ad esempio la depressione materna possono
comportare una sensibilizzazione a lungo termine delle risposte allo stress. Seguendo una storia di
deprivazione precoce, persino uno stress di livello medio più tardivo può comportare esiti severi e
difficoltà (Gunnar e Donzella, 2002)
Nella primissima fase di vita e durante l’infanzia il cervello sviluppa attivamente aree preposte al:
1) riconoscimento delle informazioni utili (talamo, corteccia somatosensoriale) 2) individuazione
(amigdala) e produzione di risposte difensive (insula) a potenziali minacce , 3) riconoscimento delle
informazioni o degli stimoli ambientali per comprendere e significare (area ippocampale) e 4)
coordinazione rapida di risposte intenzionali (ventral tegmentum striatum). Durante questa fase di
crescita si assiste ad un graduale passaggio dalla dominanza dell’emisfero destro (sensoriale) a
quello sinistro (astratto e quindi deputato al linguaggio, al pensiero ipotetico). De Bellis, Keschavan
e Shiffett, 2002, Kegan, 2003. Il bambino gradualmente impara ad orientare sia l’ambiente interno
che quello esterno (piuttosto che rispondere automaticamente ad ogni stimolo che si presenti) e a
reagire attivamente.
Il trauma interferisce con la funzione integratrice dei due emisferi e questo può spiegare
“l’irrazionalità” del comportamento sottoposto a stress. Nei bambini non abusati gli schemi
semantici di sé stessi e del mondo (verbali e dipendenti dall’emisfero sinistro) sono generalmente
armonici con le loro reazioni emotive alle circostanze (emisfero destro). Al contrario, bambini
abusati e trascurati spesso offrono una rilevante discrepanza tra significato e azione. Sotto stress la
capacità di analisi (emisfero sinistro) si disintegra e gli schemi emozionali (emisfero destro) del
mondo sono deformati e pertanto causano reazioni incontrollate di impotenza e rabbia (Crittenden
1998, Kagan 2003, Teicher, Andersen e Polcari 2002).
Nella prima infanzia bambini biologicamente compromessi rischiano di sviluppare disordini
nell’orientamento alla realtà (autismo) di apprendimento (dislessia) o di regolazione cognitiva e
comportamentale (AHDH). Un neonato e un bambino in età prescolare che a) sono esposti a stress
traumatici, o b) non sviluppano le capacità di base di autoregolazione e non hanno una relazione
supportava con il care giver sono a rischio di non sviluppare le competenze cerebrali necessarie alla
formazione delle relazioni di interdipendenza (ad esempio ansia da separazione, o ODD) e nel
fallimento della capacità di modulare le emozioni in risposa allo stress (ad esempio depressione
maggiore, fobie, Kauffman, 2000).
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Più avanti nella latenza e adolescenza le modificazioni cerebrali più consistenti coinvolgono le aree
responsabili di tre principali funzioni necessarie per il raggiungimento dell’autonomia e
l’acquisizione delle competenze interpersonali. Esse sono: 1)la consapevolezza di sé e un autentico
coinvolgimento con gli altri (cingolato anteriore), 2) l’abilità di valutare la valenza e il significato di
esperienze emotive complesse (corteccia orbitale prefrontale) e 3) l’abilità di determinare il corso
delle proprie azioni facendo leva sull’esperienza e sulla creazione di cornici interne di significato e
riferimento configurate a partire da una corretta comprensione dell’altrui prospettiva (corteccia
prefrontale dorsolaterale). In adolescenza
vi è uno sviluppo molto importante di queste aree
cerebrali e del sistema libico (ad esempio l’ippocampo) determinato dalla mielinizzazione ovvero la
crescita della guaina protettiva che circonda le cellule nervose. Questo processo può consolidare
nuovi apprendimenti, sviluppare nuove strategie decisionali e credenze fondamentali che si
trasformano in un sistema di “memoria di lavoro altamente stabile e facilmente accessibile” (Benes,
Turtle e Khan, 1994). Stressors traumatici o deficit primari nelle abilità di autoregolazione che
insorgono durante l’adolescenza, in assenza di relazioni supportive (che in questa fase dello
sviluppo spesso riguardano sia i coetanei che gli adulti) possono causare disordini nella capacità di
autoregolazione (ad esempio della sfera alimentare), nella sfera interpersonale (problemi di
condotta) nell’orientamento alla realtà (disturbi del pensiero) o una compromissione generale di
queste competenze critiche (disturbo borderline di personalità, dipendenza cronica).
Biologia della resilienza
Molti studi mostrano che eventi stressanti accaduti precocemente o nel corso della vita che sono
stati prevedibili, evitabili o controllabili o che sono stati supportati da relazioni responsive di care
giver disponibili e affidabili, da un ambiente di vita sicuro tendono a migliorare l’integrità
biologica. In altri termini, queste esperienze incrementano le funzionalità dell’area ippocampale e
della corteccia neuronale prefrontale. Dal punto di vista del comportamento esse aumentano la
curiosità, lo status sociale, la memoria operativa, la gestione dell’ansia e l’abilità di crescere
(Champagne e Meaney, 2001, Gunnae e Donzella 2002, Schore 2001). Inoltre il ripristino di un care
giver sicuro dopo precoci eventi stressanti ha un effetto protettivo nel ridurre eventuali
compromissioni biologiche a lungo termine, anche se a) il contatto con il care giver è solo visivo e
non tattile o simbolico, b) l’ambiente sociale e fisico è molto povero o c) il care giver non è un
genitore (Gunnar e Donzella, 2002).
Regolazione degli affetti
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Abbiamo già descritto gli effetti deleteri delle precoci esperienze traumatiche che colpiscono il
cuore dei sistemi di regolazione. La compromissione dei sistemi neurobiologici coinvolti nella
regolazione delle emozioni pone molti bambini traumatizzati a rischio di disregolazione affettiva. I
deficit nella capacità di regolare le esperienze emotive possono essere classificati in tre categorie a)
deficit nella capacità di riconoscere le esperienze emotive interne, b) difficoltà nell’esprimere con
sicurezza le proprie emozioni e c) compromissione della capacità di modulare le esperienze
emotive.
Il riconoscimento delle esperienze emotive interne richiede l’abilità di differenziare tra gli stati di
eccitazione, interpretarli e etichettarli adeguatamente (ad esempio “felice”, “arrabbiato”). Alla
nascita il neonato possiede una minima capacità di differenziare tra gli stati di eccitazione; le
risposte prevedibili e differenziate del care giver a specifici bisogni forniscono un quadro di
riferimento attraverso il quale il bambino comincia a sviluppare e a differenziare esperienza
emotiva e risposta. Similmente, i bambini apprendono a riconoscere i segnali non verbali esterni
comparando la coerenza intercorrente tra il livello espressivo e quello comportamentale. Quando ai
bambini sono forniti insufficienti o inconsistenti modelli affettivi e comportamentali (ad esempio
sorrisi accompagnati da comportamento rifiutante) o risposte inconsistenti e manifestazioni affettive
(ad esempio l’angoscia del neonato incontra in modo incoerente rabbia, rifiuto, cure, indifferenza),
non viene fornita alcuna struttura tramite la quale interpretare l’esperienza. I deficit nell’abilità di
discriminare gli stati affettivi interni ed esterni nei bambini maltrattati compare precocemente già
verso i 30 mesi, come è stato dimostrato (Beeghly e Cicchetti, 1996).
Dopo l’identificazione degli stati emotivi, il bambino deve essere in grado di esprimere in modo
sicuro le proprie emozioni modulando e regolando le esperienze interne. I bambini vittime di traumi
complessi mostrano una compromissione in entrambe le competenze. La distorsione delle
espressioni emotive nei bambini traumatizzati è ad ampio raggio, può assumere una forma molto
rigida e contrita o eccessivamente labile ed esplosiva (Gaensbauer, Mrzaek & Harmon, 1981).La
capacità di esprimere le emozioni e l’abilità di modulare le esperienze interne sono interdipendenti,
e i bambini con una storia di trauma complesso mostrano alterazioni della capacità di
autoregolazione sia a livello comportamentale che emotivo. Questi bambini possono ricorrere a
strategie alternative come il coping dissociativo (ad esempio intorpidimento cronico delle
emozioni), esitamento di situazioni a valenza affettiva, comprese le esperienze positive, l’utilizzo di
strategie comportamentali (ad esempio l’uso di sostanze). Questi bambini incapaci di individuare
strategie efficaci per sostenere la regolazione delle emozioni si presentano emozionalmente labili,
eccessivamente reattivi anche a stress minori, con una rapida escalation e difficoltà di autocontrollo.
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Nel corso del tempo, i bambini traumatizzati risultano vulnerabili ai disordini associati alla cronica
disregolazione delle esperienze affettive, inclusi i deficit dell’umore. La prevalenza della
depressione maggiore tra individui che hanno subito esperienze traumatiche nell’infanzia è un
esempio di come l’impatto con un trauma complesso può compromettere la capacità di
autoregolazione.
L’esistenza di una stretta interdipendenza tra il trauma precoce e l’insorgere della depressione è ora
ben consolidata (Putman, 2003). Studi recenti sui gemelli, considerati tra i più validi dal punto di
vista della evidenza scientifica poiché contemplano sia i fattori genetiche che familiari, hanno
documentato in modo definitivo che il trauma infantile precoce e specialmente l’abuso sessuale
aumenta in modo drammatico il rischio di depressione, assieme a molti altri possibili esiti
sfavorevoli. Questi studi indicano che, per le femmine, una storia di abuso sessuale subito
nell’infanzia incrementa
da 3 a 5 volte il rischio di sviluppare una depressione maggiore
((Dinwiddie, Heath, et al., 2000; Nelson, Heath, et al., 2002).numerosi fattori influenzano le
conseguenze degli esiti tra i quali: l’età di insorgenza, la durata, il tipo di relazione con il
perpetratore e il loro numero, l’uso della forza e della coercizione, il sostegno materno e il tipo (i) di
abuso sessuale subito (Putman,2003). Bambini che hanno subito rapporti sessuali hanno l’8.1 di
probabilità (? odds ratio) nello sviluppare una depressione e l’11.8 rispetto al tentativo di suicidio
(Fergusson, Horwood, & Lynskey, 1996; Fergusson, Lynskey, & Horwood, 1996).
Il trauma infantile non solo aumenta il rischio di sviluppare una depressione maggiore, ma anche di
alterare il corso della malattia in modo tale da impoverire la prognosi. Una storia di abuso infantile
sembra predisporre alla precoce comparsa di problemi affettivi a turno associati a episodi depressivi
e minori possibilità di guarigione (Putman, 2003). Donne depresse con storia di abuso infantile
mostrano una maggiore persistenza nella durata della malattia e maggiori difficoltà nel rispondere
positivamente al trattamento (Zlotnick, Ryan, Miller, & Keitner, et al., 1995). Il trattamento della
depressione è complicato dalla mancanza di una diagnosi corretta, dalla incapacità di aderire al
trattamento o alla mancanza di una copertura assicurativa o di risorse finanziarie per pagare la cura.
Molte di queste barrire sorgono da traiettorie di vita comunemente associate a storie di traumi
infantili come ad esempio una bassa educazione, malattie mentali, uso di sostanze, malattie fisiche e
disoccupazione. Così la popolazione con il più alto rischio di depressione è anche quella con minori
possibilità di ricevere un trattamento adeguato.
Dissociazione
La dissociazione è una delle caratteristiche principali del trauma complesso, essa è, in sostanza, “il
fallimento della capacità di integrare o associare informazioni ed esperienza in modo normalmente
14
prevedibile” (Putman, 1997 pag 7). Così il pensiero può essere esperito senza la corrispondente
componente emotiva e quest’ultima può essere esperita senza pensiero (cognition), le sensazioni
somatiche avvengono in un vuoto di consapevolezza oppure i comportamenti sono agiti senza
alcuna presa di coscienza. La dissociazione corre lungo un continuum che va dal normale perdersi
nei propri pensieri mentre si guida alla dissociazione peritraumatica durante una esposizione al
trauma. Sebbene la dissociazione nasca come meccanismo protettivo per fronteggiare il trauma,
nelle situazioni di esposizione al trauma cronico essa può comportare problemi che divengono il
focus del trattamento. La ricerca si sta concentrando sull’impatto negativo della dissociazione
traumatica nello sviluppo del PTSD (Weiss, Marmar, Metzler, & Ronfeldt, 1995). Essa è correlata a
molte evidenze biologiche (Dissociative Experiences Scale -Bernstein & Putnam, 1986) come ad
esempio un ridotto volume ippocampale sinistro nelle donne (Stein, Koverola, Hanna, Torchia, &
McClarty, 1997) e dei livelli di fluido cerebrospinale dei neurotrasmettitori e dei loro metaboliti
((Demitrack, Putnam, & Rubinaw, 1993). Si ritiene inoltre che la dissociazione sia connessa con il
sistema preposto alla reazione allo stress (ad esempio l’asse ipotalamo-ghiandola pituitariaadrenalina Putman, 1997). In accordo con Putman, le tre principali funzioni della dissociazioni
sono: l’automatizzazione del comportamento di fronte a circostanze sopraffacenti, la
compartmentalization dei sentimenti dolorosi e dei ricordi e il distacco da sé di fronte al trauma.
Quando il trauma è cronico, il bambino si affida sempre di più alla dissociazione per gestire
l’esperienza ed in tal modo essa prelude alla comparsa di varie difficoltà nella gestione del
comportamento, nella regolazione degli affetti e nell’immagine di sé.
La regolazione del comportamento
Il trauma infantile cronico è associato sia l’iper-controllo del comportamento che all’ipo-controllo.
L’ipercontrollo è una strategia volta a contrastare sentimenti di impotenza, mancanza di potere
personale, aspetti che spesso costituiscono una vera e propria lotta quotidiana per i bambini
traumatizzati. Essi dimostrano infatti modelli di comportamento rigidamente controllati come ad
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esempio una compulsiva compiacenza con le richieste dell’adulto che compare già nel secondo
anno di vita (Crittenden e Dilalla, 1998). Molti bambini traumatizzati appaiono veramente resistenti
al cambiamento delle abitudini e della routine come ad esempio l’inflessibilità nei rituali igienici,
un controllo rigido dell’assunzione di cibo.
La mancanza di controllo o l’impulsività del comportamento possono derivare da deficit nelle
funzioni esecutive, ovvero delle capacità cognitive responsabili della programmazione,
organizzazione e controllo del comportamento. I deficit di tali funzioni sono stati ben documentati
nei bambini traumatizzati (vedi Cognizione più avanti). Una delle possibili conseguenze di un
ridotto funzionamento delle funzioni esecutive è un aumento delle risposte impulsive come
l’aggressività. Il trauma precoce è associato in modo significativo allo sviluppo dei disordini
nell’area del controllo degli impulsi /ad esempio come l’ODD disturbo del comportamento
alimentare – Ford e all 2000).
Un altro modo di intendere i modelli comportamentali dei bambini cronicamente traumatizzati è
pensarli come adattamenti difensivi utili a fronteggiare esperienze potentemente angoscianti. I
bambini possono rivivere aspetti comportamentali del trauma (ad esempio aggressività,
comportamenti auto punitivi, sessualizzati, dinamiche di controllo della relazione) come reazioni
automatiche di riattivazione traumatica nel tentativo di controllare l’esperienza. I bambini possono
anche utilizzare tali strategie per fronteggiare i loro deficit nella regolazione degli stati interni. Per
esempio, in assenza di strategie di coping più evolute, i giovani traumatizzati possono ricorrere a
sostanze per evitare intollerabili livelli di eccitazione. Allo stesso modo, in assenza della capacità di
negoziare le relazioni interpersonali i bambini sessualmente abusati possono manifestare
comportamenti sessualizzati per ottenere intimità e accettazione maggiori. In ultima analisi, una
storia di traumi infantili aumenta il rischio di esiti negativi inclusi l’uso di sostanze e di abuso,
gravidanza e paternità precoce, suicidio e comportamenti auto lesivi, attività criminali e rivittimizzazione (Anda, 2002).
Cognizione
Durante l’infanzia e l’epoca neonatale i bambini formano modelli operativi precoci del mondo e
sviluppano una struttura cognitiva di base per la vita successiva. Durante tale periodo i bambini
sviluppano un precoce senso del sé, un modello del sè in relazione con l’altro e una comprensione
di base della relazione causa-effetto. Studi prospettici hanno mostrato che i bambini abusati e
trascurati dai genitori presentano un ridotto funzionamento cognitivo rispetto ai gruppi di controllo
((Egeland, Sroufe, & Erickson, 1983). Deprivazioni sensoriali ed emotive associate alla
trascuratezza sembrano essere particolarmente dannose per lo sviluppo del linguaggio espressivo
16
così come per lo sviluppo di un QI nella norma e, in generale, per lo sviluppo delle funzioni
intellettive (Sandgrund, Gaines, & Green, 1974).
Durante la scuola tali funzioni acquistano particolare importanza per lo sviluppo delle competenze
dell’apprendimento.
Tali performance sono influenzate in modo significativo dall’abilità del
bambino di regolare le esperienze interne e di interagire in modo competente con i coetanei.
Bambini maltrattati in epoca prescolastica mostrano deficit in entrambe queste funzioni,
evidenziano una minore capacità di tollerare le frustrazioni, maggiore aggressività e minore
compliance, più dipendenza dagli altri e bisogno di supporto rispetto ai gruppi di controllo (Egeland
et al., 1983; Vondra et al., 1990). Nella scuola elementare i bambini maltrattati sono meno resistenti
e appaiono più inclini ad evitare compiti impegnativi ed anche maggiormente bisognosi di ricevere
sostegno e conferme dall’insegnante (Shock e Cicchetti, 2001). Nel periodo della scuola media e
alle superiori i ragazzi maltrattati hanno un rendimento inferiore alla media e manifestano problemi
disciplinari (Eckenrode, Laird, & Doris, 1993).
Nella prima infanzia i bambini maltrattati dimostrano una minore flessibilità e creatività nei compiti
di problem solving rispetto ai gruppi di controllo (Egeland e all 1983). Più tardi, bambini e ragazzi
con una diagnosi di PTSD per abuso o violenza assistita manifestano deficit dell’attenzione, del
pensiero astratto e delle funzioni esecutive (Beers e de Bellis, 2002). E’ stato osservato come i
bambini maltrattai tendano a peggiorare le performance delle funzioni esecutive nel tempo; mentre i
bambini psichiatrici mostrano un graduale incremento di tali funzioni con una curva che si avvicina
a quella dei bambini sani (Mezzacappa, Kindlon e Earls, 20019). Nella scuola elementare i bambini
maltrattati sono più frequentemente oggetto di sostegno scolastico (Shonk e Cicchetti, 2001). Una
storia di maltrattamento è associata a rendimenti scolastici più bassi e ad abbandono scolastico.
Questi risultati sono stati dimostrati in varie ricerche e in relazione a esposizioni ad esperienze
traumatiche differenti e non sono spiegabili ricorrendo ad altre variabili come la povertà o altre
esperienze stressanti (Cahill, Kaminer, & Johnson, 1999; Kurtz, Gaudin, Wodarski, & Howing,
1993; Leiter & Johnsen, 1994; Shonk & Cicchetti, 2001; Trickett, McBride-Chang, & Putnam,
1994).
Concetto di sè
La relazione di cura primaria gioca un ruolo fondamentale nullo sviluppo di un senso di sé coerente.
Nel corso del tempo il bambino consolida e internalizza un senso di identità sicuro, stabile e
integrato (Bowlby, 1988). Esperienze positive precoci, una relazione di accudimento responsiva e
sensibile consentono al bambino di sviluppare una immagine di sé come individuo competente e
degno. Al contrario, reiterate esperienze precoci di rifiuto o danneggiamento da parte degli adulti
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significativi, accanto al fallimento nello sviluppo di competenze appropriate all’età, causano lo
svilupparsi di un senso di sé inefficace, impotente, deficitario e indegno. Alterazioni dell’immagine
di sé possono compromettere la capacità di fronteggiare l’esperienza traumatica (Liem e Boudewyn,
1999). Bambini che si percepiscono come impotenti e incompetenti e che si aspettano il rifiuto e il
disprezzo, tendono ad assumersi al responsabilità delle loro esperienze negative e manifestano
problemi nell’accogliere e rispondere al sostegno sociale.
I bambini traumatizzati evidenziano precocemente tali deficit nell’immagine di sé. A 18 mesi un
bambino traumatizzato tende già a rispondere con reazioni neutrali o negative rispetto ai bambini
non traumatizzati (Scheider e Cicchetti, 1991). In età prescolastica i bambini traumatizzati sono più
resistenti a parlare dei loro stati interni, in particolare quelli percepiti come negativi (Cicchetti e
Beeghly, 1987) e mostrano una maggiore propensione a sottostimare le proprie abilità: da una
precoce esagerazione delle competenze in età prescolastica ad una disistima nella scuola elementare
(Vondra, Barnett e Cicchetti, 1989). In età adulta essi soffrono di un elevato livello di colpa (Liem e
Boudewyn, 1999). Il coping dissociativo complica ulteriormente lo sviluppo di un senso di sé
coerente. L’uso strutturato della dissociazione porta a “un significativo disturbo della memoria
autobiografica e della integrazione del sé” (Putman, 1993). Nel corso del tempo,
il coping
dissociativo può comportare seri problemi nello sviluppo dell’identità a causa della perdita della
memoria autobiografica. La dissociazione cronica è correlata a disturbi dell’identità a partire da
una strategia di coping maladattiva ((van der Kolk, van der Hart, & Marmar, 1996).
7. Adattamento del trauma complesso al contesto familiare
La famiglia svolge un ruolo cruciale nell’influenzare le modalità adattive del bambino al trauma. I
fattori determinanti in tal senso riguardano gli aspetti di responsabilità dell’ambiente familiare nella
vittimizzazione, le risposte dei genitori all’evento traumatico o alla sua rivelazione, le influenze
esercitate sui genitori da storie infantili di traumi non risolti, la presenza di psicopatologie.
Il sostegno genitoriale è un fattore determinante sul modo in cui il bambino reagirà al trauma. Il
supporto familiare e il funzionamento emotivo parentale costituiscono i principali fattori di
mediazione per l’insorgenza di sintomi da PTSD e per lo sviluppo della capacità nel bambino di
guarigione (Cohen, Mannarino, Berliner, and Deblinger, 2000). La ricerca e la letteratura
nell’ambito dell’abuso sessuale sostengono la prospettiva di Finkelhor e Kendall (1997) secondo cui
“la risposta del sistema sociale di supporto al bambino e in particolare quella materna è il fattore
più importante nel determinare i risultati, più importante delle caratteristiche oggettive
dell’esperienza vittimizzante”. Vi sono tre questioni principali circa le reazioni dei genitori al
18
trauma del bambino: 1) credere e schierarsi con il figlio, 2) tollerare il dolore del bambino; 3)
saper/poter gestire le proprie reazioni emotive.
La connessione tra il bambino e il genitore “collassa” quando il care giver nega l’esperienza
traumatica del figlio. In questi casi il bambino è obbligato ad agire “come se “ il trauma non fosse
accaduto. In questo contesto, il bambino impara che non può fidarsi del proprio genitore e non può
utilizzare il linguaggio per comunicare l’esperienza negativa subita. Inoltre, poiché il trauma è
negato, il bambino rimane non protetto rispetto ad altri rischi. Senza sicurezza, il bambino non può
cominciare ad integrare l’esperienza traumatica e trovare nuove modalità di coping (strategie per
affrontare l’esperienza). Inoltre, la disconferma/negazione genitoriale genera impotenza e
disperazione nei bambini.
I genitori sono spesso comprensibilmente angosciati quando il figlio è vittima di esperienze
traumatiche. L’angoscia del genitore può limitare la capacità di rispondere con adeguatezza e cura
ai bisogni del bambino (Winston et al., 2002). Tuttavia, Finkelhor & Kendall-Tackett (1997)
osservano che non è tanto l’angoscia parentale di per sé a risultare necessariamente pregiudizievole
per il bambino, quanto piuttosto il fatto che il genitore trascuri o non riesca a cogliere i bisogni del
figlio. I bambini possono reagire all’angoscia dei genitori evitando o sopprimendo quei sentimenti
e comportamenti che stressano i genitori “parentificandosi” nel tentativo di lenire la loro angoscia
(Deblinger & Heflin, 1996). Come risultato, il bambino può sviluppare problemi nella
comunicazione delle proprie emozioni e della comunicazione in generale (Wiehe,1997), funzioni
entrambe cruciali nel fronteggiare situazioni stressanti o traumatiche.
I bambini traumatizzati spesso riattivano sentimenti penosi insopportabili nei genitori tali per cui
cercano una diversa sistemazione per il figlio. Genitori che hanno sperimentato dolorose esperienze
di attaccamento primario sono particolarmente vulnerabili verso i problemi dei figli. L’abilità del
genitore di accedere alle informazioni circa le prorpie esperienze infantili e narrarle in modo
coerente potrebbe rappresentare un indicatore molto importante per una competenza genitoriale
efficace e protettiva (Main e Goldwin, 1994).
Genitori con traumi irrisolti possono funzionare in base a un registro dissociativo e quindi avere
difficoltà a leggere e a rispondere appropriatamente agli stati emotivi del figlio. Questi genitori
possono inoltre mostrare incapacità nell’assicurare un ambiente protettivo ai figlio a causa delle
loro difficoltà a riconoscere e ad individuare circostanze pericolose. Inoltre, il comportamento di
attaccamento del bambino può essere riattivatore di ricordi dolorosi. Il comportamento reattivo del
bambino al trauma può essere considerato come una minaccia personale o una provocazione
piuttosto che la rievocazione di quanto è accaduto al bambino ed una rappresentazione
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comportamentale di ciò che il bambino non può esprimere con il linguaggio verbale. Il bisogno di
vicinanza del bambino ferito può innescare nel genitore ricordi di perdita, rifiuto, abuso.
Psicopatologia e abuso di sostanze nei genitori possono ulteriormente complicare le capacità di cura
e assistenza al figlio traumatizzato. Malattie mentali croniche in corso, uso di sostanze o abusi
pregressi impediscono al genitore di sviluppare la necessaria responsività verso il figlio, lasciandolo
a rischio di ulteriori vittimizzazioni. La violenza e l’abuso domestico danno luogo ad uno scenario
adattivo caratteristico. Quando il trauma deriva da comportamenti genitoriali prevedibili, il bambino
può diventare compulsivamente compiacente, ipercontrollante e attento a modificare il proprio
comportamento in modo da poter prevedere la violenza. Comportamenti imprevedibili di violenza
possono portare a una profonda fluttuazione nel comportamento e negli affetti del bambino che
diviene conseguentemente incapace di prevedere, pianificare le circostanze nel proprio ambiente di
vita (Crittenden,1998). La vittimizzazione domestica favorisce il rischio di ulteriori vittimizzazioni
esterne. Bambini che non ricevono risposte ai loro bisogni dentro le mura domestiche, possono
cercare il necessario supporto alla crescita fuori di casa ed essere ad alto rischio di sfruttamento.
Inoltre, una cronica esposizione al maltrattamento può interferire con i naturali sistemi di allarme
interni che risultano inefficaci nel rilevare e riconoscere il pericolo. Infine, un bambino
sovraesposto a molteplici traumi anche fuori dall’ambiente domestico risulta più facilmente
influenzabile in modo negativo (Garbarino, Kostelny & Grady, 1993; Margolin, 2000).
8. Adattamento del trauma complesso nel contesto etnoculturale
Mentre ogni essere umano condivide un patrimonio genetico comune, ogni persona appartiene ad
uno specifico gruppo etnoculturale ed entrambi queste variabili interagiscono con lo sviluppo e con
l’esperienza traumatica. E’ necessario porre la massima attenzione ad applicare definizioni
categoriali alle variabili etniche (ad esempio rifugiato residente urbano, gruppo etnico, linguaggio
primario, status socioeconomico, nazionalità) poiché si corre il rischio di oscurare differenze
20
significative tra queste importanti variabili. (Loo et all 2001, Marsella, Friedman Gerrity e Scurfield
1996). Per studiare l’adattamento al trauma complesso e alle sue conseguenze sulla crescita è
necessario partire da categorie di ordine generale e poi approfondire le sottocategorie che riflettono
le differenze nel gruppo, nella comunità, nella famiglia e nelle differenze individuali.
Anche se le forme specifiche possono variare, il ruolo della cultura non può essere limitato agli
effetti traumatici dei gruppi che vivono lo sconvolgimento delle loro connessioni con la cultura
primaria, la comunità e la casa (ad esempio rifugiati o immigrati). I giovani e le famiglie che non
sono costretti a lasciare le proprie case hanno ancora legami resi problematici da disastri, guerra,
repressione politica, povertà, razzismo e violenza (Garbarino e Kostelny 1996, Rabalais, Ruggero e
Scotti 2002).
La valutazione della storia traumatica e degli esiti del PTSD dovrebbe partire dal contesto culturale
che include la comunità di provenienza e le modalità di comunicazione mantenute con la famiglia di
origine (Manson, 1996). L’esposizione a differenti esperienze traumatiche attraversa molteplici
background culturali (ad esempio l’esposizione alla guerra, genocidio, violenza domestica e sociale,
maltrattamento dell’infanzia). Inoltre, popoli di differenti culture definiscono gli eventi traumatici
in base a costrutti tipici della cultura di provenienza (ad esempio i flashback possono essere
considerati “visioni”, l’iperarousal un semplice “attacco di nervi”, la dissociazione una forma di
possessione spirituale; Loo e all 2001, Manson 1996). La soglia per definire il PTSD come
angosciante o come un problema che giustifica un intervento clinico differisce non solo rispetto al
gruppo e alla nazione di provenienza, ma anche rispetto al sottogruppo di appartenenza (ad esempio
una regione geografica, una religione ecc.). Il risultato della valutazione psicometrica con misure
standardizzate può comportare il confronto di bambini e famiglie con temi considerati inaccettabili
(ad esempio se il peyote sia da considerarsi una droga illegale), irrilevanti (ad esempio la
distinzione tra legami di sangue e amicali in un gruppo che considera come propria famiglia l’intera
comunità), incomplete (ad esempio limitare la cura a metodi occidentali o a servizi terapeutici ed
escludere metodi di guarigione o guaritori , o semplicemente incomprensibile (Manson, 1996).
Con i bambini, i fattori culturali possono influenzare la sostanza e l’espressione delle abilità dello
sviluppo compresi i concetti di intenzionalità e causalità, la distinzione tra sé e gli altri, l’abilità di
simbolizzazione o della memoria a lungo termine (T Miller 1998, Salmon e Bryant 2001). Ad
esempio in alcune culture i bambini sono educati alla collettività piuttosto che alla indivdualità. Se
qualche bambino è sessualmente molestato, la rivelazione dell’abuso potrebbe minacciare
l’appartenenza al gruppo e anche quella della famiglia. Il senso di appartenenza può avere un valore
maggiore del dire “no” e quindi si neutralizzano sentimenti di colpa e di vergogna. Nonostante la
valutazione del trauma sia stata sviluppata soprattutto su adulti e bambini ( Loo e all 2001, Ford e al
21
2000), la loro appropriatezza e affidabilità psicometrica e il loro utilizzo in differenti gruppi
etnoculturali non è ancora stata valutata in modo sistematico. Ogni cultura ha il proprio modo di
concettualizzare ruoli, responsabilità di ciascun membro, livelli di coinvolgimento e funzioni
assegnate alla cura dei bambini. Ciò diviene importante nel trattamento dei bambini, specialmente
nel determinare il setting e l’approccio più adatto dell’intervento (individuale e/o familiare). La
scelta del trattamento al trauma potrebbe rivelarsi adatta ai bisogni della famiglia, ma non calibrata
sulla comprensione culturale o sul ruolo del bambino al suo interno. Inoltre, i livelli culturali
possono differenziarsi tra i vari membri della famiglia.. Questo accade facilmente nelle famiglie di
seconda generazione in cui i genitori sono nati nel paese di origine e il figlio è nato nel paese
ospitante. In questi casi impattiamo un senso di identità misto e a volte anche conflittuale tra i vari
livelli di identità etnica.
Gli interventi di prevenzione e di trattamento del disturbo post traumatico sono stati per lo più
sviluppati dalla medicina occidentale (Parson, 1997). Alcuni di questi modelli evidenced based
come la terapia cognitivo-comportamentale (Cohen e all 2000), l’EMDR (Chemtob e Tolin e van
der Kolk 2000, Greenwald 1998) o la terapia diadica genitore-figlio (Lieberman, van Horn,
Grandison e Pekarsky, 1997) sono risultati più adatti ed efficaci di altri nella intercultiuralità.
Anche le risorse curative naturali sono potenzialmente vitali per il recupero del trauma complesso
(Manson,1996) e i metodi indigeni non mancano anche per la cura dei disturbi della regolazione
affettiva. I Navajo hanno ad esempio sviluppato le cerimonie dell’Enemy Way or Beauty War come
approcci di purificazione e di reintegrazione sociale per i guerrieri (Manson, 1996). L’integrazione
e la collaborazione tra vari professionisti che coltivano differenti approcci culturali (specifici,
indigeni e tradizionali) nel campo della cura del trauma richiede ancora molti studi. Infine,
l’approccio al trauma deve considerare anche il razzismo e l’oppressione etnica e di classe come
stressors traumatici.
9. Fattori protettivi e strategie (coping)
Nonostante l’esposizione al trauma complesso abbia un impatto potenzialmente devastante, vi è
anche la possibilità che non tutte le funzioni risultino compromesse. (Kendall-Tackett, Williams e
Finkelhor, 1993, Masten e Coatsworth, 1998). La resilienza non è da intendersi come un singolo
attributo statico o un costrutto globale quanto piuttosto un sistema evolutivo multifattoriale di
differenti funzioni (domini) di competenza che riguardano le forze interattive individuali, familiari e
il loro sviluppo sociale (Masten e Coatsworth,1998, Waller, 2001). Un bambino può essere
adeguato in certi domini (ad esempio a scuola) e mostrare angoscia in altri (ad esempio nel
comportamento) (Luthar, Cicchetti e Becker, 2000). Lo studio e la comprensione delle risposte al
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trauma e dei fattori protettivi che le influenzano è vitale per sviluppare programmi di prevenzione
secondaria e terziaria in tale ambito.
Le capacità di recupero e la resilienza sono state collegate a molteplici fattori protettivi: variabili
individuali, familiari e ambientali. La resilienza si sviluppa dai processi adattivi comuni e non è
prerogativa di individui particolarmente dotati o speciali (Masten, 2001). Molti fattori sono stati
individuati come importanti promotori di resilienza come a) un positivo attaccamento e relazioni
emozionalmente supportive e competenti con adulti della famiglia o della comunità; b) sviluppo
delle abilità cognitive e di auto-regolazione; c) autostima e senso di efficacia personale;
motivazione ad agire con efficacia nel proprio ambiente (Luthar e all 2000, Masten 2001). Altri
fattori individuali associati alla resilienza sono: una accomodante disponibilità personale, un
temperamento positivo e un comportamento socievole, un locus of control interno ed attribuzioni di
colpa tendenzialmente esterne, strategie di coping efficaci, padronanza della cultura e autonomia,
speciali talenti, creatività e spiritualità (Werner e Smith, 1992). I fattori familiari e ambientali
significativamente interrelati alla resilienza comprendono genitori accoglienti e caldi, strutturanti e
con aspettative positive verso il bambino, risorse socioeconomiche, legami soddisfacenti con le
famiglie di origine, partecipazione sociale, scolarizzazione (Masten e Coatswoeth, 1998).
Le principali minacce alla resilienza sembrano correlate a collassi dei sistemi protettivi: un danno
allo sviluppo del cervello associato a danni cognitivi e alla compromissione delle competenze auto
regolative, relazioni tra bambino e care giver compromesse, ridotta motivazione ad interagire con
l’ambiente, ad apprendere nuove competenze. Nelle situazioni avverse più gravi scarse abilità
parentali e difficoltà cognitive aumentano il rischio di sviluppare modelli di comportamento
disadattavi, mentre al contrario abilità intellettuali nella norma e genitori protettivi promuovono le
competenze del bambino (Masten, 2001). Infine le risorse cognitive e le connessioni supportive
funzionano da filtro contro i peggiori effetti del trauma e servono come “vaccinazioni contro le
avversità” ( Schimmer, 1999).
Altre ricerche hanno rilevato l’importanza degli effetti a lungo termine delle strategie di coping
efficaci per la salute mentale in risposta a traumi complessi (Vaillant, 1986). Le strategie per
affrontare le difficoltà rappresentano l’espressione dei meccanismi di difesa che si sviluppano
nell’infanzia come risposte protettive che possono accentuare, limitare o bloccare la capacità di
gestire il trauma. Determinate strategie di coping come ad esempio la sublimazione, l’umorismo,
l’altruismo, e la repressione sono stati associati a efficaci gestioni dei problemi esistenziali e alla
promozione di salute mentale in età adulta. Al contrario, meccanismi difensivi arcaici come la
dissociazione, la proiezione, l’aggressività passiva e l’ipocondria sono associate a più severe
manifestazioni psicopatologiche e funzionamenti deficitari.
23
10. Approcci volti ad una valutazione complessiva del trauma complesso nei bambini
In genere, a prescindere dall’evento traumatico scatenante che attiva l’intervento immediato dei
servizi, uno standard accettato di cura implica la realizzazione di una valutazione globale che
contempla l’osservazione, l’intervista clinica con il bambino/adolescente e i datori di cura,
informazioni collaterali (scuola, servizi sociali ed educativi, precedenti terapeuti, pediatri,
intervistatori forensi (consulenti tecnici? Ecc.) L’assessment e le interviste cliniche dovrebbero
rispettare parametri standardizzati che includono strumenti di misurazione di autovalutazione e di
etero valutazione (insegnanti, parenti, genitori) tarati sul tipo di trauma, che comprendano anche
fattori dello sviluppo, anamnestici e tutte le informazioni disponibili. La valutazione diagnostica
onnicomprensiva servirà a stabilire l’obiettivo terapeutico mirato al trattamento del trauma.
Quando le valutazione coinvolgono il sistema giudiziario è imperativo che le valutazioni siano
condotte in base ad uno stile forense e ad un rigoroso metodo clinico. In particolare, le domande
devono essere formulate in modo non suggestivo e devono essere accompagnate dalla
documentazione delle rivelazioni più significative.Anche se l’invio nasce in un contesto clinico,
ogni rivelazione che avviene costituisce un aspetto probatorio cruciale per la sicurezza e la
protezione del bambino.
Aree di valutazione nelle interviste cliniche
Una valutazione esaustiva include sia gli esiti che gli adattamenti causati da traumi complessi ed è
accompagnata da scrupolose valutazioni psicologiche dei sintomi e della storia, comprese le
motivazioni dell’invio. Importanti informazioni anamnestiche riguardano: la storia dello sviluppo,
la storia familiare, la storia del trauma per i bambini e la famiglia, i modelli di attaccamento nelle
relazioni interpersonali, i servizi di protezione coinvolti e la storia degli interventi, malattie, perdite,
separazioni/abbandoni dai genitori, morti, malattie in famiglia, uso di sostanze, coinvolgimenti con
la legge, abilità di coping, punti di forza del bambino/adolescente e della famiglia, ogni altro fattore
di stress (ad esempio violenza ambientale, cause economiche, discriminazione razziale). I clinici
hanno bisogno di valutare tutti i tipi di esperienze traumatiche dal momento in cui si è delineata
un’evidenza consistente a supporto dell’esposizione multipla ad esperienze traumatiche. Oltre a
specifiche informazioni riguardanti la natura dell’esperienza/e traumatica è anche importante
raccogliere informazioni sulle circostanze della rivelazione, le risposte dei membri della famiglia e
delle agenzie professionali, i problemi di sicurezza e l’abilità del bambino/adolescente ad esprimere
sentimenti sulle esperienze traumatiche.
24
I clinici devono anche valutare gli adattamenti all’esposizione ad esperienze di trauma complesso
nei sette domini precedentemente descritti: aspetti biologici, attaccamento, regolazione affettiva,
dissociazione, gestione del comportamento, cognizione, immagine di sé. Questi domini possono
essere valutati nei termini della loro attualità o come traiettorie dello sviluppo.
Misure standardizzate
Metodi di misurazione standardizzati sono da considerarsi come parte integrante della valutazione
iniziale e da ripetersi ad intervalli regolari ogni 6- 3 mesi per monitorare i progressi nella cura e
assumere decisioni cliniche, anche in merito all’appropriatezza della dimissione, in modo
individualizzato ed empirico. Anche il follow up è vivamente raccomandabile, quando è possibile,
per determinare l’efficacia degli esiti del trattamento. Tests psicologici e neuropsicologici
standardizzati possono essere utilizzati per comprendere l’adattamento del bambino al trauma
complesso, le specifiche difficoltà di apprendimento, i disordini del pensiero, e altre possibili cause
organiche. E’ cruciale valutare aree multiple di funzionamento e assumere informazioni da più fonti
(familiari, insegnanti e bambino) in differenti setting (a scuola, a casa). Nella valutazione classica,
alcune combinazioni dei seguenti strumenti di misura potrebbero includere:
Child/Adolescent
• Trauma Symptom Checklist for Children (TSCC, Briere)
• UCLA Trauma Reminders Inventory, Children’s PTSD-Reaction Index (Pynoos)
• Adolescent-Dissociative Experiences Scale (A-DES, Putnam)
• Youth Self-Report (YSR, Achenbach)
• Children’s Depression Inventory (CDI, Kovacs)
Parent/Caretaker
• Child Behavior Checklist (CBCL, Achenbach)
• Child Dissociative Checklist (CDC, Putnam)
• Child Sexual Behavior Inventory (CSBI, Friedrich)
• Traumatic Events Screening Inventory (TESI, Ford)
Strumenti di valutazione per insegnanti
Il questionario per insegnanti (TRF, Achenbach). Informazioni più dettagliate su tali strumenti e la
loro efficacia sono meglio descritti in altre fonti (Friedrich, 2002; Ohan, Meyers, & Collett, 2002;
Pearce & Pezzot-Pearce, 1997; Briere & Spinazzola, in press).
11. Approcci al trattamento del trauma complesso nei bambini
Approcci Phase-Based
Gli interventi rivolti ai bambini e adolescenti traumatizzati devono essere rivolti agli specifici
domini coinvolti nel trauma complesso. Il trattamento deve proporsi quattro obiettivi centrali: 1) la
25
sicurezza dell’ambiente di vita abituale del bambino (casa, scuola e ambiente sociale, 2) sviluppo
delle competenze nella regolazione emotiva e nel funzionamento interpersonale, 3) elaborazione del
significato dell’esperienza traumatica in modo che il giovane possa assumere prospettive più
positive e adattive e aumentare la fiducia verso il futuro, 4) rafforzare la resilienza e la rete
dell’integrazione sociale.
Il problema principale è relativo alla sicurezza e molti sforzi sono impegnati nel sopravvivere in un
ambiente continuamente traumatizzante. Quindi, la prima fase del trattamento deve concentrarsi
sulla creazione di un sistema di cura e di sicurezza nel quale il bambino e la famiglia possono
iniziare a sviluppare benessere. Spesso, questo significa per il clinico collaborare con i servizi di
protezione per l’infanzia e il sistema giudiziario per sviluppare un ambiente di vita più sicuro. E’
importante anche coinvolgere la famiglia e la scuola così come altre figure di supporto importanti al
fine di creare una rete che crei sicurezza nell’ambiente di vita.
Successivamente, è possibili iniziare il trattamento psicosociale per il recupero dei danni causati
dall’abuso e riabilitare le abilità perdute o mai formatesi. Lo sviluppo di queste abilità di base come
ad esempio la capacità di riconoscere i propri sentimenti e costruire relazioni interpersonali
avvengono nel contesto terapeutico e con il coinvolgimento dei care giver affinché essi possano
continuare il rinforzo del lavoro anche fuori del settino ambulatoriale. L’obiettivo finale è la
trasmissione e il mantenimento di tali abilità nel quotidiano. Questo sforzo finale può avere radici
nel trattamento ma necessita della collaborazione della famiglia e delle agenzie sociali.
Perché un intervento Phase-Based?
Vi è consenso circa il fatto che l’intervento debba svilupparsi per fasi o approcci sequenziali. La
ricerca con adulti traumatizzati indica che i trattamenti nei quali vi è una simultaneità del lavoro su
tutti gli aspetti tendono a creare un sovraccarico di informazioni tale da impedire un pieno
apprendimento. Questo risulta soprattutto vero con i bambini, che elaborano più lentamente le
informazioni. L’ordine sequenziale del trattamento è tale che per cui gli apprendimenti di una fase
servono da base per quelle successive. Il processo non è lineare per cui è possibile dover rivisitare
una fase precedente del trattamento.
La sicurezza deve in ogni caso essere garantita sia la bambino che alla sua famiglia. Non è possibile
alcun apprendimento quando si deve lottare per la propria sopravvivenza. Il focus del trattamento in
questa fase precoce deve coinvolgere ampiamente la costruzione di una rete per il bambino e la
famiglia. I clinici lavoreranno accanto ai servizi di protezione per l’infanzia, al sistema scolastico
provvedendo a sviluppare sicurezza, il piano del trattamento sarà orientato ai bisogni del bambino e
26
della sua famiglia. Nella relazione terapeutica il focus riguarda il come costruire fiducia e una
relazione di lavoro positiva.
La regolazione delle emozioni costituisce la seconda fase necessaria per aiutare i clienti a rivedere
le loro esperienze traumatiche. Una volta che il bambino possiede efficaci metodi di coping e una
aumentata capacità di regolare le emozioni, diviene anche più abile nel comunicare ed elaborare i
ricordi traumatici. Questo processo porta a diminuire l’angoscia derivante dalla storia di abuso e a
ridurre la reattività verso gli inevitabili riattivatori traumatici (scuola, strade, suoni) nel loro
ambiente. Lo sviluppo della regolazione emotiva attraverso le abilità sociali permette al giovane di
vedere sé stesso come diverso dalla persona che era al tempo degli eventi traumatici. Il contrasto tra
ciò che era durante questi eventi e chi è diventato fornisce una visione più fiduciosa di sé stessi e
l’adozione di una prospettiva in cui il cambiamento è possibile.
L’obiettivo dell’ultima fase del trattamento è instillare i principi della resilienza in modo tale che il
giovane possa continuare il proprio sviluppo in modi positivi, funzionali e salutari per prevenire
future vittimizzazioni o aggressioni. La quarta fase dell’intervento comporta il rinforzo in tal senso
(De Rosa e all, 2003) e prevede il coinvolgimento del giovane in progetti creativi o programmi
rivolti ai giovani, il lavoro con le famiglie e la comunità per rafforzare la sicurezza e incoraggiare
lo sviluppo di propri talenti. L’esperienza traumatica può quindi cominciare a essere concepita
come una parte della storia piuttosto che solo come un aspetto centrale di essa.
Programmi di trattamento del trauma complesso per bambini e adolescenti
La maggior parte dei programmi di cura sono stati sviluppati nei contesti dei servizi per la salute
mentale, negli ospedali e nelle scuole a partire da studi su adulti. Molti modelli sono stati creati
specificatamente per i bambini traumatizzati di differenti età e per le loro famiglie ((Cloitre et al.,
2002; Cohen & Mannarino, 1998; DeRosa, et al., 2003; Hembree-Kigin & McNeil, 1995; Kagan, in
press; Lieberman, et al., 1997; Lyons Ruth & Jacobvitz, 1999; Rivard et al., 2003).
Il trattamento rivolto a bambini molto piccoli e a neonati è impostato sull’osservazione diadica
(Hembree-Kigin & McNeil, 1995; Lieberman et al., 1997; Lyons Ruth & Jacobvitz, 1999).
L’attaccamento è sostanzialmente collegato allo sviluppo della salute mentale, la sintonizzazione
problematizzata dall’esperienza traumatica diviene l’obiettivo prioritario del trattamento. Il
bambino ha migliori possibilità di recupero e salute quando l’intervento è fin da subito centrato
sulla relazione primaria.
Per bambini in età di latenza che sono stati abusati sessualmente /Cohen e Mannarino, 1998) è più
appropriato un programma trattamentale nel quale il bambino partecipa ad un intervento breve
specifico sul trauma mentre i genitori partecipano a sessioni separate per essere aggiornati
27
sull’andamento della cura con il figlio e apprendere modalità di sostegno e di coping funzionali ad
aiutare il figlio. Questo modello riduce l’insorgenza di una sintomatologia depressiva e incrementa
le competenze sociali. Kagan (in press) ha sviluppato un programma (Real Life herpes) rivolto a
bambini traumatizzati che utilizza arti creative, lavori autobiografici e la metafora dell’eroe per
aiutare i bambini e i loro genitori ad aumentare le abilità di superare il trauma e costruire
attaccamenti sicuri.
Altri modelli sono stati individuati per la cura di ragazze vittime di abuso sessuale o fisico (Cloitre,
Koenen, Cohen & Han, 2002) o di violenza assistita (DeRosa e all 2003). Cloitre e colleghi hanno
sviluppato un trattamento in 16 sessioni organizzato nelle tre fasi precedentemente descritte:
formazione sulla gestione delle abilità emotive e l’efficacia nelle relazioni interpersonali, il racconto
della storia di abuso e la costruzione della resilienza. DeRosa e colleghi hanno messo a punto un
modello “Managing the moment” che implica strategie di aiuto per la gestione e la regolazione
degli affetti e degli impulsi più efficaci nel “qui e ora” nei momenti di riattivazione post traumatica
o particolarmente stressanti. Altri metodi sono il Building Coping Strategies e l’Enhancing
resiliency (migliorare la resilienza) fondati su metodi di problem solving che sembrano più efficaci
nel supportare il trattamento di altri orientati solo ad affrontare i sintomi del PTSD, la regolazione
delle emozioni, la depressione, la dissociazione, la rabbia e le competenze sociali (Cloitre, 2002).
E’ comunque necessario individuare linee guida e standard per il trattamento del trauma complesso
a partire dalla consapevolezza che non è possibile generalizzare gli interventi, che vanno calibrati
anche in base alle singolarità, a partire comunque dal fatto che le decisioni cliniche che riguardano
gli interventi sul trauma complesso devono iniziare dopo una valutazione onnicomprensiva dei
bisogni del bambino, degli esiti sullo sviluppo e dei punti di forza , al fine di provvedere alla
individuazione del trattamento empirico più adatto.
La comunità
La maggiore accessibilità dei servizi di salute mentale ha favorito lo svilupparsi di programmi
comuni ad esempio le scuole, i servizi per l'infanzia, i rifugi, i tribunali della famiglia). La scuola è
un interlocutore privilegiato sul quale è importante puntare al fine di fornire un accesso agli studenti
che hanno bisogno di servizi di salute mentale, per poter sviluppare programmi di informazione sul
trauma, per poter lavorare su una popolazione più ampia di bambini e adolescenti che continuano a
vivere in ambienti cronicamente stressanti e instabili dove la violenza si verifica comunemente
(DeRosa, et al., 2003; Cook, Henderson, e Jentoft, 2003).
I bambini e gli adolescenti traumatizzati sono spesso quelli che nelle scuole o nei contesti
comunitari sono più facilmente individuati come "a rischio" a causa della cronica incapacità di
28
regolare l'attenzione, l’affetto e il comportamento. Questi deficit possono sfociare in collocamenti
in scuole specializzate e/o alternative, extrafamiliari ed il personale e gli insegnanti spesso
diventano le figure di attaccamento principali del bambino/adolescente. Pertanto, quando si lavora
con i bambini traumatizzati, i clinici devono considerare sia il bambino ma anche il suo ambiente di
crescita come obiettivi dell’intervento. Cook, Henderson, e Jentoft, (2003) propongono un modello
di lavoro con bambini traumatizzati nella comunità (ARC) che si concentra sul bambino e gli adulti
nel loro ambiente e comprende tre aree principali: (1) edificio sicuro: attaccamento tra bambino e
care giver; (2) rafforzare il sé: capacità di regolazione e (3) incrementare le competenze in più
domini.
Al fine di rafforzare l’attaccamento tra bambino e care giver è essenziale che siano sviluppati
quattro principi di base. Il primo è quello di creare un ambiente strutturato e prevedibile
attraverso l'istituzione di riti e routine. Questo comprende la gestione quotidiana del comportamento
e le regole educative. Il secondo è la valorizzazione della capacità degli adulti di "sintonizzarsi
emotivamente" con il bambino in modo da far sì che l’adulto risponda a questo livello di bisogno
piuttosto che in modo reattivo (dall’azione alla riflessione). Il terzo principio consiste nell’aiutare il
care giver a sostenere il bambino nel gestire con efficacia il proprio disagio emotivo.
A tal fine, è necessario che l’adulto individui e assuma una modalità di coping adattivo nei
confronti delle proprie emozioni suscitate da circostanze impegnative sotto questo profilo.
Il quarto principio si concentra sul bambino e sul rafforzamento delle sue abilità, sul creare
occasioni in cui possa sperimentarle in modo da aiutarlo ad identificarsi come competente piuttosto
che deficitario. Questi principi promuovono una maggiore sicurezza nell’attaccamento che
diventerà la base per lo sviluppo di tutte le altre competenze, compresa la capacità di regolazione
della attenzione, degli affetti e del comportamento. Va osservato che tali principi possono essere
applicati in diversi contesti come quello clinico, la scuola di base, l’ambiente domestico.
Il potenziamento delle capacità di auto-regolamentazione e delle competenze dei domini sono
obiettivi comuni tra gli approcci sui traumi specifici rivolti alla scuola (DeRosa et al., 2003; Cook et
al., 2003). L'obiettivo è quello di potenziare le risorse cognitive, emotive, fisiche, spirituali e il
talento (James, 1989). Esempi di tecniche utilizzate per promuovere la padronanza cognitiva
nell’ambito dell’ insegnamento sono il raccontare storie, la biblioterapia. La padronanza emotiva è
realizzata attraverso l'arte, il gioco, il corpo . I bambini che sono traumatizzati o trascurati spesso
mostrano una inibita capacità di giocare; altri possono rimettere in scena le loro esperienze. Il gioco
è essenziale per facilitare la guarigione e apprendere le competenze che saranno necessarie allo
sviluppo successivo (James, 1994). La padronanza fisica passa attraverso il coinvolgimento in
attività fisiche come yoga, musica, movimento, sport che a scuola possono essere inclusi nel lavoro
29
individuale e di gruppo. Inoltre, tali attività dovrebbero essere incluse nella pianificazione del
trattamento, come metodo ausiliario o terapia integrativa. Queste attività supportano i bambini in
vari modi, tra cui: (1) la ricerca di un nuovo veicolo di espressione che diminuisce l'eccitazione ed
ha una funzione calmante; (2) acquistare fiducia nell’ ambiente; (3) diminuisce l'isolamento e, (4)
sviluppa strumenti accessibili (visivi, tattili, uditivi, cinestetici) per far fronte al disagio (Macy, R.,
Macy, D., Gross, S., Brighton, P., & Rozelle, D., 1999-2003).
Trattamenti orientati alla corporeità e alle attività possono insegnare ai bambini a cambiare le loro
risposte fisiologiche agli stimoli minacciosi e ciò li condurrà verso un miglioramento nel loro.
Queste tecniche sino particolarmente efficaci con i bambini che hanno subito maltrattamenti fisici
che hanno distorto la loro immagine corporea (James, 1989). Infine, è importante costituire un
forum di tutoraggio per affiliare, integrare e socializzare tutto ciò che è essenziale a migliorare la
resilienza. I principi della del modello orientato alla scuola sono progettati per essere applicati in
altri tipi di comunità, comprese le comunità residenziali, i sistemi di cura, le agenzie di protezione.
Al fine di stimolare un significativo cambiamento sistemico nei bambini traumatizzati, è imperativo
lavorare a stretto contatto con questi sistemi comunitari in modo che la fase iniziale sulla sicurezza
in primo luogo e poi la costruzione di abilità, che significa fare, e rafforzare la resilienza possa
essere attuato su vasta scala.
Interventi psicofarmacologici
Gli interventi psicofarmacologici per bambini traumatizzati e adolescenti sono da considerarsi
soprattutto aggiuntivi al trattamento psicosociale. Essi possono aiutare nella gestione dei sintomi
che potrebbero interferire con l'attenzione e l'apprendimento richiesti nel trattamento psicosociale o
che possono minacciare un collocamento. Comunque, farmaco deve essere utilizzato solo in
combinazione con un trattamento specifico del trauma e non in sua sostituzione. Sei studi aperti
sono disponibili e pubblicati in letteratura medica sui positivi esiti sul trattamento del PTSD nei
bambini. Gli inconvenienti di questi studi riguardano l’esiguità dei campioni. Recenti studi sull'uso
degli agenti selettivamente inibitori della serotonina (SSRI) hanno mostrato risultati promettenti. In
generale, l’intervento farmacologico dovrebbe essere riservato ai casi più estremi, quando sussiste
comorbilità, o come complemento ad altre forme di trattamento. Ulteriori ricerche in questo settore
sono comunque necessarie per valutare l'efficacia e la sicurezza dei farmaci per il loro uso e le
condizioni di effettiva utilità.
Trattamento del Trauma complesso: sintesi
30
I dati preliminari utili per valutare l’efficacia del trattamento dei traumi complessi suggeriscono
che essi si rivelano utili nel fornire un sollievo dai sintomi, migliorano la gestione delle competenze
sociali ed emotive e che sono superiori
alle non specifiche terapie di sostegno.
Questi programmi, tuttavia, ancora in fase di sviluppo. Sono necessari ancora molti studi e molti
anni per testare i tratti salienti dei trattamenti e adattarli a popolazioni culturalmente e
geograficamente diverse. Inoltre, è fondamentale che gli studi e il NCTSN continuino a sviluppare
ed esplorare nuovi interventi multi-modali empiricamente fondati, affrontare gli opportuni
adattamenti ai traumi complessi, pur fornendo agli specialisti l'accesso alle formazioni necessarie
per implementare, modificare e valutare l'efficacia dei trattamenti attuati nelle varie popolazioni di
bambini con trauma complesso. Infine, vi è consenso sul fatto che gli interventi dovrebbero
costruire punti di forza e allo stesso tempo ridurre la sintomatologia. In questo modo, il trattamento
per bambini e adolescenti serve anche come programma di prevenzione per gli esiti in età adulta.
12. Raccomandazioni per future direzioni
1.Aumentare la consapevolezza pubblica e professionale sui traumi complessi cronici nei bambini e
negli adolescenti.
2. Sviluppare un continuum completo di cure basato sul modello orientato per fasi fase di
trattamento per il trauma complesso.
3. Aumentare la collaborazione tra le agenzie sociali e le organizzazioni che seguono i bambini
traumatizzati e i loro caregivers.
4. Riconoscere e affrontare i seguenti obiettivi di intervento nel trattamento multi-modale con
bambini traumatizzati in modo complesso:
a. aumentare la sicurezza esterna
b. sviluppare la sicurezza interna e la competenza
c. modificare la traiettoria di sviluppo verso la promozione della salute
d. promuovere la salute nelle relazioni di attaccamento primario e nei supporti sociali
5. Sviluppare, implementare, diffondere e sostenere programmi di prevenzione e servizi che
riducano l'esposizione dei bambini alla violenza in casa, a scuola e nella comunità.
Raccomandazioni per i ricercatori che studiano il Child Complex Trauma
1.Implementare
studi
epidemiologici
sugli
esiti
dell’esposizione
al
trauma
complesso
2.Condurre e sviluppare sperimentazioni sui trattamenti orientati per fasi
3. Esaminare e valutare programmi promettenti e modelli di intervento innovativi (ad esempio nella
giustizia minorile, nella salute mentale) e tentare di raggiungere la popolazione dei bambini
traumatizzati attraverso molteplici contesti
31
4. Stabilire e coltivare collaborazioni tra ambienti accademici e comunità sanitarie per sviluppare e
testare su base comunitaria e culturalmente rilevante adeguati interventi di cura
5. Aumentare il focus sulla comprensione delle caratteristiche dei giovani resilienti e l'impatto dei
punti di forza dei trattamenti e le iniziative concentrate sulla costruzione di competenze e la
resilenza nei bambini e adolescenti traumatizzati.
Raccomandazioni per i Politici
1. Riconoscere che il trauma complesso è un problema di salute pubblica che riguarda milioni di
bambini negli Stati Uniti ogni anno
2. Impegnarsi a colmare il divario tra le esigenze di cura dei bambini e delle famiglie e la
disponibilità delle risorse
3. Aumentare la consapevolezza circa l’importanza degli interventi rivolti ai bambini esposti a
trauma complesso, ma anche che essi devono essere integrati in tutti i sistemi di vita dei bambini
4. Supportare la creazione e la progettazione di servizi statali, federali e la formazione tramite
finanziamenti dedicati, per aumentare le conoscenze e la comprensione del fenomeno e facilitare
l’accesso alle risorse ai bambini e alle famiglie colpiti da trauma infantile complesso.
5. esercitare pressione affinché siano inseriti programmi di intervento e di prevenzione per il trauma
complesso infantile nei bilanci degli enti locali, negli stati federali con una gestione integrata delle
risorse tra cui il dipartimento della Difesa, della Giustizia, l'Istruzione e la Salute, i Servizi; il
Center for Disease Control e la Substance Abuse and Mental Health Services Administration
6. Riconoscere che un aparità diagnostica del trauma complesso infantile nel DSM-V al fine di
migliorare la comprensione del complesso quadro clinico degli esiti di traumi nei bambini e negli
adolescenti, sviluppare linee guida per il trattamento.
32
13. Un sondaggio sul Trauma Complesso: il National Child Traumatic Stress Network
Il NCTSN ha condotto una ricerca sull’ esposizione al trauma complesso, sui risultati dei
trattamenti rivolti ai bambini colpiti da trauma complesso e alle loro famiglie attraverso un
questionario diffuso nei servizi associati al nostro network nel 2002. I dati aggregati riguardano
1.699 bambini e 25 siti della rete (Spinazzola et. al., 2003). Questo campione rappresenta
circa il 15% della popolazione totale dei bambini in carico ai servizi della rete nel corso di una
trimestre. Risultati hanno rivelato che la stragrande maggioranza dei bambini servita dalla rete
(78%) è stata esposta a traumi molteplici e prolungati (tre tipi di traumi associati). L’esposizione al
trauma
si
verifica
in
genere
precocemente,
con
una
media
età di esordio di 5 anni. Inoltre, il 98% dei medici intervistati riportato un trauma di media entità
prima
degli
11
anni,
e
il
93%
ha
riferito
un
esordio
verso
gli
8
anni.
La vittimizzazione interpersonale è uniformemente emersa come la forma più diffusa di esposizione
al trauma, di solito intradomestico (vedi Figura 1). In particolare, ciascuno dei seguenti tipi di
esposizione al trauma è stato segnalato per circa la metà dei bambini intervistati: maltrattamento
psicologico (CEA, cioè, verbali abuso, maltrattamento psicologico o trascuratezza emotiva); perdita
traumatica; compromissione del caregiver (cioè, la malattia mentale dei genitori o abuso di
sostanze), e la violenza domestica. Queste esperienze sono strettamente associate a maltrattamenti
sessuali / violenze(CSA), e all'abbandono (cioè, trascuratezza fisica, medica, o di istruzione) in un
tezo del campione. Una più piccola ma significativa % di bambini presenta storie di maltrattamento
fisico/violenza CPA) o è stato vittima di atti di terrorismo negli Stati Uniti. Forme di esposizione
trauma che non prevedono la vittimizzazione interpersonale sono risultate significativamente meno
comuni: meno di uno su dieci inclusi nell'indagine anche i bambini esposti a gravi incidenti,
malattie o disastri.
L'indagine ha inoltre rivelato che una grande percentuale di bambini esposti a traumi complessi
presentano diverse forme di disturbi post-traumatici non contemplati degli standard del PTSD,
nella depressione o nella diagnosi di disturbo d'ansia (vedi figura 2). In particolare, il 50% o più dei
bambini intervistati hanno evidenziato disturbi significativi nei seguenti ambiti: la regolazione degli
affetti; attenzione e concentrazione; immagine di sé negativa, controllo degli impulsi e aggressività,
vittimizzazione. Inoltre, sono stati riportati significativi problemi di somatizzazione, nella relazione
di attaccamento, disturbo della condotta, interessi sessuali, reattività o esitamento e dissociazione in
un terzo del campione.
Per visualizzare i grafici, che non sono scaricabili, occorre andare sul Sito
33
Nonostante la vasta gamma di interventi che risultano disponibili per il bambino esposto al trauma
complesso non è chiaro il consenso emerso dai clinici sulla effettiva efficacia relativa alle modalità
di trattamento attuate. In particolare, 5 delle 7 modalità di intervento individuate dai clinici
sembrano essere considerate più efficaci per il trattamento dei traumi complessi: play therapy,
terapie espressive, terapia multisistemica,
terapia di gruppo, e anche di auto (?) self-
managment/coaching. Solo la terapia individuale settimanale
e quella familiare sono state
unanimemente considerate efficaci modalità con questo target di popolazione. La terapia
farmacologica e home-therapy sono state considerate piuttosto inefficaci. Tuttavia la maggioranza
dei medici intervistati ha spontaneamente individuato il coinvolgimento attivo dei caregivers nel
trattamento dei bambini come un elemento fondamentale della efficacia del trattamento. Un certo
numero di medici ha anche rilevato una certa utilità degli approcci combinati; come pure la
necessità di adeguare i servizi di intervento alle esigenze specifiche dei bambini sulla base di fattori
contestuali che comprendono la fase di sviluppo, il contesto socio-culturale e la disponibilità di
risorse ambientali. Infine, diversi medici hanno sottolineato l’importanza del coordinamento tra
servizi in tutti i settori (ad esempio, le scuole, salute mentale, servizi sociali) al fine di garantire
interventi efficaci ai bambini esposti a trauma complesso.
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Citation for this Document:
Cook, A., Blaustein, M., Spinazzola, J., & van der Kolk, B. (Eds.) (2003).Complex trauma in
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COMPLEX TRAUMA IN CHILDREN AND ADOLESCENTS
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