ad duas lauros - Fotografia e Reflex Il mondo della Fotografia come

AD DUAS LAUROS E CENTUM
CELLAE.
NOTE E VALUTAZIONI STORICHE
di Maurizio Fedele
Le Diocesi Tuscolana-Subaugusta, Ad Duas Lauros e la Via Labicana asse portante del
Cristianesimo e del passaggio di poteri fra Impero e Chiesa fino al VII sec. d.C. . I monumenti e le
vestigia archeologiche di Torpignattara e Centocelle, lungo la Via Casilina, sono la più grandiosa
testimonianza di un periodo storico cruciale: il progressivo travaso di poteri istituzionali e cultura
dall'Impero alla Chiesa, attuato nel periodo fra il III e il VII sec. d.C. .
In epoca classica, fino a Costantino, le diocesi avevano un significato amministrativo e si riferivano ad
entità intermedie tra le Prefetture e le Province. Successivamente, quando sopraggiunse la crisi
dell'Impero Romano, l'organizzazione della Chiesa di Roma si sostituì all'organizzazione imperiale,
mettendo i vescovi a capo delle diocesi, che mantennero le attribuzioni civili.
Nel 313 fu indetto un sinodo a Roma da papa Melziade, su incarico dell'imperatore Costantino, per
sconfiggere lo scisma voluto dall'arcivescovo Donato di Cartagine. Al sinodo partecipò il vescovo
Zoticus ad Quintanas della diocesi tuscolana. questa la prima sede episcopale della Campagna Romana
ad essere ricordata, insieme ad altre, quali Ostia, Porto, Palestrina. Ad Quintanas era il nome della
stazione di sosta e ristoro sorta ai piedi del colle dell'attuale Colonna, all'incirca dove si trova torre
Pasolina. Da questa stazione aveva avuto origine la città di Labico Quintanense, prospiciente la via
Labicana, a cui diede il nome.
Ed è la via Labicana a divenire l'asse portante del Cristianesimo. Infatti Costantino donò alla
Chiesa il Fondum Laurentum, ossia AD DUAS LAUROS, che si trovava lungo tale via. Il fondo era
costituito da una serie di possedimenti sparsi, compreso il territorio tuscolano. Qui l'imperatrice Elena,
madre di Costantino, si fece seppellire nell'imponente mausoleo di sua proprietà, che porta il suo nome.
Comunicante con il mausoleo di S.Elena fu edificata, nello stesso periodo, la basilica dei SS.Pietro e
Marcellino sulle catacombe dei martiri omonimi. Mausoleo e Basilica si trovano nell'attuale
Torpignattara. Con la villa imperiale "ad duas lauros" formano il complesso di Subaugusta.
Nel V sec. Subaugusta era una diocesi che si estendeva dalla chiesa di S.Croce in Gerusalemme
fino ad Ad Duas Lauros. Sede della diocesi Subaugusta fu Ad Duas Lauros (dove si trovavano sepolti
80 martiri cristiani). Ormai il Cristianesimo aveva preso piede all'interno della corte imperiale e fra i
militari, seguaci fino ad allora del mitraismo e, quindi, la sede vescovile fu messa presso la villa imperiale
suburbana dei Flavi e gli acquartieramenti dei soldati, nell'attuale Centocelle. Il nome Centocelle quindi
deriva da Centum cellae, cioè dai numerosi box della cavalleria dei Flavi.
Non è certo se Subaugusta avesse un suo vescovo, oppure se ospitasse il vescovo di Labico
Quintanense e fosse diventata la nuova sede della diocesi tuscolana. Si sa che presso il monumento
sepolcrale romano, che divenne forse nel V sec. l'oratorio detto cryptaferrata, si trova la lapide dedicata al
vescovo Fortunato. Ma non si sa se Fortunato fosse vescovo di Labico o vescovo di campagna. Non
era rara, infatti, nel territorio laziale la presenza di comunità cristiane rurali autoctone con il loro clero e
presbiteri.
Nel 455 in tale villa fu trucidato l'imperatore d'Occidente Valentiniano III. Quest'ultimo prima di essere
ucciso aveva dato alla sede vescovile di Roma l'autorità che ha mantenuto fino ad oggi, ordinando ai
vescovi delle sue province di accettare come legge tutto ciò che sarebbe stato sanzionato dalla Sede
Apostolica, cioè dal vescovo di Roma.
Questa disposizione imperiale segna un passaggio storico epocale: il travaso di poteri fra Impero e
Chiesa. Il papa, divenendo di fatto erede dell'ordinamento imperiale, sottrasse la latinità al naufragio
barbarico. L'opera dei papi e dei vescovi divenne quindi quella di custodire l'eredità culturale romana e
la civiltà occidentale, anche grazie ai monaci operanti nelle abbazie.
Si trova traccia dei vescovi di Subaugusta finchè la guerra greco-gotica (535-553) travolse la diocesi,
come il resto d'Italia. La devastazione della Campagna Romana provocò il collasso delle infrastrutture
romane (acquedotti, strade, ponti), e le grandi ville fuori città dovettero essere abbandonate.
Nel VII sec. venne completata la rete diocesana in Italia. Nel Lazio, dove i vescovi suburbicari o
suburbani erano sette, la rete diocesana venne impostata sulla maglia delle strade principali: la ClodiaClaudia, la Flaminia, l'Amerina, l'Appia, la Labicana e la Latina.
Bibliografia:
- Dal ‘praedium’ imperiale al santuario dei martiri. Il territorio ‘ad duas lauros’, in Società romana e
impero tardoantico, II, Roma-Bari 1986, pp. 299-232.
- L. Pani Ermini, Santuari martiriali e centri di pellegrinaggio in Italia fra tarda antichità e alto
medioevo, in Akten des XII. Internationalen Kongresses für Christliche Archäologie (Bonne 22.-28.
September 1991), Città del Vaticano 1995, pp. 123-151.
- F. W. Deichmann, Archeologia cristiana, Roma 1993, pp. 59-67.
- Ph. Pergola, Le catacombe di Roma, Roma 1997
AD DUAS LAUROS
La denominazione latina deriva probabilmente da due grandi alberi di alloro (lauros), esistenti nella zona,
che sarebbero stati lasciati come testimoni di un bosco distrutto, oppure potrebbero trarre origine dalla
decorazione di un padiglione imperiale recante un doppio lauro. L'area archeologica consta di un
edificio sopraterra, il Mausoleo di S. Elena, di una serie di cunicoli sotterranei, le catacombe dei SS.
Marcellino e Pietro, e di una basilica dedicata ai medesimi santi, oggi completamente interrata. Si hanno
inoltre notizie dell'esistenza di un cimitero degli Equites singulares, corpo scelto delle milizie imperiali
che godevano di particolari privilegi, tra i quali, anche quello della sepoltura nella proprietà imperiale.
Diverse ricerche sono state effettuate da Thomas Ashby e Giuseppe Lugli circa la presenza di una villa
dei Flavi Cristiani, impiegata come luogo di sosta degli imperatori e del Campo Marzio, zona compresa
nelle vaste proprietà imperiali ad oriente di Roma riservato al corpo scelto degli Equites singulares. Il
sepolcro delle milizie scelte non è, secondo i ricercatori, l'unico cimitero pagano della zona. Gli stessi
Ashby e Lugli sottolineano che, nell'area, esistevano probabilmente tombe e mausolei fin dal tempo di
Augusto. "Dal Fosso della Maranella - scrivono - fino alle mura di Roma non si incontrano che scarsi ruderi e per
la maggior parte sepolcri". La sospensione dell' uso del cimitero degli equites avvenne verosimilmente
intorno al 313/315, nel periodo costantiniano. Le pietre tombali non hanno consentito la definizione
dei confini del sepolcreto, poiché molti di questi reperti sono stati distrutti durante la posa delle
fondamenta dell'antica basilica costantiniana. Non è chiaro il rapporto esistente tra il fondo imperiale, il
sepolcro dei cavalieri e i reperti cristiani. È certo, comunque, che quando l'area divenne patrimonio
dell'Augusta Elena la zona, già santificata dalle sepolture dei martiri cristiani, godeva di particolari
attenzioni da parte della madre di Costantino, come dimostrano le ricorrenti donazioni. II territorio
assume anche la denominazione Subaugusta, per indicare i possedimenti imperiali di campagna che si
estendevano dal Mausoleo all'odierna Centocelle. Dopo la morte di Elena la proprietà Ad Duas Lauros
fu assegnata alla chiesa e che, con papa Fabiano, disegnò nuovamente, per una amministrazione più
organica, le zone cimiteriali. Un passo significativo tratto dal Liber Pontificalis relativo alla vita di
papa Silvestro (314 - 35) rivela l'esistenza di un fundus laurentus definito possessio Augustae Helenae, che si
estendeva dalla porta Sessoriana - attuale Porta Maggiore - fino alla via Latina e, a sud, fino al Mons
Gabus, a Centocelle.
GLI EQUITES SINGULARES
Gli Equites Singulares, probabilmente creati da Traiano, erano una scorta a cavallo di 1.000 uomini, e
non una propria guardia del corpo degli imperatori romani del II e III secolo d. C. (come riportano
altre fonti). Come documentano le iscrizioni, seguivano l'imperatore in battaglia ed è molto probabile
che la truppa a cavallo raffigurata nella scena XXXIX della colonna Traiana rappresenti gli Equites
Singulares che accompagnano l'imperatore nella battaglia contro i Daci. Gli stessi cavalieri sono i
protagonisti della scena LXXIV incisa sulla colonna di Marco Aurelio in occasione della parata
imperiale. A Roma gli Equites Singulares coprivano un ruolo fondamentale: garantire la sicurezza
dell'imperatore. Occupavano le caserme (castra priora e castra nova) sul Celio e il Laterano e la necropoli
nell'area del praedium imperiale Ad Duas Lauros lungo la via Labicana. I soldati venivano scelti
dalle unità di cavalleria dislocate al confine estremo dell'impero e precisamente dalle regioni sul Reno e
sul Danubio. Dovevano aver maturato un'esperienza di cinque anni negli altri reparti dell'esercito, e il
loro servizio durava complessivamente 25 anni. Con il reclutamento essi ottenevano la cittadinanza
romana e con essa, come era consuetudine, il nome dell'imperatore regnante. La selezione dai reparti
regolari e la concessione della cittadinanza mostrano la volontà dell'imperatore di avvalersi di una
truppa di èlite il più efficace possibile. Gli Equites formavano una unità (numerus) che fino ai tempi di
Settimio Severo era strutturata come un'ala miliaria e da Severo in poi come due alae quingenatiae ognuna
con un proprio tribuno ed una propria caserma. L'unità era divisa in Turmae di cento uomini ognuno
con i propri graduati: un decurio, un duplicatvus, un sesqu plicatius, un signifer, un armorum custos ed un curato.
Venivano generalmente addestrati come specialisti nel mestiere delle armi e spesso trasferiti come
decurioni in altri reparti in modo che l'unità selezionata poteva seguire un vero e proprio "corso
specializzato" all'interno della cavalleria romana. I tributi degli Equites erano persone di fiducia
dell'imperatore e spesso raggiungevano la posizione di prefetto e pretorio, il secondo grado per
importanza in tutto l'impero Gli Equites Singurales veneravano gli dei dello stato e dell'esercito romano
e quelli dei loro paesi di origine sul Reno e sul Danubio nonché gli dei particolari della truppa:
Campestres (per le armi) ed Epona (per i cavalli). Sui loro cippi funerari troviamo molto spesso raffigurate
fra due maschere acroteriali, il banchetto funebre ed il soldato su un cavallo decorato con gualdrappa
guidato mediante lunghe briglie da un uomo a piedi vestito di corta tunica, immagini che mostrano
visioni dell'aldilà proprie dei Traci che ebbero grande influenza sugli Equites e sui cavalieri di altri paesi.
Numerosi sono stati i ritrovamenti di iscrizioni riguardanti gli Equites nella regione Ad Duas Lauros,
ma le pietre tombali sparse lungo una vasta area ai margini dell'antica via Labicana non hanno
consentito una precisa ubicazione del sepolcreto. Moltissime iscrizioni tombali sono state ritrovate
durante gli scavi della basilica costantiniana (effettuati dagli archeologi EW Deichmann e A. Tschira
nel 1956) nelle fondamenta della stessa, altre invece sono andate distrutte con la costruzione degli
edifici scolastici delle Suore della Sacra Famiglia e della chiesa parrocchiale. Tutto questo conferma che
il cimitero degli Equites era situato nelle immediate vicinanze del mausoleo di Elena. Non è infondata
la tesi secondo cui la necropoli si trovasse proprio nella zona sulla quale sorse il complesso
costantiniano, il che avvalora l'ipotesi del desiderio di vendetta di Costantino nei confronti degli
Equites. Le prime pietre tombali, recano indicazioni della gente degli Ulpi risalenti all'inizio del II
secolo, l'ultimo nome gentilizio conosciuto è quello di Massimo. Molteplici frammenti di lapidi
funerarie, recano dediche a Massenzio e Diocleziano, ma non rendono noto i nomi dedicatori, e non
permettono di accertare se tali iscrizioni venissero poste da militari degli Equites o da altri. Alcune
pietre tombali, prima fra tutte quella di un certo Flavius Mocianus non possono essere state realizzate
prima del CXI secolo. Dalla metà del III secolo non troviamo più riferimenti certi riguardo gli Equites
Singulares, forse soltanto per la rarefazione delle iscrizioni sicuramente attribuibili ad essi o per la
scomparsa della Truppa a causa della riforma dell'esercito. Tale scomparsa andrebbe posta in relazione
con il cessato uso dei Castra del Laterano intorno al 313 - 315 e con la costruzione della basilica
costantiniana del S. Salvatore al di sopra della schola equitum singularium. Lo scioglimento della truppa e la
distruzione del sepolcreto, può essere considerata la conseguenza di una domnatio memoriae decisa da
Costantino nei confronti dei "cavalieri" che nella decisiva battaglia di Saxa Rubra sul ponte Milvio per la
conquista dell'impero, si schierarono contro di lui a fianco della guardia pretoriana in favore di
Massenzio.
LE CATACOMBE DEI SANTI
MARCELLINO E PIETRO
L' intera regione di Torpignattara, come del resto gran parte della città, subì ingenti distruzioni durante
le invasioni dei Goti: la basilica e le catacombe vennero profanate e le epigrafi di papa Damaso
spezzate, ma rinnovate in seguito da papa Virgilio (537-544). A poco valsero gli interventi di restauro
commissionati dal pontefice Giovanni III (560-74), i danni arrecati dai barbari provocarono una grave
perdita per l'intera zona. Solo dopo l' intervento di papa Adriano I il cimiterium rinnovò
completamente il suo aspetto. Il sommo pontefice, infatti, fece costruire una scala di accesso alla cripta
dei santi martiri, ristabilendo, parallelamente, il tetto della basilica. Proprio il Liber Pontificalis di papa
Adriano cita il nome di Tibuzio accanto ai nomi di Marcellino e Pietro. Secondo gli archeologi
tedeschi Deichmann e Tschira, Tiburzio, nell' VIII secolo, è annoverato tra i santi della basilica ed è
chiaro, quindi, il fatto che le fonti medievali indicavano la basilica come chiesa di San Tiburzio. Ma le
reliquie del terzo, per gli studiosi, furono precedentemente traslate dall' originario sito catacombale al
sopraterra, se non nella basilica. Marcellino e Pietro, santi, martiri di Roma, nel 1256 loro resti furono
adoperati da papa Alessandro IV per consacrare l’altare maggiore della chiesa a loro dedicata. Sempre
loro reliquie non insigni vennero utilizzate per la riconsacrazione dell’altare il 28 aprile 1754 dal
cardinale titolare Vincenzo Malvezzi. I due martiri erano venerati dai pellegrini del VII secolo nel
cimitero "ad duas lauros", al terzo miglio della Via Labicana; la loro cripta fu scoperta nel 1896 (ingresso
in via Casilina, n.641). I resti vennero trafugati nell’827 da quattro monaci francesi per conto di
Eginardo e portati prima in Francia, poi in Germania a Seligenstadt, presso Magonza. A titolo di
riparazione furono donati a S. Pio V i corpi dei martiri Servanzio e Lamberto vescovo. Le reliquie di
Marcellino e di Pietro, nella seconda metà del XVIII secolo, risultavano anche in una chiesa a loro
intitolata a Cremona. "I santi Martiri Marcellino Prete e Pietro Esorcista, i quali, sotto Diocleziano, ammaestrando
in prigione molti nella fede, dopo crudele prigionia e moltissimi tormenti, dal Giudice Sereno furono decapitati nel luogo,
detto Selva Nera, che poi, in onore dei Santi, cambiato nome, fu chiamato Selva Candida. I loro corpi furono sepolti nelle
catacombe, vicino a san Tiburzio, e il loro sepolcro fu poi adornato con versi da san Damaso Papa" (Tratto dall'opera
«Reliquie
Insigni
e
"Corpi
Santi"
a
Roma»
di
Giovanni
Sicari
http://www.enrosadira.it/santi/m/marcellino-pietro.htm). Con ogni probabilità i furti delle salme dei
santi vennero commissionati dal clero tedesco o franco (siamo in epoca carolingia). Non molto tempo
dopo, durante il pontificato di Gregorio IV (827-844) anche Gorgonio e Tiburzio (gli altri due santi
sepolti nell' area Ad Duas Lauros) furono traslati in San Pietro. Tali episodi contribuirono ad un
decadimento complessivo della regione ma l' intera zona, fin dal IX secolo, conservò la sua tradizione
di edificio cimiteriale. Lo stesso mausoleo di S. Elena, seriamente danneggiato, continuò ad ospitare la
tomba della santa. Le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, le terze per estensione a Roma
dopo quelle di S. Callisto e S. Domitilla, comprendono un' area di circa 18.000 metri quadrati.
L' accesso attuale, situato lungo il viale che porta al Mausoleo di S. Elena, fù sistemato nel 1920. Gli
Itinerari rievocano i diversi gruppi di martiri: i SS. Marcellino e Pietro, S. Tiburzio, S. Gorgonio (in
intehore antro), i SS. Quattro Coronati (Clemente, Semproniano, Claudio e Nicastro, poi traslati al
Celio) un gruppo di XXX e XL martiri, tutte le vittime della grande persecuzione di Diocleziano (284305). Le pitture che affrescano le pareti della necropoli sono di importanza fondamentale per uno
studio scientifico degli antichi cimiteri cristiani. Gli studiosi delle catacombe hanno rilevato che le
superfici dei cunicoli, ricavati dalla pozzolanella, sono rivestite a volte da un particolare intonaco, altre
da una bianca tinteggiatura. Tale pratica mirava a preservare gli strati di pozzolana dal deterioramento
dovuto al contatto con l' aria e alle variazioni stagionali di umidità. La necropoli risale probabilmente al
periodo anteriore alla grande persecuzione di Diocleziano ed ebbe il suo momento di massimo
splendore nel corso del IV secolo. Oltre alle reliquie dei martiri Marcellino e Pietro vi era, come
abbiamo precedentemente evidenziato, anche quella di San Tiburzio, al quale venne dedicato nello
stesso periodo una cappella absidata a pianta rettangolare posta a circa 70 metri ad ovest del mausoleo
di S. Elena e tangente alla basilica costantiniana. I resti della cappella sono oggi inglobati in un edificio
sorto sul luogo appartenente alle Suore della Sacra Famiglia. Le catacombe furono abbandonate e
dimenticate fino al XVI secolo quando il Bosio se ne interessò direttamente portando alla luce
testimonianze in base alle quali riuscì a disegnare una pianta verosimile dell' antica catacomba. La rete
sotterranea è molto estesa e si svolge su due piani, articolandosi in varie regioni. Quella principale
comprende i sepolcri dei due martiri al primo piano, l' unico ad essere stato identificato con certezza.
Nella cripta si distinguono tre livelli: la galleria primitiva, dove i santi martiri furono deposti in due
semplici loculi; il piano risalente al IV secolo, dove fu eretta una piccola basilica absidata ottenuta
mediante l' abbattimento di gallerie preesistenti (qui venne deposta l' epigrafe elogiativa di papa
Damasco); infine il piano attuale del VI secolo. Al centro vi è il sito con i loculi dei due martiri. Le
pareti della cripta e delle gallerie adiacenti sono ricoperte da graffiti tracciati dai pellegrini che si
recavano a visitare il sepolcro. A sinistra dell'abside, in un cubicolo che forma il retro sanctos, è situata l'
iscrizione ove è riportata l' indicazione che rivela l' appartenenza del cimitero Ad Duas Lauros al titolo
di S. Eusebio. Particolarmente interessante per la pecularietà tipologica è la volta decorata con pitture
(la necropoli è considerata tra le più ricche) che rappresentano, al centro, il Salvatore nimbato (ai lati del
limbo le lettere x e o), con il libro dei Vangeli, seduto in trono fra S. Pietro; sotto, l' agnello sulla collina,
dalla quale nascono i quattro fiumi dell' Apocalisse: Fison, Geon, Tigri ed Eufrate. Ai lati sono
raffigurati i quattro martiri venerati nel santuario con i rispettivi nomi accanto: Gorgonius, Petrus,
Marcellinus, Tiburtius. In uno degli antri delle catacombe gli studiosi hanno individuato il luogo dove
furono sepolti i due martiri. La cripta è un luogo ampio, con un' abside che ricorda una piccola basilica.
Questa storica area di culto fu abbandonata quando le salme di Marcellino e Pietro vennero trafugate. Si
è potuto, comunque, ricostruire l' ambiente dove venivano celebrate le funzioni: i fedeli si raccoglievano
attorno ad un altare ricavato sopra i loculi sepolcrali dei martiri ed è possibile, ancora oggi, individuare
le mensole per le lucerne e i resti di marmo delle antiche iscrizioni. Attualmente sopra la piccola basilica
è situata la cappella delle Suore della Sacra Famiglia.
LA BASILICA COSTANTINIANA
Il Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro (3143-335) ha rilevato importanti notizie
riguardanti la presenza di una basilica dedicata ai SS. Marcellino e Pietro situata nella regione Ad
Duas Lauros:
EISDEM TEMPORIBUS FECIT AUGUSTUS COSTANTINUS BASILICAM BEATIS MARTYRIBUS MARCELLINO PRESBYTERO ET PIETRO EXORCISTAE, IN TERRITORIO INTER
DUAS IAUROS ET MYSELEUM UBI MATER IPSIUS SEPULTA EST HELENA AUGUSTA,
L'indicazione del libro papalino e' stata determinante poiché tanto gli antichi itinerari, quanto le storie
ecclesiastiche non segnalavano specificatamente la presenza di una chiesa paleocristiana nella regione.
Inoltre non erano presenti alcune tracce nel territorio, di conseguenza si tendeva a identificare il
mausoleo con l'edificio cristiano. La basilica funeraria sorse probabilmente intorno al 32 d.C., in epoca
costantiniana presentava caratteristiche architettoniche simili ad altre basiliche romane quali quelli di
San Lorenzo Fuori Le Mura, San Sebastiano e quella della Villa dei Gordiani. Lo stesso imperatore
Costantino fece realizzare l'edificio nel lato sud - ovest del Mausoleo di S. Elena, con il quale si legava
attraverso un atrio - cortile di forma rettangolare di ampie dimensioni (m 9,50 x 28,40). L'antica
planimetria venne ricostruita in seguito agli studi avviati alla fine del 1800 da Enrico Stevenson. Gli
scavi furono interrotti più volte fino al 1950 quando Deichmann e Tschira, dopo aver individuato
alcuni allineamenti murali, riuscirono a localizzare le parti essenziali di fondamenta della basilica. Le
parti murarie ancora visibili, di opus listatum, erano eseguite alternando due strati di tufo e uno di
mattoni. Nonostante i ritrovamenti, gli scavi si svolsero tra molte difficoltà: il terreno di studio, infatti,
era per un lungo tratto occupato da un'intensa coltivazione che ostacolo' le indagini. L'edificio
paleocristiano, orientato ad est, aveva il suo asse maggiore parallelo all'antica via Labicana (oggi via
Casilina), misurava 65 metri di lunghezza (col nartece), 29 metri di larghezza (compresa la muratura),
presentava la tipica pianta a forma di circo, divisa in tre navate da una serie di pilastri. La forma, la
tecnica di costruzione come pure l'uso dello stucco quale materiale decorativo, confermò l'affinità con
S. Sebastiano e, proprio tenendo presenti le caratteristiche della basilica sull'Appia, fu possibile
ricostruire verosimilmente SS. Marcellino e Pietro. Cosi' come a San Sebastiano anche intorno alla
basilica Ad Duas Lauros sorsero una serie di mausolei: uno di questi, sul lato meridionale, si trovava in
corrispondenza della sottostante tomba dei due martiri. In un periodo non identificato si verifico
un'importante opera di restauro che interessò tanto la basilica quanto il Mausoleo di S. Elena, scoperta
dagli studiosi grazie al rinvenimento di una malta rossastra distinguibile dalla malta grigio - verde delle
murature più antiche. Uno studio più accurato ha, invece, indicato la realizzazione dell'intero complesso
posteriore all'Editto di Milano il quale sancì la libertà di culto dei cristiani. L'antica basilica, minata dallo
scavo di alcune gallerie nelle catacombe, giunte fino alle sua fondamenta e, lasciata senza manutenzione,
a meno di presunti restauri al tetto e ai porticati, eseguiti sotto il pontificato di Benedetto IV (855-858),
si avviò alla definitiva rovina.
IL MAUSOLEO DI S. ELENA
Il monumento posto sulla facciata orientale della basilica attribuito ad Elena, madre di Costantino,
denominato popolarmente "Torpignattara", rappresenta una delle più interessanti costruzioni del
periodo tardo - romano. La sua origine risale intorno agli anni 326-330, posteriore quindi alle
catacombe e alla basilica, come testimoniano tanto i bolli laterizi quanto una moneta ritrovata nella
malta datata 324-326. L'utilizzo delle anfore (pignatte) era consueto nell'ingegneria romana, la loro
funzione era quella di favorire il processo di presa della malta all'interno delle possenti masse murarie.
Tra gli antichi edifici realizzati con tale tecnica ricordiamo il Circo di Massenzio, il Mausoleo di Valerio
Romolo, la Sala decagona del Ninfeo degli Orti Liciniani e la Sala ottagonale della Villa dei Gordiani.
Secondo alcuni studiosi l'imperatore Costantino avrebbe fatto costruire il Mausoleo per se e per la Casa
Imperiale, prima che egli decidesse di trasferire a Costantinopoli la capitale. Ciò è confermato dal fatto
che sulle pareti esterne del sarcofago sono riprodotte scene di guerra, senz'altro più attinenti
all'imperatore che non a sua madre. Costantino, infatti, stimava a tal punto le sue truppe da desiderare
di essere sepolto accanto a loro. Inoltre, dopo la sua conversione, nutriva insieme ad Elena una grande
devozione per i SS. Marcellino e Pietro sepolti nelle vicine catacombe e per i quali aveva fatto costruire
una basilica. Il grande sarcofago di porfido dove Elena fu sepolta era situato nella nicchia più
grande dal mausoleo prima del suo trasferimento in Laterano avvenuto nell'XI secolo. Oggi si trova
nella sala denominata "la Croce Greca" nei Musei Vaticani. Flavia Iulia Helena, nata in Bitinia intorno
al 250 d.C., era una donna di umili origini. Concubina di Costanzo Cloro (prima moglie secondo alcune
fonti, ripudiata in un secondo tempo, secondo altre) da cui ebbe Costantino, venne proclamata Augusta
dopo il 324 ed ebbe grande influenza sulla politica religiosa del figlio. Secondo la leggenda intraprese un
viaggio in Palestina dove avrebbe cercato e ritrovato la vera croce di Gesù, una parte della quale
sarebbe stata da lei portata a Roma e collocata nella basilica appositamente fatta costruire. La Chiesa le
attribuì molte virtù e la proclamò santa molto tempo dopo la sua morte avvenuta nel 330. Il suo zelo
religioso la indusse ad erigere, oltre alla basilica cimiteriale Ad Duas Lauros e il Mausoleo, diversi luoghi
di culto a Costantinopoli, a Roma (S. Croce in Gerusalemme) e a Betlemme (Basilica della Natività. Il
Mausoleo, oggi in parte crollato, e una grande rotonda realizzato con materiale laterizio proveniente in
parte dalla officina summae reifisci Domitiana, fornace fondata da Diocleziano. Originariamente era alta
25,42 metri, larga 27,74 metri di diametro esterno e 20,18 metri di diametro interno. La sua pianta
circolare comprendeva nel cilindro inferiore otto nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari,
una delle quali costituiva l'ingresso. La nicchia principale, di fronte all'antico atrio, larga 5,50 metri,
ospitava il grande sarcofago della santa ed è posta ad est, mentre altre otto finestre si aprono in
corrispondenza delle nicchie poste nell'anello superiore. Nel rinfianco, così come nella copertura a
cupola erano annegate le pignatte, tutt'ora visibile per il crollo parziale dell'edificio, utilizzate, come
evidenziato in precedenza, per diminuire il peso dei carichi laterizi gravanti. Data la superficialità degli
esecutori in fase di costruzione, il Mausoleo subì presto infiltrazioni di acqua piovana che minarono lo
stato di salute del monumento. Benché colpito e rovinato, continuò ad ospitare la tomba della santa
fino all'XI secolo. All'erosione dei fenomeni atmosferici si aggiunse però l'intervento umano, pietre e
marmi appartenenti all'edificio vennero utilizzati come materiale da costruzione. Nell'VIII secolo il
Mausoleo divenne una fortezza difensiva e, nel contempo, venne realizzato l'odierno ingresso dalla via
Casilina. Per una ricostruzione storica del monumento si dovrà attendere il XVI secolo quando, grazie
all'intervento di alcuni studiosi, fu avviato uno studio più accurato dell'edificio. Antonio Bosio, per
esempio, nel 1594 nel visitare il Mausoleo rilevò che al suo interno erano presenti alcune figure di santi
con tracce di diademi in mosaico. Da qui fu avallata l'ipotesi che quando il monumento passò in
proprietà della Basilica della San Giovanni in Laterano, era già adibito a luogo di culto cristiano.
Maurizio Fedele