Cap. 2 – Le promesse e i limiti del naturalismo
2.1 – Il dilemma di Wundt
Quando Wundt – Lipsia, 1879 – fondò la psicologia come scienza autonoma, riconobbe il suo
oggetto specifico nell’esperienza immediata, contrapposta all’esperienza mediata, che è invece
oggetto delle scienze naturali → l’esperienza è unitaria, ma può essere affrontata secondo sue vie,
quella della scienza naturale, che considera gli oggetti dell’esperienza nella loro natura, pensata
indipendentemente dal soggetto, e quella della psicologia, che investiga il contenuto
dell’esperienza nella sua relazione col soggetto e nelle qualità, che sono immediatamente attribuite
ad esso dal soggetto.
↓
psicologia: deve riferirsi all’esperienza reale, non deprivata della soggettività che la costituisce
↓
metodo introspettivo: non c’è altro modo che guardarsi dentro per vedere che cosa appare del
mondo all’interno della soggettività.
Per fondare una scienza della psiche bisognava però che tale analisi “interiore” non si confondesse
con lo “sguardo verso la propria interiorità dei poeti e dei filosofi”, ma che si trasformasse in una
metodologia scientifica in grado di offrire garanzie di attendibilità e validità.
↓
La separazione soggettivo-oggettivo, esperienza mediata-esperienza immediata, interno-esterno è la
base per operare attraverso i metodi della scienza naturale.
Fechner: concepisce la relazione tra corpo e mente come una relazione funzionale, in cui ciascuna
parte può essere studiata come dipendente dall’altra → tuttavia solo il fisico può essere misurato
direttamente, mentre la misurazione dello psichico può essere ottenuta solo in dipendenza dal fisico
→ psicofisica: sceglie, tra i due poli, quello fisico → lo psichico non si adatta agli strumenti delle
scienze naturali
↓
Per Wundt, però, l’interno coincide con l’oggetto di studio della psicologia → dilemma tra tema e
metodo → la psicologia deve essere scientifica, quindi adotterà il metodo universalmente
riconosciuto come scientifico → la scelta del tema non dovrà pregiudicare il progetto →
l’esperienza soggettiva deve coesistere con le metodologie naturalistiche: “la psicologia non può
servirsi di altri metodi che di quelli usati dalle scienze empiriche. La circostanza che la scienza
della natura astrae dal soggetto e la psicologia no, può bensì portare a modificazioni nel modo di
usare i metodi, ma non mai nell’essenziale natura dei metodi usati”
Il principale difetto che si riconosceva alla pratica della percezione interna era di non garantire
un’effettiva corrispondenza tra i resoconti introspettivi e l’esperienza reale → distorsione dovuta al
ritorno riflessivo sul vissuto.
Un altro problema la mancanza di uniformità di contenuti e linguaggio tra i resoconti dei diversi
soggetti, con la conseguenza di impedire un cfr sistematico.
↓
Fondare una scienza psicologica significava individuare il tema della psicologia e indagarlo
attraverso il metodo scientifico, identificato con quello naturalistico induttivo sperimentale
↓
anche per questo motivo l’anno di nascita ufficiale della psicologia scientifica coincide con quello
di inaugurazione del laboratorio di Lipsia → conoscere la vita psichica analizzandola come i
chimici, i biologi e i fisici analizzano i loro oggetti d’indagine [esempi di apparecchi di
misurazione: tachistoscopio, ergografo, bilancia di Mosso, tavole colorimetriche, …].
Fine ‘800 e inizi ‘900 i laboratori si moltiplicano → ricerche hanno come tema l’esperienza
immediata e come metodo il metodo sperimentale, che, in psicologia, almeno fino a tutto il primo
decennio del ‘900, coincide con l’introspezione.
Tichner: introspezione sperimentale → rigidi criteri:
- adottare una terminologia precisa, lontana dal linguaggio comune
- evitare l’effetto della memoria e “l’errore dello stimolo”, cioè l’attribuzione all’oggetto
percepito un significato già costituito dall’abitudine
- ridurre l’esperienza cosciente alle sue componenti più semplici
Laboratorio: ambiente asettico che consente la replicabilità delle osservazioni e la ricerca di leggi.
I risultati consistono in descrizioni della durata, intensità e chiarezza di stimoli fisici →
l’osservatore è messo in guardia dal riferirsi al vissuto totale → sforzo innaturale di isolare,
all’interno dell’esperienza totale, la “sensazione pura”.
↓
L’oggetto della psicologia diventa un processo osservabile esattamente come tutti gli altri processi
esterni di cui si possono stabilire regolarità e relazioni → non importa come la persona sente,
percepisce, esperisce, ma la norma di cui l’esperienza si fa esempio. → il soggetto della sensazione
finisce con lo scomparire, spogliato della sua soggettività [es. Scuola di Wűrzburg: ricerche su
“pensiero e volontà” → soggetti chiamati “reagenti”]
Wundt: continuo richiamo ad una seconda psicologia, una “psicologia dei popoli”, che avrebbe il
compito più alto di studiare le dimensioni psichiche superiori, come il pensiero, il linguaggio, il
comportamento sociale, cioè tutti quei prodotti dello spirito che non possono essere manipolati dal
ricercatore.
2.2 – La soluzione di Watson
Watson: 1913, Psychology as the Behaviourist Views It – manifesto comportamentista.
↓
la psicologia a quel tempo si connotava ancora come “scienza della coscienza” → tuttavia, anche se
l’introspezione si presentava come metodo controllato da condizioni sperimentali, si erano
manifestate le prime delusioni, che mettevano in discussione l’oggettività del metodo.
↓
Necessità, per la psicologia, di liberarsi del peso di un oggetto tanto ingombrante come la
coscienza e cambiare l’oggetto della psicologia, concentrandosi sul comportamento →
“escludere qualsiasi altra ipotesi che non sia quella di un aperto riconoscimento dell’intrinseca
validità del materiale comportamentale, a prescindere dal rapporto che tale materiale può avere con
la coscienza”
↓
il comportamento nella sua materialità diventa un oggetto esterno e deve essere spogliato anche
della sua connotazione di “comportamento umano” → la sua definizione è ottenuta per negazione e
sottrazione, determinata e subordinata al rispetto dei criteri di scientificità.
↓
Rinuncia a comprendere i fenomeni psichici → rinuncia al tema specificatamente psicologico →
distinzione tra comportamentisti e psicologi.
↓
Inserendo la psicologia all’interno dello schema Stimolo-Risposta, il comportamentismo la
ripulisce da tutte le interpretazioni metafisiche che chiamavano in causa la finalità, la volontà e altri
simili sentimenti [MA → i dati “bruti” sottoposti a misurazione non sono il “comportamento
umano”]; inoltre, rende possibile un vero disegno sperimentale.
2.3 – Watson e il significato
La negazione della coscienza coincide con la completa rimozione di ogni significato dal campo
della psicologia, ma la psicologia oggettiva, per Watson, può essere fondata solo “avendo il
coraggio di sottrarsi al giogo della coscienza”, anche se questo risulta innaturale e per niente facile.
Per Watson, il significato è ciò che l’animale o l’essere umano fanno → assumere un punto di
vista in cui il pensiero è identico ad un’azione manuale → “spazzar via tutti i termini quali
sensazione, percezione, immagine, desiderio, proposito e perfino pensiero ed emozione, dal
momento che essi sono definiti soggettivamente”
2.4 – Il trionfo del metodo
Wozniak (1997) individua nucleo fondamentale delle posizioni comportamentisti:
- psicologia è “scienza naturale del comportamento”
- teoria e metodo sono orientati in direzione oggettivistica
- comportamento è concepito come modello di adattamento funzionalmente dipendente dalle
condizioni di stimolazione presenti nell’ambiente
- la teoria e la ricerca si concentrano sul comportamento animale e sulla formazione delle
abitudini
Neopositivismo logico: il significato di un enunciato è dato dalle sue condizioni di verifica e
delimita l’ambito delle cose di cui ha senso parlare da quelle prive di senso.
↓
Vera conoscenza = conoscenza scientifica
↓
Il nuovo paradigma si concretizza perciò nella descrizione di unità di comportamento in termini di
stimolo e risposta.
Skinner: considera inutile e fuorviante ai fini scientifici qualunque riferimento “mentalistico” nello
studio del comportamento, che non è né indice né manifestazione di stati soggettivi.
Il metodo è quello sperimentale di laboratorio, che consiste nell’isolare e manipolare le variabili
indipendenti (ambientali) osservandone gli effetti su singole variabili dipendenti (comportamenti).
Il programma, enunciato dallo stesso Watson, si definiva come ricerca di regolarità nelle
covariazioni fino a stabilire rapporti di causalità generali;
- prevedere l’attività umana con ragionevole certezza
- formulare leggi e principi con cui le azioni umane possano essere controllate dalle società
organizzate
Tale paradigma di ricerca, in questo modo, espande la sua influenza nelle istituzioni sociali,
offrendo quella garanzia di oggettività di cui la nuova professionalità psicologica ha bisogno.
↓
tuttavia tale paradigma si dimostrerà incapace di previsioni rispetto al comportamento umano fuori
dal laboratorio
Variabili intervenienti: terza classe di eventi, che mediano tra Stimolo e Risposta, non
direttamente osservabili e ricavabili dall’analisi delle relazioni funzionali tra gli stimoli e le risposte
→ rappresentate comunque come fz matematiche.
C’è una “serena” ammissione che questo tipo di paradigma esclude molti quesiti interessanti dagli
studi dello psicologo → “il comportamentismo non può occuparsi delle sensazioni, delle fantasie e
simili, dell’esperienza cosciente dell’uomo, della libertà e autonomia dell’azione umana, dei valori
umani, perché il loro studio scientifico è troppo difficile” [McBurney]
Tolman: “l’esperienza, in quanto esperienza, mentre rientra nell’interesse e nelle preoccupazioni
dell’uomo di strada, del filosofo e del poeta, non rientra come tale nelle leggi e nelle equazioni dello
psicologia, perlomeno di una psicologia considerata come scienza.”
2.5 – La conoscenza scientifica delle persone
Galton: inaugura un modello di ricerca per lo studio scientifico delle persone → vuole stabilire la
distribuzione delle frequenze di una serie di caratteristiche misurabili presenti nella popolazione;
variabili considerate erano altezza, peso, età.
Cattel: 1890, termine test mentale → usa lo stesso metodo per misurare le caratteristiche
psicologiche delle persone.
↓
I test sono considerati rilevatori di “capacità mentali” per lo stesso principio che alle abilità
sensoriali corrispondono sottostanti “capacità razionali”
↓
Alle misure psicofisiche si sostituiscono prima quelle delle prestazioni e poi quelle dei tratti di
personalità → la misura di proprietà psicologiche richiede una serie di decisioni che le trasformino
in variabili, in cose quantificabili
Tratti: sono elementi naturali sotto forma di unità funzionali logicamente equivalenti agli elementi
del mondo della fisica [Cattel]
Personalità: risulta dalla somma o dall’organizzazione dei tratti, così come le cose di natura
risultano dalla somma o dall’organizzazione delle loro particelle fisiche elementari.
↓
Attraverso questa definizione la personalità diventi un oggetto d’indagine naturalistica e che possa
essere sottoposta a misurazione → perché le risposte dei soggetti agli stimoli offerti dal ricercatore
possano trasformarsi in simboli numerici, è sufficiente che essi rientrino in una logica binaria
(vero-falso; sì-no; uno-due)
↓
La pratica dei test e dei modelli statistici ha resistito all’obiezione che l’esperienza non può essere
ridotta alla logica binaria → nasce esattamente con lo scopo di allontanare per sempre l’intuizione e
la conoscenza soggettività dalla ricerca psicologica, sostituendola con la pura razionalità
dell’inferenza logica.
↓
Qualsiasi altro modo di valutare le differenze individuali viene relegato nel regno dell’irrazionale
(es. psicologia dell’espressione → filone presto abbandonato)
Adattamento: concetto introdotto nell’evoluzionismo darwiniano → diventa un criterio per
stabilire la “normalità psichica” → determinare scientificamente le capacità prestazionali di ogni
individuo e misurare, nel cfr con la media statistica, la sua plasticità adattativi.
↓
Efficienza e Utilità
Th dei tratti o fattoriali → Eysenck [Eysenck Personalità Inventory] o Cattel [16 Personality
Factors] o i Big Five Factors → la definizione dei tratti di Cattel esplicita la scelta di
concettualizzare la personalità in termini tali da renderla misurabile → ardita assunzione che si
possano individuare elementi reali della personalità atraverso la correlazione di valutazioni
attribuite da persone ad altre persone → giudizio che in gran parte dipende da chi giudica → i
teorici fattorialisti, comunque, continueranno a considerare i tratti come entità.
↓
MA se i tratti fossero stati veramente elementi naturali alla fine si sarebbe dovuto raggiungere un
accordo sulla loro esistenza esente da ambiguità.
Molti di questi test misurano i tratti con liste di domande o di affermazioni con una scelta fra
risposte predeterminate → rischio: giudizio soggettivo → ostacolo alla misurazione esatta dei
tratti.
↓
Validazione empirica: poiché le persone sono in grado di interpretare il significato degli item,
compromettendo l’oggettività del risultato, bisogna confrontare la frequenza delle risposte ai test di
un “gruppo-criterio” (scelto in base a caratteristiche predeterminate) con quella di un gruppo di
soggetti normali
↓
le risposte non dovevano più essere considerate come espressioni di una soggettività, ma come
comportamenti reali in presa diretta → qualunque cosa venisse accettata o respinta dal soggetto
nelle proposte degli item doveva essere considerata al di là del suo significato
↓
Berg: propone di usare item indifferenti alla realtà da indagare: ad esempio, per indagare sui sintomi
della depressione, al posto di item “Mi sento spesso triste” o Il futuro non mi riserva nulla di
buono”, usare item come “Mi piacerebbe fare l’aviatore” o “Preferisco leggere che andare al
cinema” → la sola frequenza delle risposte, messa a cfr con il gruppo-criterio, avrebbe deciso la
presenza o meno del tratto “depressione”
↓
In realtà la validità dei questionari di personalità dipende strettamente dalla presenza di item ovvi e
manifesti rispetto al significato della variabile da misurare.
Hathaway: inventore del MMPI ha avuto il coraggio di riconoscere il sostanziale fallimento del
progetto di misurazione della personalità.
La misurazione impone l’annullamento di ogni stile personale → lo schema della relazione deve
essere il più possibile rigido, per evitare qualunque influenza “umana” nell’esecuzione dei test →
questo porterà inevitabilmente ad affidare le procedure diagnostiche al computer.
I test oggettivi ci dicono quali comportamenti sono generalmente associati a un certo tratto, ma non
come quella persona, a cui il tratto è attribuito, si comporta effettivamente nella sua vita.
La conoscenza personale, se non è conoscenza oggettiva, è sempre specifica e inadeguata, rivolta
all’individuale, alla persona con cui ogni volta ci si confronta, ma mai esatta ed esaustiva.
2.6 – La psicoanalisi: l’ambiguità del significato nascosto
Nuovo modo di pensare allo studio scientifico della psiche
Intreccio di categorie positiviste e morali (Siri), “discorso misto” che si pone contemporaneamente
sul piano dei fatti di natura e su quello delle articolazioni di senso (Ricoeur)
Accusa: non soddisfa criteri di verificabilità o falsificabilità
Tale accusa non tiene conto della complessità del tema in questione, Freud amplia l’oggetto
d’indagine rispetto ai segmenti comportamentali di Watson. Tuttavia, anche i filosofi e gli umanisti
che vedono la psicoanalisi come una visione materialistica dell’uomo sottovalutano la complessità
del pensiero freudiano.
Positivisti e falsificazionisti Vs un fatto così poco osservabile come l’Inconscio
Esistenzialisti e fenomenologi  Vs applicazione di nozioni biologiche e di categorie causali
all’esistenza psichica
La psicoanalisi guadagna “profondità” ed espressività rispetto allo schema S-R e alla nozione
“tratto di personalità”.
NB: improvvisa irruzione del SIGNIFICATO nel campo della psicopatologia, interpretazione
psicologica dei disturbi mentali = novità assoluta
Psicoanalisi =
1. procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché
impossibile accedere
2. metodo terapeutico per il trattamento di nevrosi
3. serie di conoscenze psicologiche
tentativo di fondare una NUOVA DISCIPLINA SCIENTIFICA per quei processi psichici che
sfuggono ai metodi conosciuti.
Il comportamento non è più il dato da analizzare, ma diventa espressione di “altro”, costringendo lo
scienziato a confrontarsi con una realtà che non coincide più con quella delle scienze naturali.
Con Freud il metodo clinico conquista la dignità di una procedura scientifica, perché si trasforma da
osservazione del singolo in una vera e propria ricerca sistematica dei processi e delle funzioni
psichiche generali.
NB: RELAZIONE tra due interlocutori (Vs freddezza di osservatore-osservato), no variabili ma
PERSONE, PAROLA come principale strumento di cura  la psicoanalisi viene associata a un
esercizio ermeneutico, lettura della psicoanalisi come “involontaria” psicologia del significato.
Tale lettura provoca l’insurrezione dei sostenitori della scientificità psicoanalitica (es. Grünbaum)
Soprattutto nelle prime fasi, lo stesso Freud difendeva l’impianto positivistico della psicoanalisi, in
“Progetto di una psicologia” cercava una spiegazione neurologica dello psichico. Solo incontrandosi
con i problemi dei suoi pazienti il suo linguaggio si trasforma in psicologico e la posizione
naturalistica si complica.
Diversamente dal rigetto di Watson, l’atteggiamento di Freud rivela una fondamentale
problematicità verso i diritti della “coscienza”  non si sbarazza di essa né le affida il primato 
soluzione = Inconscio (la coscienza non dà una K né completa né attendibile).
La “realtà vera” resta quella dei PROCESSI FISICI CHE SI SVOLGONO A LIVELLO
NEURONALE, i quali sono solo irraggiungibili dalla coscienza e quindi inconsci.
In questa fase: inconscio ~ struttura extracosciente di Jasper (extracosciente = campo delle
rappresentazioni teoriche utili alla spiegazione)
MA Jasper non è disposto a concedere realtà a ciò che non è mai osservabile poiché la vera realtà è
quella vissuta, Freud invece sceglie di non dar credito alla coscienza considerandola insufficiente a
spiegare fenomeni vissuti troppo illogici e incomprensibili.
 inconscio come legittimo restauratore della ragione e del principio di spiegazione.
Che senso hanno le manifestazioni irrazionali? (problema in termini di SIGNIFICATO)  c’è una
mancanza che deve avere una causa; solo la K di questa causa può ristabilire la logica perduta, i
nessi di senso.
Galimberti (1987): l’inconscio ipotizzato da Freud non è una realtà psichica ma un prodotto del
metodo con cui egli ha affrontato la realtà  assoluta priorità del metodo sul tema.
Jasper dà fiducia al FENOMENO, Freud crede solo nella RAGIONE.
INTERROGAZIONE SUL SIGNIFICATO ATTRAVERSO LA RICERCA DI CAUSE
PULSIONE = concetto limite tra lo psichico e il somatico, realtà mista che porta in sé una primitiva
intenzionalità verso gli oggetti, rappresentazione senza oggetto, INTENZIONALITÁ CHE NON
PUÒ ESSERE VISSUTA, è una specie di significato
Questa INTENZIONALITÁ ISTINTIVA è lo scarto decisivo che allontana la psicoanalisi dalle
psicologie naturalistiche, le quali si danno solo oggetti muti e insignificanti.
Freud: Una rappresentazione inconscia è una rappresentazione che non avvertiamo, ma la cui
esistenza siamo pronti ad ammettere in base a indizi e prove di altro genere.
 il significato di un fenomeno non è mai accessibile direttamente in prima persona e richiede
l’intervento di un mediatore (psicoanalista = ragione lucida che vede la realtà delle cose e la
sostituisce a ciò che è immediatamente vissuto).
Ciò che noi viviamo direttamente in realtà è un sostituto di stati che ci sono ignoti, il prodotto
causale di eventi extra-coscienti. IL SIGNIFICATO DEL NOSTRO VISSUTO è OLTRE DI NOI,
IN UNA CATENA INVISIBILE DI FATTI CHE CI APPARTENGONO MA NON CI SONO
ACCESSIBILI.
[L'ermeneutica è in filosofia la metodologia dell'interpretazione (dal greco ερμηνευτική [τέχνη] [l'arte del] interpretazione, traduzione, chiarimento e spiegazione). Essa nasce in ambito religioso
con lo scopo di spiegare la corretta interpretazione dei testi sacri. In seguito assume un respiro più
ampio tendente a dare un significato a tutto ciò che è di difficile comprensione. In questo senso può
essere vista come la teoria generale delle regole interpretative.]
La psicoanalisi può essere considerata una psicologia del significato perché cerca di rispondere a
domande che investono la soggettività di chi chiede e di chi propone la sua interpretazione. Nello
stesso tempo, però, se ricorre agli schemi noti della causalità naturalistica, si preclude la possibilità
di inseguire quella domanda sullo stesso piano in cui era posta ed è costretta a parlare un linguaggio
straniero all’esperienza.
Il modello naturalistico risulta insufficiente quando si incontrano domande sul senso e sulla
soggettività concreta delle persone (che non può non coinvolgere le propria soggettività).
 Psicoanalisi come scienza di frontiera, caratterizzata da un’ambiguità dalla quale non può
liberarsi. Il dualismo è la pesante eredità lasciata in consegna alla psicologia contemporanea.
L’inconscio non solo non lo ha risolto ma lo ha reso più visibile.
2.7 – Mente e significato nella psicologia cognitiva
Anni ’60: programma di ricerca watsoniano fermo al modello S-R, esperimenti ripetitivi e
monotematici, studio soprattutto dell’apprendimento.
Chomsky: recensione a Verbal Behavior di Skinner “la natura del linguaggio sfugge alla
spiegazione basata su imitazione e associazione”
Gibson: affordance percettiva  valore emotivo e sensitivo della percezione, gli stimoli esterni
hanno un significato che coincide con l’opportunità che offrono di agire nei loro confronti.
Top-down Vs bottom-up
Anche alcuni comportamentisti sentono il disagio: Hebb  propone di inserire processi di
mediazione tra stimolo e risposta; Tolman  introduce concetto di mappa cognitiva
RIVOLUZIONE COGNITIVA: i processi interni (esclusi dal comportamentismo) diventano il tema
d’indagine, apertura della “black box” di Watson.
(non tutti sono d’accordo con il termine “rivoluzione” poiché alcuni sostengono che, nel suo nucleo
epistemologico, la psicologia cognitivista non si sia allontanata dagli schemi esplicativi del
comportamentismo)
Siri (1995) scorge nel cognitivismo i germi del passaggio da una psicologia riduzionista e
meccanicistica ad una psicologia dell’intenzionalità e della soggettività.
Miller, Galanter, Pribram (1960): “Piani e struttura del comportamento”
Neisser (1967) “Cognitive Psychology”
SOGGETTO PRODUTTORE DEL PROPRIO MONDO DI ESPERIENZA, CAPACE DI
VALUTARE E DI SELEZIONARE LE INFORMAZIONI IN ARRIVO.
L’occasione per mettere in pratica questa “ricerca del significato” fu offerta dalla contemporanea
evoluzione dell’intelligenza artificiale e dalla programmazione dei primi calcolatori elettronici.
L’analogia con le “macchine intelligenti” sembrò subito la modalità più congeniale alla
formulazione di ipotesi sul funzionamento della mente suggerendo un legame formale tra processi
di elaborazione delle informazioni e processi cognitivi.
Putnam: ARGOMENTO DELLA REALIZZABILITÁ MULTIPLA  hardware Vs software =
sistema nervoso Vs processi mentali.
Focus sul PROGRAMMA più che sulla materia.
Neisser e Bruner (fondatori del cognitivismo) smorzano gli entusiasmi iniziali
Pylyshyn (1984) “cognitivismo classico”: l’affinità tra mente e computer si basa sul presupposto
che entrambi operano su rappresentazioni simboliche della realtà; le attività cognitive consistono
nella manipolazione di rappresentazioni mentali; si può parlare di equivalenza forte perché i 2
sistemi (mente e computer), pur se implementati da materie diverse, producono lo stesso algoritmo,
svolgono funzioni identiche.
Fodor: il computer è più idoneo del sistema nervoso a riprodurre la mente; ipotizza strutture innate
di rappresentazioni che costituirebbero il LINGUAGGIO DEL PENSIERO (linguaggio formale che
non si preoccupa di rapporti semantici). Rappresentazioni = entità regolate da relazioni
computazionali, fortemente equivalenti ai simboli fisici elaborati dal computer.
Mente = complesso gerarchico di dispositivi seriali per l’elaborazione dell’informazione (moduli),
ciascuno deputato ad eseguire analisi specifiche e autonome che trasformano gli input in
rappresentazioni. L’analisi di ogni dominio è relativamente inaccessibile agli stati centrali di
coscienza; IL SIGNIFICATO DEGLI STATI MENTALI COINCIDE CON L FUNZIONE CHE
SVOLGONO.
Anni ’80: connessionismo: il sistema non è più un processore di segnali, ma una configurazione
complessa in cui i processi mentali emergono dalla combinazione di unità sub-simboliche (= non
contengono l’informazione compiuta). Ad ogni micro-unità appartiene un certo grado di attivazione
che dipende dai segnali ricevuti in ingresso da altre micro-unità alle quali è collegata tramite una
rete di connessioni parallele. No separazione software/hardware poiché la potenza d’attivazione dei
segnali dipende sia dal livello di attivazione, sia dal tipo di connessione.
Dure polemiche tra connessionisti e modularisti (sono 2 modelli complementari o opposti?)
I connessionisti tendono ad avvicinarsi sempre di più alla neurofisiologia Vs cognitivismo classico.
Al di là delle discussioni, il cognitivismo si propone come ricerca di una logica pura, liberata dai
riferimenti alla soggettività concreta e dalla situazione in cui si attua la conoscenza (complice la
psicolinguistica e la sua concezione meramente sintattica del discorso).
Una macchina può pensare?  cosa si intende x “pensare”? (test di Turing)
Una macchina può pensare se si comporta esattamente come un individuo dotato di pensiero 
pensiero umano che coincide con i suoi effetti, con le risposte messe in atto dai soggetti.
Pessa e Penna (2000): il problema fondamentale della Scienza Cognitiva è chiarire in che cosa
consista il significato delle informazioni ricevute, immagazzinate o cercate.
Shanon (1993): gli scienziati cognitivi stanno lontani dal significato (significato ≠ proprietà formali
e strutturali dell’informazione)
 il computer è inadeguato come strumento di ricerca sulla mente
I cognitivisti rispondono sostenendo che, proprio studiando i processi superiori, essi necessitano
dell’intelligenza artificiale la quale fornisce un supporto metodologico a ipotesi che altrimenti
sarebbero astratte e non verificabili.
Green (2000): il computer offre un mezzo x ottenere una descrizione rigorosa dei processi
INTENZIONALI dell’uomo
Il computer funziona in termini di input/output e risolve problemi attraverso calcoli numerici e
operazioni logiche  gli scopi umani orientano l’azione in modo molto più complesso e,
soprattutto, inserito in un contesto d’azione.
Nell’intelligenza artificiale la K è un oggetto che può essere immagazzinato all’interno di una
macchina e l’intelligenza coincide con le applicazioni di tale sapere consegnato alla
rappresentazione.
Se l’incontro del soggetto con la sua realtà è il luogo in cui si realizza il significato, le teorie della
mente artificiale non sembrano lasciargli spazio, semplicemente perché al “modello meccanico”
dell’intenzionalità è precluso per sempre di “incontrare” qualcosa.
2.8 – Rappresentazione e significato
Per spiegare il funzionamento dei processi cognitivi in termini di manipolazione della K, le teorie
computazionali della mente devono presupporre l’esistenza di una rappresentazione mentale (=
immagine, ricordo, idea, attesa, progetto, intenzione,…)
Per spiegare come funziona la mente bisogna che la rappresentazione mentale sia chiaramente
definita e che essa agisca nella teoria computazionale come un concetto operativo.
Gardner: rappresentazione = posizione intermedia tra input/output
Divisione tra immaginisti e proposizionalisti  la differenza è nella materia di cui questa idea si
veste quando è trattata dagli scienziati della mente.
Cognitivismo classico: rappresentazioni = unità discrete e simboliche, ognuna è separata dalle altre
e ha un valore simbolico puramente formale
Connessionismo: no rappresentazioni discrete, la K è distribuita nelle reti neurali attraverso un set
di collegamenti non lineari. No software MA sistema nervoso (regole meno meccaniche e autoorganizzazione capace di far fronte agli errori del sistema e alla novità.)
Per quanto questo modello si avvicini al reale funzionamento della mente, la cognizione non
appartiene a noi ma alla rete neurale, al sistema di connessioni  non risolve problema sul
funzionamento psicologico e si allontana dal “significato” poiché le rappresentazioni sono
quantitative  coma fa ad emergere il significato?
Morin: il cognitivismo (classico e non) si prospetta come una scienza senza coscienza
Bruner: nonostante l’interesse per il comportamento finalizzato la scienza cognitiva non ha ancora
un concetto di agente, è come se le rappresentazioni e gli schemi potessero funzionare senza la
presenza viva di una persona.
La rappresentazione costituisce dunque il contenuto dello stato intenzionale mentre l’oggetto è la
cosa reale verso cui il comportamento è diretto.
Se per ogni rappresentazione c’è un oggetto corrispondente, il significato della rappresentazione
non può però essere determinato e univoco.
Immaginasti: immagini mentali come vere e proprie pitture con proprietà simili alle cose
corrispondenti.
Quando un cognitivista parla di “desiderio” non pensa a ciò che veramente sentiamo ma ad un
determinato stato della mente attivato da una precisa rappresentazione. Noi, invece, quando viviamo
una situazione significativa, parliamo di “rappresentazioni” che sono legate alla nostra soggettività
e alla nostra storia.
Nella vita reale è il SIGNIFICATO dell’intera situazione vissuta che orienta il comportamento. Ciò
che si traduce in azione non è, quindi, l’effetto di una rappresentazione determinata e univoca, ma il
modo complessivamente significativo con cui la realtà ci viene incontro. (Vs comportamento
diretto-allo-scopo)
Shanon (1993): gli psicologi cognitivisti studiano come il significato è rappresentato, com’è
elaborato, ma non la matrice del significato stesso.
2.9 – Le critiche al cognitivismo
La scienza psicologica che si prospetta dopo il cognitivismo è una scienza che può ignorare la
coscienza e l’affetto e che prende come esempio paradigmatico di interazione tra mente e mondo
l’universo rarefatto suggerito dall’interpretazione di stati nei registri di memoria come numeri
binari.
L’intelligenza artificiale è stata importante x il ripensamento che oggi investe le scienze cognitive
ma la metafora del computer si è rivelata insufficiente.
Greco: la crisi del cognitivismo nasce dalla diffusa sensazione che esso dia insufficienti risposte ad
alcune domande fondamentali, quelle per cui la psicologia stessa è nata, che vengono poste
soprattutto in sede extra-scientifica.
Il rapporto mondo esterno/interno è in discussione fin dall’antichità.
Fodor e Pylyshyn (significato e funzione delle rappresentazioni mentali) Vs Gibson (affordances
percettive, immediata risonanza tra soggetto e mondo)
Presupposto fondativi delle scienze cognitive = mente senza soggetto, spiegazione impersonale dei
processi di elaborazione delle informazioni  principali critiche:
1. l’epistemologia del cognitivismo è rappresentazionalista
rappresentazionalismo: considera il rapporto con il mondo come rispecchiamento di una realtà
oggettiva da parte del soggetto conoscente. Secondo la prospettiva modularista i processi
cognitivi funzionano sulla base di strutture correlate con il mondo esterno attraverso le
rappresentazioni mentali. Esse non stanno “dentro la mente”, mente e mondo sono mutuamente
e indistricabilmente connessi, la cognizione è incorporata nell’ambiente.
Mecacci (1999): non si avrà mai un resoconto scientifico di un’esperienza reale.
La concezione rappresentazionalista della mente è stata rafforzata dall’analogia con il computer
anche se nessun programma si è mai avvicinato a fare quello che riescono a fare i nostri cervelli.
2. la cognizione umana è identificata con la logica
la metafora computazionale comporta che le regole di elaborazione dei simboli siano predefinite
e seguano i criteri della logica binaria. Comporta inoltre che le rappresentazioni mentali siano
traducibili come proposizioni formulate in termini positivi (no tautologie, metafore, negazioni).
Funzione centrale della mente = categorizzazione (non può spiegare l’esperienza vissuta).
Nella vita reale i nostri sistemi cognitivi non vanno in tilt di fronte alla contraddizione (cosa che
succede x i sistemi di elaborazione), si va incontro al conflitto o all’incertezza. La logica
inferenziale su cui si basa il funzionamento dei sistemi intelligenti artificiali è una logica valida
“assolutamente”, slegata cioè dalla situazione esperienziale concreta.
Le nostre scelte non seguono sempre una logica aristotelica, la nostra mente non è sempre
impegnata in strategie di elaborazione dei problemi o in decisioni ponderate  le
rappresentazioni possono presentarsi in modo spontaneo, la distinzione razionale/irrazionale non
è così netta.
3. la cognizione è astratta dalla corporeità e dal mondo
Clark (1989): Vs micromondi verticali, piccole porzioni di cognizione umana senza nessun
legame con l’orizzonte del mondo umano in cui sono incastonati.
Freeman (neuroscienziato, 1999) abbandona la concezione classica di “mente” concentrando
l’attenzione sull’agente cognitivo, in cui la corporeità assume una funzione centrale
nell’interazione dinamica con l’ambiente. L’attività neuronale dipende dal contesto, dal
SIGNIFICATO.
Per riprodurre il contesto umano, il computer dovrebbe essere in grado di “essere in una
situazione” di “sentirsi situato” ma il computer non è mai in una condizione specifica, non è
interessato al mondo
4. la cognizione è una cognizione senza soggetto
immagine di una psicologia senza soggetto e senza esperienza che può rendere conto dei
meccanismi e dei processi in terza persona, ma non incontra mai fenomeni veramente
psicologici.
Maturana e Varela: la K non è qualcosa che avviene nella testa degli individui bensì qualcosa
che avviene tra individuo e mondo (Vs attenzione esclusiva al funzionamento)
Meriti del cognitivismo: ha condotto la psicologia a confrontarsi con la mente e l’ha costretta ad un
confronto interdisciplinare e ad un’autoriflessione.