16.00 Lettera 371 Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Essendo io ansietata di dolore per crociato desiderio, il quale s'era nuovamente concepito nel cospetto di Dio, perché il lume dell'intelletto s'era speculato nella Trinità eterna; e in quello abisso si vedeva la dignità della creatura che ha in sé ragione, e la miseria nella quale l'uomo cade per la colpa del peccato mortale, e la necessità della santa Chiesa, la quale Dio manifestava nel petto suo; e come nessuno può tornare a gustare la bellezza di Dio nell'abisso della Trinità, senza il mezzo di questa dolce Sposa, perché tutti ci conviene passare per la porta di Cristo crocifisso, e questa porta non si trova altrove che nella santa Chiesa, vedeva che questa Sposa porgeva vita, perché tiene in sé vita tanta, che nessuno è che la possa uccidere; e che ella dava fortezza e lume, e che nessuno è che la possa indebolire e dargli tenebre quanto in sé medesima. E vedeva che il frutto suo mai non manca, ma sempre cresce. Allora diceva Dio eterno: «Tutta questa dignità, la quale l’intelletto tuo non potrebbe comprendere, è data a voi da me. Guarda dunque con dolore e amaritudine, e vedrai che a questa Sposa non si va se non per il vestimento di fuori, cioè per la sostanza temporale. Ma tu la vedi bene vota di quelli che cerchino il midollo d'essa, cioè il frutto del sangue. Il quale frutto, chi non porta il prezzo della carità con vera umiltà e col lume della santissima fede, non lo parteciperebbe in vita, ma in morte; e farebbe come il ladro, che toglie quello che non è suo. Perché il frutto del sangue è di coloro che portano il prezzo dell'amore; però ch'ella è fondata in amore, ed è esso amore. E per amore voglio (diceva Dio eterno) che ognuno le dia, secondo che io do a ministrare ai servi miei in diversi modi, siccome hanno ricevuto. Ma io mi dolgo che io non trovo chi ci ministri. Anco, pare che ognuno l'abbia abbandonata. Ma io sarò rimediatore». E crescendo il dolore e il fuoco del desiderio, gridava nel cospetto di Dio dicendo: «Che posso fare, o inestimabile fuoco?». E la sua benignità rispondeva: «Che tu di nuovo offri la vita tua. E mai non dare riposo a te medesima. A questo esercizio t'ho posta e pongo, te e tutti quelli che ti seguono e seguiranno. Attendete voi adunque a mai non allentare, ma sempre crescere i desideri vostri; perché attendo bene io con affetto d'amore a sovvenire voi della Grazia mia corporale e spirituale. E acciocché le menti vostre non siano occupate in altro, ho provveduto, dando uno stimolo a quella ch'io ho posto che vi governi, e con misteri e con nuovi modi l'ho tratta e posta a questo esercizio; onde ella con la sostanza temporale serve la Chiesa mia; e voi con la continua, umile e fedele orazione, e con quegli esercizi che saranno necessari, i quali saranno posti a te e a loro dalla mia bontà, ad ognuno secondo il grado suo. Disponi dunque la vita e il cuore e l'affetto tuo solo in questa Sposa, per me, senza te. Guarda in me, e mira lo sposo di questa Sposa, cioè il sommo pontefice, e vedi la santa e buona intenzione sua, la quale intenzione è senza modo. E come è sola la Sposa, così è solo lo Sposo. Io permetto che con modi, i quali egli tiene senza modo, e col timore che egli dà ai sudditi, egli spazzi la santa Chiesa. Ma altri verrà che con amore l'accompagnerà e riempirà; addiverrà di questa Sposa come addiviene dell'anima: che in prima entra in essa il timore, e, spogliata dei vizi, poi l'amore la riempie e veste di virtù. Tutto questo farà col dolce sostenere, dolce e soave a quelli che in verità si nutriranno al petto suo. Ma fa questo, che tu dica al vicario mio, che giusto al suo potere si pacifichi, e dia pace a chiunque la vuole ricevere. E alle colonne della santa Chiesa di' che, se vogliono rimediare alle grandi rovine, facciano questo: che essi s'uniscano insieme, e siano un mantello a ricoprire i modi che appaiono difettosi del padre loro. E si pongano una vita ordinata, e allato a loro, che temano e amino me, e si ritrovino insieme, gettando a terra loro medesimi. E facendo così, io che son lume, gli darò quel lume che sarà necessario alla santa Chiesa. E veduto che hanno fra loro quello che si deve fare, con vera unità, prontamente, arditamente e con grande deliberazione lo riferiscano al vicario mio. Egli allora sarà costretto di non resistere alle loro buone volontà, perché egli ha santa e buona intenzione». La lingua non è sufficiente a narrare tanti misteri, né quello che l’intelletto vide e l'affetto concepì. E passandosi il dì, piena d'ammirazione, venne la sera. E sentendo io che il cuore era tratto per affetto d'amore, tanto che resistenza non gli poteva fare, che al luogo dell'orazione io non andassi; e sentendo venire quella disposizione che fu al tempo della morte; mi posi giù con grande riprensione; perché con molta ignoranza e negligenza io serviva la Sposa di Cristo, e ero cagione che gli altri facessero quello medesimo. E levandomi con quella impronta che era dinanzi all'occhio dell'intelletto mio di quello che detto è, Dio mi pose dinanzi a sé, benché io gli sia sempre presente, perché contiene in sé ogni cosa; ma per un nuovo modo, come se la memoria, l’intelletto e la volontà non avessero a fare cavelle col corpo mio. E con tanto lume si speculava questa Verità, che in quell’abisso allora si rinfrescavano i misteri della santa Chiesa, e tutte le grazie ricevute nella vita mia, passate e presenti; e il dì che in sé fu sposata l'anima mia. Le quali tutte si scordavano da me, per il fuoco che era cresciuto, e attendevo pure a quello che si poteva fare, che io facessi sacrificio di me a Dio per la santa Chiesa, e per togliere l’ignoranza e la negligenza a quelli che Dio m'aveva messi nelle mani. Allora le dimonia con sterminio gridavano sopra di me, vedendo impedire e allentare col terrore loro il libero e affocato desiderio. Onde questi percuotevano sopra la corteccia del corpo; ma il desiderio più s'accendeva, gridando: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in questo corpo mistico della santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me. Togli il cuore dunque, e premilo sopra la faccia di questa Sposa». Allora Dio eterno, volgendo l'occhio della clemenza sua, divelleva il cuore, e lo premeva nella santa Chiesa. E con tanta forza l'aveva tratto a sé, che, se non che subito (non volendo che il vasello del corpo mio fosse rotto), lo ricerchiò della fortezza sua, ne sarebbe andata la vita. Allora le dimonia molto maggiormente gridavano, come se esse avessero sentito intollerabile dolore; si sforzavano di lasciarmi terrore, minacciandomi di tenere modo che questo così fatto esercizio non Ma, perché alla virtù dell'umiltà, col lume della santissima fede, l'inferno non può resistere; più s'univa, e lavorava con ferri di fuoco; udendo parole nel cospetto della divina Maestà tante attrattive, e promesse per dare allegrezza. E perché in verità era così in tanto mistero, la lingua oggimai non è più sufficiente a poterne parlare. Ora dico: grazia, grazia sia all'altissimo Dio eterno, che ci ha posti nel campo della battaglia, come cavalieri, a combattere per la Sposa sua con lo scudo della santissima fede. Il campo è rimasto a noi libero, con quella virtù e potenza che fu sconfitto il dimonio che possedeva l'umana generazione; il quale fu sconfitto non in virtù dell'umanità, ma in virtù della Deità.