.
.
 ai bambini e alle scuole la cultura ebraica dedica
tradizionalmente grande attenzione.
 Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a
scuola (Talmud babilonese - Shabbath 119b): discussione
talmudica che risale agli ambiti del patriarca Hillel si avverte
la profondità dell’atteggiamento verso gli studi del mondo
ebraico.
coscienza che la vita stessa della comunità dipende dalla
diffusione del sapere:
pochi anni prima della distruzione del Tempio (ca. 589 a. C.), fu
stabilito un piano organico per l’istruzione dell’infanzia: in ogni
città vi dovevano essere maestri che avrebbero dovuto insegnare
ai giovani dall’età di sei anni sino almeno a sedici anni.
 Il sistema scolastico ebraico era molto preciso ed evoluto, e si




articolava su tre livelli:
la Mikrah (7-10 anni): qui si imparavano i fondamenti
dell'ebraico e del caldeo, con la lettura e la scrittura;
la Mishnah (10-15 anni): qui si studiavano le leggi
della Bibbia, che prevedeva ogni forma di diritto anche civile e
penale, oltre che religioso;
la Guemara (15-18 anni): qui si rivedeva il diritto e si
studiavano nozioni di scienza
naturale, anatomia, medicina, geometria, astronomia.
La scelta dei maestri era curata, ed i requisiti per gli educatori
erano l'affabilità e la piacevolezza; addirittura era stabilito che
se una classe aveva fino a 25 alunni bastava un maestro, ma se
gli alunni erano fino a 40 servivano due maestri.
 Fino al VI secolo a.C., cioè fino all'esilio babilonese, in
Israele esistevano solo scuole profetiche, o scuole
superiori di Sacra Scrittura: cui gli alunni, destinati al
sacerdozio, vivevano in comunità studiando i testi sacri e
la religione.
 Solo con Esdra, nel V secolo a.C., vennero istituite le
prime scuole pubbliche religiose, e in seguito le scuole
elementari. La diffusione di queste scuole procedé
lentamente in tutte le località d'Israele, finché nel 64 d.C.
un decreto non obbligò tutte le città e i paesi a fornirsi di
una propria scuola elementare, pena la scomunica. Nel
frattempo vennero incentivate anche le scuole private.
 L’aria stessa che si respira in Terra d’ Israele rende
saggi (Talmud Babilonese Bovò Bathrà 158 b)
 delle dieci misure di saggezza che furono date al
mondo, nove furono assegnate alla Terra d’Israele e
una sola al resto del mondo (Talmud Babilonese
Kiddushim 49 b)".
 La persistente tradizione di istituire scuole ebraiche genera timore
di possibili conversioni.
 Paure «antisemite» che hanno riscontro anche nell’agiografia:
 Nella leggenda di san Silvestro ove si narra come Elena, madre di
Costantino, convocò centosessantuno ebrei di grande erudizione per
discutere della conversione al cristianesimo del figlio Costantino. Di
tanti sapienti solo dodici affrontarono Silvestro e tutti furono
sconfitti dalle deduzioni cristologiche di Silvestro nonché dal un suo
intervento miracoloso in virtù del quale il santo resuscitò un toro
che era stato ucciso da una parola sussurrata all’ orecchio della
bestia feroce dall’ebreo Zambri, parola che per Silvestro era ispirata
dal demonio.
 Si stabilì anche così il nesso tra il sapere degli ebrei e la loro
collusione con il demonio. Si affermò così anche la contrapposizione
tra cielo e terra come emerge dalla leggenda di san Paolo .
 Ovvia opposizione al pluralismo religioso nell’Europa della «christianitas»
 Già nell’alto medioevo in Italia e in Spagna, le famiglie agiate impartivano ai loro
figlioli lezioni private di materie non strettamente religiose
 la tradizione voleva anche che ad ogni allievo benestante fossero affiancati uno o
due coetanei di condizioni economiche più modeste
 . Fu proprio grazie a questo tipo di mecenatismo educativo che Abraham Ibn Ezra
poté intraprendere gli studi nonostante le sue umili origini.
 Vissuto in Spagna, Francia e Italia (Toledo 1092) scrive
opere filosofiche d'ispirazione neoplatonica e di commento a una gran parte
della Bibbia ebraica (scuola esegetica giudeo-spagnola)
 . Scrisse anche opere grammaticali, astronomiche e matematiche, lasciando, inoltre,
delle chiare composizioni poetiche. Nota funzione di trasmissione della scienza e del
pensiero degli Ebrei dei paesi musulmani agli Ebrei dell'Europa cristiana.
 L’affermarsi di una concezione della vita ebraica che
componeva il diritto dell’infanzia con quello
dell’istruzione si indirizzò, nel contesto del Medioevo
andaluso, con la tendenza ad organizzare attività di
studio estremamente "aperte" allo studio della scienza e
della filosofia giacche l’orientamento didattico si
integrava con il formarsi di una classe dirigente ebraica
all’interno del mondo ispano-musulmano.
 L’attenzione agli studi coinvolgeva anche le donne le
quali, di conseguenza, rivestirono ruoli importanti sia in
ruoli amministrativi sia in compiti culturali.
 Percezione della peculiarità ebraica in tema di
educazione e di scuola.
 Un ignoto allievo di Abelardo nel secolo XII,
annotava: "se i cristiani educano i loro figli lo fanno
non per Dio ma per guadagno affinché un fratello,
divenuto ecclesiastico, possa aiutare il padre e la
madre e gli altri suoi fratelli al contrario gli Ebrei,
per l’entusiasmo di Dio e per l’amore della Legge
spingono ogni figlio allo studio in modo che possano
comprendere la Legge di Dio e ciò accade non solo
per i figli, ma anche per le figlie".
 Talvolta
impressionava il livello elevato delle
competenze linguistiche del mondo ebraico: il fatto
era stato rilevato nell’ 846 quando Ibn
Khurdhadhbah nel Libro delle Rotte e dei
Regni descrisse le qualità dei mercanti ebrei
«Radaniti» che mettevano in contatto la corte
carolingia con i mercanti orientali; di questi
commercianti disse che: "... parlano, arabo, persiano,
romano, francese, spagnolo, slavo. Essi viaggiano
dall’Est all’Ovest e dall’Ovest all’Est, per terra come
per mare ...".
 1170: Yosef Qimhi esaltava l’attività di studio e il rispetto
delle leggi degli ebrei contrapponendoli al disordine dei
cristiani. Infatti il filosofo ebreo nel Libro della Alleanza
polemizzava contro i cristiani sostenendo che:
 "...Tra gli ebrei l’ oppressore e il ladro non sono così
diffusi come tra i cristiani che derubano la gente per la
strada, li rapiscono e talvolta gli cavano gli occhi.
 Gli ebrei e le ebree sono modesti nelle loro azioni.
Educano i loro figli, dalla più tenera infanzia alla
maturità, agli insegnamenti della Torah e qualora essi
pronuncino qualche parola infame vengono subito
picchiati e puniti affinché non imprechino più...".
 Questo impegno educativo è testimoniato dalla vasta
rete di scuole talmudiche che furono fondate in un
gran numero di città della Francia tra cui Reims,
Rouen, Parigi, Troyes, Auxerre, Sens, Melun e
Orleans.
 Nel secolo XI, nel Nord Europa le comunità ebraiche
di diverse città stabilirono un ‘protocollo’ per
raggiungere livelli elevati di cultura sollecitando il
sostegno economico delle istituzioni cittadine.
 Una serie di Antiche Regole per lo Studio della
Torah sono tradite da una copia manoscritta
risalente al 1309 (Oxford, Bodleian Library, hebr.
873, cc. 196-199). Il testo prescriveva l’obbligo di
istituire un midrash o una casa di studio per ogni
comunità e prevedeva una tassa per tutti gli ebrei
affinché potessero essere finanziate le accademie e i
loro studenti e perché si potesse provvedere agli
stipendi dei maestri e dei traduttori così come
all’acquisto dei libri. Si invitavano inoltre gli
insegnanti a esporre testi scritti e a sollecitare le
domande degli studenti.
 La dedizione ebraica nell’insegnare a leggere e
scrivere :
 L’iniziazione agli studi aveva un ‘rito di passaggio’
del tutto particolare: all’età di cinque anni i bimbi e
le bimbe venivano invitati a ‘gustare’ i simboli
dell’alfabeto scritti con il miele nell’auspicio che
analoga dolcezza fosse ritrovata nella lettura
della Torah.
 In particolare nel medioevo germanico come in
quello francese il maestro invitava prima a recitare
ad alta voce l’alfabeto (dall’inizio alla fine e
viceversa) e poi a leccare le tavolette o la pergamena
ove le lettere erano state cosparse di miele; in altri
casi all’allievo si offrivano da mangiare uova sode
decorate con l’alfabeto o biscotti a forma di lettere.
Di questo avviso era anche il rabbino Simha di Vitry
che, nel sec. XII, esortava i genitori a rassicurare il
figliolo alla gioia degli studi "perché è necessario
sedurre immediatamente il piccolo agli studi anche
se poi la sua schiena conoscerà la bacchetta".
 Il piano didattico era ben delineato nelle Leggi
dell’Apprendimento ove si legge che: "Quando un
giovane raggiunge l’età di cinque anni il padre dovrà
affidarlo a un insegnante affinché il figlio inizi ad
apprendere dal primo del mese di Nisan (aprile)... .
 Il genitore dovrà stipulare con chiarezza il programma
degli studi in questo modo: ‘Vi avviso che voi dovrete
insegnare a mio figlio a riconoscere le lettere nel primo
mese, e le vocali nel secondo, e nel terzo la combinazione
delle lettere in parole. In seguito il ragazzo dovrà
dedicarsi allo studio del libro del Levitico".
 Ancor più dettagliata è la programmazione didattica di Joseph Ibn
Kaspi (1279-1332) che lasciò una lettera testamento al dodicenne
Salomon:
 "Figlio mio fai attenzione alle mie parole ora che tu hai dodici anni.
Ancora per due anni ti dedicherai allo studio della Bibbia e del
Talmud. Quando avrai compiuto l’età di quattordici anni
continuerai a studiare queste materie e consacrerai gran parte del
tempo agli studi delle matematiche. Tu comincerai con il ‘Libro dei
Numeri’ di Abraham Ibn Ezra; poi tu studierai Euclide e al
Farghani e il libro sul calcolo dei moti delle stelle di Abraham bar
Hiyya. Ti concentrerai per un po’ di tempo sui trattati di morale
che sono: il ‘Libro dei Proverbi’, l’ ‘Ecclesiaste’ e il ‘Trattato dei
Padri’ (Pirqe Abot) quest’ ultimo con la prefazione e il commento di
Maimonide; dovrai poi accostarti al libro ‘Madda’ di Maimonide.
 In seguito tu prenderai l’ ‘Ethica’ di Aristotele di cui ho
redatto un compendio e quindi un altro volume che non si
trova più tra di noi che è il ‘Libro dei comportamenti morali
dei filosofi’... Per tutto ciò tu impiegherai due anni. All’età di
sedici anni tu programmerai alcune ore per occuparti della
Bibbia, del libro di Isaac Alfasi e della Mishna Torah di
Maimonide. Cosicché quando tu avrai diciott’anni dedicherai
il tuo tempo alle scienze che ti ho già menzionato e vi
aggiungerai lo studio delle scienze della natura (la Fisica)
per altri due anni . Raggiunti i vent’anni ‘costruisci la tua
casa’ (ammogliati).Non allontanerai mai la mano dai libri di
filosofia; cominciando dalla metafisica per poter conoscere
quella di Aristotele e dei suoi discepoli e la ‘Guida dei
Perplessi’ di Maimonide".
 Nel contesto culturale europeo del sec. XII il mondo
ebraico appare dotato di una grande versatilità
linguistica giacché ai ragazzi ebrei veniva proposto
anche l’insegnamento del latino e delle lingue
volgari: lo testimonia Rashi (1040-1106) che fondò
un centro di studi a Troyes e questa attitudine alla
didattica delle lingue è ancora presente nel 1436 ad
Aix en Provence dove un giovane ebreo viene spinto
a studiare il latino dalla nonna che gli promette di
lasciargli in eredità i suoi libri.
 Il tutto sta a testimoniare l’attenzione con cui gli
ebrei seguivano la formazione delle abilità nello
scrivere e nel leggere dei loro figli
 . E’ questo un particolare che appare costante in tutta
l’ Europa medievale, benché nelle valli del Reno fosse
più forte l’interesse per lo studio del Talmud che non
quello per la filosofia. Rilevante era comunque lo
spirito di collaborazione tra le diverse comunità
ebraiche e il sostegno economico offerto a quanti
erano in condizioni economiche disagiate.
 La cabala e le sue declinazioni
 Di particolare rilievo, soprattutto per gli influssi
successivi, è il pensiero cabalista. Il termine ‘cabala’
(o cabbala, ebr. qabbālāh), dalle origini fino al XII secolo
definisce la tradizione religiosa orale, quindi Talmud
e midrashim (preghiere).
 Concetto centrale nel pensiero cabalistico sono le
sefiroth, i dieci “attributi divini” che rappresentano
l’aspetto dinamico di Dio e sono in relazione tra loro; le
metafore antropomorfe contenute nei testi
 religiosi, che erano punti di criticità per i filosofi in
senso stretto, sono una rete di simboli che
consentono l’accesso al divino.
 In area tedesca ‘askenazita’, (termine che indica
la cultura degli ebrei in Germania, Polonia, e più in
generale nei paesi dell’Est), dall’XI fino al XIII
secolo, il pensiero cabalistico si richiama a Saadia
Gaon e al suo commento al Sefer yesirah (Libro
della Creazione) e, più in generale, al pensiero e
alla tradizione rabbinica (in parziale contrasto
con la conoscenza filosofica).
 In Spagna e in Provenza, invece, la cabala era
influenzata dalla filosofia neoplatonica, filtrata
attraverso l’interpretazione di Shelomoh Ibn
Gabirol. Intorno al 1200, con l’affermarsi della
filosofia maimonidea, i filosofi ebrei si avvicinano ad
Aristotele e i cabalisti sviluppano una concezione del
divino alternativa ai neoplatonici.
 Il discrimine tra filosofia e cabala è nella concezione
del male perché quest’ultima non ritiene che il male sia
mancanza di bene, concepisce il male come forza positiva.
 Uno dei testi fondamentali per lo studio della cabala è lo
Zohar (Libro dello Splendore) noto a partire dalla fine
del XIII secolo; scritto in aramaico, definisce la dottrina nella
forma nella quale la conosciamo. Importante rilevare che fino
ad allora il termine ‘cabala’ veniva declinato da
ciascun autore nel contesto della sua dottrina.


 Gli studiosi ebrei di Spagna.
 Yehuda ben Shelomoh, nato a Toledo intorno al
1215, scrive una Esposizione della scienza di
impronta aristotelica (mediata
attraverso
gli scritti di Averroè) nella quale tratta di
fisica, matematica,
astronomia,ponendo
interessanti
questioni
di
ordine
epistemologico, e laddove Averroè tra Galeno e
Aristotele si schierava con il secondo, egli invece fa
prevalere, al modo di Galeno, l’esperienza.
Nel 1245 è in Lombardia, alla corte di Federico II.
 Di Tudela (nord della Spagna) è Yosef Falaquera
(1225-1295 ca.), che traduce e commenta
numerosi testi neoplatonici; scrive cinque
trattati di etica e di psicologia e si sforza di
definire i campi autonomi di scienza e
religione. Secondo Falaquera, l’uomo ha due
possibilità di conoscenza: l’una dei profeti, i quali
raggiungono la verità senza la necessità della
ricerca; l’altra è quella indicata da Maimonide e
consiste nel cercare di comprendere la realtà
nella sua complessità e pienezza.
 Sempre a Toledo, tra il 1210 e il 1280, lavora Isaac ibn
Latif: scrive in ebraico, conosce i testi di filosofia arabi e
i filosofi ebrei neoplatonici. Latif propone una
gerarchia degli esseri divisa in tre: il mondo degli
intelletti, il mondo delle idee e il mondo materiale.
Se Maimonide aveva aderito alla dottrina aristotelica per
quello che riguardava il mondo sublunare, Latif critica
sia Aristotele sia Tolomeo, sostenendo che dei cieli e
dell’universo i filosofi hanno solo una conoscenza di tipo
logico, che si basa sulla sensazione, sul sillogismo e sulla
dimostrazione.
 2
 Della fine del XIII secolo è Yehuda ben Moshè ben
Daniel Romano, che fu presso la corte di Roberto
d’Angiò come traduttore; Romano traduce, tra gli
altri, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino ed è
profondamente vicino alla Scolastica e all’interno del
dibattito filosofico a lui contemporaneo. Intorno al tema
della creazione segue la lezione di Maimonide:
scientificamente non abbiamo prove né della creazione
dell’universo né della sua eternità, tuttavia, dal punto
di vista filosofico l’ipotesi dell’eternità del
mondo presenta tali e profondi problemi, anche
logici, da far risultare accettabile l’ipotesi della
creazione.

 Gersonide (1288-1344), nato in Linguadoca, ha vissuto
sempre nella Francia meridionale, sopratutto ad
Avignone. La sua opera filosofica principale, Le guerre
del Signore, è composta in sei libri, che Gersonide portò
a termine in dodici anni. Contiene vaste parti
scientifiche e un Trattato di astronomia. Gersonide è un
filosofo, ma è anche un talmudista e uno
scienziato; compie osservazioni astronomiche e scrive
dei fenomeni che ha osservato. Scrive commenti al
Talmud, alla Torah e ai Profeti, spesso lavora per
committenti cristiani e i suoi testi vengono
tradotti in latino.
 Le guerre del Signore affronta tutti i principali
problemi filosofici del tempo: l’anima, la ragione, il
ruolo di Dio nel mondo e nell’universo, la questione della
provvidenza, il moto celeste, l’eternità o la creazione del
mondo, il ruolo dei miracoli e quello della profezia.
L’impianto è dichiaratamente scientifico, tanto
che nella prefazione Gersonide scrive che tutte le
argomentazioni e le prove a sostegno delle sue
affermazioni provengono dalla matematica,
dall’astronomia e dalla filosofia. Lo schema analitico e di
distinzione dei problemi, che egli vuole affrontati in un
ordine preciso, sono una scelta consapevole per
incanalare il lettore del suo testo.
 Gli studiosi ebrei d’Italia
 In Italia, negli stessi anni Moshè ben Shelomoh
da Salerno, che scrive un commento a La guida dei
perplessi e un Glossario filosofico, dal quale si evince
la vicinanza e lo scambio con i filosofi cristiani, e che
rende noto come, al di là dell’appartenenza religiosa,
in Italia la filosofia del XIII secolo fosse un terreno
comune per tutti i filosofi, a partire dal pensiero
arabo ed ebraico.

 Zerayah b. Shealtiel Gracian, di origine
spagnola, tra il 1277 e il 1291 scrive le sue opere a
Roma; traduce Galeno, Avicenna, Averroè,
Maimonide, Aristotele e vari testi arabi di commento
ad Aristotele, e traduce anche i filosofi neoplatonici.
Egli distingue nettamente, sulla base di Averroè,
tra conoscenza religiosa e conoscenza
filosofica e, sulla base di questa distinzione,
interpreta e spiega i testi di Maimonide.
 A Verona, troviamo Hillel ben Shemuel, che
traduce dall’arabo testi cristiani. Hillel è un medico e
traduce molti trattati di medicina, sia antichi
sia a lui contemporanei, e si richiama a Tommaso
d’Aquino sostenendo l’individualità e
l’immortalità dell’anima.
 Sono giunti fino a noi poco più di 70.000 libri ebraici
manoscritti, conservati in circa seicento biblioteche
nazionali, statali, pubbliche, municipali,
universitarie e monastiche e in collezioni private. In
aggiunta a questi, circa 150.000 frammenti di
manoscritti medievali ci sono stati restituiti dalla
Genizah del Cairo, costitita da una camera di
deposito nella sinagoga Ben Ezra nel vecchio Cairo.
 Ma, fra i manoscritti di Qumran, scoperti a partire dal
1947 e datati fra il II sec.
 e il I e.v., e il più antico manoscritto medievale in nostro
possesso abbiamo un vuoto quasi totale di
documentazione di ottocento anni. Infatti il più antico
manoscritto datato nelle nostre mani fu copiato nell’anno
903-904 in un paese islamico. L’epoca del manoscritto
ebraico viene fatta giungere fino al 1540, quando la
stampa era ormai in grado di fornire la maggior parte
delle opere. Per questo periodo di circa
seicentocinquant’anni si calcola che ci siano giunti circa
40.000 o 50.000 libri ebraici manoscritti, oltre ai già
menzionati frammenti della Genizah del Cairo.
 non ci è pervenuto che il 5% circa di tutti i manoscritti
prodotti in Europa dagli ebrei durante il Medioevo.
 Questa quantità di libri ebraici medievali sopravvissuti
rappresenta certamente una piccolissima parte
dell’intera produzione libraria degli ebrei, molto più
grande, proporzionalmente al fatto che essi costituivano
una minoranza, di quella prodotta dai cristiani, a motivo
del loro sistema educativo che prevedeva
l’apprendimento della capacità di leggere e scrivere fin da
giovane età. La quasi totalità degli ebrei da epoca
immemorabile, specialmente i maschi, sapeva leggere e
scrivere.
 La penisola italiana è l’area che conserva alcune delle più
grandi collezioni di manoscritti ebraici integri, come ad
esempio il fondo ebraico di oltre 1.600 manoscritti
conservato nella Biblioteca Palatina di Parma o nella
Biblioteca Apostolica Vaticana, con circa 800
manoscritti2. L’Italia, infatti, ha avuto un rapporto
privilegiato col manoscritto ebraico, in particolare nella
sua epoca d’oro, vale a dire nei secoli XIII e XIV, quando
il codice – ebraico e non – raggiunse il suo massimo
splendore, giusto poco prima che il diffondersi del libro
stampato nei sec. XV e XVI ne determinasse il crollo e
sostanzialmente il superamento.

 circa la metà dei manoscritti ebraici oggi esistenti
nelle biblioteche di tutto il mondo sono passati per
l’Italia; o perché prodotti in Italia o perché portati
nella nostra Penisola da immigrati, dopo essere
stati copiati nell’area tedesca o spagnola, in seguito a
migrazioni o a espulsioni forzate dai paesi di
residenza; o perché recanti le sottoscrizioni datate di
censori operanti in Italia, o ancora note di possessori
italiani e atti di vendita eseguiti in Italia.
 La penisola italiana è l’area che conserva alcune delle più
grandi collezioni di manoscritti ebraici integri, come ad
esempio il fondo ebraico di oltre 1.600 manoscritti
conservato nella Biblioteca Palatina di Parma o nella
Biblioteca Apostolica Vaticana, con circa 800
manoscritti. L’Italia, infatti, ha avuto un rapporto
privilegiato col manoscritto ebraico, in particolare nella
sua epoca d’oro, vale a dire nei secoli XIII e XIV, quando
il codice – ebraico e non – raggiunse il suo massimo
splendore, giusto poco prima che il diffondersi del libro
stampato nei sec. XV e XVI ne determinasse il crollo e
sostanzialmente il superamento.
 Gli Ebrei nelle varie regioni occidentali e orientali
della diaspora sono sempre stati una piccola
minoranza, calcolata approssimativamente a non più
dell’un per cento della popolazione non ebraica.
 Tuttavia, dobbiamo tener presente che mediamente,
se paragonati alla popolazione cristiana, gli ebrei
scrivevano molto di più. Infatti la maggioranza dei
maschi sapeva leggere e scrivere, avendo appreso fin
da bambini a leggere il testo della Bibbia.
 Questo fatto è confermato dalla testimonianza che ci
viene da diversi colophon di manoscritti ebraici
copiati per proprio uso da ebrei che sapevano
scrivere pur non essendo scribi di professione.
Quindi, considerando il fatto di essere una
minoranza, gli ebrei rispetto ai cristiani ci hanno
lasciato proporzionalmente più manoscritti di quelli
prodotti dai copisti del mondo cristiano o
musulmano in cui essi vivevano.
 Inoltre, gli ebrei fin dall’antichità si sono attenuti ad
una normativa religiosa, alla quale ho già accennato,
che impone loro di riporre in un deposito – detto
appunto genizah – i manoscritti dei testi sacri, o
comunque scritti nella lingua santa e contenenti il
nome di Dio, al fine di evitarne la profanazione. In
genere, dopo un certo periodo, i testi rimasti nella
genizah vengono sepolti per inumazione nei cimiteri.
 la genizah non costituisce affatto una specie di
archiviazione dei testi, e neppure la costituzione di
un archivio o di una biblioteca, ma è una vera e
propria riposizione rituale e successiva sepoltura del
libro sacro per evitare che sia profanato. La prassi
della sepoltura è stata seguita anche dagli ebrei in
Europa: ma seppellire nell’umida terra dei paesi
europei dei manoscritti cartacei o pergamenacei,
porta in breve tempo alla loro totale decomposizione.
 Veniamo ora ad una terza causa: mentre nel mondo cristiano
le persone in grado di leggere e scrivere erano una piccola
minoranza, al contrario nel mondo ebraico, per motivi legati
alla religione, un numero considerevole di maschi era capace
di leggere e scrivere perché fin da bambini essi dovevano
imparare a leggere e a scrivere il testo sacro della Bibbia. I
copisti ebrei si dividono in due gruppi: gli scribi di professione
e altri che, al contrario, copiavano i manoscritti per proprio
uso. Questo ci porta alla conclusione che se non in tutte, in
molte famiglie ebraiche esistevano verosimilmente dei
manoscritti e, proporzionalmente al fatto di costituire una
minoranza, gli ebrei hanno copiato più manoscritti dei
cristiani; ma purtroppo, per una congiuntura di fattori, la
maggior parte di essi è andata perduta.
 Al contrario abbiamo dei casi fortunati costituiti da
alcune genizot, situate in climi molto secchi come
quella del Cairo o di Qumran. Questi depositi di libri,
hanno conservato perfettamente rispettivamente per
mille o duemila anni i preziosi testi accumulatisi in
essi per secoli. Questo è dunque il secondo motivo
che spiega la scarsità di manoscritti ebraici giunti
fino a noi: c’è stata per secoli una distruzione
sistematica del libro ebraico messa in atto
dall’interno del mondo ebraico per motivi religiosi e
rituali.
 Un’altra caratteristica che accompagna la produzione
del manoscritto nel mondo ebraico è legata al modo
di esecuzione delle copie.
 literacy, ovvero il tasso di capacità di leggere
e scrivere
 fra gli ebrei era più alto di quello diffuso nel mondo
cristiano, tuttavia in esso non ci sono mai stati dei
veri e propri scriptoria, ossia delle officine dove un
gruppo di amanuensi di professione copiava e
riproduceva in maniera sistematica i manoscritti.
 L’esecuzione di copie da parte degli ebrei era lasciata
all’iniziativa individuale. Anche questo spiega la
scarsità dei manoscritti ebraici giunti fino a noi. Se
un’opera composta da un commentatore della Bibbia
o da un altro autore non raggiungeva in breve tempo
una certa notorietà, e quindi non veniva riprodotta in
un numero sufficiente di copie, essa era destinata ad
andare irrimediabilmente perduta.

 Un altro motivo è legato alle condizioni di conservazione dei testi stessi. Come è
noto, gli ebrei sono stati sempre caratterizzati da una grandissima mobilità: erano
continuamente in movimento o perché espulsi dalle terre in cui si erano stabiliti, o
per iniziativa personale. In questo

quadro di grande mobilità, anche i manoscritti erano altrettanto “erranti” quanto i
loro possessori che li trasportavano con sé nella bisaccia, sotto braccio o nel
carretto, assieme alle loro masserizie. Per questo i manoscritti ebraici non sono stati
custoditi in solide strutture al riparo da ogni pericolo, quali furono nel mondo
cristiano le grandi abbazie, vere fortezze inespugnabili, anche nel caso si
verificassero attacchi di briganti, sollevazioni, guerre, disastri naturali o calamità di
qualsiasi genere: i manoscritti prodotti dagli amanuensi cristiani nelle grandi
abbazie erano in esse conservati per secoli. Gli ebrei al contrario conservavano i loro
testi nelle case, nelle scuole o nelle sinagoghe, che spesso erano ricavate in case
private; nei loro spostamenti, li trasportavano in modo assai più esposto ai pericoli
del viaggio, come attacchi di briganti o di ladri, intemperie, guerre ecc.
Per spiegare la scarsità di manoscritti ebraici giunti fino a noi, dobbiamo menzionare un’ultima
causa, certo non meno importante delle altre: si tratta della sistematica distruzione del
patrimonio librario degli ebrei perpetrata dalla Chiesa nel corso dei secoli. È noto come in
duemila anni di storia del Cristianesimo gli ebrei siano stati duramente perseguitati dalla
Chiesa, che ha cercato in tutti i modi o di osteggiarli e di segregarli, o di convertirli. Per quasi
duemila anni la Chiesa ha perseguitato gli ebrei e spesso ha tentato di convertirli, cercando di
far loro cambiare fede, bruciando al rogo i loro libri, e a volte condannando al rogo gli stessi
ebrei che si ostinavano a rimanere nel pervicace rifiuto della “vera religione”. Nel corso dei
secoli, già nel Medioevo, e in seguito con rinnovato vigore nel periodo della Controriforma la
politica ecclesiastica e papale contro gli Ebrei si concretizza nell’emanazione di diverse bolle che
ordinano il sequestro di libri ebraici, da bruciare al rogo nelle pubbliche piazze. In particolare la
lotta della Chiesa si concentrò
 contro il Talmud, una vera enciclopedia del giure religioso ebraico che, secondo l’Inquisizione,
avrebbe contenuto parti blasfeme contro il cristianesimo3. È nota la bolla emanata da papa
Giulio III nel 1553 che ordinava il sequestro di tutti gli esemplari del Talmud, cominciando da
Roma ed estendendo a tutti i principi cristiani l’invito a seguire l’esempio di Roma: tutti gli
esemplari del
 Talmud confiscati agli ebrei romani furono bruciati il giorno del capodanno ebraico nello stesso
anno 1553 in Campo dei Fiori. Il rogo di Campo dei Fiori fu seguito da altri appiccati in diverse
città della Romagna e di altre regioni. Anche questa è un’altra triste vicenda che distrusse
ingenti quantità di libri ebraici, facendo sì che il numero di manoscritti ebraici giunto fino a noi
sia relativamente basso. Tutto ciò ci fa capire come la scoperta di un nuovo manoscritto ebraico,
o anche solo di frammenti di manoscritti, sia di grande importanza.






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I manoscritti scoperti in una località sono quelli appartenuti agli ebrei ivi residenti?
Vorrei ora brevemente illustrare qualche dato sul Progetto “Genizah italiana”. Inizio chiarendo
due punti: prima di tutto, il fatto che nell’archivio di una determinata località siano rinvenuti
dei frammenti di manoscritti ebraici riutilizzati come coperte di registri notarili o legature, non
significa necessariamente che questi fossero i libri ebraici degli ebrei di quella determinata
località o che in essa ci fosse una comunità ebraica i cui libri hanno fatto questa fine. In alcuni
casi non risulta che in una località dove sono stati scoperti dei frammenti ebraici in legature, sia
mai esistita una comunità ebraica. In realtà, nel Cinquecento le botteghe dei legatori esistevano
solo nei grossi centri e nei capoluoghi. Dunque, i registri sono stati confezionati riusando
manoscritti ebraici da legatori di Bologna, pronti per essere usati e già avvolti con le coperte
ottenute riciclando i manoscritti ebraici. In sostanza, avveniva che i notai delle varie località si
recavano nel capoluogo ad acquistare i registri nuovi di cui avevano bisogno. Si trattava di
registri di carte bianche che invece di essere rilegati con pergamena nuova, assai più costosa,
erano stati avvolti con fogli di pergamena manoscritta ottenuta smembrando manoscritti
ebraici, latini, musicali, liturgici o scrittiin altre lingue volgari come l’italiano, il provenzale, ecc. Quindi lo smembramento dei
codici e il loro reimpiego per uno scopo secondario così umile sono avvenuti nelle varie città, dove notai e scribacchini andavano ad acquistare registri da tutto il
contado, anche da località abbastanza distanti, come dimostra il fatto che ho trovato registri della stessa fattura, confezionati e rilegati con la stessa tecnica e
con fogli appartenenti ad uno stesso manoscritto in località diverse e anche abbastanza distanti fra loro, come Imola e Bazzano, nell’area bolognese, o Faenza e
Norcia per tre importantissimi frammenti di un manoscritto della Tosefta, il più antico finora scoperto in Italia,
essendo stato copiato in grafia orientale nel sec. X.4
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I circuiti commerciali del mercato dei codici in pergamena da riusare
Da dove provenivano i manoscritti ebraici che finivano nelle botteghe dei legatori di Bologna
per essere riciclati? Penso che verosimilmente potevano anche essere appartenuti agli ebrei di
Bologna, dove nel Rinascimento ci fu una grossa e importante comunità ebraica, la seconda per
grandezza dopo quella di Roma. Ma potrebbero anche essere stati portati nel capoluogo
emiliano da mercanti che li avevano acquistati in località distanti e che poi li vendevano a peso,
seguendo i loro circuiti commerciali. I cartularii apprezzavano in modo particolare queste
pergamene da riciclare, e se ne servivano per avvolgere come coperte registri di varia misura, o
come rinforzi nella legatura di libri. Gli enti pubblici o privati che avevano bisogno di registri
nuovi, si recavano nella bottega del legatore e ne acquistavano una certa quantità, secondo la
loro necessità. A questo punto lo scribacchino o il notaio intestava il suo registro indicando a
penna in alto nella prima di copertina il proprio nome, il tipo di atti contenuti e gli anni degli
stessi. Ad esempio troviamo spesso la formula: Actorum anni … mei notarii … seguito dal nome
del notaio che li rogava. Questa data o, nel caso sia indicata una serie di anni, quella del primo
anno è per noi importante al fine di conoscere l’anno del riciclaggio del manoscritto ebraico.
Ritengo, infatti, che la data del primo anno apposta da colui che compilava gli atti coincida con
l’anno del riciclaggio.
 Una questione che si pone è se i registri erano rilegati dopo
essere stati scritti o già da nuovi. Le prassi forse potevano
essere diverse da zona a zona, ma nella mia ricerca condotta
in Emilia Romagna – regione in cui abbiamo scoperto circa
6.000 frammenti ebraici, pari a oltre i tre quarti di tutti gli
10.000 finora censiti in Italia – ho la prova evidente che i
registri venivano legati con le coperte ebraiche da nuovi,
prima di essere compilati. Lo dimostra il fatto che nella
pagina di intestazione del registro stesso il notaio ne scrive
una descrizione materiale e, a volte, aggiunge che esso è
rilegato da una pergamena ebraica; la descrizione è firmata e
suggellata dal segno di tabellionato del notaio. Ho trovato
diversi casi del genere in registri dell’Archivio di Stato di
Bologna (=ASBO). Eccone qualche esempio:
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ASBO, Ufficio dei Vicariati, San Giorgio di Piano, registro
recante il titolo: S.to Giorgio. Hic est liber vicariatus S.ti Giorgi
et not.is ser Jo. Lud(ovi)cus Zanuttinus 1593, nella prima carta
si legge la seguente informazione del notaio: “Hic est liber...
cartarum centum... coopertus carta pecudina ab utroque latere
scripta literis haebraicis, bullatus...”; la coperta contiene un
testo della Bibbia ebraica (framm. ebr. 133 = B. II. 4).

ASBO, Ufficio dei Vicariati, Argile, registro contenente atti del
1593; nella prima carta si legge: “liber... copertus carta
pecudina ab uno latere litteris haebraicis scripta”; la coperta
contiene un testo della Bibbia ebraica (framm. ebr. 101 = B. II.
5).
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 Sembra dunque accertato, almeno per gran parte dei frammenti, che la confezione
della coperta mediante il manoscritto ebraico reimpiegati sia precedente alla
compilazione del registro, e che, conseguentemente, la prima data degli atti in esso
contenuti coincida con la data del reimpiego del codice. Studiando le date del
riciclaggio, ho potuto ricostruire l’andamento del medesimo nel corso di diversi anni
e rilevare, mediante un grafico, i picchi in cui il riutilizzo di manoscritti ebraici si fa
più intenso. Esaminando quasi un migliaio di registri avvolti con manoscritti ebraici
rinvenuti a Bologna e nell’area bolognese, ho potuto rilevare che esistono due picchi
i quali coincidono esattamente con gli anni immediatamente successivi alla prima
espulsione degli ebrei dalla città avvenuta nel 1569 e alla seconda e definitiva,
avvenuta nel 1593. Credo che questo fatto non sia casuale: probabilmente nel fuggifuggi che deve aver caratterizzato la partenza degli ebrei da Bologna, diversi loro
manoscritti furono abbandonati o venduti, specialmente quelli di pergamena, e ci fu
una notevole quantità di pergamene da riciclare disponibili, da immettere sul
mercato del commercio delle pergamene usate, molto ricercate perché assai più
economiche della pergamena nuova. Mercato che non riguarda solamente i
manoscritti ebraici, ma ogni genere di manoscritto membranaceo.
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Una particolarità degli archivi italiani è che mentre i frammenti riciclati in legature che troviamo nell’area tedesca sono tutti scritti
esclusivamente in grafie ashkenazite e quelli che troviamo nell’area sefardita – che comprende la penisola iberica, il Nord-Africa,
la Sicilia, e la Francia meridionale – sono tutti scritti in grafia di tipo spagnolo o sefardita, al contrario i manoscritti che troviamo
negli archivi dell’Italia centro-settentrionale, rappresentano i tre principali tipi di grafie ebraiche diffuse in Occidente, che sono
appunto quella italiana, quella sefardita e quella ashkenazita. Ciò si spiega per motivi storici; infatti, nei due secoli precedenti
all’epoca del riciclaggio, vennero a stanziarsi in Italia consistenti nuclei di popolazione ebraica proveniente da altri paesi
dell’Europa – è il caso degli ebrei espulsi dalla Francia e dalla Germania alla fine del Trecento, e di quelli espulsi dai re cattolici nel
1492 dai domini della Corona Aragonese. Ciò fece si che una notevole quantità di ashkenaziti e di sefarditi (si computa che il
numero degli espulsi dalla Spagna sia stato di circa mezzo milione) confluisse nei nostri territori scendendo dall’area francotedesca o provenendo dalla penisola iberica, o anche risalendo dal sud dell’Italia. Questi ebrei immigrando nelle regioni dell’Italia
centro settentrionale, portarono con sé i loro manoscritti, finiti nelle collezioni ebraiche, bruciati nei roghi o, per nostra fortuna,
smembrati e riciclati come copertine. Diversi dei manoscritti talmudici rinvenuti in Italia sono vergati in grafie sefardite databili
ai secoli XII-XIV, per cui è certo che essi sono stati copiati in Spagna e, in seguito, portati
in Italia. Se si trattasse di una data posteriore, potremmo anche pensare che siano stati copiati da uno scriba sefardita immigrato
nelle nostre regioni. Normalmente, infatti, uno scriba spagnolo che si insediava in Italia continuava a scrivere nella sua grafia,
appresa nella terra d’origine.
Un’altra caratteristica della cosiddetta “genizah italiana” – espressione con cui si indicano gli archivi della penisola in cui sono stati
scoperti manoscritti ebraici riusati nelle legature – è che si tratta esclusivamente di codici pergamenacei. Il reimpiego di
manoscritti cartacei è assai più raro, e eseguito in qualche caso per fare i cartoni delle legature. Questo anche in considerazione
della enorme quantità di codici in pergamena prodotti in Italia tra il XIII e il XV secolo.6 Come vedremo, è diversa la situazione
che ho rilevato in Spagna.
In Italia il riciclaggio dei manoscritti – ebraici e non – si estende dalla metà del Cinquecento per circa un secolo e mezzo e oltre,
con alcuni casi ancora rilevabili nel Settecento. Ma il periodo di maggior incremento del fenomeno si concentra fra il 1550 e il
1650. Rinvenimenti di frammenti ebraici riusati in legature nella prima metà del Cinquecento sono rarissimi, mentre con la fine
del Seicento il fenomeno va scemando fino ad esaurirsi. Questo non può essere casuale: coincide con il diffondersi su larga scala
del libro a stampa, che determina, come si è rilevato, il crollo del mercato del manoscritto.
 Martin Lutero (1483-1546) arrivò a suggerire alcuni
‘consigli salutari per estirpare la dottrina blasfema
dei Giudei’: ...prima di tutto... è cosa utile bruciare
tutte le loro Sinagoghe... in secondo luogo, siano
distrutte e devastate anche le loro case private... in
terzo luogo, siano privati di tutti i libri di preghiere
e i testi talmudici, nei quali si insegnano idolatrie,
menzogne, stupidaggini... in quarto luogo, sia tolto
ai Rabbini, sotto pena di morte, il compito di
insegnare. Si trattò di un messaggio inquietante che,
nel negare l’apporto della cultura ebraica alla società
europea, faceva intuire orribili tentazioni.