Grande Distribuzione F. Crovato 21 novembre 2011 Introduzione al settore Peculiarità Terminologia 2 Introduzione al settore • La Grande Distribuzione Organizzata abbreviata con l’acronimo GDO) (spesso • Si occupa di gestire attività commerciali di vendita al dettaglio di prodotti di largo consumo, alimentari e non alimentari 3 GDO - Peculiarità • Le sue caratteristiche peculiari sono, da una parte, l’utilizzo di punti vendita aventi grandi superfici (normalmente la soglia dimensionale minima è di 200 m2 per gli esercizi alimentari e di 400 m2 per quelli che distribuiscono prodotti non alimentari) e, dall’altra, l’attività distributiva viene effettuata attraverso una rete commerciale costituita da più punti vendita aventi un marchio comune. • Ogni “catena distributiva” decida a livello centrale le politiche commerciali (quali le strategie promozionali e la loro pubblicizzazione, le modalità di sviluppo delle “ private labels ” , cioè prodotti a marchio dell ’ insegna commerciale, ecc.) e quelle di approvvigionamento (come la scelta dei fornitori, la gestione degli acquisti, le politiche di pricing, ecc.) • in maniera tale che tutti i punti vendita appartenenti al gruppo operino con le medesime scelte di carattere commerciale e strategico. 4 GDO – Peculiarità (segue) • Fino agli anni ’ 80 in Italia, le strutture distributive erano ancora estremamente polverizzate, i canali di vendita più diffusi continuavano ad essere le classiche botteghe o i negozietti al dettaglio a gestione famigliare, che miravano a soddisfare le esigenze degli abitanti delle zone limitrofe a quelle in cui erano collocati. • Solo a partire da metà degli anni ’ 80, la formula distributiva del “supermercato” crebbe di importanza e si svilupparono le prime catene distributive. Occorrerà invece attendere il decennio successivo affinché l’Italia veda la nascita di “centri commerciali” e “ipermercati”, grazie anche all’ingresso nel nostro territorio di catene distributive straniere già attive in altri paesi europei. 5 GDO – Peculiarità (segue) • Dati raccolti da Deloitte nel 2010: il più grande distributore internazionale appare essere la statunitense Wal-Mart con un giro d’affari di 272,8 mld di euro all’anno, seguito dai francesi di Carrefour e dai tedeschi di Metro. In questa classifica la prima catena distributiva italiana è Coop Italia che occupa solo la 46esima posizione con 12,6 mld di euro. • La permanenza dei “negozi di vicinato” deriva dal fatto che la nostra penisola è caratterizzata dalla presenza di numerosissimi piccoli comuni e da suggestivi centri storici nei quali si prediligono gli aspetti distintivi del commercio “a vecchio stampo”, cioè la maggiore vicinanza rispetto alle abitazioni dei compratori e le strutture di vendita snelle. 6 GDO – Peculiarità (segue) • La teoria tradizionale affidava al commercio il solo ruolo di intermediazione tra i consumatori e i produttori agricoli e industriali. • Ora il commercio riveste anche un ’ importantissima funzione strategica - da un lato nell ’ influenzare le decisioni d ’ acquisto dei consumatori - e dall’altro di condizionare le scelte di produzione degli imprenditori. Infatti il distributore, grazie alla sua naturale posizione a contatto diretto con i consumatori finali, è l’unico che riesce a raccogliere informazioni sulle nuove preferenze e sui gusti dei compratori, che sono sempre più caratterizzati da instabilità e varietà, ma fondamentali per le scelte di produzione dell’industria. 7 Terminologia - Ipermercato: struttura caratterizzata da un ’ area di vendita superiore ai 2.500 m2 e da un ampio assortimento di prodotti alimentari e non. All’interno di tale segmento, i punti vendita con dimensioni che vanno dai 2.500 m2 ai 4.000 m2 vengono detti Iperstore - Supermercato: esercizio avente una superficie espositiva dai 400 m2 ai 2.500 m2, con un assortimento prevalentemente alimentare e localizzazione urbana. Il segmento che va dai 1.500 m2 ai 2.500 m2 è definito SuperStore - Libero Servizio: punto vendita con superficie adibita alle vendite al dettaglio che va dai 100 m2 ai 400 m2 - Discount: punto vendita in cui in genere non sono presenti prodotti di marca 8 Terminologia (segue) • Per quanto riguarda invece gli esercizi della grande distribuzione non alimentare vengono solitamente distinti in: - Grandi magazzini: punti vendita di dimensione superiore ai 400 m2, caratterizzati dalla presenza di almeno 5 diversi reparti merceologici; - Grandi superfici specializzate: formati distributivi di almeno 1.500 m2 focalizzati su una specifica aree merceologica, come ad esempio abbigliamento, arredo casa, elettronica di consumo, ecc. • Infine sono definiti come “esercizi tradizionali” quelli che distribuiscono beni di largo consumo con un’area vendita inferiore ai 100 m2 9 Terminologia (segue) Con riferimento alle caratteristiche strutturali e alla gestione del singolo punto vendita – per Grande Distribuzione (GD), si intendono imprese commerciali di grandi dimensioni che gestiscono in modo centralizzato i propri esercizi distributivi. Quest’ultimi presentano “filiali” di una entità economica unitaria. Gli attori più importanti nel mercato italiano sono Lidl, Carrefour, Auchan, Esselunga; – per Distribuzione Organizzata (DO), si intende un insieme di operatori commerciali indipendenti che mantengono la piena gestione del singolo punto vendita, ma che centralizzano alcune funzioni essenziali per l’ottenimento del profitto. In genere tra le attività centralizzate vi sono: l ’ area acquisti, le decisioni in campo promozionale e pubblicitario, le private labels, l’insegna comune. Gli operatori più importanti in Italia sono Interdis, Selex, Sisa e Despar; –Cooperazione di Consumo, nata da gruppi di consumatori che, per tutelare il loro potere d’acquisto, si organizzarono per condividere l’attività distributiva, e Cooperative di Dettaglianti. Nella prima tipologia di cooperazione, l ’ attore principale è Coop Italia, mentre nelle seconde Conad. 10 Nel biennio 2009-2010 la GDO si presenta cos“ articolata: Ipermercat i 31% Supermercat i 17% Grandi magazzini 9% Discount 11% Grandi superfici specializzat e Libero servizio 19% 13% Fonte: Dati Nielsen e Ministero dellÕEconomia e dello Svilu ppo 11 Differenze inventariali Ammanchi noti Ammanchi di cassa Sistemi di monitoraggio e prevenzione del fenomeno (D.P.R. n. 447/1997 e circ. n. 31/E/2006) 12 Differenze inventariali La presenza di differenze inventariali, oltre a incidere sull’attendibilità dei valori presenti in bilancio, influenza il carico tributario delle aziende del settore. Ecco perché l ’ Agenzia delle Entrate guarda con sospetto il fenomeno: teme che tale pratica sia utilizzata per occultare parte dei ricavi. 13 Differenze inventariali e ammanchi noti: definizioni e calcolo • Durante l ’ effettuazione dell ’ inventario fisico delle giacenze in magazzino, le imprese rilevano difformità rispetto ai valori risultanti dalle scritture contabili. • Le differenze inventariali si definiscono proprio come le discrepanze, positive o negative, che esistono, ad una data precisa, tra la giacenza effettiva, rilevata a seguito di un inventario fisico del magazzino societario, e la giacenza teorica delle merci, derivante da scritture contabili e/o gestionali. • In concreto, con tale espressione si intendono tutti i beni acquistati ma che non appaiono né venduti né giacenti presso la società e che quindi risultano mancanti a seguito di accadimenti non individuabili con precisione. 14 Ammanchi Noti • Le differenze tra la situazione contabile e quella effettiva possono essere giustificate non solo dalle differenze inventariali in senso stretto, ma anche dagli Ammanchi Noti. • Questi ultimi sono costituiti da merci non più cedibili ai clienti: – merci scadute e non rese ai fornitori; – prodotti rotti o danneggiati; – merce danneggiata per l’interruzione della catena del freddo; – consumi interni. • Se tale tipologia di ammanchi non viene tempestivamente registrata nei sistemi gestionali aziendali ad opera del personale preposto, contribuisce a diminuire le giacenze effettive in sede di inventario fisico delle merci e di conseguenza ad aumentare il valore delle differenze inventariali. 15 Differenze inventariali Le differenze inventariali (chiamate anche Ammanchi non noti), nella definizione proposta dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 2 ottobre 2006, n. 31/E: “(…) sono gli ammanchi di beni a seguito di riscontro fisico ovvero le differenze quantitative tra consistenza delle rimanenze registrate e scritture obbligatorie di magazzino o documentazione obbligatoria”. 16 Differenze inventariali (segue) Uno studio del Cermes ha elencato quelle che sono ritenute le principali cause generatrici degli ammanchi non noti: A. Furti da parte di: • clienti, • dipendenti, • personale di imprese terze (aziende di pulizia, sorveglianza, ecc.). 17 Furti (segue) Dalla ricerca emerge che i furti rappresentano la causa principale delle differenze inventariali, spiegando oltre il 75% del loro valore complessivo. In particolare, i furti più diffusi sono quelli effettuati dai clienti (circa il 35%) seguiti da quelli compiuti dal personale dipendente (26,4%). In generale appare il punto vendita il luogo in cui vengono attuati la maggioranza dei furti che si concretizzano nella sottrazione di merce esposta sui scaffali, in accordi tra dipendenti e clienti, in consumo di prodotti durante la realizzazione della spesa, modifica dei codici di prezzo, pesatura scorretta dei prodotti sfusi, ecc. Furti (segue) http://www.youtube.com/watch?v= hww5MI-6Mt4 Differenze inventariali (segue) B. Errori connessi al carico e allo scarico delle merci C. Errori conseguenti alla mancanza dei codici a barre o all’usura degli stessi che impedisce di identificare le merci una volta giunte alle casse D. Errori durante lo svolgimento dell ’ inventario fisico delle varie referenze merceologiche E. Mancata registrazione degli ammanchi noti F. Deperimenti naturali o cali di lavorazione in percentuali maggiori rispetto alle medie quantificate dall’impresa G. Errori di approssimazione o mancanza di aggiornamenti nei valori costituenti la formula di calcolo delle differenze inventariali. 20 Differenze inventariali (segue) • Si può quindi concludere che il trend delle differenze inventariali è influenzato da una pluralità di fattori, sia di natura aziendale (investimenti in controlli e sicurezza, modalità di rilevazione degli ammanchi noti, livello di motivazione e di preparazione dei dipendenti aziendali, modalità di consegna delle merci, ecc.) che di origine esogena/ambientale (localizzazione geografica del punto vendita, contesto sociale, andamento economico, ecc.), che agiscono in modo simultaneo. • Proprio per questo motivo risulta impossibile definire un livello “fisiologico” di Differenze inventariali valido per tutte le imprese del settore. Potrebbe invece essere utile individuare un range di tolleranza entro il quale differenti valori delle Differenze inventariali possono essere considerati frutto di normali situazioni aziendali e di mercato. 21 Differenze inventariali (segue) • Comportamenti aziendali patologici all’origine delle differenze inventariali: – vendita in evasione d’imposta di stock di merci ad altre attività commerciali (come ristoranti, bar, micro commercianti e artigiani), che a loro volta occultano parte degli incassi e dispongono di contante adeguato; – ammanchi di beni derivanti da un utilizzo pararetributivo delle merci, che potrebbero essere utilizzate come retribuzione in natura a favore dei dipendenti, riducendo così i costi fiscali e contributivi del personale. • Queste condotte non sono verosimili nelle grandi imprese distributive perchè esse sono strutture spersonalizzate e “organizzativamente rigide” in cui il conflitto di interessi tra proprietà, dipendenti, management e clienti è molto accentuato (questa situazione di reciproco controllo e condizionamento in genere conduce all ’ emersione della materia imponibile e non al suo occultamento) e dove non esiste un’unica figura che, da sola, prende la totalità delle decisioni determinanti per il funzionamento aziendale (proprio l ’ interconnessione tra numerosi individui fa si che per mettere in atto comportamenti illeciti dovranno essere coinvolti molti soggetti, i quali dovranno essere tutti favorevoli alla “copertura” della condotta vietata). 22 Differenze inventariali (segue) • Tener conto che il comparto distributivo è composto anche da piccoli dettaglianti e da operatori con organizzazioni più flessibili che svolgono l’attività distributiva con un numero contenuto di dipendenti in punti vendita somiglianti a quelli appartenenti alle grandi catene di retail. Infatti queste forme distributive sono caratterizzate da un controllo fortissimo esercitato dall’imprenditore e da una probabilità di taccheggi, di furti da parte dei dipendenti, di distruzioni accidentali molto più bassa, proprio per la minore affluenza di clientela, per la presenza di spazi limitati e per il rapporto più diretto che si instaura tra il proprietario e i frequentatori del punto vendita. • … dove sono invece più facilmente concretizzabili comportamenti volti a nascondere da tassazione la ricchezza prodotta. • Sarebbe necessario distinguere le grandi imprese dalla proprietà spersonalizzata (in cui le differenze inventariali sono causate da atti a loro danno) dagli esercizi più flessibili, dove le condotte evasive sono facilmente gestibili direttamente ed unicamente dal titolare. 23 Tema fiscale • Il tema fiscale è se le differenze inventariali possano essere poste alla base di presunzioni di ricavi e corrispettivi non dichiarati. Quindi ci si domanda se in realtà, dietro la registrazione di differenze inventariali, le imprese distributive nascondano vendite effettuate in evasione d’imposta. • Acceso dibattito su come conciliare le differenze inventariali nelle imprese della GDO con le presunzioni di cessione e di acquisto disciplinate dal D.P.R. n. 441/1997. 24 (segue) • Queste presunzioni agevolano il controllo del magazzino da parte dell ’ Amministrazione finanziaria, consentendo l ’ utilizzo di presunzioni per contestare le eventuali differenze inventariali riscontrate dagli organi verificatori durante gli accessi. Si compone di soli cinque articoli: – artt. 1 e 2 disciplinano la presunzione di cessione; – art. 3 regola la presunzione d’acquisto; – ……. – art. 5 abroga la precedente normativa in materia e dispone l’emanazione di decreti ministeriali di coordinamento. 25 Sistemi di monitoraggio e di prevenzione del fenomeno (segue) • Prova contraria con i mezzi indicati dalla legge stessa • Artt. 2 e 3 D.P.R. n. 441/1997 descrivono le esimenti che consentono al contribuente di vincere rispettivamente le presunzioni di cessione e di acquisto; nello specifico: • le cessioni gratuite di beni ad enti pubblici o ad associazioni benefiche sono provate attraverso le seguenti modalità: i. comunicazione scritta del cedente agli uffici dell ’ amministrazione finanziaria e ai comandi di Guardia di Finanza competenti, con indicazioni dettagliate sulle modalità del trasporto, sulla destinazione dei beni e sul valore complessivo, in base del prezzo d ’ acquisto, della merce gratuitamente ceduta; ii. emissione del documento di trasporto progressivamente numerato; iii. dichiarazione sostitutiva di atto notorio con il quale il ricevente attesti che i beni ricevuti gratuitamente corrispondano per qualità, quantità e natura a quelli contenuti nel documento di trasporto citato al punto ii. 26 D.P.R. n. 441/1997 – Prova contraria • Per le perdite di beni dovute ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà aziendale (come furti, rapine, incidenti, alluvioni, incendi, ecc.): i. Idonea documentazione, dalla quale risulti il valore complessivo dei beni perduti, fornita da un organo di Pubblica Amministrazione o, in mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da rendersi entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data cui se ne ha conoscenza. Vi è inoltre l’obbligo di descrivere i criteri e gli elementi in base ai quali il valore dei beni è stato determinato in caso di esplicita richiesta da parte dell’Amministrazione Finanziaria. – Alcuni esempi di tali documenti sono: i provvedimento di sequestro amministrativo/giudiziario, il verbale di accertamento della distruzione dei beni redatto dai Vigili del Fuoco, la denuncia di furto alle Autorità di polizia. 27 D.P.R. n. 441/1997 – Prova contraria (segue) • La distruzione o la trasformazione dei beni è provata tramite: i. comunicazione scritta, secondo le modalità e i termini previsti dal punto i) delle cessioni gratuite, contenente informazioni sui beni oggetto di trasformazione/distruzione e sulle modalità con cui sono avvenute tali attività. La documentazione non deve essere prodotta se la distruzione è disposta da un organo della Pubblica Amministrazione; ii. verbale redatto da pubblici funzionari, ufficiali della Guardia di Finanza o dai notai presenti alla distruzione o alla trasformazione dei beni o attraverso dichiarazione sostitutiva di atto notorio, se tali beni hanno un valore inferiore a 5.164,57 euro; iii. documento di trasporto, progressivamente numerato, relativo al trasporto dei beni eventualmente risultanti dalla trasformazione o distruzione. 28 D.P.R. n. 441/1997 - Prova contraria (segue) • Le presunzioni d ’ acquisto possono essere superate se il contribuente è in grado di: i. dimostrare di aver ricevuto i beni in base ad un rapporto di rappresentanza o a uno degli altri titoli elencati all’art. 1, D.P.R. n. 441/97 e nei modi da esso previsti; ii. presentare fattura, ricevuta fiscale, documento di trasporto progressivamente numerato dal ricevente che indichino il titolo di provenienza dei beni; iii. esibire apposita annotazione nel libro giornale o in altro libro tenuto secondo le disposizioni del codice civile ovvero annotazione in registri previsti dal Decreto IVA (D.P.R. n. 633/1972) contenenti indicazione delle generalità del cedente, la natura, qualità e quantità dei beni e la data di ricezione degli stessi. 29 D.P.R. n. 441/1997 – Operatività presunzioni (segue) • Nei casi in cui operano le presunzioni legali del D.P.R. n. 441/1997, si assiste ad un’automatica inversione dell’onere della prova: in tali ipotesi, infatti, per accertare operazioni avvenute in nero, all ’ Amministrazione basterà effettuare verifiche fisiche dalle quali compaiano ammanchi di beni, ovvero evidenziare la presenza di differenze quantitative tra le consistenze delle rimanenze registrate e le scritture obbligatorie di magazzino/documentazione obbligatoria. • I verificatori cioè non saranno costretti a portare ulteriori elementi a conferma della conclusione raggiunta. 30 D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO • Nelle grandi imprese distributive, visto l ’ elevato numero dei frequentatori dei punti vendita e dei soggetti che vi lavorano, nonchè per la numerosità delle referenze commercializzate, che spesso sono deperibili e di modesto valore unitario, è frequente assistere a furti, danneggiamenti, distruzioni accidentali, ad errori di rilevazione dei beni in entrata o in uscita e ad altri accadimenti che incrementano il valore delle merci mancanti ma che non sono immediatamente individuabili e facilmente giustificabili dall’impresa. • Possibilità di applicare acriticamente ed automaticamente alle differenze inventariali rilevate dalle imprese del settore le presunzioni di cessione e di acquisto contenute nel D.P.R. n. 441/1997? 31 D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO (segue) • L’orientamento attualmente prevalente prevede che il D.P.R. n. 441/1997 non si possa applicare direttamente alla GDO (punti vendita) • - i beni acquistati, ma mancanti dal magazzino, possano essere considerati elementi di prova a sostegno dell ’ omessa contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi anche in tema di imposte dirette • - il contribuente per difendersi non sarà obbligato ad avvalersi delle prove vincolate stabilite dal D.P.R. n. 441/1997. 32 D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO (segue) qual è il problema? • Le differenze inventariali nella grande distribuzione sono da molto tempo oggetto di onerosi accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria. • La Commissione Finanza della Camera che, con ris. 11 gennaio 2006, n. 7/00711, sottolineava già nel 2006 che nel settore della GDO: “… il personale incaricato ai controlli fiscali attribuisce alle differenze inventariali natura di presunzioni di acquisto o di vendita anche quando palesemente non sono determinate dalla volontà di eludere o evadere i propri obblighi tributari ma sono riconducibili a cause di carattere organizzativo o funzionale” e continua aggiungendo: “… paradossalmente viene pregiudicato il contribuente che, nella propria contabilità, evidenzia in buona fede tali discrepanze, rispetto a quanti, invece di segnalare le differenze esistenti tra le registrazioni di magazzino, abbiano omesso o modificato la contabilità proprio per non fare emergere tali differenze”. 33 Circolare n. 31/E/2006 • Fondamentale è la circ. 2 ottobre 2006, n. 31/E • chiarisce che il D.P.R. n. 441/1997 non opera per i magazzini dei punti vendita • da ciò deriva che per gli ammanchi o gli esuberi, il contribuente non deve produrre mezzi di prova specificamente previsti dalla legge, ma può utilizzare qualsiasi elemento a sua disposizione, anche di natura presuntiva, in grado di dimostrare la natura fisiologica e non patologica delle perdite: in questi casi si parla della cosiddetta «prova libera». 34 Circolare. n. 31/E/2006 (segue) – Ad esempio, in caso di taccheggi presso i depositi esistenti nei punti vendita non vi è la necessità, come invece molti ritenevano, di procedere alla denuncia/esposto/querela per i furti subiti ad opera di ignoti e non è neppure richiesta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio. 35 Circolare. n. 31/E/2006 (segue) Più in generale, la circolare n. 31/E/2006 introduce un concetto importante, cioè quello di analizzare gli ammanchi rilevati dalle imprese secondo criteri di “buon senso” e di “plausibilità rispetto al contesto di origine” 36 Circolare. n. 31/E/2006 (segue) • La circolare in esame elenca, a titolo esemplificativo, alcuni aspetti che verificatori dovrebbero esaminare prima di giungere ad un giudizio sulla plausibilità delle differenze inventariali rilevate dell’impresa: – caratteristiche gestionali e peculiarità dell’attività aziendale; – andamento delle differenze inventariali registrate dell’ultimo triennio; – trend degli investimenti aziendali per contenere e prevenire il fenomeno degli ammanchi inventariali e il rapporto costi/benefici dell’adozione di tali misure cautelative; – la presenza di differenze inventariali sia di segno positivo che di segno negativo nell’ambito della stessa categoria merceologica che potrebbero essere compensabili; – la scarsa plausibilità delle vendite in evasione d’imposta delle merci costituenti gli ammanchi; – significatività delle differenze rispetto al volume d’affari aziendale o alla consistenza media del magazzino, da considerare in relazione al tipo di attività svolta e alla localizzazione aziendale. 37 Circolare. n. 31/E/2006 (segue) • Con questa circolare l’Agenzia delle Entrate sembra finalmente ammettere che le differenze inventariali non sono sempre sintomo di fenomeni di evasione d’imposta, ma possono essere generate fisiologicamente dalle imprese a causa delle proprie caratteristiche aziendali e di magazzino. • Viene infatti introdotto, anche se in termini molto cauti, il concetto di “differenze inventariali fisiologiche” all’attività imprenditoriale: la mancanza di beni all ’ interno dell ’ azienda priva di una spiegazione puntuale ha un significato diverso a seconda delle caratteristiche e del valore dei beni commercializzati, delle specificità aziendali, della localizzazione dell’attività ecc. 38 Circolare. n. 31/E/2006 (segue) Giurisprudenza: concordano con quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 31/E/2006: –sia la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sentenza 15 dicembre 2009, n. 135 –sia la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza 22 aprile 2010, n. 99 ….tuttavia gli accertamenti degli uffici locali continuano…….. 39 Ammanchi di cassa • La riconducibilità di tali circostanze ad eventi specifici risulta di fatto impossibile, o quanto meno antieconomica, da effettuare. • Apposite misure organizzative e procedure di controllo che consentono di appurare, anche se in un momento successivo alla loro genesi, l’effettiva esistenza e l’entità delle differenze di cassa. Ammanchi di cassa (segue) • …. che implica, per il gran numero delle movimentazioni effettuate l’emersione con una certa frequenza di fenomeni quali: – arrotondamenti concessi dall’operatore in cassa, per mancanza di spiccioli, dopo l’emissione dello scontrino; – errori commessi nel maneggiare o nel trasferire i valori in cassa (ad esempio, resto dato in misura superiore al dovuto); – errori compiuti nel registrare transazioni senza che l’operatore in cassa se ne avveda (ad es. viene digitato uno scontrino con un importo superiore); – abusi compiuti dai dipendenti (ad esempio, piccoli furti). Operazioni e concorsi a premio: peculiarità riflessi contabili aspetti fiscali (dirette, ritenute, IVA) 42 Operazioni e concorsi a premio • Nella GDO sono ampiamente diffusi i programmi di raccolta punti e le operazioni a premi correlati agli acquisti effettuati all’interno dei punti vendita di ciascuna catena distributiva. • Le fidelity cards permettono ai consumatori di maturare punti elettronici ad ogni acquisto presso gli esercizi appartenenti ad una stessa insegna commerciale, poi utilizzabili per richiedere i premi contenuti in un catalogo o sconti su acquisti successivi nel medesimo punto vendita. • Sono uno strumento utile alle catene distributive per scegliere quali condizioni di vendita adottare e quali servizi offrire per soddisfare al meglio la clientela. 43 Operazioni e concorsi a premio (segue) • Le operazioni e i concorsi a premio sono una costante delle politiche commerciali delle grandi imprese distributive, con un trattamento fiscale abbastanza particolare • Innanzitutto, le manifestazioni a premio si dividono in “ concorsi ” “operazioni” a premio. • Le differenze principali tra le due fattispecie risiedono nel fatto che nei concorsi a premi il premio è attribuito solamente ad uno o alcuni partecipanti in base all’alea, all’abilità o alle capacità personali dei partecipanti stessi. • Mentre nella seconda fattispecie il premio è conseguito da tutti coloro che acquistano il prodotto o servizio promozionato o concludono una certa raccolta punti. 44 e Operazioni e concorsi a premio (segue) • D.P.R. n. 430/2001 è, ad oggi, la normativa di riferimento in tema di concorsi ed operazioni a premio. • Le novità sicuramente più rilevanti rispetto al passato sono: 1) l ’ introduzione all ’ art. 5 della possibilità anche per le “ organizzazioni rappresentative dell'associazionismo economico tra imprese costituite sotto forma di consorzi e di società anche cooperative” di essere promotori di una manifestazione a premio, adeguando quindi la normativa all’evoluzione della distribuzione moderna; 2) l ’ eliminazione, per i promotori di concorsi a premio, dell ’ obbligo di richiedere al Ministero una preventiva autorizzazione; 3) il passaggio di competenze in tema di controllo e gestione delle manifestazioni a premio dal Ministero dell’Economia a quello delle Attività produttive. 45 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio • Per realizzare una manifestazione a premio, l ’ impresa promotrice deve sostenere una serie di spese dirette, indirette e accessorie legate all’iniziativa stessa. • Alcuni esempi di tali costi sono: la stampa e la distribuzione dei cataloghi premi e/o dei buoni sconti, gli oneri per l’adempimento di formalità legali, il costo dei beni-premio da assegnare ai vincitori, le spese pubblicitarie per far conoscere l’iniziativa ai consumatori (cartellonistica, locandine promozionali, spot pubblicitari da diffondere attraverso i media), ecc. 46 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio (segue) • L ’ impostazione prevalente prevede che i costi collegati all ’ organizzazione e all ’ effettuazione delle manifestazioni a premio debbano essere inseriti nella voce B7) del Conto Economico, ossia quella denominata “Costi per servizi”. – Per completezza di informazione occorre precisare che una minoranza di autori ritengono che l’importo del montepremi non vada inserito nella voce Costi per servizi, ma sia da rilevare separatamente nella voce B14) Oneri diversi di gestione del Conto Economico. La dottrina maggioritaria ritiene però che in quest ’ ultima voce vadano inseriti solo gli oneri per omaggi, strenne natalizie, gadgets aziendali e gli oggetti con fine meramente promozionale. 47 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio (segue) • In applicazione del principio della competenza economica, nel caso la manifestazione a premio abbia una durata pluriennale, l ’ impresa promotrice deve provvedere ad accantonare un fondo per rischi e oneri da collocare tra le passività dello Stato Patrimoniale, alla voce B3) “Altri fondi per rischi e oneri”. – In base al principio della competenza economica e nel rispetto di quello della correlazione tra costi e ricavi, gli oneri connessi alla manifestazione a premio devono gravare sull’esercizio nel quale è avvenuta la contabilizzazione del relativo ricavo, indipendentemente da quando i consumatori richiederanno i premi stessi. Ciò significa che, nell’esercizio in cui avviene l’incremento delle vendite dei prodotti promozionati, l’impresa promotrice dovrà contabilizzare l’accantonamento al Fondo per buoni sconto e concorsi a premio, poiché è contestualmente all’aumento delle vendite derivanti dalla promozione che l’impresa dovrà rilevare i costi che prevede di sostenere nel momento in cui dovrà corrispondere i premi agli aventi diritto. 48 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio (segue) • Tale fondo, per essere congruo, deve avere un importo tale da riuscire a coprire “tutti i costi, connessi all’impegno contrattuale, che si prevede verranno effettivamente sostenuti” (OIC19). • Da ciò consegue che, per definire l’ammontare del “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio”, sarà necessario stimare non solo il montepremi, bensì ciascun onere riferibile alla manifestazione, anche quelli in apparenza meno rilevanti. • Ovviamente la valutazione dell’importo da accantonare al fondo seguirà criteri diversi a seconda che l ’ impresa voglia svolgere un’operazione o un concorso a premio, ma in entrambi i casi la stima dovrà essere effettuata sulla base di tutti gli elementi a disposizione dell’impresa promotrice, in modo che il calcolo non risulti arbitrario. 49 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio (segue) • Nell ’ ipotesi di organizzazione di un ’ operazione a premio, lo stanziamento al fondo dovrà essere determinato in base al numero di consumatori che si prevede adempieranno alle condizioni previste dal regolamento, rispettando le modalità e le scadenze inserite in quest’ultimo, e quindi avranno diritto ai premi in palio. • In altre parole, l ’ impresa promotrice dovrà individuare la “percentuale di ritorno dell’iniziativa, facendo riferimento a vari fattori quali: il tipo di prodotto, la tipologia di campagna pubblicitaria a sostegno dell ’ operazione a premio, il valore unitario del premio, la propensione del cliente all’acquisto del prodotto promozionato, le esperienze passate, le elaborazioni statistiche per operazioni similari (OIC19). 50 Riflessi contabili delle manifestazioni a premio (segue) • I parametri utilizzati per la stima dovranno consentire di determinare, alla chiusura dell ’ esercizio, quale parte di premi/buoni sconto connessi a vendite effettuate nell ’ esercizio verranno richiesti all’impresa in anni successivi. Inoltre, al termine di ciascun periodo, la previsione dovrà essere riesaminata, considerando sia i ritorni effettivi avvenuti in quell ’ anno sia le modifiche intervenute nei presupposti assunti come base per le stime. • Nell’eventualità che da tali rielaborazioni risulti che l’ammontare residuo del “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio” ecceda la stima dei costi ancora da sostenere per l’iniziativa, allora sarà necessaria una rettifica all’importo di tale fondo, da inserire tra i proventi della gestione ordinaria, alla voce A 5) del Conto Economico “Altri ricavi e proventi”. 51 Riflessi contabili dei concorsi a premio (segue) • Nel caso di svolgimento di un concorso a premio, sarà più semplice determinare l’importo dell’accantonamento al “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio ” perchè l ’ impresa promotrice dell’iniziativa dovrà erogare in ogni caso il premio promesso al vincitore o, se questo non sia individuabile, alla ONLUS specificata nel Regolamento del concorso. • Per tale ragione, si ritiene che il valore da stanziare nel fondo debba essere pari all’intero valore dei premi promessi che, alla scadenza del concorso, saranno sicuramente attribuiti a terzi. 52 Aspetti fiscali • Se la manifestazione a premio si conclude nel medesimo periodo d’imposta in cui ha avuto inizio, ci sono sia maturazione che certezza dell’ammontare e esistenza del costo, • la deduzione dal reddito d’impresa potrà quindi avvenire in quell’anno. • Al contrario, se la manifestazione a premio non si concluda nello stesso esercizio in cui ha avuto inizio, occorrerà applicare l’art. 107 T.U.I.R. • Questa disposizione limita la deducibilità degli accantonamenti per operazioni e concorsi a premio, effettuati in caso di manifestazioni di durata ultrannuale, basandosi sul presupposto che alla chiusura dell’esercizio non sia possibile quantificare, con certezza e precisione, l’entità dei costi riferibili a ciascun esercizio. • Il presupposto è che tutti gli impegni assunti con il pubblico non si tradurranno necessariamente in costi effettivi. 53 Aspetti fiscali (segue) • Nello specifico, gli accantonamenti relativi alle manifestazioni a premio sono deducibili nella misura del: - 30% dell’ammontare degli impegni assunti nell’esercizio per le operazioni a premio, - 70% dell’ammontare degli impegni assunti nell’esercizio per i concorsi a premio. 54 Aspetti fiscali (segue) • Inoltre perché tali accantonamenti possano essere deducibili, l’art. 107, richiede che: - gli oneri siano suddivisi in base all’esercizio di formazione; - ciascun fondo venga usato solo a copertura dei costi relativi alla manifestazione a cui il fondo stesso si riferisce; • La norma prevede che l’ammontare del fondo rimasto inutilizzato al termine del terzo esercizio andrà a formare il reddito imponibile dell’esercizio stesso, in qualità di sopravvenienza attiva. • il Fondo può quindi rimanere iscritto fra le passività dello Stato Patrimoniale fino ad un massimo di due esercizi successivi a quello di formazione. 55 Aspetti fiscali (segue) • L ’ art. 107 T.U.I.R. non è ancora stato aggiornato alle modifiche introdotte con il D.P.R. n. 430/2001. Quest’ultimo infatti ha allungato la durata massima delle operazioni a premio da tre a cinque anni; …. le aziende promotrici di una manifestazione con durata superiore ai tre anni, allo scadere del terzo esercizio, sono costrette a rilevare una sopravvenienza attiva ingiustificata pari all ’ accantonamento non ancora utilizzato …. • .…. nelle operazioni a premio la riconsegna dei buoni sconto o la richiesta dei beni-premio avvengono soprattutto nelle fasi finali della manifestazione …. • Nell ’ esercizio in cui termina la manifestazione, tutti i costi effettivamente sostenuti dal promotore, che eccedono l ’ importo residuo del “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio”, sono interamente deducibili dal reddito del periodo come sopravvenienza passiva. 56 Le ritenute fiscali sui premi L’art. 30 D.P.R. n. 600/1973 , rubricato “Ritenute sui premi e sulle vincite”, prevede ritenute fiscali a titolo d’imposta (con facoltà di rivalsa) sui premi e sulle vincite di entrambe le fattispecie di manifestazioni a premio. 57 Le ritenute fiscali sui premi (segue) In generale • Indipendentemente dal tipo di manifestazione a premi organizzata, c’è facoltà di rivalsa nei confronti del vincitore per la ritenuta alla fonte. In questo caso l’art. 30 D.P.R. n. 600/1973 dà la possibilità ai vincitori sui quali è stata esercitata la rivalsa di richiedere un premio di un valore inferiore a quello originario, per un importo pari all’imposta gravante sul premio iniziale. • …. Normalmente però le imprese promotrici non esercitano il diritto di rivalsa nei confronti dei propri clienti poichè ciò produrrebbe danni all’immagine commerciale dell’impresa: la ritenuta diventa quindi un costo, tra l’altro anche indeducibile, ai sensi dell’art. 99 T.U.I.R., per gli organizzatori della manifestazione. Le ritenute fiscali sui premi (segue) Se i premi rientrano possono essere ricondotti ad una delle categorie reddituali elencate nell’art. 6 T.U.I.R., e la disciplina tributaria già prevede per la categoria reddituale una specifica ritenuta alla fonte a titolo d’acconto, la ritenuta a titolo d’imposta non si deve applicare. In questo caso il premio concorrerà, in qualità di reddito in natura, alla formazione del reddito del vincitore e verrà applicata la tassazione ordinaria e con ritenuta d’acconto prevista per quella tipologia reddituale: esempio premi ai dipendenti con ritenute progressive. Offerta premi a dipendenti ris. 24 marzo 2009, n. 76/E 59 La disciplina IVA delle manifestazioni a premio • L’art. 19 della L. n. 449/1997 ha abrogato la “tassa di lotto e lotteria” e sostituito ad essa, dal gennaio 1998, l’indetraibilità dell’IVA relativa agli acquisti di beni/servizi che costituiranno i premi messi in palio nelle manifestazioni a premio. • Di conseguenza l ’ imposta diverrà un costo per l’impresa promotrice della manifestazione. 60 L’imposta sostitutiva • Quando vengono messi in palio premi “non imponibili ai fini IVA”, (da intendersi in senso atecnico, quindi non solo per beni e servizi non imponibili ex artt. 7, 8, 8-bis e 9, D.P.R. n. 633/1972, ma anche alle operazioni esenti, escluse o non rilevanti ai fini IVA) è previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 20% del valore dei premi. 61 IVA sconti (ris. n. 36/E/2008) • Sconti effettuati, da parte delle aziende produttrici, alla grande distribuzione a fronte dell’ottenimento di determinati volumi di vendita ovvero di specifiche attività promozionali, concordate tra i soggetti, e veicolate comunque attraverso la vendita da parte del supermercato. • L ’ Agenzia considera autonome prestazioni di servizio le politiche promozionali che i supermercati adottano per aumentare le proprie vendite su determinati prodotti, a fronte dei quali viene concordato uno sconto coi fornitori, in modo da far partecipare questi ultimi allo sforzo economico connesso alla campagna promozionale, così come partecipano ai maggiori volumi di vendita. 62 IVA sconti (ris. n. 36/E/2008) (segue) • Esempi • Depliant con prodotti civetta • Mantenimento assortimento prodotti nel punto vendita Agenzia considera presenza del bene continua in cambio di uno sconto come autonoma controprestazione • Stessa cosa per prodotti inseriti in carte fedeltà o campagne sconti sugli scaffali etc. • Degustazioni 63 IVA sconti (ris. n. 36/E/2008) (segue) • La pietra di paragone per orientarsi tra sconti e autonomi servizi promozionali dovrebbe essere che questi ultimi cominciano quando il supermercato sostiene dei costi solo a beneficio del fornitore, ad esempio remunerando dei presentatori che promuovono presso i clienti determinati prodotti, offrendo degustazioni, campioni gratuiti, facendo volantinaggi relativi esclusivamente al prodotto, etc. • Finché si tratta di esporre con favore le merci (o metterle in un volantino assieme ad altre) che trainano le vendite, chiedendo poi uno sconto sulla fornitura, non si fa promozione per le ditte produttrici, ma si massimizzano i ricavi verso la clientela. L’impegno di vendere bene, cioè di posizionare il prodotto in modo visibile sugli scaffali o su un volantino, non ha alcuna autonomia rispetto alla funzione di vendita svolta dal supermercato; quest’ultimo è infatti portatore di un interesse proprio a vendere sul mercato, sia pure convergente con quello del produttore a far conoscere i prodotti. 64