Grande Distribuzione
F. Crovato
21 novembre 2011
Introduzione al settore
Peculiarità
Terminologia
2
Introduzione al settore
• La Grande Distribuzione Organizzata
abbreviata con l’acronimo GDO)
(spesso
• Si occupa di gestire attività commerciali di vendita al
dettaglio di prodotti di largo consumo, alimentari e non
alimentari
3
GDO - Peculiarità
•
Le sue caratteristiche peculiari sono, da una parte, l’utilizzo di punti
vendita aventi grandi superfici (normalmente la soglia dimensionale minima
è di 200 m2 per gli esercizi alimentari e di 400 m2 per quelli che
distribuiscono prodotti non alimentari) e, dall’altra, l’attività distributiva
viene effettuata attraverso una rete commerciale costituita da più punti
vendita aventi un marchio comune.
•
Ogni “catena distributiva” decida a livello centrale le politiche commerciali
(quali le strategie promozionali e la loro pubblicizzazione, le modalità di
sviluppo delle “ private labels ” , cioè prodotti a marchio dell ’ insegna
commerciale, ecc.) e quelle di approvvigionamento (come la scelta dei
fornitori, la gestione degli acquisti, le politiche di pricing, ecc.)
•
in maniera tale che tutti i punti vendita appartenenti al gruppo operino con
le medesime scelte di carattere commerciale e strategico.
4
GDO – Peculiarità (segue)
•
Fino agli anni ’ 80 in Italia, le strutture distributive erano ancora
estremamente polverizzate, i canali di vendita più diffusi continuavano ad
essere le classiche botteghe o i negozietti al dettaglio a gestione famigliare,
che miravano a soddisfare le esigenze degli abitanti delle zone limitrofe a
quelle in cui erano collocati.
•
Solo a partire da metà degli anni ’ 80, la formula distributiva del
“supermercato” crebbe di importanza e si svilupparono le prime catene
distributive. Occorrerà invece attendere il decennio successivo affinché
l’Italia veda la nascita di “centri commerciali” e “ipermercati”, grazie
anche all’ingresso nel nostro territorio di catene distributive straniere già
attive in altri paesi europei.
5
GDO – Peculiarità (segue)
• Dati raccolti da Deloitte nel 2010: il più grande distributore
internazionale appare essere la statunitense Wal-Mart con un giro
d’affari di 272,8 mld di euro all’anno, seguito dai francesi di
Carrefour e dai tedeschi di Metro. In questa classifica la prima
catena distributiva italiana è Coop Italia che occupa solo la
46esima posizione con 12,6 mld di euro.
• La permanenza dei “negozi di vicinato” deriva dal fatto che la
nostra penisola è caratterizzata dalla presenza di numerosissimi
piccoli comuni e da suggestivi centri storici nei quali si prediligono
gli aspetti distintivi del commercio “a vecchio stampo”, cioè la
maggiore vicinanza rispetto alle abitazioni dei compratori e le
strutture di vendita snelle.
6
GDO – Peculiarità (segue)
• La teoria tradizionale affidava al commercio il solo ruolo di
intermediazione tra i consumatori e i produttori agricoli e
industriali.
• Ora il commercio riveste anche un ’ importantissima funzione
strategica
-
da un lato nell ’ influenzare le decisioni d ’ acquisto dei
consumatori
-
e dall’altro di condizionare le scelte di produzione degli
imprenditori. Infatti il distributore, grazie alla sua naturale
posizione a contatto diretto con i consumatori finali, è
l’unico che riesce a raccogliere informazioni sulle nuove
preferenze e sui gusti dei compratori, che sono sempre più
caratterizzati da instabilità e varietà, ma fondamentali per le
scelte di produzione dell’industria.
7
Terminologia
-
Ipermercato: struttura caratterizzata da un ’ area di vendita
superiore ai 2.500 m2 e da un ampio assortimento di prodotti
alimentari e non. All’interno di tale segmento, i punti vendita con
dimensioni che vanno dai 2.500 m2 ai 4.000 m2 vengono detti
Iperstore
-
Supermercato: esercizio avente una superficie espositiva dai
400 m2 ai 2.500 m2, con un assortimento prevalentemente
alimentare e localizzazione urbana. Il segmento che va dai
1.500 m2 ai 2.500 m2 è definito SuperStore
-
Libero Servizio: punto vendita con superficie adibita alle
vendite al dettaglio che va dai 100 m2 ai 400 m2
-
Discount: punto vendita in cui in genere non sono presenti
prodotti di marca
8
Terminologia (segue)
• Per quanto riguarda invece gli esercizi della grande distribuzione
non alimentare vengono solitamente distinti in:
-
Grandi magazzini: punti vendita di dimensione superiore ai
400 m2, caratterizzati dalla presenza di almeno 5 diversi
reparti merceologici;
-
Grandi superfici specializzate: formati distributivi di almeno
1.500 m2 focalizzati su una specifica aree merceologica,
come ad esempio abbigliamento, arredo casa, elettronica di
consumo, ecc.
• Infine sono definiti come “esercizi tradizionali” quelli che
distribuiscono beni di largo consumo con un’area vendita inferiore
ai 100 m2
9
Terminologia (segue)
Con riferimento alle caratteristiche strutturali e alla gestione del singolo
punto vendita
– per Grande Distribuzione (GD), si intendono imprese commerciali di grandi
dimensioni che gestiscono in modo centralizzato i propri esercizi distributivi.
Quest’ultimi presentano “filiali” di una entità economica unitaria. Gli attori più
importanti nel mercato italiano sono Lidl, Carrefour, Auchan, Esselunga;
– per Distribuzione Organizzata (DO), si intende un insieme di operatori
commerciali indipendenti che mantengono la piena gestione del singolo punto
vendita, ma che centralizzano alcune funzioni essenziali per l’ottenimento del
profitto. In genere tra le attività centralizzate vi sono: l ’ area acquisti, le
decisioni in campo promozionale e pubblicitario, le private labels, l’insegna
comune. Gli operatori più importanti in Italia sono Interdis, Selex, Sisa e
Despar;
–Cooperazione di Consumo, nata da gruppi di consumatori che, per tutelare il
loro potere d’acquisto, si organizzarono per condividere l’attività distributiva, e
Cooperative di Dettaglianti. Nella prima tipologia di cooperazione, l ’ attore
principale è Coop Italia, mentre nelle seconde Conad.
10
Nel biennio 2009-2010 la GDO si presenta cos“ articolata:
Ipermercat i
31%
Supermercat i
17%
Grandi
magazzini
9%
Discount
11%
Grandi
superfici
specializzat e
Libero servizio
19%
13%
Fonte: Dati Nielsen e Ministero dellÕEconomia e dello Svilu ppo
11
Differenze inventariali
Ammanchi noti
Ammanchi di cassa
Sistemi
di
monitoraggio
e
prevenzione del fenomeno (D.P.R.
n. 447/1997 e circ. n. 31/E/2006)
12
Differenze inventariali
La presenza di differenze inventariali, oltre a incidere
sull’attendibilità dei valori presenti in bilancio, influenza
il carico tributario delle aziende del settore.
Ecco perché l ’ Agenzia delle Entrate guarda con
sospetto il fenomeno: teme che tale pratica sia utilizzata
per occultare parte dei ricavi.
13
Differenze inventariali e ammanchi
noti: definizioni e calcolo
• Durante l ’ effettuazione dell ’ inventario fisico delle giacenze in
magazzino, le imprese rilevano difformità rispetto ai valori risultanti
dalle scritture contabili.
• Le differenze inventariali si definiscono proprio come le discrepanze,
positive o negative, che esistono, ad una data precisa, tra la
giacenza effettiva, rilevata a seguito di un inventario fisico del
magazzino societario, e la giacenza teorica delle merci, derivante da
scritture contabili e/o gestionali.
• In concreto, con tale espressione si intendono tutti i beni acquistati
ma che non appaiono né venduti né giacenti presso la società e che
quindi risultano mancanti a seguito di accadimenti non individuabili
con precisione.
14
Ammanchi Noti
• Le differenze tra la situazione contabile e quella effettiva possono
essere giustificate non solo dalle differenze inventariali in senso
stretto, ma anche dagli Ammanchi Noti.
• Questi ultimi sono costituiti da merci non più cedibili ai clienti:
– merci scadute e non rese ai fornitori;
– prodotti rotti o danneggiati;
– merce danneggiata per l’interruzione della catena del freddo;
– consumi interni.
• Se tale tipologia di ammanchi non viene tempestivamente registrata
nei sistemi gestionali aziendali ad opera del personale preposto,
contribuisce a diminuire le giacenze effettive in sede di inventario fisico
delle merci e di conseguenza ad aumentare il valore delle differenze
inventariali.
15
Differenze inventariali
Le differenze inventariali (chiamate anche Ammanchi
non noti), nella definizione proposta dall’Agenzia delle
Entrate nella circolare 2 ottobre 2006, n. 31/E: “(…)
sono gli ammanchi di beni a seguito di riscontro fisico
ovvero le differenze quantitative tra consistenza delle
rimanenze registrate e scritture obbligatorie di
magazzino o documentazione obbligatoria”.
16
Differenze inventariali (segue)
Uno studio del Cermes ha elencato quelle che sono ritenute le
principali cause generatrici degli ammanchi non noti:
A. Furti da parte di:
• clienti,
• dipendenti,
• personale di imprese terze (aziende di pulizia,
sorveglianza, ecc.).
17
Furti (segue)
Dalla ricerca emerge che i furti rappresentano la causa principale
delle differenze inventariali, spiegando oltre il 75% del loro
valore complessivo. In particolare, i furti più diffusi sono quelli
effettuati dai clienti (circa il 35%) seguiti da quelli compiuti dal
personale dipendente (26,4%). In generale appare il punto
vendita il luogo in cui vengono attuati la maggioranza dei furti
che si concretizzano nella sottrazione di merce esposta sui
scaffali, in accordi tra dipendenti e clienti, in consumo di prodotti
durante la realizzazione della spesa, modifica dei codici di
prezzo, pesatura scorretta dei prodotti sfusi, ecc.
Furti (segue)
http://www.youtube.com/watch?v=
hww5MI-6Mt4
Differenze inventariali (segue)
B. Errori connessi al carico e allo scarico delle merci
C. Errori conseguenti alla mancanza dei codici a barre o all’usura
degli stessi che impedisce di identificare le merci una volta giunte
alle casse
D. Errori durante lo svolgimento dell ’ inventario fisico delle varie
referenze merceologiche
E. Mancata registrazione degli ammanchi noti
F. Deperimenti naturali o cali di lavorazione in percentuali maggiori
rispetto alle medie quantificate dall’impresa
G. Errori di approssimazione o mancanza di aggiornamenti nei valori
costituenti la formula di calcolo delle differenze inventariali.
20
Differenze inventariali (segue)
• Si può quindi concludere che il trend delle differenze inventariali è
influenzato da una pluralità di fattori, sia di natura aziendale
(investimenti in controlli e sicurezza, modalità di rilevazione degli
ammanchi noti, livello di motivazione e di preparazione dei
dipendenti aziendali, modalità di consegna delle merci, ecc.) che di
origine esogena/ambientale (localizzazione geografica del punto
vendita, contesto sociale, andamento economico, ecc.), che
agiscono in modo simultaneo.
• Proprio per questo motivo risulta impossibile definire un livello
“fisiologico” di Differenze inventariali valido per tutte le imprese del
settore. Potrebbe invece essere utile individuare un range di
tolleranza entro il quale differenti valori delle Differenze inventariali
possono essere considerati frutto di normali situazioni aziendali e di
mercato.
21
Differenze inventariali (segue)
•
Comportamenti aziendali patologici all’origine delle differenze
inventariali:
– vendita in evasione d’imposta di stock di merci ad altre attività commerciali
(come ristoranti, bar, micro commercianti e artigiani), che a loro volta
occultano parte degli incassi e dispongono di contante adeguato;
– ammanchi di beni derivanti da un utilizzo pararetributivo delle merci, che
potrebbero essere utilizzate come retribuzione in natura a favore dei
dipendenti, riducendo così i costi fiscali e contributivi del personale.
•
Queste condotte non sono verosimili nelle grandi imprese distributive perchè
esse sono strutture spersonalizzate e “organizzativamente rigide” in cui il
conflitto di interessi tra proprietà, dipendenti, management e clienti è molto
accentuato (questa situazione di reciproco controllo e condizionamento in
genere conduce all ’ emersione della materia imponibile e non al suo
occultamento) e dove non esiste un’unica figura che, da sola, prende la
totalità delle decisioni determinanti per il funzionamento aziendale (proprio
l ’ interconnessione tra numerosi individui fa si che per mettere in atto
comportamenti illeciti dovranno essere coinvolti molti soggetti, i quali
dovranno essere tutti favorevoli alla “copertura” della condotta vietata). 22
Differenze inventariali (segue)
•
Tener conto che il comparto distributivo è composto anche da piccoli
dettaglianti e da operatori con organizzazioni più flessibili che svolgono
l’attività distributiva con un numero contenuto di dipendenti in punti vendita
somiglianti a quelli appartenenti alle grandi catene di retail. Infatti queste
forme distributive sono caratterizzate da un controllo fortissimo esercitato
dall’imprenditore e da una probabilità di taccheggi, di furti da parte dei
dipendenti, di distruzioni accidentali molto più bassa, proprio per la minore
affluenza di clientela, per la presenza di spazi limitati e per il rapporto più
diretto che si instaura tra il proprietario e i frequentatori del punto vendita.
•
… dove sono invece più facilmente concretizzabili comportamenti volti a
nascondere da tassazione la ricchezza prodotta.
•
Sarebbe necessario distinguere le grandi imprese dalla proprietà
spersonalizzata (in cui le differenze inventariali sono causate da atti a loro
danno) dagli esercizi più flessibili, dove le condotte evasive sono
facilmente gestibili direttamente ed unicamente dal titolare.
23
Tema fiscale
• Il tema fiscale è se le differenze inventariali possano essere poste
alla base di presunzioni di ricavi e corrispettivi non dichiarati. Quindi
ci si domanda se in realtà, dietro la registrazione di differenze
inventariali, le imprese distributive nascondano vendite effettuate in
evasione d’imposta.
• Acceso dibattito su come conciliare le differenze inventariali nelle
imprese della GDO con le presunzioni di cessione e di acquisto
disciplinate dal D.P.R. n. 441/1997.
24
(segue)
• Queste presunzioni agevolano il controllo del magazzino da parte
dell ’ Amministrazione finanziaria, consentendo l ’ utilizzo di
presunzioni per contestare le eventuali differenze inventariali
riscontrate dagli organi verificatori durante gli accessi. Si compone
di soli cinque articoli:
– artt. 1 e 2 disciplinano la presunzione di cessione;
– art. 3 regola la presunzione d’acquisto;
– …….
– art. 5 abroga la precedente normativa in materia e dispone
l’emanazione di decreti ministeriali di coordinamento.
25
Sistemi di monitoraggio e di prevenzione del
fenomeno (segue)
•
Prova contraria con i mezzi indicati dalla legge stessa
•
Artt. 2 e 3 D.P.R. n. 441/1997 descrivono le esimenti che consentono al
contribuente di vincere rispettivamente le presunzioni di cessione e di acquisto;
nello specifico:
•
le cessioni gratuite di beni ad enti pubblici o ad associazioni benefiche
sono provate attraverso le seguenti modalità:
i.
comunicazione scritta del cedente agli uffici dell ’ amministrazione
finanziaria e ai comandi di Guardia di Finanza competenti, con indicazioni
dettagliate sulle modalità del trasporto, sulla destinazione dei beni e sul
valore complessivo, in base del prezzo d ’ acquisto, della merce
gratuitamente ceduta;
ii. emissione del documento di trasporto progressivamente numerato;
iii. dichiarazione sostitutiva di atto notorio con il quale il ricevente attesti che i
beni ricevuti gratuitamente corrispondano per qualità, quantità e natura a
quelli contenuti nel documento di trasporto citato al punto ii.
26
D.P.R. n. 441/1997 – Prova contraria
•
Per le perdite di beni dovute ad eventi fortuiti, accidentali o comunque
indipendenti dalla volontà aziendale (come furti, rapine, incidenti, alluvioni,
incendi, ecc.):
i.
Idonea documentazione, dalla quale risulti il valore complessivo dei beni
perduti, fornita da un organo di Pubblica Amministrazione o, in
mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da rendersi
entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data cui se ne ha
conoscenza. Vi è inoltre l’obbligo di descrivere i criteri e gli elementi in
base ai quali il valore dei beni è stato determinato in caso di esplicita
richiesta da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
– Alcuni esempi di tali documenti sono: i provvedimento di sequestro
amministrativo/giudiziario, il verbale di accertamento della distruzione
dei beni redatto dai Vigili del Fuoco, la denuncia di furto alle Autorità di
polizia.
27
D.P.R. n. 441/1997 – Prova contraria (segue)
•
La distruzione o la trasformazione dei beni è provata tramite:
i. comunicazione scritta, secondo le modalità e i termini previsti dal
punto i) delle cessioni gratuite, contenente informazioni sui beni
oggetto di trasformazione/distruzione e sulle modalità con cui
sono avvenute tali attività. La documentazione non deve essere
prodotta se la distruzione è disposta da un organo della Pubblica
Amministrazione;
ii. verbale redatto da pubblici funzionari, ufficiali della Guardia di
Finanza o dai notai presenti alla distruzione o alla trasformazione
dei beni o attraverso dichiarazione sostitutiva di atto notorio, se
tali beni hanno un valore inferiore a 5.164,57 euro;
iii. documento di trasporto, progressivamente numerato, relativo al
trasporto dei beni eventualmente risultanti dalla trasformazione o
distruzione.
28
D.P.R. n. 441/1997 - Prova contraria (segue)
• Le presunzioni d ’ acquisto possono essere superate se il
contribuente è in grado di:
i.
dimostrare di aver ricevuto i beni in base ad un rapporto di
rappresentanza o a uno degli altri titoli elencati all’art. 1, D.P.R.
n. 441/97 e nei modi da esso previsti;
ii.
presentare fattura, ricevuta fiscale, documento di trasporto
progressivamente numerato dal ricevente che indichino il titolo
di provenienza dei beni;
iii. esibire apposita annotazione nel libro giornale o in altro libro
tenuto secondo le disposizioni del codice civile ovvero
annotazione in registri previsti dal Decreto IVA (D.P.R. n.
633/1972) contenenti indicazione delle generalità del cedente, la
natura, qualità e quantità dei beni e la data di ricezione degli
stessi.
29
D.P.R. n. 441/1997 – Operatività presunzioni
(segue)
• Nei casi in cui operano le presunzioni legali del D.P.R. n.
441/1997, si assiste ad un’automatica inversione dell’onere
della prova: in tali ipotesi, infatti, per accertare operazioni
avvenute in nero, all ’ Amministrazione basterà effettuare
verifiche fisiche dalle quali compaiano ammanchi di beni, ovvero
evidenziare la presenza di differenze quantitative tra le
consistenze delle rimanenze registrate e le scritture obbligatorie
di magazzino/documentazione obbligatoria.
• I verificatori cioè non saranno costretti a portare ulteriori elementi
a conferma della conclusione raggiunta.
30
D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO
• Nelle grandi imprese distributive, visto l ’ elevato numero dei
frequentatori dei punti vendita e dei soggetti che vi lavorano,
nonchè per la numerosità delle referenze commercializzate, che
spesso sono deperibili e di modesto valore unitario, è frequente
assistere a furti, danneggiamenti, distruzioni accidentali, ad errori di
rilevazione dei beni in entrata o in uscita e ad altri accadimenti che
incrementano il valore delle merci mancanti ma che non sono
immediatamente individuabili e facilmente giustificabili dall’impresa.
• Possibilità di applicare acriticamente ed automaticamente alle
differenze inventariali rilevate dalle imprese del settore le
presunzioni di cessione e di acquisto contenute nel D.P.R. n.
441/1997?
31
D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO (segue)
• L’orientamento attualmente prevalente prevede che il D.P.R. n.
441/1997 non si possa applicare direttamente alla GDO (punti
vendita)
• - i beni acquistati, ma mancanti dal magazzino, possano essere
considerati elementi di prova a sostegno dell ’ omessa
contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi anche in tema di imposte
dirette
• - il contribuente per difendersi non sarà obbligato ad avvalersi delle
prove vincolate stabilite dal D.P.R. n. 441/1997.
32
D.P.R. n. 441/1997 e applicabilità alla GDO (segue)
qual è il problema?
•
Le differenze inventariali nella grande distribuzione sono da molto tempo
oggetto di onerosi accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
•
La Commissione Finanza della Camera che, con ris. 11 gennaio 2006, n.
7/00711, sottolineava già nel 2006 che nel settore della GDO: “… il personale
incaricato ai controlli fiscali attribuisce alle differenze inventariali natura di
presunzioni di acquisto o di vendita anche quando palesemente non sono
determinate dalla volontà di eludere o evadere i propri obblighi tributari ma
sono riconducibili a cause di carattere organizzativo o funzionale” e continua
aggiungendo: “… paradossalmente viene pregiudicato il contribuente che,
nella propria contabilità, evidenzia in buona fede tali discrepanze, rispetto a
quanti, invece di segnalare le differenze esistenti tra le registrazioni di
magazzino, abbiano omesso o modificato la contabilità proprio per non fare
emergere tali differenze”.
33
Circolare n. 31/E/2006
• Fondamentale è la circ. 2 ottobre 2006, n. 31/E
• chiarisce che il D.P.R. n. 441/1997 non opera per i magazzini dei
punti vendita
• da ciò deriva che per gli ammanchi o gli esuberi, il contribuente non
deve produrre mezzi di prova specificamente previsti dalla legge, ma
può utilizzare qualsiasi elemento a sua disposizione, anche di natura
presuntiva, in grado di dimostrare la natura fisiologica e non
patologica delle perdite: in questi casi si parla della cosiddetta
«prova libera».
34
Circolare. n. 31/E/2006 (segue)
– Ad esempio, in caso di taccheggi presso i depositi esistenti nei
punti vendita non vi è la necessità, come invece molti ritenevano,
di procedere alla denuncia/esposto/querela per i furti subiti ad
opera di ignoti e non è neppure richiesta la dichiarazione
sostitutiva di atto notorio.
35
Circolare. n. 31/E/2006 (segue)
Più in generale, la circolare n. 31/E/2006
introduce un concetto importante, cioè quello di
analizzare gli ammanchi rilevati dalle imprese
secondo criteri di “buon senso” e di
“plausibilità rispetto al contesto di origine”
36
Circolare. n. 31/E/2006 (segue)
•
La circolare in esame elenca, a titolo esemplificativo, alcuni aspetti che
verificatori dovrebbero esaminare prima di giungere ad un giudizio sulla
plausibilità delle differenze inventariali rilevate dell’impresa:
– caratteristiche gestionali e peculiarità dell’attività aziendale;
– andamento delle differenze inventariali registrate dell’ultimo triennio;
– trend degli investimenti aziendali per contenere e prevenire il fenomeno
degli ammanchi inventariali e il rapporto costi/benefici dell’adozione di tali
misure cautelative;
– la presenza di differenze inventariali sia di segno positivo che di segno
negativo nell’ambito della stessa categoria merceologica che potrebbero
essere compensabili;
– la scarsa plausibilità delle vendite in evasione d’imposta delle merci
costituenti gli ammanchi;
– significatività delle differenze rispetto al volume d’affari aziendale o alla
consistenza media del magazzino, da considerare in relazione al tipo di
attività svolta e alla localizzazione aziendale.
37
Circolare. n. 31/E/2006 (segue)
• Con questa circolare l’Agenzia delle Entrate sembra finalmente
ammettere che le differenze inventariali non sono sempre sintomo
di fenomeni di evasione d’imposta, ma possono essere generate
fisiologicamente dalle imprese a causa delle proprie
caratteristiche aziendali e di magazzino.
• Viene infatti introdotto, anche se in termini molto cauti, il concetto
di “differenze inventariali fisiologiche” all’attività imprenditoriale:
la mancanza di beni all ’ interno dell ’ azienda priva di una
spiegazione puntuale ha un significato diverso a seconda delle
caratteristiche e del valore dei beni commercializzati, delle
specificità aziendali, della localizzazione dell’attività ecc.
38
Circolare. n. 31/E/2006 (segue)
Giurisprudenza:
concordano con quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n.
31/E/2006:
–sia la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sentenza 15
dicembre 2009, n. 135
–sia la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza 22 aprile
2010, n. 99
….tuttavia gli accertamenti degli uffici locali continuano……..
39
Ammanchi di cassa
• La riconducibilità di tali circostanze ad eventi specifici
risulta di fatto impossibile, o quanto meno
antieconomica, da effettuare.
• Apposite misure organizzative e procedure di
controllo che consentono di appurare, anche se in un
momento successivo alla loro genesi, l’effettiva
esistenza e l’entità delle differenze di cassa.
Ammanchi di cassa (segue)
• …. che implica, per il gran numero delle movimentazioni
effettuate l’emersione con una certa frequenza di fenomeni
quali:
– arrotondamenti concessi dall’operatore in cassa, per
mancanza di spiccioli, dopo l’emissione dello scontrino;
– errori commessi nel maneggiare o nel trasferire i valori in
cassa (ad esempio, resto dato in misura superiore al
dovuto);
– errori compiuti nel registrare transazioni senza che
l’operatore in cassa se ne avveda (ad es. viene digitato uno
scontrino con un importo superiore);
– abusi compiuti dai dipendenti (ad esempio, piccoli furti).
Operazioni e concorsi a premio:
peculiarità
riflessi contabili
aspetti fiscali (dirette, ritenute, IVA)
42
Operazioni e concorsi a premio
• Nella GDO sono ampiamente diffusi i programmi di raccolta punti e le
operazioni a premi correlati agli acquisti effettuati all’interno dei punti
vendita di ciascuna catena distributiva.
• Le fidelity cards permettono ai consumatori di maturare punti
elettronici ad ogni acquisto presso gli esercizi appartenenti ad una
stessa insegna commerciale, poi utilizzabili per richiedere i premi
contenuti in un catalogo o sconti su acquisti successivi nel medesimo
punto vendita.
• Sono uno strumento utile alle catene distributive per scegliere quali
condizioni di vendita adottare e quali servizi offrire per soddisfare al
meglio la clientela.
43
Operazioni e concorsi a premio (segue)
•
Le operazioni e i concorsi a premio sono una costante delle politiche
commerciali delle grandi imprese distributive, con un trattamento fiscale
abbastanza particolare
•
Innanzitutto, le manifestazioni a premio si dividono in “ concorsi ”
“operazioni” a premio.
•
Le differenze principali tra le due fattispecie risiedono nel fatto che nei
concorsi a premi il premio è attribuito solamente ad uno o alcuni partecipanti
in base all’alea, all’abilità o alle capacità personali dei partecipanti stessi.
•
Mentre nella seconda fattispecie il premio è conseguito da tutti coloro che
acquistano il prodotto o servizio promozionato o concludono una certa
raccolta punti.
44
e
Operazioni e concorsi a premio (segue)
•
D.P.R. n. 430/2001 è, ad oggi, la normativa di riferimento in tema di
concorsi ed operazioni a premio.
•
Le novità sicuramente più rilevanti rispetto al passato sono:
1) l ’ introduzione all ’ art. 5 della possibilità anche per le “ organizzazioni
rappresentative dell'associazionismo economico tra imprese costituite sotto
forma di consorzi e di società anche cooperative” di essere promotori di
una manifestazione a premio, adeguando quindi la normativa
all’evoluzione della distribuzione moderna;
2) l ’ eliminazione, per i promotori di concorsi a premio, dell ’ obbligo di
richiedere al Ministero una preventiva autorizzazione;
3) il passaggio di competenze in tema di controllo e gestione delle
manifestazioni a premio dal Ministero dell’Economia a quello delle Attività
produttive.
45
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
• Per realizzare una manifestazione a premio, l ’ impresa
promotrice deve sostenere una serie di spese dirette, indirette e
accessorie legate all’iniziativa stessa.
• Alcuni esempi di tali costi sono: la stampa e la distribuzione dei
cataloghi premi e/o dei buoni sconti, gli oneri per l’adempimento
di formalità legali, il costo dei beni-premio da assegnare ai
vincitori, le spese pubblicitarie per far conoscere l’iniziativa ai
consumatori (cartellonistica, locandine promozionali, spot
pubblicitari da diffondere attraverso i media), ecc.
46
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
(segue)
• L ’ impostazione prevalente prevede che i costi collegati
all ’ organizzazione e all ’ effettuazione delle manifestazioni a
premio debbano essere inseriti nella voce B7) del Conto
Economico, ossia quella denominata “Costi per servizi”.
–
Per completezza di informazione occorre precisare che una
minoranza di autori ritengono che l’importo del montepremi non
vada inserito nella voce Costi per servizi, ma sia da rilevare
separatamente nella voce B14) Oneri diversi di gestione del Conto
Economico. La dottrina maggioritaria ritiene però che in
quest ’ ultima voce vadano inseriti solo gli oneri per omaggi,
strenne natalizie, gadgets aziendali e gli oggetti con fine
meramente promozionale.
47
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
(segue)
•
In applicazione del principio della competenza economica, nel caso la
manifestazione a premio abbia una durata pluriennale, l ’ impresa
promotrice deve provvedere ad accantonare un fondo per rischi e oneri da
collocare tra le passività dello Stato Patrimoniale, alla voce B3) “Altri fondi
per rischi e oneri”.
–
In base al principio della competenza economica e nel rispetto di quello della
correlazione tra costi e ricavi, gli oneri connessi alla manifestazione a premio
devono gravare sull’esercizio nel quale è avvenuta la contabilizzazione del
relativo ricavo, indipendentemente da quando i consumatori richiederanno i
premi stessi. Ciò significa che, nell’esercizio in cui avviene l’incremento delle
vendite dei prodotti promozionati, l’impresa promotrice dovrà contabilizzare
l’accantonamento al Fondo per buoni sconto e concorsi a premio, poiché è
contestualmente all’aumento delle vendite derivanti dalla promozione che
l’impresa dovrà rilevare i costi che prevede di sostenere nel momento in cui
dovrà corrispondere i premi agli aventi diritto.
48
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
(segue)
• Tale fondo, per essere congruo, deve avere un importo tale da
riuscire a coprire “tutti i costi, connessi all’impegno contrattuale, che
si prevede verranno effettivamente sostenuti” (OIC19).
• Da ciò consegue che, per definire l’ammontare del “Fondo per buoni
sconto e concorsi a premio”, sarà necessario stimare non solo il
montepremi, bensì ciascun onere riferibile alla manifestazione, anche
quelli in apparenza meno rilevanti.
• Ovviamente la valutazione dell’importo da accantonare al fondo
seguirà criteri diversi a seconda che l ’ impresa voglia svolgere
un’operazione o un concorso a premio, ma in entrambi i casi la stima
dovrà essere effettuata sulla base di tutti gli elementi a disposizione
dell’impresa promotrice, in modo che il calcolo non risulti arbitrario.
49
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
(segue)
• Nell ’ ipotesi di organizzazione di un ’ operazione a premio, lo
stanziamento al fondo dovrà essere determinato in base al
numero di consumatori che si prevede adempieranno alle
condizioni previste dal regolamento, rispettando le modalità e le
scadenze inserite in quest’ultimo, e quindi avranno diritto ai premi
in palio.
• In altre parole, l ’ impresa promotrice dovrà individuare la
“percentuale di ritorno dell’iniziativa, facendo riferimento a vari
fattori quali:
il tipo di prodotto, la tipologia di campagna
pubblicitaria a sostegno dell ’ operazione a premio, il valore
unitario del premio, la propensione del cliente all’acquisto del
prodotto promozionato, le esperienze passate, le elaborazioni
statistiche per operazioni similari (OIC19).
50
Riflessi contabili delle manifestazioni a premio
(segue)
• I parametri utilizzati per la stima dovranno consentire di determinare,
alla chiusura dell ’ esercizio, quale parte di premi/buoni sconto
connessi a vendite effettuate nell ’ esercizio verranno richiesti
all’impresa in anni successivi. Inoltre, al termine di ciascun periodo,
la previsione dovrà essere riesaminata, considerando sia i ritorni
effettivi avvenuti in quell ’ anno sia le modifiche intervenute nei
presupposti assunti come base per le stime.
• Nell’eventualità che da tali rielaborazioni risulti che l’ammontare
residuo del “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio” ecceda la
stima dei costi ancora da sostenere per l’iniziativa, allora sarà
necessaria una rettifica all’importo di tale fondo, da inserire tra i
proventi della gestione ordinaria, alla voce A 5) del Conto
Economico “Altri ricavi e proventi”.
51
Riflessi contabili dei concorsi a premio (segue)
• Nel caso di svolgimento di un concorso a premio, sarà più
semplice determinare l’importo dell’accantonamento al “Fondo
per buoni sconto e concorsi a premio ” perchè l ’ impresa
promotrice dell’iniziativa dovrà erogare in ogni caso il premio
promesso al vincitore o, se questo non sia individuabile, alla
ONLUS specificata nel Regolamento del concorso.
• Per tale ragione, si ritiene che il valore da stanziare nel fondo
debba essere pari all’intero valore dei premi promessi che, alla
scadenza del concorso, saranno sicuramente attribuiti a terzi.
52
Aspetti fiscali
•
Se la manifestazione a premio si conclude nel medesimo periodo
d’imposta in cui ha avuto inizio, ci sono sia maturazione che certezza
dell’ammontare e esistenza del costo,
•
la deduzione dal reddito d’impresa potrà quindi avvenire in quell’anno.
•
Al contrario, se la manifestazione a premio non si concluda nello stesso
esercizio in cui ha avuto inizio, occorrerà applicare l’art. 107 T.U.I.R.
•
Questa disposizione limita la deducibilità degli accantonamenti per
operazioni e concorsi a premio, effettuati in caso di manifestazioni di
durata ultrannuale, basandosi sul presupposto che alla chiusura
dell’esercizio non sia possibile quantificare, con certezza e precisione,
l’entità dei costi riferibili a ciascun esercizio.
•
Il presupposto è che tutti gli impegni assunti con il pubblico non si
tradurranno necessariamente in costi effettivi.
53
Aspetti fiscali (segue)
• Nello specifico, gli accantonamenti relativi alle manifestazioni a
premio sono deducibili nella misura del:
-
30% dell’ammontare degli impegni assunti nell’esercizio per le
operazioni a premio,
-
70% dell’ammontare degli impegni assunti nell’esercizio per i
concorsi a premio.
54
Aspetti fiscali (segue)
• Inoltre perché tali accantonamenti possano essere deducibili, l’art.
107, richiede che:
-
gli oneri siano suddivisi in base all’esercizio di formazione;
-
ciascun fondo venga usato solo a copertura dei costi relativi
alla manifestazione a cui il fondo stesso si riferisce;
• La norma prevede che l’ammontare del fondo rimasto inutilizzato al
termine del terzo esercizio andrà a formare il reddito imponibile
dell’esercizio stesso, in qualità di sopravvenienza attiva.
• il Fondo può quindi rimanere iscritto fra le passività dello Stato
Patrimoniale fino ad un massimo di due esercizi successivi a quello
di formazione.
55
Aspetti fiscali (segue)
• L ’ art. 107 T.U.I.R. non è ancora stato aggiornato alle modifiche
introdotte con il D.P.R. n. 430/2001. Quest’ultimo infatti ha allungato la
durata massima delle operazioni a premio da tre a cinque anni; …. le
aziende promotrici di una manifestazione con durata superiore ai tre
anni, allo scadere del terzo esercizio, sono costrette a rilevare una
sopravvenienza attiva ingiustificata pari all ’ accantonamento non
ancora utilizzato ….
• .…. nelle operazioni a premio la riconsegna dei buoni sconto o la
richiesta dei beni-premio avvengono soprattutto nelle fasi finali della
manifestazione ….
• Nell ’ esercizio in cui termina la manifestazione, tutti i costi
effettivamente sostenuti dal promotore, che eccedono l ’ importo
residuo del “Fondo per buoni sconto e concorsi a premio”, sono
interamente deducibili dal reddito del periodo come sopravvenienza
passiva.
56
Le ritenute fiscali sui premi
L’art. 30 D.P.R. n. 600/1973 , rubricato “Ritenute sui
premi e sulle vincite”, prevede ritenute fiscali a titolo
d’imposta (con facoltà di rivalsa) sui premi e sulle vincite di
entrambe le fattispecie di manifestazioni a premio.
57
Le ritenute fiscali sui premi (segue)
In generale
•
Indipendentemente dal tipo di manifestazione a premi organizzata, c’è
facoltà di rivalsa nei confronti del vincitore per la ritenuta alla fonte. In
questo caso l’art. 30 D.P.R. n. 600/1973 dà la possibilità ai vincitori sui
quali è stata esercitata la rivalsa di richiedere un premio di un valore
inferiore a quello originario, per un importo pari all’imposta gravante
sul premio iniziale.
•
…. Normalmente però le imprese promotrici non esercitano il diritto di
rivalsa nei confronti dei propri clienti poichè ciò produrrebbe danni
all’immagine commerciale dell’impresa: la ritenuta diventa quindi un
costo, tra l’altro anche indeducibile, ai sensi dell’art. 99 T.U.I.R., per
gli organizzatori della manifestazione.
Le ritenute fiscali sui premi (segue)
Se i premi rientrano possono essere ricondotti ad una delle
categorie reddituali elencate nell’art. 6 T.U.I.R., e la disciplina
tributaria già prevede per la categoria reddituale una specifica
ritenuta alla fonte a titolo d’acconto, la ritenuta a titolo
d’imposta non si deve applicare. In questo caso il premio
concorrerà, in qualità di reddito in natura, alla formazione del
reddito del vincitore e verrà applicata la tassazione ordinaria e
con ritenuta d’acconto prevista per quella tipologia reddituale:
esempio premi ai dipendenti con ritenute progressive. Offerta
premi a dipendenti ris. 24 marzo 2009, n. 76/E
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La disciplina IVA delle manifestazioni a premio
• L’art. 19 della L. n. 449/1997 ha abrogato la “tassa
di lotto e lotteria” e sostituito ad essa, dal gennaio
1998, l’indetraibilità dell’IVA relativa agli acquisti di
beni/servizi che costituiranno i premi messi in palio
nelle manifestazioni a premio.
• Di conseguenza l ’ imposta diverrà un costo per
l’impresa promotrice della manifestazione.
60
L’imposta sostitutiva
• Quando vengono messi in palio premi “non imponibili
ai fini IVA”, (da intendersi in senso atecnico, quindi
non solo per beni e servizi non imponibili ex artt. 7, 8,
8-bis e 9, D.P.R. n. 633/1972, ma anche alle
operazioni esenti, escluse o non rilevanti ai fini IVA) è
previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al
20% del valore dei premi.
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IVA sconti (ris. n. 36/E/2008)
• Sconti effettuati, da parte delle aziende produttrici, alla grande
distribuzione a fronte dell’ottenimento di determinati volumi di
vendita ovvero di specifiche attività promozionali, concordate
tra i soggetti, e veicolate comunque attraverso la vendita da
parte del supermercato.
• L ’ Agenzia considera autonome prestazioni di servizio le
politiche promozionali che i supermercati adottano per
aumentare le proprie vendite su determinati prodotti, a fronte dei
quali viene concordato uno sconto coi fornitori, in modo da far
partecipare questi ultimi allo sforzo economico connesso alla
campagna promozionale, così come partecipano ai maggiori
volumi di vendita.
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IVA sconti (ris. n. 36/E/2008) (segue)
• Esempi
• Depliant con prodotti civetta
• Mantenimento assortimento prodotti nel punto
vendita
Agenzia considera presenza del bene continua in cambio di uno
sconto come autonoma controprestazione
• Stessa cosa per prodotti inseriti in carte fedeltà o
campagne sconti sugli scaffali etc.
• Degustazioni
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IVA sconti (ris. n. 36/E/2008) (segue)
•
La pietra di paragone per orientarsi tra sconti e autonomi servizi promozionali
dovrebbe essere che questi ultimi cominciano quando il supermercato sostiene
dei costi solo a beneficio del fornitore, ad esempio remunerando dei
presentatori che promuovono presso i clienti determinati prodotti, offrendo
degustazioni, campioni gratuiti, facendo volantinaggi relativi esclusivamente al
prodotto, etc.
•
Finché si tratta di esporre con favore le merci (o metterle in un volantino
assieme ad altre) che trainano le vendite, chiedendo poi uno sconto sulla
fornitura, non si fa promozione per le ditte produttrici, ma si massimizzano i
ricavi verso la clientela. L’impegno di vendere bene, cioè di posizionare il
prodotto in modo visibile sugli scaffali o su un volantino, non ha alcuna
autonomia rispetto alla funzione di vendita svolta dal supermercato;
quest’ultimo è infatti portatore di un interesse proprio a vendere sul mercato,
sia pure convergente con quello del produttore a far conoscere i prodotti.
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