La Macroeconomia Neo-Keynesiana Alessandro Scopelliti Università di Reggio Calabria – University of Warwick [email protected] Macroeconomia Neo-Keynesiana a) b) Deriva conclusioni di tipo keynesiano in un contesto teorico rigoroso basato su agenti razionali che operano in un mondo caratterizzato da imperfezioni del mercato. Può spiegare le fluttuazioni economiche (boom e recessioni) e quindi variazioni cicliche del tasso di disoccupazione. Illustra come e perché variazioni nella domanda aggregata, causate per esempio da una variazione nello stock di moneta, possono avere effetti su variabili reali (PIL reale, occupazione) Giustificazioni teoriche: Rigidità nominale dei prezzi: non si aggiustano immediatamente o pienamente a variazioni nella domanda aggregata nominale. Struttura di mercato non perfettamente concorrenziale, in cui le imprese detengono un certo potere di mercato Macroeconomia Neo-Keynesiana La Macroeconomia Neo-Keynesiana introduce una spiegazione razionale, su basi micro-fondate, per l’idea keynesiana di rigidità dei prezzi. Due importanti motivazioni sono: - L’esistenza di (piccoli) costi di variazione dei prezzi, per le singole imprese (modelli con costi di listino) - L’esistenza di contratti di lungo periodo (modelli con scaglionamento dei prezzi) La Macroeconomia Neo-Keynesiana illustra gli effetti macroeconomici di tali costi o rigidità nominali … e dimostra che in presenza di queste assunzioni la politica monetaria può avere significativi effetti reali. Mankiw (1985): modelli con menu costs Mankiw introduce l’idea dei costi di listino, cioè un piccolo costo per la variazione dei prezzi. Già Akerlof e Yellen (1985) avevano dimostrato che il beneficio di cambiare il prezzo può essere molto piccolo, se confrontato con la perdita di profitto derivante dal mantenere invariati i prezzi. Quindi possiamo pensare intuitivamente che un piccolo costo per la variazione dei prezzi può disincentivare le imprese a modificarli. Questo può avvenire in un contesto economico, caratterizzato da imperfezioni sul mercato dei prodotti: esso non è perfettamente concorrenziale, ma presenta una struttura di concorrenza monopolistica. Mankiw (1985): modelli con menu costs Mankiw dimostra anche che gli effetti macroeconomici della rigidità dei prezzi (derivanti da piccoli costi di listino – o, in modo equivalente, piccoli guadagni dalla modifica dei prezzi) possono essere piuttosto consistenti. In particolare, Mankiw esamina gli effetti macroeconomici, in un quadro di equilibrio generale e in presenza di salari nominali rigidi, di: 1) Un aumento della domanda aggregata (dovuto ad un incremento dell’offerta di moneta) 2) Una riduzione della domanda aggregata (determinata da una diminuzione dell’offerta di moneta Mankiw (1985): modelli con menu costs Consideriamo un’impresa: - Che opera in un mercato di concorrenza monopolistica e produce quindi un bene differenziato - Che ha un costo marginale di produzione costante e costi fissi pari a zero, per cui CMa = CMe Supponiamo che la curva di domanda per il prodotto venduto dall’impresa sia lineare e decrescente L’impresa massimizza la funzione di profitto: dunque la condizione di equilibrio è data da RMa = CMa Assumiamo che l’impresa debba sopportare un costo z se modifica il prezzo di vendita del prodotto. Mankiw (1985): modelli con menu costs La situazione iniziale per l’impresa P CS= surplus del consumatore π = profitto iniziale dell’impresa CS+π = benessere sociale CS P0 D0 π CMa = CMe RM0 Y0 Q Mankiw (1985): modelli con menu costs Gli effetti di un aumento della domanda aggregata (e dunque della domanda per la singola impresa) D1 P D0 1= Punto di intersezione tra RM0 e CMa 2= Punto di intersezione tra RM1 e CMa RM1 Nuova scelta ottimale P1 A Scelta se l’impresa non modifica il prezzo C P0 B RM0 B = profitto addizionale in caso di prezzi fissi a P0 CMa = CMe 1 Y0 2 Y1 Y2 A = profitto addizionale in caso di aumento del prezzo a P 1 Q Δπ = B-A= perdita totale di profitto in caso di non adeguamento dei prezzi Mankiw (1985): modelli con menu costs • • • • Un aumento della domanda aggregata (dovuto ad un aumento nell’offerta di moneta) implica: un incremento della domanda per la singola impresa da D0 a D1 uno spostamento del ricavo marginale verso destra L’impresa può: Aumentare il prezzo al nuovo livello P1, che massimizza il profitto, affrontando i costi di listino e producendo la quantità Y1 Lasciare il prezzo inalterato a P0, senza incorrere nei costi di listino, aumentando la quantità prodotta a Y2 La curva del costo marginale è rimasta immutata a causa della rigidità nominale dei prezzi La variazione di profitto Δπ = B-A è negativa, poiché per definizione P1 è il livello dei prezzi che massimizza il profitto, perciò ogni altro prezzo deve rendere un profitto inferiore. Mankiw (1985): modelli con menu costs • • Il punto di vista dell’impresa L’impresa non modificherà il prezzo se il costo di listino sostenuto per la modifica del prezzi risulta superiore all’aumento di profitto derivante dall’adeguamento dei prezzi. z > A-B La dimensione dello shock alla domanda aggregata è rilevante: La perdita di profitto dal mancato adeguamento dei prezzi è tendenzialmente più piccola (del costo di listino) se lo shock alla domanda aggregata è di modesta entità Se invece lo shock è abbastanza ampio, sarà più conveniente modificare i prezzi. Mankiw (1985): modelli con menu costs La variazione del benessere sociale Il benessere sociale (SW) è uguale alla somma del surplus del consumatore (CS) e del profitto dell’impresa (π) Quindi la variazione del benessere sociale è data da: ΔSW = ΔCS + Δπ Nel caso esaminato: Aumento del surplus del consumatore ΔCS = A+C Perdita di profitto dell’impresa Δπ = B-A ΔSW = (A+C) + (B-A) = C+B L’aumento di benessere sociale è, in valore assoluto, superiore alla perdita di profitto. |C+B| > |B-A| Mankiw (1985): modelli con menu costs Dunque, a seguito di un aumento della domanda aggregata • L’impresa ha un incentivo privato ad aumentare il prezzo se A-B > z • Ma è socialmente desiderabile che l’impresa non adegfui il prezzo se C+B > z • Il benessere sociale è ridotto di z se l’impresa modifica il prezzo ed è aumentato di C+B se l’impresa non adegua i prezzi. Ciò incarna la nozione keynesiana di esternalità macroeconomica: azioni che sono ottimali a livello individuale possono essere sub-ottimali a livello aggregato se esse impongono un costo sulla società. Macroeconomia Neo-Keynesiana I modelli con costi di listino rappresentano un modo di incorporare le rigidità nominali di prezzo. Un’altra modalità consiste nell’assumere contratti di lungo periodo con prezzi fissi, o con salari nominali fissi. In contrasto con la proposizione di inefficacia della politica economica, si può dimostrare che: Shock monetari anticipati potrebbero non condurre a completi aggiustamenti di prezzo (e dunque potrebbero determinare una variazione dell’output) se i prezzi sono fissati da contratti di lungo periodo non sincronizzati e sovrapposti tra loro. Calvo (1983): modelli con staggered prices Nel modello di Calvo, con variazioni di prezzo scaglionate (staggered prices), non tutte le imprese possono modificare i prezzi nello stesso momento di tempo. Le imprese hanno una probabilità costante esogena 1-ρ di poter variare i prezzi nel tempo t. Dunque ρ indica la probabilità che i prezzi di un’impresa siano rigidi. Si definisce come una variabile casuale discreta con una distribuzione à la Poisson. In uno stesso momento t, vi sono alcune imprese che modificano i loro prezzi nel tempo t ed altre imprese che hanno già variato i loro prezzi nel tempo t-1 o nel tempo t-2. Calvo (1983): modelli con staggered prices Il prezzo fissato dalle singole imprese Se un’impresa modifica i prezzi, come stabilisce il nuovo prezzo? Il prezzo desiderato dell’impresa per il tempo t+s sarebbe p*t+s Il prezzo ottimale per l’impresa p*t dipende dal livello aggregato dei prezzi pt e dall’output gap yt. Infatti: pt* pt yt 0 Il prezzo desiderato p*t può deviare dal livello aggregato dei prezzi se vi è eccesso di domanda ( o output gap positivo) Tuttavia l’impresa sa che ha solo una probabilità 1-ρ di poter fissare il prezzo desiderato p*t nel tempo t. Allo stesso tempo, l’impresa sa che con probabilità ρ non potrà applicare il prezzo ottimale nel tempo t, nel qual caso dovrà affrontare la stessa decisione di prezzo nel periodo successivo. Calvo (1983): modelli con staggered prices L’impresa sa che nel periodo successivo t+1 si troverà nella stessa situazione di poter rideterminare del prezzo. Perciò, se l’impresa ha l’opportunità di rideterminare i prezzi, il prezzo scelto, date le probabilità ρ e 1 – ρ, sarà: xt = (1 – ρ) pt* + ρ Et xt+1 Reiterando in avanti questa equazione per un numero T di periodi (per T→∞) e sostituendo il prezzo rideterminato xt+s nell’equazione del periodo precedente, otteniamo: xt (1 ) s Et pt* s s 0 Il prezzo fissato dall’impresa é una media ponderata dei prezzi desiderati nel corso di tutti i periodi futuri, dove il peso è la probabilità che il prezzo attualmente fissato si applichi anche ai periodi successivi Calvo (1983): modelli con staggered prices Il livello aggregato dei prezzi Una proporzione 1-ρ dei prezzi è fissata nel tempo t, al prezzo xt Una proporzione ρ dei prezzi è determinata nei periodi precedenti a t. I prezzi pregressi formano pt-1 pt (1 ) xt pt 1 Quanto più elevato è il grado di rigidità nominale, tanto più grande sarà l’impatto dei prezzi precedenti sul prezzo attuale. Calvo (1983): modelli con staggered prices Il tasso di inflazione aggregato - Utilizzando pt (1 ) xt pt 1 - e xt 1 pt* Et xt 1 Si può dimostrare che il tasso di inflazione πt =pt - pt-1 è dato da: 2 1 p* p E t t t t t 1 Il tasso di inflazione è determinato da: - la differenza tra il prezzo attuale ed il prezzo desiderato - l’inflazione attesa per il periodo futuro In stato stazionario, il prezzo effettivo coincide con il prezzo desiderato, quindi l’inflazione è costante. Calvo (1983): modelli con staggered prices Utilizzando l’equazione per il prezzo desiderato dall’impresa e riscrivendola in funzione dell’output gap, otteniamo: pt* pt yt Sostituendo questa espressione nell’equazione per il tasso d’inflazione, deriviamo la Curva di Phillips Neo-Keynesiana. (NKPC) 1 2 t yt Et t 1 La Curva di Phillips Neo-Keynesian definisce, su basi microfondate, una relazione tra l’output gap e l’inflazione attesa, da un lato, e l’inflazione attuale dall’altro. L’inflazione sarà tanto più elevata, quanto maggiore sarà l’output gap (se positivo) e quanto più elevata sarà l’inflazione futura attesa. Calvo (1983): modelli con staggered prices Gli effetti della rigidità nominale dei prezzi sulla Curva di Phillips Neo-Keynesiana