MODULO 3 Approccio teoretico Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico all’antropologia filosofica (1) Collegando i significati delle parole greche di origine, si è potuto stabilire, per via etimologica, che, quando si parla di «antropologia filosofica», si intende una disciplina razionale, che ha come proprio oggetto di ricerca l’uomo e che tende a raggiungere su di lui una conoscenza di tipo non empirico o utilitaristico o scientistico, ma sapienziale, cioè tale da soddisfare l’esigenza principale di cui la vita umana è portatrice, quella di conoscere il senso dell’essere umano così da collocarlo opportunamente nell’ambito del tutto dell’essere. Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico all’antropologia filosofica (2) L’approfondimento etimologico ci ha consentito anche di apprendere in che consiste la conoscenza sapienziale: essa si serve dell’intelletto e della scienza e punta a cogliere la dimensione del necessario, rappresentata, per Aristotele, dal divino, dal cielo delle stelle fisse e dai principi. La sapienza sull’uomo, che l’AF vuole conquistare, tende pertanto a conoscere il principio dell’uomo ovvero ciò per cui l’uomo è uomo e senza del quale non può esserlo. Tale principio, che rende l’uomo quello che è e lo rende riconoscibile, comunque sfigurato, deformato o deprivato sia, si chiama “essenza” o forma (Aristotele) o eidos (Platone) e nell’uomo come in tutti gli esseri, rappresenta il nucleo d’essere costante che li rende quello che sono e come tali li fa riconoscere dall’intelletto. Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico all’antropologia filosofica (3) Conoscere che essere è l’uomo significa poter collocare opportunamente l’uomo nell’intero dell’essere ed è per questo che si è detto che l’antropologia filosofica con il suo approccio sapienziale all’uomo consente di soddisfare l’esigenza principale di cui la vita umana è portatrice, quella di conoscere il senso di sé e di tutto quanto è fuori e dentro di sé. Più di tutte le scienze umane che trattano l’uomo come oggetto al pari di ogni altro oggetto, l’antropologia filosofica si rivela autentico sapere umano, in quanto mira a cogliere l’uomo nel suo vero e adeguato significato di soggettività in atto. Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico all’antropologia filosofica Il rimando al piano del significato, ovvero del principio necessario d’essere, è apparso imprescindibile anche nell’approccio etimologico. Max Scheler ci ha mostrato fenomenologicamente la costitutività della dimensione del significato per la parola, la cui essenza consisterebbe propriamente nel “passaggio da suono a significato” (IdU, p. 60). La parola infatti “non rimanda semplicemente, come fa l’espressione, a un Erlebnis (=vissuto) ma sospinge anzitutto, e dunque nella sua funzione primaria, verso un oggetto mondano. La parola ‘indica’ qualcosa che non ha nulla a che vedere né con il dato sensibile del suono né con un Erlebnis (=vissuto), emozione intellezione, rappresentazione” (IdU, p. 57). Filosofia e vita Breve digressione Non sempre però tale legame intrinseco tra la filosofia e la vita umana è stato riconosciuto. Significativi in proposito due aneddoti sul fondatore della filosofia, Talete, rispettivamente di Platone e di Aristotele. L’aneddoto di Platone «Si racconta anche di Talete, il quale mentre stava mirando le stelle e aveva gli occhi rivolti in alto, cadde in un pozzo; e allora una servetta di Tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò, dicendogli che le cose del cielo si dava una gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le conosceva affatto […] Questo motto si può ben applicare egualmente a tutti quelli che fanno professione di filosofia». (Platone, Teeteto, 174 A-B) L’aneddoto di Aristotele «Siccome, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità della filosofia, dicono che [Talete], avendo previsto in base a computi astronomici un abbondante raccolto di olive, ancora nel cuore dell’inverno, disponendo di una piccola somma, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio, dando una cifra irrisoria, perché non ce n’era richiesta alcuna: ma quando giunse il tempo della raccolta, poiché molti cercavano frantoi tutt’insieme e d’urgenza, li dette a nolo al prezzo che volle e, così, raccolte molte ricchezze, dimostrò che per i filosofi è davvero facile arricchirsi, se lo vogliono – e invece non è questo di cui si preoccupano». (Aristotele, Politica, I, II, 1259a 8-19) Un’osservazione Ci rendiamo conto, a questo punto, che il procedimento etimologico, che fin qui ci ha guidato dal noto all’ignoto, ha raggiunto il suo limite e che ora dobbiamo proseguire la nostra ricerca ad un altro livello, che denominiamo teoretico (da theorein = osservare lo spettacolo che sta davanti agli occhi della mente), in quanto ora lavoreremo non più con le sole parole, ma con le idee e i significati cui le parole ci aprono. Passaggio al livello teoretico (1) Sul piano etimologico, non ci fa problema il suffisso «-logia» né l’espressione «antropo-logia». Per il loro significato disponiamo, infatti, di molte analogie linguistiche, su cui appoggiarci. 1) Nel nostro tempo, le discipline settoriali rivolte ai vari ambiti del reale si sono moltiplicate, dando luogo a sempre nuove «-logie». P. es.: «minera-logia», «geo-logia», «etno-logia», «sociologia», «psico-logia». Passaggio al livello teoretico (2) 2) Anche per investigare il problema antropologico, molto sentito a partire dal XX sec., si sono enormemente moltiplicate le discipline antropologiche settoriali, generando numerose antropologie e aprendo altrettanti punti di vista sull’uomo. Possiamo nominare molti esempi di antropologie settoriali: - l’antropologia economica; l’antropologia giuridica; - l’antropologia politica; l’antropologia sociale; - l’antropologia religiosa; l’antropologia medica; - l’antropologia biologica; l’antropologia fisica; - l’antropologia culturale……… Cfr.: Appendice I, Antropologia filosofica e antropologie settoriali. Sul filosofico Ciò che, invece, oggi non è affatto scontato è che si sappia dare una risposta alla domanda: «Che cos’è la filosofia/il filosofare?» e conseguentemente un contenuto determinato all’aggettivo «filosofica», che qualifica la nostra disciplina. A partire dalla cultura di cui attualmente disponiamo, abbiamo, anzi, qualche difficoltà ad esplicitare, oltre la mera analisi etimologica, il significato dell’aggettivo «filosofica», che si aggiunge ad «antropologia», per denominare la nostra disciplina. Infatti, mentre è in noi molto viva la curiosità nei confronti delle scienze e delle discipline settoriali, l’attenzione per la filosofia si è andata sempre più riducendo ed ora è piuttosto bassa: per questo ci resta enigmatico proprio l’aggettivo, «filosofica», che non solo è accostato alla parola «antropologia», ma qualifica la nostra disciplina. L’opinione di I. Kant Già nel XVIII secolo la filosofia era considerata non più praticabile, come ci documenta Immanuel Kant, quando rileva: «Fu già un tempo che questa [la metafisica=disciplina filosofica per eccellenza] era chiamata la regina di tutte le scienze….Ma ormai la moda del nostro tempo porta a disprezzarla». [a causa del dogmatismo in cui è incorsa e che ha generato scetticismo e anarchia] I. Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura (1781): La filosofia per Severino Boezio Dobbiamo risalire indietro nel tempo per trovare una pratica filosofica non solo intellettualistica ma di effettiva utilità per l’uomo. Severino Boezio († 525 d.C.),* mentre era in carcere, condannato a morte dal re goto Teodorico, riprendendo dal Protrettico di Aristotele, scrive il De consolatione philosophiae, in cui, presenta la filosofia come una nobile dama, che lo conforta, rispondendo ai suoi dubbi relativi al senso di ciò che gli sta capitando. * Cerca su Internet! L’opinione di Severino Boezio Nel corso dei 5 libri, Boezio propone una concezione e una pratica della filosofia per cui questa disciplina serve a «trovare/dare senso» a tutte le nostre esperienze, anche quelle più devastanti. La filosofia reca consolazione a Boezio appunto perché è in grado di mostrargli che la condizione infelice, in cui egli si trova, non va ridotta soltanto a un caso sfortunato, ma, con un opportuno esercizio della ragione filosofica, di cui tutti gli uomini sono provvisti, può invece essere ricondotta ad una ragione provvidenziale, da noi riconoscibile, per quanto a noi superiore e perciò per noi sempre misteriosa. L’opinione di Alain de Botton Alain De Botton si è dedicato a scrivere su: Le consolazioni della filosofia, Guanda, Milano 2005, dimostrando senza ombra di dubbio quanto il senso pieno del filosofare, ancora vivo ed efficace per S. Boezio, sia andato perduto per noi, che dobbiamo perciò impegnarci a recuperarlo. L’opera si snoda secondo il seguente Indice: I. Consolazione per l'impopolarità ; II. Consolazione per i problemi di denaro ; III. Consolazione per il senso di frustrazione ; IV. Consolazione per il senso di inadeguatezza ; V. Consolazione per le pene d'amore ;VI. Consolazione per le difficoltà del vivere . Tale Indice ci mostra che A. De Botton non ci offre vera consolazione (=possibilità di preservarci dalla disperazione, sottraendo la ns. esperienza alla casualità sfortunata e collocandola , invece, in un ordine provvidenziale di senso), ma solo consigli tratti dalle varie concezioni filosofiche per rimediare ai nostri problemi Filosofia e antropologia (1) La filosofia opera in modo del tutto originale e differente dagli altri saperi, svolgendo anche funzioni consolatorie e terapeutiche. Il filosofare apre orizzonti di senso In ciò si mostra al servizio dell’istanza di trascendenza o funzione “meta”, la più autentica e profonda esigenza-disenso/intenzionalità-al-senso antropologica, il contrassegno della stessa soggettività umana. L’uomo, infatti, non si accontenta di conoscere gli enti, ma si interroga soprattutto sul senso che essi hanno per lui, anelando amorosamente alla sapienza (φιλεϊν + σωφία =philèin+sophìa). Filosofia e antropologia (2) Potremmo dire, perciò, che coltivare l’antropologia filosofica significhi conoscere l’uomo dal punto di vista dell’istanza/intenzionalità di trascendenza, in cui consiste la sua essenza (=nucleo costante che rende uomo l’uomo) di essere al quale non basta conoscere e fare, secondo la mera dotazione organica, ma che sempre di nuovo deve soddisfare l’interrogativo sul senso di sé e di tutto quanto lo circonda. Per questo, sempre di nuovo egli si trova spinto a contestualizzare in un orizzonte di significati intersoggettivamente condivisi le esperienze che fa. Filosofia e antropologia (3) L’antropologia filosofica ci apre sull’uomo una prospettiva peculiare e diversa da quelle di tutti gli altri saperi. Con essa abbiamo accesso infatti al livello “intenzionale”* di significati dell’essere umano, quello che traspare nei comportamenti ma ha sede nell’interiorità coscienziale, dove si compiono gli atti che conferiscono senso ai prodotti dell’attività neuronale-cerebrale, operandone la “cifratura” umana e personale in termini di essere secondo infinite modalità quali p. es.: percezione, fantasia, giudizio, sentimento, desiderio, attesa, ricordo ecc. e i loro infiniti gradi e variazioni d’essere. Filosofia e antropologia (4) Tale qualità umana suscita la meraviglia dei cultori di scienze oggettivanti come documentato dalla frase di T.H. Huxley* sotto riprodotta: «How it is that anything so remarkable as a state of consciousness comes about as the result of irritating nervous tissue, is just as unaccountable as the appearance of Djin when Aladdin rubbed his lamp in the story. » (Thomas Henry Huxley, The elements of physiology and hygiene, 1868, p. 178) (tr. it.: «Come avvenga che qualcosa di così sorprendente come uno stato di coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto nervoso è tanto inspiegabile quanto la comparsa del genio quando Aladino, nella favola, strofina la lampada. ») * Cerca su Internet/Wikipedia *L'intenzionalità *cerca su Internet/Wikipedia E’ una parola che proviene dal latino medioevale (intentio) e significa il «tendere a» - I filosofi medioevali usavano l’espressione intentio per indicare il riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé; p. es.: di una rappresentazione alla cosa rappresentata, di un atto di volontà alla cosa voluta, ecc… - La nozione fu usata dapprima nell’ambito pratico: da cui anche l’odierno significato prevalente della parola «intenzione», che designa il riferirsi di un’attività pratica al suo oggetto. - Successivamente subentrò anche l’uso in ambito conoscitivo, a indicare i concetti, suddivisi in intentiones primae quando si riferivano alle cose reali, e intentiones secundae quando si riferivano ad altri concetti. - Secondo S. Tommaso (XIII sec.), nell’intenzione si esprime «la similitudine pensata della cosa» (C. Gent.,IV, 11, 11) Il metodo fenomenologico d’indagine La scoperta della coscienza come struttura intenzionale d’atto è stata resa possibile, nel XX sec., dall’introduzione in filosofia, da parte di Edmund Husserl, del metodo fenomenologico d’indagine. A differenza dei metodi psicologici e scientifici, che cercano le cause dei vissuti, esso prende in considerazione ogni fenomeno vissuto «per come in se stesso si manifesta». Praticando la riduzione (=epochè), che esclude dal campo d’indagine tutto ciò di cui si può dubitare (risultati scientifici, esperienza naturale, mondo psico-fisico e persona psicofisica di chi indaga), il metodo fenomenologico consente di concentrare l’osservazione solo sulla personale «esperienza vissuta della cosa, afferrata nella percezione, nel ricordo o in qualsiasi altro modo». L’esperienza vissuta (=Erlebnis)* « L’esperienza vissuta di ciascun fenomeno rappresenta ciò che non può essere messo fuori circuito. Che significa? Si può dubitare che Io, questo Io empirico al quale è assegnato un nome, una posizione sociale e che è fornito di particolari qualità, esista veramente. Tutto il mio passato potrebbe essere un sogno e il suo ricordo un inganno, per cui può essere messo fuori circuito, rimanendo l’oggetto della mia considerazione solo come fenomeno. Ma “IO”, il soggetto dell’esperienza vissuta, che considero il mondo e la mia persona come fenomeni, io sono nell’esperienza vissuta e soltanto in essa permango, per cui non è possibile che siano cancellati sia l’Io che la stessa esperienza vissuta». [E. Stein, Il problema dell’empatia] * Cfr.: Wilhelm Dilthey e la psicologia comprendente (cerca su Wikipedia) *Un esempio da E. Husserl “Rappresentarsi un oggetto, ad esempio il castello di Berlino,[…] non è altro che una specie determinata di “stato d’animo”. Esprimere un giudizio su questo castello, gioire della sua bella architettura o nutrire il desiderio di poter far questo ecc., sono vissuti nuovi, fenomenologicamente rappresentati in modo nuovo. L’aspetto che tutti hanno in comune è il fatto che sono modalità dell’intenzione oggettuale, che in termini correnti non possiamo esprimere altrimenti se non dicendo che il castello è percepito, fantasticato, rappresentato in immagine, giudicato, ch’esso è oggetto di quella gioia, di quel desiderio, ecc. […] Va distinto l’oggetto nel modo in cui viene intenzionato e l’oggetto che viene intenzionato in quanto tale. In ogni atto un oggetto viene “rappresentato” con queste o quelle determinazioni e come tale esso potrà anche essere eventualmente il centro a cui mirano intenzioni di vario genere – intenzioni di giudizio, di sentimento, di desiderio, ecc. Pertanto in esse l’oggetto che viene intenzionato è lo stesso, mentre l’intenzione è diversa in ciascuna di esse, ogni rappresentazione intende l’oggetto in modo diverso”. (E. Husserl, Ricerche logiche) L’intenzionalità è della coscienza (1) La coscienza non è una cosa (Cartesio), ma è struttura intenzionale d’atto = Con-formazione del flusso energetico mentale, in polarità soggettiva e oggettiva, connesse da tensione intenzionale L’atto di coscienza PS I PO Ego cogito cogitata Ego sentio sentimentum Ego volo volitum Ego percipio perceptum polo soggettivo tendere a polo oggettivo ↑ ↑ ↑ intenzionalità della coscienza (in virtù del suo essere intenzionale, la coscienza non è affatto chiusa nel suo essere soggettivo; al contrario in quanto struttura d’atto è sempre aperta e rivolta ad ospitare l'essere oggettivo) L’intenzionalità è della coscienza (2) Solo in tali conformazioni intenzionali o atti di coscienza, ogni concreto prodotto neuronale-cerebrale può essere coscienzialmente ospitato e diventare esperienza L’intenzionalità è della coscienza (3) Solo perché la coscienza è tale struttura intenzionale d’atto prefigurante/configurante ogni concreto prodotto cerebrale, noi possiamo avere coscienza delle nostre esperienze Nuova concezione della coscienza Per ogni concreto atto umano d’esperienza c’è a priori per quanto impercettibile alla sensibilità e portato ad evidenza solo dalla riflessività intuitiva della descrizione fenomenologica, un’attività intenzionale della coscienza, che appronta la forma coscienziale (=in-esistente) per il darsi di ogni concreto processo/prodotto neuronale-cerebrale in atti/oggetti di coscienza (percezione, pensiero, sentimento, desiderio, attesa, volizione….). La teoria della mente* (1) Contestualmente alle scoperte della fenomenologia, le scienze umane si sono aperte alla dimensione di soggettività/intenzionalità orientata al senso, di cui anche dal loro punto di vista oggettivante, l’uomo si mostra portatore . Proprio dall’ambito delle scienze psicologiche è stato elaborato di recente il costrutto-ponte della Teoria della mente, variamente utilizzato per definire significati diversi, seppur spesso simili, nell’ambito della filosofia della mente e della psicologia cognitiva, in psicologia dell’apprendimento e del pensiero, in psicologia clinica, in psicologia dello sviluppo, epistemologia genetica e psicologia dinamica. * Cercare su Wikipedia La teoria della mente (2) La ToM (Theory of Mind) si è così rivelata un potente e trasversale costrutto euristico*, che ha permesso il dialogo e l'avvicinamento tra campi di ricerca prima molto lontani. * Cercare su Wikipedia La teoria della mente (3) Grazie al contributo di autori come John Bowlby* e soprattutto Peter Fonagy*, costrutti come la Teoria dell'Attaccamento, la Funzione del Sé riflessivo e la Metacognizione, pur se relativamente differenti e riferiti a contesti leggermente diversi, possono essere in parte unificati utilizzando quello di "Teoria della Mente" (o ToMM, Theory of Mind Mechanism) come costrutto-ponte da un punto di vista epistemologico. * Cercare su Internet/Wikipedia La teoria della mente (4) Più in particolare: Nell'ambito della filosofia della mente, la ToM rappresenta il modello ontologico e strutturale dei processi mentali, formulato per rispondere alla domanda: “Cosa è la Mente?" In psicologia cognitiva, la ToM equivale al modello di funzionamento della psiche e serve a rispondere alla domanda: “Come funziona la Mente, quali sono i suoi processi funzionali?" La teoria della mente (5) In senso più operativo ed applicativo: -in psicologia dell'apprendimento e psicologia del pensiero, la ToM è stata spesso usata come analogo di metacognizione, ovvero di capacità osservativa ed automodulante degli stessi processi cognitivi individuali -in psicologia clinica, la ToM funge da equivalente funzionale delle funzioni del Sé riflessivo. -in psicologia dello sviluppo, epistemologia genetica e psicologia dinamica la ToM esprime la capacità del bambino di costituirsi una rappresentazione adeguata dei processi di pensiero propri e dell'Altro significante.