AF_2015-16_Modulo 3_Approccio teoretico all`AF

MODULO 3
Approccio teoretico
Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico
all’antropologia filosofica (1)
Collegando i significati delle parole greche di origine,
si è potuto stabilire, per via etimologica, che, quando
si parla di «antropologia filosofica», si intende una
disciplina razionale, che ha come proprio oggetto di
ricerca l’uomo e che tende a raggiungere su di lui
una conoscenza di tipo non empirico o utilitaristico
o scientistico, ma sapienziale, cioè tale da soddisfare
l’esigenza principale di cui la vita umana è
portatrice, quella di conoscere il senso dell’essere
umano così da collocarlo opportunamente nell’ambito
del tutto dell’essere.
Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico
all’antropologia filosofica (2)
L’approfondimento etimologico ci ha consentito anche di apprendere in che
consiste la conoscenza sapienziale: essa si serve dell’intelletto e della
scienza e punta a cogliere la dimensione del necessario, rappresentata, per
Aristotele, dal divino, dal cielo delle stelle fisse e dai principi.
La sapienza sull’uomo, che l’AF vuole conquistare, tende pertanto a conoscere
il principio dell’uomo ovvero ciò per cui l’uomo è uomo e senza del quale
non può esserlo.
Tale principio, che rende l’uomo quello che è e lo rende riconoscibile,
comunque sfigurato, deformato o deprivato sia, si chiama “essenza” o
forma (Aristotele) o eidos (Platone) e nell’uomo come in tutti gli esseri,
rappresenta il nucleo d’essere costante che li rende quello che sono e come
tali li fa riconoscere dall’intelletto.
Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico
all’antropologia filosofica (3)
Conoscere che essere è l’uomo significa poter collocare
opportunamente l’uomo nell’intero dell’essere ed è per questo
che si è detto che l’antropologia filosofica con il suo approccio
sapienziale all’uomo consente di soddisfare l’esigenza
principale di cui la vita umana è portatrice, quella di
conoscere il senso di sé e di tutto quanto è fuori e dentro di
sé.
Più di tutte le scienze umane che trattano l’uomo come oggetto al
pari di ogni altro oggetto, l’antropologia filosofica si rivela
autentico sapere umano, in quanto mira a cogliere l’uomo nel
suo vero e adeguato significato di soggettività in atto.
Ripresa del guadagno dell’approccio etimologico
all’antropologia filosofica
Il rimando al piano del significato, ovvero del principio necessario d’essere, è
apparso imprescindibile anche nell’approccio etimologico.
Max Scheler ci ha mostrato fenomenologicamente la costitutività della
dimensione del significato per la parola, la cui essenza consisterebbe
propriamente nel “passaggio da suono a significato” (IdU, p. 60).
La parola infatti
“non rimanda semplicemente, come fa l’espressione, a un Erlebnis
(=vissuto) ma sospinge anzitutto, e dunque nella sua funzione primaria,
verso un oggetto mondano. La parola ‘indica’ qualcosa che non ha nulla a
che vedere né con il dato sensibile del suono né con un Erlebnis (=vissuto),
emozione intellezione, rappresentazione” (IdU, p. 57).
Filosofia e vita
Breve digressione
Non sempre però tale legame intrinseco tra la
filosofia e la vita umana è stato riconosciuto.
Significativi in proposito due aneddoti sul
fondatore della filosofia, Talete,
rispettivamente di Platone e di Aristotele.
L’aneddoto di Platone
«Si racconta anche di Talete, il quale mentre stava
mirando le stelle e aveva gli occhi rivolti in alto,
cadde in un pozzo; e allora una servetta di Tracia,
spiritosa e graziosa, lo motteggiò, dicendogli che le
cose del cielo si dava una gran pena di conoscerle,
ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le
conosceva affatto […] Questo motto si può ben
applicare egualmente a tutti quelli che fanno
professione di filosofia».
(Platone, Teeteto, 174 A-B)
L’aneddoto di Aristotele
«Siccome, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità
della filosofia, dicono che [Talete], avendo previsto in
base a computi astronomici un abbondante raccolto di
olive, ancora nel cuore dell’inverno, disponendo di una
piccola somma, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di
Chio, dando una cifra irrisoria, perché non ce n’era
richiesta alcuna: ma quando giunse il tempo della
raccolta, poiché molti cercavano frantoi tutt’insieme e
d’urgenza, li dette a nolo al prezzo che volle e, così,
raccolte molte ricchezze, dimostrò che per i filosofi è
davvero facile arricchirsi, se lo vogliono – e invece non
è questo di cui si preoccupano».
(Aristotele, Politica, I, II, 1259a 8-19)
Un’osservazione
Ci rendiamo conto, a questo punto, che il
procedimento etimologico, che fin qui ci ha
guidato dal noto all’ignoto, ha raggiunto il suo
limite e che ora dobbiamo proseguire la nostra
ricerca ad un altro livello, che denominiamo
teoretico (da theorein = osservare lo spettacolo
che sta davanti agli occhi della mente), in quanto
ora lavoreremo non più con le sole parole, ma con
le idee e i significati cui le parole ci aprono.
Passaggio al livello teoretico (1)
Sul piano etimologico, non ci fa problema il suffisso
«-logia» né l’espressione «antropo-logia».
Per il loro significato disponiamo, infatti, di molte
analogie linguistiche, su cui appoggiarci.
1) Nel nostro tempo, le discipline settoriali rivolte ai
vari ambiti del reale si sono moltiplicate, dando luogo
a sempre nuove «-logie».
P. es.: «minera-logia», «geo-logia», «etno-logia», «sociologia», «psico-logia».
Passaggio al livello teoretico (2)
2) Anche per investigare il problema antropologico, molto sentito
a partire dal XX sec., si sono enormemente moltiplicate le
discipline antropologiche settoriali, generando numerose
antropologie e aprendo altrettanti punti di vista sull’uomo.
Possiamo nominare molti esempi di antropologie settoriali:
- l’antropologia economica; l’antropologia giuridica;
- l’antropologia politica; l’antropologia sociale;
- l’antropologia religiosa; l’antropologia medica;
- l’antropologia biologica; l’antropologia fisica;
- l’antropologia culturale………
Cfr.: Appendice I, Antropologia filosofica e antropologie
settoriali.
Sul filosofico
Ciò che, invece, oggi non è affatto scontato è che si sappia dare una
risposta alla domanda: «Che cos’è la filosofia/il filosofare?» e
conseguentemente un contenuto determinato all’aggettivo
«filosofica», che qualifica la nostra disciplina.
A partire dalla cultura di cui attualmente disponiamo, abbiamo, anzi,
qualche difficoltà ad esplicitare, oltre la mera analisi etimologica, il
significato dell’aggettivo «filosofica», che si aggiunge ad
«antropologia», per denominare la nostra disciplina.
Infatti, mentre è in noi molto viva la curiosità nei confronti delle
scienze e delle discipline settoriali, l’attenzione per la filosofia si è
andata sempre più riducendo ed ora è piuttosto bassa: per questo
ci resta enigmatico proprio l’aggettivo, «filosofica», che non solo è
accostato alla parola «antropologia», ma qualifica la nostra
disciplina.
L’opinione di I. Kant
Già nel XVIII secolo la filosofia era considerata non più praticabile,
come ci documenta Immanuel Kant, quando rileva:
«Fu già un tempo che questa [la metafisica=disciplina filosofica per
eccellenza] era chiamata la regina di tutte le scienze….Ma ormai la
moda del nostro tempo porta a disprezzarla».
[a causa del dogmatismo in cui è incorsa e che ha generato
scetticismo e anarchia]
I. Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura (1781):
La filosofia per Severino Boezio
Dobbiamo risalire indietro nel tempo per trovare una
pratica filosofica non solo intellettualistica ma di
effettiva utilità per l’uomo.
Severino Boezio († 525 d.C.),* mentre era in carcere,
condannato a morte dal re goto Teodorico, riprendendo
dal Protrettico di Aristotele, scrive il De consolatione
philosophiae, in cui, presenta la filosofia come una
nobile dama, che lo conforta, rispondendo ai suoi
dubbi relativi al senso di ciò che gli sta capitando.
* Cerca su Internet!
L’opinione di Severino Boezio
Nel corso dei 5 libri, Boezio propone una concezione e
una pratica della filosofia per cui questa disciplina serve a
«trovare/dare senso» a tutte le nostre esperienze, anche
quelle più devastanti.
La filosofia reca consolazione a Boezio appunto perché
è in grado di mostrargli che la condizione infelice, in cui
egli si trova, non va ridotta soltanto a un caso
sfortunato, ma, con un opportuno esercizio della
ragione filosofica, di cui tutti gli uomini sono provvisti,
può invece essere ricondotta ad una ragione
provvidenziale, da noi riconoscibile, per quanto a noi
superiore e perciò per noi sempre misteriosa.
L’opinione di Alain de Botton
Alain De Botton si è dedicato a scrivere su: Le consolazioni della
filosofia, Guanda, Milano 2005, dimostrando senza ombra di dubbio
quanto il senso pieno del filosofare, ancora vivo ed efficace per S.
Boezio, sia andato perduto per noi, che dobbiamo perciò
impegnarci a recuperarlo. L’opera si snoda secondo il seguente
Indice:
I. Consolazione per l'impopolarità ; II. Consolazione per i problemi di denaro ;
III. Consolazione per il senso di frustrazione ; IV. Consolazione per il senso di
inadeguatezza ; V. Consolazione per le pene d'amore ;VI. Consolazione per le
difficoltà del vivere .
Tale Indice ci mostra che A. De Botton non ci offre vera
consolazione (=possibilità di preservarci dalla disperazione, sottraendo la ns.
esperienza alla casualità sfortunata e collocandola , invece, in un ordine
provvidenziale di senso), ma solo consigli tratti dalle varie concezioni
filosofiche per rimediare ai nostri problemi
Filosofia e antropologia (1)
La filosofia opera in modo del tutto originale e differente dagli
altri saperi, svolgendo anche funzioni consolatorie e terapeutiche.
Il filosofare apre orizzonti di senso
In ciò si mostra al servizio dell’istanza di trascendenza o
funzione “meta”, la più autentica e profonda esigenza-disenso/intenzionalità-al-senso antropologica, il contrassegno della
stessa soggettività umana.
L’uomo, infatti, non si accontenta di conoscere gli enti, ma si
interroga soprattutto sul senso che essi hanno per lui, anelando
amorosamente alla sapienza (φιλεϊν + σωφία =philèin+sophìa).
Filosofia e antropologia (2)
Potremmo dire, perciò, che coltivare l’antropologia
filosofica significhi conoscere l’uomo dal punto di
vista dell’istanza/intenzionalità di trascendenza, in
cui consiste la sua essenza (=nucleo costante che
rende uomo l’uomo) di essere al quale non basta
conoscere e fare, secondo la mera dotazione organica,
ma che sempre di nuovo deve soddisfare
l’interrogativo sul senso di sé e di tutto quanto lo
circonda.
Per questo, sempre di nuovo egli si trova spinto a
contestualizzare in un orizzonte di significati
intersoggettivamente condivisi le esperienze che fa.
Filosofia e antropologia (3)
L’antropologia filosofica ci apre sull’uomo una prospettiva
peculiare e diversa da quelle di tutti gli altri saperi.
Con essa abbiamo accesso infatti al livello “intenzionale”* di
significati dell’essere umano, quello che traspare nei
comportamenti ma ha sede nell’interiorità coscienziale,
dove si compiono gli atti che conferiscono senso ai prodotti
dell’attività neuronale-cerebrale, operandone la “cifratura”
umana e personale in termini di essere secondo infinite
modalità quali p. es.: percezione, fantasia, giudizio,
sentimento, desiderio, attesa, ricordo ecc. e i loro infiniti gradi
e variazioni d’essere.
Filosofia e antropologia (4)
Tale qualità umana suscita la meraviglia dei cultori di scienze
oggettivanti come documentato dalla frase di T.H. Huxley*
sotto riprodotta:
«How it is that anything so remarkable as a state of consciousness
comes about as the result of irritating nervous tissue, is just as
unaccountable as the appearance of Djin when Aladdin
rubbed his lamp in the story. »
(Thomas Henry Huxley, The elements of physiology
and hygiene, 1868, p. 178)
(tr. it.: «Come avvenga che qualcosa di così sorprendente come uno
stato di coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto
nervoso è tanto inspiegabile quanto la comparsa del genio quando
Aladino, nella favola, strofina la lampada. »)
* Cerca su Internet/Wikipedia
*L'intenzionalità
*cerca su Internet/Wikipedia
E’ una parola che proviene dal latino medioevale (intentio)
e significa il «tendere a»
- I filosofi medioevali usavano l’espressione intentio per indicare il
riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé; p. es.:
di una rappresentazione alla cosa rappresentata, di un atto di volontà
alla cosa voluta, ecc…
- La nozione fu usata dapprima nell’ambito pratico: da cui anche
l’odierno significato prevalente della parola «intenzione», che
designa il riferirsi di un’attività pratica al suo oggetto.
- Successivamente subentrò anche l’uso in ambito conoscitivo, a
indicare i concetti, suddivisi in intentiones primae quando si
riferivano alle cose reali, e intentiones secundae quando si riferivano
ad altri concetti.
- Secondo S. Tommaso (XIII sec.), nell’intenzione si esprime «la
similitudine pensata della cosa» (C. Gent.,IV, 11, 11)
Il metodo fenomenologico d’indagine
La scoperta della coscienza come struttura intenzionale d’atto è stata
resa possibile, nel XX sec., dall’introduzione in filosofia, da parte
di Edmund Husserl, del metodo fenomenologico d’indagine.
A differenza dei metodi psicologici e scientifici, che cercano le cause
dei vissuti, esso prende in considerazione ogni fenomeno vissuto
«per come in se stesso si manifesta».
Praticando la riduzione (=epochè), che esclude dal campo d’indagine
tutto ciò di cui si può dubitare (risultati scientifici, esperienza
naturale, mondo psico-fisico e persona psicofisica di chi indaga),
il metodo fenomenologico consente di concentrare l’osservazione
solo sulla personale
«esperienza vissuta della cosa,
afferrata nella percezione, nel ricordo o in qualsiasi altro modo».
L’esperienza vissuta (=Erlebnis)*
« L’esperienza vissuta di ciascun fenomeno rappresenta ciò che
non può essere messo fuori circuito.
Che significa?
Si può dubitare che Io, questo Io empirico al quale è assegnato un
nome, una posizione sociale e che è fornito di particolari qualità,
esista veramente.
Tutto il mio passato potrebbe essere un sogno e il suo ricordo un
inganno, per cui può essere messo fuori circuito, rimanendo l’oggetto
della mia considerazione solo come fenomeno.
Ma “IO”, il soggetto dell’esperienza vissuta, che considero il
mondo e la mia persona come fenomeni, io sono nell’esperienza
vissuta e soltanto in essa permango, per cui non è possibile che siano
cancellati sia l’Io che la stessa esperienza vissuta».
[E. Stein, Il problema dell’empatia]
* Cfr.: Wilhelm Dilthey e la psicologia comprendente (cerca su Wikipedia)
*Un esempio da E. Husserl
“Rappresentarsi un oggetto, ad esempio il castello di Berlino,[…]
non è altro che una specie determinata di “stato d’animo”.
Esprimere un giudizio su questo castello, gioire della sua bella
architettura o nutrire il desiderio di poter far questo ecc., sono
vissuti nuovi, fenomenologicamente rappresentati in modo
nuovo. L’aspetto che tutti hanno in comune è il fatto che sono
modalità dell’intenzione oggettuale, che in termini correnti non
possiamo esprimere altrimenti se non dicendo che il castello è
percepito, fantasticato, rappresentato in immagine, giudicato,
ch’esso è oggetto di quella gioia, di quel desiderio, ecc. […] Va
distinto l’oggetto nel modo in cui viene intenzionato e l’oggetto
che viene intenzionato in quanto tale. In ogni atto un oggetto viene
“rappresentato” con queste o quelle determinazioni e come tale
esso potrà anche essere eventualmente il centro a cui mirano
intenzioni di vario genere – intenzioni di giudizio, di sentimento,
di desiderio, ecc. Pertanto in esse l’oggetto che viene intenzionato
è lo stesso, mentre l’intenzione è diversa in ciascuna di esse, ogni
rappresentazione intende l’oggetto in modo diverso”.
(E. Husserl, Ricerche logiche)
L’intenzionalità è della coscienza
(1)
La coscienza non
è una cosa (Cartesio),
ma è struttura intenzionale d’atto
=
Con-formazione del flusso energetico mentale,
in polarità soggettiva e oggettiva, connesse da
tensione intenzionale
L’atto di coscienza
PS
I
PO
Ego
cogito
cogitata
Ego
sentio
sentimentum
Ego
volo
volitum
Ego
percipio
perceptum
polo soggettivo tendere a
polo oggettivo
↑
↑
↑
intenzionalità della coscienza
(in virtù del suo essere intenzionale, la coscienza non è
affatto chiusa nel suo essere soggettivo; al contrario
in quanto struttura d’atto è sempre aperta e rivolta ad
ospitare l'essere oggettivo)
L’intenzionalità è della coscienza (2)
Solo in tali
conformazioni intenzionali o atti di coscienza,
ogni concreto prodotto neuronale-cerebrale
può essere coscienzialmente ospitato
e diventare esperienza
L’intenzionalità è della coscienza (3)
Solo perché la coscienza è tale
struttura intenzionale d’atto
prefigurante/configurante
ogni concreto prodotto cerebrale,
noi possiamo avere coscienza delle nostre
esperienze
Nuova concezione della coscienza
Per ogni concreto atto umano d’esperienza
c’è a priori
per quanto impercettibile alla sensibilità
e portato ad evidenza solo dalla riflessività intuitiva
della descrizione fenomenologica,
un’attività intenzionale della coscienza,
che appronta la forma coscienziale (=in-esistente)
per il darsi di ogni concreto processo/prodotto
neuronale-cerebrale in atti/oggetti di coscienza
(percezione, pensiero, sentimento, desiderio, attesa,
volizione….).
La teoria della mente* (1)
Contestualmente alle scoperte della fenomenologia, le
scienze umane si sono aperte alla dimensione di
soggettività/intenzionalità orientata al senso, di cui anche
dal loro punto di vista oggettivante, l’uomo si mostra
portatore .
Proprio dall’ambito delle scienze psicologiche è stato
elaborato di recente il costrutto-ponte della Teoria
della mente, variamente utilizzato per definire significati
diversi, seppur spesso simili, nell’ambito della filosofia
della mente e della psicologia cognitiva, in psicologia
dell’apprendimento e del pensiero, in psicologia
clinica, in psicologia dello sviluppo, epistemologia
genetica e psicologia dinamica.
* Cercare su Wikipedia
La teoria della mente (2)
La ToM (Theory of Mind) si è così rivelata
un potente e trasversale costrutto
euristico*, che ha permesso il dialogo e
l'avvicinamento tra campi di ricerca
prima molto lontani.
* Cercare su Wikipedia
La teoria della mente (3)
Grazie al contributo di autori come John Bowlby*
e soprattutto Peter Fonagy*, costrutti come la
Teoria dell'Attaccamento, la Funzione del Sé
riflessivo e la Metacognizione, pur se
relativamente differenti e riferiti a contesti
leggermente diversi, possono essere in parte
unificati utilizzando quello di "Teoria della
Mente" (o ToMM, Theory of Mind Mechanism)
come costrutto-ponte da un punto di vista
epistemologico.
* Cercare su Internet/Wikipedia
La teoria della mente (4)
Più in particolare:
Nell'ambito della filosofia della mente, la ToM
rappresenta il modello ontologico e strutturale
dei processi mentali, formulato per rispondere
alla domanda: “Cosa è la Mente?"
In psicologia cognitiva, la ToM equivale al
modello di funzionamento della psiche e
serve a rispondere alla domanda: “Come
funziona la Mente, quali sono i suoi processi
funzionali?"
La teoria della mente (5)
In senso più operativo ed applicativo:
-in psicologia dell'apprendimento e psicologia del
pensiero, la ToM è stata spesso usata come
analogo di metacognizione, ovvero di capacità
osservativa ed automodulante degli stessi processi
cognitivi individuali
-in psicologia clinica, la ToM funge da equivalente
funzionale delle funzioni del Sé riflessivo.
-in psicologia dello sviluppo, epistemologia
genetica e psicologia dinamica la ToM esprime
la capacità del bambino di costituirsi una
rappresentazione adeguata dei processi di
pensiero propri e dell'Altro significante.