Particelle e onde

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Corso di Chimica Fisica II
2011
Marina Brustolon
3. Particelle e onde
L’onda di de Broglie
Il principio di indeterminazione
Particelle microscopiche e onde
1. Richiamo sull’interferenza e la diffrazione
nell’ottica classica
2. Interferenza di onde nell’esperimento a due
fenditure
3. Il comportamento degli elettroni
nell’esperimento a due fenditure
4. Elettroni: ONDE o PARTICELLE?
5. Fotoni: ONDE o PARTICELLE? L’effetto
fotoelettrico.
Uno strano comportamento degli
elettroni
Fascio di
elettroni
Figura di
diffrazione
Cristallo di Nickel
Ma che succede? la
diffrazione è un
fenomeno che
riguarda le onde! E gli
elettroni sono
particelle. . .
Per capire cosa succede
descriviamo un esperimento
che in origine era considerato
come esperimento “pensato” ,
cioè impossibile da realizzare.
Ma prima…richiamiamo alcune
proprietà delle onde
elettromagnetiche
. . .che ci aiuteranno a capire il comportamento
degli elettroni.
L’interferenza
La diffrazione
Ottica classica
Interferenza
Le due onde in fase
interferiscono
positivamente
Le due onde
sfasate di 180°
interferiscono
negativamente
Se le
ampiezze
fossero eguali
l’onda si
annullerebbe
Diffrazione
Il fenomeno dell’interferenza è alla base della diffrazione.
La diffrazione dei raggi X è l’esperimento più importante
per determinare la struttura cristallina di un composto.
Reticolo cristallino: gli atomi sono
disposti in modo ordinato nello
spazio.
Consideriamo gli atomi su una
faccia di un cristallo: si
possono individuare diversi
piani. Possiamo trovare le
distanze tra i piani sfruttando
l’interferenza tra onde
riflesse.
Consideriamo due piani del
reticolo.
Due raggi incidenti su
piani contigui
vengono riflessi
Sul piano ----- i raggi arrivano
sfasati perché hanno percorso
distanze diverse: la differenza
è
AB+BC=2d sin 
L’interferenza sarà positiva quando:
2d sin  = n 
Variando  possiamo ottenere una figura di diffrazione,
cioè una serie di massimi di intensità dovuti a
interferenza positiva che ci danno informazioni sulle
distanze d tra i piani reticolari.
Variando  possiamo ottenere una figura di diffrazione (diffraction
pattern), cioè massimi di intensità per i diversi piani reticolari ogni volta
che 2di sin  = n .
piani reticolari

Esperimento di interferenza
delle due fenditure
• Quando un’onda piana (per esempio un’onda
elettromagnetica, o anche un’onda meccanica)
incontra uno schermo con due fenditure, si creano
due onde, tra le quali si produce un’interferenza.
A seconda del rapporto di fase tra le due onde,
l’intensità dell’onda risultante mostra massimi e
minimi = figura di interferenza.
• La forma della figura di interferenza dipende dalla
lunghezza d’onda.
Interferenza costruttiva massima dove le
onde sono in fase
Immagine sullo
schermo
Onda piana
monocromatica
Schermo con due
fenditure
Schermo ottico
Un’altra rappresentazione grafica dello stesso
esperimento a due fenditure
Importante: se si chiude una fenditura e l’onda passa attraverso
l’altra, non c’è interferenza (v. I1 e I2) .
Se invece le due fenditure sono entrambe aperte, queste si
comportano come due sorgenti di luce. Tra le due onde che si
generano dalle fenditure c’è allora interferenza, e l’intensità che si
misura non è la somma delle intensità per le singole onde.
Per gli oggetti classici la
probabilità di passaggio
attraverso le due
fenditure è eguale alla
somma delle probabilità
di passaggio attraverso
ciascuna delle due.
elettroni
Se una delle due fenditure è chiusa la distribuzione è come per
i proiettili . Ma se entrambe le fenditure sono aperte. . .
si ottiene una figura d’interferenza come per un’onda !
Ma quello che è ancora più sorprendente. . .
. . .è che la figura di interferenza si ottiene anche con un
singolo elettrone!
Particelle “classiche”
Onde
Particelle “quantistiche”
Se un elettrone attraversa lo
schermo con le due fenditure,
dà origine a una figura di
diffrazione, e si comporta
quindi come un’onda.
click
click
Se con un rivelatore riusciamo
a stabilire per ogni elettrone la
sua posizione all’uscita dalle
fenditure, gli elettroni
perdono le loro caratteristiche
ondulatorie, e si comportano
come particelle.
Gli esperimenti sull’interferenza fatti con fasci di
elettroni hanno provato brillantemente che le
particelle si muovono come onde (Albert Einstein,
on Quantum Theory, 1954)
http://www.mozami.net/blog/2008/07/excellentanimation-video-of-the-observer-effect/
L’interferenza c’è anche con un
singolo elettrone!
vuoto
metallo
L’effetto
fotoelettrico
Il luce
circuito
interrotto
e non passa
La
che ècolpisce
la superficie
dà
corrente
agli
elettroni l’energia per
abbandonare il metallo, il circuito si
chiude, e passa la corrente.
0
0
Come si trasmette l’energia dalla luce
agli elettroni? Secondo l’ottica
classica, l’onda porta energia in modo
continuo, quindi gli elettroni
potrebbero accumulare energia fino
ad averne abbastanza da poter uscire
dal metallo. In realtà…
…solo una radiazione elettromagnetica con una frequenza al di sopra
di un valore di soglia 0 fa emettere elettroni al metallo!
Einstein è stato il primo a studiare e spiegare il fenomeno, e per questo ha
avuto il Nobel nel 1921.
I fotoni che arrivano sul metallo cedono energia agli elettroni dello strato
superficiale del solido. Gli elettroni acquisiscono così l'energia necessaria
per rompere il legame e abbandonare il solido. L’intero fotone è assorbito in
questo processo, e deve quindi avere l’energia sufficiente per strappare
l’elettrone.
Quindi il passaggio di energia dalla radiazione elettromagnetica agli
elettroni avviene a quanti interi. Si ripete per la radiazione quello che
abbiamo visto per gli oscillatori nel corpo nero.
I quanti di radiazione elettromagnetica si chiamano fotoni,
sono indivisibili, e hanno energia:
E  h  
dove h è la ormai famigliare costante di Planck e 
è h/2π.
Quindi: le particelle microscopiche hanno anche un
carattere ondulatorio; le onde elettromagnetiche hanno
anche un carattere corpuscolare.
La leggi della Meccanica
Quantistica
1. La relazione di de Broglie tra momento e
lunghezza d’onda
2. Il principio di indeterminazione di Heisenberg
3. Le conseguenze del principio di indeterminazione
e la descrizione del moto degli elettroni
La relazione di de Broglie
Gli elettroni sono allora particelle, o sono onde?
Come descrivere un elettrone con moto rettilineo ed
uniforme?
e-
p Momento lineare
x
Nel 1924, il giovane duca francese Louis de Broglie
conseguì il dottorato con una tesi dal titolo
Recherches sur la Théorie des Quanta
Nella tesi dimostrava che gli esperimenti sugli elettroni
portavano alla conseguenza che ad un elettrone con moto
rettilineo ed uniforme e con momento lineare p è associata
un’onda con lunghezza d’onda
h

p
Voltaggio
più alto
Voltaggio
più basso
Le figure di
diffrazione dipendono
dalla lunghezza d’onda
associata all’elettrone.
Se gli elettroni
vengono accelerati in
modo diverso, la figura
di diffrazione cambia.
Calcolando l’energia
cinetica degli elettroni
si trova il loro
momento p. La
lunghezza dell’onda
associata corrisponde
a:
h

p
Esercizio
Qual è la lunghezza d’onda di un elettrone accelerato facendogli
attraversare un potenziale =1000 V (1.00 kV)?
Ragionamento. Abbiamo bisogno di ottenere il momento lineare, così
potremo applicare la relazione di De Broglie:
h

p
Per ottenere il momento lineare, dobbiamo conoscere l’energia
cinetica, che è anche l’energia totale, visto che l’elettrone si muove
di moto “rettilineo e uniforme” (se fosse un oggetto classico):
p2
E
2m
da cui
p  E  2m
L’energia che l’elettrone ha acquistato, è quella dovuta al potenziale :
E  e  
carica elettrica x differenza di potenziale
Coulomb x Volt
p  e    2m
Unità di misura e costanti di cui abbiamo bisogno:
L’unico dato numerico è il potenziale, in volts. Il volt è l’unità SI di
potenziale, quindi va bene. 1 V x 1 C (Coulomb) = 1 J.
Poi abbiamo bisogno della massa dell’elettrone (m) e della sua
carica (e): dalle tabelle troviamo
m  9.109 10 31kg
e  1.602  10 19 C
Quindi :

h
6.62
10 34
J s



1/ 2
(10 31  10 19  10 3 )1 / 2 ( k g  C V )1 / 2
2me  ( 2  9.109  1.602 )
Controlliamo le unità: dobbiamo ottenere una grandezza in metri.
Ricordiamo che 1 J = 1 N x m = 1 kg x m2 x s-2.
J s
J s
J 1 / 2  s ( kg  m 2  s 2 )1 / 2  s



m
1/ 2
1/ 2
1/ 2
1/ 2
( kg  C V )
( kg  J )
( kg)
( kg)
OK!
h
6.62
1034


 31 19 3 1/ 2  m
1/ 2
(10 10 10 )
2me (2  9.109 1.602)
h
6.62
1034


 47 1/ 2  m
1/ 2
(10 )
2me (29.185)
h
6.62
1034


 48
m
1/ 2
2me 5.402 (10 10)
1034
 1.225  24
m
10  10
10 34 10 24
 1.225 
 m  0.388 10 10 m
3.162
  3.88 1011 m  38.8 pm
1 pm  10 12 m
Legame chimico:  100 pm

Onda associata all’elettrone con momento p
Ma allora dov’è l’elettrone?
C’est impossible
le savoir!
h

p
E’ impossibile
saperlo!
Louis Victor Pierre Raymond
duc de Broglie
L’elettrone è dovunque lungo la
traiettoria dell’onda.
La lunghezza d’onda di una particella che si
muova in presenza di un potenziale.
Lunghezza d’onda associata al moto di una particella in
assenza di potenziale:
Ecin
p2

2m
p  Ecin  2m

h
2mEcin
Moto di una particella in presenza di potenziale:
E  Ecin  V
Ecin  E  V

h
2mEcin

h
2 m( E  V )
Il principio di
indeterminazione
Più precisamente la
posizione di un elettrone è
determinata, meno
precisamente è noto il
momento, e viceversa -Heisenberg, articolo
sull’indeterminazione, 1927
Heisenberg in 1927.
p x  h / 4p

h
p
Momento lineare definito:
corrisponde ad un’onda
monocromatica delocalizzata
lungo la traiettoria classica
dell’elettrone. L’incertezza
sulla posizione dell’elettrone è
infinita.
Prendiamo più onde, a
diversa , e
sommiamole insieme.
L’onda risultante ha un picco massimo in una posizione che corrisponde
alla più probabile posizione dell’elettrone. L’incertezza sulla posizione
si è ridotta a x, ma c’è ora un’incertezza sul momento p.
p x  h / 4p
Il significato del principio di
indeterminazione
p x  h / 4p
Il significato di questa espressione è il seguente.
1. Si compia un esperimento che ci permetta di misurare la velocità di
un elettrone, e contemporaneamente la sua posizione ad un certo
istante.
2. Compiremo un certo errore sperimentale, come sempre, ma
supponiamo di essere in grado di ridurre l’errore sperimentale in
modo da poterlo considerare trascurabile.
3. Ma anche se l’errore sperimentale fosse proprio uguale a zero, non
potremmo mai conoscere insieme con precisione momento e posizione,
perché il principio di indeterminazione dice che:
h
p x 
4p
Il prodotto della incertezza sul momento e dell’incertezza sulla
posizione è eguale alla costante di Planck divisa 4p.
Se sommassimo infinite onde, con tutte le lunghezze d’onda
possibili, otterremmo una riga infinitamente stretta: questa
corrisponderebbe ad una precisa localizzazione (x) dell’elettrone,
ma in compenso il momento resterebbe del tutto indefinito
Quando determiniamo la posizione dell’elettrone la
misura produce la distruzione dell’onda
monocromatica, e la formazione di un “pacchetto
d’onda” di una certa ampiezza, che corrisponde
all’indeterminazione della posizione.
Alcune considerazioni sul principio
di indeterminazione
h
p x 
4p
1. Il principio di indeterminazione chiarisce senza ombra di
dubbio l’impossibilità di predire una traiettoria per un
elettrone.
2. Il principio di indeterminazione per un oggetto
macroscopico è trascurabile. Infatti, poiché p = m v, si
ha v = p/m. Ma la massa degli oggetti macroscopici è
molto grande, e quindi v è trascurabile.
3. Ci sono altre coppie di grandezze che non possono essere
determinate entrambe con precisione. Le vedremo in
seguito.
“Determinato? Come faccio ad
essere più determinato? Io ci
vivo sul principio di
indeterminazione!”
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