Corso di Macroeconomia Anno Accademico 2010

Corso di Macroeconomia
Anno Accademico 2012-2013
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, sede di Brindisi
Dott. Vito Amendolagine
Indirizzo email:
[email protected]
Amendolagine Vito, corso Macroeconomia,
Brindisi 2013
Organizzazione del corso (I)
• 2 lezioni settimanali
 Mercoledì, 14.00-17.00
 Venerdì, 14.00-17.00
• Ricevimento
 Mercoledì, 13.30-14.00
 Venerdì , 13.30-14.00
• 5 sezioni (illustrate nel programma)
SEZIONE I: 5 lezioni + 1 esercitazione
SEZIONE II: 3 lezioni + 1 esercitazione
SEZIONE III: 2 lezioni + 1 esercitazione
SEZIONE IV: 1 lezione + 1 esercitazione
SEZIONE V: 2 lezioni + 1 esercitazione
Esercitazione finale
• Esame finale : prova scritta + prova orale
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Organizzazione del corso (II)
• Esercitazioni:
 Esercizi + domande teoriche di approfondimento
 Da risolvere prima degli incontri in aula
• Testi di riferimento:
 J. Bradford DeLong, Macroeconomia, McGraw Hill, 2004
 Capolupo et al. Eserciziario di Macroeconomia, Esculapio, 2004
• Info e materiale lezioni:
 sito web :
http://www.brindisi.uniba.it/ns/index.php/economia/materialedidattico
 mailing list
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Lezione 1 - Outline
I parte
cosa studia la macroeconomia;
 i modelli e le semplificazioni della
macroeconomia.
II parte
le sei variabili chiave : PIL reale, tasso di
disoccupazione, tasso di inflazione, tasso di
interesse, livello del mercato azionario, tasso
di cambio.
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I PARTE
La Macroeconomia e
i modelli macroeconomici
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Cosa studia la micro ?
• La microeconomia studia le singole componenti
del sistema economico.
• Il problema centrale è quello di rendere
compatibili bisogni degli individui e scarsità delle
risorse disponibili.
• Nelle economie di mercato, tale problema viene
risolto attraverso processi di interazioni tra i
diversi agenti economici:
 imprese (produzione, offerta),
 consumatori (consumo, domanda) ,
 governo (regole).
• Le risorse sono allocate sulla base del
meccanismo dei prezzi.
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Cosa studia la macro ?
• La macroeconomia studia i problemi che
riguardano il sistema economico nel suo
complesso.
• Risponde a domande quali:
Perché il reddito è più alto in alcuni paesi e più
basso in altri?
Perché i prezzi aumentano molto in alcuni
periodi anziché in altri?
Perché la produzione e l’occupazione si
espandono in alcuni anni e si contraggono in
altri?
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Un esempio di temi affrontati dalla
macroeconomia
• Il
flusso
giornaliero
di
notizie
economiche.
• Le notizie economiche fluiscono verso di
noi continuamente durante tutto il giorno.
• Il volume totale di informazioni è così
elevato che uno dei principali problemi
della macroeconomia è quello di
escogitare come elaborare tutte queste
informazioni!
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I modelli economici
• Per studiare il comportamento degli agenti sul
mercato ci avvaliamo di modelli economici:
sono rappresentazioni stilizzate dell’economia
e dei mercati;
trascurano i dettagli;
sono composti di grafici e equazioni;
semplificano la realtà al fine di migliorare la
nostra capacità di comprenderla.
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Le semplificazioni della macro (I)
• Il livello di aggregazione è molto più spinto
che in microeconomia.
• Si utilizza il livello medio o indice dei prezzi
che è una media di tutti i prezzi esistenti nei
vari mercati.
• Non si considerano le variazioni nei prezzi
relativi (rapporto tra i prezzi dei beni), come
nella micro.
• Non si considerano variazioni nella struttura
(qualità) delle variabili ma solo variazioni
quantitative delle stesse variabili nel tempo.
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Le semplificazioni della macro (II)
• La descrizione della macro è dunque una
descrizione approssimata della realtà (studia la
foresta ma non i singoli alberi che la
compongono).
• Più che fornire indicazioni ai singoli agenti su
come comportarsi su un singolo mercato mira a
fornire indicazioni operative ai governi, alle
istituzioni internazionali (es. Fondo Monetario
Internazionale, Banca Mondiale) e al settore
privato (es. grandi imprese, banche).
• Dalla macro ci attendiamo indicazioni per
analizzare e risolvere problemi di politica
economica.
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Due tipi di variabili
• ENDOGENE: quelle che il modello vuole
spiegare e determinare (nel mercato prezzi e
quantità sono variabili endogene).
• ESOGENE: sono grandezze considerate date.
• Nei modelli macro le variabili esogene sono
rappresentate per esempio dalle politiche di
governo, mentre variabili endogene sono il
reddito, il tasso di interesse, i consumi etc..
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Linee evolutive del pensiero economico (I)
• Negli ultimi 260 anni vi sono state varie fasi di evoluzione
del pensiero economico in risposta a:
 sorgere di nuovi problemi cui fornire risposta;
 necessità generalizzare/rendere più rigorosi principi già
formulati;
 ricerca di fondamenti empiricamente più solidi;
 evoluzione dei sistemi economici (cambiamenti strutturali);
 cambiamenti nell’ideologia del tempo.
Si contano 4 fasi principali:
1. Scuola classica (1750-1870)
• Principali esponenti: Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx,
Robert Malthus, John Stuart Mill.
• Il fondamento della scuola classica è l’ideologia liberale.
L’ottica è quella di ricercare le determinanti della crescita
economica.
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Linee evolutive del pensiero economico (II)
2. Scuola neoclassica o marginalista (1870-90)
• Principali esponenti: Karl Menger, Stanley Jevons, Irving
Fisher, Alfred Marshall, Leon Walras, Vilfredo Pareto, Knut
Wicksell.
• Resta come fondamento l’ideologia liberale e si assume che
l’economa sia in equilibrio di pieno impiego. L’ottica si sposta
sull’uso efficiente di risorse date, lasciando la crescita
economica dipendere da fattori esterni (es. crescita
popolazione, progresso tecnico).
3. Scuola keynesiana (1920-60)
• Principale esponente: John M. Keynes e seguenti
• Impostazione liberale ma si apre un ruolo cruciale per lo
Stato.
• Si sostiene che, lasciata a se stessa, l’economia possa
collocarsi in equilibri di sotto-impiego: politiche economiche
interventiste possono riportare verso la piena occupazione.
• L’approccio è macro-economico (di sistema) e non più
centrato sul comportamento individuale.
• Sintesi neoclassica-keynesiana (anni 1950-60)
 Principali esponenti : J. Hicks, P. Samuelson, F. Modigliani.
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Linee evolutive del pensiero economico (III)
4. Sviluppi contemporanei (1970-; sia in micro che in
macroeconomia).
 Scuola monetarista (Milton Friedman)
 Scuola macroeconomica neoclassica o delle aspettative
razionali
 Nuova macroeconomia keynesiana
• Mentre tutte le 3 scuole indicate si interessano in
particolare delle teorie di breve periodo e della
stabilizzazione del reddito durante il ciclo si è verificato
negli ultimi decenni maggiore attenzione ai temi
macroeconomici di lungo periodo:
• Uno spostamento a partire dal 1986 verso i temi della
crescita e dello sviluppo : Nuova teoria della crescita
endogena.
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II PARTE
Le sei variabili chiave
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Le sei variabili chiave
• Le seguenti sei variabili economiche chiave ci
permettono di riassumere lo stato del sistema
economico:
1. prodotto interno lordo reale (PIL reale);
2. tasso di disoccupazione;
3. tasso di inflazione;
4. tasso di interesse;
5. livello del mercato azionario;
6. tasso di cambio.
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1. PIL reale
• Prodotto Interno Lordo (reale):
 Prodotto: il PIL reale rappresenta il valore a prezzi costanti della
produzione di beni e servizi finali. Include: beni di consumo, beni di
investimento, acquisti pubblici.
 Interno: considera l’attività economica che avviene all’interno del
Paese, indipendentemente dalla residenza legale dei lavoratori o dei
proprietari delle imprese.
 Lordo: include sia gli investimenti diretti a sostituire
attrezzature/strutture usurate/obsolete sia gli investimenti nuovi,
che aumentano lo stock di capitale.
 Reale: apporta le correzioni necessarie per tenere conto delle
variazioni del livello generale dei prezzi.
• Il PIL reale per lavoratore è il più usato indice sintetico del sistema
economico.
• Pur essendo un indice imperfetto perché non dice nulla sulla
distribuzione del reddito è il miglior indice che conosciamo per
misurare il benessere materiale dei componenti di una nazione.
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Prodotto Interno Lordo in Italia
(fonte: Istat)
Fonte: Istat.
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Il tasso di disoccupazione (I)
• Il tasso di disoccupazione viene rilevato dagli istituti di
statistica dei vari paesi attraverso un rilevamento casuale tra
le famiglie su base periodica.
• Sono considerati disoccupati gli individui che hanno cercato
attivamente un lavoro nell’ultimo periodo (1 mese negli USA).
• Il numero stimato di lavoratori disoccupati viene diviso per la
forza lavoro totale anch’essa stimata poiché è data dal
numero degli occupati (dato noto) e il numero dei disoccupati
(stimati con il rilevamento).
• Il risultato è il tasso di disoccupazione:
n.disoccupat i
FL
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u
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Il tasso di disoccupazione (II)
• Perché preoccuparsi della disoccupazione ?
 Se più elevata del livello fisiologico, riduce la
ricchezza di un’economia;
 Pone problemi di disuguaglianza e, oltre certi
livelli, anche di ordine sociale;
 Può causare significativi oneri (es. sussidi di
disoccupazione) e squilibrare la spesa pubblica
 Se è di lunga durata e/o si concentra sui giovani,
indebolisce la formazione di capitale umano
nell’economia, con effetti negativi sulla crescita.
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Il tasso di disoccupazione (III)
• Tre tipi di disoccupazione
 Disoccupazione frizionale: funzionale al corretto andamento
del sistema economico assimilata alle scorte di materie prime
per un’impresa. Scorte di posti di lavoro (posti vacanti delle
imprese) e scorte di lavoratori in cerca di occupazione (i
disoccupati).
 Disoccupazione ciclica: determinata dalle fasi di recessione e di
depressione dell’attività produttiva. E’ un male per l’economia
e occorrono politiche macroeconomiche sia dal lato della
domanda che dell’offerta per ridurla (di breve periodo).
 Disoccupazione strutturale: determinata da cambiamenti
strutturali che intervengono nel sistema economico:
cambiamento tecnologico. Si tratta di una disoccupazione di
lunga durata.
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Il tasso di disoccupazione USA
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Il tasso di disoccupazione in Italia
(fonte:Istat)
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Il tasso di inflazione (I)
• Definizione: aumento continuo e apprezzabile nel livello
dei prezzi.
• Rappresenta una misura della rapidità con cui sale il
livello generale dei prezzi.
• Livello generale dei prezzi, il prezzo medio del “bene
composito” in un anno:
– Pt nell’anno in corso,
– Pt-1 nell’anno precedente
• Tasso di inflazione, aumento (in percentuale) nell’anno
del livello generale dei prezzi di beni e servizi:
t = (Pt – Pt-1) / Pt-1
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Il tasso di inflazione (II)
• Perché preoccuparsi dell’inflazione ?
Perché l’inflazione non colpisce tutti i prezzi
allo stesso modo e altera in modo arbitrario
(distorce) i prezzi relativi;
L’inflazione altera anche la distribuzione dei
redditi poiché colpisce di meno i redditi
indicizzati e di più quelli non indicizzati;
L’inflazione favorisce i debitori e svantaggia i
creditori;
L’inflazione aumenta il carico fiscale in un
sistema di tassazione progressivo (fiscal drag)
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Il tasso di interesse (I)
• Il tasso di interesse indica il prezzo al quale il potere di
acquisto può essere trasferito dal presente al futuro (nel
tempo). L’individuo che rinuncia alla sua liquidità oggi per
poterla utilizzare in futuro viene remunerato con
l’interesse.
• La struttura dei tassi di interesse è descritta dalla curva dei
rendimenti che mostra il divario tra tassi di interesse a
lungo e a breve termine.
• La curva mostra in che modo i tassi di interesse sulle
obbligazioni, a parità di altre condizioni, variano al variare
della scadenza del titolo
• Un’alta rigidità della curva dei rendimenti indica che il
divario tra le diverse strutture dei tassi di interesse è molto
ampio (basta una piccola variazione nella scadenza per
aumentare di molto il rendimento).
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Il tasso di interesse (II)
• Il tasso di interesse reale a lungo termine è la
principale determinante del livello degli
investimenti e della crescita della produzione
futura .
• I tassi di interesse a lungo termine sono più
alti di quelli a breve termine.
• Quando i tassi di interesse a lungo termine
sono più bassi di quelli a breve la curva dei
rendimenti è negativa e segnala la possibilità
che l’economia stia per cadere in recessione
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Il tasso di interesse (III)
Curva dei rendimenti
I tassi di interesse crescono al crescere della scadenza
Rendimento
i(%)
1
Scadenza : anno
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10
Il tasso di interesse (IV).
Ripidità della curva
i%
i%
scadenza
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Il tasso di interesse (V)
Curva dei rendimenti invertita
Segnala che i tassi
di interesse a breve
Sono > dei tassi a
Lungo termine
scadenza
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Il tasso di interesse negli Stati Uniti (I)
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Il tasso di interesse negli Stati Uniti (II)
• Negli Stati Uniti, a partire dalla disinflazione di
Volcker all’inizio degli anni Ottanta del secolo
scorso notiamo che:
 I tassi di interesse reali risultarono notevolmente
più alti di quanto fossero negli anni Settanta e
persino negli anni Sessanta.
 La curva dei rendimenti fu relativamente ripida.
Questo significa che il divario tra i tassi di
interesse a lungo termine (come il tasso di
interesse sui Buoni del Tesoro a 10 anni) e i tassi
di interesse a breve termine (come il tasso di
interesse sui Buoni del Tesoro a 3 mesi) aumentò.
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Il mercato azionario
• Il livello del mercato azionario è l’indicatore di cui si sente parlare
più spesso. Rappresenta un indice delle aspettative riguardo al
futuro andamento dell’economia.
• L’indice del mercato azionario riassume un grande numero di fattori
che influenzano gli investimenti (ottimismo, profitti attesi, tassi di
interesse reali)
• Il livello del mercato azionario è alto quando gli agenti economici
prevedono che l’opinione media si aspetta che la crescita
economica nel futuro sarà alta, i profitti saranno alti e la
disoccupazione sarà bassa.
• Un indice che rispecchia le performance dell’intero mercato
azionario USA è l’indice S&P 500 (principale società di rating dei
titoli ). Un indice ampio come lo S&P è migliore di un indice più
ristretto come il Dow-Jones (30 imprese)
• Negli USA negli ultimi 100 anni un’azione è stata scambiata in media
a circa 15 volte l’utile per azione degli ultimi 12 mesi (trailing
earnings per share).
• La regola del valore pari a 15 volte l’utile rappresenta soltanto una
media.
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Il mercato azionario negli Stati Uniti (I)
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Il mercato azionario negli Stati Uniti (II)
• Negli anni ‘90 e 2000 i prezzi reali degli indici
azionari hanno superato ampiamente la loro
valutazione convenzionale standard di 15 volte
l’utile.
• Gli economisti si chiedono se questo fenomeno
sia dovuto:
 a una mania speculativa irrazionale;
 a un aumento della tolleranza verso il rischio;
 oppure alle aspettative di una crescita economica
rapida nel futuro da parte degli investitori.
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Il tasso di cambio
• Il tasso di cambio nominale è semplicemente il prezzo al
quale le valute di differenti paesi possono essere scambiate
l’una con l’altra.
• Il tasso di cambio reale è invece il prezzo al quale i beni e i
servizi prodotti in differenti paesi vengono scambiati l’uno con
l’altro.
• Ad eccezione dei paesi europei che hanno deciso di adottare
una moneta comune, ogni paese ha una propria valuta. Gli
scambi tra l’Europa e il resto del mondo coinvolgono problemi
che riguardano il mercato delle valute.
• Il mercato delle valute è il mercato internazionale nel quale
ogni valuta si scambia con un’altra.
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Il tasso di cambio nominale (I)
• Con l’introduzione dell’EURO, indichiamo le unità di valuta estera
necessarie per acquistare 1 euro: le quantità incerte di valuta estera
necessarie per acquistare 1 unità (certa) di valuta nazionale
X $ =
1 euro
(incerto)
(certo)
• Per un cittadino europeo un tasso di cambio dell’EURO (dollaro /
euro) pari a 1.40 dollari indica l’ammontare di dollari necessari per
acquistare 1 euro. Esiste un tasso di cambio sterlina/ euro; yen /
euro etc.
• Apprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando
la valuta nazionale aumenta di valore rispetto alla valuta estera
(occorrono più dollari per acquistare un euro).
• Deprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando
la valuta nazionale diminuisce di valore rispetto a quella estera
(occorrono meno dollari per acquistare un euro).
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Il tasso di cambio nominale (II)
• Se il tasso di cambio è definito come dollaro/euro
allora un aumento del cambio nominale
corrisponde a:
 un apprezzamento nominale dell’euro
 un deprezzamento nominale del dollaro
• Nel caso opposto in cui il tasso di cambio è
euro/dollaro vale la regola secondo la quale un
aumento del tasso di cambio equivale a
 Un deprezzamento nominale dell’euro
 Un apprezzamento nominale del dollaro
• I due metodi sono equivalenti
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Il tasso di cambio reale (I)
• Il tasso di cambio reale, che indichiamo con  è un
valore relativo, che indica il prezzo dei beni esteri in
termini di beni nazionali valutati in una stessa moneta.
 
eP
P*
• Dove e è il cambio nominale $/euro, P* l’indice dei
prezzi di beni e servizi finali esteri (USA) e P è l’indice
dei prezzi nazionali (Europa).
• Il numeratore esprime il prezzo in $ dei beni europei e
il denominatore il prezzo in $ dei beni statunitensi
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Il tasso di cambio reale (II)
• Il tasso di cambio reale, che indichiamo con  se vogliamo
esprimerlo in una stessa moneta, in questo caso in valuta
nazionale (euro) sarà pari a:

eP *
P
• Dove e è il cambio nominale euro/dollaro, P* l’indice dei
prezzi di beni e servizi finali esteri e P è l’indice dei prezzi
nazionali.
• Il numeratore esprime il prezzo in euro dei beni statunitensi e
il denominatore il prezzo in euro dei beni europei.
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Il tasso di cambio reale (III)
• Apprezzamento reale si verifica quando i beni esteri
diminuiscono di prezzo rispetto ai beni nazionali. I
beni esteri sono relativamente meno costosi e le
merci europee sono meno competitive.
• Vengono favorite le importazioni.
• Deprezzamento reale si verifica quando i beni esteri
aumentano di prezzo rispetto ai beni nazionali. I beni
esteri sono relativamente più costosi .
• Vengono favorite le esportazioni.
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Tassi di cambio fissi (I)
• In un regime di tassi di cambio fissi, le autorità
monetarie stabiliscono il tasso con il quale la
valuta nazionale si scambia con tutte le altre
valute internazionali.
• Per mantenere il tasso di cambio fisso il
governo tramite le autorità monetarie
interviene nel mercato delle valute con
operazioni di acquisto e vendita di valute.
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Tassi di cambio fissi (II)
• Supponiamo che, per una qualche ragione, il tasso di cambio
euro/dollaro aumenti (o il che è lo stesso il cambio
dollaro/euro diminuisca).
• Ciò equivale a un deprezzamento nominale dell’euro. C’è un
eccesso di domanda di dollari sul mercato (e un eccesso di
offerta di euro). Poiché il tasso di cambio euro-dollaro deve
rimanere fisso, le autorità monetarie sono costrette a
intervenire, attingendo alle loro riserve valutarie, vendendo i
dollari che sono richiesti.
• Il processo di vendita di dollari deve continuare fino a quando
il tasso di cambio euro/ dollaro non abbia raggiunto il valore
prefissato.
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