19 Aprile 2012 - gita a Sant’Anna di Stazzema Alunni : 3B e 3C Insegnanti : Domina, Melli, Zicolella Sant’Anna, frazione di Stazzema ... piccolo paese sperduto tra le nuvole Notizie storiche Il paese di Sant’Anna, frazione del comune di Stazzema (Lucca) si trova sulle estreme propaggini meridionali delle Alpi Apuane, a 660 mt. sul livello del mare. Vi si accede tramite una strada panoramica di circa 10 km che si snoda attraverso le colline versiliesi, toccando i paesi di Monteggiori e La Culla. Sant’Anna è raggiungibile anche attraverso antiche mulattiere, facenti parte della vecchia via Francigena, da Farnocchia, da Capriglia-Capezzano e da Valdicastello. Le sue origini risalgono al 1500, quando nacque quale alpeggio del comunello di Farnocchia, utilizzato per la transumanza del bestiame. Si trattava di un piccolo borgo formato da case sparse, abitate prevalentemente da pastori Sant’Anna ha conservato nel tempo la sua caratteristica di “paese aperto”, costituito non da un unico agglomerato, bensì da vari borghi sparsi disseminati nella vallata dominata dai monti: Gabberi ad est, Lieto a nord, Rocca e Ornato ad ovest. I borghi, formati da poche case, hanno denominazioni diverse: Case di Berna, Sennari, Fabbiani, Colle, Moco, Bambini, Vaccareccia, Argentiera di sopra e di sotto, Monte Ornato, Valle Cava, Vinci, Franchi, Pero, La Chiesa, Merli, Coletti e Molini. Al centro del paese è situata la piccola chiesa, intitolata a Sant’Anna, risalente al XVI sec. Anticamente Sant’Anna viveva prevalentemente di agricoltura e di pastorizia. Dalla mucca si ricavava il latte, dalle pecore il formaggio, dal maiale gli insaccati e dagli animali da cortile uova e carne. La ricchezza principale era data dal castagneto, dal quale si ricavava la farina di castagne che rappresentava il cibo più importante per l’alimentazione quotidiana, e dal bosco ceduo, da cui si ricavava il carbone , utilizzato come combustibile e come merce di scambio con gli abitanti della piana della Versilia dai quali si prendeva il sale. Dai piccoli appezzamenti di terreno si ricavava il frumento, le patate, i fagioli e le verdure. Un’altra risorsa era rappresentata dalle miniere. Quella mineraria fu un’attività importante nell’area versiliese che risale addirittura agli etruschi. Nei dintorni sono ancora visibili tracce dei siti minerari “Argentiera” e “Monte Arsiccio”, attivo fino alla fine degli anni ’80. I minerali estratti sul territorio erano costituiti da solfuri misti fra cui pirite, pirite cuprifera, galena argentifera, minerali di ferro come limonite, magnetite ed ematite e solfato di bario. Prima della strage del 12 agosto 1944 i residenti sfioravano le 400 unità, mentre adesso i residenti abituali sono circa una trentina. Per non dimenticare ... A Sant’Anna di Stazzema, la mattina del 12 agosto 1944, si consumò uno dei più atroci crimini commessi ai danni delle popolazioni civili nel secondo dopoguerra in Italia. La furia omicida dei nazi-fascisti si abbattè, improvvisa e implacabile, su tutto e su tutti. Nel giro di poche ore, nei borghi del piccolo paese, alla Vaccareccia, alle Case, al Moco, al Pero, ai Coletti, centinaia e centinaia di corpi rimasero a terra, senza vita, trucidati, bruciati, straziati. Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera. La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e morale, poiché rappresenta una delle pagine più brutali della barbarie nazifascista, il cancro che aveva colpito l’Europa e che devastò i valori della democrazia e della tolleranza. Rappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno l’uomo decise di negare se stesso, di rinunciare alla difesa ed al rispetto della persona e dei diritti in essa radicati. Un lungo silenzio Per quasi cinquant’anni la memoria delle 560 vittime innocenti di Sant’Anna di Stazzema, tra cui moltissime donne e bambini, è stata dimenticata dal nostro Paese. Eppure, subito dopo la fine della guerra, giunsero a Sant’Anna diverse Commissioni investigative, prima inglesi, poi americane, infine, prima del processo di Bologna, italiane: le nuove autorità ricostituite (polizia e carabinieri) ascoltarono i superstiti, raccolsero informazioni, stilarono rapporti. Nelle testimonianze rese vennero narrati i fatti ed identificati anche alcuni soggetti coinvolti nella strage, soprattutto collaborazionisti italiani. Ma tutta questa documentazione probatoria sembrò sparire nel nulla. I parenti delle vittime ed i superstiti manifestarono apertamente ed in molte sedi (come documentato da una serie di telegrammi inviati all’allora Ministero della Guerra ed alle Corti militari alleate, in cui molti superstiti chiedevano di essere ascoltati come testimoni), il proprio disappunto per la quasi totale assenza delle istituzioni, sia per quanto riguardava il supporto materiale e psicologico ai superstiti, sia per la mancanza di risultati nelle indagini condotte. Molti chiesero fin da principio l’inclusione dell’eccidio del 12 agosto 1944 tra i capi d’accusa contestati al Feldmaresciallo Kesselring, cosa che non avvenne. Nel 1948, nell’ambito del processo al gen. Max Simon, comandante della XVI Panzergrenadierdivision SS, tenutosi a Padova da un Tribunale militare inglese, alcuni superstiti dell’eccidio di Sant’Anna furono finalmente ascoltati come testimoni. L’eccidio di S.Anna risultava come uno dei sei capi d’imputazione attribuiti a Simon. Per tale crimine, come per tutti gli altri, il Comandante Simon fu riconosciuto colpevole, e condannato a morte per fucilazione; condanna commutata in ergastolo nel 1948. Simon fu infine graziato. L’Eccidio di S.Anna fu capo d’imputazione anche nel processo, celebrato nel 1951 presso il Tribunale Militare di Bologna, da Corte militare Italiana contro il Maggiore Walter Reder, Comandante del XVI Gruppo Esplorante SS. A differenza degli altri capi d’accusa a lui imputati (Marzabotto, Bardine - S.Terenzo), per il massacro di S.Anna, Reder fu assolto per “ insufficienza di prove” con sentenza emessa il 31 ottobre 1951. Da allora, dal 1951, la memoria dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema è caduta in una sorta di oblio. Non si seppe che fine avessero fatto le indagini giudiziarie, Gli esecutori materiali non erano stati individuati: per Sant’Anna sembrava non ci fossero colpevoli. Il paese era ancora del tutto isolato: non c’era strada, non c’era telefono. Per i pochi rimasti a combattere perché si facesse giustizia, era estremamente difficile farsi ascoltare. Fino alla prima metà degli anni ’90, nessuno parlò più di Sant’Anna di Stazzema. Le motivazioni sono molte e controverse. Sicuramente ebbero un peso decisivo questioni di diplomazia internazionale nel dopoguerra e il timore dei successivi governi di riaprire ed affrontare con trasparenza una delle pagine più buie della storia del nostro paese. Le prime informazioni sulle responsabilità dell’eccidio emersero nel 1995 quando, su richiesta ufficiale del Comune di Stazzema e dell’Associazione Martiri di Sant’Anna, vennero inviati dall’Archivio di Stato americano, i fascicoli (desecretati dopo 50 anni) relativi alle indagini compiute dalle Commissioni Investigative nel periodo immediatamente successivo all’eccidio L’armadio della vergogna A Palazzo Cesi, palazzo cinquecentesco in via degli Acquasparta, a Roma, sede della Procura Generale Militare, affluirono, dopo la Liberazione, i fascicoli relativi a centinaia di crimini compiuti dai nazifascisti, nel periodo 1943 – 1945, ai danni di vittime civili. Su quei fascicoli erano annotati i nomi delle vittime, i nomi degli assassini, le località dei crimini. Un’istruttoria per ogni fascicolo, un processo per ogni istruttoria. Se ne sarebbero dovute occupare le Procure Militari Distrettuali, destinatarie istituzionali di quelle carte. Tutto invece rimase sepolto in quel palazzo. Non ci furono istruttorie, non si celebrarono processi. Tutto rimase avvolto nel silenzio: prove, testimonianze, nomi. Nel maggio del 1994, per caso, a Palazzo Cesi, fu ritrovato un armadio, protetto da un cancello, chiuso a chiave, con le ante rivolte verso il muro. Era l’Armadio della Vergogna; conteneva un grande registro, con ben 2273 voci, su cui era annotato tutto quel che conteneva o aveva contenuto: 695 fascicoli; in 415 i nomi dei colpevoli. Al numero 1 l’eccidio delle Ardeatine, con i nomi di Herber Kappler, Erich Priebke, e altri assassini che, grazie a quell’armadio, godettero di 50 anni di libertà. E così per i nazifascisti di Sant’Anna di Stazzema. Di Marzabotto, di Fivizzano, ecc. Fu la ragion di Stato ad imporre l’occultamento di quei fascicoli. La motivazione fu quella della guerra fredda. Nel mondo suddiviso in due blocchi, la nuova Germania doveva entrare nella Nato, come baluardo contro l’avanzata sovietica. Si preferì tacere i crimini commessi dal nazismo ed aprire una nuova pagina. Ma ancora oggi sono troppe le domande rimaste aperte, come ferite profonde nell’intera nazione: Chi dette l’ordine dell’occultamento ? Chi si assunse quella drammatica responsabilità ? Chi chiederà perdono a nome dello Stato per questa colossale ingiustizia ? Le indagini Le prime indagini sull’eccidio di Sant’Anna furono condotte nell’ottobre 1944, da una Commissione Militare Americana, che raccolse alcune testimonianze, senza però acquisire elementi utili all’identificazione dei responsabili. Nel febbraio 1947, si levarono vibranti proteste da tutta la Versilia, in occasione dell’apertura del processo a carico del generale Kesselring, in quanto tra le imputazioni a suo carico figurava anche la strage del 12 agosto 1944. Fu allora che il Servizio Investigativo Britannico inviò in Versilia un ufficiale che acquisì dichiarazioni di superstiti e testimoni, che consentirono di inserire l’eccidio di Sant’Anna tra i capi d’accusa del generale Max Simon, comandante della XVI Divisione SS, processato a Padova da una Corte Militare Alleata nel giugno 1947. Per questo e per altri eccidi commessi in Italia ed in Emilia, gli venne inflitta la condanna a morte, poi commutata in ergastolo; tuttavia, come accadde per molti altri criminali nazisti, Simon venne graziato dopo aver scontato solo pochi anni di carcere. Durante il processo emersero anche le responsabilità del maggiore Walter Reder, comandante del XVI Battaglione della XVI Divisione SS, il quale, estradato in Italia, fu giudicato dal Tribunale Militare di Bologna nell’ottobre 1951. Il maggiore austriaco fu riconosciuto colpevole delle stragi di Valla, Vinca, Bardine San Terenzo, Marzabotto, ma venne assolto per quella di Sant’Anna di Stazzema. Condannato a morte, sentenza commutata in ergastolo, Reder ha scontato la pena nel carcere militare di Gaeta fino al 1985 quando, graziato dal Governo Italiano, è rientrato in Austria, dove è morto nel 1991. Nel 1996, grazie anche alle richieste del Comune di Stazzema e del Comitato per le Onoranze ai Martiri di Sant’Anna, la Procura Militare di La Spezia ha riaperto le indagini sull’eccidio. Nel frattempo, decisivi elementi per giungere all’identificazione dei responsabili, sono stati forniti dalla giornalista Cristiane Kohl, la quale ha pubblicato sul quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, i risultati di una lunga ricerca effettuata negli archivi militari tedeschi, in collaborazione con lo storico Carlo Gentile. Il servizio giornalistico, comprendente anche l’intervista ad un soldato delle SS presente a Sant’Anna, insieme a tutta la documentazione raccolta, sono passate al vaglio della Procura Militare di La Spezia. Il casuale rinvenimento di 695 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste, conservati in un armadio nei sotterranei della Procura Militare di Roma, “provvisoriamente archiviati” dal governo italiano negli anni ’50, in periodo di piena “guerra fredda”, per motivi di diplomazia internazionale, ha aperto nuove prospettive per l’individuazione dei colpevoli. Grazie all’azione svolta dal Comitato per la Verità e la Giustizia, costituitosi a Stazzema nel settembre 2000, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, il 6 marzo 2001, al termine di un’indagine conoscitiva, insediata per discutere sui 695 fascicoli occultati nell’”Armadio della vergogna”, ha concluso i suoi lavori chiedendo l’istituzione di una Commissione Parlamentare di inchiesta, ai sensi dell’art. 82 della Costituzione, al fine di far luce sulle cause che portarono all’occultamento delle prove e all’insabbiamento di tutte le denunce relative ai crimini commessi dai nazifascisti. Il 22 giugno 2005 si conclude il processo ai responsabili dell’eccidio di Sant’Anna. Il Tribunale Militare di La Spezia emette il dispositivo di sentenza, con il quale dichiara colpevoli tutti i dieci imputati, condannandoli alla pena dell’ergastolo. La gita comincia... Giovedì 19 Marzo 2012(ore 6:50) le classi 3B e 3C si sono ritrovate nel piazzale della scuola per andare,accompagnati dalle pro f.sse Domina,Melli e Zicolella a Sant’Anna di Stazzema. Siamo partiti alle 7:00 a bordo di due bus:uno grande e uno piccolo. Dopo un viaggio di circa tre ore siamo arrivati a destinazione. Appena arrivati abbiamo fatto un giro per il piccolissimo paese. Dopo mezz’ora di merenda ci siamo diretti nel tendone che era stato allestito per accogliere tutti i ragazzi. Lì ci hanno accolti Enrico Pieri, un superstite della strage, il sindaco di Sant’ Anna e due giovani senegalesi. Enrico Pieri ci ha raccontato la sua esperienza, i due ragazzi senegalesi hanno parlato della discriminazione razziale e ci hanno raccontato l’azione di un uomo di estrema destra che, a Firenze, nel mercato di San Lorenzo, ha ucciso due giovani senegalesi, solo perché diversi e alla fine ha concluso il sindaco dicendoci che ciò che è stato è da raccontare e da ricordare per evitare che certe cose vengano ripetute. Poi ci ha detto che “se muore un paese, muore la memoria” e quindi è compito di noi giovani raccontare alle generazioni future ciò che è stato. Testimonianza di Enrico Pieri (superstite della strage) : “ Sono nato a Sant’ Anna di Stazzema il 19 Aprile 1934. Quella mattina (12 agosto 1944) ci hanno avvisato che c’erano i tedeschi. Dopo 10 minuti ci hanno fatto uscire e ci hanno mandato verso la piazza della chiesa insieme alla famiglia Pierotti. Qui sono arrivati i tedeschi e hanno iniziato a sparare. Una sorella Pierotti mi ha chiamato e mi ha fatto andare sotto un piccolo sottoscala. Hanno continuato a sparare con la pistola, a tirare bombe e noi ci siamo salvati perché eravamo nel sottoscala. Poi hanno dato fuoco alla casa però non è bruciata altrimenti morivamo soffocati. Dopo 10 minuti siamo usciti e ci siamo nascosti in una piana di fagioli e siamo stati lì fino alle 17. Poi sono sceso verso Vallecava ed ho visto le prime persone viventi. Ho cominciato a piangere. Poi sono ritornato in cucina ed erano tutti morti. Ho perso tutta la mia famiglia sono rimasto solo. La mia infanzia è stata un calvario però sono ancora qui a 78 anni a raccontarvi questo e ho perdonato. Ho perdonato. Però non perdono le ideologie così cattive. L’odio non porta da nessuna parte e quello è stato il periodo dell’odio. Oggi perdonare è un credo. E devo essere sincero: quando vedo i giovani tedeschi salire a Sant’Anna di Stazzema mi fa sempre piacere.” Verso le 13:30 ci siamo diretti con una guida al Monumento dell’Ossario attraverso un sentiero detto la “via Crucis”. La Via Crucis è un sentiero lastricato che, dalla piazza della chiesa, attraverso il bosco, conduce all’Ossario. Lungo il percorso sono disposte formelle di bronzo, realizzate da insigni artisti, che collegano il Calvario di Cristo all’eccidio e, simbolicamente, le 560 vittime del 12 agosto 1944 ad ogni altro martire, della guerra e della violenza, di ogni luogo e di ogni tempo. La pace e la tranquillità che si respirano accrescono la suggestione del luogo e invitano il pellegrino al raccoglimento e alla riflessione. “Per coloro che saliranno a Sant’Anna, si perderà di vista per un breve tratto, proprio in prossimità del paese, causa l’ambiente boschivo circostante. Procedendo sulla mulattiera che dal paese di Sant’Anna porta alla vetta del Colle di Cava …. l’opera scaturirà improvvisamente in tutto il suo complesso …” Tito Salvatori Posto sul Col di Cava, incorniciato da montagne fitte di vegetazione, il Monumento Ossario domina la pianura ed il litorale sottostanti, a perenne monito. Realizzato nel 1948 su progetto dell’architetto Tito Salvatori, è costituito da una torre in pietra a faccia vista alta 12 metri, sorretta da quattro arcate, sotto le quali è collocato un gruppo scultoreo rappresentante una giovane madre caduta sotto il fuoco nazifascista, opera dello scultore Vincenzo Gasperetti. Il basamento, concepito come una vasta terrazza panoramica, accoglie i resti delle vittime della strage del 12 Agosto 1944. Una lapide, sul retro del monumento, riporta i nomi dei caduti di cui fu possibile l’identificazione. Il viale di ingresso è affiancato dalle bandiere degli stati europei, a significare l’importanza di una collaborazione e di un dialogo fra i popoli per la costruzione di un futuro di pace e di libertà. Dopo la visita all’Ossario siamo entrati nel Museo storico della Resistenza, un edificio ricavato sulla vecchia struttura delle scuole elementari del paese inaugurato nell’autunno del 1982dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Poi il 19 settembre 1991, grazie alla Legge Regionale n.39/91, venne trasformato nell’attuale Museo Storico della Resistenza. La disposizione dello spazio museale è immaginato come l’articolarsi di un percorso aperto, con luoghi di relazione e punti di visuale che evidenziano il rapporto spaziale tra le esposizioni interne ed il territorio circostante, dove parte degli eventi descritti si verificarono, creando un serie di corrispondenze stabili con la storia, l’identità e la morfologia del luogo. Sulla facciata esterna, al fianco della lapide che riporta l’ode di Calamandrei a Kesselring, è posta una riproduzione scultorea di un particolare di “Guernica” di Picasso. Albert Kesselring Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring (1885-1960), comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria, fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l’impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli. un monumento in suo onore. A tale impudente ed offensiva affermazione rispose Piero Calamandrei (1889-1956), giurista, docente universitario e Padre Costituzionalista, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell’atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l’avvenuta scarcerazione del criminale nazista. Al museo abbiamo visto un video dove dei testimoni raccontavano ciò che era accaduto. La visione è stata molto forte e coinvolgente. Alle quattro siamo partiti per il ritorno, stanchi ma con una missione da compiere...raccontare a tutti ciò che è stato. I ragazzi commentano... “Gita insolita, ma interessante. Ho capito dal vivo di che cosa sono stati capaci di fare i nazifascisti. E’ importante conoscere per evitare che ciò possa nuovamente accadere.” Annachiara 3C “Gita molto bella che potrei riassumere in quattro parole: Vedere, ascoltare, capire e raccontare...” Laura 3C “Andare a Sant’Anna di Stazzema è stata un’esperienza nuova, molto bella, ma triste. Adesso però conosco...” MariaLucrezia 3C “Sant’Anna... un luogo che ha tante cose da dire. A me le ha dette...” Lucia B 3C “All’inizio non ero contento di questa gita, non avevo voglia di andare, mi sembrava inutile. Ora ho capito...E non dimenticherò mai più le parole del superstite Pieri : “ in un attimo ho perso tutti, sono rimasto solo”. Andrea G. 3C “Ma che posto è Sant’Anna? “mi sono chiesto...” E “cosa andiamo a fare in un paese sperduto, ai piedi delle Alpi Apuane...?” Ora lo so...Se non si vede è impossibile capire... Andate !!!” Francesco 3C “La gita mi è piaciuta e sono rimasto molto impressionato dalla crudeltà e dalla freddezza con cui sono state uccise tutte quelle persone. Non mi sembra possibile che sia potuta accadere una così grande atrocità.” Edoardo 3B “Il racconto del superstite Pieri mi ha fatto molto riflettere e solo il pensare a ciò, che quell’uomo ha provato, quando ha visto morire tutti i suoi famigliari, mi vengono i brividi.” Federica 3B “Gli ideali assurdi non portano a nulla. Bisogna smetterla con questo logorante razzismo.” Paolo 3B “Vedere e ascoltare ciò che è stato è sicuramente meglio che leggere” Fabiana 3B “Questa gita ha cambiato il mio modo di vedere le cose.” Lorenzo 3B “Questa gita mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto capire quanto male c’è stato.” Giuditta 3B