parcheggio e custodia

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Cassazione Civile, sez. I, 24-07-1999, n. 8027 - Pres. Sgroi R - Rel. Forte F - P.M.
Golia A (conf.) - Azienda Torinese Mobilità c. Spina
RV528924
CIRCOLAZIONE STRADALE - CONDOTTA DEI VEICOLI - TRANSITO - FERMATA,
SOSTA E PARCHEGGIO - Parcheggio non custodito - Contratto di diritto privato Configurabilità.
In relazione ad un'area destinata, ex art. 7 del decreto legislativo n. 285 del 1992, a
parcheggio non custodito, non è inconcepibile, di per sé, l'instaurarsi di un contratto di
parcheggio privato (perfezionabile perciò anche ai sensi dell'art. 1327 cod. civ.) con il
soggetto cui sia stata affidata dal Comune le gestione del parcheggio medesimo ai sensi
dell'art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498.
Riferimenti normativi
Legge 23-12-1992, n. 498, art. 12
D.Lgs. 30-04-1992, n. 285, art. 7
Codice civile art. 1327
IPSOA Editore
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
La Corte Suprema di Cassazione
1 Sezione civile
composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:
dr. Renato
Sgroi
Presidente
dr. Giammarco
Cappuccio
Consigliere
dr. Ugo
Vitrone
Consigliere
dr. Mario
Cicala
Consigliere
dr. Fabrizio
Forte
Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
su ricorso iscritto al n. 9041 del Ruolo Generale degli affari civili
dell'anno 1997, proposto:
DA
AZIENDA TORINESE MOBILITA', quale successore dell'Azienda Tranvie
Municipali di Torino, con sede in questa citta' al Corso Turati n.
19-6, in persona del Direttore legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliato in Roma alla Piazza dei Caprettari n. 70
presso l'avv. Vittorio Ripa di Meana, che con l'avv. Domenico
Piacenza, la rappresenta e difende, per procura a margine del
ricorso.
RICORRENTE
CONTRO
Avv. MASSIMO SPINA, residente in Torino alla Via Rubino n. 77-B,
difensore di se stesso e congiuntamente e disgiuntamente
rappresentato e difeso anche dall'avv. Luigi Onesti, presso il cui
studio in Roma, al Corso Trieste n. 155, e' elettivamente
domiciliato.
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza del Giudice di pace di Torino sez. 6 n. 1018-96
del 17-20 maggio 1996. Udita, nella pubblica udienza del 10 febbraio
1999, la relazione del Consigliere dottor Fabrizio Forte. Udito
l'avv. Carlo Molaioli per delega dei difensori della ricorrente.
Udito il P.M., in persona del dr. Aurelio Golia, che ha concluso per
l'accoglimento del primo motivo di ricorso e l'assorbimento degli
altri motivi.
Fatto
Con atto del 23 gennaio 1996, Massimo Spina proponeva opposizione
avverso decreto ingiuntivo del Giudice di Pace di Torino notificato
il 15 dicembre 1995, che gli intimava di pagare L.. 1.296.070, con
interessi e spese all'Azienda Tranvie Municipali di Torino delegata
alla gestione dei parcheggi nel centro abitato, quale penale ex art.
1382 c.c., per non avere lo Spina adempiuto l'obbligo assunto con la
sosta di pagare il corrispettivo. Con l'opposizione si eccepiva
inesistenza di prova scritta del credito, per l'inidoneita'
dell'attestazione del segretario generale dell'Azienda opposta ai
fini probatori per gli artt. 634 e 635 c.p.c. e dei verbali degli
agenti accertatori dell'Azienda opposta, in quanto nei tagliandi di
costoro era sancito che si pagasse la somma di "L.. 18.000,
comprensiva della tariffa di sosta", non collegata comunque alla
durata di questa e all'inadempimento dell'utente e quindi da essi non
poteva derivare una clausola penale, in quanto il contratto era
concluso direttamente con l'esecuzione, cioe' la sosta, per l'art.
1327 c.c.; chi sostava nell'area di parcheggio, per l'opponente aveva
obbligo di pagare il servizio con le tariffe prefissate in listini in
proporzione alla durata della sosta, con le quali non era in alcun
modo collegata la c.d. penale, predisposta da una parte senza
trattativa con l'altra necessaria a stipulare la clausola, tenuto
conto che poteva aversi la richiesta di pagamento di un prezzo solo
per il parcheggio con custodia. L'Azienda deduceva in risposta
d'essere delegata a gestire l'area oggetto di parcheggio e d'aver
chiesto l'ingiunzione con attestazioni fidefacienti del segretario
generale, funzionario idoneo per essere l'A.T.M. soggetta al
controllo della Corte dei conti, articolando peraltro prova per testi
e interrogatorio sui fatti a base del debito di cui sopra. Affermava
che, con l'art. 7 del D.Lgs. n. 285 del 1992 (Codice della strada),
pure il parcheggio incustodito poteva essere oneroso e che il
contratto era concluso, ex artt. 1326 e 1327 c.c., con
l'utilizzazione dello spazio, sulla base delle modalita'
dell'offerta, con la penale civilistica in aggiunta alle sanzioni
amministrative dello stesso Codice della Strada per cui l'opposizione
era infondata. La sentenza di cui in epigrafe affermava che il
parcheggio non custodito subordinato al pagamento di una somma e
soggetto al Nuovo codice della strada e al relativo regolamento di
attuazione (D.P.R. 16 dicembre 1992) non era rapporto privatistico,
anche in base alla legge delega del 13 giugno 1991 n. 190 (art. 2
lett. d e w), la quale consente agli enti proprietari delle strade di
subordinare il parcheggio stesso al pagamento di una somma, ma
prevede limiti di durata dell'illecito consistente nella sosta
vietata e quindi l'opposizione era da accogliersi. Il nuovo codice
aveva escluso l'esigenza della custodia, per la quale solo era
ammissibile un corrispettivo di natura privata, e non consentiva al
comune di chiedere una tassa per la concessione di suolo pubblico,
nel caso insussistente, prevedendo solo sanzioni amministrative per
l'utente inadempiente. Nei parcheggi incustoditi, oggetto solo di
rapporti pubblicistici, il comune poteva esigere quindi sanzioni per
le infrazioni dell'utente, ma non somme come quelle richieste, per
una clausola penale inesistente cosi' come il preteso contratto in
cui era inserita. La concessione era prevista nell'art. 7 solo per
parcheggi custoditi e, in mancanza di atto concessorio inesistente
nel caso per essere l'Azienda ente strumentale del comune, non
potevano esservi rapporti privati; pur se lo Spina non aveva pagato
le tariffe per 70 soste, il giudice rigettava la richiesta di
pagamento del richiesto, per non essere provata la sottrazione alla
circolazione delle aree destinate a posteggio e in difetto
d'esibizione dell'ordinanza del sindaco, contenente le tariffe
ritualmente pubblicata, condannando l'opposta alle spese di causa.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'Azienda
Torinese Mobilita', quale avente causa a titolo universale
dell'Azienda Tranvie Municipali di Torino, per cinque motivi
esplicati anche con memoria ex art. 384 c.p.c.; lo Spina si difende
con controricorso.
Diritto
1. Il ricorso lamenta sia violazioni di norme cogenti, processuali,
d'ordine pubblico e costituzionali (motivi n.ri 1 e 3), da applicarsi
pure nella sentenza d'equita' (Cass. 4 novembre 1998 n. 11049 e Cass.
17 marzo 1998 n. 2864) sia la contraddittorieta' della motivazione
solo apparente e in realta' inesistente (motivi 2, 4 e 5; per tale
profilo di ricorso contro sentenze del giudice di pace, Cass. 16
dicembre 1998 n. 12611), e quindi il contrasto della sentenza
impugnata con l'art. 111 Cost. e con i principi fondamentali nella
materia (su tali censure delle sentenze d'equita', Cass. S. U. 30
ottobre 1998 n. 10904): il ricorso avverso sentenza emessa secondo
equita', come e' quella impugnata di giudice di pace in causa di
valore inferiore a L.. 2.000.000 (Cass. S.U. 23 settembre 1998 n.
9493 e 14 dicembre 1998 n. 12542), e' quindi nel caso ammissibile,
riferendosi a vizi incompatibili anche con il carattere eq
uitativo
della decisione. E' opportuno esaminare le dedotte violazioni di
norme inderogabili unitariamente (motivi 1 e 3 del ricorso) e
distintamente dalle altre censure di omessa motivazione (n.ri 2, 4 e
5).
2. La ricorrente, con il primo denuncia violazione degli artt. 112 e
113 c.p., cioe' errores in procedendo e carenza di motivazione, di
cui all'art. 360 n.ri 4 e 5 c.p.c., essendovi ultrapetizione della
sentenza impugnata e contrasto con gli stessi limiti del giudizio di
equita', per avere il giudice escluso, oltre ogni richiesta delle
parti e in particolare della parte interessata, l'esistenza del
rapporto e del contratto di parcheggio a pagamento non custodito e
aver ipotizzato erroneamente l'esistenza di una normativa nel Nuovo
Codice della Strada ostativa a posteggio privo di custodia a titolo
oneroso privato. La decisione non puo' qualificarsi sentenza
d'equita', perche' il riferimento errato del giudice alle leggi o in
quanto presuntivamente conformi a equita' o per applicarle, essendo
disapplicativo della disciplina di cui alle norme, viola il limite
del giudizio di equita' in cui si puo' derogare alla legge,
indicandosi la ragione della deroga, per cui la decisione non si
configura come sentenza emessa ex art. 113 c.p.c. Con il terzo motivo
di ricorso, l'A.T.M. censura la decisione per il contrasto con gli
artt. 3, 5, 118 e 128 Cost. perche' la lettura delle norme del
giudice di pace, per il quale solo nel parcheggio custodito, secondo
il codice della strada, puo' domandarsi il prezzo in un rapporto di
diritto privato e in quello senza custodia, invece l'unico rapporto
e' di natura pubblica, viola le citate norme costituzionali,
consentendo al giudice ordinario di incidere su scelte tecnico amministrative dell'ente locale, espressione dell'autonomia dello
stesso in violazione del principio di uguaglianza e con disparita' di
trattamento tra l'inadempimento nella sosta custodita, da cui deriva,
con la reintegrazione per equivalente, la sanzione amministrativa e
quello in sede di parcheggio incustodito, che da' luogo solo a
sanzione. Nel controricorso si afferma che il giudice di pace ha solo
rilevato la mancanza di una condizione dell'azione, cioe' del diritto
a ricevere il pagamento del corrispettivo, interpretando le norme di
cui sopra come conformi ad equita', contestandosi la fondatezza degli
altri profili d'impugnazione.
3. L'Azienda domanda una somma a titolo di penale, che controparte
afferma non dovuta, sia per non essere la somma richiesta collegata
all'inadempimento (cioe' alla durata della sosta non pagata), sia
perche' il contratto costitutivo del rapporto di parcheggio, era nel
...Continua...
caso concluso con l'esecuzione stessa (artt. 1326 e 1327 c.c.) ed era
quindi incompatibile con una clausola penale mai concordata; il
rapporto oggetto di causa e' il credito da penale conseguente a
inadempimento del contratto di parcheggio in cui la clausola e'
inserita. Il giudice puo' sempre rilevare d'ufficio l'inesistenza di
un titolo a base della richiesta di pagamento (Cass. 2 aprile 1997 n.
2858, Cass. 29 novembre 1996 n. 10681 e Cass. 9 febbraio 1995 n.
1453), ma incorre nel vizio di extrapetizione, quando - come nel caso
affermi la nullita' di contratto non oggetto della causa (in ordine
alla causa petendi) ovvero se la stessa inesistenza non solo non e'
dedotta nei petita delle parti, ma e' esclusa dalla difesa di colui
nel cui interesse avviene la declaratoria. Nel caso, da un lato
l'opposto pone a base della ingiunzione la clausola penale e non il
rapporto di parcheggio sul quale il giudice adito si e' pronunciato,
e dall'altro l'opponente contrasta il credito di controparte per una
illegittimita' di detta clausola penale, derivata dalla mancanza di
collegamento alla misura dell'inadempimento del contratto dichiarato
inesistente e la cui efficacia e validita' e' invece alla base
dell'eccezione d'invalidita' del rapporto proposta dal debitore nel
cui interesse e' emessa la pronuncia (sull'ultrapetizione per diverso
petitum, per l'ipotesi di nullita' da rilevare d'ufficio, Cass. 9
gennaio 1999 n. 117 e Cass. 8 maggio 1996 n. 4269). La sentenza
supera le domande e eccezioni delle parti, dato che non e' oggetto
del giudizio l'intero rapporto contrattuale ma la clausola penale,
per cui palese e la dedotta ultapetizione (*) (con la citata Cass. n.
2858-97, cfr. anche Cass. 16 luglio 1996 n. 6434 in ordine
all'opposizione a ordinanza ingiunzione di cui all'art. 18 della L.
24 novembre 1989 (NDR: cosi' nel testo) n. 689). Il giudice di pace
accoglie l'opposizione, ma eccede i limiti del dedotto di entrambe le
parti e in particolare dall'opponente, che impugna il credito
azionato a titolo di penale, denegando la validita' di questa proprio
per l'esistenza del rapporto di parcheggio.
La clausola penale, titolo dell'ingiunzione e' prevista nel tagliando
di contestazione dell'infrazione inadempimento con questa frase: "In
applicazione delle condiioni (*) contrattuali ed ai sensi dell'art.
1382 c.c., la invitiamo al pagamento della penale di L..18.000,
comprensiva della tariffa di so-sta" (*). Nel c.d. contratto di
parcheggio, concluso con l'offerta delle aree da usare accettata con
la sosta, questa e' subordinata "al pagamento di una somma, da
riscuotere mediante dispositivi di controllo della durata...anche
senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e
tariffe" (art. 7 lett. f D.Lgs. n. 285-92); tra dette condizioni puo'
individuarsi la "penale", che, per il controricorrente e'
incompatibile con il meccanismo di perfezionamento del contratto di
cui all'art. 1327 c.c. Le affermazioni della sentenza escludenti il
rapporto privato nel caso e che affermano l'inesistenza del contratto
di parcheggio a pagamento senza custodia, vanno oltre il titolo a
base della domanda, e superano le richieste dello Spina, che eccepiva
solo l'illegittimita' della penale. Per la sentenza impugnata il
citato art. 7 D.Lgs. 285-92, letto con la legge delega 13 giugno 1991
n. 190, escluderebbe, nel parcheggio non custodito, la stessa
ipotizzabilita' di un contratto e di un rapporto privato,
determinando l'inesistenza di essi rilevabile d'ufficio, per mancanza
di previsione di detto rapporto nel Codice della strada e non per il
vizio, denunciato dall'opponente, del mancato collegamento del
risarcimento di cui alla penale alla durata del parcheggio
inadempiuto. Rilevare d'ufficio l'inesistenza del rapporto
contrattuale che non e' oggetto del giudizio, ma e' solo presupposto
del credito da penale, titolo per l'ingiunzione e la domanda, di cui
anzi si era eccepita l'illegittimita' in relazione alla validita' del
contratto concluso con il comune, comporta una pronuncia eccedente il
rapporto oggetto di causa come prospettato dalle parti, con un
dispositivo che la stessa parte interessata a far valere la nullita',
ex art. 1421 c.c., mai ha richiesto, per cui per tale profilo il
ricorso deve accogliersi.
3.1 Anche l'altro profilo del primo motivo del ricorso appare
fondato, in quanto la sentenza impugnata deriva da erronea lettura di
norme legislative, che il giudice di pace si presume ritenga conformi
ad equita' e cio' comporta impossibilita' d'identificare la ratio
della stessa decisione equitativa, dato che la deroga apportata alla
normativa, se correttamente letta, nel caso non appare motivata da
principi d'equita' che consentono nel caso concreto la richiamata
deroga alla legge, non potendosi fondare sulla motivazione, la cui
ratio decidendi e' intrinsecamente contraddittoria, per fondarsi
sulla pretesa conformita' all'equita' del dato normativo erroneamente
letto e in effetti disapplicato senza motivazione (per i rapporti tra
diritto ed equita', Cass. 16 dicembre 1998 n. 12612 e Cass. 19
novembre 1996 n. 10122). In sostanza ove si riconosca sussistere
l'errore di interpretazione del diritto positivo nella sentenza del
giudice di pace, che ad avviso di questa Corte vi e' stato, avendo la
decisione ritenuto che alla legge siano conformi i principi
equitativi cui si e' ispirato il giudice, il provvedimento impugnato
e' in effetti immotivato proprio relativamente all'equita' perche' la
giustizia del caso singolo che il giudice esprime con la sentenza che
presuntivamente corrisponde alla giustizia di stretto diritto, e'
stata attuata in base a falsa applicazione di quest'ultimo e quindi
in deroga ad esso, senza che alcun motivo di equita' renda plausibile
l'eccezione alla regola generale in concreto praticata nel caso di
specie.
3.2. Per la decisione impugnata, i parcheggi a pagamento soggetti a
regime privatistico sarebbero solo quelli con custodia, mentre quelli
incustoditi comportano la irrogazione di sanzioni in regime
pubblicistico. L'assunto del giudice di pace che, per la ricorrente
e' del tutto infondato, secondo il controricorrente si fonda sul
fatto che la somma da pagare costituisce nel caso una tassa
inammissibile, per cui la decisione aveva correttamente ritenuto
fosse sanzionato solo in chiave pubblicistica, in difetto di
custodia. Questa, per la sentenza impugnata, sarebbe compatibile solo
con una concessione, che sola poteva. sentire all'Azienda ricorrente
la richiesta di corrispettivi e che peraltro non e' dimostrata.
L'Azienda e' ente strumentale del comune e il rapporto tra questo e
lei e' interorganico e non intersoggettivo, incompatibile quindi con
ogni concessione.
L'art. 2 della legge 13 giugno 1991 n. 190, di delega al Governo per
il futuro codice della strada alla lettera d, prevede che in questo
si sancisca "la facolta' dell'ente proprietario della strada di
subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una
somma", stabilendo poi alla lettera w, con evidente riferimento
all'infrazione del divieto di sosta e all'inadempimento di un
parcheggio consentito che si fissino "limiti di durata dell'illecito
consistente nella sosta vietata". L'art. 3 del D.Lgs. 285-92 al n. 34
definisce il PARCHEGGIO "area o infrastruttura posta fuori dalla
carreggiata, destinata alla sosta regolamentata o non dei veicoli";
l'art.
7 del medesimo D.Lgsl. in conformita' ai principi della legge
delega, prevede al 1 comma che, con ordinanza sindacale, si
individuino "aree nelle quali e' autorizzato il parcheggio dei
veicoli" (lett. e) e "previa deliberazione della giunta, aree
destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli e'
subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante
dispositivi di controllo o della durata della sosta, anche senza
custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe",
come gia' detto. Per l'art. 5 del D.Lgs. 10 settembre 1993 n. 360,
che ha sostituito il 7 comma del citato art. 7 del Codice della
strada i proventi di tali parcheggi a pagamento sono destinati
all'installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superfice
(*), sopraelevati o sotterranei e al loro miglioramento o in
subordine a interventi per migliorare la mobilita'. Al comma ottavo
dell'art. 7 si prevede poi che in caso di esercizio del comune di
parcheggi con custodia o (alternativamente) di installazione dei
dispositivi di misura della durata della sosta di cui al comma 1
lett. f, dovra' riservarsi nelle vicinanze altra area senza custodia
a parcheggio gratuito, salvo che per il centro storico a traffico
limitato. Sia nella legge di delega che nel decreto legislativo, si
prevedono aree di parcheggio a pagamento senza custodia e con
installazione di parchimetri oltre che parcheggi custoditi e aree
incustodite e gratuite per la sosta, con potere del comune, in alcune
zone del centro storico (co. 11 dell'art. 7), d'individuare aree di
sosta "per veicoli privati residenti nella zona, a titolo gratuito o
oneroso". Che tali rapporti di parcheggio incustoditi possano essere
gestiti privatisticamente non e' vietato in alcun modo dalle norme
citate che, anzi, se per l'infrazione di sosta vietata collegano la
sanzione "ai limiti di durata dell'illecito", utilizzano invece un
linguaggio certamente privatistico e la terminologia del codice
civile quando si riferiscono, nella lettera f dell'art. 7, alle
"condizioni" del rapporto (cfr. art. 1341 c.c.) e a "tariffe" per la
sosta ovvero nel comma 11 a parcheggi "a titolo gratuito o oneroso"
(art. 1815 e 1816 c.c.) e del resto, come meglio sara' chiarito in
seguito, le norme relative all'autonomia anche finanziaria degli enti
locali, sempre piu' confermano il potere di questi di gestire in
regime di diritto privato una serie di servizi con pagamento di un
prezzo da parte dell'utente.
In conclusione, non risulta evidenziato dal giudice di pace la
ragione di equita' per cui, nonostante la lettera dell'art. 7 sopra
richiamato, i parcheggi incustoditi dotati di parchimetro nei centri
abitati con corrispettivo di chi sosta, siano da considerarsi
disciplinati solo in chiave pubblicistica; l'art. 7 e' invece la
matrice normativa del contratto di parcheggio incustodito, apparendo
evidente il servizio offerto agli automobilisti, con la
predisposizione di aree delimitate e di parchimetri, indispensabili
per regolamentare la circolazione nei centri urbani e quindi, con una
funzione legalmente e socialmente meritevole di tutela; il
corrispettivo di tale servizio, necessario anche a limitarne l'uso,
e' ovviamente soggetto ad IVA come in ogni altra ipotesi di rapporto
privato. Le ragioni della sentenza impugnata si collegano alla
giurisprudenza nel previgente codice della strada (Cass. 3 dicembre
1990 n. 11568 e 13 gennaio 1988 n. 179), sul punto totalmente
innovato in ragione delle particolari esigenze della circolazione
...Segue... ...Continua...
stradale nei centri abitati, da limitare al massimo, e non superano
la lettera della norma che pretenderebbero d'applicare, vietando la
pretesa di corrispettivi per il servizio fornito, previsti dalla
legge in un contesto anche linguistico tipico dei rapporti privati e
dei contratti. Per tale profilo, la sentenza che richiama norme
legislative ritenute conformi ad equita' ma in effetti inesistenti e
determina deroga al diritto positivo che il giudice deve
giustificare, chiarendo le ragioni d'equita' per cui si supera il
dato normativo, non e' qualificabile come equitativa, non emergendo
la ratio che la ispira che non puo' essere la legge disapplicata. La
stessa previsione di concessioni per i parcheggi custoditi e a
pagamento, di cui all'art. 7, non comporta come conseguenza che solo
i parcheggi custoditi possano essere a pagamento e oggetto di
rapporti privati, tenuto conto della lettera della stessa norma alla
lettera f. Anche per questo altro profilo, il primo motivo di ricorso
e' fondato e da accogliere.
4. La Corte ritiene che la sentenza impugnata violi gli art. 5, 118 e
128 Cost. e comporti una ingiustificata disparita' di trattamento tra
situazioni identiche per gli inadempimenti dei corrispettivi per le
soste, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. In effetti il
giudice di pace, con l'esclusione di un rapporto privato tra il
comune e l'utente del parcheggio incustodito, non ha semplicemente
disapplicato un atto amministrativo dell'ente locale, cioe' quello
che fissa tariffe e condizioni del parcheggio incustodito ovvero che
ha predisposto le aree destinate alla sosta, ma ha escluso in
assoluto lo stesso potere di un ente locale di pretendere prezzi
privatistici per parcheggi senza custodia.
L'art. 5 della Costituzione riconosce le autonomie locali e il
decentramento dei servizi; nelle materie di cui all'art. 117, il
successivo art. 118 Cost. prevede che le funzioni amministrative
spettino in genere alla Regione, che le esercita delegandole agli
enti locali, salvo per i casi di interesse locale di competenza
diretta di comune e provincie; tali enti, per l'art. 128 Cost., sono
autonomi nell'ambito dei principi stabiliti da leggi generali della
Repubblica che ne determinano le funzioni. Tra queste leggi, appaiono
contrastanti con le limitazioni imposte al comune dalla sentenza di
merito anzitutto l'art. 54 comma 8 della L. 8 giugno 1990 n. 142, per
il quale "A ciascun ente locale spettano le tasse, i diritti, le
tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza. Lo Stato
o le regioni, qualora prevedano per legge casi di gratuita' dei
servizi di competenza dei comuni e delle provincie ovvero fissino
prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione,
debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie compensative".
L'affermazione del giudice di pace sull'obbligatoria gratuita' del
servizio di parcheggio incustodito, salva la sanzione amministrativa
per l'inadempimento del prezzo del parcheggio, comporta un intervento
indebito in materia di riserva di legge e incide sull'autonomia
patrimoniale del comune, non potendo egli sicuramente fornire
finanziamenti compensativi per le spese dell'ente locale erogate per
organizzare il servizio (parchimetri, strisce, segnaletica etc.). Con
l'art. 12 della L. 23 dicembre 1992 n. 498, sempre piu' in attuazione
delle norme costituzionali richiamate, dopo essersi prevista la
costituzione di societa' per azioni su iniziativa degli enti locali
per esercitare servizi pubblici e realizzare le opere necessarie alla
loro gestione, al comma 4 si prevede: "Per gli interventi di cui al
presente articolo gli enti interessati approvano le tariffe dei
servizi in misura tale da assicurare l'equilibrio economico finanziario dell'investimento e della connessa gestione" e al comma
5: "La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici;
essa e' determinata e adeguata ogni anno dai soggetti proprietari,
attraverso contratti di programma di durata pluriennale..". E' quindi
chiaro che anche le "tariffe" di cui al Nuovo Codice della Strada
sono il prezzo del servizio dei parcheggi e affermare che lo stesso
non puo' essere preteso dal comune che ne istituisca di incustoditi
muniti di parchimetro, significa incidere sull'autonomia funzionale
dell'ente locale in ordine alla circolazione stradale e all'offerta
di servizi che la facilitano, in violazione delle norme
costituzionali di cui sopra.
Particolarmente esplicativo, infine, per chiarire che tra le
condizioni da fissare con le tariffe per la gestione dei parcheggi
anche incustoditi, nell'ambito dell'autonomia del comune, puo'
esservi la clausola a base del credito di cui alla presente causa, e'
infine il comma 132 dell'art. 17 della L. 15 maggio 1997 n. 127: "I
comuni possono con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di
prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a
dipendenti comunali o delle societa' di gestione dei parcheggi,
limitatamente alle aree oggetto di concessione. La procedura
sanzionatoria amministrativa e l'organizzazione del relativo servizio
sono di competenza degli uffici o dei comandi a cio' preposti. I
gestori possono comunque esercitare tutte le azioni necessarie al
recupero dell'evasioni tariffarie e dei mancati pagamenti, ivi
compresi il rimborso delle spese e delle PENALI". E' quindi palese
l'Azienda ricorrente gestrice di un parcheggio incustodito a
pagamento, puo' agire per ottenere l'adempimento delle penali e dei
prezzi contro gli inadempimenti e una sentenza che fissi il principio
che alcuna azione giudiziaria e' data nel caso per il recupero di
detti crediti e' violativa dell'autonomia dell'ente locale nella
materia e degli artt. 5, 118 e 128 Cost., oltre a dar luogo a
ingiustificata disparita' di trattamento tra debitori che non pagano
i parcheggi con custodia e quelli inadempienti nei parcheggi
incustoditi, con azione per ottenere la reintegrazione per
equivalente solo nel primo caso e non nel secondo assolutamente
irrazionale per un inadempimento non diverso e in contrasto quindi
anche con l'art. 3 Cost. Anche il terzo motivo di ricorso e' quindi
fondato e deve accogliersi.
5. Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti dall'accoglimento dei
motivi di cui sopra.
Con il secondo motivo si deduce la mancanza di motivazione e l'error
in procedendo sulle ragioni per cui la novella dell'art. 7 del Codice
della strada priverebbe l'ente locale del potere di subordinare il
pagamento del servizio in rapporto privato solo con la custodia; la
questione e' superata dalla effettiva disciplina di legge come
individuata nei punti che precedono. Altrettanto e' a dirsi in ordine
alla contradditorieta' (*) denunziata nel quarto motivo tra
l'affermazione della natura interorganica del rapporto tra comune e
azienda ricorrente e la pretesa concessione della gestione del
parcheggio, che in quanto in concessione, solo se custodito, darebbe
luogo a pagamento in rapporto privatistico; la questione e' assorbita
da quanto gia' detto in ordine all'inesistenza nel caso di alcuna
concessione e comunque in rapporto all'evidenziata circostanza che la
natura privata del contratto di sosta custodita non e' incompatibile
con l'identica natura del parcheggio non custodito.
Viene infine lamentato, con il quinto e ultimo motivo di ricorso,
l'infondato rigetto della domanda di
pagamento dei corrispettivi (non
delle penali), per difetto di prova del credito, relativamente
all'istituzione di un servizio di parcheggio al di fuori della
carreggiata conforme alla fattispecie normativa gia' richiamata, e
per la mancata esibizione dell'ordinanza che fissa le tariffe; tale
assunto, peraltro contraddittorio con l'altro contenuto nella stessa
sentenza per il quale l'inadempimento nel caso darebbe luogo sempre a
sanzione amministrativa e quindi non ai crediti che si affermano non
provati, e' superato dall'accoglimento dei primi due motivi di
ricorso, anche a prescindere dalle prove orali richieste dalla
ricorrente per provare il suo credito, le quali di certo non possono
essere esaminate in sede di legittimita'. Il giudice di pace ha
escluso che sia stata provata la natura di parcheggio delle aree per
le quali era richiesto il pagamento in difetto di custodia, pur in
presenza di atti che egli stesso ritiene fidefacienti che ne
attestano l'esistenza; e' peraltro evidente che il titolo a base del
credito esercitato e' quello indicato nell'accoglimento del primo
motivo di ricorso, cioe' l'offerta all'utente accettata ex art. 1327
c.c., della clausola per cui in caso di mancato pagamento delle
tariffe, chi pone in sosta l'auto, deve pagare L.. 18.000 comprensive
di penale e di corrispettivo (sul carattere non vessatorio della
clausola penale Cass. 9 giugno 1990 n. 5625). Pertanto, a prescindere
dalla natura di parcheggio conforme a quanto previsto nell'art. 3 del
Codice della strada e dall'ordinanza contenente le tariffe, il
problema della prova del credito del ricorrente risulta in sostanza
superato dall'affermata esistenza, in sede di accoglimento del primo
motivo di ricorso, dell'accordo di diritto privato su una penale "
comprensiva anche del prezzo".
6. Devono quindi accogliersi il primo e il terzo motivo di ricorso e
dichiararsi assorbiti gli altri motivi, cassandosi la sentenza
impugnata con rinvio ad altro giudice di pace di Torino, per un nuovo
giudizio sull'opposizione, che si uniformi alle norme cogenti
richiamate; il giudice del rinvio provvedera' anche per la disciplina
delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M
La Corte Suprema di Cassazione, 1 sezione civile, accoglie il primo
e il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa ad altro giudice di pace di
Torino anche per le spese del presente giudizio di cassazione.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999.
(*) ndr: cosi' nel testo.
Depositata in cancelleria il 24 07 1999
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- La sentenza e' in corso di pubblicazione in extenso in Giust. civ..
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