CONCLUSIONI DEL CARDINALE ARCIVESCOVO SEVERINO POLETTO Carissimi sacerdoti, alla conclusione di questa “Due giorni per i sacerdoti” desidero dire alcune cose riguardanti il Piano Pastorale in generale e fare qualche osservazione su quanto è stato detto in questi giorni. Ricordando anche l’Assemblea del Clero, che insieme abbiamo vissuto il 5 dicembre dello scorso anno nel salone dell’oratorio sempre qui a Pianezza, nel corso della quale avevo presentato le grandi linee del Piano Pastorale, mi sembra opportuno evidenziare quanti sforzi abbiamo fatto per la preparazione di questo Piano Pastorale. Chiediamoci ancora: cos’è un Piano Pastorale? Chiediamocelo ancora perché ogni tanto sento ritornare in qualche vostra osservazione l’impressione del disagio e della difficoltà che esso comporterebbe. Ho insistito molto sul tema della “serenità dei sacerdoti” e della “pastorale del possibile”, proprio per chiarire cos’è e dove incide un Piano Pastorale. Sono convinto anch’io che alcuni di voi si trovano bene nel lavoro che stanno facendo, ma non per questo quanto io chiedo con il nuovo Piano Pastorale deve creare disagio, pensando di dover fare o andare chissà dove per poi ritrovarsi al punto di partenza. Il Piano Pastorale è una sollecitazione rivolta a tutti, a me per primo, per domandarci se ci troviamo bene in quello che stiamo facendo. Se sì ringraziamo il Signore, ma è sufficiente? O non sarà forse il caso che, come dice il Papa nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, prendiamo il largo, guardiamo oltre, cercando di avvicinare i lontani e annunciando il Vangelo a chi non frequenta i nostri ambienti e non ci cerca. Questo è il vero problema. Io non voglio turbare la serenità di quei sacerdoti che si trovano bene nel proprio lavoro. Ringrazio il Signore di avere preti contenti di quello che fanno. Ma il problema è che noi siamo stati mandati a tutti, e il Piano Pastorale è uno sforzo, un tentativo che facciamo per andare a tutti. Ecco quindi l’importanza, sottolineata anche da voi, dell’Anno della Spiritualità, perché prima di tutto dobbiamo credere che Gesù Cristo è l’unico dono che abbiamo da offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo e proprio l’Anno della Spiritualità tende a sollecitare in noi preti, ma anche in tutti i fedeli, la fede, la comunione con il Signore: quanto più noi siamo innamorati del Signore e crediamo in Lui, tanto più potremo impegnarci nelle diverse iniziative che saranno proposte negli anni successivi del Piano Pastorale. Con quanto ho detto non voglio non riconoscere la legittimità delle obiezioni e delle perplessità che sono state sollevate, anche perché un Piano Pastorale non è un dogma di fede, ma è un’opzione, una scelta, che quindi può essere discussa. Però, proprio perché abbiamo sentito ricordare mons. Mario Operti per il lavoro che ha fatto e per il buon ricordo che ha lasciato di sé, e anche per il mistero che il Signore ci ha posto davanti con la sua morte, non possiamo non ricordare che lui ha fatto più di cento incontri di consultazione, al termine dei quali si è cercato di trarre delle conclusioni. Aquesto punto, non metto in dubbio che restino obiezioni, difficoltà, perplessità, ma bisogna riconoscere la collaborazione che è stata instaurata e riaffermare che nel Piano Pastorale – proprio perché non cancella la pastorale ordinaria, ma la vivifica – dobbiamo sforzarci di camminare insieme nella stessa direzione. Le obiezioni legittime possono rimanere nel cuore di qualcuno di voi ancora per molto tempo, ma è importante che tutti diamo una testimonianza e un segnale di comunione, nel Presbiterio e nella Chiesa. E la comunione, come sappiamo, richiede anche una convergenza, per cui anche se io singolarmente non fossi del tutto convinto di una certa iniziativa diocesana, devo sforzarmi di partecipare ad essa e promuoverla per un profondo senso di responsabilità che ci richiama al legame che c’è tra il Signore, noi preti e coloro ai quali il Signore ci manda, perché noi preti siamo strumenti, non padroni delle persone: pur non essendo d’accordo su una cosa, non abbiamo il diritto di privare i nostri fedeli di una proposta che in Diocesi viene fatta. Del resto, nel mistero della Chiesa una proposta fatta dal Vescovo si suppone che abbia anche una grazia particolare, lui stesso non avrà fatto quella proposta da solo, ma si sarà certo consultato, e quindi dobbiamo considerare che nella Chiesa la “Missione” non è un ricupero o un proselitismo di bassa lega, ma è portare il Vangelo di Gesù Cristo a tutti. Chiediamoci adesso: perché nascono i Piani Pastorali? Quando un Vescovo giunge in una Diocesi ha due strade possibili da intraprendere. La prima, anche se io non la condivido, potrebbe essere, semplificando molto, questa: gestire da Vescovo ciò che già i preti fanno. Andare ad amministrare la Cresima, fare delle inaugurazioni o consacrazioni di chiese, ordinare i diaconi e i preti, ossia facendo in Diocesi ciò che gli compete per il suo ministero specifico e sostenendo i preti che portano avanti la pastorale quotidiana. Un’altra strada, che io, pur nella consapevolezza di potermi sbagliare, sento più corrispondente al mandato che ho ricevuto, è questa: fare tutte le cose che ho detto prima, ma domandandosi se c’è un qualcosa che può diventare forza coagulante per un lavoro comune tra i preti, i diaconi, i religiosi e le religiose, i fedeli impegnati. Questo qualcosa è un Piano Pastorale, ossia una proposta di alcune iniziative straordinarie che ci fanno guardare in un’unica direzione. Per questo motivo un Piano Pastorale non è un qualcosa su cui riflettere, ma una proposta di iniziative straordinarie per sostenere l’ordinario. Sono iniziative che ogni tanto ci fanno stare insieme, sia in piccoli gruppi che in grandi assemblee, come segno di una Chiesa che sa trovarsi insieme, non per trionfalismo, ma semplicemente per esprimere la gioia di sentirsi discepoli del Signore. Quale sarà il rendiconto finale? Alla fine il Signore che cosa ci domanderà? Ci domanderà quanti campi scuola abbiamo fatto? Quante Missioni diocesane abbiamo fatto? Quanti mattoni abbiamo messo uno sopra l’altro? O ci domanderà se abbiamo portato Lui alla gente che ci era stata affidata? Ci sarà domandato se abbiamo portato agli uomini e alle donne del nostro tempo l’annuncio di Cristo e donato loro la possibilità di incontrarsi con il Signore, pur servendoci dei mezzi che ho detto prima: dei campi scuola, dei mattoni, delle Missioni diocesane. Considerando quindi le proposte fatte per l’Anno della Spiritualità (ora di Adorazione settimanale, chiesa penitenziale nella Zona, le Lectio per l’approfondimento della Lettera Pastorale) troviamo che tutte ci invitano a stare davanti a Dio, noi per primi, cari confratelli. Stare davanti a Dio. Cominceremo il 21 ottobre, e sarà il momento in cui dovremo entusiasmarci nel sentirci insieme credenti in Gesù Cristo e poi cercheremo di capire perché e come negli anni successivi ci dedicheremo all’annuncio di Cristo. Da questo discende l’importanza dei diversi sussidi che sono stati annunciati per favorire e guidare le diverse iniziative straordinarie che si faranno. Termino presentandovi la mia speranza. Che speranza nutro io in questo Piano Pastorale? Fra dieci anni chi si troverà a discutere cosa fare nella Diocesi di Torino (io, se non cambiano il limite dei settantacinque anni, sarò già “fuori corso”) si porrà ancora lo stesso problema: come annunciare Gesù Cristo oggi. La mia speranza si esprime in tre modi: 1. che il Piano Pastorale ci aiuti a lavorare insieme, facendo così anche crescere la nostra amicizia, il nostro affetto presbiterale, perché lavorando insieme cresce, pur nelle differenze e nella dialettica, l’amicizia, e quindi spero che ci troveremo più uniti; 2. che questo nostro lavoro sia gradito a Dio. Non lavoriamo per far piacere agli uomini, ma per piacere a Dio. E allora se alla fine potremo dire che, con tutte le nostre fragilità, debolezze, limiti abbiamo cercato di annunciare il Signore, penso che sarà una buona conclusione; 3. che il mondo venga cambiato dal nostro lavoro con la logica evangelica del pugno di lievito, del granello di senape. Forse qualcuno dirà: «Povero illuso», ma io ho speranza che qualche persona si converta come frutto delle nostre Missioni. Ci saranno ragazzi, giovani, sposi, adulti e anziani che, come frutto delle nostre Missioni, cambieranno la propria vita. Davanti a voi sono disarmato e vi dico: «Confratelli, siamo convinti che è l’annuncio del Vangelo il lavoro che il Signore ci domanda?». Il Piano Pastorale, pur nelle differenze, nelle sensibilità diverse, nelle paure, non è che un metodo per fare questo lavoro, per “costruire insieme” una Chiesa che sia credibile, che sia manifestazione del Signore e che sia coraggiosa per confrontarsi con il mondo secolarizzato in cui vive, perché abbia fiducia nella potenza dello Spirito che guida, che scalda i nostri cuori e ci apre, come dice Gesù, alla comprensione della verità tutta intera.