RELAZIONE DI PRIMA LETTURA Reg. (CE) 27-11-2003 n. 2201/2003 2003 Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000. Pubblicato nella G.U.U.E. 23 dicembre 2003, n. L 338. Entrata in vigore: 1° agosto 2004. 1. Premesse Una prima lettura del Regolamento CEE del 2003, la cui entrata in vigore, per quanto attiene alle parti che ci interessano, è prevista dal 1° marzo 2005, consente di individuare la struttura di tale strumento normativo. Vi è una premessa articolata in 33 consideranda, che costituiscono una fonte interpretativa “autentica”, perché si pone l’attenzione sulle finalità che il Regolamento tende a raggiungere. Il Capo I° definisce l’ambito di applicazione del Regolamento (articolo 1), e le “definizioni” (arrticolo2), che contribuiscono ancor più a spiegare il significato intrinseco di alcuni istituti. Il Capo II° è relativo alla competenza e si divide un tre sezioni, la prima è relativa alla competenza nelle materie della separazione personale, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio, la seconda riguarda la competenza per le domande relative alla responsabilità genitoriale. La terza sezione detta le regole comuni per la determinazione della competenza in entrambe le materie regolate dalle sezioni precedenti. Il Capo III° riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni di uno Stato membro, in un altro Stato dell’Unione. Si divide in due sezioni, la prima relativa al riconoscimento, e la seconda alla “istanza per la dichiarazione di esecutività” (per le decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale). Vi è poi una sezione terza, che riguarda le “disposizioni comuni” alle materie regolate dalle sezioni precedenti e che si occupa dei documenti e delle certificazioni che le parti debbono produrre o depositare ai fini della esecuzione. Un quarta sezione particolare, infine, si occupa specificatamente della esecuzione talune decisioni in materia di diritto di visita e di talune decisioni che prescrivono il ritorno del minore. L’articolo 46 del Regolamento, nell’ambito di una quinta sezione, riconosce la equiparabilità degli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché degli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine ai fini della loro esecuzione. La sesta sezione del Cap III°, tra le altre disposizioni, regola il procedimento di esecuzione, le modalità pratiche per l'esercizio del diritto di visita, le spese e il patrocinio a spese dello Stato. 2. Ambito di applicazione e definizioni (Capo I°) Va subito detto che, in base a quanto previsto dall’articolo 1, l’ambito di applicazione della normativa è indicata (indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale) alle materie civili relative: a) al divorzio, alla separazione personale e all'annullamento del matrimonio; b) all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale. Tale espressione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’articolo 1 significa, a nostro avviso, che l’ambito di applicazione, per quanto riguarda la “responsabilità genitoriale”, è esteso, innovativamente, come vedremo, non solamente alle controversie relative all’affidamento dei minori nell’ambito dei giudizi di separazione o di divorzio, ma anche a quelli che riguardano la potestà dei genitori sui figli anche nel caso delle coppie di fatto non unite dal vincolo matrimoniale. La norma, comunque, fa particolare riferimento espresso al diritto di affidamento e il diritto di visita; alla tutela, la curatela ed altri istituti analoghi; alla protezione ed alla conservazione dei beni del minore. Il Regolamento, poi, per espressa indicazione non si applica all’istituto della filiazione, alla adozione, ai nomi, all’emancipazione, alle successioni e per quanto ci interessa particolarmente, nell’ambito delle controversie matrimoniali, alle obbligazioni alimentari (assegni di mantenimento, di divorzio e per il contributo al mantenimento dei figli). 3. La competenza per le controversie di divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio (Capo II° Sezione 1) Quando il regolamento parla di competenza dei giudici dello Stato membro, si riferisce a ciò che, comunemente, chiamiamo giurisdizione, nel senso che le disposizioni relative servono a stabilire quale giudice, tra quelli dei vari Stati della Unione Europea, sono autorizzati a conoscere delle controversie a cui il regolamento stesso si riferisce, in una visione che considera la comunità stessa come un unitario complesso di Stati. Va detto che, in materia di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio, le regole dettate dal Regolamento 1347/2000, in materia di competenza giurisdizionale, e quelle del Regolamento 2003, sostanzialmente coincidono. Per quanto attiene alla giurisdizione, il regolamento viene a modificare le disposizioni della legge 218 del 1995, secondo le quali i giudici italiani conoscono delle controversie nelle quali il convenuto è residente o domiciliato in Italia, ovvero, nelle cause matrimoniali, quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è Stato celebrato in Italia. L’articolo 3 del regolamento che ripete quanto già stabilito dall’articolo 2 del precedente, stabilisce che sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio, i giudici dello Stato membro a) nel cui territorio si trova - la residenza abituale dei coniugi - l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora - la residenza abituale del convenuto - in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi - la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda - le residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso b) di cui i coniugi sono cittadini Rispetto alle regole della legge n. 218/95, viene meno la giurisdizione determinata dalla dal luogo di celebrazione del matrimonio, mentre quella legato alla cittadinanza viene limitata al caso in cui tale requisito sia comune per entrambi i coniugi. Rimane fermo il criterio di collegamento costituito dalla residenza del convenuto e quello della residenza di uno dei due, in caso di domanda congiunta. Viene dato valore al luogo di ultima residenza abituale di entrambi i coniugi, se uno di essi vi risiede ancora, che determina la giurisdizione qualunque sia la veste processuale che assumono le parti (attore o convenuto). La novità è rappresentata dal rilievo dato alla residenza abituale dell’attore che può determinare la giurisdizione (nei confronti del coniuge convenuto che risieda in altro Stato), quando sia accompagnata da una durata almeno annuale (o semestrale, se si tratta di cittadino dello Stato presso cui si introduce la domanda) che abbia preceduto immediatamente, la presentazione della domanda. Deve comunque trattarsi di una residenza costituita dall’attore diversa da quella abituale dei coniugi, prima della eventuale separazione di fatto, perché altrimenti ricorrerebbe il criterio di collegamento costituito dalla residenza abituale di entrambi i coniugi se uno di essi vi risiede ancora. Nel caso in cui ricorrano più criteri di collegamento, si può verificare il concorso di più giurisdizioni alternative che si risolve, come vedremo, in favore del giudice preventivamente adito. Da ciò si ricava che il giudice italiano non ha giurisdizione nel caso in cui entrambi i coniugi siano residenti all’estero, tranne il caso in cui entrambi siano cittadini italiani, e non vi è la giurisdizione anche nel caso in cui uno (solo) dei due è cittadino italiano o se il matrimonio è Stato celebrato in Italia (quando entrambi sono residenti all’estero), salvo che non ricorrano altri criteri di collegamento. Il cittadino italiano (o di altro Stato) residente in Italia, può essere convenuto sia davanti al giudice italiano, per il collegamento costituito dalla sua residenza, sia davanti al giudice di altro Stato membro, quando ricorra un criterio di collegamento legato alla residenza dell’attore. Il regolamento è applicabile anche ai cittadini degli Stati terzi (non dell’UE), che in base alle disposizioni del regolamento stesso vengono ad essere sottoposti alla giurisdizione dei giudici degli Stati membri della UE. Il comma 2 dell’articolo 7, infatti, precisa che il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest'ultimo, invocare le norme sulla competenza qui in vigore contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro. Gli eventuali conflitti di giurisdizione tra giudici della Stato terzo e i giudici italiani dovranno essere risolti in base all’articolo 7 della legge 218 del 1995. Le norme del regolamento, ovviamente, non valgono per l’attribuzione della competenza giurisdizionale in favore dei giudici di uno Stato terzo. Va aggiunto che in base all’articolo 4 del Regolamento, la giurisdizione sussiste anche per la “domanda riconvenzionale” proposta davanti al giudice del procedimento per separazione o divorzio, o annullamento del matrimonio Il che vuol dire che introdotta in Italia una domanda di separazione, il convenuto potrà formulare nello stesso processo domanda di divorzio, qualora ritenga che, in base alla normativa applicabile, il giudice possa pronunciare lo scioglimento del vincolo. Sussiste ancora la giurisdizione del giudice italiano sulla domanda di divorzio, quando lo stesso abbia già reso la decisione sulla separazione personale (articolo 5). Tale competenza non è però esclusiva, con riferimento alle altre regole che possono comunque applicarsi. La competenza determinata in base agli articoli 3, 4 e 5, secondo l’articolo 6 del Regolamento, ha carattere esclusivo, nel senso che il coniuge che risiede nel territorio di uno Stato membro ovvero ha la cittadinanza di uno Stato membro, può essere convenuto in giudizio davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro soltanto in forza degli articoli 3, 4 e 5. Con una norma di chiusura, il regolamento, (articolo 7) prevede una competenza residua per il caso in cui nessun giudice di uno Stati membro sia competente: in tal caso la competenza verrà radicata da ciascuno Stato ai sensi della propria legislazione. Per l’Italia varranno quindi le regole di cui agli articolo 3 e 32 della legge 218 del 1995. La competenza giurisdizionale stabilita dal regolamento vale per i procedimenti di separazione e divorzio e di annullamento del matrimonio solamente per quanto riguarda lo “status”. Secondo il punto 8 dei consideranda, il regolamento “dovrebbe applicarsi solo allo scioglimento del vincolo matrimoniale e non dovrebbe riguardare questioni quali le cause di divorzio, gli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o altri provvedimenti accessori ed eventuali”. Quindi non possono attribuire una competenza per le questioni attinenti all’addebito e agli assegni di mantenimento per coniuge e per figli, che, se non coincidono, rimangono di competenza dei giudici italiani secondo le norme ordinarie sulla giurisdizione e la competenza, in base agli articoli 3 e 32 della legge 218 del 1995 e all’articolo 4 della legge sul divorzio e all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 44/2001, secondo cui in materia di obbligazioni alimentari, il convenuto può essere citato davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un'azione relativa allo Stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest'ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti. E’ necessario rilevare che il regolamento non da alcuna indicazione sulla disciplina sostanziale applicabile alle singole controversie. Deve ritenersi, quindi, che ciascuna autorità giudiziaria adita stabilirà la legge applicabile, in base alle norme del diritto internazionale privato vigente in tale Stato. Il giudice Italiano, quindi, in applicazione dell’articolo 31 della 218/95, sarà tenuto ad applicare la legge dello Stato di cui entrambi i coniugi sono cittadini, ovvero dello Stato dove è stata prevalentemente radicata la vita matrimoniale. Resta comunque il dubbio che il rimando “alla legge nazionale dei coniugi” o “dello Stato”, si riferisca non tanto alla disciplina del rapporto, quanto alla analoga legislazione sulla “legge applicabile”, che potrebbe contenere un ulteriore diverso collegamento. Una volta individuato astrattamente il giudice dello Stato competente (qualunque sia la sua natura, vedi punti 2 e 4 dell’articolo 2 dello stesso Regolamento) la ripartizione della competenza all’interno dello Stato andrà ovviamente fatta in base ai singoli ordinamenti giuridici Se quindi è il giudice italiano ad avere competenza giurisdizionale, in base al regolamento, è evidente che, in materia di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio e di potestà (o responsabilità) dei genitori (che va intesa anche come affidamento dei figli minori, nell’ambito degli stessi procedimenti) vi sarà la competenza esclusiva del tribunale (articolo 28 del c.p.c.). Per quanto riguarda la competenza territoriale, in Italia, le regole di cui all’articolo 4 della legge 898 del 1970, saranno applicabili in quanto non in contrasto con quelle del regolamento europeo. - Se la competenza giurisdizionale ad esempio è determinata dalla residenza abituale dei coniugi (art. 3 comma 1 lett. a) in Italia, il ricorso andrà presentato al tribunale del luogo di residenza del convenuto. - Se il criterio di collegamento è quello dell’ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di essi risiede ancora in Italia, il ricorso dovrà essere depositato (sul presupposto che il coniuge convenuto si sia trasferito all’estero) al tribunale del luogo di residenza dell’attore. - Altrettanto può dirsi se la competenza giurisdizionale è determinata dalla residenza abituale dell’attore diversa da quella abituale dei coniugi (se vi ha risieduto per un anno ovvero per sei mesi – se è cittadino dello Stato membro – immediatamente prima della domanda), nell’ipotesi in cui il coniuge convenuto si trovi all’estero. - Se il criterio di collegamento è quello della cittadinanza italiana di entrambi i coniugi (art. 3 comma 1 lett. b), se gli stessi risiedono all’estero, l’attore potrà convenire l’altro coniuge davanti ad un qualsiasi tribunale della Repubblica. 4. La competenza sulla responsabilità genitoriale ( Capo II° Sezione 2) Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro, sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi. Tale disposizione, contenuta nel comma 1 dell’articolo 8 del regolamento, stabilisce la competenza “generale”. E’ evidente la ragionevolezza del criterio di collegamento territoriale con il minore – figlio legittimo o naturale – il cui sostanziale interesse all’intervento giudiziario di protezione e affidamento, può essere meglio vagliato dal giudice dello Stato in cui il predetto minore risiede stabilmente anche per la concreta possibilità di attivare in tale ambito, i servizi sociali territoriali a sostegno e controllo dei provvedimenti. L’articolo 12 del Regolamento stabilisce, poi, una “proroga” della competenza secondo cui. le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui viene esercitata, la competenza a decidere sulle domande di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio sono competenti anche per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si ricollegano a tali domande. Il comma 1 di tale articolo, fa riferimento, in verità, alla competenza dei giudici del divorzio, separazione e annullamento, determinata ai sensi dell’articolo 5, che prevede l’ulteriore competenza per la pronuncia di divorzio in favore del giudice che ha già pronunciato la separazione. Tale richiamo non è facilmente comprensibile, e riteniamo che lo stesso debba essere fatto all’articolo 3 del Regolamento che prevede i vari criteri di collegamento per tutte le cause suddette. Tale “proroga di competenza”, che consente al giudice della separazione, del divorzio o dell’annullamento, di giudicare anche sull’affidamento (pur non essendo Stato della residenza del minore), è prevista in base a due condizioni e cioè che almeno uno dei coniugi eserciti la responsabilità genitoriale sul figlio e che la competenza giurisdizionale di tali autorità sia stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all'interesse superiore del minore. Tale “proroga” cessa, secondo la disposizione, quando il procedimento “principale” cessa per definizione o per altre cause. Il comma 3 dello stesso articolo 12, stabilisce che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti in materia di responsabilità dei genitori nei procedimenti diversi da quelli di separazione, divorzio, annullamento, a condizione che il minore abbia un “legame sostanziale con quello Stato membro”, in particolare perché uno dei titolari della responsabilità genitoriale vi risiede abitualmente o perché è egli stesso cittadino di quello Stato sempre che tale competenza sia stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti al procedimento alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite ed è conforme all'interesse superiore del minore. Con una norma di chiusura, infine, l’articolo 13 del Regolamento stabilisce che se non può essere individuata la residenza abitale del minore ovvero non può essere applicata la competenza connessa alla domanda di separazione personale, divorzio o annullamento, ritorna in ogni caso il criterio di collegamento costituito dalla residenza abituale del minore. Tale complesso di norme merita alcune considerazioni. Poiché, secondo le definizioni di cui all’articolo 2, per «responsabilità genitoriale», si intende i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore, tale competenza dovrebbe estendersi, innovativamente, non solamente alle controversie relative all’affidamento dei minori nell’ambito dei giudizi di separazione o di divorzio, ma anche a quelli che riguardano la potestà dei genitori sui figli, nel caso delle coppie di fatto e per quelli riguardanti coppie unite dal vincolo matrimoniale, ai sensi degli articolo 330 – 336 del codice civile, in quanto autonomamente instaurati. Se tale interpretazione è esatta, le domande relative alla potestà genitoriale (decadenza o limitazione) e quelle relative all’affidamento dei minori in caso di coppie non sposate, non dovrebbero presentare problemi di competenza concorrente, se non nel caso di controversia sulla “residenza abituale” del minore, quando la diversa competenza non sia stata accettata. Tali domande debbono proporsi in Italia al tribunale per i minorenni che, in base all’articolo 36 della legge 218 del 1995, quale giudice competente, sarà tenuto ad applicare la legge nazionale del figlio. Può verificarsi invece che le domande relative alla responsabilità genitoriale, con riferimento all’affidamento ed al diritto di visita, possano rimanere di competenza di autorità giurisdizionali diverse, come nel caso in cui il divorzio o la domanda di separazione, siano introdotte in uno Stato diverso da quello dove risiede il minore e non vi sia stata l’accettazione di tale competenza. Tale evenienza pone il dubbio di come in Italia possa proporsi una domanda di affidamento – con la regolamentazione del diritto di visita – per un minore residente in Italia, in modo autonomo rispetto ad un giudizio di separazione e di divorzio che sia stato legittimamente introdotto e preventivamente introdotto in altro Stato, (quando non sia possibile la “proroga” della competenza) poiché la nostra legislazione non prevede un procedimento disgiunto da quello sullo “status”. Gli articoli 9 e 10 del Regolamento pongono altre eccezioni alla regola generale, fondata sulla residenza abituale del minore. In caso di “lecito” trasferimento (articolo 9) della residenza di un minore da uno Stato Membro ad un altro, che diventa la sua resistenza abituale, la giurisdizione delle autorità del primo Stato, permane per un periodo di tre mesi dal trasferimento, per la modifica del diritto di visita stabilito dallo Stato stesso. Trascorso tale periodo la modifica potrà essere chiesta e data al giudice dello Stato in cui il minore è stato trasferito. La ultrattività della competenza cessa se vi è Stato accordo tra le parti, ovvero se il convenuto partecipa al procedimento davanti alle autorità dello Stato della residenza abituale trasferita, senza che sia stata sollevata una eccezione relativa al difetto di competenza. In caso di trasferimento “illecito” o mancato rientro del minore (articolo 10), l’autorità dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale, conserva la propria competenza giurisdizionale sino a quando il minore non abbia acquistato la residenza abituale nell’altro Stato membro, con il concorso di alcune ulteriori circostanze, legate all’accettazione del titolare dell’affidamento, ovvero al decorso di un anno da quando il titolare dell’affidamento abbia avuto conoscenza del luogo dove si trova il minore e non abbia presentato alcuna richiesta di rientro, semprechè il minore risulti integrato nel nuovo ambiente, ovvero per decisione dell’autorità dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento. L’articolo 11 del regolamento disciplina il ritorno del minore, sulla base della convenzione dell’Aia del 1980. L’articolo 15 del Regolamento disciplina il caso, complesso, del trasferimento delle competenze a una autorità giurisdizionale più adatta a trattare il caso. Trasferimento che può disporsi o per accordo delle parti, ovvero per disposizione del giudice, sempre nell’interesse prevalente del minore. 5. Disposizioni comuni ai giudizi matrimoniali ed alle domande sulla responsabilità genitoriale(Capo II Sezione III°) La terza sezione del Capo II° del Regolamento, detta alcune norme “comuni” ai giudizi di separazione, divorzio, annullamento e per le domande relative alla responsabilità genitoriale. L’articolo 16, stabilisce, soprattutto al fine di determinare la “prevenzione”, quando si debba intendere introdotta una domanda (dal deposito del ricorso o della itazione, a cui sia seguita una attività diretta alla notificazione). L’articolo 17, stabilisce che l'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d'ufficio la propria incompetenza. L’articolo 18, stabilisce che se la persona che ha la residenza abituale in uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l'azione è stata proposta non compare, l'autorità giurisdizionale competente è tenuta a sospendere il procedimento fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile a tal fine. L’articolo 19 disciplina i casi di litispendenza e connessione, secondo cui qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diverse e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita. Analoga disposizione è prevista dal comma 2, con la precisazione che la sospensione può essere disposta, nel caso di domande sulla responsabilità genitoriale quando le stesse riguardino lo stesso minore, ed abbiano il medesimo oggetto e il medesimo titolo. Quando la competenza dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l'autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita. In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti all'autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l'azione dinanzi all'autorità giurisdizionale preventivamente adita. L’articolo 20, che chiude la sezione stabilisce che in casi d'urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. Si tratta comunque di provvedimenti provvisori che 1 cessano di essere applicabili quando l'autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati. 6. Riconoscimento delle decisioni (Capo III Sezione 1) .Nel Capo III del Regolamento sono comprese le problematiche concernenti il “riconoscimento”, l’”istanza per la dichiarazione di esecutività”, l’esecuzione di alcune “decisioni in materia di diritto di visita” e di talune “decisioni che prescrivono il ritorno del minore” e infine “atti pubblici e accordi”. Per quanto concerne il riconoscimento delle decisioni matrimoniali, la normativa non presenta alcuna differenza con le precedenti disposizioni del Bruxelles II. Entrambe (art. 21, Reg. 2201/03 – art. 14, Reg. 1347/00) sottolineano la automaticità del riconoscimento delle decisioni. Ne consegue, da un lato, il divieto, presente in entrambe le normative, di ricorrere ad un procedimento ulteriore e quindi anche alla possibilità di riesaminare la fattispecie sotto il profilo sia giurisdizionale (competenza del giudice che ha emesso la decisione) che del merito, dall’altro, la possibilità dell’aggiornamento dei registri dello Stato Civile senza necessità di altre decisioni ratificate da parte dei singoli Stati membri. L’unico requisito richiesto dall’art. 21, 2 co., è che la decisione sia passata in giudicato secondo la legge dello Stato membro in cui è stata emanata. Di contro, per quanto riguarda le decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale sul minore – fatta eccezione per quanto indicato alla Sez. IV dello stesso capo in merito al diritto di visita e al ritorno del minore – l’automaticità sopra ricordata è, come vedremo in seguito, limitata dalla necessità di una apposita istanza al giudice (in Italia è la Corte d’Appello) per ottenerne la dichiarazione di esecutività. Un problema è sorto in chiave interpretativa: se le decisioni in materia matrimoniale ammesse a circolare in Europa siano soltanto quelle a contenuto positivo, ossia quelle che pronunciano la separazione personale, il divorzio o l’annullamento di matrimonio. A fronte di tale interpretazione ne consegue che le sentenze di rigetto non godono del regime di libera circolazione nello spazio giudiziario europeo. A proposito nella relazione Borràs, relativa alla Convenzione Bruxelles I, era ricordato al punto 60 che “tenuto conto, da un lato, che il mandato ricevuto riguardava l’elaborazione di una Convenzione che facilitasse il riconoscimento e l’esecuzione di decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento di matrimonio, e dall’altro, viste le grandi differenze che sussistono tra gli Stati membri in materia di divorzio e separazione, il termine “decisione” si intende riferito soltanto alle decisioni positive, vale a dire a quelle che abbiano condotto ad un divorzio, ad una separazione personale o ad un annullamento di matrimonio”. Diverse sono le ragioni che sono state indicate a sostegno di tale interpretazione: innanzitutto si sottolinea come una decisione di rigetto sia sempre pronunciata rebus sic stantibus, dimodoché i fatti posti a fondamento della decisione possono mutare nel tempo. È possibile inoltre che in un determinato ordinamento sussistano i presupposti per la pronuncia di separazione, di divorzio o di annullamento mentre in un altro ordinamento detti presupposti non sussistano. In tal modo la normativa si ispira ad un atteggiamento favorevole verso lo scioglimento del vincolo coniugale sul principio che tutti gli Stati membri riconoscono la dissolubilità del matrimonio, a cui viene attribuito il valore di principio di ordine pubblico internazionale. È da dire però che il nuovo Regolamento non riproduce tra le Premesse quanto era invece disposto al punto 15 del Preambolo del Reg. 1347/00, ossia che il termine decisione si riferisca unicamente a quelle che dispongono il divorzio, la separazione personale o l’annullamento di matrimonio. Il chiarimento su quale siano le decisioni in materia matrimoniale non si ritrova nel nuovo Regolamento, né nelle Premesse né nell’art. 2 (definizioni), e ciò può far supporre che non sia più attuale un’interpretazione così restrittiva, peraltro non consona ai principi di economicità del giudizio, al divieto di bis in idem e di contraddittorietà di giudicati, che devono valere in una entità giurisdizionale unitaria come è attualmente la Unione Europea. Allargare il riconoscimento automatico anche alle decisioni “negative” eviterebbe nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria europea il rischio di un vero e proprio turismo in materia matrimoniale. Aggiungasi che vi sono alcune decisioni, ad esempio quelle in tema di annullamento di matrimonio, che attestano la mancanza di un vizio nel formarsi del vincolo coniugale che non hanno meno legittimità a circolare delle decisioni positive, anche per le conseguenze che ne discendono nei confronti del coniuge più debole che si trovi a subire una sentenza di annullamento. Indicato, poi, nelle Premesse che il campo di applicazione del regolamento riguarda le materie civili, indipendentemente dal tipo di organo giurisdizionale, ne consegue, come specificato all’art. 2.4 che la decisione di cui si chiede il riconoscimento possa essere un decreto, una ordinanza, una sentenza, non avendo alcuna rilevanza la denominazione del provvedimento. La decisione può essere dunque data anche da un provvedimento amministrativo, posto che il regolamento parla di “autorità giurisdizionale” e di “giudice” come autorità competenti o titolari di competenze nelle materie rientranti nel campo di applicazione del Regolamento a norma dell’art. 1, senza limitazioni. La corrispondente norma del Regolamento 1347/00 (art. 1, co. II) specificava altresì “sono equiparati ai procedimenti giudiziari gli altri procedimenti ufficialmente riconosciuti in uno Stato membro”. La mancata ripetizione di tale indicazione non sembra però poter avere conseguenze di limitazione in base alla natura dei provvedimenti. Alle “decisioni” sono equiparati, ai sensi dell’art. 46 (corrispondente all’art. 13, III co., Reg. 1347/00) anche atti pubblici e accordi aventi efficacia esecutiva nello Stato membro in cui sono stati formati (art. 46 “Gli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine sono riconosciuti ed eseguiti alle stesse condizioni previste per le decisioni”). Ancora, nelle “decisioni” sono ricompresi provvedimenti provvisori e cautelari – di cui all’art. 20 del Regolamento, corrispondente all’art. 12 del regolamento 1347/00 - adottati in caso di urgenza dal giudice di uno Stato membro in cui i destinatari del provvedimento si trovano ma che non sarebbe competente ai sensi delle norme del regolamento stesso e fino a che il giudice dello Stato membro competente non abbia adottato i provvedimenti appropriati. Ancora, sono ricomprese tra le “decisioni” i provvedimenti dei Tribunali Ecclesiastici relativi alla validità del matrimonio concordatario in quanto produttivi di effetti civili. Così vale per il Portogallo stante il richiamo al Concordato tra la Santa Sede ed il Portogallo effettuato all’art. 63 del Regolamento (corrisponedente all’art. 40 del regolamento 1347/00), nonché per l’Italia, se si riconosce l’applicabilità dell’art. 64 della legge di diritto internazionale privato che prevede il riconoscimento automatico delle sentenze. Qualora invece si ritenesse no applicabile tale norma, sarà la sentenza di delibazione del provvedimento ecclesiastico a ricadere nella previsione delle norme del regolamento. L’esperimento di una apposita procedura (prevista nel terzo comma dell’art. 21), con esclusione delle decisioni relative alla sottrazione del minore, si impone invece quando si contesta il riconoscimento di quella decisione, ovvero si voglia ottenere il riconoscimento della stessa in caso di contestazione (ad esempio perché l’Ufficiale di Stato Civile non intenda procedere alla annotazione). La legittimazione spetta in ogni caso “ad ogni parte interessata” attraverso una istanza da presentarsi alla autorità che abbia competenza giurisdizionale ai sensi dell’art. 68 (Corte d’Appello per l’Italia) e competenza territoriale secondo il diritto interno. Detto procedimento segue le norme relative alla dichiarazione di esecutività di cui alla seconda sezione del capo e di cui si dirà in seguito. L’istanza può essere presentata - in via incidentale - anche ad altro giudice che si stesse già occupando di un giudizio connesso. Si tratta della stessa normativa prevista dalla legge italiana di diritto internazionale privato, n. 218, agli artt. 64 e 67. Specificatamente è comunque ribadito che la decisione non potrà mai formare oggetto di un riesame del merito, in nessun caso. (art. 26, che ripete l’art. 19 del reg. 1347/00). Trova applicazione il principio della reciproca fiducia invocato nelle Premesse, in base al quale non è lecito dubitare che il giudice che ha emesso il provvedimento non abbia correttamente verificato la esistenza dei requisiti necessari. Per quanto concerne gli impedimenti al riconoscimento questi sono estremamente limitati e sostanzialmente ricalcano quelli previsti nel Regolamento 1347/00 (difatti gli articoli 22 e 23 del Regolamento ripetono il primo ed il secondo comma dell’art. 15 del Regolamento 1347/00. Motivi del rifiuto restano: manifesta contrarietà all’ordine pubblico dello Stato membro in cui esso viene richiesto, ma se trattasi di decisioni relative alla responsabilità genitoriale, il principio dell’ordine pubblico va contemperato con l’interesse del minore; violazione del diritto di difesa, nel caso di decisione resa in contumacia ovvero quando la domanda giudiziale o un atto equivalente non sia stata notificata o comunicata al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione; incompatibilità della decisione con altra decisione resa tra le stesse parti in un procedimento nello Stato membro richiesto, oppure in un altro Stato membro o in un Paese terzo purché rispetti le condizioni necessarie al riconoscimento nello Stato membro richiesto; il mancato ascolto del minore in materia di responsabilità genitoriale in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto, qualora ciò non sia giustificato da ragioni d’urgenza; l’aver mancato di dare al titolare della responsabilità genitoriale la possibilità di essere ascoltato qualora questi ritenendo di essere stato leso dalla decisione rilevi tale difetto; il mancato rispetto della procedura di cui all’art. 56 del Regolamento, in materia di collocamento di un minore in un altro Stato membro (ipotesi non prevista nel vecchio regolamento). Valgano alcune osservazioni in merito alle sopra elencate cause ostative al riconoscimento. È ribadito il tradizionale limite del c.d. limite dell’ordine pubblico internazionale, il quale implica l’impossibilità di riconoscere quelle sentenze straniere che si pongono in contrasto con i principi ed i valori fondamentali dell’ordinamento del singolo Stato. Il richiamo all’ordine pubblico rischia di rappresentare un limite alla creazione di uno spazio giudiziario comune tra gli Stati membri. Per questa ragione la dottrina e la giurisprudenza ritengono che questo impedimento debba operare solamente in casi eccezionali. In tal senso è emblematica la sentenza della Corte di Giustizia CE 11 maggio 2000 (causa C-38/98) che ha precisato come l’ordine pubblico rileva nel senso di impedire il riconoscimento di una decisione nell’ambito dello spazio giudiziario europeo non semplicemente quando vi sia “divergenza tra norma giuridica applicata dal Giudice dello Stato di origine e quella che avrebbe applicato il Giudice dello Stato richiesto”, ma esclusivamente quando “il riconoscimento o l’esecuzione della decisione pronunciato in altro Stato contraente contrastasse in modo inaccettabile con l’ordinamento giuridico dello Stato richiesto, in quanto lesiva di un principio fondamentale”. Tali considerazioni valgono ancor più a fronte del fatto che il regolamento dispone: a) che debba essere dato il riconoscimento di una decisione circa il divorzio, la separazione personale o l'annullamento del matrimonio anche se la legge dello Stato membro richiesto non prevede la decisione alle stesse condizioni (art. 25); b) e che nell’ambito delle decisioni concernenti la responsabilità genitoriale sui figli debba essere posta attenzione particolare all’interesse superiore del minore, idoneo a ridurre anche la portata del richiamo all’ordine pubblico interno (art. 23); c) che il criterio dell’ordine pubblico non può essere applicato alle norme sulla competenze di cui agli artt. 3-14 (art. 24). Per quanto concerne il motivo ostativo dato dal mancato rispetto del principio del contraddittorio, la regolarità della notifica o della comunicazione al convenuto rileva solamente nel caso in cui questi rimanga contumace, e comunque, non si provi che non abbia “inequivocabilmente” accettato la decisione. Oltre a ciò, per evitare che una irregolarità formale, eventualmente di scarsa importanza, impedisca il riconoscimento della decisione la norma precisa che detta irregolarità possa operare solamente quando abbia effettivamente limitato la capacità di difesa del convenuto contumace. Per quanto concerne il contrasto di giudicati, la disposizione non è altro che il corollario delle previsioni su litispendenza e connessione internazionale di cui all’art. 19 con la differenza che queste ultime riguardano la fase dello svolgimento del giudizio, mentre le previsioni di cui agli artt. 22 e 23 la fase successiva della circolazione delle decisioni. Tra le decisioni non riconoscibili si menzionano quelle relative alla responsabilità genitoriale assunte senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto e quelle lesive della responsabilità genitoriale in quanto emesse senza che il genitore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato dal giudice. Vale quindi quanto scritto nelle Premesse al punto 19, ossia che l’audizione del minore è importante ma tale strumento non deve modificare le procedure nazionali applicabili in materia. Vengono stabiliti principi rilevanti quali: - il divieto di riesame della competenza giurisdizionale della Autorità di origine (art. 24); - l’irrilevanza delle divergenze tra le leggi (art. 25) che porta a stabilire che il riconoscimento di una decisione in materia matrimoniale non può essere negato perché la legge di uno Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l’annullamento del matrimonio; - il divieto di riesame del merito di una decisione (art. 26); - la sospensione del procedimento da parte dell’autorità giurisdizionale dello Stato membro dinanzi al quale è richiesto il riconoscimento di una decisione emanata in altro Stato membro se la decisione è stata impugnata in tale Stato (art. 27) (In Italia la sospensione del procedimento avverrà ai sensi dell’art. 295 c.p.c.). 7. Istanza per la dichiarazione di esecutivita’ (Capo III° Sez. 2) Le norme sulla dichiarazione di esecutività riguardano esclusivamente i giudizi relativi alla “responsabilità genitoriale” sul “minore”, come, nel Regolamento precedente, la “potestà dei genitori” sul “figlio”. Difatti l’esecutività non può strettamente concernere le decisioni in materia matrimoniale poiché in questo Regolamento tali decisioni non possono concernere aspetti patrimoniali ma solo lo status. Tuttavia, come già detto, in caso di contestazione del riconoscimento o di richiesta di ottenimento in merito alle sentenze matrimoniale, l’iter è lo stesso previsto in questa Sezione. A fronte della normativa sulla esecuzione, vengono superate le regole stabilite dai vari Stati nelle convenzioni internazionali o nelle legislazioni nazionali. È opportuno ricordare la Convenzione europea del 20.5.1980 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento (espressamente abrogata come da art. 60 del Regolamento, che peraltro ricalca la disposizione già nel regolamento 1347/00, art. 37), così come, per quanto riguarda il nostro Paese la legge dello Stato n. 64/94 art. 4. Ai fini della esecuzione forzata di provvedimenti concernenti l’esercizio della responsabilità genitoriale sul minore è necessario che questi siano emessi in uno Stato membro e dichiarati esecutivi nello stesso Stato. La parte interessata dovrà successivamente richiedere una dichiarazione ulteriore di esecutività nello Stato in cui la decisione deve essere eseguita, ossia il c.d. exequatur. Competente a detta pronuncia è l’organo giurisdizionale a ciò preposto come da designazione effettuata dallo Stato stesso ai sensi del Regolamento. In Italia è la Corte d’Appello, indicata già nell’allegato I al Regolamento 1347/00 e poi comunicata alla Commissione ai sensi dell’art. 68. La competenza territoriale è determinata dalla residenza abituale della parte destinataria della esecuzione oppure dalla residenza abituale del minore nel cui interesse si agisce. Se in nessuno dei casi si rientra nello Stato membro dell’esecuzione, la competenza territoriale è determinata dal luogo dell'esecuzione. L’istanza non deve essere notificata alla parte nei confronti della quale deve essere eseguito il provvedimento, che pertanto verrà emanate inaudita altera parte. Si tratta pertanto di una procedura sommaria ove il giudice potrà solo verificare e rilevare l’eventuale esistenza di un motivo di diniego del riconoscimento tra quelli previsti in modo tassativo all’art. 23 del regolamento. Il provvedimento che dichiara l’esecutività deve essere quindi notificato alla parte obbligata, consentendo l’instaurazione di un giudizio in contraddittorio (contraddittorio eventuale) attraverso la proposizione della opposizione al provvedimento da parte del destinatario della esecuzione. Il regolamento prevede che contro la decisione si possa esperire il mezzo di impugnazione che verrà indicato dallo Stato membro. Per l’Italia, come già previsto all’allegato III del regolamento 1347/00, è proponibile il ricorso per Cassazione. Nel caso di impugnazione della decisione nello Stato membro d'origine con un mezzo ordinario, il procedimento su istanza della parte destinataria della esecuzione può essere sospeso qualora il giudice della esecuzione lo ritenga opportuno. Qualora il termine per proporre l’impugnazione non sia ancora scaduto può essere concesso un termine per proporre l’impugnazione. L’esecuzione delle decisioni può essere anche parziale, qualora possa essere concessa solo per alcune parti della stessa, ovvero su istanza dell’interessato. Sia per il riconoscimento che per l’esecuzione delle decisioni, devono essere prodotti alcuni documenti (art. 37), e cioè - la decisione in forma autentica; - il certificato “standard” rilasciato dalla autorità giurisdizionale o dalla autorità competente dello Stato membro d’origine su richiesta di qualsiasi parte interessata (secondo il modello di cui all’allegato I al regolamento in materia matrimoniale o all’allegato II in materia di responsabilità genitoriale - art. 39); - documento che provi la notifica o la comunicazione della domanda introduttiva al contumace(vedi retro art. 16); - documento che provi l’accettazione in modo inequivocabilmente da parte del convenuto contumace. Di tali documenti non è richiesta legalizzazione o altra formalità (così come per l’eventuale procura alle liti). Le traduzioni dei documenti, eventualmente richieste dall’Autorità, devono essere autenticate. Anche la documentazione richiesta può non essere presentata, accettando il regolamento una produzione alternativa o addirittura la totale mancanza. Si parla difatti di possibilità di concedere un termine per l’adempimento, ma anche di possibilità di accettare documenti equivalenti ovvero, nel caso in cui il giudice ritenga di essere sufficientemente informato, di esonero dalla presentazione degli stessi. Il procedimento nell’interesse del minore deve tutelare quest’ultimo così potendo prescindersi da ogni e qualsiasi formalità. 8. Decisioni in materia di diritto di visita e ritorno del minore (Capo III° sez. 4) Questa Sezione è interamente nuova rispetto al regolamento Bruxelles II, e prevede che per alcune decisioni concernenti il minore non serva l’exequatur, ossia la pronuncia di esecutività dei provvedimenti da parte della Autorità Giudiziaria dello Stato membro nel quale il provvedimento deve essere eseguito. Ciò riguarda le decisioni in merito al diritto di visita e alla sottrazione-trasferimento del minore. La necessità dell’exequatur era stata oggetto di critiche sin dalla promulgazione del Regolamento 1347/00. La Francia aveva infatti presentato un’iniziativa finalizzata a semplificare l’esercizio del diritto di visita nel caso di minori presenti sul territorio di altro Stato membro. Ciò proprio rivendicando l’automatico valore esecutivo delle decisioni emesse, senza cioè necessità di ulteriori procedure, e invocando la previsione di particolari limitazioni alle richieste di sospensione dell’esecuzione di tali sentenze. In materia si può quindi parlare di un titolo esecutivo europeo, valido ai fini della esecuzione forzata a prescindere da ulteriori conferimenti di esecutività all’interno dei vari Stati membri. La decisione è senza possibilità di appello, a condizione che sia stato rilasciata dal Giudice una speciale dichiarazione, ossia un certificato standard. Il documento deve contenere la dichiarazione espressa che la decisione è esecutiva e che il minore (salvo che la sua audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità) nonché le parti interessate siano stati ascoltati. Tale certificato, rettificabile in caso di errori materiali, renderà eseguibile la decisione in ogni Stato membro. Il Regolamento anche in questo caso prevede che il titolare della responsabilità genitoriale possa comunque chiedere il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di diritto di visita e di ritorno, in forza delle disposizioni contenute nelle sezioni relative al riconoscimento e alla esecuzione dello stesso. L’esecutività automatica prevista nel Regolamento per le decisioni giudiziarie relative al diritto di visita e al ritorno del minore si inserisce perfettamente nella tendenza normativa e giurisprudenziale nazionale e internazionale che vuole garantire il massimo di tutela al minore, ai suoi interessi e diritti. Già il Consiglio Europeo di Tampere (ottobre 1989) sulla base giuridica offerta dagli artt. 61 lett. C, 65, 67 del Trattato istitutivo della Cee aveva individuato il settore del diritto di visita come una “priorità” per la cooperazione giudiziaria attesa la necessità, sempre più sentita sul piano sociale, della istituzione di un sistema giuridico sicuro e adatto a consentire ai “figli” di mantenere relazioni con chi ha su loro la potestà parentale” e vuole “vivere in uno Stato membro diverso”. Ne è conseguita la necessità di ridurre ulteriormente le procedure intermedie fino ad oggi necessarie per ottenere il riconoscimento e la esecuzione delle decisioni nello Stato richiesto per quanto concerne quelle riguardanti i minori. Il diritto di visita conferito attraverso una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria alcuna dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento se in relazione alla decisione è stato emanato il necessario certificato standard nello Stato membro d'origine. L’immediata esecutività può essere fatta valere anche se il diritto interno non preveda l’esecutività di diritto di tali decisioni. L’autorità giurisdizionale può dichiarare la decisione esecutiva nonostante un eventuale ricorso avverso la stessa. Il certificato standard è rilasciato dal giudice che ha emesso il provvedimento purché sia assolutamente garantito il diritto di difesa del destinatario del provvedimento in caso di procedimento in contumacia (attraverso notifica o comunicazione dell’atto introduttivo che abbia consentito la predisposizione di difese o in caso di accettazione inequivocabile della decisione da parte del destinatario), e si sia provveduto all’ascolto di tutte le parti (o meglio “tutte le parti abbiano avuto la possibilità di essere ascoltate”) e all’audizione del minore (salvo che essa sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità): Può essere rilasciato d’ufficio un certificato provvisorio, se il diritto di visita riguarda un caso che sin dall’atto della pronuncia della decisione riveste un carattere transfrontaliero. Per quanto riguarda il ritorno del minore, il Regolamento fa salva la Convenzione dell’Aja del 1980 cui l’art. 11 si riporta sebbene inserendovi alcune ulteriori garanzie. L’art. 40 lett. b) del Regolamento chiarisce che solo le decisioni che non rientrano nell’ambito della Convenzione dell’Aja – in quanto contrastanti con una decisione precedente emanata ai sensi della Convenzione – devono intendersi regolamentate dalla normativa contenuta nella sezione IV. Si tratta delle decisioni emesse ai sensi dell’art. 11 paragrafo 8, che a sua volta recita: “nonostante l’emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1980, una successiva decisione che prescrive il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del presente regolamento è esecutiva conformemente alla sezione 5 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore”. L’art. 42 dispone quindi che “il ritorno del minore ordinato con una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al riconoscimento, se la decisione è stata certificata nello Stato membro d'origine conformemente al paragrafo 2”. Vale quanto previsto anche per le decisioni in merito al diritto di visita, e cioè che l’immediata esecutività vale anche se la legislazione nazionale non la prevede, e verrà disposta dall’autorità giurisdizionale nonostante eventuali impugnazioni. Il certificato standard verrà rilasciato d’ufficio dal giudice che ha emanato la decisione solo se: a) il minore ha avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l'audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità; b) le parti hanno avuto la possibilità di essere ascoltate; c) l’autorità giurisdizionale ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento di diniego che era stato emesso conformemente all’articolo 13 della Convenzione dell'Aia del 1980. Il certificato potrà contenere anche misure per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale.