Capitolo 2 IL MODELLO NEOCLASSICO STANDARD Per analizzare la teoria monetaria neoclassica si rende necessario introdurre un modello macroeconomico molto semplice, che può essere definito modello neoclassico standard o modello neoclassico di base. Per comodità di analisi, può essere suddiviso in quattro sistemi di equazioni: equazioni del mercato del lavoro; equazioni relative alla funzione di produzione; equazioni dell’equilibrio macroeconomico; equazioni dell’equilibrio monetario. 1. Il modello Cominciamo dal primo sistema di equazioni, inerente al mercato del lavoro. Nel mercato del lavoro si confrontano le imprese, soggetti che domandano servizi lavorativi, e le famiglie, soggetti che offrono servizi lavorativi. Tale mercato è descritto da: 1. la funzione di domanda di lavoro; 2. la funzione di offerta di lavoro; 3. la condizione di equilibrio tra domanda ed offerta. La domanda di lavoro, espressa dall’insieme degli imprenditori, è inversamente correlata al salario reale: w N d f ; p dN < 0; w d p E’ noto che la funzione di domanda di lavoro coincide con la funzione della produttività marginale del lavoro. Ciò dipende dal fatto che, come viene mostrato nei corsi di microeconomia di base, la logica massimizzante dell’imprenditore lo porta a corrispondere al lavoratore un salario reale nè maggiore nè inferiore alla produttività marginale del lavoro. Si suppone che la produttività marginale abbia un andamento decrescente (anche se è possibile immaginare che inizialmente essa possa essere crescente; ma ciò è normalmente supposto vero solo per incrementi iniziali del fattore lavoro): 1 PM g w / p O N Nel modello neoclassico il salario reale è pari dunque alla produttività marginale del lavoro; ciò in linea con la teoria “marginalista della distribuzione”, per la quale il reddito percepito da ciascun fattore della produzione è pari al “contributo” arrecato dal fattore alla produzione. L’offerta di lavoro, scaturisce dal confronto che ogni lavoratore realizza, tra disutilità del lavoro (che può semplicemente essere intesa come perdita del proprio “tempo libero”) e utilità del paniere di beni salario. La funzione di offerta di lavoro è positivamente correlata al salario reale: w N s f ; p dN >0; w d p La funzione di offerta di lavoro può essere costruita ricorrendo a strumenti analitici ben noti, quali le curve d’indifferenza e le rette del vincolo di bilancio. Indicando sulle ascisse la quantità di lavoro e sulle ordinate il paniere dei beni salario (salario reale), rappresentiamo alcuni punti di ottimo del lavoratore: 2 MERCI w2 / p w1 / p w0 / p O LAVORO Nel grafico vengono mostrate una mappa delle curve di indifferenza e alcune rette del bilancio. Le curve di indifferenza sono crescenti e concave verso l’alto perchè il lavoro ha una (supposta) utilità negativa per il lavoratore, presenta cioè una disutilità che può essere identificata nella perdita di tempo libero; viceversa, le merci-salario hanno una utilità positiva. Per definizione, lungo le curve d’indifferenza il grado di benessere, il livello di soddisfazione del lavoratore, è costante: spostandoci da sinistra verso destra lungo una curva di indifferenza aumentano contemporaneamente le quantità dei beni (utili) e del lavoro (disutile). Le curve di indifferenza più alte rappresentano gradi di soddisfazione maggiori per il lavoratore. Il vincolo di bilancio è rappresentato dalle rette positivamente inclinate che partono dall’origine degli assi. La pendenza di ciascuna retta (il coefficiente marginale) è il valore del salario reale per unità di tempo di lavoro (l’ora di lavoro). Alle rette maggiormente pendenti è associato dunque un salario reale maggiore (nel grafico si passa dal salario w0/p a w1/p a w2/p, con w0<w1<w2). A questo punto, l’analisi microeconomica tradizionale ci conferma che al crescere del salario reale per unità di tempo di lavoro, i punti di ottimo del lavoratore saranno normalmente associati a quantità crescenti di salario e lavoro. Ponendo in un grafico i diversi livelli di salario reale che abbiamo considerato e le corrispondenti offerte di lavoro, avremo la curva di offerta di lavoro per il lavoratore considerato: 3 w/p w2 / p w1 / p wo / p O N0 N1 N 2 N La curva di offerta di mercato è data dalla sommatoria delle curve di offerta individuali; resta confermata la relazione funzionale diretta tra quantità di servizi lavorativi offerti e salario reale. La condizione di equilibrio del mercato è data dall’uguaglianza tra domanda ed offerta di lavoro: Nd Ns , cui corrisponde il grafico tradizionale: w p NS w pE E Nd O NE 4 N* N In assenza di attriti, l’equilibrio del mercato si realizza spontanemente, garantendo il pieno impiego. Infatti, qualsiasi salario reale diverso dal salario reale di equilibrio determinerebbe un eccesso o difetto della domanda sulla offerta di lavoro, innescando un processo di aumento o riduzione del salario reale. Nel grafico, supposto pari a N* il numero complessivo dei lavoratori, si ha disoccupazione volontaria pari al valore del segmento N*-NE 1. Il secondo sistema di equazioni concerne le relazioni tecniche di produzione. Per semplicità d’analisi, supponiamo che in tale modello vi siano soltanto due fattori di produzione: capitale e lavoro. La quantità prodotta è funzione diretta del capitale e del lavoro impiegato: Y g K , N , dY >0. dN Il capitale viene considerato come una grandezza data: __ K K. La funzione di produzione può essere rappresentata graficamente come segue: Y y O n N 1 Viceversa, se ipotizzassimo ad esempio la fissazione esogena di un livello minimo di salario reale superiore al salario di equilibrio, il meccanismo automatico riequilibratore sarebbe disattivato e ne risulterebbe un eccesso della offerta sulla domanda di lavoro; conseguentemente, si avrebbe disoccupazione involontaria. 5 Data la funzione di produzione, considerando la pendenza delle rette tangenti in ogni punto alla funzione (le derivate della funzione in ciascun punto), si ottiene il grafico della produttività marginale del lavoro (l’incremento di produzione conseguente ad un incremento unitario del fattore lavoro): PM glavoro O N Un grafico più completo della produzione di produzione è il seguente: Y O N 6 Tale funzione di produzione ha inizialmente la concavità rivolta verso l’alto e successivamente verso il basso; a ciò corrisponde una funzione della produttività marginale inizialmente crescente e, raggiunto il massimo (in corrispondenza del flesso della funzione di produzione), successivamente decrescente (dopo un certo livello di produzione la funzione di produzione può risultare decrescente; a ciò corrisponde una produttività marginale negativa). Il terzo sistema di equazioni riguarda l’equilibrio macroeconomico (uguaglianza tra offerta e domanda aggregata). Il sistema comprende: 1. 2. 3. la funzione d’investimento; la funzione del risparmio; la condizione d’equilibrio macroeconomico. Gli investimenti sono descritti come una funzione inversa del tasso d’interesse r: I hr , dI <0. dr Per comprendere questo punto vediamo come può determinarsi il valore attuale di un bene d’investimento. Supponiamo che il possesso di un bene di investimento determini per un certo numero di periodi n un flusso di entrate, che indichiamo con: E0 , E1...En ; e un flusso di uscite, che indichiamo con: V0 ,V1...Vn ; avremo pertano un flusso di profitti negli n periodi futuri. Siamo in grado di determinare il valore attuale del flusso dei profitti attesi negli n periodi futuri, attraverso una attualizzazione (si suppone che il primo periodo sia il periodo presente): V A E 0 V0 E Vn E1 V1 E 2 V2 ... n . 2 1 r 1 r 1 r n Resta evidente che il valore del bene di investimento è inversamente correlato al tasso dell’interesse r. Pertanto, al ridursi di r aumenta il valore attuale del profitto futuro generato dal bene di investimento e, dunque, cresce la domanda di beni di investimento. I risparmi, come gli investimenti, vengono descritti come funzione del tasso d’interesse, ma la relazione che li lega è di proporzionalità diretta; pertanto, al crescere di r aumenta il risparmio: S hr ; dS >0. dr 7 Questa idea può essere semplicemente mostrata ancora una volta ricorrendo agli strumenti della microeconomia tradizionale. Supponiamo di considerare un consumatore che abbia un orizzonte di due periodi, il presente e il futuro; supponiamo inoltre che egli conosca perfettamente il reddito presente (che indichiamo con Yt) e quello futuro (che indichiamo con Yt+1) e supponiamo, in estrema semplicità, che Yt > 0 mentre Yt+1 = 0. Rappresentiamo tali grandezze su di un sistema di assi cartesiani, ponendo sul semiasse positivo delle ordinate reddito e consumo presente e sul semiasse positivo delle ascisse reddito e consumo futuro. Disegnamo una mappa di curve di indifferenza intertemporali del consumatore (le quali indicano le coppie di consumo presente e consumo futuro tra loro indifferenti) e rappresentiamo il vincolo del bilancio (Yt - Yt+1*) corrispondente al caso in cui il soggetto in questione decida di risparmiare nel presente trasferendo potere di acquisto nel futuro, nell’ipotesi che il tasso di interesse sia pari a zero (l’angolo che tale retta forma con il semiasse negativo delle ascisse è di 45°). Consideriamo anche il vincolo di bilancio nel caso in cui il risparmio del soggetto sia “premiato” con un saggio di interesse r’ >0 (retta Yt - Yt+1’) e poi con un saggio r’’ > r’ (retta Yt - Yt+1’’). Yt , Ct Yt C A F G Yt 1 * Yt+1’ Yt+1’’ Yt 1 , Ct+1 Il consumatore deve evidentemente decidere come impiegare il reddito presente, e in particolare se e come risparmiare2. Il risparmio si presenta come una decisione di astensione dal consumo (una “astinenza”) nel presente a favore del consumo futuro. Consideriamo inizialmente il caso di interesse pari a zero. In questo caso il consumatore – date le ipotesi – ha convenienza a risparmiare una parte del suo reddito presente (la parte del reddito presente risparmiata è pari al segmento YtC) al fine di raggiungere il punto di ottimo A; il consumo presente sarà ridotto al di sotto del reddito presente, mentre risulterà accresciuto il consumo futuro al di sopra del reddito futuro. Avendo supposto che il reddito corrente sia maggiore del reddito futuro, e che quest’ultimo sia pari a zero, escludiamo che il consumatore si indebiti. 2 8 Considerando un tasso di interesse maggiore di zero, la retta del bilancio diverrà la Yt Yt+1’. Ora, per ogni livello di risparmio nel periodo presente, il consumatore può raggiungere un livello più elevato di consumo futuro (e, dunque, una più elevata curva di indifferenza). In questo caso, il consumatore risparmierà più di prima (in corrispondenza del punto di ottimo F) e incrementando significativamente il consumo futuro. Considerando un tasso di interesse ancora maggiore, la retta di bilancio diventerà la Yt - Yt+1’’ e il consumatore troverà conveniente posizionarsi nel punto G, incrementando ulteriormente il risparmio nel periodo presente. La conclusione è che al crescere di r il risparmio aumenta. Inserendo in un grafico i valori del tasso di interesse sul semiasse positivo delle ordinate e le corrispondenti grandezze del risparmio sul semiasse positivo delle ascisse, avremo la tradizionale funzione individuale del risparmio: r O S E’ opportuno notare che affinchè un agente risparmi non vi deve necessariamente essere un tasso dell’interesse positivo. Anzi è teoricamente possibile avere un risparmio individuale positivo anche con tassi di interesse negativi. Al tempo stesso, per elevati valori elevati del risparmio, è teoricamente possibile che una ulteriore crescita del tasso di interesse determini una riduzione del risparmio e non un nuovo incremento 3. Ciò detto, la relazione prevalente nella funzione del risparmio individuale resta una relazione diretta tra risparmio e tasso di interesse. Aggregando le funzioni del risparmio individuale per ottenere la funzione di offerta di risparmio di mercato, questa funzione si presenta come crescente all’aumentare di r. La condizione di equilibrio macroeconomico è rappresentata dall’uguaglianza tra risparmi ed investimenti. Vediamo perché. Nel modello si suppone che il sistema economico produca soltanto due tipologie di merci: i beni di consumo (che si Quanto appena affermato può essere spiegato ricordando che anche nell’analisi delle variazioni del risparmio al variare del tasso di interesse ci si trova di fronte a un effetto reddito e a un effetto sostituzione, che non necessariamente si presentano col medesimo segno. Di solito l’effetto sostituzione prevale sull’effetto reddito e all’aumentare di r il consumatore sostituisce il consumo corrente con il consumo futuro; ma vi possono essere dei casi in cui vale il contrario, cioè in cui si ha una prevalenza dell’effetto reddito sull’effetto sostituzione. 3 9 distruggono col consumo) e i beni d’investimento (beni durevoli che possono essere utilizzati in più cicli produttivi). Indichiamo il volume complessivo delle merci prodotte con Y; si avrà: Y = Cs + Is. Considerando una economia chiusa, la somma di queste due quantità rappresenta il prodotto interno lordo. Dalle nozioni elementari di contabilità nazionale, sappiamo che esiste un’identità contabile tra il prodotto interno lordo ed il reddito interno lordo; da ciò si evince che possiamo indicare indifferentemente con Y sia la produzione sia il reddito. Il reddito viene suddiviso dalle famiglie in beni di consumo e risparmio; per cui abbiamo: Y Cd S ; e per l’identità contabile: C s I s Cd S ; il primo termine della uguaglianza fa riferimento alle decisioni degli imprenditori in merito alla determinazione delle quantità di beni di consumo e di beni d’investimento; il secondo termine, fa riferimento alle decisioni delle famiglie in merito alla ripartizione del reddito. Il punto è che la composizione ex ante dei due termini potrebbe essere diversa: nel mercato si potrebbe avere una domanda di beni di consumo maggiore dell’offerta (Cd > Cs), cui corrisponde necessariamente uno squilibrio tra risparmio e investimento (S < I). Quanto appena osservato significa che se vi è uguaglianza tra investimenti e risparmi, l’offerta di beni di consumo è uguale alla loro domanda, quindi vi è equilibrio. Come è noto, nel modello neoclassico vale la legge degli sbocchi, secondo la quale l’offerta aggregata genera una domanda aggregata equivalente. E’ sufficiente esaminare il grafico con le due funzioni del risparmio e dell’investimento: r S E I O I=S I,S 10 Sotto l’ipotesi di piena flessibilità del tasso dell’interesse, si determina automaticamente uguaglianza tra risparmi e investimenti. Il che garantisce la validità della legge degli sbocchi. L’ultimo sistema d’equazioni riguarda la parte monetaria del modello. Il sistema di equazioni è dato da: la funzione della domanda di moneta; la funzione dell’offerta di moneta; la condizione di equilibrio. Svolgiamone una prima analisi elementare. La domanda di moneta viene concepita in termini reali, è cioè una domanda di potere di acquisto; la domanda di moneta viene spiegata con la funzione della moneta come mezzo di circolazione. In questi termini, è ovvio che la domanda reale di moneta espressa dalla collettività deve essere tale da consentire la circolazione dell’intera produzione; essa è pertanto pari al rapporto tra il volume della produzione e la velocità di circolazione della moneta: Md Y . P V L’offerta di moneta è considerata una grandezza esogena (data): M s M s *. L’equilibrio monetario è dato dalla uguaglianza tra domanda e offerta di moneta: M d M s *. La logica del modello è la seguente. Nel mercato del lavoro, imprenditori e lavoratori, soggetti perfettamente razionali e informati, contrattano il salario reale, la cui perfetta flessibilità garantisce l’assenza di disoccupazione involontaria. Noto il numero dei lavoratori, risulta determinata la produzione complessiva d’equilibrio, dunque il reddito. La distribuzione del reddito è commisurata al contributo di ciascun fattore alla produzione. Nel modello, l’offerta genera la propria domanda, secondo la legge degli sbocchi di Say, per cui i mercati vengono sempre sparecchiati (nel senso che si realizza sempre l’equilibrio tra domanda ed offerta in ogni mercato). La tesi è, dunque, che le economie capitalistiche sono in grado, in condizioni perfettamente concorrenziali e in assenza di qualsiasi intervento esogeno, di determinare automaticamente piena occupazione, equilibrio macroeconomico e un assetto distributivo legato alla produttività dei fattori. Come nel modello walrasiano, la quantità di moneta determina esclusivamente il livello assoluto dei prezzi e non influenza i prezzi relativi, la grandezza del tasso di interesse, la produzione e la distribuzione; in conclusione, le variabili monetarie non influenzano in alcun modo le variabili reali. La logica complessiva del modello può essere mostrata anche in forma grafica: 11 p Ys +Ms* Yd O Y Yc , Yd Y Y* Y* 45° O N O Y* Y w/p Ns Nd O N N Il primo grafico in basso, rappresenta il mercato del lavoro, in cui si determinano occupazione e salario reale di equilibrio. Al di sopra, vi è la funzione tecnica di produzione che consente di determinare il volume produzione generato dalla occupazione di equilibrio. L’ultimo quadrante in alto mostra l’offerta aggregata (data) e la domanda aggregata (decrescente perché al ridursi dei prezzi, date le scorte liquide degli operatori, la quantità di merci domandata aumenta; la posizione nel piano dipende dalla quantità di moneta in corcolazione). Risulta confermato che le variabili monetarie sono neutrali. Questa conclusione conferma la teoria quantitativa della moneta. Dalle equazioni della parte monetaria del modello di deduce che: 12 VM s * PY ; questa è la famosa equazione degli scambi di Fisher: nulla altro che una tautologia, in quanto mostra che il valore delle merci prodotte è uguale al valore complessivo del potere di acquisto necessario a far circolare le merci. Tale identità si trasforma nella celebre teoria quantitativa della moneta nel momento in cui si assume che il reddito è una grandezza data, in quanto determinata dall’equilibrio del mercato del lavoro, e la velocità di circolazione della moneta è una costante tecnica: V M s * PY . La tesi della teoria quantitativa della moneta è che, in linea con quanto abbiamo detto poc’anzi, una variazione dell’offerta di moneta si riflette unicamente in una variazione proporzionale diretta del livello generale dei prezzi. 2. Utilità e domanda di moneta. Teoria quantitativa della moneta Nel modello neoclassico standard trovano conferma i risultati “monetari” del modello walrasiano, come la teoria quantitativa della moneta, la teoria dell’utilità indiretta della moneta e la presenza di asincronia tra il momento del pagamento dei redditi ed il momento in cui tali redditi vengono spesi. Per quanto concerne l’utilità della moneta, viene ribadito che essa ha per gli agenti una utilità indiretta4. Con riferimento a un dato consumatore, si considerino tutti gli n beni possibili; risulta possibile (seguendo per semplicità un approccio cardinale all’utilità) ottenere una funzione decrescente inscritta in un piano cartesiano in cui vi è all’ordinata il rapporto tra l’utilità marginale e il livello dei prezzi e all’ascissa la quantità di moneta: U mg / P O M 4 Ciò può essere mostrato graficamente, ricorrendo ad uno strumento noto nella letteratura come: “la trasformata di Walras”. 13 Si tratta della funzione di utilità marginale indiretta della moneta. Essa ci mostra che l’utilità della moneta è indiretta, dipende cioè dalla utilità dei beni che è possibile acquistare con la moneta (per cui l’utilità della moneta è esclusivamente connessa alla sua funzione di mezzo di circolazione); essa è inoltre decrescente. Il modello neoclassico di base segue l’impostazione walrasiana anche nel concepire la moneta come una merce particolare (teoria della moneta-merce) gradualmente selezionata dal mercato: dalle forme più primitive a quelle più evolute. A ben vedere, nell’ottica neoclassica il sistema di baratto diretto viene superato da un sistema di baratto indiretto. Infatti, se la moneta è una merce (sia pure “particolare”) ogni scambio di merci e servizi contro moneta è pure sempre un baratto; si tratta di un baratto indiretto perché la moneta non costituisce l’obiettivo finale dell’agente ma è destinata ad essere riscambiata contro quest’ultimo5. Si è detto che la moneta nel modello neoclassico standard funziona come mezzo di circolazione, intermediario negli scambi. In questo ambito analitico, sotto ipotesi di concorrenza perfetta - e, dunque, in regime di perfetta trasparenza (quindi perfetta informazione, assenza di costi per la raccolta delle informazioni) -, è bene sottolineare che la moneta potrebbe non esistere affatto. Infatti, data l’ipotesi di perfetta informazione (per cui sono noti i contributi alla produzione di ciascun fattore, i redditi, i gusti, e i diritti di ciascun agente a valere sul prodotto complessivo), si potrebbe supporre che al termine della produzione tutte le merci vengano portate in un magazzino sociale, nel quale ogni agente si reca per prelevare le merci cui ha diritto. Per evitare il baratto diretto, come nel modello dell’equilibrio economico generale di Walras, anche il modello neoclassico standard ipotizza un’asincronia tra il momento del pagamento dei redditi ed il momento in cui tali redditi vengono spesi. La domanda di moneta viene qui presentata come un’esigenza per superare tale supposta asincronia tra incassi e pagamenti. Per chiarire questo aspetto occorre introdurre alcuni concetti di base: l’intervallo di pagamento, la struttura temporale della spesa, la giacenza liquida media. L’intervallo di pagamento, è il lasso di tempo che intercorre tra due successivi pagamenti del reddito (ad esempio, un mese). Si suppone che gli agenti spendano tutto il loro reddito nel corso dell’intervallo di pagamento; pertanto, le loro scorte liquide, massime nel primo istante dell’intervallo di pagamento, saranno pari a zero nell’ultimo istante. Ovviamente, le caratteristiche del flusso di spesa (continuità e velocità della spesa) sono variabili da agente a agente; si definisce schema di pagamento la modalità con la quale ciascun agente spende il proprio reddito. La domanda di moneta per ciascun questo operatore non è altro che la giacenza liquida media (con riferimento alla base monetaria e ai depositi bancari) che egli ha nel corso dell’intervallo di pagamento. La giacenza liquida media di ciascun agente è funzione diretta del reddito; ma essa dipende anche dallo schema di pagamento. Per prendere in considerazione il primo aspetto, consideriamo due agenti aventi redditi diversi e la medesima modalità di spesa. In particolare, supponiamo che il reddito del primo agente sia pari al doppio del reddito del secondo agente e che il flusso di spesa di entrambi sia costante. Indicando con t0 e t1 rispettivamente il primo e l’ultimo istante dell’intervallo di pagamento, l’andamento delle scorte liquide per il primo agente può essere descritto come segue: 5 Si noti come la critica esterna rivolta al modello walrasiano, per la quale questo si sostanzia nella descrizione del funzionamento di una economia di baratto, possa essere applicata anche al modello neoclassico di base. 14 scorte liquide Y t0 t1 t Operando le medie agli estremi si ha una giacenza liquida media dell’agente pari a Y/2. Il caso del secondo agente è rappresentato come segue: scorte liquide Y/2 t0 t1 t e la sua giacenza liquida media sarà pari a Y/4. Ciò significa che entrambi gli agenti avranno mediamente una scorta liquida pari alla metà del loro reddito; resta confermato che la domanda di moneta è funzione diretta del reddito. Supponiamo inoltre che un terzo agente abbia il medesimo reddito (Y) del primo agente, ma un diverso schema di pagamento. In particolare supponiamo che questo terzo agente spenda i due terzi del proprio reddito nel corso del primo terzo dell’intervallo di 15 pagamento, e il restante terzo del reddito nei restanti due terzi dell’intervallo di pagamento6: scorte liquide Y 1/3 Y t0 1/3 t1 t In questo caso, operando le medie ponderate con la lunghezza delle frazioni considerate dell’intervallo di pagamento, si ottiene una scorta liquida media pari a Y/37. Questo caso mostra che la domanda di moneta non dipende unicamente dalla entità del reddito, ma anche dal modo in cui il reddito viene speso (cioé dallo schema di pagamento). A questo punto definiamo il periodo di giacenza liquida (generalmente indicato con k) come la frazione dell’intervallo di pagamento in cui l’agente tiene le scorte liquide integre. Nel caso del primo agente di cui sopra (reddito pari a Y, spesa costante), il periodo di giacenza liquida è pari a 1/2. Ciò significa che è come se l’agente detenesse scorte liquide pari a tutto il suo reddito per metà dell’intervallo di pagamento, per poi spendere immediatamente tutto. Nel caso del terzo agente (reddito pari a Y, 2/3 del reddito speso nel primo terzo del periodo), si avrà un periodo medio di spesa pari a 1/3. Tanto minore è il periodo di giacenza liquida tanto maggiore è la velocità con cui l’agente spende la moneta. Dunque periodo di giacenza liquida e velocità di circolazione della moneta risultano inversamente correlate: sono l’uno il reciproco dell’altra V = 1/k. Se tutti gli agenti si comportassero come il primo operatore di cui sopra, per cui k = 1/2, la moneta passerebbe di mano due volte soltanto all’interno dell’intervallo di Si suppone che all’interno dei due periodi in cui viene a suddividersi l’intervallo di pagamento il flusso di spesa sia costante. 7 Il calcolo si opera come segue: 6 1 1 1 1 2 1 1 1 Y Y Y 0 = Y/3. 3 2 2 3 3 2 3 2 16 pagamento. In questo caso, la velocità di circolazione della moneta serebbe pari a 2. Pertanto, tanto minore è la giacenza liquida media, tanto minore è il periodo di giacenza liquida e tanto maggiore è la velocità di circolazione della moneta. Ciò significa che anche la velocità di circolazione della moneta dipende dagli schemi di pagamento. Si è visto che la teoria quantitativa della moneta si fonda sull’ipotesi che la velocità di circolazione della moneta è costante; poiché la velocità di circolazione dipende dagli schemi di pagamento, ciò significa supporre che anche gli schemi di pagamento siano costanti. In altre parole, la teoria quantitativa suppone che gli agenti spendano il loro reddito sempre con le stesse modalità all’interno dell’intervallo di pagamento. Tuttavia, la velocità di circolazione della moneta non dipende soltanto dallo schema di pagamento, ma anche dalla struttura verticale della produzione (o organizzazione verticale dell’economia). Il grado di integrazione verticale di un’economia, indica il numero medio di stadi produttivi (che indichiamo con d) che separa gli inputs dagli outputs. Pertanto, l’integrazione verticale è massima quando la trasformazione dei fattori in prodotti finiti avviene all’interno di un’unica impresa. Se il grado di integrazione verticale di un’economia è elevato, le imprese tenderanno a realizzare l’intero processo produttivo e la velocità di circolazione della moneta sarà – coeteris paribus – ridotta. Se invece c’è bassa integrazione verticale, significa che il processo produttivo dei beni è costituito da vari stadi di produzione, il quindi la moneta circolerà molto velocemente. In conclusione, la velocità di circolazione della moneta è legata sia a variabili comportamentali (lo schema di pagamento) sia a variabili tecnico-istituzionali (l’organizzazione verticale dell’economia). Dunque, ipotizzare che la velocità di circolazione della moneta sia costante, come fa la teoria quantitativa della moneta, significa ipotizzare non solo comportamenti di spesa invarianti degli agenti ma anche una organizzazione della struttura produttiva dell’economia immutabile. Vale la pena sottolineare di passaggio che questo tipo di ipotesi hanno senso solo all’interno di una visione dello processo economico, tipicamente neoclassica, secondo la quale l’economia cresce sempre dimensionalmente senza variazioni qualitative, secondo un trend lineare. Se viceversa si predilige una interpretazione secondo la quale l’economia cresce secondo un trend irregolare, caratterizzato da fasi di crisi e da fasi di boom, gli schemi di pagamento risultano necessariamente variabili, e con essi anche l’organizzazione produttivo-istituzionale dell’economia8. Fin qui abbiamo considerato la velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito: il numero di volte in cui la moneta passa di mano nell’intervallo di pagamento per produrre reddito. E’ possibile però, determinare anche una velocità della moneta rispetto alle transazioni: il numero di volte in cui la moneta passa di mano nell’intervallo di pagamento affinchè avvengano le transazioni. Espressa rispetto alle transazioni la domanda di moneta diviene: Secondo il punto di vista keynesiano, è criticabile anche l’idea che Y sia costante. L’idea stessa di una relazione univoca tra produzione ed occupazione (la funzione di produzione) viene criticata. La produttività del lavoro, secondo questa linea interpretativa, non è una grandezza puramente tecnica, ma anche comportamentale (dipende dall’effort erogato dal lavoratore e, dunque, dal livello di “collaborazione” che il lavoratore vuole offrire all’impresa). 8 17 Md T ; p VT dove T indica il valore delle transazioni (naturalmente maggiore di Y perché contenente le duplicazioni) e VT la velocità di circolazione rispetto alle transazioni. Il rapporto tra le transazioni ed il reddito, rappresenta il numero degli stadi (d), cioè: T d; Y con d > 1. Se T è maggiore di Y, la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni deve essere maggiore di quella rispetto al reddito, cioè: Vt V y ; infatti abbiamo: Vt dV y ; per cui la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni è un multiplo della velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito (multiplo dato dal numero degli stadi). A questo punto, siamo in grado di dire che l’ipotesi a base della teoria quantitativa – l’invarianza della velocità di circolazione della moneta – implica che risultino costanti le singole velocità di circolazione delle due componenti dell’offerta di moneta o che qualsiasi variazione di una delle due velocità di circolazione sia esattamente compensata da una variazione in senso inverso dell’altra componente. Presentiamo alcune semplici ed utili rappresentazioni grafiche. Si è visto che dal dal sistema di equazioni relativo all’aspetto monetario del modello scaturisce l’equazione della teoria quantitativa della moneta: V M s * PY , per cui la relazione esistente tra moneta e prezzi è pari al rapporto tra la produzione e la velocità di circolazione della moneta. Da un punto di vista grafica, ponendo il livello dei prezzi sulle ordinate e la quantità di moneta sulle ascisse sia avrà: 18 P V/Y M Per rappresentare graficamente la domanda di moneta in termini reali poniamo sulle ascisse la quantità di moneta domandata in termini reali e sulle ordinate il livello dei prezzi: P O M/P Tale grafico illustra quanto si è già osservato, cioé che la domanda reale di moneta è una grandezza data, non dal livello dei prezzi. La domanda di moneta in termini nominali può essere rappresentata ponendo sulle ascisse la domanda di unità monetarie e sulle ordinate il potere di acquisto (o valore) di ogni unità monetaria (cioé il reciproco del livello dei prezzi): 1/p O Md 19 Il risultato non può che essere una iperbole equilatera, dato che il prodotto della ascissa per l’ordinata di un qualsiasi punto lungo la funzione (l’area sottesa dal punto mobile lungo l’iperbole) rappresenta la domanda reale di moneta che è costante. 3. Banca e moltiplicatore dei depositi bancari All’interno dell’intera impostazione neoclassica, anche negli sviluppi più recenti, sono riconoscibili due diverse impostazioni: la teoria della banca come intermediario finanziario puro; la teoria della banca legata al moltiplicatore dei depositi bancari9. L’idea della banca come intermediario finanziario puro corrisponde all’immagine più semplice e intuitiva, secondo cui la banca è un operatore che raccoglie moneta da alcuni soggetti e la presta ad altri. Secondo tale teoria, la banca s’interpone come intermediario tra agenti che hanno saldi monetari attivi, e che quindi vogliono concedere crediti, e agenti che desiderano indebitarsi. Pertanto, essa raccoglie risparmi monetari delle famiglie per concedere crediti (principalmente) alle imprese. La teoria della banca come puro intermediario porta con sé due principi che è essenziale porre in evidenza, anche perché saranno ripresi anche dalle teorie del moltiplicatore dei depositi bancari e costituiscono il discrimine tra impostazioni neoclassiche e non neoclassiche. Tali principi sono: 1) l’esogeneità della base monetaria: è chiaro infatti che affinché la banca possa raccogliere moneta e concedere crediti deve esistere una base monetaria, moneta metallica o legale. Tale base monetaria viene assunta esogenamente data; 2) la precedenza logica dei depositi sugli impieghi: è chiaro infatti che affinché la banca possa concedere crediti deve necessariamente avere precedentemente raccolto moneta; secondo l’espressione inglese, deposits make loans. L’idea della banca come intermediario finanziario puro è stata per lo più messa da parte dalla teoria neoclassica; al suo posto è stata sviluppata la teoria del moltiplicatore dei depositi bancari. La teoria del moltiplicatore mantiene fermi i due principi di fondo della teoria neoclassica della banca: 1) la tesi della precedenza logica dei depositi sugli impieghi; 2) l’idea secondo cui la base monetaria è data, indipendentemente dalla attività bancaria. Secondo la teoria del moltiplicatore dei depositi bancari la quantità di moneta in circolazione è un multiplo della base monetaria. In altri termini, la teoria del moltiplicatore dei depositi bancari ritiene che la presenza delle banche sia in grado di generare una crescita dell’offerta di moneta. Per esporre la teoria del moltiplicatore è opportuno introdurre alcune ipotesi semplificatrici. Ipotizziamo che all’interno del sistema economico, esista una base monetaria pari ad R che non è altro che una determinata quantità di moneta metallica; ipotizziamo ancora, che esista una certa percentuale di riserva obbligatoria stabilita dalle autorità monetarie, pari a ; inoltre, supponiamo, per semplicità d’analisi, che le banche non desiderino detenere altre riserve (“libere” o “prudenziali”) e che gli altri operatori non 9 In realtà, quest’ultima conosce almeno due versioni: la teoria del moltiplicatore flessibile dei depositi bancari e la teoria del moltiplicatore rigido dei depositi bancari. L’approfondimento di questa distinzione non rientra tra gli scopi di questa dispensa. 20 desiderino detenere scorte liquide in base monetaria, per cui ogni qualvolta incassano base monetaria la depositano in banca; ancora, ipotizziamo che la domanda di credito rivolta alle banche sia teoricamente infinita. Procediamo assumendo dapprima che il sistema delle banche commerciali si componga di un’unica grande banca; successivamente, prenderemo in considerazione il caso di un sistema bancario con n banche. Inizialmente supponiamo quindi che il sistema delle banche commerciali si risolva in un’unica banca gigante (caso che poi coincide con il considerare il sistema bancario nel suo insieme). Date le ipotesi, la base monetaria esistente è pari alle riserve complessive della banca gigante; tali riserve sono una percentuale (generalmente con 0 < < 1) dei depositi bancari D complessivi. Per cui : base monetaria = R = D; da cui: D 1 R . I depositi della banca gigante sono quindi un multiplo della riserva, secondo il coefficiente 1/ che rappresenta il moltiplicatore dei depositi bancari. I crediti che la banca effettua sono pari alla differenza tra depositi e riserve: C=D-R= 1 1 ; R R R 1 R 1 dove il coefficiente (1 - )/ rappresenta il moltiplicatore dei crediti bancari (che è, come si vede, maggiore di zero). Secondo tale teoria esistono, due tipi di depositi: 1. depositi propri (o puri); 2. depositi impropri (o impuri). Il deposito proprio si realizza attraverso l’accensione di un conto corrente, derivante dal versamento in banca di base monetaria. Nelle nostre ipotesi, il volume complessivo di depositi propri è pari a R. I depositi impropri scaturiscono dalla consapevolezza che la banca ha di poter concedere crediti al di là dei depositi propri: i depositi impropri nascono a seguito di crediti che la banca realizza nei confronti dei propri clienti; sono, in altri termini, il risultato di una decisione di impiego. Il volume complessivo dei depositi impropri è pari a D-R, cioè ai crediti complessivi. La presenza dei depositi impropri accanto ai depositi propri fa si che la quantità di moneta in circolazione sia un multiplo della base monetaria: l’intervento della banca gigante non si limita alla intermediazione pura ma genera una crescita della offerta di moneta. Il volume complessivo della moneta in circolazione è pari a D. A questo punto, superiamo il caso della banca gigante e prendiamo in considerazione un sistema bancario composto da n banche. In questo caso, occorre considerare che ogni singola banca nel momento in cui concede un credito si espone a un rischio di perdita di liquidità. E’ evidente, infatti, che se la Banca 1 concede un prestito in base monetaria ad un proprio cliente, l’agente x, e tale agente effettua un pagamento a favore dell’agente y cliente della banca Banca 2, la Banca 1 si troverà a 21 perdere parte della proprie riserve di base monetaria. Resta chiaro che il rischio di perdita della liquidità si presenta solo a livello della singola banca e non del sistema bancario nel suo insieme. Per comprendere questo aspetto ed esaminare il processo di moltiplicazione dei depositi bancari, prendiamo in considerazione la seguente tabella: DEPOSITI RISERVE CREDITI BANCA 1 R R (1-)R BANCA 2 (1-)R (1-)R 1 2 R BANCA 3 1 2 R 1 2 R 1 3 R : : BANCA t : : 1 t 1 R : : 1 t 1 R : : 1 t R : : : : : : : : La tabella è costruita ipotizzando che la base monetaria R presente all’interno del sistema economico sia inizialmente interamente depositata presso una prima banca (la Banca 1). Considerando il rischio di perdità della liquidità, la Banca 1 non potrà comportarsi come la banca gigante (che invece non fronteggia alcun rischio di perdita della liquidità) e potrà effettuare crediti solo in misura pari alla differenza tra le riserve ottenute e la percentuale di riserva obbligatoria che deve detenere per legge. Indicando con C1 i crediti concessi dalla Banca 1: C1 R R , cioé: C1 R1 ; si nota che i crediti concessi dalla Banca 1 sono inferiri a quelli concessi dalla banca gigante del caso precedente. A questo punto, i crediti concessi dalla Banca 1 sono utilizzati per effettuare pagamenti a favore di clienti della Banca 2. Dunque i crediti della Banca 1 sono i depositi della Banca 2. Quest’ultima si comporta come la Banca 1, per cui conserva riserve pari a dei depositi, ed effettua crediti per la differenza: C2 1 R 1 R = 1 R . 2 Questa concessione di credito va ad alimentare un nuovo deposito presso la Banca 3 e così via, passando per una generica Banca t, per tutte le n banche. Risulta del tutto chiaro che la singola banca di un sistema con n banche non è in grado di agire come una banca unica. A questo punto consideriamo la quantità totale di riserve, di depositi, e di crediti che vengono effettuati. I termini delle tre colonne della tabella costituiscono 22 delle progressioni geometriche, per cui considerando n molto grande (tendente a infinito) si ottiene: D R 1 1 1 R ; 1 1 n 1 1 R R 1 1 R ; n C 1 R 1 1 1 ; R 1 1 n Dunque, il processo di moltiplicazione dei depositi bancari in un sistema con n banche, conferma, per il sistema bancario nel suo insieme, i risultati ottenuti nell’ipotesi della banca gigante. Risulta altresì verificato che la capacità moltiplicativa dei depositi, non vale sostanzialmente per la singola banca, ma soltanto per il sistema bancario nel suo insieme. In altri termini, risulta evidente che ciò che è valido per la singola banca non è valido per il sistema bancario nel suo complesso10. 10 Tuttavia, esiste un caso, variamente trattato dalla letteratura, in cui la singola banca può comportarsi come il sistema bancario nel suo insieme: si tratta del caso in cui le n banche espandono i depositi bancari secondo il coefficiente moltilicativo del sistema procedendo di conserva (all’unisono). 23