Certamente la Lombardia vanta una situazione economica e sociale

CGIL CISL UIL LOMBARDIA
CGIL
CISL
UIL
LOMBARDIA
PERCHÈ UNA PIATTAFORMA SUL WELFARE
In tutto l’Occidente ed in Italia, crescono le aree di rischio e di esclusione sociale, così come le
spinte a ridurre dimensioni, qualità e senso delle politiche sociali.
Anche i cambiamenti demografici e in particolare il progressivo invecchiamento della popolazione
compensato in parte dalla crescente immigrazione di persone straniere, sono causa di crescenti
bisogni che le attuali politiche di welfare non tengono adeguatamente conto.
La Lombardia vanta sicuramente una situazione economica e sociale superiore a quella di altre
regioni ed è fra le prime in Europa per popolazione, presenze produttive e associazioni di
rappresentanza, reddito procapite e tradizione solidaristica.
Anche in Lombardia, però, crescono i problemi e le disuguaglianze, così come cresce il numero
delle persone e delle famiglie povere o a rischio di povertà e marginalità sociale.
Per queste ragioni, CGIL CISL UIL ritengono necessario costruire una piattaforma e rivendicare
l’apertura di un confronto articolato con la Regione Lombardia, per fronteggiare questi pericoli e
per garantire nel segno della continuità una concezione universale dei diritti sociali.
Occorre secondo CGIL CISL UIL affrontare il grande tema delle politiche locali di stato sociale,
operando scelte che tengano conto anche delle nuove problematiche e dei cambiamenti avvenuti nel
sociale e nel mercato del lavoro.
Inoltre, con questa piattaforma CGIL CISL UIL intendono evitare qualsiasi tentazione di
marginalizzazione e riduzione del welfare a welfare minimo, per valorizzare nello stesso tempo le
funzioni che la spesa sociale può svolgere per lo stesso sviluppo della regione Lombardia.
La Regione Lombardia ha le competenze, trasferitele dalla Costituzione e dalle Leggi, ed il peso
economico e politico, per aprire confronti e per rispondere positivamente alle proposte avanzate
nella piattaforma: ad essa si chiede di averne anche la volontà politica.
Con questa piattaforma CGIL CISL UIL vogliono quindi sollecitare la Regione a manifestare tale
volontà e ad assumere le scelte conseguenti, in particolare nel merito delle politiche dell’istruzione
e dell’offerta formativa, di sostegno all’occupazione, della sanità e quelle socio assistenziali, delle
politiche per l’abitazione e di quelle di accoglienza per gli immigrati.
Il criterio fondante delle politiche di welfare che rivendichiamo deve essere l’esigibilità dei diritti
e, lo strumento principale, la difesa e la riqualificazione del sistema pubblico e della sua natura
universalistica.
Per la riforma del welfare in Lombardia – Settembre 2004
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Naturalmente non si tratta di mettere in campo un’astratta contrapposizione tra pubblico e privato,
ma di dare risposta ai bisogni concreti delle persone attraverso la ricerca delle soluzioni più efficaci.
In questo modo si affronta in Lombardia il tema dell’attualità delle politiche del welfare e delle
responsabilità della pubblica amministrazione ai vari livelli per garantire l’esercizio dei diritti di
cittadinanza, innanzi tutto attraverso una rete di servizi robusta, qualificata e diffusa in modo
omogeneo sul territorio.
Ci proponiamo di negoziare un complesso di politiche attive finalizzate far crescere, tramite il
sistema della scuola e della formazione, le risorse di capitale umano, e di realizzare un sistema di
tutele mirate per i lavoratori appartenenti alla galassia del lavoro atipico.
Ci proponiamo di intervenire in tutti i settori dove si manifestano problemi di fragilità.
Per quanto riguarda riguarda gli anziani, chiedendo la costituzione di un Fondo per la non
autosufficienza ed affrontando, anche, il tema delle dipendenze, della psichiatria, dei disabili, etc…
Tutte quelle situazioni che pongono le persone e le famiglie nella necessità di affrontare
quotidianamente i problemi di accesso ai servizi loro necessari per migliorare la qualità della vita.
Ci proponiamo, infine, di intervenire per contrastare i rischi di povertà e le condizioni di
precarietà dei redditi, con misure di sostegno capaci di far recuperare alle persone che si trovano in
tali situazioni una condizione più accettabile e aiutarli per superare la fase di esclusione.
Chiediamo scelte di civiltà: che, cioè, una grande Regione che chiede lavoro a cittadini di altre
terre sia anche in grado di offrire loro accoglienza e cittadinanza.
Non si può, però, affrontare il tema dello stato sociale senza una rivisitazione delle relazioni
sindacali. L’architettura delle relazioni del Patto per lo Sviluppo, incentrata su informazione
preventiva, concertazione e negoziazione, è stata spesso sacrificata da scelte della Giunta tese a
privilegiare la ricerca di consenso e la mediazione degli interessi interni alla maggioranza., come è
avvenuto in sede di approvazione del Regolamento per gli accessi alle case di edilizia residenziale
pubblica, col quale sono stati disattesi e stravolti i contenuti di specifici accordi sindacali. Troppo
spesso i contenuti di merito del patto e, quindi, anche le politiche sociali sono stati l’esito
dell’iniziativa legislativa della Giunta realizzata senza un adeguato coinvolgimento delle parti
sociali.
Questo ripropone l’esigenza che le relazioni con le parti sociali siano parte integrante del nuovo
Statuto.
La piattaforma sindacale sulle politiche di welfare nel porre in primo piano problemi di merito di
forte impatto sociale vuole, allora, essere anche la richiesta alla Giunta regionale di un
adeguamento del metodo delle decisioni a quello spirito di coinvolgimento delle parti sociali più
volte dichiarato, con la predisposizione, in particolare, di percorsi che assicurino l’attuazione delle
intese raggiunte.
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POLITICHE PER LA SANITA’
Il sistema dei servizi socio sanitari in Lombardia sta vivendo una fase della sua evoluzione dagli
esiti incerti e preoccupanti che hanno la loro origine nel processo di attuazione del riordino
regionale e in un quadro normativo nazionale e regionale tuttora in evoluzione. Particolare
preoccupazione è determinata dal venir meno per le Regioni del vincolo di garantire al Servizio
Sanitario Regionale, a partire dal 2005, almeno lo stesso finanziamento dell’anno precedente.
La liberalizzazione degli accreditamenti, ha visto crescere la quantità dei soggetti erogatori
privati, il che ha comportato un forte aumento di tutte le prestazioni, spesso inutili ed inappropriate,
con conseguente forte aumento dei costi e, come esito negativo per i cittadini, delle tasse e dei
ticket.
Il rapporto tra le strutture pubbliche e quelle private impostato sulla logica della competizione e
non quella della programmazione e contrattazione, come previsto sia dalla legislazione nazionale e
sia dalla Legge Regionale n. 31 del 1997, ha finito per premiare gli interessi economici delle
strutture private penalizzando e ridimensionando la presenza e il peso delle strutture pubbliche.
La conseguenza più vistosa e preoccupante di tale politica appare quella di una sanità regionale
affannosamente costretta a rincorrere l’eccesso di spesa, anziché essere orientata a garantire,
attraverso percorsi di continuità assistenziale, il diritto alla salute delle persone.
Oggi il problema prioritario è, perciò, quello di come governare e bilanciare domanda e offerta dei
servizi sanitari e socio sanitari che l’ente pubblico deve garantire ai cittadini, in un contesto che
preservi l’idea di universalità e di gratuità del servizio e affronti il tema della sottostima a livello
nazionale delle risorse pubbliche necessarie.
Anche per questa ragione, l’evoluzione del sistema dei servizi e il governo della crescita della spesa
devono necessariamente accompagnarsi alla sua razionalizzazione, fermi restando i principi
dell’efficacia e dell’efficienza degli interventi e delle strutture.
Vi è la necessità di individuare nell’ASL il soggetto responsabile della programmazione a livello
locale, che operi attraverso il coinvolgimento delle istituzioni locali e delle forze sociali.
In particolare riteniamo non più rinviabile la scelta di investire nei servizi territoriali, ed in
particolare nella rete dei distretti socio sanitari, dando attuazione al PSSR 2002-2004, che
individua il distretto come “area sistema”, grazie alla presenza simultanea dei tre momenti specifici
di intervento (sanitario, socio sanitario e sociale) e delle tre modalità delle prestazioni (prevenzione,
cura e riabilitazione), e come “l’articolazione gestionale che potrebbe consentire di governare i
processi integrati”, sottolineandone la “missione strategica”.
Il ruolo del distretto, in un rapporto stretto di collaborazione coi medici di medicina generale nel
governo della domanda deve diventare centrale ed effettivo in modo da gestire l’accesso dei
cittadini alle prestazioni sociosanitarie, comprese quelle specialistiche, ambulatoriali ed ospedaliere,
con l’obiettivo di una riduzione dei tempi di attesa, che sono tuttora eccessivamente lunghi per
molte prestazioni diagnostiche.
L’insieme delle osservazioni sopra riportate suggerisce l’opportunità di aprire una nuova fase di
confronto sulla sanità in Lombardia che, senza tralasciare l’importanza degli ospedali, metta in
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primo piano il territorio, realizzando un maggior coinvolgimento dei Comuni nella gestione delle
politiche sanitarie e incrementando la spesa distrettuale.
CGIL, CISL e UIL rivendicano, pertanto, alla Regione di:
1. Stanziare per il Servizio sanitario Regionale risorse certe e sufficienti per garantire
l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, rivendicando allo Stato, d’intesa con le
altre Regioni e con le forze sociali, finanziamenti adeguati per rispondere ai bisogni
crescenti del sistema socio sanitario
2. effettuare una verifica congiunta degli obiettivi posti dal “Piano degli investimenti
ospedalieri” per una valutazione del fabbisogno finanziario e della congruità delle risorse
disponibili, recuperando gli impegni sottoscritti con le Organizzazioni Sindacali il 18
maggio u.s. sulle “Linee guida per l’attivazione di collaborazioni tra aziende sanitarie
pubbliche e soggetti privati”, in particolare rispetto al fatto che “l’attuale rapporto tra
pubblico e privato non possa essere modificato a danno delle strutture pubbliche”.
3. garantire il governo della domanda/offerta attraverso gli strumenti della programmazione
regionale, considerati quali strumenti di governo del sistema, definiti:
-
in rapporto alla costante rilevazione epidemiologica della domanda,
alla necessità di affermare percorsi di continuità assistenziale tra i diversi luoghi di
trattamento,
all’esigenza di indirizzare i comportamenti delle comunità e delle persone.
Rientrano in questo ambito il Piano Socio Sanitario Regionale di valenza triennale, il Piano
di riorganizzazione della rete ospedaliera e il Piano Annuale delle prestazioni da assicurare
in sede pubblica e in quella privata;
4. confrontarsi sulla riorganizzazione, qualificazione e sviluppo della rete ospedaliera
pubblica, con particolare riferimento alla riduzione dei ricoveri impropri quando non inutili,
al potenziamento dei posti letto e delle attività di riabilitazione, alla realizzazione di posti
letto di lungodegenza e lungoassistenza per coloro che, pur avendo superato la fase acuta
della loro patologia, necessitano di una di degenza di natura prevalentemente assistenziale
finalizzata alla stabilizzazione clinica e al recupero funzionale;
5. ridefinire i rapporti tra strutture pubbliche e strutture private accreditate assicurando il
corretto equilibrio tra la domanda di salute e l’offerta di prestazioni sanitarie di interesse
pubblico erogate integrando le prestazioni delle diverse strutture che costituiscono la rete dei
servizi e non in competizione tra le stesse;
6. ridurre gradualmente le liste di attesa controllando e qualificando l’offerta di prestazioni
e operando con criteri di appropriatezza e di efficacia che consentano di risparmiare sulle
prestazioni e sulle terapie non efficaci e quindi non necessarie anche attraverso l’attività di
controllo sul corretto esercizio della libera professione con l’obiettivo di realizzare un
equilibrato rapporto con l’attività istituzionale;
7. differenziare le modalità di finanziamento delle strutture per acuti, e quindi dei DRG,
in ragione della complessità dei servizi assicurati dalle stesse e della loro partecipazione alla
rete dell’urgenza ed emergenza;
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8. definire modalità di partecipazione dei Comuni, degli operatori sanitari e delle forze
sociali alle decisioni strategiche delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere;
9. rilanciare il ruolo dei distretti socio sanitari attraverso la definizione di un “atto di
indirizzo” regionale accompagnato da un piano straordinario di potenziamento della rete
distrettuale che preveda l’adeguamento delle sedi ed un piano per la dotazione del personale
necessario per i compiti da svolgere, prevedendo adeguati investimenti nella rete delle cure
primaria, affinché, in un rapporto stretto di collaborazione tra distretto e medici di medicina
generale si realizzi un governo della domanda in modo da garantire un filtro efficace al
ricorso inappropriato al ricovero ospedaliero, oltre che efficaci e qualificati servizi
territoriali e domiciliari per la fese post-acuta;
10. valorizzare il ruolo dei medici di medicina generale promovendo e sostenendo le “Forme
associative dell’assistenza primaria” previste nella convenzione quali modalità in grado
di: assicurare l’apertura e l’attività del loro ambulatorio per un più lungo arco di tempo e con
prestazioni aggiuntive alle attuali (ad esempio: prenotazione di visite ed esami, prestazioni
infermieristiche, ecc.); avviare la sperimentazione di “Ospedali di comunità” come strutture
sanitarie residenziali del territorio, gestite dagli stessi medici di famiglia e destinate
all’assistenza di persone che non necessitano del ricovero in ospedale, ma che non possono
risolvere i loro problemi a domicilio.
11. in materia di prevenzione e salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, occorre dare
attuazione, per il triennio 2004-2006, allo stanziamento di 30 milioni di Euro l’anno (come
sottoscritto dagli Assessori alla Sanità e Sicurezza, polizia locale e protezione civile con
CGIL, CISL, UIL nel luglio 2003), impegnando i Direttori generali delle ASL a finalizzare
le relative risorse alla realizzazione del Piano triennale e al potenziamento dei Servizi PSAL,
anche in termini di risorse umane; si chiede, inoltre, che gli introiti derivanti dalle sanzioni
comminate alle aziende non in regola con le norme sulla sicurezza siano destinati a
investimenti nella prevenzione, come risorse aggiuntive.
12. verifica della coerenza e congruità delle prestazioni di odontoiatria rese in Lombardia
rispetto a quelle indicate dai LEA per determinare se questo livello di assistenza è garantito
a tutti gli assistiti e con quali modalità e costi. Tutto ciò al fine di definire gli opportuni e
necessari interventi di potenziamento.
13. sostenere e valorizzare la corretta pratica delle cure palliative domiciliari in tutto il
territorio regionale.
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POLITICHE SOCIO SANITARIE E SOCIALI
Tra i principi fondamentali che hanno determinato l’iniziativa socio politica della Regione
Lombardia, quello della integrazione socio sanitaria, quale esito di percorsi e processi di
partecipazione e confronto con le forze sociali, ha assunto carattere prioritario e centrale
nell’organizzazione del sistema dei servizi di tutela della salute.
Questo principio, declinato a partire dagli anni ottanta rispetto ai diversi contesti normativi che nel
tempo si sono succeduti, ha consentito il costituirsi e l’affermarsi di una rete di strutture e
servizi socio sanitari di notevoli dimensioni riferiti agli anziani non autosufficienti, ai malati
mentali, agli handicappati, ai minori in difficoltà, ai tossicodipendenti, ai malati di AIDS e malati
terminali, rappresentando, in termini di strutture e di utenza, quasi il 50% della realtà nazionale.
Il quadro normativo attuale, quale definito dalle Modifiche al Titolo V della Costituzione, la riforma
del sistema dei servizi sociali di cui alla Legge n. 328 del 2000 e le trasformazioni in atto nello
scenario socio culturale della Lombardia, richiedono di ripensare, riprogettare e riproporre il
principio dell’integrazione, inteso non solo come modalità organizzativa, operativa e funzionale di
servizi sanitari, socio sanitari e sociali che intervengono nelle aree sopra richiamate, ma come
nuova modalità di relazione e rapporto tra livelli istituzionali diversi dotati ognuno di propri livelli
di autonomia, come positiva sinergia tra strutture e servizi territoriali e residenziali, tra reti formali
di assistenza e reti informali e familiari;
L’integrazione socio sanitaria così considerata assume il rilievo strategico di “progetto”, di
“programma”, di “pianificazione”, che come tale è in grado di assumere le sfide poste
dell’evoluzione socio culturale della società e di adeguarsi al mutare del bisogno di salute e delle
necessità delle persone.
Questa dimensione dell’integrazione deve pertanto costituire l’asse centrale e determinante delle
politiche regionali di tutela della salute e l’iniziativa concreta della Regione nell’area dei servizi
socio sanitari e sociali e a questi principi e criteri deve essere riferita.
La realtà sociale della Lombardia evidenzia oggi come prioritarie le risposte ai seguenti
problemi nel campo delle politiche sociali:
1. impegno per la definizione e approvazione dei provvedimenti in attuazione degli obiettivi di
politica sociale indicati dalla Legge n. 328 del 2000, anche attraverso un aumento degli
stanziamenti autonomi della Regione e l’elaborazione di linee guida per la definizione dei
Piani di Zona, nonché di risorse finalizzate all’incentivazione ed al sostegno delle forme
associative di gestione dei Comuni;
2. la costituzione di un fondo per la non autosufficienza per la copertura della parte non
sanitaria del bisogno di cura e assistenza, garantito da risorse certe, alimentato dalla fiscalità
generale con criteri di equità e progressività, comprese le risorse già diversamente destinate
allo scopo. Si chiede quindi alla Regione Lombardia:
-
la definizione di un fondo regionale la cui erogazione deve essere gestita a livello
territoriale con la messa a disposizione di risorse e di competenze adeguate per una
prima e reale sperimentazione, utilizzando a tale scopo anche l’addizionale IRPEF
istituita a suo tempo,
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-
la definizione di un percorso puntuale nei tempi di attuazione e nel coinvolgimento
di altri soggetti protagonisti quali gli Enti Locali (ANCI);
l’impegno a verificare periodicamente con il Sindacato l’andamento della
sperimentazione;
un’urgente azione in sede nazionale, anche congiunta Regione-Sindacato, per
rimuovere gli impedimenti che non hanno fin qui consentito l’approvazione in
Parlamento del Testo Unificato della Commissione Affari Sociali;
3. la valorizzazione dei Piani di Zona, quali strumenti di riorganizzazione, programmazione e
sviluppo della rete dei servizi sociali e socio sanitari in ambito distrettuale, atttraverso la
preventiva definizione:
-
dei percorsi di partecipazione sociale alla loro definizione,
dell’entità delle risorse disponibili siano esse di provenienza nazionale, regionale o
comunale,
delle modalità di sperimentazione di funzioni innovative quali ad esempio del
segretariato sociale;
4. l’istituzione di un tavolo regionale finalizzato al monitoraggio del percorso di riordino
del sistema dei servizi sociali in Lombardia, con l’obiettivo di ricercare tra i diversi attori
del sistema le necessarie intese per qualificare la gestione dei servizi e uniformare ai più alti
livelli di qualità l’intervento pubblico in questo settore;
5. la definizione di provvedimenti che prevedano interventi temporanei finalizzati a
contrastare i rischi di povertà di quei cittadini (disoccupati, lavoratori poveri, ect.), che non
sono in grado di garantirsi un reddito adeguato, attraverso l’accesso gratuito ai servizi
(esenzione ticket, tasse scolastiche, libri di testo, trasporti, ect.) e forme di integrazione al
reddito sulla base della dichiarazione ISEE;
6. la definizione di piani di intervento da attivarsi in presenza di eventi o criticità riferiti a
processi di degrado psico-fisico che riguardino anziani soli o persone fragili che non
possono più contare su reti familiari o amicali di supporto.
Nel campo delle politiche socio sanitarie:
7. la corretta applicazione della normativa sui Livelli Essenziali di Assistenza, in
particolare per la parte riferita all’integrazione socio sanitaria che definisce le quote delle
rette, delle prestazioni e dei servizi che sono a carico del Fondo Sanitario Regionale e quelle
che restano a carico degli enti locali e degli assistiti (es. 50% della retta in RSA a carico del
FSR e 50% a carico degli enti locali ed assistiti);
8. un’attenta gestione della politica dei voucher e dei buoni sociali e socio sanitari
finalizzata alla loro integrazione con il sistema dei servizi; l’utilizzo dei voucher
nell’assistenza domiciliare integrata è prevedibile come offerta integrativa o in un’ottica di
ampliamento delle opportunità di accesso al sistema dei servizi, deve rappresentare una
opportunità e possibilità per l’ampliamento e la diversificazione dell’offerta assistenziale e
non la sua privatizzazione o tanto meno la sua riduzione fermo restando in ogni caso che il
compito della certificazione del bisogno e della presa in carico della persona in difficoltà
non può che essere dei servizi pubblici;
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9. il potenziamento del sistema dei servizi per la prima infanzia con l’obiettivo di ampliare
l’offerta di asili nido, oggi insufficienti rispetto alla esigenze delle famiglie;
10. nei servizi per le dipendenze, di fronte al taglio della spesa pubblica, che pone sempre più
in una dimensione residuale il servizio pubblico nei confronti del soggetto privato, la
necessità di:
-
-
vigilare affinché le ASL realizzino nei tempi previsti dalla d.g.r. 12621/2003
l’autorizzazione e l’accreditamento definitivo dei Servizi Territoriali per le
Dipendenze presenti sul territorio lombardo;
prevedere che la regia degli interventi, così come la certificazione dello stato di
tossicodipendenza sia di competenza dei servizi pubblici;
garantire risorse adeguate da destinare all’area delle tossicodipendenze, per
finanziare le esperienze innovative nate dai SerT e dalla collaborazione con il privato
sociale nell’ambito della “riduzione del danno”.
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POLITICHE DELL’ISTRUZIONE E DELLA FORMAZIONE
La legge costituzionale n. 3/2001, in attuazione del Titolo V della Costituzione, ha, tra l’altro,
individuato e redistribuito competenze e responsabilità in ordine al sistema dell’istruzione e della
formazione a: Comuni, Istituzioni Scolastiche, Centri di formazione, Province, Regione e Stato.
Ma sul sistema scolastico e formativo incidono ora in modo negativo gli effetti della L.53, in
particolare la riduzione dell’obbligo scolastico.
La funzionalità e l’efficacia di risposta alle esigenze delle famiglie, degli alunni, degli studenti e
degli operatori, deve concretizzarsi sia nella disponibilità di risorse adeguate che nell'
individuazione di percorsi di confronto e negoziazione (tavolo scuola regionale), rispettosi delle
indicazioni provenienti dai vari ambiti e frutto di progetti di sviluppo territoriale.
L’art.139 della 112/98 prevede aree d’intervento che hanno la necessità di una cabina di regia
regionale che esprima una capacità di governo, indirizzo e orientamento delle politiche scolastiche
e formative a sostegno di progetti di sviluppo territoriale
In questo contesto riferito alla necessità di definire tra regione e parti sociali una griglia di interventi
per qualificare l’istruzione e la formazione in Lombardia si avanzano due osservazioni
preliminari che riguardano la scuola in generale e il tema della formazione e del lavoro:
-
-
occorre rivolgere una particolare attenzione al crescente abbandono scolastico, che va
contrastato ridando spessore alla scelta di studiare, con l’allungamento dell’obbligo ed
attraverso pratiche positive che sostengano le famiglie per queste scelte.
sulla formazione e sul lavoro, oltre a proseguire il confronto già in atto in sede assessorile
sull’accreditamento vanno definite risorse per affrontare alcune emergenze:
- formazione ed inserimento dei lavoratori e delle lavoratrici over 45;
- formazione per lavoratori e lavoratrici migranti.
Va prevista un'interconnessione con le politiche regionali per la salute (handicap) ed un raccordo
con le politiche regionali per la famiglia (alunni svantaggiati); va previsto altresì un governo
integrato tra le politiche dell’istruzione, della formazione e del mercato del lavoro.
La progettazione e la realizzazione di questi interventi deve prevedere l'individuazione di ambiti
territoriali sui quali allocare la proposta e la gestione dell’offerta formativa.
Integrazione tra sistema scolastico e formazione professionale
Occorre prevedere politiche di integrazione tra il sistema scolastico (licei, istruzione tecnica e
professionale) e la formazione professionale regionale. In questo ambito:

vanno rivisti i criteri e le regole dell’accreditamento dei soggetti che operano nella
formazione professionale, attraverso l’individuazione di precisi vincoli quantitativi e
qualitativi, in particolare: il numero e l’adeguatezza agli obiettivi formativi delle sedi e delle
attrezzature necessarie, la presenza di figure professionali specifiche e stabili (formatori,
progettisti, coordinatori e tutor) necessarie a garantire percorsi formativi di qualità;
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

vanno riviste le modalità di utilizzo e di assegnazione delle risorse del Fondo Sociale
Europeo ancora disponibili, per garantire trasparenza e correttezza nel loro utilizzo, ed una
loro più efficace finalizzazione;
occorrono garanzie di un percorso formativo significativo da un punto di vista quantitativo
ed esterno alle aziende per quanto riguarda l’apprendistato.
Nel contesto e nell’ottica dell’educazione permanente e della formazione lungo tutto l’arco della
vita, come sopra delineata, l’istruzione e la formazione devono prevedere, prioritariamente,
interventi della Regione Lombardia in merito a:
Scuola dell’infanzia
–
azioni volte alla generalizzazione della presenza della scuola pubblica dell’infanzia con
eliminazione delle liste d’attesa attraverso il reperimento di risorse finanziarie e professionali
adeguate e sostegno a tempi scuola più lunghi;
Scuola primaria e secondaria di primo grado
–
–
–
–
attività dirette alla piena integrazione degli alunni con lingua madre diversa da quella italiana,
valorizzando il personale già appositamente formato;
attività dirette alla piena integrazione degli alunni portatori di handicap, (compresi tutti gli
interventi necessari alla rimozione delle barriere architettoniche), ampliando l’area del personale
di sostegno con interventi finanziari, di supporto alle risorse statali, mirati a favorire le azioni
degli enti locali;
sviluppare azioni di orientamento finalizzate alla riduzione della dispersione scolastica nei gradi
successivi del sistema;
monitoraggio e programmazione degli interventi di supporto agli enti locali in merito all’edilizia
scolastica per l’adeguamento alle norme sulla prevenzione e sicurezza.
Scuola secondaria superiore
-
vanno previste iniziative che, a partire dal superamento dei corsi triennali sperimentali di
formazione professionale oggi in atto, sostengano percorsi integrati tra scuola e formazione
professionale, flessibili e personalizzati, capaci di dare risposte ai bisogni anche dei ragazzi e
delle ragazze che più hanno difficoltà nel rapporto con la scuola;
-
vanno valorizzate le iniziative di alternanza scuola-lavoro, nella loro dimensione di specifica
modalità didattica volta ad ampliare ed arricchire la formazione dei giovani e nel contempo a
far svolgere loro esperienze di lavoro significative;
-
vanno predisposti percorsi formativi integrati per tutor aziendali e di scuola sul versante
dell’alternanza scuola/lavoro a partire da obiettivi individuati in sede di Conferenza
Stato/Regioni;
-
va sostenuta la costruzione di una rete territoriale finalizzata all’orientamento formativo e
professionale;
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-
rafforzamento dell’autonomia scolastica, anche con il trasferimento da parte della Regione
delle quote orarie di insegnamento di sua competenza, da realizzarsi sulla base di un confronto
con gli istituti;
-
costituzione di ambiti territoriali, con riferimento ai distretti ed ai Piani di zona, entro i quali
collocare l’offerta formativa, partendo da una lettura del territorio costruita localmente e
coordinata da una cabina di regia regionale (tavolo scuola);
-
definire poli scolastici integrati e istituti scolastici a più indirizzi formativi in grado di garantire
i diversi percorsi scolastici ed effettivi passaggi da una filiera formativa all’altra;
La formazione lungo tutto l’arco della vita trova una particolare risposta nella formazione continua.
A tale riguardo l’attivazione dei fondi interprofessionali, di natura bilaterale deve trovare un forte
impegno delle parti sociali e nel contempo la presenza attiva della Regione, anche perché è
necessario un forte raccordo con la programmazione regionale, nel cui ambito occorre individuare
una sede di confronto con i Fondi Interprofessionali, per realizzare il raccordo fra le politiche attive
del lavoro e le strategie e le priorità di intervento sulla formazione continua.
Per quanto riguarda l’educazione permanente vanno individuate risorse specifiche volte a sostenere
una politica regionale per l’educazione e la formazione degli adulti, dei pensionati e degli anziani
oggi inesistente, così come vanno sostenute, attraverso la messa a disposizione di specifici servizi,
le iniziative promosse dagli Enti Locali e da associazioni pubbliche e private rivolte ad offrire agli
anziani opportunità culturali e formative.
Diritto allo studio
-
Nell’ottica del diritto allo studio vanno collocati interventi finanziari volti a favorire un
contenimento degli oneri a carico delle famiglie per i trasporti pubblici degli studenti e le
mense scolastiche e norme che favoriscano lo sviluppo di servizi collettivi (tra cui anche
laboratori e biblioteche). Nel contempo vanno riviste le scelte che oggi regolano il “buono
scuola” regionale tenendo conto di queste nuove finalità.
-
I servizi e gli interventi di diritto allo studio a domanda individuale devono prevedere:
- sussidi e servizi individualizzati per soggetti in condizioni di handicap e interventi di
sostegno economico, indirizzati in modo particolare a famiglie che versano in condizioni di
difficoltà economica e di disagio sociale
Risorse finanziarie
-
-
Aumentare gli interventi finanziari a carico del bilancio regionale in un’ottica di sistema
integrato di natura sussidiaria fra tutti gli attori del sistema e con una particolare attenzione alla
finalizzazione dei fondi strutturali (FSE);
consolidare il patrimonio di risorse professionali (organico) necessarie al funzionamento del
sistema.
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POLITICHE ABITATIVE
Manca da anni una politica abitativa sociale e la Regione, cui lo Stato ha trasferito competenze ma
non i relativi finanziamenti, non è, però, riuscita a spendere neppure le risorse residue del sistema
ex Gescal, risalenti ormai al biennio 1997/98.
Si assiste così alla stagnazione dell’offerta di alloggi pubblici e da anni non si apre un cantiere né
di edilizia sovvenzionata né di agevolata e, contemporaneamente, s’aggrava il degrado del
patrimonio di alloggi sociali, di cui pure la Lombardia detiene lo stock più cospicuo a livello
nazionale.
In Regione Lombardia e per iniziativa delle organizzazioni sindacali si era avviato un positivo
processo di riforma che ha portato alla definizione del primo Piano Regionale per l’Edilizia
Residenziale Pubblica. La Regione, però, si è sottratta alla responsabilità di fissare criteri uniformi
di determinazione del canone sociale e ha lasciato la decisione alle Aler delle varie province
abbandonandole al loro destino, determinando in questo modo una situazione di grande incertezza
e sostanziale iniquità.
Ancor più grave è stata la decisione di modificare gli accordi sottoscritti in materia di regolamento
per l’assegnazione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica. Con l’eliminazione di fatto dai
criteri di assegnazione del disagio abitativo, e con l’esaltazione dell’anzianità di residenza, si è
messo in discussione la finalità fondativa dell’edilizia sociale e si è dato spazio ai peggiori umori
razzisti che albergano intorno a tale questione.
L’assenza di una politica abitativa sociale incentiva le rendite parassitarie e l’uso speculativo del
bene casa, mentre crescono in modo spropositato sia i costi di acquisto che gli affitti e le difficoltà
abitative sono sempre più uno dei fattori determinanti dei processi d’emarginazione e di
impoverimento.
A fronte di un fabbisogno di alloggi pubblici in Lombardia stimato in almeno 60.000 alloggi nel
prossimo decennio, per soddisfare le esigenze delle famiglie più bisognose, i bandi recentemente
indetti non produrranno alloggi disponibili per l’assegnazione prima del 2008-09.
Questo stato di cose non solo evidenzia i ritardi regionali, ma anche i rischi di messa in
discussione delle principali finalità sociali del PRERP. Per questo si rende necessaria una forte
iniziativa politico-sindacale per ripristinare un confronto tra Regione e Parti sociali che recuperi lo
spirito degli accordi sottoscritti nonché relazioni sindacali aventi l’obiettivo condiviso tra le parti di
realizzare una normativa rispondente alle finalità sociali dell’edilizia pubblica in netta discontinuità
con le decisioni della Giunta e del Consiglio regionale relative al regolamento sugli accessi.
CGIL-CISL-UIL chiedono, perciò, alla Regione una politica che consideri il soddisfacimento del
diritto alla casa come uno degli obiettivi primari non solo delle politiche di welfare, ma anche dello
sviluppo economico;
1. una politica capace di regolare il mercato immobiliare, mediante opportuni strumenti
(normativi, fiscali, programmatori), per indirizzarne componenti significative verso la
produzione e la gestione di abitazioni per le fasce deboli della domanda.
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Va sviluppata l’offerta abitativa in affitto, anche per le fasce a medio basso reddito, con
alloggi “a canone moderato” la cui realizzazione, diversamente da quanto deciso dalla
Regione, sia prevalentemente affidata al mondo della cooperazione per trovare un punto di
equilibrio tra esigenze di bilancio e finalità sociale e in modo da poter offrire abitazioni a
basso costo.
2. Va preservato e riqualificato il patrimonio di edilizia pubblica esistente, evitandone un uso
generico, per riservarlo prioritariamente alle fasce più bisognose salvaguardandone le
finalità sociali.
3. Vanno stabilite regole per la governance urbana che favoriscano la possibilità di definire, nei
luoghi del maggior degrado, “progetti strategici per le periferie”, recuperando risorse con
la costituzione di un fondo ad hoc per questo scopo, coinvolgendo i settori diversi
dell’amministrazione e tutti i soggetti sociali, economici e istituzionali interessati,.
4. Vanno cancellate le storture e le iniquità del recente Regolamento delle assegnazioni, che
danneggiano i soggetti più bisognosi, e specialmente i senza casa e gli immigrati
extracomunitari.
5. Bisogna riformare le ALER, in modo da assicurare qualità del servizio, razionalità ed
economicità di gestione e al fine di potenziarne la funzione sociale. Occorre inoltre che la
riforma delle Aler determini tutte le condizioni necessarie affinché le nuove aziende, nel
quadro della programmazione regionale, siano in grado di agire efficacemente per
incrementare l’offerta di nuove abitazioni destinate all’affitto.
6. Occorre attuare una riforma dei canoni che deve essere legata alla prospettiva di rilancio
delle aziende, che ne salvaguardi la socialità e assicuri – a differenza dello stato attuale parità di trattamento nell’ambito regionale. Ciò deve avvenire in un quadro di maggiore
certezza dei finanziamenti pubblici, in modo da assicurare alle aziende risorse economiche
per la manutenzione straordinaria e per l’attività di nuove costruzioni; occorre, pertanto,
costituire un fondo regionale permanente per dare garanzie di continuità agli investimenti
pubblici.
7. Va adeguatamente incrementato il Fondo Sostegno Affitti, decurtato dal Governo, perché
le domande sono in aumento e nel 2003, su un fabbisogno accertato di € 104,8 milioni, si
sono erogati solo 40 milioni, lasciando senza risposta il bisogno di troppe famiglie.
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POLITICA PER GLI IMMIGRATI
Ci sono oltre 500.000 immigrati in Lombardia, il 6% degli abitanti della regione, una risorsa
straordinaria per l’economia ed il lavoro delle nostre imprese, sono lavoratori e le loro famiglie,
persone del cui inserimento tutta la società lombarda deve farsi carico.
Per questo il sindacato richiede:
a) Governo del flussi: realizzare un Osservatorio regionale in grado di monitorare il
fabbisogno reale di manodopera straniera, in quantità e in professionalità necessarie e, di
conseguenza, operare per la piena responsabilizzazione della regione nella definizione dei
flussi annuali;
b) Consulta regionale per l’immigrazione: istituire e dare operatività all’organismo, già
previsto dalla legge regionale 38/88 e partecipato da istituzioni, parti sociali,
associazionismo, volontariato e rappresentanza degli immigrati, che diventi anche luogo di
confronto per la definizione delle politiche regionali per l’accoglienza, a cui affidare il
compito di predisporre le linee guida attuative di tali politiche;
c) Politiche dell’accoglienza: avviare da subito un tavolo di confronto interassessorile per
monitorare e definire risorse e proposte, in particolare in materia di abitazione, diritto allo
studio, formazione (con particolare riferimento alla valorizzazione del lavoro di cura, già
previsto da intese mai attuate);
d) Voto amministrativo: occorre garantire il diritto di voto amministrativo ai cittadini stranieri
residenti, iscrivendo tale diritto nel testo del nuovo Statuto della Regione;
e) Richiedenti asilo: definizione di una politica attiva della Regione finalizzata al sostegno al
reddito dei richiedenti asilo, in attesa del riconoscimento della loro condizione di rifugiati;
f) Misure contro le discriminazioni: si richiede che la Regione, sulla base di quanto previsto
dall’art. 44, comma 12 del DLgs n° 286/98 e in osservanza delle direttive dell’Unione
Europea, in collaborazione con le amministrazioni locali, le associazioni degli immigrati, le
associazioni di volontariato e le parti sociali, predisponga centri di osservazione, di
informazione e di assistenza legale per gli stranieri vittime delle discriminazioni per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi.
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POLITICHE PER IL LAVORO
In Lombardia ci sono centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratoti occupati in forme di lavoro
atipico e spesso precario. L’alto numero di iscritti lombardi al fondo di gestione parasubordinati
(dati 2003 “550.000” in Regione su 2 milioni e mezzo nazionali) è indicativo dei processi che
hanno investito il lavoro e della necessità primaria che la Regione intervenga con appositi
provvedimenti sul piano istituzionale, per assicurare a quest’area di lavoro, che va al di la delle
figure individuate nel fondo speciale, opportunità e tutele.
Molti lavoratori e lavoratrici cosiddetti “atipici” non sono tutelati dalla contrattazione collettiva e
dai contratti; è quindi necessario, anche in Regione, un’iniziativa pre definire diritti per chi non ne
ha; tale iniziativa chiama in causa le associazioni imprenditoriali.
Si chiede che la Regione sostenga soluzioni che venissero pattiziamente definite sia
impegnandosi agli interventi legislativi necessari, sia stanziando risorse finalizzate di sostegno
e provvedimenti di agevolazione in favore delle imprese che procedano a politiche concordate di
tutela e stabilizzazione dei lavoratori.
In questo contesto, per assicurare progressivamente sempre più ampie e precise tutele ai lavoratoti
cosiddetti atipici, si individuano proposte direttamente rivolte alla Regione affinché, nell’ambito di
un qualificati sistema di welfare istituisca, per quanto di sua competenza, garanzie e tutele atte a
realizzare fondamentali diritti di cittadinanza di questi lavoratori.
1) Formazione (in applicazione dell’accordo regionale denominato Progetti Biagi, sui servizi
per le nuove forme di lavoro);
-
percorsi formativi finalizzati e individualizzati;
percorsi di orientamento;
servizi di incontro domanda-offerta.
2) Forme di sostegno economico:
-
sostegno al reddito per i periodi di inattività (in coerenza all’indennità di
disoccupazione);
contributi per: acquisto, locazione materiali, attrezzature, supporti informatici, ecc.
modalità di garanzia per accedere a mutui, fidi, crediti da parte delle banche
(convenzioni apposite da parte della Regione);
esonero dai ticket in riferimento alla soglia di redditi (suo innalzamento).
Per attuare questi provvedimenti è necessaria una legge che definisca anche le modalità di
finanziamento e di contribuzione, in particolare per l’indennità relativa ai periodi di non
attività.
3) Osservatorio specifico sul lavoro atipico finalizzato ad individuare servizi all’impiego o
altri strumenti di sostegno.
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