L’epica cavalleresca
Per epica si intende la narrazione poetica delle imprese gloriose,
straordinarie di un popolo, dei suoi eroi, dei suoi dei. La poesia
epica, però non si esaurì con i poemi di Omero e Virgilio.
Nel periodo medievale, infatti, e nei secoli successivi, ebbe una
vasta diffusione, dando origine a un gran numero di poemi e
romanzi in prosa.
Nell’alto medioevo, quando l’impero romano di Occidente è
definitivamente tramontato, nascono nuovi regni in cui elementi
culturali di origine romana si fondono con gli apporti delle diverse
culture barbariche, preparando il terreno alla formazione delle
future monarchie nazionali che determineranno poi le sorti
dell’Europa moderna e contemporanea: queste profonde
trasformazioni interessano l’economia, la società, il diritto e le
tecniche militari.
Tra il VII e l’VIII secolo, ai confini dell’Europa si affacciano due
popolazioni nuove, gli Arabi, che attraverso lo stretto di Gibilterra
sbarcano in Spagna e minacciano il continente, e gli Avari, che
muovendosi dall’Asia centrale verso occidente determinano lo
spostamento verso l’Europa centrale di molti altri gruppi
seminomadi, tra cui i Longobardi.
Pur essendo civiltà diversissime tra loro, Arabi e Avari sono
accomunati dall’uso del cavallo negli scontri bellici e ciò costringe
le popolazioni europee che entrano in conflitto con loro a
trasformare il proprio modo di combattere per potersi opporre
efficacemente agli invasori: negli scontri militari viene utilizzata
massicciamente la cavalleria e dall’VIII secolo il cavaliere diviene
la figura centrale di ogni azione militare.
Gli elementi che caratterizzano la civiltà medievale fin dal suo
nascere sono due: la fede e le armi. La fede da valore tanto alle
gesta degli eroi, quanto alla vita quotidiana della gente; l’uso
delle armi, invece, è la principale attività dei nobili cavalieri.
Dopo la caduta dell’Impero romano nascono i nuovi regni romano
barbarici, il cui patrimonio di miti e leggende viene trasmesso in
forma poetica utilizzando le lingue volgari, ossia le lingue locali
che progressivamente sostituiscono il latino. Riprende così vigore
in Europa la tradizione dei poemi epici, che ora celebrano la
nascente società feudale e sono dominati dalla figura del
cavaliere, un personaggio che agisce sulla spinta di alti ideali
come la difesa dei deboli, delle donne e della fede cristiana.
È per questo motivo che nel medioevo si parla di epica
cavalleresca, anche se i diversi poemi assumono di volta in volta
caratteristiche specifiche in relazione alla realtà storica e
culturale all’interno della quale vengono elaborati.
L’eroe dell’epica medievale è il cavaliere “senza macchia e senza
paura”, che combatte in difesa della fede cristiana, della patria,
della giustizia. I poemi medievali, anche se arricchiti di elementi
fantastici, rispecchiano senz’altro la realtà sociale e culturale del
tempo, centrata sul cavaliere considerato un campione della
fede e un difensore delle cristianità contro gli infedeli. Figura
importante dei poemi è quella del cavaliere errante per lo più
figlio cadetto dei feudatari. Questi non possedendo un feudo
proprio, si mette a disposizione di un signore o del re: durante la
cerimonia dell’investitura, presta giuramento di fedeltà
promettendo di mettere le proprie armi al servizio della Chiesa e
“di non usare mai la spada per ferire qualcuno ingiustamente, ma
sempre per difendere causa nobili e giuste”. Difendere la fede
cristiana da ogni nemico, difendere l’integrità e l’onore del
proprio signore e della propria terra, soccorrere i poveri, gli orfani
e le vedove: questi sono i compiti degli eroi del mondo
medioevale.
I giullari, i cantastorie del tempo che si spostano da un luogo
all’altro dell’Europa, diffondono le vicende di questi eroi. I loro
semplici racconti – spesso in versi, in modo tale da poter essere
cantati con l’accompagnamento di strumenti musicali – si
arricchiscono man mano di nuove storie e avventure, attorno al
nucleo centrale di alcuni temi ricorrenti: la guerra agli infedeli,
l’abilità nelle armi, la fedeltà al re. A partire dal XII secolo, alcuni
scrittori riuniscono e perfezionano questi racconti, componendo
opere di grande valore artistico, umano e storico.
L’epica cavalleresca medioevale.
Nell’Europa occidentale si sviluppano due filoni narrativi
fondamentali: le Canzoni di Gesta e i Romanzi della Tavola
Rotonda. Del primo filone fa parte, per esempio, la Chanson de
Roland, che apre il cosiddetto ciclo carolingio ( una serie di poemi
dedicati ai paladini di Carlo Magno ). Il secondo filone è costituito
dai romanzi che narrano le avventura dei cavalieri di re Artù e
viene chiamato anche ciclo bretone, dal nome della regione in cui
si svolgono le vicende (la zona della Bretagna, che comprendeva
l’odierna Inghilterra e il nord della Francia). Il ciclo carolingio si
sviluppa contemporaneamente al ciclo bretone ma, mentre il
primo si diffonde in misura maggiore tra il popolo, il secondo
trova il suo pubblico soprattutto nelle corti del nord della Francia.
I romanzi di re Artù, infatti, sono più raffinati rispetto alle opere
del ciclo carolingio: l’intreccio è più complesso e i temi non sono
solo guerreschi, ma anche amorosi.
Il ciclo carolingio. Tra le tante guerre che Carlo Magno, re dei
Franchi, combatté e vinse in Europa contro Bavari, Frisoni, Slavi,
Avari, Bretoni e Longobardi, quelle contro gli arabi non sono
ricordate nella storia come le più gloriose: Carlo Magno, infatti,
nelle sue spedizioni riuscì a strappare agli Arabi soltanto un
piccolo territorio al di là dei Pirenei.
Nella letteratura, invece, furono proprio queste guerre del re
cristiano contro i musulmani (chiamati anche saraceni o mori)
che riempirono le pagine di biblioteche intere ed ebbero enorme
fortuna popolare, soprattutto in Spagna e in Italia. Le imprese
attribuite al re dei Franchi e ai suoi paladini ( i dodici cavalieri che
formavano la guardia del corpo del re) cominciarono ad essere
scritte – in prosa e in versi – alcuni secoli dopo che si erano
svolte, quando in Europa furono organizzate le crociate per
liberare Gerusalemme e la Palestina, occupate dai Turchi
musulmani. Il racconto delle guerre, combattute e vinte dal re
cristiano contro i musulmani di Spagna, accendeva gli animi,
mentre i crociati, come i gloriosi paladini di un tempo, si
preparavano a partire per andare a liberare il Santo Sepolcro dai
Turchi.
Con l’andar del tempo si spense l’entusiasmo per le guerre sante
e non furono più organizzate crociate, ma i duelli e le battaglie tra
cavalieri cristiani e musulmani continuarono ad essere scritti e
raccontati come esempio di ogni contesa e di ogni avventura.
Predominante, infatti, per tutta l’epoca medievale rimane la
figura del cavaliere impegnato a combattere in difesa della fede.
Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Le storie di questo
ciclo narrano ancora di cavalieri solitari, i cavalieri della Tavola
Rotonda di re Artù, sempre in viaggio alla ricerca di avventure e
amori, mossi da sentimenti di lealtà, di devozione, di cortesia.
La crisi della cavalleria.
Dopo il periodo medievale, l’ideale cavalleresco sopravvisse, ma
fu lentamente svuotato del suo valore fino a ridursi, nelle corti
rinascimentali, a pura esteriorità. Nel 1400-1500 con
l’affermazione della civiltà umanistica e rinascimentale, la figura
del cavaliere si trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più
rappresentato come l’eroe per eccellenza, il depositario di tutte
le virtù, bensì come un uomo, con le debolezze, le passioni
tipiche degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette
la nuova realtà e mentalità del Rinascimento, attenta a
valorizzare l’uomo e i suoi sentimenti. In questo periodo inoltre la
materia cavalleresca intende soddisfare le esigenze di una società
aristocratica di gusti ricercati, più facile a entusiasmarsi per le
narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di guerra e di
dedizione al dovere. Nelle corti rinascimentali si continuavano ad
ascoltare storie che avevano per protagonisti i cavalieri; non più
però per esaltarne gli alti ideali, ma per divertire i nobili con il
racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in quell’epoca, in
cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del
cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali
a cui si ispirava. Gli scrittori del XV e del XVI secolo capirono tale
declino e lo descrissero nelle loro opere – che riprendevano i
racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come
Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso; ora con nostalgia,
come Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata; ora con ironia
e nostalgia insieme, come lo spagnolo Miguel de Cervantes nel
suo Don Chisciotte.
Orlando, paladino di Francia, protagonista dell’Orlando Furioso di
Ludovico Ariosto, non è più rappresentato come un valoroso
difensore della fede, ma come un cavaliere che lascia il campo
cristiano di Carlo Magno e la difesa di Parigi, travolto dalla
passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del re del Catai.
Nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, invece, il
cavaliere torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi,
anche se tormentato de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don
Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel de Cervantes segna la
definitiva scomparsa del cavaliere medioevale. Don Chisciotte
non è altro che una patetica figura di cavaliere che vive “da folle”
avventure appartenenti a un mondo ormai passato.