I massacri delle foibe Con l'espressione "massacri delle foibe", o spesso solo "foibe", si intendono le stragi operate dalle forze partigiane jugoslave ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia [territorio oggi compreso tra Italia, Slovenia e Croazia, con città come Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Zara] e della Dalmazia [territorio oggi compreso tra Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Albania], avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra, in particolare nel settembre 1943 e nel maggio-giugno 1945. Il nome deriva dalle profonde cavità presenti sul territorio del Carso (l'altopiano roccioso che si estende nel nord- est dell'Italia, in provincia di Gorizia e di Trieste, e che attraverso la Slovenia e l'Istria arriva fino in Croazia) dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe". Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Il numero delle vittime delle stragi indicate sinteticamente come "foibe" è calcolato tra 5000 e 12000. Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare storicamente nell'ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell'Adriatico orientale, nelle lotte fra i diversi popoli che vivevano in quell'area. In questo contesto si inseriscono e si aggiungono le tensioni politiche che si sviluppano dopo la seconda guerra mondiale con l'instaurazione di un regime comunista nel territorio chiamato Jugoslavia. Le stragi delle foibe ed il successivo esodo (fuga degli italiani residenti nella Venezia Giulia e in Dalmazia verso l'Italia, o in altri paesi europei o in altri continenti come America e Australia) costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni italiane e slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe). Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti. Tra XV e XVIII secolo I territori della Venezia Giulia e della Dalmazia furono sottoposti a dominazione veneziana tra XV e XVIII secolo. Poi furono sottoposti a domino asburgico tra 1815 e 1918 (fecero parte dell'Impero austroungarico). Prima guerra mondiale e annessione all'Italia Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata a un eventuale futuro stato croato o al Regno d'Ungheria. Al termine della guerra, l'esercito italiano occupò militarmente tutta la Venezia Giulia e la Dalmazia secondo i termini dell'armistizio. Questo provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani presenti in quelle zone che acclamarono alla "liberazione" delle loro terre, e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento. Successivamente, la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato jugoslavo (chiamato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni fino al 1929 e poi Regno di Jugoslavia), fu oggetto di una lunga ed aspra contesa diplomatica. La questione dei confini fu infine risolta coi trattati di pace. L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso dal patto di Londra: la Venezia Giulia. In base al ''principio di nazionalità'' le fu negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara ed alcune isole). La città di Fiume venne definita stato libero (sarà poi annessa all'Italia nel 1924). 1 Negli anni successivi alla Prima guerra mondiale le tensioni tra italiani e sloveni si acuiscono molto nella Venezia-Giulia, complicate anche dalle posizioni nazionalistiche sostenute dal movimento fascista, fondato in Italia da Benito Mussolini nel 1919. Si può ricordare a tal proposito l'incendio del" Narodni dom" (in sloveno, Casa del popolo o Casa nazionale) di Trieste, che era la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini [un edificio nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan)]: fu incendiato dai fascisti il 13 luglio 1920. L'italianizzazione fascista La situazione degli slavi peggiorò con l'avvento al potere del Partito Nazionale Fascista, nel 1922, quando fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali. Gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano. Con l'introduzione della Riforma scolastica (chiamata Riforma Gentile), fu abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Nell'arco di cinque anni tutti gli insegnanti croati e tutti gli insegnanti sloveni furono sostituiti con insegnanti italiani, che imposero agli alunni l'uso esclusivo della lingua italiana Furono imposti nomi italiani a tutte le località dei territori controllati dall'Italia.. Furono italianizzati i cognomi a decine di migliaia di croati e sloveni. Gli uffici anagrafici ricevettero il divieto di iscrivere nomi stranieri (cioè sloveni o croati) nei registri delle nascite. L'invasione della Jugoslavia da parte dell'Italia Nell'aprile del 1941 l'Italia collaborò con la Germania di Hilter nell'attacco alla Jugoslavia, la quale fu poi smembrata tra gli stati invasori. L'Italia conquistò così parti di Slovenia, di Croazia e Dalmazia. In tutto il territorio jugoslavo nacquero fenomeni di resistenza armata da parte dei partigiani jugoslavi. La conseguente repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra con devastazioni di villaggi e rappresaglie contro la popolazione civile. Le sanguinose rappresaglie attuate dall' Esercito italiano per reprimere le azioni di guerriglia partigiana aumentarono il risentimento della popolazione slava nei confronti degli italiani. A scopo repressivo, numerosi civili sloveni furono deportati nei campi di concentramento di Arbe (isola croata) e di Gonars (comune in provincia di Udine). Il 12 luglio 1942 nel villaggio di Podhum (Croazia), per rappresaglia furono fucilati da reparti militari italiani tutti gli uomini del villaggio di età compresa tra i 16 ed i 64 anni. Sul monumento che oggi sorge nei pressi del villaggio sono indicati i nomi delle 91 vittime dell'eccidio. Il resto della popolazione fu deportata nei campi di internamento italiani e le abitazioni furono incendiate. Le "foibe" L'8 settembre 1943, (dopo la caduta del governo di Mussolini avvenuta il 25 luglio 1943) quando l'Italia si arrese di fronte agli attacchi degli anglo-americani e sostanzialmente si ritirò dalla Seconda guerra mondiale, l'esercito italiano non riuscì più a controllare i territori occupati negli anni precedenti. I partigiani jugoslavi presero il potere. Improvvisati tribunali, controllati dai partigiani jugoslavi, emisero centinaia di condanne a morte contro italiani presenti in territorio jugoslavo. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi importanti a della comunità italiana e 2 potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita. Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 400-600 persone. A partire dall'ottobre 1943 la Germania assunse il controllo diretto della Venezia Giulia e della zona di Lubiana, costituendo la cosiddetta Zona d'operazioni del Litorale adriatico: controlleranno questo territorio fino alla primavera del 1945, reprimendo violentemente ogni rivolta partigiana da parte degli jugoslavi. Durante questi mesi non si verificano le "stragi delle foibe", bensì le stragi operate da nazisti e fascisti nei confronti di oppositori e popolazione civile (presso la Risiera di San Sabba, il lager di Trieste, furono uccise circa 3500 persone). Tra fine aprile e inizio maggio 1945 l'esercito dei partigiani jugoslavi, guidati dal loro capo Josip Broz detto Tito (un comunista), strappò alla Germania (che ormai era in forte difficoltà e stava perdendo la seconda guerra mondiale) il controllo sulla Venezia Giulia e sull'area di Lubiana: Tito occupò Trieste e Gorizia (1º maggio), Fiume (3 maggio) e Pola (5 maggio). Dopo la liberazione dall'occupazione tedesca, a partire dal maggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume il potere venne assunto dalle forze partigiane jugoslave; tale periodo fu funestato da arresti, sparizioni e uccisioni di centinaia di persone, alcune delle quali gettate nelle foibe ancora vive. A Gorizia, Trieste e Pola le violenze cessarono solamente dopo la sostituzione della amministrazione jugoslava con quella degli Anglo-americani, che avvenne il 12 giugno 1945 a Gorizia e Trieste, ed il 20 giugno a Pola; invece a Fiume le persecuzioni continuarono più a lungo. In generale le foibe vennero usate in questo periodo per eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista di Jugoslavia di Tito. Si calcola che le vittime delle "foibe" furono in questa fase, complessivamente, alcune migliaia (tra le 5000 e le 10000). Nel decennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale (quindi tra 1945 e 1955) circa 300000 italiani residenti nelle aree passate sotto dominio jugoslavo (Istria, Dalmazia) emigrarono per sfuggire a persecuzioni e discriminazioni: questo fenomeno è detto esodo istriano-dalmata. Giornata del Ricordo Il 10 febbraio di ogni anno l'Italia celebra la Giornata del Ricordo, per commemorare le vittime delle "foibe" e il dramma degli italiani che furono costretti ad emigrare. È stata scelta questa data in riferimento al 10 febbraio 1947, giorno in cui fu firmato il trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l'Istria e la maggior parte della Venezia Giulia e che chiuse così ufficialmente le contese territoriali tra Italia e Jugoslavia. 3