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AUSER VOLONTARIATO FORLANINI ONLUS
IN COLLABORAZIONE
CON LE RESIDENZE SACCARDO
E
CON IL CONTRIBUTO DEL CONSIGLIO DI
ZONA 3
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ
IN ZONA TRE
CORSO
I BARBARI, MIGRANTI CHE FECERO
L’EUROPA: AMORI, INTRIGHI, OPERE
PUBBLICHE
RELATRICI:
Emilia Borghi, Elisa Long, Cristina Mondini
Mercoledì 4, 11, 18 marzo 2009
ore 15.30
PRESSO IL TEATRO
DELLE RESIDENZE SACCARDO VIA SACCARDO 47 Milano
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
Emilia Borghi
Presidente Auser Volontariato Forlanini Onlus
Elisabetta Clerici
Direttrice Residenze Saccardo
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Dalla caduta dell’impero romano alla fine dei Longobardi
a cura di Cristina Mondini
Per meglio comprendere il periodo di cui parliamo è necessario fare un breve discorso su
alcuni dei motivi della caduta dell’impero romano d’occidente. Va fatta questa
precisazione in quanto nel 395 l’immenso impero venne diviso: ad Arcadio l’oriente (con
capitale Costantinopoli) e ad Onorio l’occidente (con capitale Ravenna). Da secoli ormai
era in atto una grave crisi economica e politica; la produzione ristagnava, le finanze
erano insufficienti a fronteggiare le enormi spese dell’amministrazione interna e della
difesa militare, messa alla prova dagli attacchi dei barbari.
Oltre i confini dell’impero – e oltre la fascia dei territori che da vari secoli erano in
contatto con il mondo romano – vivevano numerose popolazioni, che basavano la loro
vita sulla pastorizia e l’allevamento brado del bestiame, fatto che richiedeva continui
spostamenti stagionali alla ricerca di pascoli; queste popoli erano nomadi o seminomadi.
Tutto ciò comportava forme particolari di proprietà: il bestiame apparteneva ai diversi
gruppi familiari, le terre che venivano via via occupate erano di possesso comune della
tribù e venivano ripartite tra i gruppi parentali. Non esistevano forme di organizzazione
sociale e politica per “stati” stabilmente organizzati su un territorio, ma per tribù mobili
costituite da gruppi parentali di famiglie discendenti da un antenato comune, a loro volta
unite a formare gruppi più vasti, le cosiddette “orde”. Le risorse economiche di queste
orde erano limitate per cui i popoli “della steppa” ricorrevano spesso a scorrerie,
saccheggi e migrazioni a scapito delle popolazioni con cui venivano a contatto.
Per arginare l’avanzata dei barbari l’impero romano d’oriente , oltre alla difesa militare,
ricorse alla politica di dirottare verso occidente le orde, legittimando le ambizioni dei
capi barbari, riconoscendo loro sia titoli (console, patrizio) che deleghe di potere su
territori e regioni dell’occidente. L’occidente si difese cercando di inserire pacificamente
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nell’impero le popolazioni barbare meno feroci, accogliendo personalità nell’esercito e
nel governo, ma in questo modo si ridusse il peso politico del ceto senatorio, della corte e
dello stesso imperatore.
Tuttavia varie furono le incursioni sul territorio italiano. La più grave fu quella guidata
da Attila, re degli Unni, che, pur essendo stato sconfitto in Francia dal generale romano
Ezio, attaccò l’Italia settentrionale distruggendo Aquileia, Padova, Verona, Milano e
Pavia. Attila fu fermato, così si dice, dal papa Leone Magno e lasciò l’Italia. Così come era
comparsa la potenza degli Unni si dissolse. Attila morì e gli Unni si dispersero tra i
Balcani e il Volga. Nonostante questo il governo imperiale continuò ad indebolirsi, anche
perchè dilaniato internamente da gruppi contrapposti, che si alleavano con i vari
comandanti dei contingenti militari e con i capi barbarici che dominavano nelle
province. I Vandali, gruppo barbaro che aveva occupato la Spagna e l’Africa
settentrionale, raggiunsero via mare l’Italia nel 455 e saccheggiarono anche Roma, che
era già stata saccheggiata nel 410 da Alarico, re dei Visigoti. Nei successivi 20 anni si
succedettero ben 9 imperatori, in una lotta per il potere che aveva come veri protagonisti
i grandi generale di stirpe germanica, come il “maestro delle milizie” Oreste, che insediò
sul trono il proprio figlio Romolo (475) o come Odoacre (476) di origine scira.
Fu Odoacre a compiere l’atto formale della deposizione dell’ultimo imperatore, Romolo
detto Augustolo (perchè giovanissimo), che venne esiliato mentre le insegne imperiali,
con il consenso del Senato, vennero mandate all’imperatore d’oriente, a significare il
riconoscimento della sua autorità anche sulla parte occidentale dell’impero. Odoacre
chiese per sè il titolo di patrizio, a sottolineare il fatto che intendeva governare a nome
dell’autorità legittima. Si proclamò anche re (“re delle genti germaniche stanziate in
Italia”) e tale fu acclamato dalle sue milizie. Governò mantenendo rapporti di
collaborazione con la popolazione romano-cattolica e chiamò vari esponenti del Senato a
importanti funzioni di governo. Difese l’Italia contro altre popolazioni barbariche.
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Di fatto l’Italia si era staccata dall’impero e in Europa occidentale si stavano formando i
cosiddetti regni romano-barbarci, guidati da barbari con il riconoscimento imperiale
come federati (in cambio dell’aiuto militare l’impero dava loro il diritto di occupare
determinate regioni a scapito dei locali proprietari fondiari) e quindi con la possibiltà di
autogovernarsi; il potere militare si trasformava così in supremazia politica.
L’Italia, nonostante numerose razzie, all’epoca di Odoacre non era ancora stata occupata
da barbari. Odoacre stesso si considerava “patrizio romano”, rappresentante cioè
dell’autorità imperiale di Costantinopoli.
La sua autonomia però convinse l’imperatore Zenone a sollecitare l’invasione dell’Italia
da parte degli Ostrogoti, da tempo “federati” dell’impero e stanziati in Pannonia
(Ungheria). L’invasione avvenne tra il 489 e il 493, anno in cui Odoacre fu ucciso. Agli
Ostrogoti fu assegnato un terzo delle terre e Ravenna fu confermata capitale.
Il re ostrogoto Teodorico (493-526), educato a Costantinopoli, ammiratore della cultura
classica e di Roma, intendeva restaurare l’autorità dell’antico impero su tutto l’occidente.
Ottenne da Bisanzio le insegne regali, cercò accordi e alleanze matrimoniali con altri
regni barbarici e aspirò a ristabilire la “pax romana” attraverso gli Ostrogoti. Mantenne
buoni rapporti con la popolazione italica, in particolare con l’aristocrazia senatoria, la
Chiesa e la piccola aristocrazia provinciale. Gil Ostrogoti (50-100000 di fronte ad alcuni
milioni di abitanti indigeni) si riservarono il potere militare, lasciando intatti gli apparati
di governo civile, affidati ai romani; Teodorico restaurò il Senato, composto
esclusivamente da romani e italici. Si mostrò tollerante verso il cattolicesimo, ma proibì i
matrimoni misti e sostenne l’arianesimo, eresia (condannata nel 325 nel Concilio di
Nicea) che negava che il Figlio fosse della stessa natura divina del Padre. Molti esponenti
dell’aristocrazia senatoria, però, avrebbero preferito un collegamento stretto con
l’impero d’oriente e così si svilupparono contrasti di natura politica e religiosa. Teodorico
reagì allontanando e perseguitando molti romani e latini e anche il papa (Giovanni I) fu
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incarcerato. Il regno di Teodorico ne risultò gravemente indebolito. La politica di
riconciliazione di Amalasunta, succeduta al padre Teodorico come reggente del piccolo
Atalarico, non riuscì anche a causa delle mire del nuovo imperatore d’oriente
Giustiniano. Egli aveva l’intenzione di dar vita a un impero romano nuovamente
unificato (da Costantinopoli, non da Roma) con un’estensione pari a quella dell’antico
impero, con un assetto giuridico, amministrativo, fiscale e religioso unitario.
Amalasunta, dopo la morte del figlio, aveva governato insieme al cugino Teodato, ma
questi la fece imprigionare e poi assassinare nel 535. Questo fatto permise ufficialmente
a Giustiniano di intervenire contro gli Ostrogoti (fu detta “guerra gotica”). Gli Ostrogoti
detronizzarono Teodato e lo sostituirono con Vitige. I Bizantini attaccarono Ravenna,
che fu presa solo 4 anni dopo (540). Vitige fu condotto prigioniero a Bisanzio. Gli
Ostrogoti però, sotto la guida del nuovo re Totila, ripresero la guerra e giunsero fino a
Napoli, assediarono Otranto e nel 546 presero Roma. Bisanzio alla fine reagì e sotto la
guida del vecchio generale Narsete sconfisse Totila e il suo successore Teia (552). La pace
completa venne ristabilita solo nel 555.
L’Italia uscì da questa guerra molto indebolita. Tra gli effetti della restaurazione del
potere di Bisanzio vi furono spostamenti e fughe della popolazione, massacri, epidemie,
crollo dell’economia monetaria e tirannia fiscale dei funzionari imperiali. Il paese era allo
stremo e infatti non vi fu alcuna resistenza all’invasione longobarda.
I Longobardi dal nord della Germania si erano trasferiti, tra il V e il VI secolo, nella
Pannonia e nel Norico (Austria e Slovenia); erano di religione ariana e avevano contatti
con i romani e i bizantini, tuttavia erano i meno romanizzati e conservavano i loro
antichi costumi.
Sospinti e minacciati da altri popoli barbari, si diressero verso l’Italia attraverso il Friuli,
guidati dal loro re Alboino. Erano circa 100.000 persone di cui 35.000 guerrieri. I
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Bizantini non riuscirono ad opporsi e i Longobardi dilagarono nella pianura padana
(Milano cadde nel 569, Pavia nel 572) e anche verso sud sino all’Italia meridionale.
Non fu però una conquista sistematica: essa fu determinata dalle decisione autonome di
gruppi di guerrieri che, sotto al guida dei loro capi (duces alla latina) si mossero senza un
piano preciso. Rimasero così escluse dall’occupazione longobarda diverse regioni e
soprattutto le zone costiere con entroterra spesso assai estesi. Lungo l’Adriatico
sfuggirono alla conquista l’Istria e il litorale veneto; Ravenna, le sue coste e la regione
interna fino al Panaro (da allora fu chiamata Romània, da cui Romagna); gran parte
delle attuali Marche e Umbria. Al sud rimasero sotto Bisanzio quasi tutte le attuali Puglia
e Calabria, la Sicilia, la Sardegna, tratti costieri della Campania, Roma e il Lazio,
un’ampia fascia del litorale toscano e l’intera Liguria. Inoltre Roma si collegava
all’esarcato di Ravenna (Ravenna, Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona) con una
fascia di capisaldi e piccoli territori lungo la valle del Tevere. Grossi stanziamenti
longobardi si ebbero invece, oltre che in tutta la pianura padana e in Toscana,
nell’Umbria meridionale (Spoleto) e intorno a Benevento.
L’Italia si trovò così divisa sotto 2 dominazioni molto diverse e questo finì per costituire
una frattura tra l’Italia meridionale e il resto della penisola.
Inoltre l’occupazione longobarda comportò la quasi totale distruzione dell’antica
aristocrazia latina, i cui membri o morirono o fuggirono; le loro terre furono confiscate e
distribuite tra i membri dell’esercito. I Longobardi si distribuirono sul territorio in
gruppi (guerrieri legati da vincoli di parentela), costituendo villaggi o comunità
sottoposti all’autorità dei capi guerrieri – duchi – residenti in luoghi fortificati. L’autorità
del re si indebolì dopo la conquista e molti gruppi si orientarono verso forme di
autogoverno sotto i loro duchi.
Il re Alboino fu assassinato nel 572 da una congiura capeggiata dalla moglie Rosmunda,
figlia del re dei Gepidi ucciso dal marito, e così anche il suo successore Clefi (574). Dopo
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di lui per una decina d’anni non si nominò nessun sovrano. Ma la presenza di un re era
necessaria per gestire i problemi interni e provvedere alla difesa contro i nemici esterni.
Fu eletto allora Autari nel 584, seguito poi da Agilulfo, che ne sposò la vedova
Teodolinda, cattolica, che dopo la morte di Agilulfo governò fino al 625 con il figlio,
cercando di convertire i Longobardi al cattolicesimo.
Si ebbe un rafforzamento dell’autorità regia con Rotari, che nel 643 emanò l’editto che
porta il suo nome. Era un documento scritto in lingua latina, che conteneva le norme che
fino ad allora erano tramandate oralmente tra cui l’autorità del sovrano sui duchi.
L’editto fu un chiaro segnale che i Longobardi avevano assorbito l’influenza romana
(codificazione scritta, lingua latina, modifiche di antichi istituti germanici). Contribuì a
tutto ciò l’influenza della Chiesa di Roma, soprattutto ad opera di papa Gregorio Magno,
ben deciso ad evangelizzare i Longobardi. Principale interlocutore del papa fu la regina
Teodolinda, di nazionalità bavarese e di religione cattolica; il cattolicesimo fu così
tollerato, i beni confiscati alla Chiesa furono restituiti, si favorì la fondazione di nuovi
monasteri e i vescovi cattolici recuperarono l’antica autorevolezza. Più lento fu il
processo di conversione e solo nel VII secolo si ebbe un re cattolico; molti duchi però
rimasero ariani, e anche diversi successori del re.
Con l’avvento di Liutprando vi fu una svolta. Liutprando si attribuì il titolo di “principe
cristiano e cattolico” e cercò di ampliare la sua influenza sulle istituzioni ecclesiastiche,
puntando anche ad espandersi verso i territori bizantini. Il re giunse fino a Sutri
(Viterbo) che era ducato romano e, cercando l’aiuto del papa contro i bizantini, lo donò
ai ”beatissimi Pietro e Paolo” nel 728; questa donazione fu a lungo considerata come
l’atto costitutivo dello Stato della Chiesa. Ma il papato temeva l’avanzata longobarda. Il
successore di Liutprando, Astolfo, infatti conquistò Ravenna e occupò il ducato di
Spoleto. minacciando da vicino il ducato romano. Il papa allora si rivolse ai Franchi, e in
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particolare alla nuova dinastia dei Pipinidi, che i pontefici stessi avevano aiutato
nell’ascesa al potere sul territorio dell’attuale Francia.
Il papa Stefano II nel 754 unse Pipino e i suoi figli come re dei Franchi, e chiese aiuto
contro Astolfo. In cambio della consacrazione a “patrizio dei romani” Pipino si
impegnava a restituire alla Chiesa tutti i territori dell’Italia centrale occupati dai
Longobardi. Probabilmente in occasione di questo accordo fu redatta la cosiddetta
“donazione di Costantino”, un falso documento che giustificava i diritti della Chiesa su
territori in realtà mai posseduti, affermando che Costantino aveva donato al papa
Silvestro I la città di Roma, l’Italia e altre province dell’Occidente.
Pipino scese in Italia nel 755 e sconfisse i Longobardi alla Chiusa di San Michele in val di
Susa. Nel 756 tornò in Italia e sconfisse definitivamente Astolfo, che morì poco dopo.
Il nuovo re longobardo Desiderio ebbe, però, una possibilità di riavvicinamento ai
Franchi attraverso il matrimonio dei due figli di Pipino, Carlo e Carlomanno, con due
longobarde (si dice sue figlie), Ermengarda e Gerberga.
Ma l’intesa durò poco. Carlo, rimasto unico re per la morte di Carlomanno, ripudiò
Ermengarda rimandandola in Italia. Desiderio marciò allora verso Roma e il papa si
rivolse a Carlo. I Franchi scesero in Italia nel 773 e assediarono Pavia. Alla fine Desiderio
fu catturato e condotto in Francia. Adelchi, figlio di Desiderio, fece un ultimo tentativo di
resistenza, ma sconfitto a Verona fu costretto a fuggire.
Carlo, che sarà detto Magno, assunse il titolo di “re dei Longobardi” e mandò in Italia
conti e famiglie franche;
i duchi indigeni in parte furono eliminati, in parte si
accordarono con i vincitori.
L’Italia ex-longobarda restò sotto il dominio dei Franchi.
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