CAPITOLO PRIMO CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE: LE IMMUNITA’ NEL DIRITTO PENALE 1.Premessa: l’ art. 3 del codice penale L’ art. 3 del codice penale, sotto la rubrica “ obbligatorietà della legge penale “, dispone al comma primo: “ la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale “. Tali eccezioni qualificano un sistema complesso e variegato di situazioni giuridiche, da inquadrare sotto l’egida di un unico nomen iuris: nella tradizione si parla di immunità di diritto penale1. Qualsiasi altra definizione tentassimo di coniare in questo momento, in uno stato ancora primitivo della nostra trattazione, e quindi argomentabile esclusivamente sulla scorta della lettera dell’ art. 3 c.p., sarebbe in realtà fuorviante; non coglierebbe, anzi tradirebbe, il carattere primo di questo istituto, cioè la sua eterogeneità, l’attitudine a contenere un sistema di situazioni profondamente disomogenee, per ratio, per fonte, per struttura sostanziale, per natura giuridica ed effetto finale sulle scelte dei poteri dello Stato. E’ necessario, invero, un ordine logico nella trattazione e nell’ analisi di questo istituto. Per questa via, il primo dato con cui si confronta l’ occhio nudo dell’ interprete è che l’ art. 3, aprendo una breccia nel nostro ordinamento giuridico, presenta le immunità come eccezioni che trovano nel diritto pubblico interno e nel diritto internazionale la loro fonte; non si può non scorgere, allora, il primo criterio discretivo: esistono immunità di diritto interno e immunità di diritto internazionale. 2.Le immunità di diritto interno In linea generale, possiamo sin da adesso identificare un unico comune denominatore: si tratta di previsioni della nostra Carta Costituzionale, volte a garantire la 1 E’ la definizione preferita dai manuali di diritto penale. tutela di talune funzioni di particolare significato politico, nel contesto democratico del sistema giuridico2. Il Presidente della Repubblica, ai sensi dell’ art. 90 Cost., “ non è responsabile degli atti compiuti nell’ esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri “ ed è giudicato dalla Corte Costituzionale3. Sebbene la Costituzione taccia in proposito, si ritiene che il Presidente del Senato, qualora eserciti le funzioni di Presidente della Repubblica, goda della stesse immunità per tutto il periodo della supplenza4. La prerogativa in questione non presuppone necessariamente atti d’ ufficio in senso tecnico, quali un discorso alle Camere, la firma di una legge5; non potrebbe, però, essere sufficiente un atto solo occasionalmente connesso con l’esercizio delle funzioni presidenziali. In definitiva, il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti che, non integrando le fattispecie di attentato alla Costituzione o di alto tradimento , rappresentano una “ estrinsecazione modale del suo ufficio “6. Più controversa risulta l’ ipotesi della commissione di reati comuni da parte del Capo dello Stato, cioè di fattispecie non realizzate nel contesto dell’ esercizio delle funzioni. Si è cercato di escludere, anche in questo caso, la perseguibilità del Presidente della Repubblica: questi godrebbe di una esenzione da giurisdizione, limitata alla durata della sua carica, in forza della “ particolare posizione e alle funzioni che egli esplica, che non gli consentono di trovarsi in posizione di subordinazione formale rispetto ad altri organi dello Stato, sia pure giurisdizionali “7. Rimane ferma, tuttavia, la tesi secondo cui il Presidente della Repubblica non goda di alcuna guarentigia processuale e vada trattato alla stregua del comune cittadino, con la consequenziale competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria8. Per quanto tale scelta possa risultare anomala e forse problematica 2 ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, p. 72. Così recita l’ art. 90 Cost., superando la previsione di una immunità assoluta codificata nello Statuto Albertino, ove si evidenziava che la “ persona del Re è sacra e inviolabile ”. 4 Lo rileva PAGLIARO, Immunità( diritto penale ), in Enciclopedia del diritto- XX vol. , p. 215: “ …in considerazione del fatto che le immunità stesse non sono legate alla posizione formale, ma all’ esercizio delle funzioni “. 5 In senso contrario RICCIO, Immunità in Digesto delle discipline penalistiche , p. 179 , che limita la prerogativa solo agli atti espressione dei poteri e delle competenze riconosciute dall’art. 87 Cost. 6 PAGLIARO, cit. , p. 214 . 7 BETTIOL – PETTOELLO – MANTOVANI , Diritto penale , p. 191 ; PICOTTI , L’ art. 3 , in Codice penale , a cura di M. Bonafede, A. Cadoppi, S. Canestrari , p. 161: senza darne alcuna spiegazioni in termini giuridici , l’A. parla di “ aspetto meramente processuale della stessa immunità “ che determina “ il divieto temporaneo di sottoporre a procedimento penale il Presidente della Repubblica , per i reati commessi fuori dall’ esercizio delle funzioni “ . 8 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale , p. 123 ; ROMANO, cit. , p. 73 . 3 -3- da un punto di vista politico9, risulta confermata dalla legge n. 219/89, recante norme concernenti il procedimento di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di cui all’ art. 90 Cost.: l’ art. 10 prevede che, nel caso di reati diversi da quelli indicati nella norma costituzionale, il Parlamento in seduta comune dichiara la propria incompetenza e trasmette gli atti all’autorità giudiziaria ordinaria10. L’art. 68 Cost. riserva ai membri del Parlamento talune prerogative che, mai come altre, sono state al centro del dibattito politico-giudiziario del nostro Paese. Il primo comma introduce la c.d. “ insindacabilità “ dei deputati e senatori, i quali “ non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle loro funzioni ”. Il comma secondo, a seguito dell’ abrogazione del discusso istituto dell’autorizzazione a procedere, che subordinava al nulla-osta del Parlamento la stessa possibilità di sottoporre a processo penale i suoi membri, ha “ mantenuto alcune garanzie della libertà personale e introdotto nuovi limiti all’attività di indagine “11: senza autorizzazione della Camera di appartenenza, nessun parlamentare può essere sottoposto a perquisizione domiciliare e personale, né può essere arrestato o privato altrimenti della libertà personale, o mantenuto in detenzione, a meno che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza o nel caso di sentenza penale irrevocabile; analoga autorizzazione è richiesta, dal terzo comma, per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e il sequestro di corrispondenza. In verità, fatta eccezione per la guarentigia dell’ insindacabilità prevista dal comma primo, le prerogative processuali da ultimo citate, non sono pacificamente ammesse dalla dottrina nel limbo delle immunità penali: vi è chi propende per la qualificazione nei termini di immunità processuali12 e chi, al contrario, preferisce parlare di condizioni di procedibilità13, o di mere prerogative di carattere processuale14. Durante la carica, i giudici della Corte Costituzionale, giusta la l. cost. n. 1 del 1948, godono della stessa immunità15 riconosciuta ai membri del Parlamento dal comma secondo dell’art. 68 Cost.; inoltre, in forza della l. cost. n. 1 del 1953, essi “ non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle loro funzioni “. PAGLIARO, cit. , p. 214 , parla di “ assurdo politico “ . Lo sottolinea MANTOVANI, Diritto penale , p. 819. 11 FIANDACA-MUSCO, cit , p. 124 12 MANTOVANI, cit. , p. 819 ; DOLCINI - MARINUCCI, Codice penale commentato , p. 82 ; SANTANIELLOMARUOTTI, Manuale di diritto penale , p. 108 . 13 VINCIGUERRA, Diritto penale italiano , p . 497 . 14 MAGGIORE, Diritto penale , p. 142 . 15 Ovviamente l’ autorizzazione è data dalla stessa Corte Costituzionale . 9 10 -4- L’art. 122 Cost. si rivolge ai Consiglieri regionali, i quali “ non possono essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle loro funzioni “. I membri del Consiglio Superiore della Magistratura, invece, “ non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’ oggetto della discussione “, in forza della legge n. 1 del 198916. Questa fattispecie è stata- fino all’ approvazione della legge n. 140 del 2003, intervenuta proprio mentre si scrive, e di cui si darà conto più avanti- l’ unica immunità di diritto interno prevista dalla legge ordinaria; non sfugge, inoltre, la diversa formula utilizzata dal legislatore, rispetto alle disposizioni precedentemente citate: se ne è dedotta una limitazione nella portata della norma, tale per cui, mentre i parlamentari, i consiglieri regionali e i giudici della Corte Costituzionale non potrebbero essere chiamati a rispondere in sede civile, penale e amministrativa, i consiglieri del C.S.M. sarebbero protetti solo in sede penale, per le sole opinioni concernenti “ l’ oggetto delle discussioni ”17. La legge costituzionale n. 1 del 1989, innovando il precetto dell’art 96 Cost., dispone: “ Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera( se appartiene alla Camera dei Deputati ) o del Senato( se appartiene al Senato o non appartiene al Parlamento ) “. Aggiunge l’art. 9: “ l’ Assemblea può negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’ inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato E’ doveroso rendere al lettore alcuni passi della sentenza n. 148 del 1983, con la quale la Corte Costituzionale ha rigettato l’ eccezione di incostituzionalità dell’ art. 5 . I giudici , pur parlando di “ scriminante ” e di norma che “ esclude l’antigiuridicità del fatto “ , riconoscono all’ art 5 un ambito di applicazione diverso da quello delle scriminanti di diritto penale; più precisamente essa non può risolversi nella causa di giustificazione di cui all’ art 51 c.p. , perché oltre il semplice esercizio di un diritto e adempimento del dovere, questa norma ha voluto garantire ai consiglieri “ una qualificata e rafforzata libertà di manifestazione del pensiero, nell’ esercizio delle loro funzioni costituzionalmente garantite “ , al pari dell’art. 68 Cost. Ma, subito dopo, precisa che “ la scriminante in esame presenta un punto di contatto con la previsione dell’art. 598 c.p. - per il quale “ non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’ autorità giudiziaria, quando le offese concernono l’ oggetto della causa ” - …l’art 5 ha previsto una causa di non punibilità specifica “. Circa il problema relativo al grado della fonte che la prevede, la Corte precisa che in tema di cause di non punibilità, previste in vista dell’ esercizio di determinate funzioni, non è necessario un fondamento esplicito nelle norme costituzionali, potendo essere il legislatore ordinario ad introdurle “ purché le scriminanti così stabilite, siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco”. Il fondamento costituzionale dell’ art. 5, ad avviso della Consulta, sarebbe la peculiare posizione istituzionale del C.S.M. , “ organo di sicuro rilievo costituzionale e predisposto per rendere effettive l’ autonomia e indipendenza dell’ ordine giudiziario “. 17 RICCIO, cit. , p. 180 . Contra sembra ANTOLISEI, Manuale di diritto penale , p. 130 , il quale riconosce a tutte le ipotesi di immunità di diritto interno, compresa quindi quella dei consiglieri del C.S.M. , l’ efficacia in sede penale, civile e disciplinare. 16 -5- costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo “. Ancora l’art. 10: “ Nei procedimenti di cui all’art. 96 Cost., il Presidente del Consiglio, i Ministri, nonché gli altri inquisiti che siano membri del Parlamento, non possono essere sottoposti a misure limitative della libertà personale, ad intercettazioni, a sequestro di corrispondenza ovvero a perquisizioni personali o domiciliari, senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Non si applica il 2° comma dell’art. 68 Cost. ”. Ma di fondamentale importanza, per cogliere la ratio sottesa a questa previsione normativa, è il comma quarto, dove si dice: “ non può essere disposta l’applicazione provvisoria di pene accessorie che comportino la sospensione degli stessi dal loro ufficio “. In realtà, la dottrina ignora l’esistenza di queste norme nella trattazione sistematica delle immunità di diritto interno, il che può costringere a pensare che tali prerogative vadano escluse dall’analisi di questo istituto18. La legge n. 140 del 2003 ha introdotto, infine, una immunità processuale senza precedenti nel nostro ordinamento costituzionale. L’ art. 1 dispone che “ Non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione, il Presidente del Senato della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall’articolo 96 della Costituzione, il Presidente della Corte costituzionale ”. Inoltre, la stessa normativa ha sospeso, nei confronti dei soggetti citati, i processi penali in corso “ in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime “19. 3.Le immunità di diritto internazionale Le immunità di diritto internazionale, sono riconosciute nel nostro ordinamento in forza di trattati, convenzioni o accordi internazionali, ratificati e resi esecutivi con atto normativo interno, ovvero in forza dell’art. 10 Cost., secondo il quale “ l’ ordinamento giuridico italiano si conforma – automaticamente - alle norme del diritto internazionale ROMANO, cit. , p. 72 , inquadra questa previsione tra le “ particolarità di ordine processuale, disposte per esigenze di carattere politico “. SANTANIELLO-MARUOTTI, cit. , p. 108 , identifica espressamente la previsione dell’art. 10 l. cost. 1/89 come immunità processuale, ma inquadra la previsione dell’ art. 96 Cost. nell’ ambito delle immunità di diritto interno, senza specificarne la natura; stesso inquadramento in ANTOLISEI, cit. , p. 131 . 19 Per un commento complessivo sulla legge 140 del 2003 , vedi capitolo III . 18 -6- generalmente riconosciute( essenzialmente si tratta di principi e consuetudini internazionali) “20. Cercheremo adesso di descrivere nel modo più razionale possibile le principali ipotesi, con la doverosa precisazione, però, che la nostra è un’analisi meramente esemplificativa, propedeutica a capire l’aspetto più controverso dell’ intero fenomeno in analisi, cioè la natura giuridica delle immunità; ragion per cui, non ci si meravigli se verranno ignorati( rectius tralasciati ) tutti i problemi e le questioni, che meglio trovano terreno di studio nella disciplina del diritto internazionale. E’ opportuno incominciare da una figura essenziale nelle relazioni tra gli Stati, l’agente diplomatico. Il diritto internazionale consuetudinario riserva agli agenti diplomatici stranieri, all’ interno di ciascuno Stato, una serie di prerogative( c.d. immunità diplomatiche ), già codificate nella Convenzione di Vienna del 1961 sulla relazioni diplomatiche. La persona dell’agente diplomatico è inviolabile, non può essere sottoposto ad alcuna forma di arresto o di detenzione, ma soprattutto “ gode dell’ immunità dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario “ ( art. 31 ), anche se lo Stato accreditante può rinunciarvi ( art. 32 ). In proposito, bisogna distinguere tra atti compiuti dal diplomatico in quanto organo dello Stato e atti compiuti come privato 21. I primi sono coperti da una immunità funzionale, per cui l’ agente non può essere chiamato a risponderne, neanche dopo che le funzioni siano cessate ( art. 39 ). Per i secondi, compiuti prima o durante la carica, l’ immunità è solo processuale: questo significa che il diplomatico, solo finché è in carica, non può essere sottoposto ad alcun giudizio22. E’ utile precisare l’ esatta estensione di queste prerogative. Di solito, la qualifica di agenti diplomatici è adoperata per indicare i capi-missione( ambasciatori, ministri plenipotenziari), ma le immunità diplomatiche si estendono alle famiglie che con questi convivono, a tutto il personale diplomatico delle missioni( ministri, consiglieri) e alle loro famiglie, al personale tecnico e amministrativo della missione23. 20 La Corte costituzionale ammette che le immunità siano riconosciute attraverso una legge ordinaria, quando questa autorizza la ratifica di un trattato internazionale, recettivo di norme consuetudinarie internazionali e si trova, dunque , in armonia con l’art. 10 Cost. ( sent. n. 48/1979), oppure quando il trattato ratificato realizza le finalità di cui all’ art. 11 Cost. ( sent. n. 300/1984 ). 21 Sul punto CONFORTI, Diritto Internazionale , p. 219 e ss. 22 Secondo l’ art 39 , “ le immunità di una persona che cessa dalle funzioni, decadono dal momento in cui essa lascia il paese oppure al decorso di un termine ragionevole che le sia stato concesso… L’ immunità sussiste tuttavia per quanto concerne gli atti compiuti da tale persona nell’ esercizio delle sue funzioni “ . 23 CONFORTI, cit. , p. 219 e ss. -7- Meno incerta la posizione dei Capi di Stato esteri ed i Reggenti che si trovano in tempo di pace nel territorio italiano. Essi godono di una immunità totale24, che trova origine nel diritto internazionale generale, e che si estende al seguito e ai familiari che li accompagnano. Controversa, tuttavia, l’area dei comportamenti coperti da questa immunità: si discute se essa sia assimilabile a quella degli agenti diplomatici25 o se ne distingua, nel senso che il Capo di Stato estero non risponda penalmente, nemmeno dopo la cessazione delle funzioni26, di qualsiasi atto funzionale ed extrafunzionale, compiuto in costanza di carica. Il Trattato del Laterano, stipulato tra l’ Italia e la Santa Sede, e reso esecutivo con legge ordinaria del 1929, riconosce alla persona del Sommo Pontefice una immunità totale27. L’ art. 8 dichiara “ sacra e inviolabile “ la persona del Papa: tale riferimento normativo, già presente nella legge delle guarentigie, induce molti autori28 a non ravvisare il fondamento giuridico dell’ immunità, esclusivamente nella carica di Capo di Stato estero( lo Stato del Vaticano) che egli ricopre, ma nella sua altissima posizione spirituale di Capo della Cristianità. Secondo altri autori, invece, non è necessario operare alcuna distinzione tra il Pontefice e un Capo di Stato estero, per cui l’ immunità è imputabile solo alla carica istituzionale di Capo dello Stato del Vaticano29. Si ritiene, inoltre, che le immunità riconosciute ai diplomatici possano essere estese, in virtù del diritto internazionale consuetudinario, anche ai Ministri degli affari esteri 24 Cfr. PAGLIARO, cit., p. 216; MANTOVANI, cit., p. 820; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126; ANTOLISEI, cit. , p. 131. 25 In tal senso CONFORTI, cit. , p. 221 , secondo il quale le immunità diplomatiche spettano anche ai Capi di Stato ; MANZINI, Istituzioni di diritto penale italiano , p. 606 ; ROMANO, cit. , p. 75 : “ soluzione da preferire è quella secondo cui cessata la carica è possibile un giudizio su fatti non commessi in occasione dell’ esercizio delle funzioni. Soluzione questa che sembra da preferire per il nostro ordinamento, in parallelismo a quanto disposto per l’ immunità del Presidente della Repubblica ” . Analogamente QUADRI, Diritto internazionale pubblico, 1960 , p. 408 . 26 PAGLIARO, cit. , p. 218 e ss. : “ Il Pontefice e i Capi di Stato esteri non possono essere perseguiti per alcun fatto, né essere sottoposti a processo penale…l’ immunità non si esaurisce nell’ incapacità penale, accanto ad essa si deve considerare l’ incapacità ad essere imputato “ ; dello stesso avviso DOMINIONI, Immunità, extraterritorialità e asilo nel diritto penale internazionale, in Riv. It. Diritto e procedura penale , 1979 , p. 378 e ss. : per i Capi di Stato esteri non è necessario distinguere tra atti funzionali ed extrafunzionali . Mentre sono in carica, saranno incapaci ad assumere la qualità di imputato, una volta cessata la carica i giudici riacquistano la giurisdizione penale : ma per i fatti commessi duranti la carica , il processo dovrà concludersi con il proscioglimento, perché il fatto non costituisce reato. 27 Testualmente : “ L’ Italia considerando sacra e inviolabile la persona del Sommo Pontefice, punisce l’attentato, le ingiurie e le offese contro di Essa, allo stesso modo di quelle contro la persona del Re” . 28 ANTOLISEI, cit. , p. 134 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126 ; MANTOVANI, cit. , p. 820 ; MANZINI, cit. , p. 600 ; DOLCINI-MARINUCCI, cit. , p. 84 . Osserva BRUNELLI, Immunità , in Enciclopedia giuridica Treccani, p. 2 e ss. : “ Il Papa si colloca in una posizione di inviolabilità autonoma rispetto a quella degli altri Capi di Stato esteri, sia per i fatti commessi in costanza di carica, sia per la durata di questa , per quelli anteriori “ . 29 Così ROMANO, cit. , p. 75 ; PADOVANI, Codice penale , p. 40 ; PAGLIARO, cit. , p. 216 ; RICCIO , cit., p. 181 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 481 . -8- e ai Presidenti del Consiglio in visita ufficiale30. Più in generale, il diritto internazionale consuetudinario riconosce agli organi di Stati stranieri ( Capi di governo, membri del governo, missioni speciali e rappresentanti di Stati esteri in conferenze internazionali e in organizzazioni intergovernative), che non vengano a rientrare nella tutela accordata ai membri delle missioni diplomatiche in quanto tali ( leggi immunità diplomatiche), solo una immunità funzionale31. In forza del protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità europee, firmato a Bruxelles nel 1965, i Parlamentari europei, sul territorio nazionale, godono delle stesse immunità riconosciute ai membri del Parlamento del loro Paese( art. 10); inoltre “ non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell’ esercizio delle funzioni “ ( art. 9). Tuttavia, con la recente decisione del 3 giugno 200332, il Parlamento europeo ha approvato lo Statuto dei deputati: l’art. 4 prevede che il “ deputato non può essere in alcun momento perseguito a motivo delle azioni intraprese, dei voti o delle opinioni espresse nell'esercizio del proprio mandato, né può essere chiamato a renderne altrimenti conto in sede extragiudiziale. Su richiesta del deputato, il Parlamento decide se un'opinione sia stata espressa nell'esercizio del mandato “; mentre l’art. 5 dispone: “ Qualsiasi limitazione della libertà personale di un deputato è ammessa solo su autorizzazione del Parlamento, salvo in caso di flagranza di reato…Una indagine o un procedimento penale nei confronti di un deputato deve essere sospeso qualora il Parlamento lo richieda “ 33 I giudici della Corte internazionale di giustizia dell’ AJA godono, nell’ esercizio delle loro funzioni, dei privilegi e delle immunità diplomatiche34; mentre i giudici della Corte europea dei diritti dell’ uomo, nell’ esercizio delle funzioni e durante i viaggi compiuti nell’ esercizio delle funzioni, godono di una immunità da qualsiasi giurisdizione per quanto concerne gli atti compiuti nella veste ufficiale, incluse parole e scritti35. Immunità fondata sul diritto internazionale pattizio è quella dei funzionari consolari( consoli, vice consoli e agenti consolari ), i quali “ non sono perseguibili per gli atti compiuti 30 RICCIO, cit. , p. 182 ; CONFORTI, cit, p. 222 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 484 ; PAGLIARO, cit , p. 216 ; secondo FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126 , invece, l’ equiparazione può portare al riconoscimento solo di una immunità funzionale. 31 ROMANO, cit. , p. 75 e ss. ; PIERGALLINI, L’ art. 3 , in Codice penale : rassegna di giurisprudenza e di dottrina , diretta da G. Lattanzi , E. Lupo , p. 82 . 32 Si può trovare sul sito internet www.europalex.it . 33 Lo statuto entrerà in vigore nella prossima legislatura, con espressa eccezione dei citati articoli 4 e 5 , i quali entreranno in vigore al momento dell’ abrogazione dell’ art. 9 e 10 del protocollo . 34 Art. 19 dello Statuto della Corte. 35 Art. 2 del Protocollo addizionale all’ Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d’ Europa. -9- nell’ esercizio delle funzioni consolari “, espressamente indicate nella convenzione Vienna del 1963 sulle relazioni consolari. Ancora, va ricordata la Convenzione di Londra del 1951 tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico, la quale ha codificato un principio di diritto internazionale generale36, secondo il quale le truppe di uno Stato estero che, a prescindere da un conflitto bellico, soggiornano o transitano sul territorio di altro Stato con il suo consenso, sono immuni dalla legge penale di questo ultimo e sono soggette unicamente alla legge penale dello Stato cui appartengono (c.d. giurisdizione della bandiera ). 4.Le classificazioni operate dalla dottrina Prima di passare al tema centrale di questo capitolo, è opportuno dar conto di alcuni criteri di classificazione, che agevolano il tentativo di inquadrare le immunità per parametri comuni. Una prima contrapposizione, già emersa precedentemente, è quella tra immunità di diritto interno e immunità di diritto internazionale, in cui evidentemente va dato risalto alla fonte che ne autorizza l’ ingresso definitivo nel nostro ordinamento giuridico. Ma nella trattazione sistematica delle singole previsioni, ci si rende conto facilmente che il punto nevralgico è il contesto in cui opera l’ immune, il momento storico in cui l’atto è compiuto: torna sempre l’ inciso( atto, fatto, opinioni espresse, voti dati nell’) “ esercizio delle funzioni “37. Invero, la contrapposizione tra immunità funzionali ed extrafunzionali ruota attorno a questa espressione. L’ impostazione che meglio ha l’ effetto di chiarire i termini del problema, parte dalla distinzione tra oggetto e efficacia dell’ immunità38. Oggetto dell’ immunità può essere sia l’ attività funzionale sia l’attività extrafunzionale del soggetto: per questa via , l’ immunità funzionale riguarda i reati compiuti nell’ esercizio delle funzioni, l’ immunità extrafunzionale quelli commessi al di fuori di queste, e quindi l’attività privata39. Le immunità funzionali cessano con le funzioni, ma coprono definitivamente gli atti di cui eventualmente venga chiamato a rispondere l’ immune, venuta meno la funzione che le giustifica - che ne hanno rappresentato l’ esercizio, quando era in carica: ciò è reso necessario dall’ intimo compenetrarsi del fatto protetto con la funzione. Invece, l’ assenza 36 VINCIGUERRA, cit. , p. 484 . Basta rivedere l’art. 68, 90, 122 della Costituzione o l’art. 39 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. 38 RICCIO, cit. , p. 183 . 39 VINCIGUERRA, cit. , p. 480 ; ROMANO, cit. , p. 71 e ss. ; DOLCINI - MARINUCCI, cit. , p. 80 . 37 - 10 - dello stretto compenetrarsi degli atti privati, protetti dalle immunità extrafunzionali, con la funzione stessa, spiega perché queste, cessate con il venir meno della carica, non possano esimere l’ immune dal rispondere dei comportamenti extrafunzionali compiuti quando era ancora titolare della funzione40. Continuando in questa direzione, l’ efficacia dell’ immunità indica il suo ambito di applicazione: essa sarà di diritto sostanziale o processuale41. Ne deriva che sono immunità sostanziali( o ad efficacia sostanziale) quelle che producono i loro effetti tipici nell’ambito del diritto penale, immunità processuali( o ad efficacia processuale) quelle che esplicano i loro effetti nell’ambito del diritto processuale42. Solo che , tipicamente, le immunità ad efficacia sostanziale hanno ad oggetto proprio l’ attività funzionale e le immunità processuali, generalmente, hanno ad oggetto l’ attività extrafunzionale43. Visto al rovescio, le immunità funzionali sono anche sostanziali, mentre quelle extrafunzionali sono anche processuali44. Questa precisazioni non sono un semplice esercizio linguistico, tanto che alcuni autori superano la distinzione tra oggetto e ambito di applicazione dell’ immunità, arrivando a sostenere la totale coincidenza, a livello concettuale45 o sostanziale46, tra immunità sostanziali e funzionali, e tra immunità processuali ed extrafunzionali47. Ultima contrapposizione è quella tra immunità assolute e relative. La linea di demarcazione è segnata dal fatto che le prime guardano a qualsiasi reato commesso dal soggetto titolare, le seconde solo a talune fattispecie48. Prima di passare all’ analisi della natura giuridica delle immunità pare opportuna una precisazione, a chiusura di una fase dello studio meramente descrittiva. Un dato 40 VINCIGUERRA, cit. , p. 480 . RICCIO, cit. , p. 183 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 480 , distingue le immunità per tipo di ordinamento : “ Alcune riguardano il procedimento penale, altre operano esclusivamente nel dominio di diritto penale sostanziale “ . 42 DELOGU, L’ immunità penale dei consiglieri regionali , in Riv. It. Diritto e procedura penale , 1980 , p. 624 . 43 RICCIO, cit. , p. 183 . 44 VINCIGUERRA, cit. , p. 480 . 45 MANTOVANI, cit. , p. 817 , parla di “ immunità funzionali o sostanziali (…) ed immunità extrafunzionali o processuali “. 46 FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 122 , qualifica sostanziali le immunità concernenti gli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni, processuali quelle riferite agli atti estranei all’ esercizio delle funzioni e perseguibili dopo la cessazione della carica . 47 Si prenda , ad esempio , DOLCINI - MARINUCCI, cit. , p. 80 , che definisce immunità sostanziali quelle che coprono il fatto anche quando è venuta meno l’ immunità, e processuali quelle che coprono il fatto finché essa stessa perdura ; così pure PADOVANI, cit. , p. 38 ; PAGLIARO, cit. , p. 218 : “ l’ immunità di diritto sostanziale concerne i fatti commessi nel periodo di tempo in cui sussistono i presupposti dell’ immunità; e tali fatti sono sottratti alla sanzione penale anche dopo che l’ immunità è cessata. Un’ immunità di diritto processuale impedisce i processi penali finché l’ immunità dura; ma una volta cessata è possibile procedere per tutti i fatti ”. 48 RICCIO, cit. , p. 183 ; PADOVANI, cit. , p. 38 ; DOLCINI - MARINUCCI, cit. , p. 80 ; PICOTTI, cit. , p. 138 . Per MANTOVANI, cit. , p. 817 , sono relative “ quelle limitate ai reati commessi in costanza di carica “. 41 - 11 - certo, di cui può rendersi conto l’ interprete attento, è che le immunità non rivestono il carattere di posizioni sostanziali di privilegio, ma in linea generale sono prerogative strumentali per un corretto e neutrale svolgimento di specifiche funzioni o uffici del nostro sistema democratico49. Per le situazioni sopradescritte, contrassegnate e riconosciute in virtù della connessione con uno specifico ruolo del suo titolare, da un punto di vista linguistico l’ unico sinonimo possibile può e deve essere il termine “ prerogativa “50. “ Privilegio è la particolare situazione che deriva da nome dettate a favore esclusivo di determinati individui o classi di individui, chiaramente in contrasto con il principio di eguaglianza; e tal concetto mal si concilia con il trattamento riservato ai soggetti immuni, in quanto questo non è motivato da una favorabilitas irrazionale, ma dalla particolare funzione che i soggetti stessi svolgono e che li pone in una situazione diversa a quella del comune cittadino, si che gli estremi per denunciare la violazione del principio di eguaglianza mancano “51. 5.La natura giuridica delle immunità 5.1 Premessa: un problema di metodo Partiamo dai dati in nostro possesso. Sappiamo che le immunità descrivono fenomeni eterogenei, solo per comodità accomunati da un unico nomen iuris. Ne conosciamo, almeno in linea generale, l’ oggetto, l’ ambito di applicazione, la durata, le fonti. Chiedersi quale sia la natura giuridica delle immunità, significa domandarsi in quale degli istituti del sistema penale52, delle categorie del sapere giuridico-penale53, esse 49 ROMANO, cit. , p. 72 ; FIANDACA -MUSCO, cit. , p. 122 . Usano indistintamente i termini immunità e prerogativa, oltre gli autori citati nella nota precedente, ANTOLISEI, cit. , e SANTANIELLO – MARUOTTI, cit. 51 DELOGU, cit. , p. 623 . 52 RICCIO, cit. , p. 183 . 53 VINCIGUERRA, cit. , p. 500 . 50 - 12 - vadano collocate54. Il codice penale ha riconosciuto le immunità all’ interno del suo sistema, ma ha avuto presumibilmente la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un fenomeno in continua evoluzione, rispetto al quale non potesse prevedersi come le singole figure, riconosciute dal diritto interno e soprattutto dal diritto internazionale, si sarebbero atteggiate55. Salvo pensare ad un legislatore irrazionale, nulla questo poteva dire sulla collocazione sistematica delle immunità, negli istituti noti al momento dell’ entrata in vigore del codice penale; questo, in astratto, dovrebbe spiegare perché tale compito è stato lasciato all’ interprete. Se gli studiosi, sul punto, hanno formulato teorie così divergenti tra loro, una ragione è anche ascrivibile al diverso metodo di ragionamento utilizzato: ad avviso di chi scrive, in questo senso, si può parlare di problema di metodo. Per quanto non sia certo questa la sede per affrontare tale questione pregiudiziale, è vero che questa, come si vedrà, si rivelerà drammaticamente decisiva: privilegiare un metodo, significa guardare la fenomenologia dell’ istituto da una prospettiva diversa; e a premesse diverse, necessariamente conseguono conclusioni diverse. Un primo possibile modo di procedere è quello di “ partire dai dati noti( effetti giuridici normativamente prefissati) per poi arrivare al dato incognito( natura giuridica), e dedurne i principi che devono applicarsi a completamento di quelli che la legge ha indicato “56. Diversamente opinando, si arriverebbe ad una sorta di inversione metodologica, invero presente in molti autori57, tale per cui, “ lungi dal definire la natura giuridica dell’ immunità per derivarne il regolamento concreto, volendo evitare certi effetti dell’ immunità, ad essa si attribuisce aprioristicamente una natura giuridica che quelli possa escludere “58. DU PASQUIER, La theorie generale du droit, p. 114 : “ Determinare la natura giuridica di un istituto è determinare il suo posto nel sistema del diritto; è dunque accostarlo ad altri istituti di cui esso è parente e differenziarlo da altri … smontando il meccanismo dell’ istituto da definire, mettendo a nudo gli interessi sociali che esso è destinato ad affermare, per poi metterlo in rapporto coi principi del sistema per un confronto “ . 55 Non si può tacere che la stragrande maggioranza delle previsioni di immunità non potevano essere conosciute dal legislatore del 1930, essendo riconosciute dalla successiva Costituzione o da trattati internazionali stipulati e ratificati dopo decenni. 56 DELOGU, cit. , p. 626 . FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128, ritiene che per determinare la natura giuridica occorra individuare l’ effetto tipico dell’ immunità, nonché il contesto in cui essa opera. Dello stesso avviso PAGLIARO, cit. , p. 218 : “ una ricerca sulla natura giuridica non può essere condotta, non considerando i diversi tipi di effetto giuridico che di volta in volta si verificano. A diversità di effetto giuridico corrisponde diversa natura giuridica” . 57 Vedi VINCIGUERRA, cit. , p. 500 e ss. ; BELLAGAMBA, Sulla natura giuridica dell’ immunità , in Indice penale 2001 , p. 1265 e ss. 58 DELOGU, cit. , p. 625 : l’ A. si riferisce a BETTIOL ( Diritto penale , p. 195 ) ., secondo il quale l’ immunità non può essere un causa di esenzione del soggetto dall’ obbligo penale perché “ se veramente si trattasse di una solutio legibus , dovremmo ritenere inammissibile la legittima difesa nei confronti di tali soggetti, perché le loro azioni, in quanto sottratte alla possibilità di una qualificazione penale, non potrebbero mai costituire il pericolo di un’offesa ingiusta. Inoltre non sarebbe da ammettersi la possibilità di partecipazione di terzi al fatto delittuoso commesso da un soggetto che goda dell’ immunità” . 54 - 13 - Un altro comune modo di procedere è quello, da ultimo, descritto: per individuare la natura giuridica, “ non si può non tenere conto anche gli effetti giuridici, che necessariamente conseguono al tipo di scelta per cui si opta. Ciò in ossequio al canone ermeneutico della c.d. interpretazione realistica, secondo cui, tra le più interpretazioni possibili, nel dubbio, bisogna scegliere quella che porta a risultati accettabili, coerenti, non contraddittori o assurdi, partendo dal presupposto che nel mondo del diritto sono i concetti che devono essere elaborati in funzione pratica e non le conseguenze pratiche a dover essere adeguate ai concetti “59. Si può adesso passare all’ analisi concreta del problema, alla luce degli orientamenti storicamente consolidatisi in dottrina, premettendo che si darà conto prima delle c.d. tesi moniste60, quelle cioè che, per svista o per scelta, spiegano l’ immunità come fenomeno unitariamente inquadrabile all’ interno di un unico istituto, e poi delle tesi che diversificano la risposta in ragione delle diverse tipologie di immunità. 5.2 Le immunità come cause di esclusione della pena Dottrina consolidata quella che, per nulla scoraggiata dalla incontestabile eterogeneità dell’istituto in esame, risolve il problema della natura giuridica dell’ immunità come fenomeno unitario61. Bisogna, anzitutto, guardare agli elementi costitutivi della norma penale: “ Se è vero che la norma penale racchiude in sé due elementi, il precetto e la sanzione, e quindi due imperativi, uno rivolto all’ individuo perché si astenga da un dato comportamento lesivo e l’altro rivolto ai giudici perché, in caso di inosservanza del primo, applichino la sanzione, noi riteniamo che le immunità in discorso non incidano sulla validità ed efficacia dell’ elemento precettivo della norma penale, ma riguardino invece l’ elemento della sanzione. E’ questa che in tale ipotesi non può essere applicata, in quanto è l’ imperativo secondario che qui viene meno, quello rivolto ai giudici onde abbiano ad applicare la pena. Le immunità in discorso costituiscono cause personali di esenzione della pena “62. In definitiva, non è esclusa l’ esistenza del reato, ma solo la possibilità che 59 BELLAGAMBA, cit . , p. 1265 . VINCIGUERRA, cit. , p. 500 61 Di quanti ritengono che la tesi in esame possa essere applicata solo a talune fattispecie di immunità, si dirà più avanti. Per adesso, si da conto di quanti con essa spiegano tutte le ipotesi conosciute : sottolinea RICCIO, cit , p. 186 , che il merito della categoria dogmatica in esame è quello di abbracciare l’ intero fenomeno giuridico dell’ immunità. 62 BETTIOL, cit. , p. 196 . Dello stesso avviso ANTOLISEI, cit. , p. 134 e ss. ; GRISPIGNI, Diritto penale italiano , p. 370 ; SANTANIELLO - MARUOTTI , cit. , p. 20 . 60 - 14 - l’ immune venga punito; ecco scongiurati effetti giuridici altrimenti scomodi63: il suo comportamento potrà configurare un offesa ingiusta, ai fini dell’ammissibilità della legittima difesa, e i terzi, che abbiano concorso nella realizzazione del reato, potranno essere chiamati a risponderne. La ratio dell’ immunità va ravvisata in mere ragioni di opportunità64, in virtù delle quali il legislatore si sente legittimato ad escludere l’ applicazione della pena e di ogni altra conseguenza penale ( leggi misure di sicurezza )65. E’ stato obiettato ai sostenitori di questa tesi, di essersi limitati a dare della categoria della causa di non punibilità una definizione puramente tautologica, caratterizzandola esclusivamente in base all’ effetto che le situazioni, che in essa rientrano, producono: cioè la mancata applicazione della pena. Il che, nel quadro di un codice che espressamente ha voluto usare come unica formula, per designare tutti i casi nei quali la pena non si applica, qualunque ne sia la causa, la formula “ non è punibile “, rimettendo alla dottrina di individuare quale la causa delle varie ipotesi di non punibilità 66. In definitiva, rimarrebbe imprecisata la causa giuridica di quella esenzione dall’ applicazione dalla pena: “ non può certo ritenersi soddisfacente la tesi di chi voglia cogliere il dato finale del fenomeno, pretendendo di circoscrivere negli stessi limiti la causa giuridica. Dire in sostanza che i soggetti immuni vanno esenti da pena, perché sottratti all’efficacia della sanzione…non significa risolvere, ma solo rinviare il problema dell’ immunità ”67. 5.3 Le immunità come eccezioni al principio di obbligatorietà della legge penale L ’ art. 3 c.p., affermando il principio di obbligatorietà della norma penale, ne determina altresì i destinatari; al contrario, facendo salve le eccezioni di diritto pubblico interno e di diritto internazionale, riconosce, a quanti rientrano in quelle situazioni 63 Vedi nota n. 58. MANTOVANI, cit. , p. 823 : “ Nella moderna realtà costituzionale il fondamento politico istituzionale delle immunità presidenziali è la opportunità, la convenienza, di assicurare la continuità e la indipendenza delle funzioni di Capo dello Stato…Per le immunità parlamentari è l’ opportunità di evitare il pericolo che, attraverso la possibilità di perseguire le opinioni e voti espressi, si perseguitino i parlamentari per ragioni ideologiche e sopraffatrici. E per le immunità di diritto internazionale è l’ altrettanto evidente ragione di opportunità politica nei rapporti tra gli Stati. Pertanto la categoria dogmatica più idonea ad esprimere la moderna essenza opportunistica delle immunità è quella delle cause di esclusione della pena, che esonerano da pena per un fatto che è e deve essere – anche per non trascurabili ragioni di principio – reato” . 65 MANTOVANI, cit. , p. 822 e ss. , il quale parla indifferentemente di cause di esclusione della pena o cause di esclusione della punibilità. 66 DELOGU, cit. , p. 630 e ss. 67 DELL’ANDRO, Capacità giuridica penale , in Enciclopedia del diritto , p. 117 . 64 - 15 - eccezionali, di non essere obbligati ad osservare la norma penale. Logicamente, ciò equivale a dire che gli immuni non rientrano tra i destinatari del precetto: “ dire che il precetto si rivolge a taluno, che non è obbligato ad osservarlo, è lo stesso come dire che il precetto non gli si rivolge”68. Evidente è lo scarto con la tesi esposta nel paragrafo precedente: rispetto al soggetto immune, la legge penale non viene giudicata solo inapplicabile, ma addirittura inesistente, tanto come precetto che come sanzione. Gli immuni “ avranno l’ obbligo morale di non delinquere; non sono tenuti, invece da nessun obbligo giuridico, perché la legge stessa li esime, in tutto o in parte da qualsiasi dovere “69. Naturali corollari, sulla base di questa soluzione giuridica, sono la responsabilità per fatto proprio degli eventuali concorrenti e l’ inammissibilità della legittima difesa. Non poche, in realtà, le critiche opposte a questa impostazione. La dottrina più recente guarda all’ art. 3 c.p. come una proiezione o concretizzazione del più generale principio di eguaglianza, garantito dalla Costituzione70. Il problema dei destinatari della legge penale, e quello della applicabilità di essa, sono profondamente distinti sul piano logico, politico, giuridico. Le norme penali recano un messaggio valutativo di tutela e rafforzamento di valori, che deve intendersi destinato a tutti i consociati71. Per cui, nel sistema codicistico, l’ art 3 c.p. nulla può dire circa i destinatari della norma penale e, a fortiori72, nulla se ne potrà ricavare al fine di annoverare gli immuni tra i soggetti cui la legge non è rivolta. Questi, al contrario, sono obbligati al pari degli altri individui della comunità al rispetto della norma penale, ma sono titolari di situazioni eccezionali in cui essa non trova applicazione. Le persone che fruiscono delle prerogative non sono legibus solutae73, perché, per la loro posizione elevata, sono più delle altre tenute all’osservanza della legge, e “ non è necessario ricorrere all’ artificio di svellere tali soggetti dai cardini giuridico-penali su cui nello Stato moderno vengono posti indistintamente tutti i soggetti ”74. A conferma di questa impostazione si potrebbe richiamare l’art. 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, ove si ribadisce espressamente che gli immuni “ hanno il dovere di osservare le leggi e i regolamenti dello Stato presso i quali 68 Il ragionamento esposto è di PANNAIN , Manuale diritto penale , p. 80 . MAGGIORE, cit. , p. 140 , con riferimento alle immunità di diritto interno e al Pontefice. Di soggetti “ legibus soluti “ ha parlato NUVOLONE, Il sistema del diritto penale . 70 Su tutti ANTOLISEI, cit. , p. 128 e ss. ; FIANDACA-MUSCO, cit . , p. 121 ; MANZINI, cit. , p. 597 . 71 ROMANO, cit. p. 70 . 72 Ricostruzione presente in ROMANO, cit. , p. 70 . 73 RANIERI, Diritto penale , p . 160 : “ Il principio di obbligatorietà della legge penale italiana per coloro che si trovano nel territorio dello Stato ha carattere di assolutezza “ . 74 BETTIOL, cit. , p. 195 . 69 - 16 - sono accreditati “; così come l’ art. 54 Cost. impone ai parlamentari di “ essere fedeli alla Repubblica e osservarne la Costituzione e le leggi ”; lo stesso emergerebbe dall’ art. 91 Cost., per il Presidente della Repubblica, con il richiamo alla fedeltà e osservanza alla Costituzione. 5.4 Le immunità come cause di incapacità penale A differenza della capacità giuridica di diritto civile, la capacità di diritto penale non trova puntuale riscontro nel diritto positivo. E’, tuttavia, possibile affidarsi ad una puntuale definizione, secondo la quale “ è penalmente capace la persona che è titolare di rapporti giuridico – penali …La capacità è l’ attitudine ad essere titolare di doveri, di situazioni soggettive giuridico-penali sfavorevoli ed assoggettato a sanzioni “75. Ancora più preciso chi parla di “ idoneità a fungere da punto di imputazione dell’ illecito penale e della rispettiva sanzione, tale per cui la capacità giuridica penale fa difetto tutte le volte in cui, pur commesso un fatto qualificabile in astratto come reato, non sia possibile attribuire al suo autore l’ illecito e la sanzione ”76. Il collegamento tra la capacità di diritto penale e il tema della natura giuridica dell’ immunità, fulcro della tesi in esame, lungi dall’ essere seriamente innovativo, si inserisce nel solco già tracciato dai fautori della teoria esposta nel paragrafo precedente: la vera novità, però , sta nell’ aver spiegato “ dogmaticamente “77( e quindi giustificato giuridicamente) le eccezioni al principio di obbligatorietà, di cui parla la lettera dell’ art. 3 c.p., qualificandole come ipotesi di incapacità penale78. Seguendo questo ragionamento, le immunità sono cause di esclusione della capacità penale o, meglio, requisiti negativi di tale capacità, cioè requisiti che devono mancare perché questa sussista. In qualità di soggetto penalmente incapace, l’ immune non può essere titolare del( e quindi al lui non si estende il) dovere di astensione dal fatto di reato, e assoggettabile a sanzione79. A chi obietta la sussistenza, anche per gli immuni, di prescrizioni da cui deriva il dovere di conformarsi al disposto della norma penale, viene 75 GALLO, Capacità penale , in Novissimo Digesto Italiano , p. 883 . PAGLIARO, cit. , p. 218 . 77 PAGLIARO, cit. , p. 220 . 78 PAGLIARO, cit. , p. 220 , con riferimento alla posizione del Pontefice e dei Capi di Stato esteri : “ La limitazione dell’ obbligatorietà non può essere spiegata in sede dogmatica, se non supponendo una posizione di incapacità penale dei soggetti non obbligati “. 79 GALLO, cit. , p. 883 e ss. ; PAGLIARO, cit. , p. 220 : “ Non è possibile scindere il momento precettivo dal momento sanzionatorio. Nell’ atto stesso, in cui si afferma che già in astratto le sanzioni non sono applicabili a un soggetto per un determinato fatto, si predica la liceità penale di quel fatto ”. 76 - 17 - replicato che quest’ ultimo è, per il soggetto immune, “ un dovere etico - sociale, oppure un dovere internazionale, che nessuna rilevanza ha per il diritto penale interno “80. Circa l’ esatto ambito di applicazione di questa teoria, vi sono autori disposti a ricondurvi tutte le ipotesi di immunità81 e studiosi che ad essa ascrivono solo talune fattispecie. In questo ultimo caso, si propone una bipartizione tra immunità, giustificabili in virtù di ragioni di interesse pubblico, quali cause “ politiche “ escludenti la capacità di diritto penale, ed immunità non escludenti la capacità di diritto penale82. Qualunque ne sia la esatta estensione, questa sistemazione dogmatica “ non impedisce che il fatto possa essere illecito in base a norme extrapenali o per valutazioni sociali del giusto e dell’ ingiusto“83, per cui non viene esclusa né l’ ammissibilità del concorso di terzi, nel fatto commesso dall’ immune , né l’ammissibilità della legittima difesa84. 5.5 Le immunità come elementi negativi del reato Il ragionamento proposto parte dalla considerazione degli elementi costitutivi del reato, per includervi , in qualità di presupposto negativo, la mancanza di esimenti, cioè “ di ogni circostanza che osti alla sussistenza del reato “85: questa attitudine si riscontra nelle cause di giustificazione, nelle cause di immunità, nelle cause speciali di non punibilità. All’ interno del genus delle esimenti, le cause di immunità sono, dunque, una species, e si manifestano come “ condizioni personali che una norma prevede incompatibile con la responsabilità penale. La configurazione di cause di immunità trova fondamento in ragioni di opportunità, relative a rapporti internazionali, e che si distinguono dalle cause di giustificazione, non comportando, a differenza di quelle, la convenienza che 80 PAGLIARO, cit. , p. 220 . Fra tutti GALLO, cit. , p. 884 , secondo il quale “ ogni ipotesi di immunità da luogo a fenomeni di incapacità, assoluta se l’ irresponsabilità si estende a tutti i reati, parziale se riguarda solo alcune illeciti penali ”. Più preciso CONTENTO, cit. , p . 156 , il quale parla , a proposito delle ipotesi concernenti il Presidente della Repubblica, i parlamentari, i consiglieri regionali e i giudici della Corte Costituzionale, di “ incapacità parziale, perché limitata agli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni “ ; mentre di “ incapacità assoluta per i Capi di Stato esteri, tra cui il Pontefice ”. 82 La distinzione si deve al MANZINI, cit. , p. 594 e ss. : l’ A. inquadra nel primo gruppo quelle del Presidente della Repubblica e del Pontefice. Mentre nel secondo gruppo, vi sono le immunità che non escludono la capacità di diritto penale, ma solo l’applicazione della legge : le immunità diplomatiche, dei parlamentari, dei consiglieri regionali. Ma analogamente PAGLIARO, cit. , p. 220 : “ l’ incapacità generale è dovuta a qualifiche di notevole rilievo sociale e giuridico, quale il Pontefice e i Capi di Stato estero, che esclude l’ imputazione di qualsiasi reato, né ai fini dell’attribuzione di una pena, né ai fini della misura di sicurezza ”. 83 PAGLIARO, cit. , p. 220 . 84 GALLO, cit. , p. 884, secondo il quale l’ ingiustizia dell’ offesa non passa solo dalla violazione del precetto in quanto penale, ma da qualsiasi contrasto con i precetti dell’ ordinamento giuridico. 85 BOSCARELLI, Compendio di diritto penale , p. 51 e ss. 81 - 18 - il conflitto tra l’ interesse di cui un fatto di reato comporti l’ offesa e un interesse che quel fatto valga a soddisfare, sia risolto a favore dell’ uno o dell’altro: così ad esempio per il Capo di Stato estero, la irresponsabilità è dovuta solo a ragioni di opportunità politica. Stesso discorso per il Pontefice. Le cause speciali di non punibilità, sono come le immunità, dovute a ragioni di mera opportunità, ma a differenza di queste non sono condizioni personali dell’agente, ma consistono in particolari modalità di realizzazione del fatto di reato, cioè nell’ esercizio delle funzioni: in questa categoria rientrano tutte le ipotesi di prerogative attinenti all’ esercizio delle funzioni, sia di diritto interno che internazionale (Presidente della Repubblica, parlamentari, consiglieri regionali, giudici della Corte Costituzionale, agenti diplomatici, organi di Stati stranieri e organizzazioni internazionali). Le cause di immunità e le cause speciali di non punibilità, in qualità di esimenti, escludono non solo l’applicazione della pena, ma la stessa sussistenza del reato” 86 . 5.6 La dottrina più recente e le tesi diversificate La dottrina più recente si contraddistingue per un diverso approccio al problema della natura giuridica. Consapevole delle diversità delle singole fattispecie di immunità e, di conseguenza, della difficoltà di elaborare un unico inquadramento giuridico che quelle sappia cogliere e coniugare, essa ha operato una distinzione tra immunità funzionali ed extrafunzionali, tra immunità di diritto interno e di diritto internazionale, per giungere a conclusioni specifiche per ognuna delle categorie di riferimento87. a) Immunità di diritto interno e cause di giustificazione. Dall’ esegesi delle norme costituzionali emerge, con estrema linearità, che i soggetti destinatari di immunità sostanziali, lo sono se e nei limiti dell’ esercizio della funzione: ogni dubbio in proposito può essere fugato, prima ancora che dalla logica, dal tenore letterale delle fonti88. Se questa premessa è condivisibile, non si può tacere che una pubblica funzione in tanto è BOSCARELLI, cit. , p, 54 e ss. Molto vicina a questa impostazione, quella di DELL’ANDRO, cit. , che inserisce le immunità sostanziali nella fattispecie legale, come suoi elementi negativi: detta fattispecie risulta, infatti dalla norma incriminatrice e ogni altra disposizione che questa limiti o condizioni nella sua applicabilità; le norme che prevedono le immunità assolute ( Pontefice, capi di Stato ) limitano la norma incriminatrice perché ne escludono l’ applicazione a determinati soggetti. In definitiva il fatto commesso dall’ immune non è conforme alla fattispecie. 86 87 Di questo avviso PADOVANI, cit. , p. 38 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128 ; ROMANO, cit. , p. 78 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 500 e ss. ; PAGLIARO, cit. , p. 218 e ss. 88 DELOGU, cit. , p. 634 . - 19 - attribuita ad un organo, in quanto esiste un sostrato di “ interessi pubblici da gerire e assicurare ”89. Sono interessi non del soggetto che impersona l’ organo, ma interessi pubblici di cui tutti i cittadini possono pretendere il soddisfacimento90. L’ humus dell’ immunità sostanziale diventa, per questa via, la necessità di garantire il soddisfacimento di un interesse fondamentale per la vita dell’ ordinamento: “ ogni qualvolta un interesse di minor rilevanza entri in conflitto con uno degli interessi facenti capo alla funzione e garantiti attraverso il suo esercizio, il conflitto non può essere risolto che affermando la prevalenza del secondo e la soccombenza del primo “91. Questo ragionamento porta ad inquadrare le immunità funzionali di diritto interno nell’alveo delle cause di giustificazione92, istituto nel quale è ravvisabile l’ eadem ratio, e nel quale la dialettica di un conflitto di interessi viene risolta in favore dell’ interesse prevalente. Alla base della concessione di un’immunità sostanziale vi sarebbe, dunque, un conflitto di interessi, rispetto al quale il nostro ordinamento manifesta “ un esplicito intento a che prevalga l’ interesse alla cui soddisfazione è deputato lo svolgimento della funzione, di cui è titolare l’ immune “93. L’ ultimo problema che si pone all’ interprete, è quello di riconoscere in quale delle previsioni codicistiche può essere collocata questa ipotesi particolare. A tal proposito, si è richiamato l’ art. 51 c.p., la cui ratio è quella di espellere dal nostro ordinamento evidenti antinomie: “ antinomia vi sarebbe qualora l’ ordinamento riconoscesse da un lato l’esercizio di un diritto, imponesse l’adempimento di un dovere e punisse chi il diritto esercita, il dovere adempie, dall’ altro. Questa ratio è alla base anche dell’ immunità sostanziale: sarebbe assurdo investire un soggetto di una funzione, per poi punirlo ove compia atti che ne manifestino l’ esercizio “94. In conclusione, le immunità funzionali riconosciute dal diritto interno rientrano nella fattispecie e nella disciplina dell’ “ esercizio di un diritto o all’ adempimento di un dovere “ ai sensi dell’ art. 51 c.p., con l’ opportuna precisazione che, rispetto alle normali ipotesi, si DELOGU, cit. , p. 633 . Si veda, in proposito, l’ art. 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989 a proposito dei reati ministeriali : “ l’ Assemblea può negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’ inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. 90 TRAVERSA, Le prerogative dei membri del Parlamento , p. 33 e ss. 91 DELOGU, cit. , p. 634 . 92 Fautori dell’ inquadramento nelle cause di giustificazione sono PAGLIARO, cit. , p. 221 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128 ; PADOVANI, cit. , p. 38 ; ROMANO, cit. , p. 78 ; anche la Corte Costituzionale ( vedi nota n. 16 ) sembra essere di questo avviso, almeno con riferimento alla guarentigia dei consiglieri del C.S.M. 93 DELOGU, cit. , p. 634 . 94 DELOGU, cit. , p. 636 . 89 - 20 - registra “ un ampliamento alle estrinsecazioni modali, dovuto alla natura politica delle funzioni “95. Se le promesse sono esatte, si capisce perché il fatto coperto dall’ immunità non è punibile , neanche quando il beneficiario perda l’ investitura della funzione che ne è il presupposto: se il fatto è lecito nel momento in cui è commesso, logica vuole che non possa diventare antigiuridico successivamente. Non essendoci “ un fatto previsto dalla legge come reato “, manca il presupposto per l’applicazione di misure di sicurezza ex art. 202 c.p. Inoltre, non c’ è un reato alla cui commissione altri possano concorrere ex art. 110 c.p. e, soprattutto, un fatto contra ius che autorizzi il ricorso alla legittima difesa contro di esso96. Un problema non marginale è se l’ immune sia assoggettabile a processo, per valutare se l’atto, l’ opinione o il voto rientri o meno nell’esercizio delle funzioni: anche qui, ovviamente , opinioni distanti. Chi lo esclude97, ritiene più corretto ricostruire le immunità in questione, anche come cause di esenzione dal processo; altri98 ritengono, al contrario, possibile e necessaria una sentenza di proscioglimento nel merito, e la formula di proscioglimento sarà “ il fatto non costituisce reato “. b) Immunità funzionali e cause di esclusione della pena. Questa linea di pensiero, in realtà non innovativa99, ritiene di potere identificare un unico comune denominatore rispetto alle immunità funzionali, siano esse riconosciute dal diritto interno che dal diritto internazionale. Pur diversa la fonte, infatti, non differirebbe la ratio, trattandosi di prerogative concesse a garanzia del libero esercizio di funzioni istituzionali: “ che poi le funzioni siano rilevanti in ambito costituzionale o internazionalistico, poco cambia, essendo relative a situazioni accomunate dalla opportunità che lo Stato avverte di rinunciare alla irrogazione della pena, qualora essa risulti incompatibile con l’adeguato espletamento delle mansioni affidate a chi può beneficiarne “100. Le immunità funzionali sono, per questa via, cause di esclusione della sanzione penale, essendo questo inquadramento l’ unico rispettoso della ratio dell’ istituto. Risolvere queste immunità nel sistema delle cause di giustificazione, significherebbe 95 PAGLIARO, cit. , p. 221 . DELOGU, cit. , p. 638 . 97 ROMANO, cit., p. 78 . 98 PAGLIARO, cit. , p. 221 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 501 : “ le immunità funzionali vanno accertate nel procedimento penale “. 99 Si inserisce nel quadro già visto al paragrafo 5.2 . 100 BELLAGAMBA, cit. , p. 1281 . 96 - 21 - condividere l’ esclusione della punibilità dei terzi, eventuali concorrenti nel reato, e della ammissibilità della legittima difesa. Ma data “ la inaccettabilità di queste conclusioni… il miglior partito è quello di ritenere che l’ immunità funzionale non cancella la criminosità del fatto, come se fosse una scriminante, e che la sua efficacia si esaurisce nel sottrarlo alla sanzione penale : non causa di esclusione della sola pena, ma anche di qualsiasi misura di sicurezza “101. Naturale corollario sarà la dissociazione tra la forza obbligante della norma penale, che rimane anche rispetto all’ immune, e la produzione di conseguenze penali, che rispetto ad esso non opera. c) Immunità funzionali ed extrafunzionali di diritto internazionale. Le fonti delle immunità extrafunzionali sono, in genere, di diritto internazionale. La ratio di queste norme è di evitare che un soggetto, che agisce in nome e per conto del suo Stato, abbia a subire un processo da uno Stato straniero, per un fatto attinente la sfera privata, ma pur sempre commesso nell’arco temporale in cui è in carica102: ragioni di mera opportunità politica nei rapporti tra gli Stati, dunque, tali da determinare una rinuncia a sindacare il comportamento dell’ immune, non in base ad una valutazione obiettiva del suo operato, ma in virtù della particolare posizione che egli ricopre nel momento in cui commette il reato103. Rinunciando ad esercitare la giurisdizione su fatti non riconducibili all’ esercizio delle funzioni dell’ immune, ma il cui sindacato si risolverebbe in una parziale limitazione della libertà d’ azione, che deve accompagnare l’assolvimento dell’ ufficio di cui egli è investito104, lo Stato assicura il libero e indisturbato assolvimento delle funzioni105: l’ immunità ha necessariamente carattere processuale. Lungi dall’ essere dispensato dall’osservare la legge, l’ agente è immune dalla giurisdizione finchè si trova nel territorio dello Stato che lo riceve, e finchè esplica le sue funzioni. Una volta che la qualità di agente sia venuta meno, egli potrà essere chiamato a rispondere degli atti o dei reati compiuti quando rivestiva tale qualità, salvo si tratti di atti 101 VINCIGUERRA, cit. , p. 502 . BELLAGAMBA, cit. , p. 1280 . 103 ROMANO, cit. , p. 79 . 104 BELLAGAMBA, cit. , p. 1281 . 105 CONFORTI, cit. , 221 . 102 - 22 - compiuti nell’ esercizio delle funzioni, coperti definitivamente, anche dopo la cessazione della carica106. L’art 39 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, a conferma di ciò, prevede che “ i privilegi e le immunità di una persona che cessa dalle funzioni, continuano ad esistere solo fin quando l’agente non lasci il paese, o comunque per un lasso ragionevole di tempo necessario a tal fine “. Questo dato normativo dovrebbe escludere la sussistenza di una causa di esclusione della pena, atteso che lo stesso fatto sarà punibile in seguito107, una volta cessata la funzione che è presupposto dell’ immunità; vero è, allora, che lo Stato sceglie solo di frapporre un limite temporaneo all’ esercizio del proprio potere giurisdizionale, tale per cui l’immunità extrafunzionale si risolve in una temporanea esenzione dal processo( e quindi dalla giurisdizione)108: non è, così , esclusa l’ illiceità del fatto, l’ ingiustizia dell’ offesa ai fini della legittima difesa, la punibilità del concorrente. Sul solco tracciato da questa impostazione, altri autori109 hanno ricondotto le immunità extrafunzionali nell’alveo dell’ incapacità processuale, cioè dell’ incapacità di assumere la qualità di imputato: in sostanza, l’ esenzione temporanea dalla giurisdizione penale si spiega giuridicamente come incapacità processuale del soggetto immune; una esenzione talmente forte, che il processo eventualmente celebrato sarebbe inesistente110. Per questa via, cessata la carica stessa, l’ immune potrà nuovamente essere sottoposto a procedimento penale, anche per i fatti commessi in costanza di carica: e, se si tratta di fatti compiuti nell’ esercizio delle funzioni, coperti definitivamente dalla immunità di diritto sostanziale, il processo sarà rivolto solo a prosciogliere nel merito l’ immune111. Rispetto alle immunità funzionali112, il contrasto in dottrina è più vivace. E’ forte , presso gli studiosi di diritto internazionale, l’ idea che esse siano riconosciute, non solo per garantire l’ indisturbato espletamento delle funzioni dei titolari, in questo per nulla discostandosi dalle immunità extrafunzionali, ma soprattutto perché gli atti compiuti nell’ Vedi per conferma l’art. 39 Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. ROMANO, cit. , p. 79 . 108 Conclusione di BELLAGAMBA, cit., p. 1281 e ROMANO, cit. , p. 79 . 109 PAGLIARO, cit. , p. 222 ; DOMINIONI, cit. , p. 390 : “ L’ impossibilità di perseguire l’agente diplomatico anche per i fatti commessi prima dell’ inizio delle funzioni evidenzia un limite all’esercizio del potere giurisdizionale. L’agente diplomatico – per gli atti anteriori all’ assunzioni delle funzioni e , nel periodo coperto da queste, per gli atti compiuti in veste di individuo privato – gode soltanto di una esenzione dalla giurisdizione penale, cioè è sprovvisto della capacità ad assumere la condizione ad essere imputato“ . 110 PAGLIARO, cit. , p. 223 . 111 Così PAGLIARO, cit. , p. 223 . Se si accettasse la tesi del ROMANO , esposta avanti, secondo cui le immunità funzionali rappresentano un limite definitivo all’ esercizio del potere giurisdizionale, non sarebbe possibile neanche un processo che prosciolga nel merito l’ immune per i fatti compiuti nell’ esercizio delle funzioni. 112 Non si dimentichi la dottrina ( vedi lettera b di questo paragrafo ) , che qualifica le immunità funzionali di diritto interno e di diritto internazionale, sempre come cause di esclusione della sanzione. 106 107 - 23 - esercizio delle funzioni sono direttamente ascrivibili allo Stato straniero, nel cui interesse abbia agito113; questo spiegherebbe, altresì, perché l’ immune non può essere chiamato a rispondere di quei comportamenti , neanche dopo la cessazione della carica. Alcuni studiosi di diritto penale, invece, nel solco delle valutazioni fatte in merito alle immunità di diritto interno, hanno ritenuto che nessuna distinzione potesse essere fatta con queste, ragion per cui anche le immunità funzionali riconosciute dal diritto internazionale sono state ricondotte tra le cause di giustificazione(esercizio del diritto, adempimento del dovere) 114. Di diverso avviso altri autori. Nel caso specifico,il nostro ordinamento non opererebbe valutazioni in termini di preminenza di un interesse confliggente con altro: l’ immunità è dovuta in ragione di una esigenza di pacifica convivenza tra i popoli 115; non una causa di giustificazione, ma un limite assoluto e definitivo all’ esercizio del potere giurisdizionale116. Se ciò fosse vero, neanche cessata la carica, sarebbe possibile attivare un procedimento penale finalizzato ad assolvere nel merito l’ immune. CAPITOLO II L’ INSINDACABILITA’ PARLAMENTARE 1. L’ insindacabilità parlamentare : origini e significato L’ esigenza di riconoscere ai membri del Parlamento talune guarentigie, in stretta connessione con la carica istituzionale ricoperta, non ha caratterizzato esclusivamente l’ esperienza costituzionale italiana, ma trova puntuale manifestazione in altre democrazie europee117. Indipendentemente dalle evoluzioni, dai contorni e dalle implicazioni, che 113 Così per le immunità diplomatiche CONFORTI, cit. , p. 220 . PAGLIARO, cit. , p. 221 , fatta eccezione del Pontefice e dei Capi di Stato esteri, per i quali parla di incapacità penale . Altrettanto DOMINIONI, cit. 115 ROMANO, cit. , p. 80 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128 ; emblematico MANZINI , cit. , p. 604 : “ è preferibile che il delinquente diplomatico si salvi, piuttosto che si sollevi un pericoloso e molesto incidente internazionale “ . 116 ROMANO, cit. , p. 80 , che non esclude si possa altresì “ porre l’accento sull’ illiceità del fatto e sull’esistenza di una causa di esclusione della sanzione “. 117 In Spagna, la Costituzione del 1978 riconosce ai Deputati e ai Senatori la garanzia dell’ inviolavilidad, cioè dell’ “ inviolabilità per le opinioni manifestate nell’ esercizio delle loro funzioni “ ( art. 71, comma 1° ). In Francia, la Costituzione della V Repubblica riconosce ai parlamentari la prerogativa dell’ irresponsabilità, per la quale “ nessun membro del Parlamento può essere perseguito, ricercato, arrestato, detenuto o giudicato per le opinioni o i voti espressi nell’ esercizio delle funzioni “ ( art. 26, comma 1° ). 114 - 24 - ciascun contesto nazionale ha vissuto nel corso dei secoli, a noi giova guardare alla fenomenologia delle guarentigie parlamentari all’ interno dell’ esperienza giuridica italiana, con specifico interesse per la prerogativa della “ insindacabilità “ delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle funzioni parlamentari. La guarentigia in esame, lungi dal rappresentare una novità della Carta fondamentale, ha fondamenta ben solide: lo Statuto Albertino118, già affermava che “ i senatori e i deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere “. E’ in questo scenario, e nel contesto già consolidatosi in Europa nei secoli precedenti119, che va inquadrata la nascita dell’art. 68 Cost.: dai lavori dell’ Assemblea Costituente non emerge assolutamente un dibattito sull’ opportunità di collocare o meno le prerogative parlamentari nel tessuto costituzionale in divenire, giacché esse erano saldamente entrate a far parte della tradizione italiana e, quindi, la loro riconferma, in modo non dissimile da quelle precedenti, apparve un fatto scontato 120. L’ unico dibattito si svolse in sottocommissione, e marginalmente in Assemblea, tra l’altro su aspetti di interesse tecnico. L’attenzione dei costituenti si concentrò sulla disciplina della inviolabilità penale, in merito alla quale furono presentati due progetti non molto dissimili tra loro. Fu solo durante la discussione di queste due proposte, che il relatore Mortati chiese l’aggiunta di un comma, che così recitava: “ I deputati non possono essere chiamati a rispondere in via giudiziaria o disciplinare dei voti o delle opinioni espressi nell’ esercizio delle funzioni. Una responsabilità per le dichiarazioni formulate non può essere fatta valere se non dalla stessa Camera “121. La sottocommissione approvò solo la prima parte, lasciando fuori il problema della responsabilità disciplinare, giungendosi così in Assemblea alla stesura L’ esperienza costituzionale tedesca ci consegna l’ indemnitat, cioè l’ irresponsabilità dei parlamentari, secondo la quale “ un deputato non può essere perseguito in sede giudiziaria o disciplinare, né esser chiamato a render conto fuori del Bundestag per le opinioni espresse e i voti dati nel Bundestag od in una delle sue Commissioni. Questa disposizione non si applica in caso di ingiurie diffamanti “ ( art. 46, comma 1° ). Nel Regno Unito , in assenza di una costituzione scritta, deve ritenersi ancora applicabile l’ art. 9 dell’ Ancient Bill of Rights del 1688 : “ la libertà di parola o le discussioni o i dibattiti in Parlamento, non devono essere incriminati o contestati in alcuna corte o in altro luogo fuori del Parlamento ” . 118 Lo statuto Albertino prevedeva , inoltre, la “ giurisdizione domestica “ per i senatori, mentre per i deputati la garanzia del previo consenso della Camera alla traduzione in giudizio o all’arresto da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria . 119 Si veda l’ Ancient Bill of Rights, citato nella nota precedente, o la Costituzione francese del 1791 ( “ I rappresentanti della Nazione sono inviolabili : essi non possono essere sottoposti a inchieste, accuse o giudizi in alcun tempo per ciò che avevano detto, scritto o fatto nell’ esercizio delle loro funzioni di rappresentanti “ ). 120 LONG, Commentario alla Costituzione a cura di Branca , p. 187 . 121 L’ On. Leone propose l’ aggiunta delle parole “ concernenti l’attività politica o parlamentare “, mentre l’ On. Petrassi riteneva fosse opportuna l’ aggiunta “ nella Camera “. - 25 - definitiva dell’ art. 68 Cost., primo comma: “ I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle funzioni “122. La prerogativa dell’ insindacabilità nacque, dunque, in modo singolare: la previsione di questa garanzia, non compresa nell’ iniziale proposta della sottocommissione, vi entrò successivamente, attraverso un comma aggiuntivo al progetto esistente in materia di inviolabilità penale; in un contesto in cui i costituenti non potevano non aver presente l’ esperienza dello Statuto Albertino, dove l’ insindacabilità era disciplinata in una norma a parte , appare più ragionevole pensare, non già ad una omissione intenzionale di quella prerogativa nel progetto della nascente Costituzione, quasi a ritenere scontata l’ esistenza del principio di insindacabilità; piuttosto, è più corretto immaginare che i costituenti risentissero di una certa confusione tra le prerogative da assegnare ai parlamentari, e quindi avessero sovrapposto l’ inviolabilità penale all’ insindacabilità, considerando coperte dalla prima le funzioni della seconda123. Non secondaria è, inoltre, la scelta di dedicare una unica norma al tema delle immunità dei membri del Parlamento, scelta radicalmente nuova rispetto al vecchio testo costituzionale albertino124. Fino alla riforma del 1993, la struttura dell’ art. 68 Cost. sarà in grado di inglobare l’ intero fenomeno, ponendo una netta linea di demarcazione tra l’ insindacabilità, di cui al comma primo, e l’ inviolabilità penale; questa, a sua volta, nella duplice veste di immunità in senso stretto( divieto di sottoposizione a procedimento penale senza autorizzazione della Camera di appartenenza) e di immunità dagli arresti e dalle perquisizioni125. In merito alla natura giuridica dell’ insindacabilità, possiamo limitarci solo ad alcune precisazioni, rinviando alla trattazione sistematica del capitolo precedente. Si tratta di una fattispecie di immunità funzionale di diritto sostanziale, operante anche dopo la cessazione del mandato, con la quale è esclusa qualsiasi possibilità che il parlamentare sia chiamato Il 2° comma prevedeva : “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ ordine di cattura.” 122 Mentre il 3° comma : “ Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile “. 123 MARTINELLI, L’ insindacabilità parlamentare, p. 8 . 124 L’art. 51 era dedicato all’ insindacabilità, gli art. 37, 45 e 46 alle altre immunità . 125 MARTINELLI, cit., p. 12 . - 26 - a rispondere, davanti all’ autorità giurisdizionale126, delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle proprie funzioni. L’ insindacabilità nasce come prerogativa tipicamente volta alla “ difesa dell’ ufficio di rappresentante del popolo “127, senza manifestarsi quale “ odioso privilegio ”, ma come strumento di rafforzamento128 della libertà di espressione e di voto del parlamentare, assicurando un indipendente esercizio delle funzioni, per altro deputate alla rappresentanza di interessi della Nazione, e un ‘ ampia autonomia di valutazione129. Basti ricordare, a tal proposito, le parole del famoso “ Commento allo Statuto del Regno “130: “ l’ immunità è la più essenziale all’ ufficio di membro delle Camere, non potendosi concepire la facoltà di proporre leggi nuove e meno ancora la facoltà di sindacare gli atti dei Ministri … senza la massima libertà di citar fatti, addurre prove, esprimere giudizi… Privo di questa preziosa guarentigia, il regime parlamentare sarebbe una larva: perciocché il singolo deputato o senatore si troverebbe rattenuto e impacciato nel compiere con coscienza il proprio dovere; le minoranze non avrebbero sicurtà di perseguire legalmente, com’ è loro diritto, i propri ideali; le stesse maggioranze non avrebbero sicurtà contro le opposizioni…”. Non è mancato, chi131 ha visto nell’insindacabilità uno strumento per garantire , indirettamente, l’autonomia delle Camere; è la stessa Corte Costituzionale a chiarire che “ l’’immunità si caratterizza come una oggettiva garanzia per l’esercizio delle funzioni parlamentari, espressione di sovranità, da svolgere senza remore o vincoli da parte di chi ne sia investito, in modo da assicurare la libertà politica del Parlamento ” 132 e che “ una tale regola di limitazione della responsabilità é dettata non solo a tutela della libertà di espressione del singolo membro delle Camere, ma a tutela, attraverso questa, della piena 126 Solo in sede civile, penale e amministrativa, secondo MAZZIOTTI DI CELSO-SALERNO, Istituzioni di diritto pubblico , p. 308 ; BARILE-GHELI-GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, p. 108 ; precisamente CARETTI-DE SIERVO, Istituzioni di diritto pubblico , p. 154 , non esclude misure disciplinari, disposte dal presidente dell’ Assemblea per “ manifestazioni offensive nei confronti di altri parlamentari o di terzi o comunque lesive della disciplina regolamentare “ . Escludono , invece , anche la responsabilità disciplinare ROLLA, Istituzioni di diritto pubblico , p. 535 ; MARTINES, Istituzioni di diritto pubblico , p. 235 ; DE VERGOTTINI, Istituzioni di diritto pubblico, p. 429 127 ARCIDIACONO-CARULLO-RIZZA , Istituzioni di diritto pubblico, p. 339 . 128 CARETTI-DE SIERVO, cit . , p. 154 . 129 DE VERGOTTINI, cit. , p. 430 . 130 RACIOPPI , BRUNELLI , Commento allo Statuto del Regno , vol. III , p. 37 . 131 MARTINES, cit. , p. 235 : “ le assemblee intanto sono indipendenti, in quanto lo sono i loro componenti “ ; ZAGREBELSKY , L’ immunità parlamentare , p. 29 . 132 Sentenza n. 417 del 1999 . - 27 - libertà di discussione e di deliberazione delle Camere stesse, e in definitiva a tutela della autonomia delle istituzioni parlamentari ”133. 2. L’ art. 68 Cost., comma primo, nelle interpretazioni della dottrina L’ insindacabilità si manifesta come ipotesi di immunità parziale, nel duplice senso che , da una parte essa non vale per tutti gli atti compiuti dal parlamentare, ma solo per le “ opinioni espresse “ e i “ voti dati ”, e dall’altra concerne questi comportamenti solo in quanto “ compiuti nell’ esercizio delle funzioni “134. In proposito, uno dei problemi più delicati, che il disposto della norma costituzionale ha posto alle valutazioni della dottrina, è stato l’ ambito di applicazione, e quindi l’ estensione, della prerogativa . Infatti , se l’ irresponsabilità è collegata alle espressioni di opinioni e ai voti dati nell’ esercizio esclusivo della funzione, che il parlamentare esercita per adempiere al sua mandato, bisogna capire quali sono concretamente gli atti coperti dalla guarentigia costituzionale. A complicare il discorso subentra, certamente, la copiosa giurisprudenza costituzionale espressasi sul punto135, la quale poco spazio lascia a diverse interpretazioni ipotizzabili; in sostanza, per quanto in dottrina la lettura della norma costituzionale potrebbe guardare in una direzione diversa da quella dei giudici della Consulta, è quest’ ultima che concretamente influenza, o dovrebbe influenzare, le valutazioni dei giudici ordinari e delle Camere nell’ applicazione della guarentigia parlamentare. Per comodità, e non essendo questa la sede per una puntuale analisi, si possono contrapporre i tre diversi orientamenti che hanno contraddistinto il dibattito dottrinale: una tesi restrittiva, una estensiva ed una intermedia136. La tesi restrittiva è propria di chi riconduce, nell’alveo della garanzia costituzionale, esclusivamente gli atti tipici attraverso i quali si estrinseca la funzione parlamentare. In questo quadro, i comportamenti dei deputati e senatori sono coperti dalla guarentigia, a condizione che si manifestino attraverso atti univocamente riconosciuti come propri delle funzioni parlamentari( dibattiti in aula o in commissione, presentazione o illustrazione di interpellanze, interrogazioni, proposte di legge, etc.) e che, come tali, siano circoscrivibili 133 Sentenza n. 379 del 1996 . DI MUCCIO , L’ insindacabilità dei parlamentari : una introduzione allo studio dell’ art. 68 , primo comma della Costituzione , in Diritto e Società , 1986 , p. 704 . 135 Su cui torneremo più avanti . 136 MARTINELLI, cit. , p. 21 134 - 28 - entro un ambito spaziale ben definito137. Questa tesi restrittiva non esclude, tuttavia, che sia coperta dall’ insindacabilità anche la riproduzione, in genere a mezzo stampa, di atti parlamentari tipici, purchè essa sia assolutamente fedele, cioè priva di integrazioni, sostituzioni e modifiche del testo originale138. Un’ opposta lettura porta ad assoggettare alla disciplina dell’ insindacabilità, “ tutte le opinioni espresse nella esplicazione parlamentare ed extraparlamentare del mandato politico “139, sì da comprendere anche il comizio, l’ intervista, l’ incontro con i propri elettori140. Secondo questa impostazione, l’ inciso “ esercizio delle funzioni “, contenuto nell’ art. 68 Cost., va interpretato estensivamente, di guisa che l’attività che un parlamentare compie “ all’ esterno ”, non è altro che il proseguimento di quella tipica, che egli estrinseca con i tradizionali atti parlamentari. Il ragionamento complessivo che emerge da questa lettura, è che anche fuori dalle aule parlamentari o dalle commissioni, il parlamentare non può non godere di quella condizione di assoluta libertà che contraddistingue, al contrario, il momento in cui egli è chiamato a compiere atti tipici. A rafforzare questa tesi vi sarebbero, d’altra parte, due elementi: anzitutto l’ art. 67 Cost. , il quale solennemente statuisce che “ ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione “; inoltre, non può ritenersi senza significato la mutata dizione dell’ art. 68 Cost., rispetto al 137 Su tutti MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico , p. 492 , il quale comprende fra gli atti tipici intra moenia anche le attività svolte dal parlamentare presso il gruppo parlamentare ; ZAGREBELSKY, cit. , p. 41 : ” anche le attività compiute fuori dalle Camere, purchè nell’ esercizio di funzioni derivanti dalla carica : si pensi alle delegazioni, alle indagini e alle inchieste parlamentari “. Vedi anche TRAVERSA, Immunità parlamentare, p. 196 ; LONG , cit. p. 197 ; per ARCIDIACONO-CARULLO-RIZZA , cit. , p. 340 , “ la tesi restrittiva sembra la più aderente allo spirito e alla lettera della disposizione, non potendosi ammettere che il Costituente abbia voluto garantire il parlamentare anche per le attività, sebbene di natura politica, da questi compiute fuori dallo stretto svolgimento delle funzioni, quando esse si sostanziano in fatti, che ogni cittadino ha il diritto di porre in essere ( interviste, discorsi durante le campagne elettorali, incontri di partito ecc. ) “ . 138 Per MARTINELLI, cit. , p. 22 , il fondamento è nel combinato disposto dell’art. 68 Cost. , con gli art. 64 e 67 Cost. Per DI MUCCIO, cit. , p. 711 , “ … il ripetere e riprodurre all’ esterno le opinioni , scritte o orali, espresse da deputati e senatori nell’ esercizio delle funzioni , sono atti leciti , chiunque li compia “ , ai sensi degli articoli 30 e 31 del Regio editto n. 695 del 1848 ( “ Leggi sulla Stampa “ ) , oltre che dell’ art. 64 , seconda comma della Costituzione . Se , al contrario, le opinioni sono modificative o integrative di quelle espresse nell’ esercizio delle funzioni , viene mantenuto fermo il principio della responsabilità : così TRAVERSA, cit. , p. 197 . 139 CAPALOZZA, L’ immunità parlamentare e l’art. 68 , primo comma, della Costituzione, in Scritti giuridico-penali (1962) , p. 322 . 140 Di questo avviso anche BARILE-CHELI-GRASSI , cit. , p. 108 : “ … considerato che l’ insindacabilità copre le opinioni espresse dal parlamentare nell’ esercizio delle funzioni , e non può dirsi che egli eserciti le sue funzioni solo dentro l’aula… “ . Contra OLIVIERO , In tema di insindacabilità dei membri del Parlamento , in Giur. Cost. 1994 , p. 444 : “ l’ immunità parlamentare…non ricomprende le attività extra-parlamentari, come i comizi elettorali, nelle quali il parlamentare svolge attività politiche e di partito su un piano di parità con ogni altro cittadino che voglia concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, manifestando liberamente il proprio pensiero…In caso contrario si verrebbe ad attribuire ai deputati e ai senatori una inammissibile condizione di privilegio che contrasterebbe con l’art. 3 Cost. …” ; MARTINES , cit. , p. 236 . - 29 - precedente art. 51 dello Statuto Albertino141, dove si faceva esclusivo riferimento alle opinioni espresse e i voti dati “ nelle Camere “. La necessità di contemperare il rifiuto verso “ odiosi privilegi “ alla classe politica con il principio per cui la funzione parlamentare deve essere esercitata liberamente, ha portato alcuni autori a cercare una lettura “ intermedia “ della norma costituzionale. Preso atto che l’ evoluzione delle tecniche di comunicazione della società contemporanea offre ai parlamentari nuovi canali, attraverso i quali il poter esprimere opinioni e far conoscere le proprie iniziative, viene seriamente contestata la possibilità di individuare un numero chiuso e limitato di atti, cui sia estensibile la prerogativa dell’ insindacabilità. A partire dagli anni ‘ 70, sulla spinta della giurisprudenza parlamentare, nasce l’ idea che l’ art. 68 Cost., possa e debba rivolgersi non solo agli atti parlamentari tipici, ma in genere ai comportamenti “ strettamente connessi alla funzione parlamentare, per i quali fosse riscontrabile un nesso tra le sue attività e le funzioni che è chiamato a svolgere “142. In definitiva , mentre l’ interpretazione restrittiva aveva come punti di riferimento sia la funzione cui gli atti tipici sono preordinati, sia il luogo in cui questi atti possono concretizzarsi( intra moenia ), e la tesi estensiva scioglieva qualsiasi legame con questi due criteri, sostenendo la copertura di tutti gli atti politici, la tesi intermedia sottolinea il criterio del nesso tra atto e funzione, tralasciando quello del luogo, con l’ effetto di aprire il regime dell’ insindacabilità anche agli atti compiuti “ extra moenia “. Tra la categoria della “ riproduzione di una opinione parlamentare “ esposizione ( insindacabile) e la categoria dell’ “ extraparlamentare di una opinione comune “ ( sindacabile ) è stato creato il tertium genus dell’ opinione espressa fuori dall’ attività parlamentare, ma collegata mediante un “ rapporto di connessione( oggettiva, soggettiva, temporale) intensa e reciproca con un’altra opinione sicuramente insindacabile “143. 3.La “ giurisprudenza parlamentare “ fino al 1993 Un primo nucleo di casi sottoposti all’ attenzione del Parlamento, ha riguardato la riproduzione “ all’esterno “ di opinioni, già manifestate all’ interno delle Camere attraverso discorsi, interrogazioni, interpellanze e altri atti tipici. 141 Ancora CAPALOZZA, cit. , p. 320 . MARTINELLI, cit. , p. 24 . 143 DI MUCCIO, cit. , p. 712 . Vedi anche paragrafo 2.8 . 142 - 30 - La prima decisione in tal senso risale alla V legislatura. Il giudice penale, a seguito di una querela per diffamazione presentata dalla persona offesa contro l’ On. Cottone, per un articolo che riproduceva integralmente il contenuto di una interrogazione presentata dallo stesso parlamentare, chiedeva l’ autorizzazione a procedere alla Camera di appartenenza. In quella occasione, gli atti venivano restituiti all’ autorità giudiziaria, giudicando che i fatti rientrassero, non nella previsione di cui al secondo comma dell’art. 68, come aveva sostenuto il giudice remittente, bensì nella più ampia tutela prevista dal comma primo. Il ragionamento che complessivamente emergeva dalle motivazioni, con cui la Giunta per le autorizzazioni a procedere chiedeva alla Camera di restituire gli atti alla autorità giudiziaria144, fu che al parlamentare non fosse ascrivibile un comportamento diverso dalla presentazione dell’ interrogazione parlamentare e che la pubblicazione di questo, come di qualsiasi altro atto parlamentare, non potesse ritenersi illecita145. In definitiva, non si poteva attraverso il diniego della autorizzazione a procedere, privare l’ On. Cottone di quella situazione che gli derivava direttamente dall’ art. 68 Cost., primo comma. Questo iter argomentativo si ritroverà in analoghe decisioni, adottate nelle legislature a seguire146. Nella VII legislatura147, la Giunta delle elezioni e delle immunità si ritrovò ad esaminare una richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Sen. Pisanò, querelato per i contenuti di un articolo pubblicato su un noto periodico. La Giunta ritenne di dovere distinguere in due parti il documento: la parte che riproduceva un atto parlamentare dello stesso senatore e la parte che conteneva alcune considerazioni personali. Le conclusioni della Giunta, poi sposate dal Senato, furono nel senso di considerare coperta dall’ insindacabilità solo la parte che riproduceva l’ atto parlamentare e di concedere l’ autorizzazione a procedere per la seconda. Il quadro finale che emerge, dunque, sia dai precedenti citati che dalla giurisprudenza parlamentare formatasi nelle legislature successive, è la costante prassi di ricondurre nell’alveo dell’ insindacabilità tutte le opinioni manifestate dai deputati e dai senatori, che fossero legate da un rapporto di identità soggettiva e oggettiva con un tipico atto parlamentare148. In queste ipotesi di inequivoco esercizio delle funzioni parlamentari, le Giunte dichiarano la propria incompetenza, restituendo al Ministro le richieste 144 di Atti Camera, V Leg. Ai sensi dell’ art. 30 del regio editto n. 695 del 1848, sulla libertà di stampa, che garantisce la non perseguibilità per la mera riproduzione di atti parlamentari. 146 Vedi ad es. Atti Camera VI leg. , Doc. IV n. 119 ; Atti Camera, VIII leg. , Doc. IV n. 18 . 147 Atti Senato, VII leg. , Doc. IV n. 14 . 148 GRISOLIA, Immunità parlamentari e Costituzione , p. 72 145 - 31 - autorizzazione a procedere pervenute per fatti che rientrano nella previsione del primo comma, mentre l’ Assemblea si limita a prendere atto della comunicazione pervenutale dalla Giunta, rinunciando anch’ essa a deliberare sulla richiesta di autorizzazione 149. Gli organi parlamentari “ non sono chiamati a decidere su richieste che non sarebbero mai dovute pervenire. Per i fatti coperti da immunità non va aperto alcun procedimento penale, dato che è esclusa la loro antigiuridicità; e quindi non va chiesta autorizzazione. Se essa perviene( per errore o per una diversa valutazione dei fatti della magistratura) viene restituita da parte del ramo del Parlamento interessato “150. Invece, in caso di manifestazioni extraparlamentari del pensiero, che pur traendo origine da opinioni espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari, non ne rappresentavano la sostanziale riproduzione, il Parlamento diede vita ad una diversa prassi, che a quella esaminata andava a saldarsi. Questa prassi, meglio nota come insindacabilità indiretta o impropria151, consisteva nell’ impedire che il parlamentare venisse chiamato a rispondere di reati riconducibili al primo comma dell’ art. 68 Cost., in sostanza reati di opinione, non attraverso una deliberazione di insindacabilità e contestuale restituzione degli atti all’ autorità giudiziaria, bensì attraverso il rigetto della richiesta di autorizzazione a procedere, inoltrata dalla magistratura ordinaria ai sensi del comma secondo152. Questa soluzione tutelava sicuramente in modo meno incisivo il parlamentare: riconoscere, infatti , che la manifestazione di una opinione non fosse sindacabile, perchè protetta dalla garanzia del comma primo dell’ art. 68 Cost., significava tutelare il parlamentare sia dal giudizio civile sia da quello penale, sia in costanza di carica che dopo la cessazione della stessa; al contrario, il diniego di autorizzazione a procedere concretizzava una causa di improcedibilità, solo in sede penale e limitata alla durata della legislatura. Alla Camera furono, ad esempio, riconosciuti quali motivi di diniego delle autorizzazioni a procedere, in casi di insindacabilità indiretta, “ il contesto politico in cui i reati sarebbero stati commessi e, perciò, il loro collegamento con l’ esercizio del mandato D’ANDREA, Prerogative dei parlamentari, poteri dell’ Autorità giudiziaria, conflitti di attribuzione , in Diritto e informazione 1989 , p. 440 . 150 LONG, cit. p. 195 e ss. 151 “ Questi termini sono da accogliere con riserva, perché sembrerebbero indicare un istituto concettualmente e giuridicamente vicino alla immunità assoluta dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, mentre al contrario definiscono semplicemente una particolare applicazione dell’ immunità relativa dell’ art. 68, secondo comma, della Costituzione stessa : quindi non una forma spuria di insindacabilità, ma soltanto una specie di inviolabilità, con tutte le conseguenze tipiche di questo genere di immunità “ : così DI MUCCIO, cit. , p. 714 . 152 Per correttezza, va precisato che l’ autorizzazione non fu sempre negata : “ grosso modo la proporzione in media tra autorizzazione concesse e negate per reati di opinione è 1:5 alla Camera e 1:2 al Senato “ ( DI MUCCIO, cit. ). 149 - 32 - parlamentare ”153; o ancora si trova scritto nei documenti ufficiali: “ le espressioni incriminate sono la manifestazione di un giudizio di natura incriminato costituisce politica “154; “ l’ articolo esercizio del diritto di critica politica tipica dell’ attività del parlamentare e sulla quale pertanto non può esercitarsi il sindacato del giudice penale “155; “ l’ intervista può ritenersi una manifestazione dell’ esercizio del mandato parlamentare, sia pure latatamente inteso e tale da ricomprendere l’ azione politica di un deputato sviluppatasi al di fuori delle sedi propriamente parlamentari e della specifica attività che in esse si svolge ”156; “ nel comizio il parlamentare ha sostanzialmente ripetuto in pubblico accuse già precedentemente mosse in scritti parlamentari… le frasi pronunciate debbono ritenersi attività politica che costituisce proiezione esterna dell’ esercizio del mandato parlamentare “157. Anche al Senato, nel motivare il rigetto della richiesta di autorizzazione a procedere, troviamo argomentazioni di questo tipo: “natura politica delle dichiarazioni che, pur avendo l’ apparente materiale oggettività del reato di diffamazione, risultano collegate allo svolgimento dell’ attività politica in senso lato dei parlamentari “158; “ le singole frasi devono inserirsi in un contesto di polemica elettorale, nel quale prevale il giudizio politico sull’ attività e sull’ opera di un parlamentare e non, invece, l’ intendimento diffamatorio “159; “ le accuse formulate ebbero una preminente accentuazione politica e i toni risentirono della comprensibile animosità della campagna elettorale. Perciò a tutela della dialettica politica, l’ autorizzazione deve essere negata “160; “ nessun dubbio sul carattere politico del fatto contestato, inteso nell’ accezione ampia di reato collegato allo svolgimento di una attività politica “161. In conclusione, il Parlamento riuscì a “ proteggere “ i propri membri per qualsiasi giudizio espresso nel corso della attività politica, scegliendo di negare la richiesta autorizzazione a procedere, e non facendo direttamente appello, come ampiamente riportato, alla guarentigia dell’ insindacabilità , di cui all’ art. 68, comma primo, della Costituzione. 153 Camera VI leg. , Doc. IV n. 152 Camera VI leg. , Doc. IV n. 249 155 Camera VI leg. , Doc. IV n. 276 156 Camera, VII leg. , Doc. IV n. 68. 157 Camera, VII leg. , Doc. IV n. 111 158 Senato VIII leg. , Doc. IV n. 58 159 Senato VI leg. , Doc. IV n. 31 160 Senato VII leg. , Doc. IV n. 5 161 Senato IX leg. , Doc. IV n. 33 154 - 33 - Questa prassi parlamentare, tuttavia, non riuscì ad impedire il dilagare di sentenze della giurisprudenza ordinaria: sentenze di condanna pronunciate a carico di parlamentari, a conclusione dei processi civili per il risarcimento dei danni, ovvero di procedimenti penali intentati, concluso il mandato, per fatti per i quali il Parlamento aveva negato l’ autorizzazione a procedere , in costanza di carica162. Tutto questo portò inevitabilmente ad un radicale mutamento di indirizzo. Il caso più eclatante ha interessato nella IX legislatura l’ On. Vitalone, il quale veniva querelato da alcuni magistrati, sentitisi diffamare in una intervista da quello rilasciata ad un noto quotidiano nazionale. La peculiarità della vicenda stava nel fatto che le parole dichiarate alla stampa dal parlamentare, riproducevano solo in parte i contenuti di un interpellanza e che questa, pur essendo già stata presentata al Ministro di Grazia e Giustizia, non era ancora stata discussa al momento del rilascio dell’ intervista. Investita della richiesta di autorizzazione a procedere, la Giunta( e poi l’ Assemblea) decideva di applicare direttamente la più ampia garanzia dell’ insindacabilità: per quanto le dichiarazioni alla stampa del Sen. Vitalone avessero solo in parte richiamato una interpellanza, tra l’altro non ancora discussa, non si poteva negare che egli aveva agito nell’ esercizio delle sue funzioni163. In sostanza, si abbandona il criterio della necessaria identità( soggettiva e oggettiva ) tra l’atto parlamentare e l’ articolo che lo riproduce, rapporto necessario nelle pronunce precedenti per l’ applicazione della guarentigia, per passare ad un nuovo orientamento secondo il quale l’ applicazione dell’ insindacabilità può sufficientemente fondarsi su un collegamento “intenso e reciproco “ tra le opinioni contestate al parlamentare e quelle manifestate nell’ esercizio della sua funzione 164. Il successivo consolidarsi di questo orientamento consentì sicuramente l’ estensione della “ zona di protezione “ offerta dalla guarentigia costituzionale. 4. Il caso Marchio: la rivoluzionaria sentenza della Corte Costituzionale, n. 1150 del 1988 La sentenza della Corte Costituzionale, n. 1150 del 1988, segna l’ inizio di una intensa stagione giurisprudenziale, durante la quale si è tentata la difficile opera di ricomposizione dei valori messi in gioco nell’applicazione dell’art. 68, comma primo , della 162 GRISOLIA, cit. , p. 72 . Atti Senato, IX leg. , Doc. IV n. 18 . 164 GRISOLIA, cit. , p. 74 . 163 - 34 - Costituzione165, ma soprattutto nella quale si è registrato un mutamento nell’atteggiamento della magistratura, la quale passa “ da una condizione di spettatrice degli indirizzi parlamentari, ad interlocutrice polemica ed ostica del Parlamento stesso “166, in un crescendo che si acutizzerà, come vedremo, ai giorni nostri. Nel 1980, il Sen. Marchio presentava una interrogazione parlamentare in merito al comportamento della sezione fallimentare del Tribunale di Roma e, su quella stessa vicenda oggetto dell’ interrogazione, il quotidiano Secolo d’ Italia pubblicava tre distinti articoli. Presentata la querela dei giudici romani in relazione al contenuto dell’ ultimo di questi167, il Senato rigettava la richiesta di autorizzazione a procedere, confermando le conclusioni cui era pervenuta la Giunta delle elezioni e delle immunità: “ mentre per le opinioni espresse al di fuori delle funzioni , il parlamentare incontra gli stessi limiti espressivi degli altri cittadini, tuttavia non possono essere frapposti condizionamenti ed ostacoli alla espressione di opinioni che il parlamentare intenda fare a commento del contenuto di atti tipici del mandato parlamentare. E ciò anche quando tale commento espresso dal parlamentare, al di fuori dell’ esercizio delle sue funzioni, ma in connessione e a causa dell’ esercizio delle funzioni stesse, si sostanzia in una critica dura e aspra di altri soggetti “168. Improcedibile il giudizio penale, i giudici romani intraprendevano il giudizio civile contro lo stesso parlamentare, vedendosi riconosciuto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per tutti e tre gli articoli. Nel corso della IX legislatura, che aveva visto la rielezione del Sen. Marchio, la richiesta di autorizzazione a procedere venne riproposta. Ma questa volta il Senato, anziché confermare il precedente diniego, riteneva che i fatti per i quali quella richiesta era stata inoltrata, rientrassero direttamente nell’alveo della prerogativa dell’ insindacabilità, di cui all’ art. 68, comma primo169: “ le dichiarazioni rese dal senatore, fuori della sede parlamentare, sono direttamente connesse al contenuto dell’ interrogazione presentata…L’ attribuzione di una facoltà formalmente garantita rischierebbe di rimanere una pura enunciazione, se non comprendesse anche tutto ciò che è funzionale, connesso o consequenziale all’ espletamento della stessa “170. Il Senato 165 riteneva che anche GRISOLIA, cit . , p. 130 . MARTINELLI, cit. , p. 41 167 L’articolo riprendeva il testo dell’ interrogazione del sen. Marchio , riportando una sua dichiarazione nella quale ribadiva i motivi e i contenuti della propria condotta parlamentare. 168 Vedi Senato della Repubblica, VIII legislatura, doc. IV n. 74. 169 La deliberazione del Senato è passata alla storia, come il primo caso in cui il Parlamento ha disciplinato una fattispecie che, secondo la prassi consolidata sopra esposta , andava soggetta all’ applicazione del regime di insindacabilità indiretta, in una fattispecie di insindacabilità vera e propria . Lo osserva MARTINELLI, cit. , p. 44 170 Senato IX leg. , Doc. IV n. 55 166 - 35 - dichiarazioni solo connesse al contenuto di una interrogazione parlamentare, quale il commento di un atto tipico effettuato nel corso di una intervista, potessero essere protette direttamente con la guarentigia del primo comma: quindi anche nel procedimento civile171. La Corte d’ Appello di Roma, presso la quale il giudizio per il risarcimento dei danni era nel frattempo approdato, sollevava dinanzi alla Corte Costituzionale conflitto di attribuzioni nei confronti del Senato, contestando la carenza del potere di esercitare una funzione giurisdizionale nella materia prevista dal comma primo dell’art. 68 Cost., potere che , al contrario, i giudici romani ritenevano dovesse spettare istituzionalmente proprio all’autorità giudiziaria ordinaria. Il ragionamento che si rinviene nella sentenza n. 1150 del 1988, con la quale i giudici della Consulta decisero il ricorso, parte dalla considerazione che “ le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell' organo a tutela del quale sono disposte”. Tuttavia, vi è una “ logica diversa che presiede alle due prerogative sancite dall'art. 68 Cost. “, ragion per cui devono riconoscersi poteri di natura diversa: la prerogativa del primo comma attribuisce alla Camera di appartenenza “ il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto ”, se qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, “ di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, sempre che, come sarà precisato appresso, il potere sia stato correttamente esercitato ”. Il potere in oggetto, secondo la Corte, non può essere “arbitrario o soggetto soltanto a una regola interna di self-restraint”172, ma è “ soggetto a un controllo di legittimità, operante con lo strumento del conflitto di attribuzione, e perciò circoscritto ai vizi che incidono, comprimendola, sulla sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria “173. Si legge nella relazione della Giunta , che accompagna la proposta all’ Assemblea : “ la Giunta ha poi ritenuto all’ unanimità che l’ effetto naturale dell’ insindacabilità consiste nell’ irresponsabilità assoluta ( penale , civile, amministrativa)”. 172 Osserva MORETTI, Foro It. 1989 , p. 328 : “…La sentenza s’inserisce coerentemente nella tendenza che porta ad un ridimensionamento delle prerogative, status o procedure privilegiati, e che nella nostra legislazione ha recentemente condotto ad alcuni esiti significativi, quale l’ affermazione della responsabilità civile dei magistrati ed il deferimento del giudizio sugli illeciti ministeriali alla magistratura ordinaria “ . 173 Precisa MARTINELLI, cit. , p. 46 : “ Il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato può riguardare o la contestazione circa l’appartenenza di una attribuzione ( c.d. vindicatio potestatis ) o la contestazione del cattivo uso del potere, quando da ciò possa discendere una indebita compressione o interferenza nella sfera di attribuzioni di un altro potere “. E’ il cosiddetto conflitto per menomazione, ammesso dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza n. 129 del 1981 : il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato “ non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere […], ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’ illegittimità dell’ esercizio del potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni garantita ad un altro soggetto “. 171 - 36 - Ne deriva che , se il giudice174 reputa che la delibera della Camera di appartenenza, affermante l' irresponsabilità del proprio membro convenuto in giudizio, “ sia il risultato di un esercizio illegittimo (o, come altri si esprime, di cattivo uso ) del potere di valutazione “, può provocare il controllo della Corte costituzionale, sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione: il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis, in quanto il potere di valutazione del Parlamento non è in astratto contestabile, bensì come contestazione dell'altrui potere in concreto, “ per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti, di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso ”. 5. La Corte Costituzionale aggiunge un nuovo tassello: la sentenza n. 443 del 1993 Nel corso di un convegno - dal tema “ I poteri occulti nella Repubblica: mafia, camorra, P2, stragi impunite “ - il Sen. Ricci rivolgeva ad un alto ufficiale del SID, l’ accusa di aver partecipato all’ attività politico-eversiva della loggia massonica P2. La relazione contenente tali dichiarazioni veniva successivamente pubblicata in un volume sugli atti del convegno medesimo, edito dalla Marsilio S.p.a. Sentitosi diffamato, l’ alto ufficiale conveniva il parlamentare davanti al Tribunale civile di Roma, per vedersi risarciti i danni derivanti da quelle dichiarazioni. Costituitosi in giudizio, il Sen. Ricci chiedeva il rigetto della domanda, facendo rilevare che il contenuto del volume citato riproduceva fedelmente la relazione da lui svolta nel convegno di Venezia, al quale egli era stato invitato nella qualità di parlamentare e specificamente di vice-presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2; e poiché la relazione riproduceva, a sua volta, atti e documenti acquisiti dalla Commissione d'inchiesta, ne derivava l' insindacabilità delle opinioni da lui espresse, a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. In conseguenza di tale iniziativa, il Presidente del Senato investiva la Giunta per le elezioni e l’ immunità, per valutare se i fatti contestati al parlamentare fossero riconducibili alla guarentigia. La giunta, ritenendo che il Sen. Ricci si fosse limitato a ripetere fatti ed espressioni tratti da documenti acquisiti dalla Commissione di inchiesta, da considerare atti e documenti parlamentari a tutti gli effetti, evidenziando che l'intervento del senatore al “ di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o senatore in sede extraparlamentare “ . 174 - 37 - convegno era stato tenuto nella sua qualità di vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta, riteneva pacifica l'applicazione del consolidato criterio, secondo il quale la diffusione di opinioni tratte da atti parlamentari é insindacabile, giusta l'art. 68, primo comma, della Costituzione. In particolare, concludeva la Giunta, “ il senatore Ricci aveva…la prerogativa di pronunciare quelle affermazioni … perché contenute ed estraibili lealmente dalla documentazione parlamentare, raccolta pure con il contributo inseparabile della sua attività parlamentare “; argomentazioni, poi, confermate dal Senato, che individuava “ un collegamento intenso e reciproco tra le opinioni espresse dal Sen. Ricci e opinioni parlamentari della Commissione di inchiesta “175. La Giunta prima, e l’ Assemblea dopo, risolvevano, dunque, la questione con una dichiarazione di insindacabilità. Ciò premesso, sulla scorta degli enunciati della sentenza della Corte costituzionale del 1988, il Tribunale sollevava conflitto di attribuzione " in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla imperseguibilità stabilita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, così come esercitato dal Senato della Repubblica “176. Le argomentazioni avanzate dai giudici romani177 si incentravano essenzialmente su due punti. In primo luogo, il Tribunale contestava la delibera del Senato, nella parte in cui affermava che il Sen. Ricci era intervenuto al convegno “ in qualità di vice-presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 “. Ad avviso del Tribunale, infatti, nonostante la partecipazione al convegno dell’ onorevole fosse stata annunciata nella veste di vice - presidente della Commissione di inchiesta, essa non poteva inquadrarsi tra i compiti istituzionali del parlamentare, ma doveva ritenersi avvenuta a titolo personale , a meno di non voler ricomprendere nella concezione di funzione parlamentare tutte le attività politiche del Sen. Ricci: una nozione questa che il Tribunale dichiarava di respingere, ritenendola eccessivamente estensiva. In secondo luogo, la sostanziale identità, asserita nella delibera del Senato, tra i fatti esposti nel convegno e quelli riportati negli atti e documenti della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, dai quali le affermazioni dell’ On. Ricci furono desunte, dava luogo, secondo il Tribunale ricorrente, ad una estensione del presupposto della insindacabilità che non trovava riscontro nella formulazione letterale dell'art. 68, 175 Senato IX Leg. Doc. XVI n. 10 Così il dispositivo dell’ ordinanza del Tribunale civile di Roma. 177 Desumibili dal testo della sentenza della Corte Costituzionale , in esame . 176 - 38 - primo comma, della Costituzione. Un conto era, secondo il Tribunale, far rientrare nella funzione parlamentare la riproduzione all' esterno di interpellanze o interrogazioni, un conto era il caso in esame: qui si era in presenza, non della riproduzione esterna di opinioni espresse nella sede propria, ma di una “ mera riscontrabilità ” tra le affermazioni fatte in sede extraparlamentare e le relazioni, gli atti e i documenti acquisiti dalla Commissione di inchiesta, di atti cioè neppure “ tecnicamente da definirsi come atti parlamentari “. La Corte Costituzionale decideva il conflitto in esame nella sentenza n. 443 del 1993. Con riferimento al primo problema sollevato dal Tribunale di Roma, la Corte premettendo che il suo compito è, nei “ limiti dei concetti dell'arbitrarietà e della plausibilità “, quello di operare una “ verifica esterna ” sulla sussistenza dei presupposti (esercizio delle funzioni) e sulle valutazioni di merito che le Camere compiono circa l'insindacabilità ex art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dai parlamentari riteneva “non arbitrarie” le conclusioni del Senato, circa la sussistenza del presupposto costituito dall'esercizio della funzione parlamentare: tali conclusioni risultavano formulate “ essendosi tenuto conto dello stretto collegamento con la … specifica qualificazione rivestita dal parlamentare, in quanto egli si era riferito a quel che era alla conoscenza per aver partecipato ai lavori della Commissione di inchiesta “. Con riferimento alla seconda contestazione del Tribunale, circa l’ affermazione di identità fra i fatti esposti dal Sen. Ricci nel convegno e quelli riportati negli atti e documenti della Commissione di inchiesta, la Corte , operando ancora in sede di “ verifica esterna” sulla valutazione compiuta dal Senato, riteneva “ non arbitrario, ma anzi plausibile “ che si fosse ritenuto sussistente il presupposto dell’ insindacabilità, considerando che “ il parlamentare aveva riferito all' esterno della Commissione, in un convegno pubblico, fatti e circostanze di cui era venuto a conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni, ed aveva nel contempo manifestato i punti di vista ed i convincimenti che avevano ispirato o cui avrebbe inteso in prosieguo ispirare sull'argomento il proprio comportamento in sede parlamentare ”. Paradossalmente, tuttavia, l’ affermazione principale della Corte si ritrova in un, se pur frettoloso178, passaggio finale della sentenza, con il quale essa tenta di disegnare in Testualmente : “ Una volta che, come questa Corte ha affermato (sentenza n. 1150 del 1988 ), la prerogativa dell'art. 68, primo comma, della Costituzione riconosce alle Camere il potere di valutare le condizioni 178 - 39 - modo più preciso il futuro rapporto tra Parlamento e magistratura nella “ gestione “ della prerogativa costituzionale. I giudici della Consulta riconoscevano, per la prima volta, il “ potere – dovere “ del giudice ordinario di pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni dell' insindacabilità:“ se il parlamentare la eccepisca in giudizio “ e “ ove manchi ogni pronuncia della Carnera di appartenenza del parlamentare “; solo nel caso in cui quest'ultima avesse esercitato il suo potere, “ le sue valutazioni non possono certo essere condizionate dai criteri elaborati da organi della giurisdizione “, essendo “ inammissibile ingerenza nella prerogativa parlamentare il pretendere di sovrapporre, ai criteri seguiti dalla Camera stessa, quelli suggeriti da orientamenti giurisprudenziali ”. Questo principio finale della sentenza fu salutato con un certo ottimismo, all’ interno di un sistema in cui, da una parte si affermava la titolarità della Camera di appartenenza del “ potere di valutare la condotta di un suo membro “179, dall’altra mancava un meccanismo idoneo a sollecitare una pronuncia in materia di insindacabilità degli organi parlamentari180. In questo quadro, allora, la sentenza n. 443 del 1993 era straordinariamente innovativa, perché avrebbe potuto creare un sistema con il quale dare una “ risposta alle illegittime compressioni del diritto di agire in giudizio operate nei confronti dei cittadini “181, attraverso il riconoscimento di una posizione di sostanziale autonomia della magistratura, nel pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’ insindacabilità. Ma ad arrestare il quadro che si sarebbe potuto delineare , ci pensarono sia la riforma dell’ art. 68 della Costituzione, sia soprattutto i dell'insindacabilità, potendo e dovendo sul punto in specie, se il parlamentare la eccepisca in giudizio, pronunciarsi il giudice ordinario ove manchi ogni pronuncia della Carnera di appartenenza del parlamentare, nel caso che quest'ultima si pronunci le sue valutazioni non possono certo essere condizionate dai criteri elaborati da organi della giurisdizione. Pertanto, quando, come nel la specie, la Camera di appartenenza abbia esercitato in concreto il relativo potere, soggetto esclusivamente al sindacato di questa Corte e soltanto nei limiti anzidetti, deve considerarsi come inammissibile ingerenza nella prerogativa parlamentare il pretendere di sovrapporre, ai criteri seguiti dalla Camera stessa, quelli suggeriti da orientamenti giurisprudenziali; dell'ordine giudiziario, dato che è proprio nei confronti di questo che è posta dall'art. 68 della Costituzione la prerogativa dell'insindacabilità a tutela dell'indipendenza del Parlamento ” . 179 C.Cost. n. 1150/88 . Il problema era stato sollevato dal Tribunale civile di Roma con due distinte ordinanze, che sottoponevano al vaglio della Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’ art. 18 del Regolamento della Camera dei deputati : il giudice a quo rilevava che la norma contestata disciplinava esclusivamente la competenza della Giunta, con riferimento alle sole richieste di autorizzazione a procedere del giudice penale, nulla prevedendo in ordine alle richieste del giudice civile di verificare la qualificazione funzionale delle opinioni espresse dal parlamentare, in vista dell’applicazione dell’ insindacabilità . Il rischio paventato era, dunque , che la mancanza di una deliberazione dell’ Assemblea, e di un sistema per sollecitarla , provocasse una illegittima compressione del diritto di difesa del cittadino . La Corte Costituzionale decise per la manifesta inammissibilità delle questioni, per avere esse ad oggetto atti privi di forza di legge : una sbrigativa soluzione processuale che non consentì di dare il giusto peso alla problema sollevato. 181 Su tutti OLIVIERO , cit. , p. 449 . 180 - 40 - diciotto decreti legge di attuazione, che si distinsero per l’ inequivocabile volontà di riporre nel Parlamento una posizione di indiscussa supremazia. 6.La riforma dell’art. 68 e i decreti legge di attuazione Il dibattito sulla opportunità di una revisione dell’ art. 68 Cost. prendeva corpo già negli anni ‘ 80, ma la vera occasione per la riforma della norma costituzionale si ebbe durante l’ XI legislatura. Questa si aprì, nell’ aprile del 1992, sotto il peso delle domande di autorizzazione a procedere182: è la stagione di “ tangentopoli “, in Italia dilagano le indagini giudiziarie sul finanziamento illecito ai partiti e sugli episodi di corruzione e concussione. Fino ad allora, l’ autorizzazione era stata concessa con estrema parsimonia183, ma un simile atteggiamento restrittivo divenne un problema politico, proprio quando il numero di parlamentari sottoposti ad indagine crebbe vertiginosamente, provocando una crisi di sovraccarico nelle procedure di esercizio della prerogativa. In questo contesto storico, il rigetto di numerose richieste di autorizzazione a procedere avanzate soprattutto dalle Procure di Milano, Venezia e Roma, iniziò ad essere percepito dall’ opinione pubblica come veicolo di impunità per i parlamentari: il conflitto in atto tra la magistratura ordinaria e il Parlamento arrivò ad acutizzarsi, in una sorta di “ malessere istituzionale “184, all’ indomani della decisione della Camera dei deputati ( 29 Aprile 1993 ) con la quale si negava la richiesta, avanzata dalla Procura di Milano, nei confronti dell’ On. Bettino Craxi. Questo il contesto storico nel quale si muoveva la Commissione speciale istituita alla Camera, per esaminare le proposte di legge di revisione costituzionale. Se alcune di queste lasciavano inalterato il tessuto del primo comma dell’ art. 68, altre invece si diressero nel senso di estenderne la portata: “ sia per esplicitare che tale insindacabilità riguarda anche la responsabilità amministrativa e civile oltre che quella penale […] sia per Dall’ inizio della legislatura fino alla riforma dell’ art. 68 Cost. , circa un anno e mezzo , alla Camera dei deputati pervennero 619 richieste di autorizzazione a procedere ( fra le 228 definite , 111 quelle concesse, 52 quelle negate ) , mentre al Senato furono 233 ( 76 concesse , 56 negate ). 183 MIDIRI, La Riforma dell’ immunità parlamentare in Giur. Cost. 1994 , p. 2411 : “ Tanto per esemplificare, nella X legislatura ( 1987-1992 ) la Camera dei Deputati ha concesso 31 autorizzazioni, negandone 100 e restituendone 10 all’ A.G. in ragione dell’ insindacabilità ex art. 68 Cost. , comma primo; al Senato, 12 le autorizzazioni concesse, 86 negate “ . 184 MIDIRI, cit . , p. 2411 182 - 41 - ricomprendere accanto ai voti e alle opinioni, anche gli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni “185. La legge costituzionale n. 3 del 1993 riformula in questi termini l’art. 68 della Costituzione: “ I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’ atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza “. Da un confronto186 con la precedente disposizione normativa emerge chiaramente, da una parte il tentativo di riavvicinare la posizione del comune cittadino a quella del parlamentare: in tal senso, l’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere, per sottoporre quest’ ultimo a processo penale e per eseguire una sentenza irrevocabile di condanna. Dall’ altra parte, invece, le garanzie dei parlamentari sono aumentate, attraverso l’ incremento degli atti di istruzione per i quali l’ autorizzazione è stata mantenuta. Per quel che ci interessa, la prerogativa dell’ insindacabilità non è stata oggetto di modifiche sostanziali: solo nella forma, si registra il passaggio dall’ espressione “ perseguiti “ a quella “ chiamati a rispondere “. La nuova formula, avrebbe dovuto chiarire che la norma costituzionale esclude qualsiasi responsabilità giuridica, sia penale, che civile, amministrativa e disciplinare187. Seduta dell’ 11 giugno 1992, relatore C. Casini . Riportiamo, al fine di agevolare il confronto , la precedente formulazione : “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ ordine di cattura. Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile. “ 187 PANIZZA , La disciplina delle immunità parlamentari tra Corte e Legislatore in Giurisprudenza costituzionale – 1994 , p. 601 . 185 186 - 42 - In conseguenza dell’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere, il Parlamento si trovò improvvisamente privato di quel filtro istituzionale, che fino ad allora era stato in grado di assicurargli l’ attivazione per l’ esercizio del potere, riconosciutogli già dalla Corte Costituzionale nel 1988, consistente nel valutare la condotta addebitata ad un proprio membro e nell’ inibire una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, quando le Camere avessero qualificato quella condotta, come esercizio delle funzioni parlamentari188. Venuto meno, in sostanza, il nesso di consequenzialità tra la delibera camerale e l’ esercizio dell’azione penale, per cui la Camera di appartenenza conosceva e valutava l’ insindacabilità attraverso la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal giudice ordinario, risultava più difficile ricavare solo dal primo comma dell’ art. 68 Cost. un sistema che non assegnasse in prima istanza alla magistratura, ma al Parlamento, l’ interpretazione e applicazione delle norme attinenti ai presupposti della punibilità e della procedibilità delle azioni giudiziarie contro i parlamentari189. Questo dovrebbe spiegare la tempestività con un cui il Governo Ciampi emanò un decreto-legge190 , mai convertito e reiterato per ben diciotto volte, il quale avrebbe dovuto “ assicurare che la norma costituzionale fosse prontamente accompagnata da disposizioni atte a disegnarne le modalità operative “191. In realtà, esso tendeva a “ripristinare un equilibrio che, rottosi improvvisamente sotto la spinta emotiva delle vicende giudiziarie che avevano segnato la storia politica di quegli anni, era ritenuto ancora indispensabile a guidare le relazioni tra la magistratura e il Parlamento, nella delicata applicazione della garanzia costituzionale “192. Come detto, si pensava193, che l’ordine costituzionale delle competenze chiamate ad attuare il primo comma dell’ art. 68 Cost., richiedesse che l’ interpretazione e l’ applicazione di norme attinenti ai presupposti della punibilità e della procedibilità, dovesse rientrare nella giurisdizione piena dell’ autorità giudiziaria; salvo il potere del Parlamento di tutelare la propria prerogativa, sollevando conflitto di fronte alla Corte Costituzionale, laddove non condividesse le conclusione operate dalla magistratura. L’alternativa pensata a questo modello194, portava a riconoscere ai due poteri una pari ordinazione, affidando ad entrambi la possibilità di valutare la sindacabilità o meno delle opinioni del parlamentare, 188 GRISOLIA, cit. p. 88 ZAGREBELSKY , La riforma dell’ autorizzazione a procedere , in Giur. Cost. 1994 , p. 284 . 190 Contenente “ Disposizioni urgenti per l’ attuazione dell’ art. 68 Cost. “ 191 Relazione che accompagnava il relativo disegno di legge di conversione alla Camera. 192 GRISOLIA, cit. , p. 89 193 ZAGREBELSKY, op .ult . cit. , p. 284. 194 Vedi fra tutti PACE, Il nulla osta parlamentare , p. 1134 . 189 - 43 - fatta salva per l’altro potere la possibilità di attivare l’ intervento della Corte. I decreti legge che si susseguirono, invece, arrivarono ad una interpretazione diversa dei rapporti tra Parlamento e magistratura195. Il decreto legge n. 455/1993, con il quale ebbe inizio la lunga catena, distingueva due ipotesi. Qualora risultasse “ evidente l’ applicazione del primo comma dell’ art. 68 Cost. “196, il giudice doveva dichiararla d’ ufficio, in ogni stato e grado del procedimento; in tutti gli altri casi, comprese le ipotesi in cui fosse evidente l’ inapplicabilità di tale norma197, il giudice doveva sospendere il procedimento e trasmettere gli atti alle Camera competente, perché fosse questa a deliberare “ se il fatto per il quale si procede concerna o meno opinioni espresse o voti dati nell’ esercizio delle sue funzioni“198. In questo ultimo caso, nonostante il silenzio della legge, si ritenne che il giudice potesse sollevare il conflitto di fronte alla Corte Costituzionale, qualora non avesse condiviso le conclusioni del Parlamento199. Le critiche mosse dalla dottrina all’ intervento del Governo furono rivolte, da una parte all’ opportunità di scegliere il decreto legge, atto normativo di grado inferiore, per l’ attuazione e l’ interpretazione di una norma costituzionale; dall’ altra, si contestava il meccanismo ideato, perché andava ad attribuire alle Camere una sorta di competenza giurisdizionale200, neanche immaginabile sotto la vigenza del soppresso istituto della autorizzazione a procedere, con una sostanziale “ rinascita “ di quest’ ultimo ( anche con riferimento ai giudizi civili e amministrativi ) 201. Infatti, il Parlamento non si limitava più ad un controllo sull’ esistenza o meno del fumus persecutionis, controllo prodromico alla scelta di concedere o meno l’ autorizzazione di cui al vecchio art. 68 Cost., ma si inseriva nel giudizio che si svolgeva davanti al giudice in maniera più coinvolgente, decidendo esso stesso se il fatto per cui si procedeva rientrasse o meno nell’ alveo dell’ art. 68 Cost. Il decreto legge non fu convertito in legge. Sulla spinta delle critiche mosse dalla dottrina, il Governo lo reiterò, ma con talune modifiche sostanziali 202, che determinarono un meccanismo di pregiudizialità parlamentare, ad immagine e somiglianza della 195 GRISOLIA , cit. p. 89 Art. 3 , comma primo . 197 PACE, Quaderni Costituzionali – 2000 , p. 286 198 Art. 3 , comma secondo. 199 In tal senso ZAGREBELSKY , op. ult. cit. , p. 284 200 ROMBOLI, La “ pregiudizialità parlamentare ” per le opinioni espresse e i voti dati dai membri delle Camere nell’ esercizio delle loro funzioni in Foro It. 1994 , p. .999 ; MARTINELLI , cit. , p. 68 201 PACE, op. ult. cit. , p. 286 . 202 E’ il d.l. n. 23 del 1994 . 196 - 44 - pregiudizialità costituzionale203. Il giudice , qualora risultasse evidente l’ applicazione dell’art. 68, primo comma, doveva dichiararla d’ ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Negli altri casi, solo se fosse stata “ rilevata la questione “ relativa all’applicabilità dell’ art. 68, primo comma, della Costituzione, e se non l’avesse ritenuta “manifestatamene infondata ”, trasmetteva direttamente gli atti alla Camera, affinché fosse questa a decidere nel merito204. In questo quadro, se la questione fosse stata ritenuta manifestamente infondata, il giudice poteva proseguire nel giudizio, senza investire della stessa la Camera competente: si poteva ritenere salva, tuttavia, la possibilità che l’ organo parlamentare sollevasse il conflitto di fronte alla Corte Costituzionale, laddove non condividesse le conclusioni del giudice ordinario205. Ritenuta, al contrario, la questione non manifestatamene infondata, e trasmessi così gli atti alle Camere, il giudice doveva disporre la sospensione del procedimento, sino alla deliberazione della Camera competente, e comunque, per un tempo non superiore a novanta giorni. Detto termine , come la lettera della disposizione suggeriva, non andava certo a frapporre un ostacolo ad una decisone tardiva delle Camere, né ad eventuali manovre dilatorie, ma solo a fissare la durata massima della sospensione del procedimento206: nulla impediva, quindi, che le Camere potessero pronunciarsi anche a distanza di mesi o anni, “ quale che fosse stata la fase e le conclusioni raggiunte dall’ Autorità giudiziaria, con l’ effetto di paralizzarle “207. Il decreto legge n. 69 del 1995 ebbe ulteriormente a disporre che, quando la Camera avesse ricevuto dall’ Autorità giudiziaria copia dell’ ordinanza, dichiarante la manifesta infondatezza della questione relativa all’ applicazione del primo comma dell’ art. 68 Cost., avrebbe potuto richiedere copia degli atti del procedimento: in tal caso il giudice poteva disporre la sospensione dello stesso, analogamente all’ ipotesi in cui avesse ab 203 Così ROMBOLI, cit. , coll. 995 -1000 . Si veda, inoltre , il meccanismo con il quale la Corte Costituzionale viene investita della questione di legittimità costituzionale , negli art. 23 e 24 , legge n. 87 / 1953 . 204 Così il nuovo art. 3 , introdotto dal decreto : “ Quando risulti evidente l’ applicazione dell’art. 68, primo comma, il giudice la dichiara d’ ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Il giudice, se non ritiene di dover provvedere a norma del comma primo e sempre che sia rilevata la questione relativa all’applicabilità dell’ art. 68, primo comma, della Costituzione, pronuncia, sentite le parti, ordinanza non impugnabile. Con tale provvedimento , qualora non ritenga che la questione sia manifestatamene infondata, il giudice trasmette direttamente gli atti alla Camera competente perché questa deliberi se il fatto per il quale è in corso il procedimento concerna o meno opinioni espresse o voti dati da un membro del Parlamento nell’ esercizio delle sue funzioni e dispone la sospensione del procedimento sino alla deliberazione della camera competente, e comunque, per un tempo non superiore a novanta giorni (…) . “ 205 GRISOLIA, cit. , p. 93 206 Così ROMBOLI, cit. , pagg. 995 e ss. 207 MARTINELLI, cit. , p. 67 . - 45 - initio trasmesso gli atti alle Camere. Il decreto legge n. 16 del 1996 completava questo schema, aggiungendo che quella sospensione sarebbe durata fino alla deliberazione della Camera e, comunque, non oltre il termine di 90 giorni dalla ricezione degli atti. Quando la Corte Costituzionale208 mise fine alla consolidata prassi di reiterare i decreti legge non convertiti nel tempo, la catena dei provvedimenti di attuazione dell’art. 68 Cost. dovette interrompersi necessariamente: l’ ultimo fu il d.l. n. 555 del 1996. 7.Il primo conflitto successivo alla riforma del 1993: la sentenza n. 129 del 1996 La sentenza n. 129 del 1996, prima e unica decisione pronunciata dalla Corte Costituzionale sotto la vigenza dei decreti legge esaminati, risolveva il conflitto di attribuzione promosso con ricorso del Senato contro il Tribunale di Palermo209, annullando l’ ordinanza dei giudici siciliani. Essa consolida la lettura dell’ art. 68 Cost., comma primo, già suggerita dalla Corte210, secondo la quale la norma “ attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia ritenuta esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale, sempre che il potere sia stato correttamente esercitato. Qualora reputi che la delibera favorevole all'applicazione dell'art. 68, primo comma, sia il risultato di un esercizio non corretto del potere - per vizi in procedendo oppure per omessa o erronea valutazione dei suoi presupposti, in particolare per manifesta estraneità della condotta del parlamentare al concetto di opinione o di esercizio delle funzioni - , il giudice, al quale si è rivolta la persona lesa dalle dichiarazioni diffamatorie contestate, può soprassedere alla 208 Sentenza n. 360 del 1996 . Nel corso di una trasmissione televisiva dedicata a gravi delitti di mafia, il Sen. Mancuso, riferendosi ai soccorsi prestati all' agente di scorta Lenin Mancuso, morto nell'agguato teso al giudice Cesare Terranova, accusava gravemente il questore dott. Bruno Contrada : "Contrada fa sì che gli agenti non lo soccorrano, infatti viene soccorso semplicemente molto tempo dopo, quando era molto più dissanguato: era come se gli mettesse la mano in bocca per cercare di non farlo respirare ". Nel corso del procedimento penale, iniziato a seguito della querela del dott. Contrada, il G.I.P. presso il Tribunale di Palermo dichiarava manifestamente infondata l'eccezione di applicabilità dell'art. 68 Cost. , primo comma, inviando copia dell’ ordinanza al Presidente del Senato , ai sensi dell'allora vigente d.l. 16 maggio 1994, n. 291. Successivamente , il Senato deliberava l’ insindacabilità delle opinioni espresse dal Sen. Mancuso . Il Tribunale di Palermo , ciò nonostante , disponeva la prosecuzione del dibattimento , appellandosi ad una serie di considerazioni di ordine strettamente processuale. 210 Vedi le sentenze nn. 1150 del 1988 e 443 del 1993 . 209 - 46 - dichiarazione immediata di applicabilità dell'art. 68 sollevando conflitto di attribuzione davanti a questa Corte, con effetto sospensivo del giudizio pendente davanti a lui “. Ciò premesso, la Corte non può che disapprovare la condotta del Tribunale di Palermo, il quale aveva disposto la prosecuzione del dibattimento, nonostante fosse intervenuta una deliberazione del Senato, che dichiarava l’ insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro: “ quale che sia la dottrina preferibile circa la natura dell'irresponsabilità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, è certo che alla deliberazione della Camera di appartenenza che la riconosce è coessenziale l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilità, penale o civile per il risarcimento dei danni (…). L'obbligo del giudice quando non ritenga di sollevare conflitto di attribuzione - di dichiarare immediatamente, in ogni stato e grado del processo, la causa di irresponsabilità dell'imputato, affermata dalla Camera di appartenenza, discende direttamente dalla norma costituzionale… L 'art. 68 Cost. sacrifica il diritto alla tutela giurisdizionale del cittadino che si ritenga offeso, nell'onore o in altri beni della vita, da opinioni espresse da un senatore o deputato nell'esercizio delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del Parlamento, poiché costituisce, sul piano del diritto sostanziale, una causa di irresponsabilità dell'autore delle dichiarazioni contestate, comporta, sul piano processuale, l'obbligo per l'autorità giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti. Il solo rimedio è dato dalla possibilità di controllo della Corte costituzionale sulla correttezza della deliberazione: controllo che il giudice può promuovere col mezzo del conflitto di attribuzione, ancora proponibile nel caso in esame, non essendo previsto alcun termine dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953 ”. In definitiva, la Corte ribadisce in modo assoluto che l’ unico strumento a disposizione dell’ autorità giudiziaria per contestare la deliberazione della Camera di appartenenza è il conflitto di attribuzioni, non certo la continuazione del processo. La Corte Costituzionale diviene, per questa via, l’ organo decisivo nell’ individuare i limiti dell’ irresponsabilità dei parlamentari e, di conseguenza, il conflitto di attribuzione si prospetta come rimedio univoco per verificare le pretese dei giudici e la correttezza delle decisioni - 47 - delle Camere, al fine di tutelare il principio di indipendenza ed autonomia del potere legislativo nei confronti degli altri organi e poteri dello Stato211. 8.La Corte fa il punto sulla propria giurisprudenza: la sentenza n. 265 del 1997 Per meglio comprendere le tappe della vicenda in esame, va premesso che la Camera dei deputati, su conforme proposta della Giunta, aveva deliberato la restituzione degli atti all’ autorità giudiziaria212, in risposta ad una richiesta di autorizzazione a procedere, inoltrata a seguito della querela presentata da un magistrato nei confronti dell’ On. Cafarelli213. Non aveva attribuito “efficacia inibente “ a quella deliberazione il Tribunale di Foggia, nel pronunciare sentenza di condanna al risarcimento dei danni nei confronti dello stesso parlamentare, convenuto per le medesime dichiarazioni, ma da un magistrato diverso. In relazione a questa sentenza, la Camera dei deputati proponeva conflitto di attribuzione nei confronti del Tribunale “ per riaffermare - come recita l'atto introduttivo - il ( proprio ) potere di valutare la perseguibilità dei fatti commessi da un proprio membro, definendo sia la natura del comportamento (espressione di opinioni e voti) sia la sussistenza o meno della connessione tra lo stesso comportamento, divenuto oggetto del giudizio civile, e l'esercizio della funzione parlamentare ". Tra l’altro, la Camera ricorrente contestava al giudice ordinario l’ aver indebitamente disatteso la precedente delibera di restituzione degli atti, nel presupposto che quella decisione si riferisse, comunque, allo stesso fatto oggetto del giudizio civile. 211 MARTINELLI, cit. , p. 83 " Trattandosi di ipotesi rientrante nella fattispecie prevista dal primo comma dell'articolo 68 della Costituzione" : così la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati. 212 213 Le dichiarazioni del deputato questo erano contenute in un esposto ( e poi confermate davanti al C.S.M. ) , con il quale il parlamentare denunciava gravi irregolarità operate nell’amministrazione della giustizia nel circondario foggiano . - 48 - Nel decidere il caso de quo , sentenza n. 265 del 1997, la Corte Costituzionale sanciva l’ inammissibilità del ricorso per assenza della materia del contendere. E’ utile, tuttavia, seguire i passaggi che conducono a questa decisione. Anzitutto, i giudici precisano che il primo comma dell'art. 68 Cost. non attribuisce alle Camere “ un potere di tipo autorizzativo “, il cui esercizio condizioni l'esplicazione della funzione giurisdizionale, in ordine alle condotte dei parlamentari alle quali esso si riferisce; piuttosto, la norma costituzionale ha “ natura sostanziale, limitando la possibilità di far valere in giudizio una ipotetica responsabilità del parlamentare per le opinioni espresse nell'esercizio della funzione ”. Questa limitazione, secondo la Corte, vale egualmente in ordine a qualunque sede giurisdizionale nella quale si pretenda di far valere una responsabilità del parlamentare, e dunque anche in sede di giudizio civile: “ ciò é ora fuori discussione, dopo che la legge costituzionale n. 3 del 1993, modificando l'art. 68, primo comma, della Costituzione, ne ha sostituito l'originaria dizione, con una più univocamente comprensiva ”. Fatte queste premesse, la Corte prosegue riaffermando e ricomponendo i principi espressi nella precedente giurisprudenza, in una logica unitaria in grado di guidare l’ interprete nell’applicazione della guarentigia costituzionale214. “ Le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono disposte "215, per cui la prerogativa in questione " attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, sempre che il potere sia stato correttamente esercitato "216. La Corte ricorda che solo in conseguenza dell’ esercizio in concreto, da parte della Camera di appartenenza del parlamentare, della propria potestà, si produce " l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilità, penale o civile per il risarcimento dei danni ", discendendo direttamente dalla norma costituzionale " l'obbligo per l'autorità giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti"217. Ma sul punto della sindacabilità può e deve, specie 214 GRISOLIA, cit. , p. 153 . Sentenze n. 443 del 1993; n. 1150 del 1988 . 216 Sentenze n. 129 del 1996; n. 1150 del 1988. 217 Sentenza n. 129 del 1996. 215 - 49 - di fronte alla eccezione sollevata in giudizio, " pronunciarsi il giudice ordinario , ove manchi ogni pronuncia della Camera di appartenenza del parlamentare "218. In virtù dei principi enunciati , la Corte ritiene non condivisibile la prospettazione 219, secondo cui l'autorità giudiziaria, la quale si trovi dinanzi ad una questione di sindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare, sarebbe carente di giurisdizione senza la previa deliberazione della Camera di appartenenza; se così non fosse, si arriverebbe “ a ricostruire impropriamente il sistema nei termini di una sorta di parlamentare, pregiudizialità che si imporrebbe in tutti i giudizi in cui si controverta di ipotetiche responsabilità di un membro delle Camere, suscettibili di essere ricondotte ad una sua manifestazione di opinione, collegabile all'esplicazione del mandato; e in definitiva a configurare nuovamente una specie di autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza, in assenza della quale non potrebbe essere esercitata la funzione giurisdizionale ”. Solo dove sia intervenuta la deliberazione della Camera, adottata nell'esercizio della potestà ad essa spettante, si produce l'effetto di obbligare il giudice ad adeguarsi alla valutazione dalla stessa compiuta, a meno che egli non ritenga che la Camera stessa, con la dichiarazione di insindacabilità, abbia illegittimamente esercitato il proprio potere: per vizi in procedendo, oppure perchè mancavano i presupposti di detta dichiarazione ( tra i quali , essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare ), ovvero perchè tali presupposti siano stati arbitrariamente valutati220. In tal caso “ il giudice non é abilitato a disattendere direttamente la valutazione dell'organo parlamentare, bensì può solo provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando conflitto di attribuzione ”. Ecco, dunque, il ruolo della Corte Costituzionale nel bilanciamento delle competenze della magistratura e del Parlamento: “Il giudice dei conflitti non é chiamato, e non può esserlo, a pronunciarsi direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un parlamentare … Né la Corte può essere chiamata a rivedere - quasi come un giudice dell'impugnazione - vuoi le sentenze pronunciate dai giudici, che abbiano fatto erronea applicazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, vuoi le decisioni delle Camere che abbiano deliberato in assenza o con erronea o arbitraria valutazione dei relativi presupposti. Da un lato infatti il controllo delle pronunce dei giudici, anche sotto questo profilo, spetta ai giudici delle eventuali impugnazioni e in definitiva all'organo di 218 Sentenza n. 443 del 1993. Nel caso di specie , della ricorrente . 220 Sentenza n. 443 del 1993. 219 - 50 - nomofilachia; dall'altro lato la deliberazione della Camera di appartenenza del parlamentare, espressione della sua autonomia costituzionale, non é soggetta ad impugnazioni, e ad essa il giudice é normalmente vincolato “. La Corte può essere chiamata ad intervenire, solo quando sorga un contrasto fra la valutazione espressa dall'organo parlamentare ed il contrario apprezzamento del giudice: e dunque il giudizio della Corte “ può intervenire solo a posteriori e dall'esterno ”, in funzione di risoluzione del conflitto in tal modo manifestatosi tra organo parlamentare e giudice, nella veste di garante dell'equilibrio costituzionale, fra salvaguardia della potestà autonoma della Camera e tutela della " sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria, su cui la deliberazione parlamentare viene ad incidere inibendone l'esercizio”221. Generale fu il consenso espresso dalla dottrina per questa pronuncia, specie laddove essa bandiva definitivamente meccanismi , quali quelli della c.d. “ pregiudizialità parlamentare “, che pure avevano contraddistinto la linea politica del Governo, attraverso i ripetuti decreti legge di attuazione dell’ art. 68 Cost. Lo schema che , invece, si andava delineando222, era quello di una doppia competenza223, tale per cui il magistrato avrebbe potuto iniziare un’azione giudiziaria nei confronti del parlamentare, anche in assenza di una preventiva investitura della Camera di appartenenza; solo laddove questa avesse esercitato il proprio potere, dichiarando l’ insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, quello stesso magistrato avrebbe avuto l’ obbligo di rispettare tale 221 Ciò premesso , la Corte passa all’ esame della vicenda de quo , valutando l’ammissibilità del ricorso , sotto il profilo dell’ attualità della materia del contendere . In tal senso, essa non ritiene che il fatto, oggetto del giudizio civile dinanzi al tribunale di Foggia, sia lo stesso fatto che fu oggetto, a seguito della querela del dott. Baldi, del procedimento penale presso la Pretura di Roma , in riferimento al quale fu adottata la delibera della Camera. In definitiva, pur espresse nel medesimo contesto ( esposto al C.S.M. ), le dichiarazioni dell' On. Cafarelli relative al dott. Baldi, e quelle relative al dott. Picardi, mantengono la loro autonomia . In conclusione , la Corte Costituzionale dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione, dal momento che “ non può dirsi che la Camera abbia dichiarato l'insindacabilità delle opinioni del parlamentare, che sono oggetto del giudizio civile instaurato davanti al Tribunale di Foggia, “ per cui “ ne discende che la "materia" del conflitto non si é concretizzata “ . Ne è conferma la sentenza n. 375 dl 1997 . Così la Corte Costituzionale : “ La Corte non é giudice dell’impugnazione (…) non può rivalutare la ponderazione compiuta dalle Camere, ma soltanto accertare se vi sia stato un uso distorto, arbitrario, del potere parlamentare, tale da vulnerare le attribuzioni degli organi della giurisdizione o da interferire sul loro esercizio (…). Nel sistema delineato dalla norma costituzionale, spetta alle Camere valutare la sussistenza delle condizioni dell’insindacabilità . E va altresì ricordato che la prerogativa riconosciuta ai membri del Parlamento é, sul piano del diritto sostanziale, una causa che esonera dalla responsabilità l’autore delle dichiarazioni contestate; e sul piano processuale vi é l’obbligo per l’autorità giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare, fatta salva la possibilità di provocare il controllo della Corte costituzionale sulla "correttezza" di essa ” . 222 MALFATTI, La giurisprudenza costituzionale e l’ insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari, in Giur. Cost. 1997, p. 2449 . . 223 - 51 - pronuncia, salva la possibilità di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale. 9.La funzione parlamentare e il nesso funzionale Dopo la sentenza n. 1150 del 1988 , la Corte Costituzionale ha sempre limitato il proprio giudizio su profili preliminari o di carattere procedurale, ciò che le ha permesso di non entrare nel merito delle singole questioni224; l’ unica occasione in cui la Consulta era giunta ad esprimere un giudizio sulla valutazione dell’ insindacabilità compiuta dagli organi parlamentari, era stata la sentenza n. 443 del 1993225. In quella pronuncia, i giudici costituzionali implicitamente avallavano la c.d. tesi intermedia, già sostenuta nella giurisprudenza parlamentare e dalla stessa dottrina , in forza della quale la garanzia costituzionale include sia le opinioni espresse nelle sedi istituzionali , sia quelle che , pur esposte fuori dall’ attività parlamentare, risultassero collegate mediante un rapporto di connessione intensa e reciproca con un'altra opinione sicuramente insindacabile 226. Dopo questa decisione la Corte ha evitato per molto tempo di tornare sull’ argomento. La sentenza n. 375 del 1997 viene ricordata come la “ svolta “ nella giurisprudenza costituzionale227, la quale entra per la prima volta nel merito del caso sottopostole, affrontando il delicato problema dei limiti del potere delle Camere, nel valutare l’ insindacabilità delle opinioni espresse dai propri membri. Con questa decisione, la Corte risolveva il conflitto promosso dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma contro la delibera del Senato, con la quale si dichiaravano insindacabili le opinioni espresse dal Sen. Boso, nella sala stampa di Palazzo Madama. A differenza della vicenda esaminata nella sentenza n. 443 del 1993228, i giudici della Consulta si trovavano, adesso, di fronte a giudizi che, pur prendendo spunto dal dibattito parlamentare allora in corso, risultavano non collegati ad opinioni espresse dal Sen. Boso durante i lavori parlamentari229. Nella sentenza in esame, la Corte ribadisce gli orientamenti emersi dalla sentenza n. 265 dello stesso anno, tra l’altro ricordando che essa “ non può rivalutare la 224 GRISOLIA, cit. , p. 163 . Sulla vicenda vedi retro . 226 La ricostruzione è di GRISOLIA, cit. , p. 164 . 227 MARTINELLI, cit. , p. 148 228 Vedi la sentenza n. 443 del 1993, dove la Corte parla di “ fatti e circostanze di cui ( l’ On. Ricci ) era venuto a conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni” . 229 Era in discussione la conversione di un decreto legge del Governo in materia di immigrazione, e le dichiarazioni del Sen . Boso contenevano pesanti giudizi contro il coordinatore di un movimento di solidarietà per gli extracomunitari . 225 - 52 - ponderazione compiuta dalle Camere“,ma soltanto accertare se vi sia stato “ un uso distorto, arbitrario, del potere parlamentare “ , tale da vulnerare le attribuzioni degli organi della giurisdizione o da interferire sul loro esercizio. Questa verifica ha per oggetto “ la regolarità dell’iter procedurale “ e, nei limiti sopra indicati, la “ sussistenza dei presupposti “ richiesti dal primo comma dell’art. 68, e cioè la “ riferibilità dell’atto alle funzioni parlamentari “. Essa “ non é chiamata a giudicare sul merito della scelta parlamentare “, ma solo ad “ accertare se vi sia stato corretto esercizio del potere parlamentare, o se la valutazione dei presupposti per la sua applicazione risulti inconciliabile con la previsione costituzionale, determinando invasione o interferenza con le attribuzioni giudiziarie ”. Naturalmente questi principi ispirarono i giudici costituzionali, nella valutazione della correttezza della delibera di insindacabilità approvata dal Senato, effettuata attraverso l’analisi delle ragioni che avevano indotto l‘ Assemblea a disattendere le valutazioni della Giunta ( che , al contrario , aveva ritenuto sindacabili le opinioni del senatore ). In particolare la Corte manteneva tre punti fermi: a) le dichiarazioni del Sen. Boso erano state rese nel periodo in cui si dibatteva sulla conversione di un decreto legge sugli immigrati extracomunitari; b) su quei temi, “ il confronto politico era talmente aspro da impedire l’utile conclusione dei lavori in commissione; c) era vero che le dichiarazioni rese dal parlamentare non erano “riproduttive degli interventi del senatore Boso in commissione affari costituzionali, ove si esaminavano numerosi emendamenti, fra i quali ve ne erano molti presentati dallo stesso Boso “. Ma, per il Senato esse erano “ divulgative di una scelta politica, che si è tradotta in puntuali atti funzionali “230. In considerazione di ciò, la Corte ritenne “ non arbitraria “ la valutazione effettuata dal Senato, escludendo, quindi, che la deliberazione dell’ Assemblea rappresentasse “ esercizio arbitrario del potere parlamentare “, come tale “ invasivo delle attribuzioni degli organi giurisdizionali “231. Vedi. gli emendamenti menzionati e il disegno di legge sulla "regolamentazione dell’ingresso e della permanenza degli extracomunitari nel territorio dello Stato", di iniziativa dei senatori Bedoni, Boso e altri, XII legislatura, n. 1780, assegnato alla prima commissione congiuntamente al disegno di legge di conversione del citato decreto-legge n. 489 del 1995). 231 Molto critico nei confronti della Corte PETRANGELI , L’ insindacabilità parlamentare : una nuova fase inaugurata con qualche incertezza , in Giur. Cost. 1997 , p. 3611 . Secondo l’ A. “ è assai arduo rintracciare una connessione contenutistica tra gli emendamenti presentati dal senatore Boso sul tema dell’ immigrazione e il comunicato stampa. Per legittimare la valutazione parlamentare la Corte arriva a forzare la ricostruzione del dibattito svoltosi nell’ aula del Senato. Dalla lettura del resoconto della seduta non sembra , infatti , emergere nessuno di quegli elementi sui quali la Corte afferma di fondare il proprio controllo di non arbitrarietà “ . Non v’è traccia , in tal senso , dell’asprezza del conflitto politico sul tema dell’ immigrazione , ma soprattutto non si fa accenno a quegli atti 230 - 53 - Il punto di maggior pregio della decisione, come è stato sottolineato, è stato quello di non limitarsi in negativo a definire la “non arbitrarietà “ delle valutazioni operate dall’ organo parlamentare, ma di motivare in positivo la propria scelta232, prendendo posizione in modo chiaro nel dibattito relativo alla portata da attribuire alla funzione parlamentare 233. Dopo aver ripercorso i passaggi principali delle sue precedenti sentenze234, la Corte precisa: “la funzione parlamentare ha una dimensione peculiare nel sistema. Se essa non si risolve negli atti tipici, e ricomprende quelli presupposti e consequenziali, non si può però ricondurvi l’intera attività politica svolta dal deputato o dal senatore: tale interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale posto dall’art. 68, primo comma, e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale “. La Corte Costituzionale accoglie la dottrina del nesso funzionale235: esso rappresenta, infatti , “ il discrimine fra quell’insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono così di frequente nell’attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ”. L’ indirizzo così espresso dalla Corte sembrava sostanzialmente riconducibile a quello c.d. intermedio236. Ma ecco , infine , il monito per il futuro: “ Gli effetti della dichiarazione d’insindacabilità - non limitata alla durata della legislatura - e i suoi innegabili riflessi sull’esercizio della giurisdizione pongono, al tempo stesso, l’esigenza che le Camere si attengano a canoni il più possibile chiari e univoci nell’esplicazione di detto potere ”. 10.I primi annullamenti di delibere di insindacabilità, adottate da un ramo del Parlamento funzionali, citati minuziosamente dalla Corte stessa, di cui le dichiarazioni del Sen. Boso avrebbero dovuto costituire una divulgazione esterna . Critico anche MARTINELLI, cit. , p. 149 . “ Qui la Corte sembra cadere in un equivoco : il legame intercorre sicuramente tra la scelta politica e gli atti funzionali, ma non tra questi ultimi e le dichiarazioni lesive della reputazione di un privato cittadino “ . 232 GRISOLIA, cit . , p. 177 . 233 GUARINI, L‘ ordine delle competenze di Camere e Autorità giudiziaria in materia di insindacabilità parlamentare, in Rass. Parl. 1998, p. 952 . 234 Vedi nota n. 105 235 MARTINELLI, cit. , p. 148 236 GRISOLIA, cit. , p. 178 . PERTICI, E’ ancora la Camera d’ appartenenza il giudice dell’ insindacabilità dei voti dati e delle opinioni espresse dai parlamentari , in Giur. Cost. 1997 , p. 3621 . - 54 - Il rischio che più facilmente poteva paventarsi, all’ indomani della sentenza n. 375 del 1997, era che la Corte Costituzionale cadesse nello stesso “ vizio “ della giurisprudenza parlamentare: affermare in via di principio l’ esigenza del nesso funzionale, ma garantire di fatto una interpretazione estensiva della prerogativa costituzionale237. Questa impressione viene fugata con forza dalla sentenza n. 289 del 1998. Il giudizio dinanzi alla Corte costituzionale viene promosso, con ricorso del Tribunale di Bergamo per conflitto di attribuzione238. Questo lamenta “ un uso non corretto del potere “, spettante alla Camera di appartenenza, di decidere in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. Nella specie, l’ On . Calderoli era stato convenuto davanti al Tribunale ricorrente, a seguito di dichiarazioni ritenute diffamatorie, rese dal deputato nei riguardi dell’attore239. Il Tribunale dichiarava, ai sensi del decreto-legge n. 69 del 1995, allora vigente, la manifesta infondatezza della questione relativa all’applicabilità, eccepita dal convenuto, dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e disponeva la trasmissione alla Camera dei deputati dell’ordinanza e degli atti di parte240. La delibera del gennaio 1996, con la quale la Camera dichiarava l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Calderoli, sposava le considerazioni svolte nella relazione della Giunta: si osservava che le affermazioni del parlamentare “ traggono spunto dalla sua posizione di deputato e di leader locale della Lega Nord “ e che fosse “ evidente il collegamento tra gli apprezzamenti critici rivolti , tanto nei confronti del Capo 237 MARTINELLI, cit . , p. 151 . Vedi infatti le critiche alla sentenza indicate nella nota n. 114 . Sorto a seguito della delibera adottata il 31 gennaio 1996 dalla Camera dei deputati , relativamente alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’ On. Calderoli, oggetto del giudizio civile promosso dal dott. Buonanno, dinanzi al Tribunale di Bergamo . 239 Il dott. Buonanno, all’epoca dei fatti, era sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo e aveva firmato una informazione di garanzia, ricevuta dal Calderoli l’8 novembre 1993, nella quale si ipotizzava il reato previsto dall’art. 278 cod. pen., per avere quest’ultimo, nel corso di un comizio, qualificato il Presidente della Repubblica "sagrestano" e per avere incitato i bergamaschi a fischiare lo stesso Presidente quando, dopo qualche giorno, sarebbe giunto in visita a Bergamo. Il dott. Buonanno aveva, successivamente, citato in giudizio il deputato Calderoli per dichiarazioni rese in una serie di interventi pubblici (una conferenza stampa, una serie di trasmissioni televisive, un comizio), nel corso dei quali, come espone il Tribunale ricorrente, il convenuto rivolgeva al dott. Buonanno personalmente od estesa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, l’accusa di fare, anche per ragioni di carriera, un uso strumentale e politico dell’azione penale, "perdonando alcuni pubblici amministratori o potenti, in forza o in ossequio ai rapporti di amicizia o sudditanza o peggio ... e perseguendo invece ingiustamente gli esponenti politici appartenenti alla Lega Lombarda". Il convenuto, si legge ancora nell’atto introduttivo del presente giudizio, muoveva altresì all’attore accuse di incapacità professionale, ignoranza e inefficienza. 240 Anche il G.i.p. presso il Tribunale penale di Bergamo , dinanzi al quale l’ On. Calderoli veniva chiamato a rispondere delle offese rivolte al Presidente della Repubblica , riteneva l’ eccezione , ex art. 68 Cost. , manifestatamene infondata . 238 - 55 - dello Stato quanto nei confronti della magistratura bergamasca , e l’attività parlamentare svolta” dal deputato nella sede parlamentare, “ in quanto, tra l’altro, i temi trattati sono tipici e caratteristici del gruppo parlamentare al quale il deputato appartiene ". Al Tribunale ricorrente sfuggiva il diretto collegamento tra gli apprezzamenti diffamatori formulati nei confronti del dott. Buonanno, con l’attività svolta in sede parlamentare dall’ On. Calderoli e dal suo Gruppo241. La Corte costituzionale, come detto, è chiamata a decidere, se la Camera dei deputati abbia fatto un uso non corretto del potere “ di decidere in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo del necessario collegamento delle opinioni espresse dal deputato con le funzioni parlamentari “ e, conseguentemente, se debba essere annullata la deliberazione di insindacabilità adottata il 31 gennaio 1996242. La Corte Costituzionale si è trovata in questa occasione a valutare, per la prima volta, la specifica delibera della Camera, esaminando gli atti prodromici, al fine di individuare il percorso logico che ha condotto l’ Assemblea a pronunciarsi in senso ostativo all’ accertamento giurisdizionale. Preme, anzitutto, ai giudici della Consulta ribadire il principio per cui il giudice costituzionale non é chiamato a riesaminare “ nel merito “ la valutazione compiuta dalla Camera, ma deve verificare se vi sia stato un “ corretto esercizio del potere “243, riservato alla Camera di appartenenza, di dichiarare l’insindacabilità del comportamento contestato al membro del Parlamento, anche sotto il profilo della “ sussistenza e della non arbitraria valutazione dei presupposti “, alla presenza dei quali il primo comma dell'art. 68 condiziona l'operare della prerogativa di irresponsabilità. Nell’ ambito del sindacato sul corretto esercizio del potere delle Camere, costituisce premessa ormai costante il principio per cui l’ insindacabilità “ non si estende a tutti i Il Tribunale ricorrente osserva che "la sola attività parlamentare pertinente ... é rappresentata dall’interrogazione presentata dallo stesso On. Calderoli il 22 giugno 1994, dalla quale non può in alcun modo farsi discendere il giudizio di insindacabilità delle opinioni espresse dal convenuto ... in primo luogo, perchè trattasi di iniziativa assunta ben dopo i fatti di causa ... ed inoltre perchè, seppure interpellanze ed interrogazioni costituiscano atti tipici del parlamentare insindacabili ex art. 68 Cost., non altrettanto può dirsi per l’attività extraparlamentare che non si limiti alla diffusione del contenuto di esse ". 242 Punto n. 1 , Considerando in diritto. 243 Si è osservato ( BONINI , Corriere Giuridico n. 3/1999 , p. 315 ) , che il controllo sul corretto esercizio del potere riguarderebbe “ non tanto le conclusioni raggiunte nella decisone finale, ma la congruenza e la linearità delle argomentazioni che a tale risultato hanno condotto, cosicché sarebbe individuabile una sorta di vizio di eccesso di potere allorquando … dal dibattito dell’ aula…non sia dato modo di comprendere i motivi della sussunzione del caso concreto nella fattispecie scriminante identificata dalla Costituzione “. 241 - 56 - comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli funzionali all’esercizio delle attribuzioni proprie del potere legislativo “. La Corte ricorda , infatti, che “ il nesso funzionale costituisce il discrimine fra quell’insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono così di frequente nell'attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della particolare garanzia prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione “244. Ciò premesso, la Corte non ravvisa nella vicenda de quo, sia alla luce degli elementi desumibili dalla delibera di insindacabilità e dalla relazione della Giunta in essa richiamata, sia dalle deduzioni svolte dalla difesa della Camera, “ un collegamento tra le espressioni contestate come diffamatorie al deputato e la sua attività parlamentare “. In particolare, non é possibile “ rintracciare una connessione con atti tipici della funzione, né risulta possibile individuare un intento divulgativo di una scelta o di un'attività politico - parlamentare “. In definitiva, il collegamento dei comportamenti contestati dinanzi al giudice civile con l’ " attività parlamentare " richiamata nella relazione della Giunta, é “ una pura affermazione apodittica, non suffragata da alcun puntuale riferimento “245. Né può bastare, per una lettura in senso contrario, una interrogazione presentata dal deputato Calderoli nel giugno 1994, in epoca successiva, quindi, al ricevimento dell’avviso di garanzia all’origine delle dichiarazioni diffamatorie contestate al deputato. La Corte Costituzionale, infatti, esclude che il collegamento funzionale possa ravvisarsi tra le ripetute allusioni - pronunciate in occasione di comizi, conferenze stampa e trasmissioni televisive - a scorrettezze od illeciti compiuti da magistrati, ed una interrogazione successivamente rivolta al Ministro di grazia e giustizia 246. 244 Sentenza n. 375 del 1997 . 245 Invero, ricorda la Corte, dalla relazione della Giunta si legge semplicemente che " tutte le affermazioni rese dal deputato Calderoli traggono spunto dalla sua posizione di deputato e di leader locale della Lega Nord " e che " é apparso evidente alla Giunta il collegamento tra gli apprezzamenti critici ... rivolti, tanto nei confronti del Presidente della Repubblica quanto nei confronti della magistratura bergamasca, e l’attività ... svolta nella sede parlamentare, in quanto, tra l’altro, i temi trattati sono tipici e caratteristici del gruppo parlamentare al quale il deputato appartiene". Esclude , tuttavia, la Corte che l’ asserita omogeneità tematica di tali apprezzamenti all’attività politica del gruppo parlamentare di appartenenza possa, mancando l’indicazione di qualsiasi elemento di fatto, far derivare “ elementi idonei a dimostrare la connessione funzionale richiesta come condizione di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione ” . “ per chiedere al medesimo se intenda promuovere attività ispettive volte ad accertare l’effettivo compimento delle scorrettezze e degli illeciti stessi “ . 246 - 57 - Le opinioni dell’ On. Calderoli furono preparatorie, e non consequenziali , all’ esercizio di attività istituzionali, e come tali non caratterizzabili per un collegamento strumentale con quest’ ultime247, se non a costo di attrarre – come precisato in conclusione dalla Corte - “ con indebita inversione …nell'area dell'insindacabilità la divulgazione di gravi addebiti ( fatta ) nelle più diverse occasioni pubbliche, ma non nella sede parlamentare “. L’ attività preparatoria dovrebbe, a rigore, restare fuori dalla garanzia costituzionale248, per l’ ovvia ragione, posta in luce ancora nella sentenza, che “ diversamente opinando, qualsiasi affermazione, anche ritenuta gravemente diffamatoria e - ciò che conta - estranea alla funzione od all'attività parlamentare, potrebbe diventare insindacabile a seguito della semplice presentazione in data successiva al fatto di un’interrogazione ad hoc “. Il che , come sostenuto da un’ autorevole voce 249, proprio perché contraddice quanto dalla Corte stessa ritenuto nella precedente sentenza n. 375 del 1997, e richiamato nella sentenza in esame250, costituisce dal punto di vista dei principi, il più rilevante contributo alla giurisprudenza costituzionale in materia. La conclusione che si poteva trarre per il futuro, era che il Parlamento, nel dichiarare l’ insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, da una parte avrebbe considerato solo le “specifiche “ funzioni parlamentari ( elettive, legislative e di controllo) previste in Costituzione e nei regolamenti parlamentari 251; dall’altra, avrebbe potuto includere nell’alveo della guarentigia prevista dall’art. 68 Cost., le attività “ divulgative “ ( ancorché effettuate fuori dalle Camere ) connesse alla presentazione di disegni di legge, di emendamenti, di mozioni, di risoluzioni, di interpellanze, di interrogazioni e di ogni altro atto compiuto in assemblea e nelle commissioni 252, purché tali attività divulgative fossero conseguenti – e non più anche preparatorie - al compimento di quegli atti politico – parlamentari253. Per la “ palese mancanza di un nesso funzionale “ intercorrente tra i comportamenti, di cui l’ On. Calderoli era chiamato a rispondere davanti al Tribunale di 247 GRISOLIA, cit. , p. 183 PACE, L’ insindacabilità parlamentare tra “ libertà della funzione “ e la verifica ( non più soltanto esterna ? ) del “ corretto esercizio del potere” , in Giur. Cost . 1998 , p. 2218 . 249 PACE, op. ult. cit. , p. 2218 . 250 Vedi , infatti, 5.2 Considerato in diritto : “ Come attività libera nel fine e di natura generale… la funzione parlamentare non si risolve solo negli atti tipici, ricomprendendo anche quanto di essi sia presupposto o conseguenza. “ . Sottolinea la contraddizione anche GRISOLIA, cit. , nota 501 , p. 183 . 251 PACE, op. ult. cit. , p. 2218. 252 PACE, op. ult. cit. , p. 2218. 253 GRISOLIA , cit. , p. 185 . 248 - 58 - Bergamo, e l'esercizio - anteriore o successivo a tali comportamenti - della funzione parlamentare, la deliberazione di insindacabilità, adottata dalla Camera dei deputati il 31 gennaio 1996, fu giudicata “ lesiva delle attribuzioni del Tribunale stesso ” e annullata nella parte in cui si riferiva ai fatti oggetto del processo civile. L’ occasione per consolidare la nuova propensione della Corte Costituzionale ad entrare nel merito delle questioni che le si ponevano di fronte, si presentò nella vicenda decisa con la sentenza n. 329 del 1999, con la quale nuovamente veniva annullata una delibera di insindacabilità della Camera dei deputati. Nel corso di una intervista rilasciata ad un quotidiano, l’ On. Sgarbi accusava pesantemente il critico d’ arte Bonito Oliva 254: a seguito di quelle dichiarazioni, il parlamentare veniva convenuto in giudizio dalla persona offesa , per essere condannato al risarcimento dei danni. Il giudizio in questione, pendente presso il Tribunale di Ferrara, veniva sospeso a metà del 1994 in attesa della pronuncia della Camera dei deputati, in accordo alle regole allora vigenti255. La Camera dei Deputati dichiarava256, successivamente, l’ insindacabilità delle affermazioni rese dal deputato. Tuttavia, la successiva mancata conversione dell’ ultimo decreto legge, ingenerava nel giudice ordinario la convinzione di poter proseguire l’ attività giudiziaria: di conseguenza, la Camera dei deputati sollevava conflitto di attribuzione contro tale decisione, con ricorso del gennaio 1998. A sua volta , con ordinanza del luglio 1998, era il Tribunale di Ferrara a sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla precedente deliberazione, adottata il 14 settembre 1995, con la quale era stata approvata la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare che i fatti, per cui era in corso il procedimento civile nei confronti dell’On. Sgarbi, riguardassero opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost. Entrambi i ricorsi venivano riuniti dalla Corte e decisi con la sentenza in esame257. Usando parole come “ incapace, animale, bestia , uno degli uomini più ignoranti…” Decreto legge n. 291 del 1994 . 256 Delibera della Camera dei deputati del 14 settembre 1995 . 257 Dal n. 1 , Considerando in diritto: “ Il primo … é volto ad ottenere che la Corte: dichiari che il Tribunale non poteva proseguire il giudizio civile di responsabilità dopo che era intervenuta la deliberazione di insindacabilità della Camera; affermi la competenza esclusiva della Camera a pronunciarsi, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., sulla sindacabilità delle opinioni espresse dai suoi componenti; annulli tutti gli atti compiuti dal Tribunale civile di Ferrara dopo la deliberazione di insindacabilità . Il secondo ricorso … é volto ad ottenere che la Corte dichiari che non spetta 254 255 - 59 - I giudici costituzionali si inseriscono nel solco tracciato dalle pronunce precedenti 258, per ribadire che la “ connessione funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio delle attribuzioni proprie del parlamentare ( è ) il presupposto di operatività della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost. Ancora una volta, si tiene fermo il principio per cui è il nesso funzionale “ il discrimine fra le varie manifestazioni dell’attività politica di deputati e senatori e le opinioni che godono della particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo comma, Cost. ; con la conseguenza che non é possibile ricondurre nella sfera della funzione parlamentare l’intera attività politica dei membri delle Camere, perchè tale interpretazione allargata finirebbe per vanificare il requisito stesso del nesso funzionale, trasformando la prerogativa in un privilegio personale ”. Ciò premesso, la Corte contesta che nelle valutazioni della Giunta prima, e dell’ Assemblea poi , questi principi non siano stati rispettati. Nella relazione della Giunta si legge, infatti, che la prerogativa costituzionale "copre" tutti i comportamenti riconducibili all’attività politica lato sensu intesa del parlamentare, e si precisa, poi, che essa si applica anche a comportamenti posti in essere fuori della sede parlamentare ( c.d. extra moenia ) e che la sua ricorrenza non é esclusa di fronte a giudizi " oggettivamente pesanti “. Ma , osservano i giudici della Consulta, “ l ’interpretazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, fatta propria dalla Camera, vanifica così il requisito della connessione tra le opinioni espresse dal parlamentare e le relative funzioni, in palese contrasto con il tenore e la ratio della norma costituzionale di garanzia; requisito che, come più volte affermato da questa Corte, costituisce l’indefettibile presupposto di legittimità della deliberazione parlamentare di insindacabilità. Ricomprendere – come nel caso di specie – qualsiasi comportamento o attività qualificata come politica nella sfera di insindacabilità assicurata dall’art. 68, primo comma, Cost. a tutela della libertà e dell’indipendenza del potere legislativo, prescindendo dal collegamento con l’esercizio della funzione parlamentare, trasformerebbe, appunto, tale prerogativa in mero privilegio personale “. Fin troppo facile , dunque , per la Corte statuire che , avendo la Camera dichiarato l’insindacabilità “ sulla base dell’erroneo presupposto “ che la prerogativa costituzionale si alla Camera di deliberare, "sulla base di criteri erronei", che i fatti per cui é in corso il giudizio civile di responsabilità nei confronti del deputato Sgarbi concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, e conseguentemente annulli la deliberazione di insindacabilità delle dichiarazioni rese dal predetto deputato nei confronti del prof. Bonito Oliva, adottata dalla Camera in data 14 settembre 1995 a norma dell’art. 68, primo comma, Cost. “ 258 In particolare sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998 - 60 - estende ad ogni attività politica del membro della Camera, prescindendo dal nesso funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio del potere parlamentare, è “ illegittima la deliberazione adottata dalla Camera il 14 settembre 1995 “ , nonché “ lesiva delle attribuzioni dell’Autorità giudiziaria “. In definitiva, si andava a delineare un quadro più preciso dell’ambito di applicazione dell’ art. 68 Cost., tale per cui il parlamentare che agisce in assenza del necessario collegamento funzionale, e al di fuori della sede istituzionale, non si distingue più dal privato cittadino e, come tale , può rispondere delle proprie affermazioni; altrimenti , la libertà di manifestazione del pensiero politico, avulsa dal legame con l’ esercizio delle funzioni parlamentari, rischia di trasformarsi in una inammissibile libertà d’ offesa259. 11.Un punto a favore del Parlamento Nel conflitto immediatamente successivo alle due pronunce di annullamento esaminate, la Corte Costituzionale sembra compiere un passo indietro. La vicenda giudiziaria nasce da alcuni giudizi, ritenuti gravemente diffamatori, resi dal deputato Parenti ad una agenzia di stampa, nei confronti di un magistrato della Procura di Milano, in merito alla conclusione di una inchiesta, a suo tempo istruita dallo stesso parlamentare nella veste di Pubblico ministero, con una richiesta di archiviazione260. La sentenza n. 417 del 1999 risolve il conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati, del 22 ottobre 1997, con la quale veniva dichiarata l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’ On. Parenti nei confronti del dott. Ielo. La Giunta per le autorizzazioni a procedere riteneva le dichiarazioni del deputato una legittima “ critica “ nei confronti del potere giudiziario, che in quel lasso di tempo aveva dato adito a censure, anche in sede parlamentare, circa il corretto uso dei poteri di FURNO, Insindacabilità parlamentare per opinioni e voti e “ libertà di offesa” nella più recente giurisprudenza costituzionale , in Giur. Cost. 1999 , p. 1125 . 260 “ Capisco le difficoltà di un pubblico ministero giovane come Ielo di appropriarsi di un’ indagine così complessa, e infatti le sue giustificazioni evidenziano proprio la sua giovinezza e la sua inesperienza… mi auguro che le modestissime giustificazioni siano dettate solo dalla giovane età e non dalla malafede, poiché è evidente la loro risibilità a motivare l’ archiviazione di un procedimento così ampio … “ . 259 - 61 - indagine, rivolti spesso verso determinate fazioni o partiti politici e senza intaccare altre aree politiche261. Premesso, ancora una volta , che il discrimine tra i giudizi e le critiche, che il parlamentare manifesta nel più esteso ambito dell’attività politica, e per le quali non vale l’immunità, e le opinioni coperte da tale garanzia è costituito dalla inerenza delle opinioni all’esercizio delle funzioni parlamentari, la Corte Costituzionale, nel valutare tale inerenza con riferimento alle dichiarazioni l’On. Parenti, giudica corretta la valutazione fatta dalla Giunta, e ribadita poi in Assemblea. Una scelta poco felice , se successiva a due pronunce nelle quali la Corte aveva imboccato con decisione la strada del restringimento interpretativo del nesso funzionale262. Nella decisione in esame, infatti, da una parte la Corte mantiene fermo il principio per cui “ l’atto o le opinioni per le quali non si può essere chiamati a rispondere devono integrare manifestazioni dell’esercizio di funzioni parlamentari, le quali non si estrinsecano in ogni attività, sia essa pure politica, del soggetto titolare di quelle funzioni “263; dall’altra considera “ il complessivo contesto parlamentare ”, nel quale furono manifestate le espressioni di critica nei confronti del potere giudiziario, nonché “ il dibattito politico “, nel quale la dichiarazione dell’On. Parenti fu enunciata, per concludere che “ non irragionevolmente “ le dichiarazioni dell’On. Parenti fossero state ascritte all’ esercizio delle funzioni proprie della parlamentare. I giudici costituzionali si accontentano di una estrinsecazione di quel nesso funzionale talmente estensiva, da garantire l’ insindacabilità per tutte le opinioni latatamente politiche del parlamentare, con il limite che le dichiarazioni siano rese in un contesto politico, siano espressione di un dibattito, di un contrasto, di una polemica, di una tematica cara al loro partito di appartenenza264. Così la Giunta per le autorizzazioni a procedere : “ La Giunta ha ritenuto che le opinioni espresse dall’ On. Parenti rientrino in un contesto politico in quanto , a prescindere dall’ esistenza di pregressi atti parlamentari, quali interrogazioni o interpellanza presentate dall’ On. Parenti, ci troviamo in un preciso esercizio del diritto di critica espresso da un deputato nei confronti di un potere giudiziario che proprio in quel contesto storico aveva dato adito a censura circa il corretto uso dei poteri di indagine rivolti verso una determinata fazione o partito politico e che non aveva intaccato altre aree politiche con quella azione investigativa che prima la Procura di Milano aveva condotto con una certa incisività “ ( Camera dei Deputati, XIII Leg. , Doc. IV-ter , n. 44-A ) . 262 MARTINELLI, cit. , p. 167 263 Sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998 . 264 MARTINELLI, cit. , p. 168 . Giudizio favorevole su questa pronuncia si trova in GRISOLIA, cit. , p. 189 : “ Non si può … non sottolineare come la Corte abbia fondato le proprie decisioni, mantenendosi fedele … alla ricostruzione delle vicende, così come esse risultavano descritte negli atti parlamentari ( e segnatamente nella relazione con la quale la giunta aveva proposto all’ assemblea la delibera di insindacabilità ) . E ciò ad ulteriore conferma di un criterio metodologico…fondato sul rigoroso rispetto delle argomentazioni delle Camere, accolte senza mettere in discussione, con autonome valutazioni, il supporto argomentativo posto a fondamento delle loro scelte “ . 261 - 62 - 12.La Corte Costituzionale mette la parola fine, restringendo l’ambito di operatività del nesso funzionale I principi enunciati nella copiosa giurisprudenza costituzionale non si erano mai rivelati decisivi, né per delineare i confini del comma primo dell’art. 68 Cost. , né per arginare il proliferare dei conflitti di attribuzione tra Camere e magistratura. Il Parlamento, dal canto suo, ignorava le indicazioni provenienti dalla Corte sull’ interpretazione della norma costituzionale, continuando ad applicare la prerogativa in senso estensivo e alimentando, così , i ricorsi dei giudici ordinari265; la stessa Corte non era esente da colpe, non mancando decisioni nelle quali il criterio del nesso funzionale era stato “ forzatamente “ applicato: su tutte le sentenze n. 375 del 1997 e 417 del 1999266. I casi decisi dai giudici costituzionali, con le “ storiche ” sentenze n. 10 e 11 del gennaio 2000267, riguardavano esternazioni dell’ On. Sgarbi, con le quali egli aveva gravemente diffamato l’ onorabilità del dott. Caselli268 e del dott. Di Pietro269. Con la sentenza n. 10, la Corte disegna con contorni meno sfumati il proprio ruolo in sede di risoluzione dei conflitti tra Parlamento e magistratura ordinaria, in un giudizio che verte “ sulla tutela delle rispettive sfere di attribuzioni, ed investe la controversia 265 MARTINELLI, cit. , p. 175 . Per una aggiornata giurisprudenza parlamentare si veda LASORELLA, Le opinione espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari ex art. 68, primo comma , della Costituzione, tra Camere, giudici e Corte Costituzionale, in Giur. Cost. 1999, pag. 485 . 266 MARTINELLI, cit. , p. 175 . 267 PACE, L’ art. 68 Cost. e a scolta interpretativa della Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 10 e 11 del 2000 , in Giur. Cost. 2000 , p. 85 : “ A mia memoria…è la prima volta che la Corte Costituzionale muta la propria giurisprudenza su un dato problema, delineando il nuovo indirizzo interpretativo non in una, ma in due contemporanee ( starei per dire: contestuali) decisioni, a loro volta redatte non dallo stesso giudice, ma da giudici diversi…E ciò, quasi a voler ribadire la coralità e l’ importanza del mutamento di rotta “ . 268 La prima vicenda riguardava le dichiarazioni rilasciate a due agenzie di stampa dall’ On. Sgarbi, con le quali il deputato muoveva al Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo Caselli , l’ accusa di aver strumentalizzato il processo contro il senatore a vita Andreotti, a fini esclusivamente politici e annunziava che avrebbe denunciato il Caselli per “truffa aggravata e abuso d’ufficio per aver utilizzato il proprio ruolo per un’azione politica”. Il Tribunale di Roma, davanti al quale pendeva il procedimento penale a carico del deputato, promuoveva conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione di detta Camera, adottata il 16 settembre 1998, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, con la quale si era dichiarato che i fatti per i quali è in corso il predetto procedimento penale concernessero opinioni espresse dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. 269 La vicenda riguardava le dichiarazioni rese dal deputato , nel corso del programma televisivo "Sgarbi quotidiani", con le quali accusava il dott. Di Pietro di aver beneficiato di un appartamento ad un canone di locazione ritenuto esiguo, sfruttando la propria posizione pubblica . Il Tribunale di Bergamo, presso il quale pendeva il procedimento penale , sollevava conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, chiedendo l'annullamento della deliberazione, adottata dall'Assemblea nella seduta del 17 giugno 1998, con la quale era stata dichiarata l'insindacabilità delle dichiarazioni rese dal parlamentare . - 63 - sull’applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, originata dal contrasto tra la valutazione della Camera e quella dell’autorità giurisdizionale procedente “. La Corte ritiene di non potersi limitare a verificare “ la validità o la congruità delle motivazioni “, con le quali la Camera di appartenenza del parlamentare abbia dichiarato insindacabile una determinata opinione; va “ precisato e in parte corretto “ quanto affermato dalla pregressa giurisprudenza costituzionale, in merito ai caratteri che deve assumere il controllo sulle deliberazioni delle Camere: i giudici della Consulta non possono verificare la correttezza di una pronuncia di insindacabilità “ senza verificare se, nella specie, l’insindacabilità sussista, cioè se l’opinione di cui si discute sia stata espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume dalla Costituzione ”270. Nella sostanza, la Corte riconosce al proprio controllo, e al consequenziale giudizio, la potestà di sovrapporsi alla sostanza delle delibere parlamentari271, rivedendo ufficialmente quanto da essa asserito nelle sentenze precedenti272. La Consulta, invece, non smentisce se stessa, nel ribadire che l’ insindacabilità non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della propria attività politica, ma solo “ quelle legate da nesso funzionale con le attività svolte nella qualità di membro delle Camere “273. Ma la Corte avverte, per la prima volta, l’ esigenza “ di precisare, rispetto alla precedente giurisprudenza, ed anche in vista di esigenze di certezza, quando ricorra tale nesso funzionale “, e quindi, in concreto, come stabilire se il comportamento del parlamentare rientri, o meno, nelle previsioni dell’ art. 68 della Costituzione274. Per questa via, “ è pacifico che costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle Ancora : “ La Corte è chiamata a decidere se le dichiarazioni dell’ On. Sgarbi possano dirsi, ed eventualmente in quali limiti, rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari ” . 271 VERONESI , Per essere insindacabili fuori dalle Camere occorre “ l’ identità sostanziale” dei contenuti, in Diritto e Giustizia n. 3/2000 , p. 20 : ” Se nelle precedenti sentenze la Corte tentava, con alterno successo, di circoscrivere il proprio controllo sulle delibere parlamentari ai soli casi limite…ritenendosi comunque vincolata, almeno nella forma , ad un controllo rigorosamente esterno e mai di merito, qui essa cambia registro…” . 272 Vedi , ad esempio, la sentenza 265/97 ( n. 6 Considerato in diritto ) : “ Il giudice dei conflitti non é chiamato, e non può esserlo, a pronunciarsi direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un parlamentare ” . 273 Vedi anche le sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 329 e n. 417 del 1999 . 274 VERONESI , cit. , p. 21 270 - 64 - facoltà proprie del parlamentare, in quanto membro dell’ assemblea “. Al contrario, l’ attività politica svolta dal parlamentare, al di fuori di questo ambito ( es. interviste, conferenze stampa, trasmissioni televisive, comizi ) 275 non può automaticamente, “ di per sé considerarsi esplicazione della funzione parlamentare, nel senso preciso cui si riferisce l’art. 68, primo comma, della Costituzione “. Infatti, le opinioni che il parlamentare esprima “ fuori dai compiti e dalle attività proprie delle assemblee ”, rappresentano piuttosto esercizio della libertà di espressione, comune a tutti i consociati. “ La linea di confine fra la tutela dell’autonomia e della libertà delle Camere, e, a tal fine, della libertà di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall’espressione di opinioni, dall’altro lato, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell’ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l’applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale “276. Ma tale delimitazione verrebbe vanificata , se si accettasse “ una definizione della funzione del parlamentare così generica da ricomprendervi l’attività politica che egli svolga in qualsiasi sede, e nella quale la sua qualità di membro delle Camere sia irrilevante ”. Da quanto osservato fino ad ora, discende che non è sufficiente la “ comunanza di argomento ”, fra la dichiarazione che si pretende lesiva277 e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare, per fondare l’estensione alla prima della immunità che copre le seconde; né può bastare a tal fine la “ ricorrenza di un contesto genericamente politico “ in cui la dichiarazione si inserisca. Questo tipo di collegamenti non può riuscire a conferire carattere di attività parlamentare a manifestazioni di opinioni che sono “oggettivamente “ ad essa estranee. D’altra parte, secondo i giudici della Consulta, è inevitabile negare che l’espressione di opinioni nelle più diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, per cui sarebbe “ contraddittorio “ dall’altro lato ammettere che essa acquisti tale carattere, in forza di “ generici collegamenti contenutistici con attività parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere ”. Il nesso funzionale tra la dichiarazione e l’attività parlamentare, che deve riscontrarsi per poter affermare l’insindacabilità, va ricostruito, secondo la Corte, “ non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attività parlamentare e 275 VERONESI , cit. , p. 21 Ribadito il principio scolpito nella sentenza n. 375 del 1997 . 277 Nel caso in questione, dichiarazioni rese a due agenzie di stampa . 276 - 65 - dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa, quale espressione di attività parlamentare “278. Sin qui le affermazioni di principio, la cui applicazione avrebbe dovuto governare la risoluzione del conflitto sollevato dal Tribunale di Roma. Passando alle accuse mosse dall’ On. Sgarbi contro il giudice Caselli, la Corte le ritiene opinioni estranee all’ esercizio delle funzioni parlamentari. Nonostante fosse vero , come precisato dalla Giunta, che la questione, oggetto delle esternazioni contro il dott. Caselli, avesse costituito anche l’argomento di alcune interrogazioni parlamentari presentate dall’ On. Sgarbi, la Corte non ritiene sufficiente “ il mero collegamento di argomento con atti di sindacato ispettivo ”, essendo al contrario necessario , perché le dichiarazioni siano coperte dall’ immunità, che queste siano “ sostanzialmente riproduttive di un’opinione espressa in sede parlamentare “279. “ L’ opinione espressa nell’esercizio della funzione non è protetta da immunità solo nell’occasione specifica in cui viene manifestata nell’ambito parlamentare, ricadendo al di fuori della sfera della prerogativa se venga riprodotta in sede diversa. L’immunità riguarda non già solo l’occasione specifica in cui le opinioni sono manifestate nell’ambito parlamentare, ma il contenuto storico di esse, anche quando ne sia realizzata la diffusione pubblica, in ogni sede e con ogni mezzo “. La pubblicità, secondo la Corte, è la naturale destinazione che caratterizza le attività e gli atti del Parlamento: ciò comporta che “ l’immunità si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l’opinione venga riprodotta, al di fuori dell’ambito parlamentare “. Conclude la Corte: “ nel caso di riproduzione all’esterno della sede parlamentare, è necessario, per ritenere che sussista l’insindacabilità, che si riscontri la identità sostanziale di contenuto fra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna ”. Non una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti280. Osserva MARTINELLI, cit. , p. 174 : “ Nella sua precedente giurisprudenza, la Corte aveva avuto modo di indicare questo elemento come spartiacque tra generiche manifestazioni dell’attività politica e comportamenti riconducibili alla particolare garanzia di cui all’ art. 68 Cost., primo comma, ma mai ne aveva proposto una definizione così puntuale e restrittiva “ . 279 A condizione che – precisa GRISOLIA, cit. , p. 197 - le esternazioni risultino “ successive e non antecedenti, a quelle poste in essere all’ interno delle Camere “ , in omaggio a quanto detto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 298 del 1998 . 280 Nel caso di specie, la Corte riteneva irrilevante il richiamo alla interrogazione n. 3/00937, presentata dall’ On. Sgarbi un anno prima delle dichiarazioni contestate , in quanto l’ “ oggetto e il contenuto di tale atto ispettivo…non hanno … più che un generico collegamento tematico con il contenuto delle dichiarazioni in questione “. 278 - 66 - Lo stesso 11 Gennaio 2000, la Corte decideva l’ altro ricorso presentato dal Tribunale di Bergamo, in merito alle dichiarazioni dell’ On. Sgarbi nei confronti del dott. Di Pietro. Certa l’ esigenza del collegamento tra la manifestazione dell'opinione e la funzione parlamentare, “ non sempre agevole – secondo i giudici della Consulta- risulta l'individuazione in concreto dei criteri identificativi dei comportamenti strettamente funzionali all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo “. Ribadita la propria funzione, in sede di risoluzione del conflitto di attribuzione tra Camere e magistratura281, la Corte Costituzionale conferma un passo molto importante della sentenza n. 10, e cioè che essa “ non può limitarsi ad esaminare la valutazione o la congruità delle motivazioni - talvolta neppure espresse - adottate dalla Camera di appartenenza, ma deve necessariamente, dovendo giudicare sul rapporto tra le rispettive sfere di attribuzione dei poteri confliggenti, accertare se, in concreto, l'espressione dell'opinione in questione possa o meno ricondursi a quell' esercizio delle funzioni parlamentari, il cui ambito, trattandosi di norma costituzionale, spetta alla Corte definire “. La Corte smentisce il suo passato, con più forza rispetto alla sentenza n. 10, quando afferma che il proprio controllo “ investe direttamente il merito della controversia costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo comma…( e in particolare ) si esplica sull'apprezzamento della Camera di appartenenza in ordine alla sindacabilità delle dichiarazioni del parlamentare pur sempre … in posizione di terzietà “282. Sono certamente compiuti nell'esercizio delle funzioni, gli atti svolti all' interno dei vari organi parlamentari o anche paraparlamentari (quali, ad esempio, i "gruppi" ); tuttavia, ai fini dell’ estensione dell’ insindacabilità anche “ agli atti compiuti al di fuori dell’ambito dei lavori dei predetti organi “, è necessario, essendo questa forma di insindacabilità significativamente circoscritta, nella previsione costituzionale, all'esercizio di funzioni Rispetto alle interrogazioni n. 3/00009 e n. 3/00010, presentate dall’ On. Sgarbi nei giorni immediatamente successivi alle dichiarazioni, la Corte conviene “ con la difesa della Camera che, vi è sostanziale contestualità fra le une e le altre” . Tuttavia, “ le dichiarazioni non possono considerarsi come divulgazione del contenuto delle interrogazioni, in quanto la sostanziale corrispondenza di contenuto fra le une e le altre è solo parziale “. Rispetto alle dichiarazioni dell’ On . Sgarbi , la Corte riconosceva una parte “ priva di sostanziale corrispondenza con il contenuto degli atti ispettivi citati “ , come tale non inquadrabile tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari. In relazione a tale parte, veniva annullata la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati. 281 Cioè accertare “ se dall'esercizio illegittimo da parte di uno dei poteri confliggenti risulti lesa o menomata una competenza costituzionalmente spettante all'altro “ e , in particolare , “ se l'esercizio della potestà spettante alla Camera di appartenenza … abbia determinato, per vizi del procedimento o in ragione dell'insussistenza o dell'arbitrarietà della valutazione dei presupposti richiesti per esercitare tale potere, la lamentata, illegittima interferenza nelle attribuzioni dell'autorità giudiziaria ” . 282 Vedi nota n. 153 e 154 . - 67 - parlamentari, “verificare , in base a specifici criteri, più complessi rispetto a quello della mera localizzazione dell'atto “, l'esistenza di un nesso funzionale stretto tra espressione di opinioni e di voti ed esercizio delle funzioni parlamentari. Ancora una volta, il nesso funzionale viene inteso dalla Corte, non come " semplice collegamento di argomento o di contesto fra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare"283. Nel caso di riproduzione all' esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni, già rese da deputati e senatori nell'esercizio delle proprie funzioni, si può riconoscere l’ insindacabilità “ solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche “. In particolare , nella vicenda in esame , il cui oggetto riguarda dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi nel corso di un programma televisivo, la Corte si muove senza più alcuna incertezza, nel senso di dover accertare “ la corrispondenza di contenuti con un atto parlamentare , precedente o sostanzialmente contestuale “ alle dichiarazioni rese dall’ On. Sgarbi284. 13.Il consolidamento del nuovo orientamento nelle pronunce più recenti La Corte Costituzionale ha ribadito più volte che l’ individuazione del nesso funzionale 283 dipende dal collegamento, intercorrente tra gli atti tipici della funzione Principio mutuato dalla sentenza n. 10 In concreto , la Corte rileva che dalle decisioni della Giunta, e dell’ Assemblea poi , risulta che le dichiarazioni del deputato Sgarbi erano state pronunciate fuori del Parlamento e non "nel contesto di iniziative parlamentari tipiche". Le stesse dichiarazioni non si possono neppure considerare connesse con alcuna forma di esercizio di funzioni parlamentari, giacché “ non è individuabile quale specifico atto parlamentare adottato dal medesimo deputato esse riproducessero “ , essendo invece soltanto genericamente ricollegabili alla sua "attività politica intesa in senso lato” . Le dichiarazioni dell' On. Sgarbi “ non possono pertanto, per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse non è invocabile l'immunità “ . 284 - 68 - parlamentare e le opinioni espresse al di fuori di questa sede: in questo modo, il baricentro dell’ interpretazione dell’art. 68 viene individuato in questo nesso, nelle sue caratteristiche di minore o maggiore correlazione tra l’ atto tipico e l’ espressione esterna. La novità delle sentenze n. 10 e 11 del 2000 consiste, invece, nello spostare questo baricentro direttamente sull’atto tipico parlamentare, cui si può aggiungere, nell’ applicazione della prerogativa, solo la riproduzione o, al più , una divulgazione del contenuto storico dell’atto, senza ulteriori aggiunte285. L’analisi delle sentenze, successive a quelle del gennaio 2000, conferma la volontà della Corte Costituzionale di cambiare decisamente rotta nell’ interpretazione e nell’applicazione dell’ insindacabilità parlamentare. Si tratta di decisioni chiamate a risolvere conflitti, nella maggior parte delle ipotesi promossi dalla magistratura ordinaria, che hanno ad oggetto delibere parlamentari antecedenti alle sentenze nn. 10 e 11; per questa ragione, la Corte Costituzionale si è trovata di fronte a pronunciamenti degli organi parlamentari, che non avevano potuto, ancora, “ adeguarsi “ al ( o prendere atto del ) restringimento interpretativo operato dalla Corte. In questo paragrafo verranno citati alcuni passaggi fondamentali delle sentenze più recenti. Nella sentenza n. 56 del 2000, la Corte , decidendo il conflitto di attribuzione sollevato dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno 286, afferma tra l’altro: “ Questa Corte é chiamata ad accertare se le dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva del 24 gennaio 1995, …possano essere legittimamente ricomprese nelle funzioni parlamentari, e se l’affermazione della prerogativa da parte delle Camere rispetti il nesso funzionale tra la dichiarazione e l’attività parlamentare richiesto dall’art. 68, primo comma. […] Nel normale svolgimento della vita democratica, le opinioni che il parlamentare espone al di fuori dell’ ambito funzionale rappresentano esercizio della libertà di espressione comune a tutti i consociati, alle quali non può quindi estendersi (senza snaturarla) la prerogativa introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione. Non é infatti compatibile con l’impianto della nostra Carta costituzionale un’accezione della funzione parlamentare che ricomprenda l’attività politica svolta in qualsiasi sede e nella quale sia irrilevante la qualità di membro delle Camere … Deve esservi, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e l’attività parlamentare: 285 MARTINELLI, cit . , p. 180 . A seguito della delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dottor Luigi Esposito. 286 - 69 - nesso che può legittimamente essere affermato dalle Camere anche quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell’opinione sostenuta in sede parlamentare “287. Lo stesso giorno, la Corte Costituzionale decideva ( sentenza n. 58 del 2000 ) il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Bergamo288, ancora affermando: “ trattandosi, nella specie, di opinioni espresse al di fuori dell'ambito dei lavori parlamentari, va riscontrata l'esistenza del nesso funzionale … Le dichiarazioni in questione, rese fuori delle Camere, non riproducono il contenuto di nessuno specifico atto parlamentare, cosicché non sono identificabili come espressione di attività parlamentare del deputato Sgarbi . Manca , dunque, ai fini del riconoscimento dell'insindacabilità, il requisito del nesso funzionale tra opinioni espresse dal parlamentare ed esercizio delle relative funzioni ”289. Ancora nella sentenza 82 del 2000, con la quale la Corte risolveva il conflitto sollevato dal Tribunale di Roma290, si legge: ”Con stretto riguardo alla verifica dell'esistenza di questo nesso funzionale …è sufficiente e decisivo rilevare che le stesse [dichiarazioni], rese fuori delle Camere, non riproducono né divulgano il contenuto di alcuno specifico atto di natura parlamentare, cosicché non sono identificabili come espressione dell'attività del deputato, ma semmai di critica politica”. La sentenza 320 del 2000 decide il conflitto di attribuzione, sollevato dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria 291. Essa merita particolare attenzione, da una parte perché la Corte, nel ribadire la necessità che la dichiarazione resa da un parlamentare sia Nel caso esaminato dalla Corte , “ le circostanze in cui ha avuto luogo la dichiarazione dell’onorevole Sgarbi confermano la sua estraneità all’ambito funzionale: si tratta di valutazioni compiute quale "opinionista" nel corso di una trasmissione televisiva, senza alcuna specifica connessione con dibattiti parlamentari, interrogazioni, inchieste, discussioni di progetti di legge .… Mancando palesemente il nesso funzionale richiesto dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, la delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997 risulta illegittima e deve essere annullata per invasione dell’ambito di attribuzioni costituzionalmente garantito all’autorità giudiziaria “ . 287 288 A seguito della delibera della Camera dei deputati in data 25 giugno 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti della dott.sa Gemma Cotti Cometti . 289 “ Per queste ragioni le opinioni espresse, nella fattispecie in esame, dal deputato Sgarbi non possono ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi rispetto ad esse non é applicabile l'immunità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. La Camera dei deputati, adottando la deliberazione in oggetto ha pertanto interferito, in modo illegittimo, nella sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria ricorrente e conseguentemente deve essere disposto l'annullamento della predetta deliberazione ”. 290 A seguito della delibera della Camera dei deputati del 30 settembre 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall' On. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Antonio Abrami. 291 A seguito della delibera del 9 dicembre 1998 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’On. Amedeo Matacena nei confronti del dott. Vincenzo Macrì. - 70 - “espressione di attività parlamentare ”, precisa che ciò avviene “ se e in quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attività parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni già espresse nell'ambito di queste ultime; dall’altra, essa rappresenta la prima decisone nella quale la Consulta, avendo riscontrato la corrispondenza sostanziale tra le dichiarazioni rese dal parlamentare e gli atti compiuti nell'esercizio della funzione292, risolve il giudizio in favore della Camera dei deputati, confermando la legittimità della contestata delibera di insindacabilità293. Nella sentenza n. 137 del 2001, con cui è deciso il conflitto sollevato dalla Corte d’ Appello di Milano294, la Corte si interroga se “le manifestazioni verbali e i comportamenti materiali tenuti in occasione di una perquisizione nella sede di un partito politico, e qualificati dall' Autorità giudiziaria come oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oggetto delle deliberazioni d'insindacabilita' cui si riferisce il presente conflitto, siano identificabili come espressione di attività parlamentari “. Ancora una volta la Corte, pur confermando la necessità di una “ sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni e l'atto parlamentare tipico “, si trova ad annullare la deliberazione della Camera dei deputati: “ La prerogativa parlamentare non può, infatti, essere estesa sino a comprendere gli insulti - di cui e' comunque discutibile la qualificazione come opinioni- solo perché collegati con le battaglie condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche; così argomentando, il nesso funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra espressioni Nella specie, “ il contenuto delle dichiarazioni affidate alla stampa dal deputato Matacena corrisponde a quanto affermato dallo stesso nell’interrogazione parlamentare presentata il 31 luglio 1996”. 292 293 Altre sentenze, in cui i ricorsi sono decisi in favore di un ramo del Parlamento, sono la n. 50 del 2002 ( “ … Il contenuto del diffuso atto parlamentare presenta … non soltanto aspetti di sostanziale corrispondenza, ma addirittura … espressioni di pressoché totale identità, rispetto alle dichiarazioni rese alla agenzia di stampa… Tanto basta, quindi, a rendere pienamente legittima la deliberazione assunta dalla Camera dei deputati in ordine alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’ On. Gasparri “ ) , la n. 79 del 2002 ( “… non vi é dubbio che tra le dichiarazioni … contenute nell'intervista rilasciata al quotidiano "La Repubblica" e le opinioni espresse nell'intervento dell' On. Pisanu alla Conferenza dei capigruppo vi é non solo sostanziale corrispondenza, ma testuale e letterale coincidenza…E' dunque ravvisabile piena <<identificabilità>>, anzi totale coincidenza tra le dichiarazioni rese fuori del Parlamento e il contenuto di un atto parlamentare tipico, quale é appunto l'intervento dell' On. Pisanu nella seduta della Conferenza dei capigruppo; il che é quanto basta per ritenere sussistente il nesso con le funzioni parlamentari “ ). 294 Alcuni deputati della Lega nord (Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo Caparini, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli) erano stati rinviati a giudizio , e condannati dal Pretore di Milano , per i reati di resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale avendo essi, durante una perquisizione di polizia effettuata il 18 settembre 1996 presso una sede meneghina del partito - tra l'altro - apostrofato i funzionari e gli agenti di P.G. , con gli epiteti "fascisti", "mafiosi", "Pinochet". Nel corso del giudizio di secondo grado, intervenuta la delibera d'insindacabilità adottata dalla Camera nella seduta del 16 marzo 1999, secondo la quale si tratterebbe di opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, la Corte d'appello ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzione con ordinanza dell'8 giugno 1999. - 71 - verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari suscettibili di essere concretamente individuate. A maggior ragione la prerogativa parlamentare di cui all'art. 68 Cost. non può essere riferita ai comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza a pubblico ufficiale ”. La sentenza in esame è stata salutata con estremo favore, da chi aspettava da tempo che la Corte Costituzionale aggiungesse il tassello mancante, al quel cammino imboccato verso la normalizzazione dei rapporti tra classe politica e magistratura 295: la prerogativa dell’ insindacabilità non copre gli insulti, quand’anche siano ricollegabili con le battaglie condotte dal parlamentare in favore delle sue tesi politiche, né a fortiori può riferirsi a comportamenti materiali, quali la resistenza a pubblico ufficiale. In definitiva, la Corte sembra affermare un presupposto di senso comune , secondo cui l’ ingiuria, la diffamazione non dovrebbero mai essere considerate esercizio delle funzioni parlamentari296. Ma, soprattutto , la Consulta mette in discussione la possibilità che gli insulti si possano qualificare “ opinioni “: una affermazione che dovrebbe suonare da monito alle Camere e ai parlamentari, affinché non pensino di utilizzare lo schermo della garanzia costituzionale, per ingiuriare impunemente i privati cittadini297. L’ ultima sentenza che vale la pena menzionare, è la n. 509 del novembre 2002, che decide il conflitto promosso dal Tribunale di Roma 298. L’interesse per la decisione nasce dalla “ novità “ della vicenda, sottoposta alla attenzione della Consulta: si trattava di opinioni del deputato Mussi, ritenute lesive della propria reputazione dall’ On. Previti, manifestate dal primo “ nel corso di una conversazione avuta con un altro deputato all'interno della buvette della Camera dei deputati, utilizzando un tono di voce tale da rendere percepibile il colloquio ad oltre dieci metri, al punto da essere ascoltato da uno dei giornalisti presenti, il quale ne riportava il contenuto su un periodico ”. ZANON, L’ insindacabilità non copre gli insulti anche se collegati a battaglie politiche, in Diritto e Giustizia n. 23/2001 , p. 38 . 296 ZANON, op. ult. cit. , p. 38 . 297 ZANON, op. ult. cit. , p. 38 . 295 298 Contro la Camera dei deputati, relativamente alla delibera del 15 luglio 1998, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Fabio Mussi nei confronti del deputato Cesare Previti. - 72 - Il Tribunale299 contestava la correttezza delle argomentazioni svolte nella relazione della Giunta, fatte proprie dalla Camera dei deputati, in forza alle quali: a) le dichiarazioni rese dal deputato Mussi sarebbero insindacabili, in quanto costituirebbero opinioni " espresse, nell'ambito della Camera, da un parlamentare ad un altro parlamentare su questioni che in quel torno di tempo, con riferimento all'On. Previti, venivano discusse in Parlamento e in ogni parte del Paese e che, per le ragioni che tutti sanno, hanno assunto un marcato rilievo politico ", le quali non perdono " la loro natura per essere espresse ad un solo collega invece che a tutta l'Assemblea, o per essere state pronunciate in un luogo piuttosto che in un altro degli edifici parlamentari, magari e proprio per ciò con un linguaggio meno curiale "; b) " lo scambio di opinioni su questioni che abbiano un rilievo politico in conversazioni private può contenere considerazioni e giudizi anche crudi che, proprio per la natura non formale della comunicazione privata, non hanno bisogno di quella cautela e prudenza che ci si aspetta nelle dichiarazioni formali (...) pertanto le conversazioni tra parlamentari che riguardino temi politici (...) sono insindacabili ". Al contrario il Tribunale riteneva che le dichiarazioni rese dal deputato Mussi non fossero state rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari, non rientrando tra queste " un colloquio personale, del tutto sganciato da qualsiasi atto, tipico o atipico, di esercizio di attribuzioni parlamentari ”. Inoltre, secondo il Tribunale, la circostanza che la conversazione si era svolta all'interno dell'edificio della Camera dei deputati, " peraltro non in sede istituzionale, ma nella buvette ", al pari dell' eventuale configurabilità delle dichiarazioni come attività politica , erano insufficienti a far ritenere esistente il nesso di funzione. Nel decidere tra le due prospettazioni della vicenda, la Corte si rende conto di essere di fronte ad “ un quid novi nell’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma ”. Da una parte, le modalità della vicenda mostrano non già “ dichiarazioni rivolte all'esterno, ma piuttosto … una comunicazione privata tra due parlamentari, la cui pubblicazione risulta certo non autorizzata e immediatamente smentita da entrambi, escludendo così ogni loro presunto animus divulgandi “. Ciò consente alla Corte di collocare la vicenda in esame “ al di fuori dell'ipotesi della riproduzione e divulgazione all'esterno di atti compiuti nell'esercizio di funzioni parlamentari”, tale per cui viene meno la necessità di 299 Vedi Ritenuto in fatto n. 2.1 - 73 - ricercare ai fini dell'insindacabilità, la corrispondenza sostanziale del contenuto di quella conversazione con un atto parlamentare. Invece , la Corte ritiene sia necessario chiedersi “ se quelle stesse opinioni, per le modalità ed il luogo in cui sono state espresse, possano costituire, di per sé, una forma di esercizio di funzioni parlamentari, come sostenuto dalla difesa della Camera, per la quale le espressioni in esame sarebbero insindacabili per il solo fatto di essere state rese intra moenia da due parlamentari nei riguardi di un terzo parlamentare, per cui il loro nesso funzionale sarebbe comunque presunto. La Corte guarda oltre. Essa non ha mai accolto “ il criterio della mera localizzazione dell'atto, ma si è invece specificato che sono coperti dall'immunità gli atti svolti all'interno dei vari organi parlamentari, o anche paraparlamentari300, cioè atti che si esplicano nell'ambito di lavori comunque rientranti nel campo applicativo del diritto parlamentare, in quanto proprio tale condizione connota l'esercizio di funzioni parlamentari. In base a questo criterio, dunque, si debbono ritenere coperti dall'insindacabilità gli atti di funzione, anche se posti in essere extra moenia, mentre invece non si possono ritenere coperti da tale immunità gli atti non di funzione, anche se compiuti all'interno della sede della Camera o del Senato. In definitiva, il criterio di delimitazione dell'ambito della prerogativa dell'immunità è quello funzionale e non già quello spaziale “. La sede di svolgimento non può pertanto, di per sé sola, conferire carattere di funzione parlamentare ad una "comunicazione privata" svoltasi tra due parlamentari nella buvette della Camera. Per questa via, “ la delibera della Camera dei deputati , di insindacabilità delle opinioni in esame, va quindi annullata “. 14.L’ attuazione dell'articolo 68, comma primo, della Costituzione: la legge 140 del 2003 Nel quadro della legge n. 140 del 2003, entrata in vigore mentre si concludeva questo lavoro, e recante “ Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato “, l’ art. 3 ha inteso disciplinare i problemi connessi all’ applicazione della guarentigia dell’ 300 Cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 e n. 79 del 2002 . - 74 - insindacabilità, spostando il baricentro della prerogativa costituzionale laddove lo aveva collocato la giurisprudenza parlamentare. “ L’ art. 68 , primo comma , della Costituzione si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento “ ( comma primo ). Facile intuire che oltre non si poteva andare. In un procedimento giurisdizionale, l’ applicabilità della norma costituzionale può essere “ rilevata o eccepita “ ( comma secondo ): nel caso in cui la ritenga applicabile, “ il giudice provvede con sentenza in ogni stato e grado del processo penale ”301, mentre nella fase delle indagini preliminari pronuncia decreto di archiviazione 302; invece, nel processo civile “ il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla sua definizione “ ( comma terzo ). Se, al contrario, “ non ritiene di accogliere l’eccezione concernente l’applicabilità dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, proposta da una delle parti, il giudice provvede senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento del fatto “ ( comma quarto)303. In questo caso, “ il procedimento é sospeso fino alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La Camera interessata può disporre una proroga del termine non superiore a trenta giorni “ ( comma quinto ). Molto importante la novità introdotta dal settimo comma: “ La questione dell’applicabilità dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione può essere sottoposta alla Camera di appartenenza anche direttamente da chi assume che il fatto per il quale é in corso un procedimento giurisdizionale di responsabilità nei suoi confronti concerne i casi 301 Si parla del giudice penale, il quale provvede ex art 129 c.p.p. Ex art. 409 c.p.p. 303 Se la questione é rilevata o eccepita nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero trasmette gli atti al giudice, perché provveda . Se l’eccezione é sollevata in un processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia detta ordinanza nell’udienza o entro cinque giorni . 302 - 75 - di cui al comma 1. La Camera può chiedere che il giudice sospenda il procedimento, ai sensi del comma 5 “. Investita della questione, la Camera trasmette all’autorità giudiziaria la propria deliberazione; “ se questa é favorevole all’applicazione dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, il giudice adotta senza ritardo i provvedimenti indicati al comma 3 e il pubblico ministero formula la richiesta di archiviazione “304. CAPITOLO III CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 1.Le immunità nel diritto penale. Prerogativa o privilegio? Conclusa la disamina dei profili attinenti la fenomenologia delle immunità di diritto penale e, all’ interno di questo sistema, della fattispecie della insindacabilità parlamentare , possiamo mantenere fermi alcuni punti. Ferma restando la lettera dell’ art. 3 c.p., la quale ci consegna un’ immagine sfuocata delle immunità, quali “ eccezioni al principio di obbligatorietà della legge penale “, abbiamo cercato di dimostrare, dopo una attenta analisi delle singole fattispecie, che la caratteristica prima del sistema delle immunità di diritto penale è la l’attitudine a contenere un complesso di situazioni eterogeneità, giuridiche profondamente disomogenee, per ratio, per fonte, per struttura sostanziale, per natura giuridica ed effetto finale sulle scelte dei poteri dello Stato. Duro banco di prova per qualsiasi moderna democrazia, è l’ atteggiamento dei propri consociati di fronte al riconoscimento, attraverso le norme di diritto pubblico interno e di diritto internazionale, delle fattispecie di immunità. Non potendo prescindere dal contesto nel quale le regole giuridiche maturano, l’ interprete attento non avrà particolare 304 Le disposizioni precedenti si applicano, in quanto compatibili, ai procedimenti disciplinari, sostituita al giudice l’autorità investita del procedimento. - 76 - difficoltà a constatare che, secondo una valutazione di tipo socio-politico, e come tale non giuridica, l’ immunità assume nell’ opinione pubblica i contorni del privilegio, dell’ impunità. Tali valutazioni sarebbero valide, se si accettasse di cogliere solo il dato superficiale del problema: l’ effetto finale per il titolare della prerogativa è la sottrazione, temporanea o definitiva, all’ applicazione della sanzione penale; in astratto, senza allontanarci troppo, tale effetto potrebbe concretizzare una violazione del principio di eguaglianza o una ipotesi di diniego di giustizia. In realtà, l’ interprete deve avere la capacità, e il merito, di stare al di sopra dei sentimenti e delle reazioni che le norme giuridiche provocano nei consociati. Nel corso di questo studio, si è cercato di tenere ferma una idea: le immunità non rivestono, e non devono rivestire, il carattere di posizioni sostanziali di privilegio; esse sono, e devono essere, prerogative strumentali per un corretto, neutrale e continuo svolgimento di specifiche funzioni o uffici del nostro sistema democratico. Il privilegio è, al contrario, la particolare situazione che deriva da nome dettate a favore esclusivo di determinati individui o classi di individui, chiaramente in contrasto con il principio di eguaglianza; e tal concetto mal si concilia con il trattamento riservato ai soggetti immuni, in quanto questo non è motivato da una favorabilitas irrazionale, ma dalla particolare funzione che i soggetti stessi svolgono e che li pone in una situazione diversa a quella del comune cittadino, si che gli estremi per denunciare la violazione del principio di eguaglianza mancano. Più controverso il problema della natura giuridica delle immunità. Se si pone l’ accento sul conflitto di interessi in gioco, le immunità funzionali riconosciute dal diritto interno rientrano nella fattispecie e nella disciplina dell’ “ esercizio di un diritto o adempimento di un dovere “ ( art. 51 c.p. ), nell’alveo delle cause di giustificazione, istituto nel quale è ravvisabile l’ eadem ratio e nel quale la dialettica di un conflitto di interessi viene risolta in favore dell’ interesse prevalente. Se si pone l’ accento solo sull’ effetto finale, è possibile identificare un unico comune denominatore rispetto alle immunità funzionali, di diritto interno e di diritto internazionale: diversa la fonte, non differirebbe la ratio, trattandosi di prerogative concesse a garanzia del libero esercizio di funzioni istituzionali. Le immunità funzionali sono, per questa via, cause di esclusione della sanzione penale. Le immunità extrafunzionali mirano ad evitare che un soggetto, che agisce in nome e per conto del suo Stato, abbia a subire un processo da uno Stato straniero, per un fatto attinente la sfera privata, ma pur sempre commesso nell’arco temporale in cui è in carica: per ragioni di mera opportunità politica, non sono temporaneamente sindacabili fatti non - 77 - riconducibili all’ esercizio delle funzioni dell’ immune, ma il cui accertamento si risolverebbe inesorabilmente in una parziale limitazione della libertà d’azione, che deve accompagnare l’assolvimento dell’ ufficio di cui l’ immune è investito. Rispetto alle immunità funzionali di diritto internazionale, o si ravvisa un elemento differenziale rispetto alle immunità funzionali di diritto interno - in tal senso, si può pensare che gli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni, siano direttamente ascrivibili allo Stato straniero di appartenenza, nel cui interesse l’ immune abbia agito, e per questa via non possa essere chiamato a risponderne - o , nel solco delle valutazioni fatte in merito alle immunità di diritto interno, si ritiene che nessuna distinzione possa essere fatta con queste, ragion per cui anche le immunità funzionali riconosciute dal diritto internazionale, possono essere ricondotte tra le cause di giustificazione o tra le cause di esclusione della sanzione penale . 2.L’ insindacabilità parlamentare: il braccio di ferro istituzionale tra Parlamento e magistratura All’ interno del sistema delle immunità di diritto penale, si è scelto di affrontare il delicato problema del significato e dell’ ambito di applicazione della guarentigia parlamentare dell’ insindacabilità, riconosciuta dall’ art. 68, comma primo , della Costituzione. La complessità di questa norma è testimoniata dal profondo contrasto cui questa ha dato vita negli ultimi venti anni, sotto forma di braccio di ferro istituzionale tra Parlamento e magistratura, chiamati, se pur nell’ esercizio di poteri differenti, a confrontarsi con i problemi di applicazione della norma costituzionale: testimone di questo contrasto la Corte Costituzionale, chiamata a risolvere i conflitti di attribuzione insorti tra i due poteri. L’ insindacabilità è una fattispecie di immunità funzionale, che esclude la possibilità che il parlamentare venga chiamato a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle proprie funzioni. Una prerogativa, quindi, capace di garantire il rafforzamento della libertà di espressione e di voto, di assicurare un indipendente esercizio di funzioni, comunque prodromiche alla rappresentanza degli interessi della Nazione. Ma non solo: è la Corte Costituzionale a chiarire, che “ una tale regola di limitazione della responsabilità é dettata, non solo a tutela della libertà di espressione del singolo membro delle Camere, ma a tutela, attraverso questa, della piena libertà di discussione e - 78 - di deliberazione delle Camere stesse, e in definitiva a tutela della autonomia delle istituzioni parlamentari ”. L’ art. 68 Cost. lascia, a chi si è dovuto confrontare con l’ applicazione ( o semplicemente con l’ interpretazione ) della prerogativa in esame, numerosi interrogativi: quali sono le funzioni parlamentari - e quindi le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio di queste -, chi tra Parlamento e magistratura ha il potere di valutare la condotta, al fine di decidere se il comportamento del parlamentare, nel caso concreto, rientri o meno nell’alveo dell’ art. 68 Cost. Prima dello storico intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 1150 del 1988, i confini della guarentigia venivano tracciati dalla giurisprudenza parlamentare: la prassi, come è facile immaginare, era nel senso di attrarre quanto più possibile sotto l’ ombrello della prerogativa costituzionale, e questo , nel totale silenzio della magistratura ordinaria. Nel 1988 la Corte Costituzionale irrompe sulla scena, sollecitata dalla Corte d’ Appello di Roma, ponendo una netta linea di demarcazione: le Camere hanno il potere di valutare la condotta di un proprio membro, inibendo, se qualificata come esercizio delle funzioni, una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità; il giudice ordinario può contestare , con lo strumento del conflitto di attribuzione, il “ cattivo uso del potere di valutazione esercitato dal Parlamento “. La Corte diventa garante di un nuovo equilibrio istituzionale: il giudice ordinario ha il potere - dovere di pronunciarsi sulle condizioni dell' insindacabilità, solo in assenza di una decisone dell’ Assemblea di appartenenza del parlamentare, dovendo essere, altrimenti, quest’ ultima la voce finale. Ma in questo quadro, la Corte può essere sollecitata, attraverso il conflitto di attribuzioni, per esercitare una “verifica esterna ” sulle valutazioni di merito compiute dalle Camere ( sent. n. 443/93 ). L’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere nel 1993, si ripercuote anche sul regime dell’ insindacabilità: nell’ ottica di attribuire, in materia, una necessaria e preventiva valutazione agli organi parlamentari, vanno letti i diciotto decreti legge di attuazione dell’ art. 68 Cost. Il Governo impone al giudice di sospendere il procedimento e trasmettere gli atti alle Camera competente, perché sia questa a deliberare se il fatto, per il quale si procede, riguardi o meno opinioni espresse o voti dati nell’ esercizio delle funzioni: un meccanismo di pregiudizialità parlamentare, ad immagine e somiglianza della pregiudizialità costituzionale. Venuti meno i decreti di attuazione, la Corte Costituzionale ristabilisce l’ordine: il giudice può ritenersi vincolato alle valutazioni della Camera di - 79 - appartenenza del parlamentare, in materia di insindacabilità, solo se ( e quando ) una pronuncia di questa sia effettivamente intervenuta; in questo caso è salva la possibilità di ricorrere al conflitto di attribuzione. La Corte Costituzionale non ritiene ancora ( sentenza n. 265 del 1997 ) di potersi pronunciare “ direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un parlamentare…“ potendo solo “intervenire dall'esterno ”, senza essere “ chiamata a giudicare sul merito della scelta parlamentare “ ( sentenza n. 298 /98 ): passaggi, questi, da tenere a mente. Ma i giudici costituzionali continuano a tacere su un punto nevralgico: quali sono concretamente gli atti insindacabili? Finalmente nel 1997, sentenza n. 375, qualche apertura: la funzione parlamentare, secondo la Corte, non si risolve solo negli atti tipici, ma non può comprendere l’intera attività politica svolta dal deputato o dal senatore; tale interpretazione finirebbe, invero, “ per vanificare il nesso funzionale “ posto dall’art. 68, primo comma, e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale. Il compito di porre una netta linea di demarcazione tra le “dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono così di frequente nell’attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ”, viene affidato al nesso funzionale. Nuovo problema: quando si può parlare di nesso funzionale? Nel 1998, sentenza n. 298, i giudici della Consulta accennano indirettamente alla necessità di “ un collegamento tra le espressioni contestate come diffamatorie al deputato e la sua attività parlamentare “, a “ una connessione con atti tipici della funzione”, ad “ un intento divulgativo di una scelta o di un'attività politico - parlamentare “. Ma la svolta definitiva nell’ atteggiamento della Consulta è nell’ aria: è il momento delle sentenze nn. 10 e 11, del gennaio 2000. La Corte ritiene , adesso, di poter “ verificare se l’insindacabilità sussista, cioè se l’opinione di cui si discute sia stata espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari “: non più solo una verifica esterna, non più ostacoli a pronunciarsi “ direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un parlamentare…“, la Corte spinge il proprio controllo direttamente sul “ merito della controversia costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo comma ”. - 80 - Per la prima volta, è percepita l’ esigenza “ di precisare, rispetto alla precedente giurisprudenza, ed anche in vista di esigenze di certezza, quando ricorra il nesso funzionale “. E, allora, sono certamente compiuti nell'esercizio delle funzioni, gli atti svolti all' interno dei vari organi parlamentari, mentre , ai fini dell’ estensione dell’ insindacabilità anche agli atti compiuti al di fuori dell’ambito dei lavori dei predetti organi, è necessario “ verificare , in base a specifici criteri, più complessi rispetto a quello della mera localizzazione dell'atto “, l'esistenza di un nesso funzionale stretto tra espressione di opinioni e di voti ed esercizio delle funzioni parlamentari. Siamo alla fine del lungo cammino, il nesso funzionale viene inteso Corte non come " semplice collegamento di argomento o di contesto fra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare ". Nel caso di riproduzione all' esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni, già rese da deputati e senatori nell'esercizio delle proprie funzioni, si può riconoscere l’ insindacabilità “ solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche “ La crescita esponenziale del numero dei conflitti di attribuzione negli ultimi cinque anni, la scontata tendenza del Parlamento ad allargare le maglie interpretative dell’ art. 68, di cui sono prova anche le più recenti deliberazioni in materia, la ontologica difficoltà dell’ autorità giudiziaria ad accettare limiti all’ esercizio della funzione giurisdizionale, la obiettiva difficoltà di ricostruire la portata e il significato della prerogativa costituzionale, il difficile bilanciamento tra il principio di eguaglianza e il diritto alla tutela in giudizio dei propri diritti, da una parte, e la tutela della libertà del singolo parlamentare e delle Camere, nell’ esercizio delle rispettive funzioni, dall’ altra, sono tutti elementi che aiutano ad immaginare perché la Corte Costituzionale ad un certo punto, abbandonando il ruolo decisamente timido ricoperto fino a quel momento, da una “ verifica esterna “ sulle delibere delle Camere, abbia deciso, a partire dal gennaio 2000, di entrare nel “ merito della controversia costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo comma ”, fissando dei paletti oltre i quali non fosse lecito andare. E’ vero, tuttavia, che i criteri elaborati dalla Corte con le sentenze n. 10 e 11 peccano di rigido formalismo, in una società in rapida evoluzione, in un clima politico che ha perso la capacità di una dialettica serena, con continui e accessi attacchi reciproci tra maggioranza e opposizione, con una insanabile crisi istituzionale tra l’organo di - 81 - rappresentanza del popolo e il potere giurisdizionale. Tutto ciò non poteva assolutamente spingere nella direzione del restringimento interpretativo della portata della prerogativa costituzionale: e difficilmente il Parlamento avrebbe consentito a lungo, che fosse un altro organo costituzionale a sancire limiti così penetranti alla libertà di manifestazione extraparlamentare del pensiero. Sulla base di queste premesse, va letta l’approvazione definitiva della legge n. 140 del 2003, nella parte recante le disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione. 3.Il “ Lodo Maccanico “, tra polemiche e dubbi di legittimità costituzionale Guardare la legge n. 140/2003 con occhi equilibrati, imparziali e sereni, è opera estremamente ardua. Chi scrive è consapevole della difficoltà di giudicare una norma, prescindendo dal contesto nel quale essa matura: poiché, tuttavia, non è questa la sede per lanciarsi in considerazioni di tipo politico, che non abbiano alla base ragionamenti di tipo giuridico, si proverà ad andare oltre l’ infuocato clima che ha visto la nascita del provvedimento in esame. La prima particolarità è la “ eterogeneità “ del testo legislativo, almeno da un punto di vista tematico: l’ art. 1 – il quale introduce, sotto forma di sospensione dei processi alle più alte cariche istituzionali, una ipotesi di immunità extrafunzionale sconosciuta alla storia del nostro ordinamento costituzionale - nulla ha a che vedere con le restanti norme, le quali, invece, contengono la disciplina di attuazione dell’ art. 68 Cost., in materia di prerogative costituzionali dei membri del Parlamento. La comunione di norme così diverse non è, in realtà, figlia di un legislatore irrazionale. E’ pacifica, a torto o a ragione, l’ esigenza “politica “ di approvare, con estrema celerità305, la disposizione sulla sospensione dei processi alle più alte cariche istituzionali, per consentire, sempre a torto o a ragione, all’ attuale Presidente del Consiglio di non Nota , tra l’ altro , che la legge è entrata in vigore senza la vacatio dei 15 giorni , sì da essere applicabile il 25 Giugno , data in cui il Presidente del Consiglio sarebbe dovuto comparire dinanzi ai giudici milanesi . 305 - 82 - essere “ distratto “, durante il semestre italiano di presidenza dell’ UE, dal procedimento penale pendente, a suo carico, presso il Tribunale di Milano; tale esigenza è stata soddisfatta ancorando quella norma - mutuata da una proposta di legge del 2002 dell’ On. Maccanico e ripresa recentemente dalla maggioranza, nella veste di emendamento - al progetto di legge Boato, recante appunto le disposizioni di attuazione dell’ art. 68 Cost. Paradossalmente, questo iter ha avuto l’ effetto di porre in secondo piano l’ attenzione dell’ opinione pubblica e dei giuristi sui restanti otto articoli della legge n. 140; dall’ altro lato, però, ha avuto il merito di accelerare sensibilmente l’ approvazione della disciplina di attuazione dell’ art. 68 Cost, che si attendeva da dieci anni. Noi siamo chiamati a confrontarci solo con i problemi giuridici che la legge propone; per questa via, non si può tacere dei dubbi di legittimità costituzionale dell’ art. 1 306: il problema, evidente, è se una legge ordinaria possa introdurre una fattispecie di immunità. L’ unico precedente, in proposito, riguarda l’ art 5 della legge n. 1 del 1981, concernente i consiglieri del C.S.M.307. In quel caso, la Consulta ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, affermando che, “ nel caso di cause specifiche di non punibilità, stabilite in vista dell’ esercizio di determinate funzioni … le norme abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali “; tuttavia, non è necessario un “ fondamento esplicito “ nelle norme costituzionali, potendo essere il legislatore ordinario ad introdurle “ purché le scriminanti così stabilite, siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco ”. Qualsiasi insegnamento si voglia desumere da questa pronuncia, deve essere attentamente valutato con riferimento all’ art. 1 della legge n. 140: non siamo più di fronte a scriminanti o a cause di non punibilità, ma ad una norma che sospende i processi penali, anche quelli in corso ( sic ! ), “ per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime “. Difficile, per l’ interprete, operare il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, auspicato dalla Corte Costituzionale: garantire continuità e indipendenza all’ esercizio delle funzioni, di cui sono titolari le più alte cariche istituzionali, da una parte, il principio di 306 Tanto che , mentre si scrive , è stata eccepita la questione di legittimità costituzionale , dinanzi al Tribunale di Milano , il quale ha rimesso , con ordinanza del 30 Giugno , gli atti alla Consulta . 307 “ Non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’ oggetto della discussione “ . Vedi nota n. 16 . - 83 - eguaglianza, della ragionevole durata del processo, dell’ obbligatorietà dell’ azione penale, il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti, dall’ altra. Non secondarie sono, poi, alcune incertezze dettate dalla sommarietà della norma. Da una parte, essa non impedisce di immaginare che, uno dei soggetti indicati dall’ art. 1, non possa essere sottoposto a processo penale, nonostante sia colto in flagranza di reato; dall’altra, lascia indefinito il tempo della sospensione, non chiarendo se, una volta cessata la carica, ed eventualmente rieletto (es. il Presidente della Repubblica ), il soggetto possa continuare a beneficiare della sospensione. Se si da per assodata l’ esigenza di introdurre una immunità per le più alte cariche istituzionali308, la riserva che si può muovere alla legge n. 140, è quella di aver aggirato, per le esigenze di celerità assunte in premessa, le procedure di modifica costituzionale, di cui all’ art. 138 Cost.: quelle avrebbero consentito una valutazione più equilibrata da parte delle Assemblee, una stesura meno approssimativa della norma, avrebbero fugato i dubbi di legittimità. Chi scrive avrebbe ritenuto più corretto, oltre che più opportuno, uno sistema meno “ blindato “, assoluto e indefinito, di quello introdotto dall’ art. 1: attraverso l’ istituto della autorizzazione a procedere oppure - recependo gli orientamenti votati al Parlamento Europeo per i propri membri - un meccanismo inverso, per il quale fossero le Assemblee a chiedere all’ autorità giudiziaria la sospensione del processo. 4.L’ insindacabilità parlamentare, alla luce della legge n. 140/2003 L’ estensione dei comportamenti parlamentari riconducibili all’ art. 68, comma prima, della Costituzione, contenuta nell’ art. 3 della legge n. 140, disattendendo di fatto i limiti e i principi imposti dalla Corte Costituzionale a partire dalle sentenze nn. 10 e 11 del 2000, renderà probabilmente molto più difficile il concretizzarsi di fattispecie, nelle quali deputati e senatori esprimano opinioni non riconducibili all’ interno della sfera protettiva della guarentigia costituzionale. Si può legittimamente dubitare che la tutela dell’ autonomia delle Camere e, per questa via, dell’ indipendenza delle funzioni dei suoi membri, passi da una onnicomprensiva libertà di manifestazione del pensiero. Così come recentemente 308 Questa , per chi scrive , è una valutazione che può essere fatta , giammai in termini assoluti e definitivi : essa non può prescindere dal contesto sociale e politico nel quale l’ immunità si trova ad operare , né dall’ assetto costituzionale dei rapporti tra i poteri dello Stato . - 84 - ricostruita, viene il dubbio, più volte paventato dalla Corte Costituzionale, che l’ insindacabilità tenda sempre di più a perdere le sembianze della prerogativa, per trasformarsi in un anacronistico privilegio309: altro non si può pensare, di fronte a norme che escludono una qualsivoglia responsabilità del parlamentare, per opinioni che siano espressione di una semplice critica o denuncia politica, purché “ connesse “ con la propria funzione. Il giudice ordinario non ha alternative: deve adeguarsi alle lettura fatta propria dal Parlamento, dovendo, in tutti i casi in cui non ritiene sussistente la prerogativa costituzionale, rimettersi al giudizio della Camera di appartenenza del parlamentare. Giudizio da ritenere vincolante, come conferma l’ art. 3, salvo ammettere ancora la possibilità di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale: in effetti , non si tratta di una ipotesi remota, atteso che nella sentenza 129 del 1996, l’ unica emanata dalla Corte Costituzionale sotto la vigenza del decreto legge di attuazione dell’ art. 68 Cost., il cui contenuto non era molto dissimile dalla legge n. 140, si afferma espressamente che “ qualora reputi che la delibera favorevole all'applicazione dell'art. 68, primo comma, sia il risultato di un esercizio non corretto del potere - per vizi in procedendo oppure per omessa o erronea valutazione dei suoi presupposti, in particolare per manifesta estraneità della condotta del parlamentare al concetto di opinione o di esercizio delle funzioni - , il giudice, al quale si è rivolta la persona lesa dalle dichiarazioni diffamatorie contestate, può soprassedere alla dichiarazione immediata di applicabilità dell'art. 68 , sollevando conflitto di attribuzione “. INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE CITATE 309 Il G.I.P. di Milano , in data 2 Luglio 2003 , ha sollevato questione di legittimità costituzionale . - 85 - ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, GIUFFRE’, 1994 ARCIDIACONO-CARULLO-RIZZA, Istituzioni di diritto pubblico, CEDAM, 1992 BETTIOL , Manuale di diritto penale, XII ed., CEDAM, 1986 BARILE–CHELI–GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., CEDAM, 2002 BELLAGAMBA, Sulla natura giuridica dell’ immunità, in Indice penale 2001 BOSCARELLI, Compendio di diritto penale, parte generale, GIUFFRE’, 1991 BRUNELLI, Immunità, in Enciclopedia giuridica Treccani, 1989 CAPALOZZA, L’ immunità parlamentare e l’art. 68, primo comma, della Costituzione, in Scritti giuridico-penali – 1962 CARETTI-DE SIERVO, Istituzioni di diritto pubblico, V ed., GIAPPICHELLI, 2001 CONFORTI, Diritto Internazionale, V ed., EDITORIALE SCIENTIFICA, 1997. D’ANDREA, Prerogative dei parlamentari, poteri dell’ Autorità giudiziaria, conflitti di attribuzione , in Diritto e informazione - 1989 DELL’ANDRO, Capacità giuridica penale, in Enciclopedia del diritto – VI vol., UTET, 1970 DELOGU, L’ immunità penale dei consiglieri regionali, in Riv. It. Diritto e procedura penale, 1980 DI MUCCIO , L’ insindacabilità dei parlamentari : una introduzione allo studio dell’ art. 68 , primo comma, della Costituzione , in Diritto e Società - 1986 DOLCINI-MARINUCCI, Codice penale commentato, IPSOA, 1999 DOMINIONI, Immunità, extraterritorialità e asilo nel diritto penale internazionale, in Riv. It. Diritto e procedura penale, 1979 DU PASQUIER, La theorie generale du droit , III ed., 1948 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte generale, III ed., ZANICHELLI, 1995 FURNO, Insindacabilità parlamentare per opinioni e voti e “ libertà di offesa” nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. Cost. - 1999 GALLO, Capacità penale, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1958 GIRONI, Rivista It. Diritto e procedura penale, 1984 GRISOLIA, Immunità parlamentari e Costituzione , CEDAM , 2000 GRISPIGNI, Diritto penale italiano, CEDAM, 1945 GUARINI, L‘ ordine delle competenze di Camere e Autorità giudiziaria in materia di insindacabilità parlamentare, in Rass. Parl. , 1998 - 86 - LASORELLA, Le opinione espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari ex art. 68, primo comma, della Costituzione, tra Camere, giudici e Corte Costituzionale, in Giur. Cost. - 1999 LONG, Art. 68 in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, 1986 MAGGIORE, Diritto penale, ZANICHELLI, 1949 MALFATTI, La giurisprudenza costituzionale e l’ insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari, in Giur. Cost. , 1997 MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, III ed., CEDAM, 1992 MANZINI, Istituzioni di diritto penale italiano, CEDAM, 1949 MARTINELLI, L’ insindacabilità parlamentar , GIUFFRE , 2002 MARTINES, Diritto pubblico, V ed. , GIUFFRE , 2002 MAZZIOTTI DI CELSO–SALERNO, Manuale di diritto costituzionale, CEDAM, 2002 MIDIRI, La Riforma dell’ immunità parlamentare, in Giur. Cost., 1994 MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 1975 OLIVIERO , In tema di insindacabilità dei membri del Parlamento, in Giur. Cost. , 1994 PADOVANI, Codice penale , II ed., ZANICHELLI, 2000 PACE, L’ art. 68 Cost. e a scolta interpretativa della Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 10 e 11 del 2000, in Giur. Cost. 2000 PACE, Il nulla osta parlamentare, in Giur. Cost. , 1996 PACE, Giurisdizione e insindacabilità parlamentare nei conflitti costituzionali, in Quaderni Costituzionali , 2000 PACE, L’ insindacabilità parlamentare tra “ libertà della funzione “ e la verifica( non più soltanto esterna ? ) del “ corretto esercizio del potere”, in Giur. Cost., 1998 PAGLIARO, Immunità ( diritto penale ), in Enciclopedia del diritto - XX vol., UTET, 1970 PANIZZA, La disciplina delle immunità parlamentari tra Corte e Legislatore, in Giur . Cost. , 1994 PANNAIN, Manuale diritto penale, UTET, 1957 PERTICI, E’ ancora la Camera d’ appartenenza il giudice dell’ insindacabilità dei voti dati e delle opinioni espresse dai parlamentari, in Giur. Cost. , 1997 PETRANGELI , L’ insindacabilità parlamentare : una nuova fase inaugurata con qualche incertezza, in Giur. Cost., 1997 PICOTTI, L’ art. 3, in Codice penale, a cura di M. Bonafede, A. Cadoppi, S. Canestrari, II ed., UTET, 1996 - 87 - PIERGALLINI, L’ art. 3, in Codice penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. Lattanzi, E. Lupo, GIUFFRE’, 2000 QUADRI, Diritto internazionale pubblico, 1960. RANIERI, Diritto penale, AMBROSIANA, 1945 RICCIO, Immunità, in Digesto delle discipline penalistiche, 1992 ROLLA, Manuale di diritto pubblico, IV ed., GIAPPICHELLI, 2000 ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, II ed., GIUFFRE’,1996 ROMBOLI, La “ pregiudizialità parlamentare ” per le opinioni espresse e i voti dati dai membri delle Camere nell’ esercizio delle loro funzioni, in Foro It., 1994 SANTANIELLO-MARUOTTI, Manuale di diritto penale, GIUFFRE’, 1990 TRAVERSA, Immunità parlamentare, in Enciclopedia del diritto - XX vol., UTET, 1970 VERONESI, Per essere insindacabili fuori dalle Camere occorre “ l’ identità sostanziale” dei contenuti, in Diritto e Giustizia n. 3/2000 VINCIGUERRA , Diritto penale italiano, 1999 ZAGREBELSKY, Le immunità parlamentari, 1979 ZAGREBELSKY, La riforma dell’ autorizzazione a procedere, in Giur. Cost., 1994 ZANON, L’ insindacabilità non copre gli insulti anche se collegati a battaglie politiche, in Diritto e Giustizia n. 23/2001 - 88 -