CAPITOLO PRIMO
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE:
LE IMMUNITA’ NEL DIRITTO PENALE
1.Premessa: l’ art. 3 del codice penale
L’ art. 3 del codice penale, sotto la rubrica “ obbligatorietà della legge penale “,
dispone al comma primo: “ la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o
stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico
interno o dal diritto internazionale “. Tali eccezioni qualificano un sistema complesso e
variegato di situazioni giuridiche, da inquadrare sotto l’egida di un unico nomen iuris: nella
tradizione si parla di immunità di diritto penale1. Qualsiasi altra definizione tentassimo di
coniare in questo momento, in uno stato ancora primitivo della nostra trattazione, e quindi
argomentabile esclusivamente sulla scorta della lettera dell’ art. 3 c.p., sarebbe in realtà
fuorviante; non coglierebbe, anzi tradirebbe, il carattere primo di questo istituto, cioè la
sua eterogeneità, l’attitudine a contenere un sistema di situazioni profondamente
disomogenee, per ratio, per fonte, per struttura sostanziale, per natura giuridica ed effetto
finale sulle scelte dei poteri dello Stato.
E’ necessario, invero, un ordine logico nella trattazione e nell’ analisi di questo
istituto. Per questa via, il primo dato con cui si confronta l’ occhio nudo dell’ interprete è
che l’ art. 3, aprendo una breccia nel nostro ordinamento giuridico, presenta le immunità
come eccezioni che trovano nel diritto pubblico interno e nel diritto internazionale la loro
fonte; non si può non scorgere, allora, il primo criterio discretivo: esistono immunità di
diritto interno e immunità di diritto internazionale.
2.Le immunità di diritto interno
In linea generale, possiamo sin da adesso identificare un unico comune
denominatore: si tratta di previsioni della nostra Carta Costituzionale, volte a garantire la
1
E’ la definizione preferita dai manuali di diritto penale.
tutela di talune funzioni di particolare significato politico, nel contesto democratico del
sistema giuridico2.
Il Presidente della Repubblica, ai sensi dell’ art. 90 Cost., “ non è responsabile degli
atti compiuti nell’ esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto
tradimento o per
attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta
comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri “ ed è giudicato dalla Corte
Costituzionale3. Sebbene la Costituzione taccia in proposito, si ritiene che il Presidente del
Senato, qualora eserciti le funzioni di Presidente della Repubblica, goda della stesse
immunità per tutto il periodo della supplenza4.
La prerogativa in questione non presuppone necessariamente atti d’ ufficio in senso
tecnico, quali un discorso alle Camere, la firma di una legge5; non potrebbe, però, essere
sufficiente un atto solo occasionalmente connesso con l’esercizio delle funzioni
presidenziali. In definitiva, il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti che,
non integrando le fattispecie di attentato alla Costituzione o di alto tradimento ,
rappresentano una “ estrinsecazione modale del suo ufficio “6.
Più controversa risulta l’ ipotesi della commissione di reati comuni da parte del
Capo dello Stato, cioè di fattispecie non realizzate nel contesto dell’ esercizio delle
funzioni. Si è cercato di escludere, anche in questo caso, la perseguibilità del Presidente
della Repubblica: questi godrebbe di una esenzione da giurisdizione, limitata alla durata
della sua carica, in forza della “ particolare posizione e alle funzioni che egli esplica, che
non gli consentono di trovarsi in posizione di subordinazione formale rispetto ad altri
organi dello Stato, sia pure giurisdizionali “7. Rimane ferma, tuttavia, la tesi secondo cui il
Presidente della Repubblica non goda di alcuna guarentigia processuale e vada trattato
alla stregua del comune cittadino, con la consequenziale competenza dell’autorità
giudiziaria ordinaria8. Per quanto tale scelta possa risultare anomala e forse problematica
2
ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, p. 72.
Così recita l’ art. 90 Cost., superando la previsione di una immunità assoluta codificata nello Statuto Albertino, ove si
evidenziava che la “ persona del Re è sacra e inviolabile ”.
4
Lo rileva PAGLIARO, Immunità( diritto penale ), in Enciclopedia del diritto- XX vol. , p. 215: “ …in considerazione
del fatto che le immunità stesse non sono legate alla posizione formale, ma all’ esercizio delle funzioni “.
5
In senso contrario RICCIO, Immunità in Digesto delle discipline penalistiche , p. 179 , che limita la prerogativa solo
agli atti espressione dei poteri e delle competenze riconosciute dall’art. 87 Cost.
6
PAGLIARO, cit. , p. 214 .
7
BETTIOL – PETTOELLO – MANTOVANI , Diritto penale , p. 191 ; PICOTTI , L’ art. 3 , in Codice penale , a
cura di M. Bonafede, A. Cadoppi, S. Canestrari , p. 161: senza darne alcuna spiegazioni in termini giuridici , l’A. parla
di “ aspetto meramente processuale della stessa immunità “ che determina “ il divieto temporaneo di sottoporre a
procedimento penale il Presidente della Repubblica , per i reati commessi fuori dall’ esercizio delle funzioni “ .
8
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale , p. 123 ; ROMANO, cit. , p. 73 .
3
-3-
da un punto di vista politico9, risulta confermata dalla legge n. 219/89, recante norme
concernenti il procedimento di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di cui all’
art. 90 Cost.: l’ art. 10 prevede che, nel caso di reati diversi da quelli indicati nella norma
costituzionale, il Parlamento in seduta comune dichiara la propria incompetenza e
trasmette gli atti all’autorità giudiziaria ordinaria10.
L’art. 68 Cost. riserva ai membri del Parlamento talune prerogative che, mai come
altre, sono state al centro del dibattito politico-giudiziario del nostro Paese. Il primo comma
introduce la c.d. “ insindacabilità “ dei deputati e senatori, i quali “ non possono essere
chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle loro
funzioni ”. Il comma secondo, a seguito dell’ abrogazione del discusso istituto
dell’autorizzazione a procedere, che subordinava al nulla-osta del Parlamento la stessa
possibilità di sottoporre a processo penale i suoi membri, ha “ mantenuto alcune garanzie
della libertà personale e introdotto nuovi limiti all’attività di indagine “11: senza
autorizzazione della Camera di appartenenza, nessun parlamentare può essere
sottoposto a perquisizione domiciliare e personale, né può essere arrestato o privato
altrimenti della libertà personale, o mantenuto in detenzione, a meno che sia colto nell’atto
di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza o nel
caso di sentenza penale irrevocabile; analoga autorizzazione è richiesta, dal terzo comma,
per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e il sequestro di corrispondenza. In
verità, fatta eccezione per la guarentigia dell’ insindacabilità prevista dal comma primo, le
prerogative processuali da ultimo citate, non sono pacificamente ammesse dalla dottrina
nel limbo delle immunità penali: vi è chi propende per la qualificazione nei termini di
immunità processuali12 e chi, al contrario, preferisce parlare di condizioni di procedibilità13,
o di mere prerogative di carattere processuale14.
Durante la carica, i giudici della Corte Costituzionale, giusta la l. cost. n. 1 del 1948,
godono della stessa immunità15 riconosciuta ai membri del Parlamento dal comma
secondo dell’art. 68 Cost.; inoltre, in forza della l. cost. n. 1 del 1953, essi “ non sono
sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’
esercizio delle loro funzioni “.
PAGLIARO, cit. , p. 214 , parla di “ assurdo politico “ .
Lo sottolinea MANTOVANI, Diritto penale , p. 819.
11
FIANDACA-MUSCO, cit , p. 124
12
MANTOVANI, cit. , p. 819 ; DOLCINI - MARINUCCI, Codice penale commentato , p. 82 ; SANTANIELLOMARUOTTI, Manuale di diritto penale , p. 108 .
13
VINCIGUERRA, Diritto penale italiano , p . 497 .
14
MAGGIORE, Diritto penale , p. 142 .
15
Ovviamente l’ autorizzazione è data dalla stessa Corte Costituzionale .
9
10
-4-
L’art. 122 Cost. si rivolge ai Consiglieri regionali, i quali “ non possono essere
chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle loro funzioni
“.
I membri del Consiglio Superiore della Magistratura, invece, “ non sono punibili per
le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’ oggetto della
discussione “, in forza della legge n. 1 del 198916. Questa fattispecie è stata- fino all’
approvazione della legge n. 140 del 2003, intervenuta proprio mentre si scrive, e di cui si
darà conto più avanti- l’ unica immunità di diritto interno prevista dalla legge ordinaria; non
sfugge, inoltre, la diversa formula utilizzata dal legislatore, rispetto alle disposizioni
precedentemente citate: se ne è dedotta una limitazione nella portata della norma, tale per
cui, mentre i parlamentari, i consiglieri regionali e i giudici della Corte Costituzionale non
potrebbero essere chiamati a rispondere in sede civile, penale e amministrativa, i
consiglieri del C.S.M. sarebbero protetti solo in sede penale, per le sole opinioni
concernenti “ l’ oggetto delle discussioni ”17.
La legge costituzionale n. 1 del 1989, innovando il precetto dell’art 96 Cost.,
dispone: “ Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i ministri, anche se cessati dalla
carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, alla giurisdizione
ordinaria, previa autorizzazione della Camera( se appartiene alla Camera dei Deputati ) o
del Senato( se appartiene al Senato o non appartiene al Parlamento ) “. Aggiunge l’art. 9: “
l’ Assemblea può negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione
insindacabile, che l’ inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato
E’ doveroso rendere al lettore alcuni passi della sentenza n. 148 del 1983, con la quale la Corte Costituzionale ha
rigettato l’ eccezione di incostituzionalità dell’ art. 5 . I giudici , pur parlando di “ scriminante ” e di norma che “
esclude l’antigiuridicità del fatto “ , riconoscono all’ art 5 un ambito di applicazione diverso da quello delle scriminanti
di diritto penale; più precisamente essa non può risolversi nella causa di giustificazione di cui all’ art 51 c.p. , perché
oltre il semplice esercizio di un diritto e adempimento del dovere, questa norma ha voluto garantire ai consiglieri
“
una qualificata e rafforzata libertà di manifestazione del pensiero, nell’ esercizio delle loro funzioni costituzionalmente
garantite “ , al pari dell’art. 68 Cost.
Ma, subito dopo, precisa che “ la scriminante in esame presenta un punto di contatto con la previsione dell’art. 598 c.p.
- per il quale “ non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai
loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’ autorità giudiziaria, quando le offese concernono l’ oggetto della causa
” - …l’art 5 ha previsto una causa di non punibilità specifica “.
Circa il problema relativo al grado della fonte che la prevede, la Corte precisa che in tema di cause di non punibilità,
previste in vista dell’ esercizio di determinate funzioni, non è necessario un fondamento esplicito nelle norme
costituzionali, potendo essere il legislatore ordinario ad introdurle “ purché le scriminanti così stabilite, siano il frutto di
un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco”.
Il fondamento costituzionale dell’ art. 5, ad avviso della Consulta, sarebbe la peculiare posizione istituzionale del
C.S.M. , “ organo di sicuro rilievo costituzionale e predisposto per rendere effettive l’ autonomia e indipendenza dell’
ordine giudiziario “.
17
RICCIO, cit. , p. 180 . Contra sembra ANTOLISEI, Manuale di diritto penale , p. 130 , il quale riconosce a tutte le
ipotesi di immunità di diritto interno, compresa quindi quella dei consiglieri del C.S.M. , l’ efficacia in sede penale,
civile e disciplinare.
16
-5-
costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse
pubblico nell’esercizio della funzione di Governo “. Ancora l’art. 10: “ Nei procedimenti di
cui all’art. 96 Cost., il Presidente del Consiglio, i Ministri, nonché gli altri inquisiti che siano
membri del Parlamento, non possono essere sottoposti a misure limitative della libertà
personale, ad intercettazioni, a sequestro di corrispondenza ovvero a perquisizioni
personali o domiciliari, senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Non si
applica il 2° comma dell’art. 68 Cost. ”. Ma di fondamentale importanza, per cogliere la
ratio sottesa a questa previsione normativa, è il comma quarto, dove si dice: “ non può
essere disposta l’applicazione provvisoria di pene accessorie che comportino la
sospensione degli stessi dal loro ufficio “. In realtà, la dottrina ignora l’esistenza di queste
norme nella trattazione sistematica delle immunità di diritto interno, il che può costringere
a pensare che tali prerogative vadano escluse dall’analisi di questo istituto18.
La legge n. 140 del 2003 ha introdotto, infine, una immunità processuale senza
precedenti nel nostro ordinamento costituzionale. L’ art. 1 dispone che “ Non possono
essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti
l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il
Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione, il
Presidente del Senato della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati, il
Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall’articolo 96 della
Costituzione, il Presidente della Corte costituzionale ”. Inoltre, la stessa normativa ha
sospeso, nei confronti dei soggetti citati, i processi penali in corso “ in ogni fase, stato o
grado, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o
della funzione, fino alla cessazione delle medesime “19.
3.Le immunità di diritto internazionale
Le immunità di diritto internazionale, sono riconosciute nel nostro ordinamento in
forza di trattati, convenzioni o accordi internazionali, ratificati e resi esecutivi con atto
normativo interno, ovvero in forza dell’art. 10 Cost., secondo il quale “ l’ ordinamento
giuridico italiano si conforma – automaticamente - alle norme del diritto internazionale
ROMANO, cit. , p. 72 , inquadra questa previsione tra le “ particolarità di ordine processuale, disposte per esigenze
di carattere politico “. SANTANIELLO-MARUOTTI, cit. , p. 108 , identifica espressamente la previsione dell’art.
10 l. cost. 1/89 come immunità processuale, ma inquadra la previsione dell’ art. 96 Cost. nell’ ambito delle immunità di
diritto interno, senza specificarne la natura; stesso inquadramento in ANTOLISEI, cit. , p. 131 .
19
Per un commento complessivo sulla legge 140 del 2003 , vedi capitolo III .
18
-6-
generalmente
riconosciute(
essenzialmente
si
tratta
di
principi
e
consuetudini
internazionali) “20. Cercheremo adesso di descrivere nel modo più razionale possibile le
principali ipotesi, con la doverosa precisazione, però, che la nostra è un’analisi meramente
esemplificativa, propedeutica a capire l’aspetto più controverso dell’ intero fenomeno in
analisi, cioè la natura giuridica delle immunità; ragion per cui, non ci si meravigli se
verranno ignorati( rectius tralasciati ) tutti i problemi e le questioni, che meglio trovano
terreno di studio nella disciplina del diritto internazionale.
E’ opportuno incominciare da una figura essenziale nelle relazioni tra gli Stati,
l’agente diplomatico. Il diritto internazionale consuetudinario riserva agli agenti diplomatici
stranieri, all’ interno di ciascuno Stato, una serie di prerogative( c.d. immunità diplomatiche
), già codificate nella Convenzione di Vienna del 1961 sulla relazioni diplomatiche.
La persona dell’agente diplomatico è inviolabile, non può essere sottoposto ad
alcuna forma di arresto o di detenzione, ma soprattutto
“ gode dell’ immunità dalla
giurisdizione penale dello Stato accreditatario “ ( art. 31 ), anche se lo Stato accreditante
può rinunciarvi ( art. 32 ). In proposito, bisogna distinguere tra atti compiuti dal diplomatico
in quanto organo dello Stato e atti compiuti come privato 21.
I primi sono coperti da una immunità funzionale, per cui l’ agente non può essere
chiamato a risponderne, neanche dopo che le funzioni siano cessate ( art. 39 ). Per i
secondi, compiuti prima o durante la carica, l’ immunità è solo processuale: questo
significa che il diplomatico, solo finché è in carica, non può essere sottoposto ad alcun
giudizio22.
E’ utile precisare l’ esatta estensione di queste prerogative. Di solito, la qualifica di
agenti diplomatici è adoperata per indicare i capi-missione( ambasciatori, ministri
plenipotenziari), ma le immunità diplomatiche si estendono alle famiglie che con questi
convivono, a tutto il personale diplomatico delle missioni( ministri, consiglieri) e alle loro
famiglie, al personale tecnico e amministrativo della missione23.
20
La Corte costituzionale ammette che le immunità siano riconosciute attraverso una legge ordinaria, quando questa
autorizza la ratifica di un trattato internazionale, recettivo di norme consuetudinarie internazionali e si trova, dunque , in
armonia con l’art. 10 Cost. ( sent. n. 48/1979), oppure quando il trattato ratificato realizza le finalità di cui all’ art. 11
Cost. ( sent. n. 300/1984 ).
21
Sul punto CONFORTI, Diritto Internazionale , p. 219 e ss.
22
Secondo l’ art 39 , “ le immunità di una persona che cessa dalle funzioni, decadono dal momento in cui essa lascia
il paese oppure al decorso di un termine ragionevole che le sia stato concesso… L’ immunità sussiste tuttavia per
quanto concerne gli atti compiuti da tale persona nell’ esercizio delle sue funzioni “ .
23
CONFORTI, cit. , p. 219 e ss.
-7-
Meno incerta la posizione dei Capi di Stato esteri ed i Reggenti che si trovano in
tempo di pace nel territorio italiano. Essi godono di una immunità totale24, che trova origine
nel diritto internazionale generale, e che si estende al seguito e ai familiari che li
accompagnano. Controversa, tuttavia, l’area dei comportamenti coperti da questa
immunità: si discute se essa sia assimilabile a quella degli agenti diplomatici25 o se ne
distingua, nel senso che il Capo di Stato estero non risponda penalmente, nemmeno dopo
la cessazione delle funzioni26, di qualsiasi atto funzionale ed extrafunzionale, compiuto in
costanza di carica.
Il Trattato del Laterano, stipulato tra l’ Italia e la Santa Sede, e reso esecutivo con
legge ordinaria del 1929, riconosce alla persona del Sommo Pontefice una immunità
totale27. L’ art. 8 dichiara “ sacra e inviolabile “ la persona del Papa: tale riferimento
normativo, già presente nella legge delle guarentigie, induce molti autori28 a non ravvisare
il fondamento giuridico dell’ immunità, esclusivamente nella carica di Capo di Stato estero(
lo Stato del Vaticano) che egli ricopre, ma nella sua altissima posizione spirituale di Capo
della Cristianità. Secondo altri autori, invece, non è necessario operare alcuna distinzione
tra il Pontefice e un Capo di Stato estero, per cui l’ immunità è imputabile solo alla carica
istituzionale di Capo dello Stato del Vaticano29.
Si ritiene, inoltre, che le immunità riconosciute ai diplomatici possano essere
estese, in virtù del diritto internazionale consuetudinario, anche ai Ministri degli affari esteri
24
Cfr. PAGLIARO, cit., p. 216; MANTOVANI, cit., p. 820; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126; ANTOLISEI, cit. ,
p. 131.
25
In tal senso CONFORTI, cit. , p. 221 , secondo il quale le immunità diplomatiche spettano anche ai Capi di Stato ;
MANZINI, Istituzioni di diritto penale italiano , p. 606 ; ROMANO, cit. , p. 75 : “ soluzione da preferire è quella
secondo cui cessata la carica è possibile un giudizio su fatti non commessi in occasione dell’ esercizio delle funzioni.
Soluzione questa che sembra da preferire per il nostro ordinamento, in parallelismo a quanto disposto per l’ immunità
del Presidente della Repubblica ” . Analogamente QUADRI, Diritto internazionale pubblico, 1960 , p. 408 .
26
PAGLIARO, cit. , p. 218 e ss. : “ Il Pontefice e i Capi di Stato esteri non possono essere perseguiti per alcun fatto,
né essere sottoposti a processo penale…l’ immunità non si esaurisce nell’ incapacità penale, accanto ad essa si deve
considerare l’ incapacità ad essere imputato “ ; dello stesso avviso DOMINIONI, Immunità, extraterritorialità e asilo
nel diritto penale internazionale, in Riv. It. Diritto e procedura penale , 1979 , p. 378 e ss. : per i Capi di Stato esteri
non è necessario distinguere tra atti funzionali ed extrafunzionali . Mentre sono in carica, saranno incapaci ad assumere
la qualità di imputato, una volta cessata la carica i giudici riacquistano la giurisdizione penale : ma per i fatti commessi
duranti la carica , il processo dovrà concludersi con il proscioglimento, perché il fatto non costituisce reato.
27
Testualmente : “ L’ Italia considerando sacra e inviolabile la persona del Sommo Pontefice, punisce l’attentato, le
ingiurie e le offese contro di Essa, allo stesso modo di quelle contro la persona del Re” .
28
ANTOLISEI, cit. , p. 134 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126 ; MANTOVANI, cit. ,
p. 820 ; MANZINI,
cit. , p. 600 ; DOLCINI-MARINUCCI, cit. , p. 84 .
Osserva BRUNELLI, Immunità , in Enciclopedia giuridica Treccani, p. 2 e ss. : “ Il Papa si colloca in una posizione
di inviolabilità autonoma rispetto a quella degli altri Capi di Stato esteri, sia per i fatti commessi in costanza di carica,
sia per la durata di questa , per quelli anteriori “ .
29
Così ROMANO, cit. , p. 75 ; PADOVANI, Codice penale , p. 40 ; PAGLIARO, cit. , p. 216 ; RICCIO , cit., p.
181 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 481 .
-8-
e ai Presidenti del Consiglio in visita ufficiale30. Più in generale, il diritto internazionale
consuetudinario riconosce agli organi di Stati stranieri
( Capi di governo, membri del
governo, missioni speciali e rappresentanti di Stati esteri in conferenze internazionali e in
organizzazioni intergovernative), che non vengano a rientrare nella tutela accordata ai
membri delle missioni diplomatiche in quanto tali ( leggi immunità diplomatiche), solo una
immunità funzionale31.
In forza del protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità europee, firmato a
Bruxelles nel 1965, i Parlamentari europei, sul territorio nazionale, godono delle stesse
immunità riconosciute ai membri del Parlamento del loro Paese( art. 10); inoltre “ non
possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi
nell’ esercizio delle funzioni “ ( art. 9). Tuttavia, con la recente decisione del 3 giugno
200332, il Parlamento europeo ha approvato lo Statuto dei deputati: l’art. 4 prevede che
il “ deputato non può essere in alcun momento perseguito a motivo delle azioni intraprese,
dei voti o delle opinioni espresse nell'esercizio del proprio mandato, né può essere
chiamato a renderne altrimenti conto in sede extragiudiziale. Su richiesta del deputato, il
Parlamento decide se un'opinione sia stata espressa nell'esercizio del mandato “; mentre
l’art. 5 dispone: “ Qualsiasi limitazione della libertà personale di un deputato è ammessa
solo su autorizzazione del Parlamento, salvo in caso di flagranza di reato…Una indagine o
un procedimento penale nei confronti di un deputato deve essere sospeso qualora il
Parlamento lo richieda “ 33
I giudici della Corte internazionale di giustizia dell’ AJA godono, nell’ esercizio delle
loro funzioni, dei privilegi e delle immunità diplomatiche34; mentre i giudici della Corte
europea dei diritti dell’ uomo, nell’ esercizio delle funzioni e durante i viaggi compiuti nell’
esercizio delle funzioni, godono di una immunità da qualsiasi giurisdizione per quanto
concerne gli atti compiuti nella veste ufficiale, incluse parole e scritti35.
Immunità fondata sul diritto internazionale pattizio è quella dei funzionari consolari(
consoli, vice consoli e agenti consolari ), i quali “ non sono perseguibili per gli atti compiuti
30
RICCIO, cit. , p. 182 ; CONFORTI, cit, p. 222 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 484 ; PAGLIARO, cit , p. 216 ;
secondo FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 126 , invece, l’ equiparazione può portare al riconoscimento solo di una
immunità funzionale.
31
ROMANO, cit. , p. 75 e ss. ; PIERGALLINI, L’ art. 3 , in Codice penale : rassegna di giurisprudenza e di
dottrina , diretta da G. Lattanzi , E. Lupo , p. 82 .
32
Si può trovare sul sito internet www.europalex.it .
33
Lo statuto entrerà in vigore nella prossima legislatura, con espressa eccezione dei citati articoli 4 e 5 , i quali
entreranno in vigore al momento dell’ abrogazione dell’ art. 9 e 10 del protocollo .
34
Art. 19 dello Statuto della Corte.
35
Art. 2 del Protocollo addizionale all’ Accordo generale sui privilegi e le immunità del Consiglio d’ Europa.
-9-
nell’ esercizio delle funzioni consolari “, espressamente indicate nella convenzione Vienna
del 1963 sulle relazioni consolari.
Ancora, va ricordata la Convenzione di Londra del 1951 tra gli Stati partecipanti al
Trattato Nord Atlantico, la quale ha codificato un principio di diritto internazionale
generale36, secondo il quale le truppe di uno Stato estero che, a prescindere da un
conflitto bellico, soggiornano o transitano sul territorio di altro Stato con il suo consenso,
sono immuni dalla legge penale di questo ultimo e sono soggette unicamente alla legge
penale dello Stato cui appartengono (c.d. giurisdizione della bandiera ).
4.Le classificazioni operate dalla dottrina
Prima di passare al tema centrale di questo capitolo, è opportuno dar conto di alcuni
criteri di classificazione, che agevolano il tentativo di inquadrare le immunità per parametri
comuni.
Una prima contrapposizione, già emersa precedentemente, è quella tra immunità di
diritto interno e immunità di diritto internazionale, in cui evidentemente va dato risalto alla
fonte che ne autorizza l’ ingresso definitivo nel nostro ordinamento giuridico. Ma nella
trattazione sistematica delle singole previsioni, ci si rende conto facilmente che il punto
nevralgico è il contesto in cui opera l’ immune, il momento storico in cui l’atto è compiuto:
torna sempre l’ inciso( atto, fatto, opinioni espresse, voti dati nell’) “ esercizio delle funzioni
“37. Invero, la contrapposizione tra immunità funzionali ed extrafunzionali ruota attorno a
questa espressione. L’ impostazione che meglio ha l’ effetto di chiarire i termini del
problema, parte dalla distinzione tra oggetto e efficacia dell’ immunità38. Oggetto dell’
immunità può essere sia l’ attività funzionale sia l’attività extrafunzionale del soggetto: per
questa via , l’ immunità funzionale riguarda i reati compiuti nell’ esercizio delle funzioni, l’
immunità extrafunzionale quelli commessi al di fuori di queste, e quindi l’attività privata39.
Le immunità funzionali cessano con le funzioni, ma coprono definitivamente gli atti di cui eventualmente venga chiamato a rispondere l’ immune, venuta meno la funzione
che le giustifica - che ne hanno rappresentato l’ esercizio, quando era in carica: ciò è reso
necessario dall’ intimo compenetrarsi del fatto protetto con la funzione. Invece, l’ assenza
36
VINCIGUERRA, cit. , p. 484 .
Basta rivedere l’art. 68, 90, 122 della Costituzione o l’art. 39 della Convenzione di Vienna sulle relazioni
diplomatiche.
38
RICCIO, cit. , p. 183 .
39
VINCIGUERRA, cit. , p. 480 ; ROMANO, cit. , p. 71 e ss. ; DOLCINI - MARINUCCI,
cit. , p. 80 .
37
- 10 -
dello stretto compenetrarsi degli atti privati, protetti dalle immunità extrafunzionali, con la
funzione stessa, spiega perché queste, cessate con il venir meno della carica, non
possano esimere l’ immune dal rispondere dei comportamenti extrafunzionali compiuti
quando era ancora titolare della funzione40.
Continuando in questa direzione, l’ efficacia dell’ immunità indica il suo ambito di
applicazione: essa sarà di diritto sostanziale o processuale41. Ne deriva che sono
immunità sostanziali( o ad efficacia sostanziale) quelle che producono i loro effetti tipici
nell’ambito del diritto penale, immunità processuali( o ad efficacia processuale) quelle che
esplicano i loro effetti nell’ambito del diritto processuale42.
Solo che , tipicamente, le immunità ad efficacia sostanziale hanno ad oggetto
proprio l’ attività funzionale e le immunità processuali, generalmente, hanno ad oggetto l’
attività extrafunzionale43. Visto al rovescio, le immunità funzionali sono anche sostanziali,
mentre quelle extrafunzionali sono anche processuali44. Questa precisazioni non sono un
semplice esercizio linguistico, tanto che alcuni autori superano la distinzione tra oggetto e
ambito di applicazione dell’ immunità, arrivando a sostenere la totale coincidenza, a livello
concettuale45 o sostanziale46, tra immunità sostanziali e funzionali, e tra immunità
processuali ed extrafunzionali47.
Ultima contrapposizione è quella tra immunità assolute e relative. La linea di
demarcazione è segnata dal fatto che le prime guardano a qualsiasi reato commesso dal
soggetto titolare, le seconde solo a talune fattispecie48.
Prima di passare all’ analisi della natura giuridica delle immunità pare opportuna
una precisazione, a chiusura di una fase dello studio meramente descrittiva. Un dato
40
VINCIGUERRA, cit. , p. 480 .
RICCIO, cit. , p. 183 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 480 , distingue le immunità per tipo di ordinamento : “ Alcune
riguardano il procedimento penale, altre operano esclusivamente nel dominio di diritto penale sostanziale “ .
42
DELOGU, L’ immunità penale dei consiglieri regionali , in Riv. It. Diritto e procedura penale , 1980 , p. 624 .
43
RICCIO, cit. , p. 183 .
44
VINCIGUERRA, cit. , p. 480 .
45
MANTOVANI, cit. , p. 817 , parla di “ immunità funzionali o sostanziali (…) ed immunità extrafunzionali o
processuali “.
46
FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 122 , qualifica sostanziali le immunità concernenti gli atti compiuti nell’ esercizio
delle funzioni, processuali quelle riferite agli atti estranei all’ esercizio delle funzioni e perseguibili dopo la cessazione
della carica .
47
Si prenda , ad esempio , DOLCINI - MARINUCCI, cit. , p. 80 , che definisce immunità sostanziali quelle che
coprono il fatto anche quando è venuta meno l’ immunità, e processuali quelle che coprono il fatto finché essa stessa
perdura ; così pure PADOVANI, cit. , p. 38 ; PAGLIARO, cit. , p. 218 : “ l’ immunità di diritto sostanziale concerne i
fatti commessi nel periodo di tempo in cui sussistono i presupposti dell’ immunità; e tali fatti sono sottratti alla
sanzione penale anche dopo che l’ immunità è cessata. Un’ immunità di diritto processuale impedisce i processi penali
finché l’ immunità dura; ma una volta cessata è possibile procedere per tutti i fatti ”.
48
RICCIO, cit. , p. 183 ; PADOVANI, cit. , p. 38 ; DOLCINI - MARINUCCI, cit. , p. 80 ; PICOTTI, cit. , p. 138 .
Per MANTOVANI, cit. , p. 817 , sono relative “ quelle limitate ai reati commessi in costanza di carica “.
41
- 11 -
certo, di cui può rendersi conto l’ interprete attento, è che le immunità non rivestono il
carattere di
posizioni sostanziali di privilegio, ma in linea generale sono prerogative
strumentali per un corretto e neutrale svolgimento di specifiche funzioni o uffici del nostro
sistema democratico49. Per le situazioni sopradescritte, contrassegnate e riconosciute in
virtù della connessione con uno specifico ruolo del suo titolare, da un punto di vista
linguistico l’ unico sinonimo possibile può e deve essere il termine “ prerogativa “50. “
Privilegio è la particolare situazione che deriva da nome dettate a favore esclusivo di
determinati individui o classi di individui, chiaramente in contrasto con il principio di
eguaglianza; e tal concetto mal si concilia con il trattamento riservato ai soggetti immuni, in
quanto questo non è motivato da una favorabilitas irrazionale, ma dalla particolare
funzione che i soggetti stessi svolgono e che li pone in una situazione diversa a quella del
comune cittadino, si che gli estremi per denunciare la violazione del principio di
eguaglianza mancano “51.
5.La natura giuridica delle immunità
5.1 Premessa: un problema di metodo
Partiamo dai dati in nostro possesso. Sappiamo che le immunità descrivono
fenomeni eterogenei, solo per comodità accomunati da un unico nomen iuris. Ne
conosciamo, almeno in linea generale, l’ oggetto, l’ ambito di applicazione, la durata, le
fonti.
Chiedersi quale sia la natura giuridica delle immunità, significa domandarsi in quale
degli istituti del sistema penale52, delle categorie del sapere giuridico-penale53, esse
49
ROMANO, cit. , p. 72 ; FIANDACA -MUSCO, cit. , p. 122 .
Usano indistintamente i termini immunità e prerogativa, oltre gli autori citati nella nota precedente, ANTOLISEI,
cit. , e SANTANIELLO – MARUOTTI, cit.
51
DELOGU, cit. , p. 623 .
52
RICCIO, cit. , p. 183 .
53
VINCIGUERRA, cit. , p. 500 .
50
- 12 -
vadano collocate54. Il codice penale ha riconosciuto le immunità all’ interno del suo
sistema, ma ha avuto presumibilmente la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un
fenomeno in continua evoluzione, rispetto al quale non potesse prevedersi come le singole
figure, riconosciute dal diritto interno e soprattutto dal diritto internazionale, si sarebbero
atteggiate55. Salvo pensare ad un legislatore irrazionale, nulla questo poteva dire sulla
collocazione sistematica delle immunità, negli istituti noti al momento dell’ entrata in vigore
del codice penale; questo, in astratto, dovrebbe spiegare perché tale compito è stato
lasciato all’ interprete.
Se gli studiosi, sul punto, hanno formulato teorie così divergenti tra loro, una
ragione è anche ascrivibile al diverso metodo di ragionamento utilizzato: ad avviso di chi
scrive, in questo senso, si può parlare di problema di metodo. Per quanto non sia certo
questa la sede per affrontare tale questione pregiudiziale, è vero che questa, come si
vedrà, si rivelerà drammaticamente decisiva: privilegiare un metodo, significa guardare la
fenomenologia dell’ istituto da una prospettiva diversa; e a premesse diverse,
necessariamente conseguono conclusioni diverse.
Un primo possibile modo di procedere è quello di “ partire dai dati noti( effetti
giuridici normativamente prefissati) per poi arrivare al dato incognito( natura giuridica), e
dedurne i principi che devono applicarsi a completamento di quelli che la legge ha indicato
“56. Diversamente opinando, si arriverebbe ad una sorta di inversione metodologica, invero
presente in molti autori57, tale per cui, “ lungi dal definire la natura giuridica dell’ immunità
per derivarne il regolamento concreto, volendo evitare certi effetti dell’ immunità, ad essa
si attribuisce aprioristicamente una natura giuridica che quelli possa escludere “58.
DU PASQUIER, La theorie generale du droit, p. 114 : “ Determinare la natura giuridica di un istituto è
determinare il suo posto nel sistema del diritto; è dunque accostarlo ad altri istituti di cui esso è parente e
differenziarlo da altri … smontando il meccanismo dell’ istituto da definire, mettendo a nudo gli interessi sociali che
esso è destinato ad affermare, per poi metterlo in rapporto coi principi del sistema per un confronto “ .
55
Non si può tacere che la stragrande maggioranza delle previsioni di immunità non potevano essere conosciute dal
legislatore del 1930, essendo riconosciute dalla successiva Costituzione o da trattati internazionali stipulati e ratificati
dopo decenni.
56
DELOGU, cit. , p. 626 . FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128, ritiene che per determinare la natura giuridica occorra
individuare l’ effetto tipico dell’ immunità, nonché il contesto in cui essa opera. Dello stesso avviso PAGLIARO, cit. ,
p. 218 : “ una ricerca sulla natura giuridica non può essere condotta, non considerando i diversi tipi di effetto
giuridico che di volta in volta si verificano. A diversità di effetto giuridico corrisponde diversa natura giuridica” .
57
Vedi VINCIGUERRA, cit. , p. 500 e ss. ; BELLAGAMBA, Sulla natura giuridica dell’ immunità , in Indice
penale 2001 , p. 1265 e ss.
58
DELOGU, cit. , p. 625 : l’ A. si riferisce a BETTIOL ( Diritto penale , p. 195 ) ., secondo il quale l’ immunità non
può essere un causa di esenzione del soggetto dall’ obbligo penale perché “ se veramente si trattasse di una solutio
legibus , dovremmo ritenere inammissibile la legittima difesa nei confronti di tali soggetti, perché le loro azioni, in
quanto sottratte alla possibilità di una qualificazione penale, non potrebbero mai costituire il pericolo di un’offesa
ingiusta. Inoltre non sarebbe da ammettersi la possibilità di partecipazione di terzi al fatto delittuoso commesso da un
soggetto che goda dell’ immunità” .
54
- 13 -
Un altro comune modo di procedere è quello, da ultimo, descritto: per individuare la
natura giuridica, “ non si può non tenere conto anche gli effetti giuridici, che
necessariamente conseguono al tipo di scelta per cui si opta. Ciò in ossequio al canone
ermeneutico della c.d. interpretazione realistica, secondo cui, tra le più interpretazioni
possibili, nel dubbio, bisogna scegliere quella che porta a risultati accettabili, coerenti, non
contraddittori o assurdi, partendo dal presupposto che nel mondo del diritto sono i concetti
che devono essere elaborati in funzione pratica e non le conseguenze pratiche a dover
essere adeguate ai concetti “59.
Si può adesso passare all’ analisi concreta del problema, alla luce degli
orientamenti storicamente consolidatisi in dottrina, premettendo che si darà conto prima
delle c.d. tesi moniste60, quelle cioè che, per svista o per scelta, spiegano l’ immunità
come fenomeno unitariamente inquadrabile all’ interno di un unico istituto, e poi delle tesi
che diversificano la risposta in ragione delle diverse tipologie di immunità.
5.2 Le immunità come cause di esclusione della pena
Dottrina consolidata quella che, per nulla scoraggiata dalla incontestabile
eterogeneità dell’istituto in esame, risolve il problema della natura giuridica dell’ immunità
come fenomeno unitario61. Bisogna, anzitutto, guardare agli elementi costitutivi della
norma penale: “ Se è vero che la norma penale racchiude in sé due elementi, il precetto e
la sanzione, e quindi due imperativi, uno rivolto all’ individuo perché si astenga da un dato
comportamento lesivo e l’altro rivolto ai giudici perché, in caso di inosservanza del primo,
applichino la sanzione, noi riteniamo che le immunità in discorso non incidano sulla validità
ed efficacia dell’ elemento precettivo della norma penale, ma riguardino invece l’ elemento
della sanzione. E’ questa che in tale ipotesi non può essere applicata, in quanto è l’
imperativo secondario che qui viene meno, quello rivolto ai giudici onde abbiano ad
applicare la pena. Le immunità in discorso costituiscono cause personali di esenzione
della pena “62. In definitiva, non è esclusa l’ esistenza del reato, ma solo la possibilità che
59
BELLAGAMBA, cit . , p. 1265 .
VINCIGUERRA, cit. , p. 500
61
Di quanti ritengono che la tesi in esame possa essere applicata solo a talune fattispecie di immunità, si dirà più avanti.
Per adesso, si da conto di quanti con essa spiegano tutte le ipotesi conosciute : sottolinea RICCIO, cit , p. 186 , che il
merito della categoria dogmatica in esame è quello di abbracciare l’ intero fenomeno giuridico dell’ immunità.
62
BETTIOL, cit. , p. 196 . Dello stesso avviso ANTOLISEI, cit. , p. 134 e ss. ; GRISPIGNI, Diritto penale italiano
, p. 370 ; SANTANIELLO - MARUOTTI , cit. , p. 20 .
60
- 14 -
l’ immune venga punito; ecco scongiurati effetti giuridici altrimenti scomodi63: il suo
comportamento potrà configurare un offesa ingiusta, ai fini dell’ammissibilità della legittima
difesa, e i terzi, che abbiano concorso nella realizzazione del reato, potranno essere
chiamati a risponderne.
La ratio dell’ immunità va ravvisata in mere ragioni di opportunità64, in virtù delle
quali il legislatore si sente legittimato ad escludere l’ applicazione della pena e di ogni altra
conseguenza penale ( leggi misure di sicurezza )65.
E’ stato obiettato ai
sostenitori di questa tesi, di essersi limitati a dare della
categoria della causa di non punibilità una definizione puramente tautologica,
caratterizzandola esclusivamente in base all’ effetto che
le situazioni, che in essa
rientrano, producono: cioè la mancata applicazione della pena. Il che, nel quadro di un
codice che espressamente ha voluto usare come unica formula, per designare tutti i casi
nei quali la pena non si applica, qualunque ne sia la causa, la formula “ non è punibile “,
rimettendo alla dottrina di individuare quale la causa delle varie ipotesi di non punibilità 66.
In definitiva, rimarrebbe imprecisata la causa giuridica di quella esenzione dall’
applicazione dalla pena: “ non può certo ritenersi soddisfacente la tesi di chi voglia
cogliere il dato finale del fenomeno, pretendendo di circoscrivere negli stessi limiti la causa
giuridica. Dire in sostanza che i soggetti immuni vanno esenti da pena, perché sottratti
all’efficacia della sanzione…non significa risolvere, ma solo rinviare il problema dell’
immunità ”67.
5.3 Le immunità come eccezioni al principio di obbligatorietà della legge penale
L ’ art. 3 c.p., affermando il principio di obbligatorietà della norma penale, ne
determina altresì i destinatari; al contrario, facendo salve le eccezioni di diritto pubblico
interno e di diritto internazionale, riconosce, a quanti rientrano in quelle situazioni
63
Vedi nota n. 58.
MANTOVANI, cit. , p. 823 : “ Nella moderna realtà costituzionale il fondamento politico istituzionale delle
immunità presidenziali è la opportunità, la convenienza, di assicurare la continuità e la indipendenza delle funzioni di
Capo dello Stato…Per le immunità parlamentari è l’ opportunità di evitare il pericolo che, attraverso la possibilità di
perseguire le opinioni e voti espressi, si perseguitino i parlamentari per ragioni ideologiche e sopraffatrici. E per le
immunità di diritto internazionale è l’ altrettanto evidente ragione di opportunità politica nei rapporti tra gli Stati.
Pertanto la categoria dogmatica più idonea ad esprimere la moderna essenza opportunistica delle immunità è quella
delle cause di esclusione della pena, che esonerano da pena per un fatto che è e deve essere – anche per non
trascurabili ragioni di principio – reato” .
65
MANTOVANI, cit. , p. 822 e ss. , il quale parla indifferentemente di cause di esclusione della pena o cause di
esclusione della punibilità.
66
DELOGU, cit. , p. 630 e ss.
67
DELL’ANDRO, Capacità giuridica penale , in Enciclopedia del diritto , p. 117 .
64
- 15 -
eccezionali, di non essere obbligati ad osservare la norma penale. Logicamente, ciò
equivale a dire che gli immuni non rientrano tra i destinatari del precetto: “ dire che il
precetto si rivolge a taluno, che non è obbligato ad osservarlo, è lo stesso come dire che il
precetto non gli si rivolge”68.
Evidente è lo scarto con la tesi esposta nel paragrafo precedente: rispetto al
soggetto immune, la legge penale non viene giudicata solo inapplicabile, ma addirittura
inesistente, tanto come precetto che come sanzione. Gli immuni “ avranno l’ obbligo
morale di non delinquere; non sono tenuti, invece da nessun obbligo giuridico, perché la
legge stessa li esime, in tutto o in parte da qualsiasi dovere “69. Naturali corollari, sulla
base di questa soluzione giuridica, sono la responsabilità per fatto proprio degli eventuali
concorrenti e l’ inammissibilità della legittima difesa.
Non poche, in realtà, le critiche opposte a questa impostazione. La dottrina più
recente guarda all’ art. 3 c.p. come una proiezione o concretizzazione del più generale
principio di eguaglianza, garantito dalla Costituzione70. Il problema dei destinatari della
legge penale, e quello della applicabilità di essa, sono profondamente distinti sul piano
logico, politico, giuridico. Le norme penali recano un messaggio valutativo di tutela e
rafforzamento di valori, che deve intendersi destinato a tutti i consociati71. Per cui, nel
sistema codicistico, l’ art 3 c.p. nulla può dire circa i destinatari della norma penale e, a
fortiori72, nulla se ne potrà ricavare al fine di annoverare gli immuni tra i soggetti cui la
legge non è rivolta. Questi, al contrario, sono obbligati al pari degli altri individui della
comunità al rispetto della norma penale, ma sono titolari di situazioni eccezionali in cui
essa non trova applicazione. Le persone che fruiscono delle prerogative non sono legibus
solutae73, perché, per la loro posizione elevata, sono più delle altre tenute all’osservanza
della legge, e “ non è necessario ricorrere all’ artificio di svellere tali soggetti dai cardini
giuridico-penali su cui nello Stato moderno vengono posti indistintamente tutti i soggetti ”74.
A conferma di questa impostazione si potrebbe richiamare l’art. 41 della
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, ove si ribadisce espressamente che
gli immuni “ hanno il dovere di osservare le leggi e i regolamenti dello Stato presso i quali
68
Il ragionamento esposto è di PANNAIN , Manuale diritto penale , p. 80 .
MAGGIORE, cit. , p. 140 , con riferimento alle immunità di diritto interno e al Pontefice. Di soggetti “ legibus
soluti “ ha parlato NUVOLONE, Il sistema del diritto penale .
70
Su tutti ANTOLISEI, cit. , p. 128 e ss. ; FIANDACA-MUSCO, cit . , p. 121 ; MANZINI, cit. , p. 597 .
71
ROMANO, cit. p. 70 .
72
Ricostruzione presente in ROMANO, cit. , p. 70 .
73
RANIERI, Diritto penale , p . 160 : “ Il principio di obbligatorietà della legge penale italiana per coloro che si
trovano nel territorio dello Stato ha carattere di assolutezza “ .
74
BETTIOL, cit. , p. 195 .
69
- 16 -
sono accreditati “; così come l’ art. 54 Cost. impone ai parlamentari di “ essere fedeli alla
Repubblica e osservarne la Costituzione e le leggi ”; lo stesso emergerebbe dall’ art. 91
Cost., per il Presidente della Repubblica, con il richiamo alla fedeltà e osservanza alla
Costituzione.
5.4 Le immunità come cause di incapacità penale
A differenza della capacità giuridica di diritto civile, la capacità di diritto penale non
trova puntuale riscontro nel diritto positivo. E’, tuttavia, possibile affidarsi ad una puntuale
definizione, secondo la quale “ è penalmente capace la persona che è titolare di rapporti
giuridico – penali …La capacità è l’ attitudine ad essere titolare di doveri, di situazioni
soggettive giuridico-penali sfavorevoli ed assoggettato a sanzioni “75. Ancora più preciso
chi parla di “ idoneità a fungere da punto di imputazione dell’ illecito penale e della
rispettiva sanzione, tale per cui la capacità giuridica penale fa difetto tutte le volte in cui,
pur commesso un fatto qualificabile in astratto come reato, non sia possibile attribuire al
suo autore l’ illecito e la sanzione ”76.
Il collegamento tra la capacità di diritto penale e il tema della natura giuridica dell’
immunità, fulcro della tesi in esame, lungi dall’ essere seriamente innovativo, si inserisce
nel solco già tracciato dai fautori della teoria esposta nel paragrafo precedente: la vera
novità, però , sta
nell’ aver
spiegato “ dogmaticamente “77( e quindi giustificato
giuridicamente) le eccezioni al principio di obbligatorietà, di cui parla la lettera dell’ art. 3
c.p., qualificandole come ipotesi di incapacità penale78.
Seguendo questo ragionamento, le immunità sono cause di esclusione della
capacità penale o, meglio, requisiti negativi di tale capacità, cioè requisiti che devono
mancare perché questa sussista. In qualità di soggetto penalmente incapace, l’ immune
non può essere titolare del( e quindi al lui non si estende il) dovere di astensione dal fatto
di reato, e assoggettabile a sanzione79. A chi obietta la sussistenza, anche per gli immuni,
di prescrizioni da cui deriva il dovere di conformarsi al disposto della norma penale, viene
75
GALLO, Capacità penale , in Novissimo Digesto Italiano , p. 883 .
PAGLIARO, cit. , p. 218 .
77
PAGLIARO, cit. , p. 220 .
78
PAGLIARO, cit. , p. 220 , con riferimento alla posizione del Pontefice e dei Capi di Stato esteri : “ La limitazione
dell’ obbligatorietà non può essere spiegata in sede dogmatica, se non supponendo una posizione di incapacità penale
dei soggetti non obbligati “.
79
GALLO, cit. , p. 883 e ss. ; PAGLIARO, cit. , p. 220 : “ Non è possibile scindere il momento precettivo dal
momento sanzionatorio. Nell’ atto stesso, in cui si afferma che già in astratto le sanzioni non sono applicabili a un
soggetto per un determinato fatto, si predica la liceità penale di quel fatto ”.
76
- 17 -
replicato che quest’ ultimo è, per il soggetto immune, “ un dovere etico - sociale, oppure un
dovere internazionale, che nessuna rilevanza ha per il diritto penale interno “80.
Circa l’ esatto ambito di applicazione di questa teoria, vi sono autori disposti a
ricondurvi tutte le ipotesi di immunità81 e studiosi che ad essa
ascrivono solo talune
fattispecie. In questo ultimo caso, si propone una bipartizione tra immunità, giustificabili in
virtù di ragioni di interesse pubblico, quali cause “ politiche “ escludenti la capacità di diritto
penale, ed immunità non escludenti la capacità di diritto penale82.
Qualunque ne sia la esatta estensione, questa sistemazione dogmatica “ non
impedisce che il fatto possa essere illecito in base a norme extrapenali o per valutazioni
sociali del giusto e dell’ ingiusto“83, per cui non viene esclusa né l’ ammissibilità del
concorso di terzi, nel fatto commesso dall’ immune , né l’ammissibilità della legittima
difesa84.
5.5 Le immunità come elementi negativi del reato
Il ragionamento proposto parte dalla considerazione degli elementi costitutivi del
reato, per includervi , in qualità di presupposto negativo, la mancanza di esimenti, cioè “ di
ogni circostanza che osti alla sussistenza del reato “85: questa attitudine si riscontra nelle
cause di giustificazione, nelle cause di immunità, nelle cause speciali di non punibilità.
All’ interno del genus delle esimenti, le cause di immunità sono, dunque, una
species, e si manifestano come “ condizioni personali che una norma prevede
incompatibile con la responsabilità penale. La configurazione di cause di immunità trova
fondamento in ragioni di opportunità, relative a rapporti internazionali, e che si distinguono
dalle cause di giustificazione, non comportando, a differenza di quelle, la convenienza che
80
PAGLIARO, cit. , p. 220 .
Fra tutti GALLO, cit. , p. 884 , secondo il quale “ ogni ipotesi di immunità da luogo a fenomeni di incapacità,
assoluta se l’ irresponsabilità si estende a tutti i reati, parziale se riguarda solo alcune illeciti penali ”.
Più preciso CONTENTO, cit. , p . 156 , il quale parla , a proposito delle ipotesi concernenti il Presidente della
Repubblica, i parlamentari, i consiglieri regionali e i giudici della Corte Costituzionale, di “ incapacità parziale,
perché limitata agli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni “ ; mentre di “ incapacità assoluta per i Capi di Stato
esteri, tra cui il Pontefice ”.
82
La distinzione si deve al MANZINI, cit. , p. 594 e ss. : l’ A. inquadra nel primo gruppo quelle del Presidente della
Repubblica e del Pontefice. Mentre nel secondo gruppo, vi sono le immunità che non escludono la capacità di diritto
penale, ma solo l’applicazione della legge : le immunità diplomatiche, dei parlamentari, dei consiglieri regionali.
Ma analogamente PAGLIARO, cit. , p. 220 : “ l’ incapacità generale è dovuta a qualifiche di notevole rilievo sociale e
giuridico, quale il Pontefice e i Capi di Stato estero, che esclude l’ imputazione di qualsiasi reato, né ai fini
dell’attribuzione di una pena, né ai fini della misura di sicurezza ”.
83
PAGLIARO, cit. , p. 220 .
84
GALLO, cit. , p. 884, secondo il quale l’ ingiustizia dell’ offesa non passa solo dalla violazione del precetto in
quanto penale, ma da qualsiasi contrasto con i precetti dell’ ordinamento giuridico.
85
BOSCARELLI, Compendio di diritto penale , p. 51 e ss.
81
- 18 -
il conflitto tra l’ interesse di cui un fatto di reato comporti l’ offesa e un interesse che quel
fatto valga a soddisfare, sia risolto a favore dell’ uno o dell’altro: così ad esempio per il
Capo di Stato estero, la irresponsabilità è dovuta solo a ragioni di opportunità politica.
Stesso discorso per il Pontefice.
Le cause speciali di non punibilità, sono come le immunità, dovute a ragioni di mera
opportunità, ma a differenza di queste non sono condizioni personali dell’agente, ma
consistono in particolari modalità di realizzazione del fatto di reato, cioè nell’ esercizio
delle funzioni: in questa categoria rientrano tutte le ipotesi di prerogative attinenti all’
esercizio delle funzioni, sia di diritto interno che internazionale (Presidente della
Repubblica, parlamentari, consiglieri regionali, giudici della Corte Costituzionale, agenti
diplomatici, organi di Stati stranieri e organizzazioni internazionali). Le cause di immunità e
le cause speciali di non punibilità, in qualità di esimenti, escludono non solo l’applicazione
della pena, ma la stessa sussistenza del reato” 86 .
5.6 La dottrina più recente e le tesi diversificate
La dottrina più recente si contraddistingue per un diverso approccio al problema
della natura giuridica. Consapevole delle diversità delle singole fattispecie di immunità e,
di conseguenza, della difficoltà di elaborare un unico inquadramento giuridico che quelle
sappia cogliere e coniugare, essa ha operato una distinzione tra immunità funzionali ed
extrafunzionali, tra immunità di diritto interno e di diritto internazionale, per giungere a
conclusioni specifiche per ognuna delle categorie di riferimento87.
a) Immunità di diritto interno e cause di giustificazione. Dall’ esegesi delle norme
costituzionali emerge, con estrema linearità, che i soggetti destinatari di immunità
sostanziali, lo sono se e nei limiti dell’ esercizio della funzione: ogni dubbio in proposito
può essere fugato, prima ancora che dalla logica, dal tenore letterale delle fonti88. Se
questa premessa è condivisibile, non si può tacere che una pubblica funzione in tanto è
BOSCARELLI, cit. , p, 54 e ss. Molto vicina a questa impostazione, quella di DELL’ANDRO, cit. , che inserisce
le immunità sostanziali nella fattispecie legale, come suoi elementi negativi: detta fattispecie risulta, infatti dalla norma
incriminatrice e ogni altra disposizione che questa limiti o condizioni nella sua applicabilità; le norme che prevedono le
immunità assolute ( Pontefice, capi di Stato ) limitano la norma incriminatrice perché ne escludono l’ applicazione a
determinati soggetti. In definitiva il fatto commesso dall’ immune non è conforme alla fattispecie.
86
87
Di questo avviso PADOVANI, cit. , p. 38 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128 ; ROMANO, cit. , p. 78 ;
VINCIGUERRA, cit. , p. 500 e ss. ; PAGLIARO, cit. , p. 218 e ss.
88
DELOGU, cit. , p. 634 .
- 19 -
attribuita ad un organo, in quanto esiste un sostrato di “ interessi pubblici da gerire e
assicurare ”89. Sono interessi non del soggetto che impersona l’ organo, ma interessi
pubblici di cui tutti i cittadini possono pretendere il soddisfacimento90. L’ humus dell’
immunità sostanziale diventa, per questa via, la necessità di garantire il soddisfacimento di
un interesse fondamentale per la vita dell’ ordinamento: “ ogni qualvolta un interesse di
minor rilevanza entri in conflitto con uno degli interessi facenti capo alla funzione e
garantiti attraverso il suo esercizio, il conflitto non può essere risolto che affermando la
prevalenza del secondo e la soccombenza del primo “91.
Questo ragionamento porta ad inquadrare le immunità funzionali di diritto interno
nell’alveo delle cause di giustificazione92, istituto nel quale è ravvisabile l’ eadem ratio, e
nel quale la dialettica di un conflitto di interessi viene risolta in favore dell’ interesse
prevalente. Alla base della concessione di un’immunità sostanziale vi sarebbe, dunque, un
conflitto di interessi, rispetto al quale il nostro ordinamento manifesta “ un esplicito intento
a che prevalga l’ interesse alla cui soddisfazione è deputato lo svolgimento della funzione,
di cui è titolare l’ immune “93.
L’ ultimo problema che si pone all’ interprete, è quello di riconoscere in quale delle
previsioni codicistiche può essere collocata questa ipotesi particolare. A tal proposito, si è
richiamato l’ art. 51 c.p., la cui ratio è quella di espellere dal nostro ordinamento evidenti
antinomie: “ antinomia vi sarebbe qualora l’ ordinamento riconoscesse da un lato
l’esercizio di un diritto, imponesse l’adempimento di un dovere e punisse chi il diritto
esercita, il dovere adempie, dall’ altro. Questa ratio è alla base anche dell’ immunità
sostanziale: sarebbe assurdo investire un soggetto di una funzione, per poi punirlo ove
compia atti che ne manifestino l’ esercizio “94.
In conclusione, le immunità funzionali riconosciute dal diritto interno rientrano nella
fattispecie e nella disciplina dell’ “ esercizio di un diritto o all’ adempimento di un dovere “
ai sensi dell’ art. 51 c.p., con l’ opportuna precisazione che, rispetto alle normali ipotesi, si
DELOGU, cit. , p. 633 . Si veda, in proposito, l’ art. 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989 a proposito dei reati
ministeriali : “ l’ Assemblea può negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’
inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di
un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.
90
TRAVERSA, Le prerogative dei membri del Parlamento , p. 33 e ss.
91
DELOGU, cit. , p. 634 .
92
Fautori dell’ inquadramento nelle cause di giustificazione sono PAGLIARO, cit. , p. 221 ; FIANDACA-MUSCO,
cit. , p. 128 ; PADOVANI, cit. , p. 38 ; ROMANO, cit. , p. 78 ; anche la Corte Costituzionale ( vedi nota n. 16 )
sembra essere di questo avviso, almeno con riferimento alla guarentigia dei consiglieri del C.S.M.
93
DELOGU, cit. , p. 634 .
94
DELOGU, cit. , p. 636 .
89
- 20 -
registra “ un ampliamento alle estrinsecazioni modali, dovuto alla natura politica delle
funzioni “95.
Se le promesse sono esatte, si capisce perché il fatto coperto dall’ immunità non è
punibile , neanche quando il beneficiario perda l’ investitura della funzione che ne è il
presupposto: se il fatto è lecito nel momento in cui è commesso, logica vuole che non
possa diventare antigiuridico successivamente.
Non essendoci “ un fatto previsto dalla legge come reato “, manca il presupposto
per l’applicazione di misure di sicurezza ex art. 202 c.p. Inoltre, non c’ è un reato alla cui
commissione altri possano concorrere ex art. 110 c.p. e, soprattutto, un fatto contra ius
che autorizzi il ricorso alla legittima difesa contro di esso96.
Un problema non marginale è se l’ immune sia assoggettabile a processo, per
valutare se l’atto, l’ opinione o il voto rientri o meno nell’esercizio delle funzioni: anche qui,
ovviamente , opinioni distanti. Chi lo esclude97, ritiene più corretto ricostruire le immunità in
questione, anche come cause di esenzione dal processo; altri98 ritengono, al contrario,
possibile e
necessaria una sentenza di proscioglimento nel merito, e la formula di
proscioglimento sarà “ il fatto non costituisce reato “.
b) Immunità funzionali e cause di esclusione della pena. Questa linea di pensiero, in
realtà non innovativa99, ritiene di potere identificare un unico comune denominatore
rispetto alle immunità funzionali, siano esse riconosciute dal diritto interno che dal diritto
internazionale.
Pur diversa la fonte, infatti, non differirebbe la ratio, trattandosi di prerogative
concesse a garanzia del libero esercizio di funzioni istituzionali: “ che poi le funzioni siano
rilevanti in ambito costituzionale o internazionalistico, poco cambia, essendo relative a
situazioni accomunate dalla opportunità che lo Stato avverte di rinunciare alla irrogazione
della pena, qualora essa risulti incompatibile con l’adeguato espletamento delle mansioni
affidate a chi può beneficiarne “100.
Le immunità funzionali sono, per questa via, cause di esclusione della sanzione
penale, essendo questo inquadramento
l’ unico rispettoso della ratio dell’ istituto.
Risolvere queste immunità nel sistema delle cause di giustificazione, significherebbe
95
PAGLIARO, cit. , p. 221 .
DELOGU, cit. , p. 638 .
97
ROMANO, cit., p. 78 .
98
PAGLIARO, cit. , p. 221 ; VINCIGUERRA, cit. , p. 501 : “ le immunità funzionali vanno accertate nel
procedimento penale “.
99
Si inserisce nel quadro già visto al paragrafo 5.2 .
100
BELLAGAMBA, cit. , p. 1281 .
96
- 21 -
condividere l’ esclusione della punibilità dei terzi, eventuali concorrenti nel reato, e della
ammissibilità della legittima difesa. Ma data “ la inaccettabilità di queste conclusioni… il
miglior partito è quello di ritenere che l’ immunità funzionale non cancella la criminosità
del fatto, come se fosse una scriminante, e che la sua efficacia si esaurisce nel sottrarlo
alla sanzione penale : non causa di esclusione della sola pena, ma anche di qualsiasi
misura di sicurezza “101.
Naturale corollario sarà la dissociazione tra la forza obbligante della norma penale,
che rimane anche rispetto all’ immune, e la produzione di conseguenze penali, che
rispetto ad esso non opera.
c) Immunità funzionali ed extrafunzionali di diritto internazionale. Le fonti delle
immunità extrafunzionali sono, in genere, di diritto internazionale. La ratio di queste norme
è di evitare che un soggetto, che agisce in nome e per conto del suo Stato, abbia a subire
un processo da uno Stato straniero, per un fatto attinente la sfera privata, ma pur sempre
commesso nell’arco temporale in cui è in carica102: ragioni di mera opportunità politica nei
rapporti tra gli Stati, dunque, tali da determinare una rinuncia a sindacare il
comportamento dell’ immune, non in base ad una valutazione obiettiva del suo operato,
ma in virtù della particolare posizione che egli ricopre nel momento in cui commette il
reato103.
Rinunciando ad esercitare la giurisdizione su fatti non riconducibili all’ esercizio
delle funzioni dell’ immune, ma il cui sindacato si risolverebbe in una parziale limitazione
della libertà d’ azione, che deve accompagnare l’assolvimento dell’ ufficio di cui egli è
investito104, lo Stato assicura il libero e indisturbato assolvimento delle funzioni105:
l’
immunità ha necessariamente carattere processuale.
Lungi dall’ essere dispensato dall’osservare la legge, l’ agente è immune dalla
giurisdizione finchè si trova nel territorio dello Stato che lo riceve, e finchè esplica le sue
funzioni. Una volta che la qualità di agente sia venuta meno, egli potrà essere chiamato a
rispondere degli atti o dei reati compiuti quando rivestiva tale qualità, salvo si tratti di atti
101
VINCIGUERRA, cit. , p. 502 .
BELLAGAMBA, cit. , p. 1280 .
103
ROMANO, cit. , p. 79 .
104
BELLAGAMBA, cit. , p. 1281 .
105
CONFORTI, cit. , 221 .
102
- 22 -
compiuti nell’ esercizio delle funzioni, coperti definitivamente, anche dopo la cessazione
della carica106.
L’art 39 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, a conferma di ciò,
prevede che “ i privilegi e le immunità di una persona che cessa dalle funzioni, continuano
ad esistere solo fin quando l’agente non lasci il paese, o comunque per un lasso
ragionevole di tempo necessario a tal fine “. Questo dato normativo dovrebbe escludere la
sussistenza di una causa di esclusione della pena, atteso che lo stesso fatto sarà punibile
in seguito107, una volta cessata la funzione che è presupposto dell’ immunità; vero è,
allora, che lo Stato sceglie solo di frapporre un limite temporaneo all’ esercizio del proprio
potere giurisdizionale, tale per cui l’immunità extrafunzionale si risolve in una temporanea
esenzione dal processo( e quindi dalla giurisdizione)108: non è, così , esclusa l’ illiceità del
fatto, l’ ingiustizia dell’ offesa ai fini della legittima difesa, la punibilità del concorrente.
Sul solco tracciato da questa impostazione, altri autori109 hanno ricondotto le
immunità extrafunzionali nell’alveo dell’ incapacità processuale, cioè dell’ incapacità di
assumere la qualità di imputato: in sostanza, l’ esenzione temporanea dalla giurisdizione
penale si spiega giuridicamente come incapacità processuale del soggetto immune; una
esenzione talmente forte, che il processo eventualmente celebrato sarebbe inesistente110.
Per questa via, cessata la carica stessa, l’ immune potrà nuovamente essere sottoposto a
procedimento penale, anche per i fatti commessi in costanza di carica: e, se si tratta di
fatti compiuti nell’ esercizio delle funzioni, coperti definitivamente dalla immunità di diritto
sostanziale, il processo sarà rivolto solo a prosciogliere nel merito l’ immune111.
Rispetto alle immunità funzionali112, il contrasto in dottrina è più vivace. E’ forte ,
presso gli studiosi di diritto internazionale, l’ idea che esse siano riconosciute, non solo per
garantire l’ indisturbato espletamento delle funzioni dei titolari, in questo per nulla
discostandosi dalle immunità extrafunzionali, ma soprattutto perché gli atti compiuti nell’
Vedi per conferma l’art. 39 Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.
ROMANO, cit. , p. 79 .
108
Conclusione di BELLAGAMBA, cit., p. 1281 e ROMANO, cit. , p. 79 .
109
PAGLIARO, cit. , p. 222 ; DOMINIONI, cit. , p. 390 : “ L’ impossibilità di perseguire l’agente diplomatico anche
per i fatti commessi prima dell’ inizio delle funzioni evidenzia un limite all’esercizio del potere giurisdizionale.
L’agente diplomatico – per gli atti anteriori all’ assunzioni delle funzioni e , nel periodo coperto da queste, per gli atti
compiuti in veste di individuo privato – gode soltanto di una esenzione dalla giurisdizione penale, cioè è sprovvisto
della capacità ad assumere la condizione ad essere imputato“ .
110
PAGLIARO, cit. , p. 223 .
111
Così PAGLIARO, cit. , p. 223 . Se si accettasse la tesi del ROMANO , esposta avanti, secondo cui le immunità
funzionali rappresentano un limite definitivo all’ esercizio del potere giurisdizionale, non sarebbe possibile neanche un
processo che prosciolga nel merito l’ immune per i fatti compiuti nell’ esercizio delle funzioni.
112
Non si dimentichi la dottrina ( vedi lettera b di questo paragrafo ) , che qualifica le immunità funzionali di diritto
interno e di diritto internazionale, sempre come cause di esclusione della sanzione.
106
107
- 23 -
esercizio delle funzioni sono direttamente ascrivibili allo Stato straniero, nel cui interesse
abbia agito113; questo spiegherebbe, altresì, perché l’ immune non può essere chiamato a
rispondere di quei comportamenti , neanche dopo la cessazione della carica.
Alcuni studiosi di diritto penale, invece, nel solco delle valutazioni fatte in merito alle
immunità di diritto interno, hanno ritenuto che nessuna distinzione potesse essere fatta
con queste, ragion per cui anche le immunità funzionali riconosciute dal diritto
internazionale sono state ricondotte tra le cause di giustificazione(esercizio del diritto,
adempimento del dovere) 114.
Di diverso avviso altri autori. Nel caso specifico,il nostro ordinamento non
opererebbe valutazioni in termini di preminenza di un interesse confliggente con altro: l’
immunità è dovuta in ragione di una esigenza di pacifica convivenza tra i popoli 115; non
una causa di giustificazione, ma un limite assoluto e definitivo all’ esercizio del potere
giurisdizionale116. Se ciò fosse vero, neanche cessata la carica, sarebbe possibile attivare
un procedimento penale finalizzato ad assolvere nel merito l’ immune.
CAPITOLO II
L’ INSINDACABILITA’ PARLAMENTARE
1. L’ insindacabilità parlamentare : origini e significato
L’ esigenza di riconoscere ai membri del Parlamento talune guarentigie, in stretta
connessione con la carica istituzionale ricoperta, non ha caratterizzato esclusivamente l’
esperienza costituzionale italiana, ma trova puntuale manifestazione in altre democrazie
europee117. Indipendentemente dalle evoluzioni, dai contorni e dalle implicazioni, che
113
Così per le immunità diplomatiche CONFORTI, cit. , p. 220 .
PAGLIARO, cit. , p. 221 , fatta eccezione del Pontefice e dei Capi di Stato esteri, per i quali parla di incapacità
penale . Altrettanto DOMINIONI, cit.
115
ROMANO, cit. , p. 80 ; FIANDACA-MUSCO, cit. , p. 128 ; emblematico MANZINI , cit. , p. 604 : “ è
preferibile che il delinquente diplomatico si salvi, piuttosto che si sollevi un pericoloso e molesto incidente
internazionale “ .
116
ROMANO, cit. , p. 80 , che non esclude si possa altresì “ porre l’accento sull’ illiceità del fatto e sull’esistenza di
una causa di esclusione della sanzione “.
117
In Spagna, la Costituzione del 1978 riconosce ai Deputati e ai Senatori la garanzia dell’ inviolavilidad, cioè dell’ “
inviolabilità per le opinioni manifestate nell’ esercizio delle loro funzioni “ ( art. 71, comma 1° ). In Francia, la
Costituzione della V Repubblica riconosce ai parlamentari la prerogativa dell’ irresponsabilità, per la quale “ nessun
membro del Parlamento può essere perseguito, ricercato, arrestato, detenuto o giudicato per le opinioni o i voti
espressi nell’ esercizio delle funzioni “ ( art. 26, comma 1° ).
114
- 24 -
ciascun contesto nazionale ha vissuto nel corso dei secoli, a noi giova guardare alla
fenomenologia delle guarentigie parlamentari all’ interno dell’ esperienza giuridica italiana,
con specifico interesse per la prerogativa della “ insindacabilità “ delle opinioni espresse e
dei voti dati nell’ esercizio delle funzioni parlamentari.
La guarentigia in esame, lungi dal rappresentare una novità della Carta
fondamentale, ha fondamenta ben solide: lo Statuto Albertino118, già affermava che “ i
senatori e i deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei
voti dati nelle Camere “. E’ in questo scenario, e nel contesto già consolidatosi in Europa
nei secoli precedenti119, che va inquadrata la nascita dell’art. 68 Cost.: dai lavori dell’
Assemblea Costituente non emerge assolutamente un dibattito sull’ opportunità di
collocare o meno le prerogative parlamentari nel tessuto costituzionale in divenire, giacché
esse erano saldamente entrate a far parte della tradizione italiana e, quindi, la loro
riconferma, in modo non dissimile da quelle precedenti, apparve un fatto scontato 120. L’
unico dibattito si svolse in sottocommissione, e marginalmente in Assemblea, tra l’altro su
aspetti di interesse tecnico.
L’attenzione dei costituenti si concentrò sulla disciplina della inviolabilità penale, in
merito alla quale furono presentati due progetti non molto dissimili tra loro. Fu solo durante
la discussione di queste due proposte, che il relatore Mortati chiese l’aggiunta di un
comma, che così recitava: “ I deputati non possono essere chiamati a rispondere in via
giudiziaria o disciplinare dei voti o delle opinioni espressi nell’ esercizio delle funzioni. Una
responsabilità per le dichiarazioni formulate non può essere fatta valere se non dalla
stessa Camera “121. La sottocommissione approvò solo la prima parte, lasciando fuori il
problema della responsabilità disciplinare, giungendosi così in Assemblea alla stesura
L’ esperienza costituzionale tedesca ci consegna l’ indemnitat, cioè l’ irresponsabilità dei parlamentari, secondo la quale
“ un deputato non può essere perseguito in sede giudiziaria o disciplinare, né esser chiamato a render conto fuori del
Bundestag per le opinioni espresse e i voti dati nel Bundestag od in una delle sue Commissioni. Questa disposizione
non si applica in caso di ingiurie diffamanti “ ( art. 46, comma 1° ).
Nel Regno Unito , in assenza di una costituzione scritta, deve ritenersi ancora applicabile l’ art. 9 dell’ Ancient Bill of
Rights del 1688 : “ la libertà di parola o le discussioni o i dibattiti in Parlamento, non devono essere incriminati o
contestati in alcuna corte o in altro luogo fuori del Parlamento ” .
118
Lo statuto Albertino prevedeva , inoltre, la “ giurisdizione domestica “ per i senatori, mentre per i deputati la
garanzia del previo consenso della Camera alla traduzione in giudizio o all’arresto da parte dell’autorità giudiziaria
ordinaria .
119
Si veda l’ Ancient Bill of Rights, citato nella nota precedente, o la Costituzione francese del 1791 ( “ I
rappresentanti della Nazione sono inviolabili : essi non possono essere sottoposti a inchieste, accuse o giudizi in alcun
tempo per ciò che avevano detto, scritto o fatto nell’ esercizio delle loro funzioni di rappresentanti “ ).
120
LONG, Commentario alla Costituzione a cura di Branca , p. 187 .
121
L’ On. Leone propose l’ aggiunta delle parole “ concernenti l’attività politica o parlamentare “, mentre l’ On.
Petrassi riteneva fosse opportuna l’ aggiunta “ nella Camera “.
- 25 -
definitiva dell’ art. 68 Cost., primo comma: “ I membri del Parlamento non possono essere
perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle funzioni “122.
La prerogativa dell’ insindacabilità nacque, dunque, in modo singolare: la previsione
di questa garanzia, non compresa nell’ iniziale proposta della sottocommissione, vi entrò
successivamente, attraverso un comma aggiuntivo al progetto esistente in materia di
inviolabilità penale; in un contesto in cui i costituenti non potevano non aver presente l’
esperienza dello Statuto Albertino, dove l’ insindacabilità era disciplinata in una norma a
parte , appare più ragionevole pensare, non già ad una omissione intenzionale di quella
prerogativa nel progetto della nascente Costituzione, quasi a ritenere scontata l’ esistenza
del principio di insindacabilità; piuttosto, è più corretto immaginare che i costituenti
risentissero di una certa confusione tra le prerogative da assegnare ai parlamentari, e
quindi avessero sovrapposto l’ inviolabilità penale all’ insindacabilità, considerando coperte
dalla prima le funzioni della seconda123.
Non secondaria è, inoltre, la scelta di dedicare una unica norma al tema delle
immunità dei membri del Parlamento, scelta radicalmente nuova rispetto al vecchio testo
costituzionale albertino124. Fino alla riforma del 1993, la struttura dell’ art. 68 Cost. sarà in
grado di inglobare l’ intero fenomeno, ponendo una netta linea di demarcazione tra l’
insindacabilità, di cui al comma primo, e l’ inviolabilità penale; questa, a sua volta, nella
duplice veste di immunità in senso stretto( divieto di sottoposizione a procedimento penale
senza autorizzazione della Camera di appartenenza) e di immunità dagli arresti e dalle
perquisizioni125.
In merito alla natura giuridica dell’ insindacabilità, possiamo limitarci solo ad alcune
precisazioni, rinviando alla trattazione sistematica del capitolo precedente. Si tratta di una
fattispecie di immunità funzionale di diritto sostanziale, operante anche dopo la cessazione
del mandato, con la quale è esclusa qualsiasi possibilità che il parlamentare sia chiamato
Il 2° comma prevedeva : “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del
Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà
personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto
per il quale è obbligatorio il mandato o l’ ordine di cattura.”
122
Mentre il 3° comma : “ Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro
del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile “.
123
MARTINELLI, L’ insindacabilità parlamentare, p. 8 .
124
L’art. 51 era dedicato all’ insindacabilità, gli art. 37, 45 e 46 alle altre immunità .
125
MARTINELLI, cit., p. 12 .
- 26 -
a rispondere, davanti all’ autorità giurisdizionale126, delle opinioni espresse e dei voti dati
nell’ esercizio delle proprie funzioni.
L’ insindacabilità nasce come prerogativa tipicamente volta alla “ difesa dell’ ufficio
di rappresentante del popolo “127, senza manifestarsi quale “ odioso privilegio ”, ma come
strumento di rafforzamento128 della libertà di espressione e di voto del parlamentare,
assicurando un indipendente
esercizio delle
funzioni, per altro deputate alla
rappresentanza di interessi della Nazione, e un ‘ ampia autonomia di valutazione129. Basti
ricordare, a tal proposito, le parole del famoso “ Commento allo Statuto del Regno “130: “ l’
immunità è la più essenziale all’ ufficio di membro delle Camere, non potendosi concepire
la facoltà di proporre leggi nuove e meno ancora la facoltà di sindacare gli atti dei Ministri
… senza la massima libertà di citar fatti, addurre prove, esprimere giudizi… Privo di
questa preziosa guarentigia, il regime parlamentare sarebbe una larva: perciocché
il
singolo deputato o senatore si troverebbe rattenuto e impacciato nel compiere con
coscienza il proprio dovere; le minoranze non avrebbero sicurtà di perseguire legalmente,
com’ è loro diritto, i propri ideali; le stesse maggioranze non avrebbero sicurtà contro le
opposizioni…”.
Non è mancato, chi131 ha visto nell’insindacabilità uno strumento per garantire ,
indirettamente, l’autonomia delle Camere; è la stessa Corte Costituzionale a chiarire che “
l’’immunità si caratterizza come una oggettiva garanzia per l’esercizio delle funzioni
parlamentari, espressione di sovranità, da svolgere senza remore o vincoli da parte di chi
ne sia investito, in modo da assicurare la libertà politica del Parlamento ” 132 e che “ una
tale regola di limitazione della responsabilità é dettata non solo a tutela della libertà di
espressione del singolo membro delle Camere, ma a tutela, attraverso questa, della piena
126
Solo in sede civile, penale e amministrativa, secondo MAZZIOTTI DI CELSO-SALERNO, Istituzioni di diritto
pubblico , p. 308 ; BARILE-GHELI-GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, p. 108 ; precisamente CARETTI-DE
SIERVO, Istituzioni di diritto pubblico , p. 154 , non esclude misure disciplinari, disposte dal presidente dell’
Assemblea per “ manifestazioni offensive nei confronti di altri parlamentari o di terzi o comunque lesive della
disciplina regolamentare “ . Escludono , invece , anche la responsabilità disciplinare ROLLA, Istituzioni di diritto
pubblico , p. 535 ; MARTINES, Istituzioni di diritto pubblico , p. 235 ; DE VERGOTTINI, Istituzioni di diritto
pubblico, p. 429
127
ARCIDIACONO-CARULLO-RIZZA , Istituzioni di diritto pubblico, p. 339 .
128
CARETTI-DE SIERVO, cit . , p. 154 .
129
DE VERGOTTINI, cit. , p. 430 .
130
RACIOPPI , BRUNELLI , Commento allo Statuto del Regno , vol. III , p. 37 .
131
MARTINES, cit. , p. 235 : “ le assemblee intanto sono indipendenti, in quanto lo sono i loro componenti “ ;
ZAGREBELSKY , L’ immunità parlamentare , p. 29 .
132
Sentenza n. 417 del 1999 .
- 27 -
libertà di discussione e di deliberazione delle Camere stesse, e in definitiva a tutela della
autonomia delle istituzioni parlamentari ”133.
2. L’ art. 68 Cost., comma primo, nelle interpretazioni della dottrina
L’ insindacabilità si manifesta come ipotesi di immunità parziale, nel duplice senso
che , da una parte essa non vale per tutti gli atti compiuti dal parlamentare, ma solo per le
“ opinioni espresse “ e i “ voti dati ”, e dall’altra concerne questi comportamenti solo in
quanto “ compiuti nell’ esercizio delle funzioni “134. In proposito, uno dei problemi più
delicati, che il disposto della norma costituzionale ha posto alle valutazioni della dottrina,
è stato l’ ambito di applicazione, e quindi l’ estensione, della prerogativa . Infatti , se l’
irresponsabilità è collegata alle espressioni di opinioni e ai voti dati nell’ esercizio esclusivo
della funzione, che il parlamentare esercita per adempiere al sua mandato, bisogna capire
quali sono concretamente gli atti coperti dalla guarentigia costituzionale. A complicare il
discorso subentra, certamente, la copiosa giurisprudenza costituzionale espressasi sul
punto135, la quale poco spazio lascia a diverse interpretazioni ipotizzabili; in sostanza, per
quanto in dottrina la lettura della norma costituzionale potrebbe guardare in una direzione
diversa da quella dei giudici della Consulta, è quest’ ultima che concretamente influenza, o
dovrebbe influenzare, le valutazioni dei giudici ordinari e delle Camere nell’ applicazione
della guarentigia parlamentare. Per comodità, e non essendo questa la sede per una
puntuale analisi, si possono contrapporre i tre diversi orientamenti che hanno
contraddistinto il dibattito dottrinale: una tesi restrittiva, una estensiva ed una
intermedia136.
La tesi restrittiva è propria di chi riconduce, nell’alveo della garanzia costituzionale,
esclusivamente gli atti tipici attraverso i quali si estrinseca la funzione parlamentare. In
questo quadro, i comportamenti dei deputati e senatori sono coperti dalla guarentigia, a
condizione che si manifestino attraverso atti univocamente riconosciuti come propri delle
funzioni parlamentari( dibattiti in aula o in commissione, presentazione o illustrazione di
interpellanze, interrogazioni, proposte di legge, etc.) e che, come tali, siano circoscrivibili
133
Sentenza n. 379 del 1996 .
DI MUCCIO , L’ insindacabilità dei parlamentari : una introduzione allo studio dell’ art. 68 , primo comma della
Costituzione , in Diritto e Società , 1986 , p. 704 .
135
Su cui torneremo più avanti .
136
MARTINELLI, cit. , p. 21
134
- 28 -
entro un ambito spaziale ben definito137. Questa tesi restrittiva non esclude, tuttavia, che
sia coperta dall’ insindacabilità anche la riproduzione, in genere a mezzo stampa, di atti
parlamentari tipici, purchè essa sia assolutamente fedele, cioè priva di integrazioni,
sostituzioni e modifiche del testo originale138.
Un’ opposta lettura porta ad assoggettare alla disciplina dell’ insindacabilità, “ tutte
le opinioni espresse nella esplicazione parlamentare ed extraparlamentare del mandato
politico “139, sì da comprendere anche il comizio, l’ intervista, l’ incontro con i propri
elettori140. Secondo questa impostazione, l’ inciso “ esercizio delle funzioni “, contenuto
nell’ art. 68 Cost., va interpretato estensivamente, di guisa
che
l’attività
che
un
parlamentare compie “ all’ esterno ”, non è altro che il proseguimento di quella tipica, che
egli estrinseca con i tradizionali atti parlamentari. Il ragionamento complessivo che emerge
da questa lettura, è che anche fuori dalle aule parlamentari o dalle commissioni, il
parlamentare non può non godere di quella condizione di assoluta libertà che
contraddistingue, al contrario, il momento in cui egli è chiamato a compiere atti tipici. A
rafforzare questa tesi vi sarebbero, d’altra parte, due elementi: anzitutto l’ art. 67 Cost. , il
quale solennemente statuisce che “ ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione
“; inoltre, non può ritenersi senza significato la mutata dizione dell’ art. 68 Cost., rispetto al
137
Su tutti MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico , p. 492 , il quale comprende fra gli atti tipici intra moenia anche
le attività svolte dal parlamentare presso il gruppo parlamentare ; ZAGREBELSKY, cit. , p. 41 : ” anche le attività
compiute fuori dalle Camere, purchè nell’ esercizio di funzioni derivanti dalla carica : si pensi alle delegazioni, alle
indagini e alle inchieste parlamentari “. Vedi anche TRAVERSA, Immunità parlamentare, p. 196 ; LONG , cit. p.
197 ; per ARCIDIACONO-CARULLO-RIZZA , cit. , p. 340 , “ la tesi restrittiva sembra la più aderente allo spirito
e alla lettera della disposizione, non potendosi ammettere che il Costituente abbia voluto garantire il parlamentare
anche per le attività, sebbene di natura politica, da questi compiute fuori dallo stretto svolgimento delle funzioni,
quando esse si sostanziano in fatti, che ogni cittadino ha il diritto di porre in essere ( interviste, discorsi durante le
campagne elettorali, incontri di partito ecc. ) “ .
138
Per MARTINELLI, cit. , p. 22 , il fondamento è nel combinato disposto dell’art. 68 Cost. , con gli art. 64 e 67 Cost.
Per DI MUCCIO, cit. , p. 711 , “ … il ripetere e riprodurre all’ esterno le opinioni , scritte o orali, espresse da
deputati e senatori nell’ esercizio delle funzioni , sono atti leciti , chiunque li compia “ , ai sensi degli articoli 30 e 31
del Regio editto n. 695 del 1848
( “ Leggi sulla Stampa “ ) , oltre che dell’ art. 64 , seconda comma della
Costituzione .
Se , al contrario, le opinioni sono modificative o integrative di quelle espresse nell’ esercizio delle funzioni , viene
mantenuto fermo il principio della responsabilità : così TRAVERSA, cit. , p. 197 .
139
CAPALOZZA, L’ immunità parlamentare e l’art. 68 , primo comma, della Costituzione, in Scritti giuridico-penali
(1962) , p. 322 .
140
Di questo avviso anche BARILE-CHELI-GRASSI , cit. , p. 108 :
“ … considerato che l’ insindacabilità
copre le opinioni espresse dal parlamentare nell’ esercizio delle funzioni , e non può dirsi che egli eserciti le sue
funzioni solo dentro l’aula… “ . Contra OLIVIERO , In tema di insindacabilità dei membri del Parlamento , in Giur.
Cost. 1994 , p. 444 : “ l’ immunità parlamentare…non ricomprende le attività extra-parlamentari, come i comizi
elettorali, nelle quali il parlamentare svolge attività politiche e di partito su un piano di parità con ogni altro cittadino
che voglia concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, manifestando liberamente il
proprio pensiero…In caso contrario si verrebbe ad attribuire ai deputati e ai senatori una inammissibile condizione di
privilegio che contrasterebbe con l’art. 3 Cost. …” ; MARTINES , cit. , p. 236 .
- 29 -
precedente art. 51 dello Statuto Albertino141, dove si faceva esclusivo riferimento alle
opinioni espresse e i voti dati “ nelle Camere “.
La necessità di contemperare il rifiuto verso “ odiosi privilegi “ alla classe politica
con il principio per cui la funzione parlamentare deve essere esercitata liberamente, ha
portato alcuni autori a cercare una lettura “ intermedia “ della norma costituzionale. Preso
atto che l’ evoluzione delle tecniche di comunicazione della società contemporanea offre ai
parlamentari nuovi canali, attraverso i quali il poter esprimere opinioni e far conoscere le
proprie iniziative, viene seriamente contestata la possibilità di individuare un numero
chiuso e limitato di atti, cui sia estensibile la prerogativa dell’ insindacabilità. A partire dagli
anni ‘ 70, sulla spinta della giurisprudenza parlamentare, nasce l’ idea che l’ art. 68 Cost.,
possa e debba rivolgersi non solo agli atti parlamentari tipici, ma in genere ai
comportamenti “ strettamente connessi alla funzione parlamentare, per i quali fosse
riscontrabile un nesso tra le sue attività e le funzioni che è chiamato a svolgere “142. In
definitiva , mentre l’ interpretazione restrittiva aveva come
punti di riferimento sia la
funzione cui gli atti tipici sono preordinati, sia il luogo in cui questi atti possono
concretizzarsi( intra moenia ), e la tesi estensiva scioglieva qualsiasi legame con questi
due criteri, sostenendo la copertura di tutti gli atti politici, la tesi intermedia sottolinea il
criterio del nesso tra atto e funzione, tralasciando quello del luogo, con l’ effetto di aprire il
regime dell’ insindacabilità anche agli atti compiuti “ extra moenia “. Tra la categoria della “
riproduzione di una opinione parlamentare “
esposizione
( insindacabile) e la categoria dell’ “
extraparlamentare di una opinione comune “ ( sindacabile ) è stato creato il
tertium genus dell’ opinione espressa fuori dall’ attività parlamentare, ma collegata
mediante un “ rapporto di connessione( oggettiva, soggettiva, temporale) intensa e
reciproca con un’altra opinione sicuramente insindacabile “143.
3.La “ giurisprudenza parlamentare “ fino al 1993
Un primo nucleo di casi sottoposti all’ attenzione del Parlamento, ha riguardato la
riproduzione “ all’esterno “ di opinioni, già manifestate all’ interno delle Camere attraverso
discorsi, interrogazioni, interpellanze e altri atti tipici.
141
Ancora CAPALOZZA, cit. , p. 320 .
MARTINELLI, cit. , p. 24 .
143
DI MUCCIO, cit. , p. 712 . Vedi anche paragrafo 2.8 .
142
- 30 -
La prima decisione in tal senso risale alla V legislatura. Il giudice penale, a seguito
di una querela per diffamazione presentata dalla persona offesa contro l’ On. Cottone, per
un articolo che riproduceva integralmente il contenuto di una interrogazione presentata
dallo stesso parlamentare, chiedeva l’ autorizzazione a procedere alla Camera di
appartenenza. In quella occasione, gli atti venivano restituiti all’ autorità giudiziaria,
giudicando che i fatti rientrassero, non nella previsione di cui al secondo comma dell’art.
68, come aveva sostenuto il giudice remittente, bensì nella più ampia tutela prevista dal
comma primo. Il ragionamento che complessivamente emergeva dalle motivazioni, con cui
la Giunta per le autorizzazioni a procedere chiedeva alla Camera di restituire gli atti alla
autorità giudiziaria144, fu che al parlamentare non fosse ascrivibile un comportamento
diverso dalla presentazione dell’ interrogazione parlamentare e che la pubblicazione di
questo, come di qualsiasi altro atto parlamentare, non potesse
ritenersi illecita145. In
definitiva, non si poteva attraverso il diniego della autorizzazione a procedere, privare l’
On. Cottone di quella situazione che gli derivava direttamente dall’ art. 68 Cost., primo
comma. Questo iter argomentativo si ritroverà in analoghe decisioni, adottate nelle
legislature a seguire146.
Nella VII legislatura147, la Giunta delle elezioni e delle immunità si ritrovò ad
esaminare una richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Sen. Pisanò,
querelato per i contenuti di un articolo pubblicato su un noto periodico. La Giunta ritenne di
dovere distinguere in due parti il documento: la parte che riproduceva un atto
parlamentare dello stesso senatore e la parte che conteneva alcune considerazioni
personali. Le conclusioni della Giunta, poi sposate dal Senato, furono nel senso di
considerare coperta dall’ insindacabilità solo la parte che riproduceva l’ atto parlamentare
e di concedere l’ autorizzazione a procedere per la seconda.
Il quadro finale che emerge, dunque, sia
dai precedenti citati che dalla
giurisprudenza parlamentare formatasi nelle legislature successive, è la costante prassi di
ricondurre nell’alveo dell’ insindacabilità tutte le opinioni manifestate dai deputati e dai
senatori, che fossero legate da un rapporto di identità soggettiva e oggettiva con un tipico
atto parlamentare148. In queste ipotesi di inequivoco esercizio delle funzioni parlamentari,
le Giunte dichiarano la propria incompetenza, restituendo al Ministro le richieste
144
di
Atti Camera, V Leg.
Ai sensi dell’ art. 30 del regio editto n. 695 del 1848, sulla libertà di stampa, che garantisce la non perseguibilità per
la mera riproduzione di atti parlamentari.
146
Vedi ad es. Atti Camera VI leg. , Doc. IV n. 119 ; Atti Camera, VIII leg. , Doc. IV n. 18 .
147
Atti Senato, VII leg. , Doc. IV n. 14 .
148
GRISOLIA, Immunità parlamentari e Costituzione , p. 72
145
- 31 -
autorizzazione a procedere pervenute per fatti che rientrano nella previsione del primo
comma, mentre l’ Assemblea si limita a prendere atto della comunicazione pervenutale
dalla Giunta, rinunciando anch’ essa a deliberare sulla richiesta di autorizzazione 149. Gli
organi parlamentari “ non sono chiamati a decidere su richieste che non sarebbero mai
dovute pervenire. Per i fatti coperti da immunità non va aperto alcun procedimento penale,
dato che è esclusa la loro antigiuridicità; e quindi non va chiesta autorizzazione. Se essa
perviene( per errore o per una diversa valutazione dei fatti della magistratura) viene
restituita da parte del ramo del Parlamento interessato “150.
Invece, in caso di manifestazioni extraparlamentari del pensiero, che pur traendo
origine da opinioni espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari, non ne
rappresentavano la sostanziale riproduzione, il Parlamento diede vita ad una diversa
prassi, che a quella esaminata andava a saldarsi. Questa prassi, meglio nota come
insindacabilità indiretta o impropria151, consisteva nell’ impedire che il parlamentare
venisse chiamato a rispondere di reati riconducibili al primo comma dell’ art. 68 Cost., in
sostanza reati di opinione, non attraverso una deliberazione di insindacabilità e
contestuale restituzione degli atti all’ autorità giudiziaria, bensì attraverso il rigetto della
richiesta di autorizzazione a procedere, inoltrata dalla magistratura ordinaria ai sensi del
comma secondo152. Questa soluzione tutelava sicuramente in modo meno incisivo il
parlamentare: riconoscere, infatti , che la manifestazione di una opinione non fosse
sindacabile, perchè protetta dalla garanzia del comma primo dell’ art. 68 Cost., significava
tutelare il parlamentare sia dal giudizio civile sia da quello penale, sia in costanza di carica
che dopo la cessazione della stessa; al contrario, il diniego di autorizzazione a procedere
concretizzava una causa di improcedibilità, solo in sede penale e limitata alla durata della
legislatura.
Alla Camera furono, ad esempio, riconosciuti quali motivi di diniego delle
autorizzazioni a procedere, in casi di insindacabilità indiretta, “ il contesto politico in cui i
reati sarebbero stati commessi e, perciò, il loro collegamento con l’ esercizio del mandato
D’ANDREA, Prerogative dei parlamentari, poteri dell’ Autorità giudiziaria, conflitti di attribuzione , in Diritto e
informazione 1989 , p. 440 .
150
LONG, cit. p. 195 e ss.
151
“ Questi termini sono da accogliere con riserva, perché sembrerebbero indicare un istituto concettualmente e
giuridicamente vicino alla immunità assoluta dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, mentre al contrario
definiscono semplicemente una particolare applicazione dell’ immunità relativa dell’ art. 68, secondo comma, della
Costituzione stessa : quindi non una forma spuria di insindacabilità, ma soltanto una specie di inviolabilità, con tutte le
conseguenze tipiche di questo genere di immunità “ : così DI MUCCIO, cit. , p. 714 .
152
Per correttezza, va precisato che l’ autorizzazione non fu sempre negata : “ grosso modo la proporzione in media tra
autorizzazione concesse e negate per reati di opinione è 1:5 alla Camera e 1:2 al Senato “ ( DI MUCCIO, cit. ).
149
- 32 -
parlamentare ”153; o ancora si trova scritto nei documenti ufficiali: “ le espressioni
incriminate sono la manifestazione di un giudizio di natura
incriminato costituisce
politica “154; “ l’ articolo
esercizio del diritto di critica politica tipica dell’ attività del
parlamentare e sulla quale pertanto non può esercitarsi il sindacato del giudice penale “155;
“ l’ intervista può ritenersi una manifestazione dell’ esercizio del mandato parlamentare,
sia pure latatamente inteso e tale da ricomprendere l’ azione politica di un deputato
sviluppatasi al di fuori delle sedi propriamente parlamentari e della specifica attività che in
esse si svolge ”156; “ nel comizio il parlamentare ha sostanzialmente ripetuto in pubblico
accuse già precedentemente mosse in scritti parlamentari… le frasi pronunciate debbono
ritenersi attività politica che costituisce proiezione esterna dell’ esercizio del mandato
parlamentare “157.
Anche al
Senato, nel motivare il rigetto della richiesta di autorizzazione a
procedere, troviamo argomentazioni di questo tipo: “natura politica delle dichiarazioni che,
pur avendo l’ apparente materiale oggettività del reato di diffamazione, risultano collegate
allo svolgimento dell’ attività politica in senso lato dei
parlamentari “158; “ le singole frasi
devono inserirsi in un contesto di polemica elettorale, nel quale prevale il giudizio politico
sull’ attività e sull’ opera di un parlamentare e non, invece, l’ intendimento diffamatorio
“159; “ le accuse formulate ebbero una preminente accentuazione politica e i toni
risentirono della comprensibile animosità della campagna elettorale. Perciò a tutela della
dialettica politica, l’ autorizzazione deve essere negata “160; “ nessun dubbio sul carattere
politico del fatto contestato, inteso nell’ accezione ampia di reato collegato allo
svolgimento di una attività politica “161.
In conclusione, il Parlamento riuscì a “ proteggere “ i propri membri per qualsiasi
giudizio espresso nel corso della attività politica, scegliendo di negare la richiesta
autorizzazione a procedere, e non facendo direttamente appello, come ampiamente
riportato, alla guarentigia dell’ insindacabilità , di cui all’ art. 68, comma primo, della
Costituzione.
153
Camera VI leg. , Doc. IV n. 152
Camera VI leg. , Doc. IV n. 249
155
Camera VI leg. , Doc. IV n. 276
156
Camera, VII leg. , Doc. IV n. 68.
157
Camera, VII leg. , Doc. IV n. 111
158
Senato VIII leg. , Doc. IV n. 58
159
Senato VI leg. , Doc. IV n. 31
160
Senato VII leg. , Doc. IV n. 5
161
Senato IX leg. , Doc. IV n. 33
154
- 33 -
Questa prassi parlamentare, tuttavia, non riuscì ad impedire il dilagare di sentenze
della giurisprudenza ordinaria: sentenze di condanna pronunciate a carico di parlamentari,
a conclusione dei processi civili per il risarcimento dei danni, ovvero di procedimenti penali
intentati, concluso il mandato, per fatti per i quali il Parlamento aveva negato l’
autorizzazione a procedere , in costanza di carica162. Tutto questo portò inevitabilmente ad
un radicale mutamento di indirizzo.
Il caso più eclatante ha interessato nella IX legislatura l’ On. Vitalone, il quale
veniva querelato da alcuni magistrati, sentitisi diffamare in una intervista da quello
rilasciata ad un noto quotidiano nazionale. La peculiarità della vicenda stava nel fatto che
le parole dichiarate alla stampa dal parlamentare, riproducevano solo in parte i contenuti di
un interpellanza e che questa, pur essendo già stata presentata al Ministro di Grazia e
Giustizia, non era ancora stata discussa al momento del rilascio dell’ intervista. Investita
della richiesta di autorizzazione a procedere, la Giunta( e poi l’ Assemblea) decideva di
applicare direttamente la più ampia garanzia dell’ insindacabilità: per quanto le
dichiarazioni alla stampa del Sen. Vitalone avessero solo in parte richiamato una
interpellanza, tra l’altro non ancora discussa, non si poteva negare che egli aveva agito
nell’ esercizio delle sue funzioni163. In sostanza, si abbandona il criterio della necessaria
identità( soggettiva e oggettiva ) tra l’atto parlamentare e l’ articolo che lo riproduce,
rapporto necessario nelle pronunce precedenti per l’ applicazione della guarentigia, per
passare ad un nuovo orientamento secondo il quale l’ applicazione dell’ insindacabilità può
sufficientemente fondarsi su un collegamento “intenso e reciproco “ tra le opinioni
contestate al parlamentare e quelle manifestate nell’ esercizio della sua funzione 164. Il
successivo consolidarsi di questo orientamento consentì sicuramente l’ estensione della “
zona di protezione “ offerta dalla guarentigia costituzionale.
4. Il caso Marchio: la rivoluzionaria sentenza della Corte Costituzionale, n. 1150 del
1988
La sentenza della Corte Costituzionale, n. 1150 del 1988, segna l’ inizio di una
intensa stagione giurisprudenziale, durante la quale si è tentata la difficile opera di
ricomposizione dei valori messi in gioco nell’applicazione dell’art. 68, comma primo , della
162
GRISOLIA, cit. , p. 72 .
Atti Senato, IX leg. , Doc. IV n. 18 .
164
GRISOLIA, cit. , p. 74 .
163
- 34 -
Costituzione165, ma soprattutto nella quale si è registrato un mutamento nell’atteggiamento
della magistratura, la quale passa “ da una condizione di spettatrice degli indirizzi
parlamentari, ad interlocutrice polemica ed ostica del Parlamento stesso “166, in un
crescendo che si acutizzerà, come vedremo, ai giorni nostri.
Nel 1980, il Sen. Marchio presentava una interrogazione parlamentare in merito al
comportamento della sezione fallimentare del Tribunale di Roma e, su quella stessa
vicenda oggetto dell’ interrogazione, il quotidiano Secolo d’ Italia pubblicava tre distinti
articoli. Presentata la querela dei giudici romani in relazione al contenuto dell’ ultimo di
questi167, il Senato rigettava la richiesta di autorizzazione a procedere, confermando le
conclusioni cui era pervenuta la Giunta delle elezioni e delle immunità: “ mentre per le
opinioni espresse al di fuori delle funzioni , il parlamentare incontra gli stessi limiti
espressivi degli altri cittadini, tuttavia non possono essere frapposti condizionamenti ed
ostacoli alla espressione di opinioni che il parlamentare intenda fare a commento del
contenuto di atti tipici del mandato parlamentare. E ciò anche quando tale commento
espresso dal parlamentare, al di fuori dell’ esercizio delle sue funzioni, ma in connessione
e a causa dell’ esercizio delle funzioni stesse, si sostanzia in una critica dura e aspra di
altri soggetti “168. Improcedibile il giudizio penale, i giudici romani intraprendevano il
giudizio civile contro lo stesso parlamentare, vedendosi riconosciuto il risarcimento dei
danni patrimoniali e non patrimoniali per tutti e tre gli articoli.
Nel corso della IX legislatura, che aveva visto la rielezione del Sen. Marchio, la
richiesta di autorizzazione a procedere venne riproposta. Ma questa volta il Senato,
anziché confermare il precedente diniego, riteneva che i fatti per i quali quella richiesta era
stata inoltrata, rientrassero direttamente nell’alveo della prerogativa dell’ insindacabilità, di
cui all’ art. 68, comma primo169: “ le dichiarazioni rese dal senatore, fuori della sede
parlamentare,
sono
direttamente
connesse
al
contenuto
dell’
interrogazione
presentata…L’ attribuzione di una facoltà formalmente garantita rischierebbe di rimanere
una pura enunciazione, se non comprendesse anche tutto ciò che è funzionale, connesso
o consequenziale all’ espletamento della stessa “170. Il Senato
165
riteneva che
anche
GRISOLIA, cit . , p. 130 .
MARTINELLI, cit. , p. 41
167
L’articolo riprendeva il testo dell’ interrogazione del sen. Marchio , riportando una sua dichiarazione nella quale
ribadiva i motivi e i contenuti della propria condotta parlamentare.
168
Vedi Senato della Repubblica, VIII legislatura, doc. IV n. 74.
169
La deliberazione del Senato è passata alla storia, come il primo caso in cui il Parlamento ha disciplinato una
fattispecie che, secondo la prassi consolidata sopra esposta , andava soggetta all’ applicazione del regime di
insindacabilità indiretta, in una fattispecie di insindacabilità vera e propria . Lo osserva MARTINELLI, cit. , p. 44
170
Senato IX leg. , Doc. IV n. 55
166
- 35 -
dichiarazioni solo connesse al contenuto di una interrogazione parlamentare, quale il
commento di un atto tipico effettuato nel corso di una intervista, potessero essere protette
direttamente con la guarentigia del primo comma: quindi anche nel procedimento civile171.
La Corte d’ Appello di Roma, presso la quale il giudizio per il risarcimento dei danni
era nel frattempo approdato, sollevava dinanzi alla Corte Costituzionale conflitto di
attribuzioni nei confronti del Senato, contestando la carenza del potere di esercitare una
funzione giurisdizionale nella materia prevista dal comma primo dell’art. 68 Cost., potere
che , al contrario, i giudici romani ritenevano dovesse spettare istituzionalmente proprio
all’autorità giudiziaria ordinaria.
Il ragionamento che si rinviene nella sentenza n. 1150 del 1988, con la quale i
giudici della Consulta decisero il ricorso, parte dalla considerazione che “ le prerogative
parlamentari non possono non implicare un potere dell' organo a tutela del quale sono
disposte”. Tuttavia, vi è una “ logica diversa che presiede alle due prerogative sancite
dall'art. 68 Cost. “, ragion per cui devono riconoscersi poteri di natura diversa: la
prerogativa del primo comma
attribuisce alla Camera di appartenenza “ il potere di
valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto ”, se qualificata come
esercizio delle funzioni parlamentari, “ di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia
giudiziale di responsabilità, sempre che, come sarà precisato appresso, il potere sia stato
correttamente esercitato ”.
Il potere in oggetto, secondo la Corte, non può essere “arbitrario o soggetto soltanto
a una regola interna di self-restraint”172, ma è “ soggetto a un controllo di legittimità,
operante con lo strumento del conflitto di attribuzione, e perciò circoscritto ai vizi che
incidono, comprimendola, sulla sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria “173.
Si legge nella relazione della Giunta , che accompagna la proposta all’ Assemblea : “ la Giunta ha poi ritenuto all’
unanimità che l’ effetto naturale dell’ insindacabilità consiste nell’ irresponsabilità assoluta ( penale , civile,
amministrativa)”.
172
Osserva MORETTI, Foro It. 1989 , p. 328 : “…La sentenza s’inserisce coerentemente nella tendenza che porta ad
un ridimensionamento delle prerogative, status o procedure privilegiati, e che nella nostra legislazione ha
recentemente condotto ad alcuni esiti significativi, quale l’ affermazione della responsabilità civile dei magistrati ed il
deferimento del giudizio sugli illeciti ministeriali alla magistratura ordinaria “ .
173
Precisa MARTINELLI, cit. , p. 46 : “ Il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato può riguardare o la
contestazione circa l’appartenenza di una attribuzione ( c.d. vindicatio potestatis ) o la contestazione del cattivo uso
del potere, quando da ciò possa discendere una indebita compressione o interferenza nella sfera di attribuzioni di un
altro
potere “.
E’ il cosiddetto conflitto per menomazione, ammesso dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza n. 129 del 1981 : il
conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato “ non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza
del medesimo potere […], ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’ illegittimità dell’ esercizio del potere
altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni garantita ad un altro soggetto “.
171
- 36 -
Ne deriva che , se il giudice174 reputa che la delibera della Camera di appartenenza,
affermante l' irresponsabilità del proprio membro convenuto in giudizio, “ sia il risultato di
un esercizio illegittimo (o, come altri si esprime, di cattivo uso ) del potere di valutazione “,
può provocare il controllo della Corte costituzionale, sollevando davanti a questa conflitto
di attribuzione: il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis, in quanto
il potere di valutazione del Parlamento non è in astratto contestabile, bensì come
contestazione dell'altrui potere in concreto, “ per vizi del procedimento oppure per omessa
o erronea valutazione dei presupposti, di volta in volta richiesti per il valido esercizio di
esso ”.
5. La Corte Costituzionale aggiunge un nuovo tassello: la sentenza n. 443 del 1993
Nel corso di un convegno - dal tema “ I poteri occulti nella Repubblica: mafia,
camorra, P2, stragi impunite “ - il Sen. Ricci rivolgeva ad un alto ufficiale del SID, l’ accusa
di aver partecipato all’ attività politico-eversiva della loggia massonica P2. La relazione
contenente tali dichiarazioni veniva successivamente pubblicata in un volume sugli atti del
convegno medesimo, edito dalla Marsilio S.p.a.
Sentitosi diffamato, l’ alto ufficiale conveniva il parlamentare davanti al Tribunale
civile di Roma, per vedersi risarciti i danni derivanti da quelle dichiarazioni. Costituitosi in
giudizio, il Sen. Ricci chiedeva il rigetto della domanda, facendo rilevare che il contenuto
del volume citato riproduceva fedelmente la relazione da lui svolta nel convegno di
Venezia, al quale egli era stato invitato nella qualità di parlamentare e specificamente di
vice-presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2; e
poiché la relazione riproduceva, a sua volta, atti e documenti acquisiti dalla Commissione
d'inchiesta, ne derivava l' insindacabilità delle opinioni da lui espresse, a norma dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
In conseguenza di tale iniziativa, il Presidente del Senato investiva la Giunta per le
elezioni e l’ immunità, per valutare se i fatti contestati al parlamentare fossero riconducibili
alla guarentigia. La giunta, ritenendo che il Sen. Ricci si fosse limitato a ripetere fatti ed
espressioni tratti da documenti acquisiti dalla Commissione di inchiesta, da considerare
atti e documenti parlamentari a tutti gli effetti, evidenziando che l'intervento del senatore al
“ di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da
un deputato o senatore in sede extraparlamentare “ .
174
- 37 -
convegno era stato tenuto nella sua qualità di vicepresidente della Commissione
parlamentare di inchiesta, riteneva pacifica l'applicazione del consolidato criterio, secondo
il quale la diffusione di opinioni tratte da atti parlamentari é insindacabile, giusta l'art. 68,
primo comma, della Costituzione. In particolare, concludeva la Giunta, “ il senatore Ricci
aveva…la prerogativa di pronunciare quelle affermazioni … perché contenute ed estraibili
lealmente dalla documentazione parlamentare, raccolta pure con il contributo inseparabile
della sua attività parlamentare “; argomentazioni, poi, confermate dal Senato, che
individuava “ un collegamento intenso e reciproco tra le opinioni espresse dal Sen. Ricci e
opinioni parlamentari della Commissione di inchiesta “175. La Giunta prima, e l’ Assemblea
dopo, risolvevano, dunque, la questione con una dichiarazione di insindacabilità.
Ciò premesso, sulla scorta degli enunciati della sentenza della Corte costituzionale
del 1988, il Tribunale sollevava conflitto di attribuzione " in ordine al corretto uso del potere
di decidere sulla imperseguibilità stabilita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione,
così come esercitato dal Senato della Repubblica “176. Le argomentazioni avanzate dai
giudici romani177 si incentravano essenzialmente su due punti.
In primo luogo, il Tribunale contestava la delibera del Senato, nella parte in cui
affermava che il Sen. Ricci era intervenuto al convegno “ in qualità di vice-presidente della
Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 “. Ad avviso del
Tribunale, infatti, nonostante la partecipazione al convegno dell’ onorevole fosse stata
annunciata nella veste di vice - presidente della Commissione di inchiesta, essa non
poteva inquadrarsi tra i compiti istituzionali del parlamentare, ma doveva ritenersi
avvenuta a titolo personale , a meno di non voler ricomprendere nella concezione di
funzione parlamentare tutte le attività politiche del Sen. Ricci: una nozione questa che il
Tribunale dichiarava di respingere, ritenendola eccessivamente estensiva.
In secondo luogo, la sostanziale identità, asserita nella delibera del Senato, tra i fatti
esposti nel convegno e quelli riportati negli atti e documenti della Commissione di
inchiesta sulla loggia massonica P2, dai quali le affermazioni dell’ On. Ricci furono
desunte, dava luogo, secondo il Tribunale ricorrente, ad una estensione del presupposto
della insindacabilità che non trovava riscontro nella formulazione letterale dell'art. 68,
175
Senato IX Leg. Doc. XVI n. 10
Così il dispositivo dell’ ordinanza del Tribunale civile di Roma.
177
Desumibili dal testo della sentenza della Corte Costituzionale , in esame .
176
- 38 -
primo comma, della Costituzione. Un conto era, secondo il Tribunale, far rientrare nella
funzione parlamentare la riproduzione all' esterno di interpellanze o interrogazioni, un
conto era il caso in esame: qui si era in presenza, non della riproduzione esterna di
opinioni espresse nella sede propria, ma di una “ mera riscontrabilità ” tra le affermazioni
fatte in sede extraparlamentare e le
relazioni, gli atti e i documenti acquisiti dalla
Commissione di inchiesta, di atti cioè neppure “ tecnicamente da definirsi come atti
parlamentari “.
La Corte Costituzionale decideva il conflitto in esame nella sentenza n. 443 del
1993. Con riferimento al primo problema sollevato dal Tribunale di Roma, la Corte premettendo che il suo compito è, nei “ limiti dei concetti dell'arbitrarietà e della plausibilità
“, quello di operare una “ verifica esterna ” sulla sussistenza dei presupposti (esercizio
delle funzioni) e sulle valutazioni di merito che le Camere compiono circa l'insindacabilità
ex art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dai parlamentari riteneva “non arbitrarie” le conclusioni del Senato, circa la sussistenza del presupposto
costituito dall'esercizio della funzione parlamentare: tali conclusioni risultavano formulate “
essendosi tenuto conto dello stretto collegamento con la … specifica qualificazione
rivestita dal parlamentare, in quanto egli si era riferito a quel che era alla conoscenza per
aver partecipato ai lavori della Commissione di inchiesta “.
Con riferimento alla seconda contestazione del Tribunale, circa l’ affermazione di
identità fra i fatti esposti dal Sen. Ricci nel convegno e quelli riportati negli atti e documenti
della Commissione di inchiesta, la Corte , operando ancora in sede di “ verifica esterna”
sulla valutazione compiuta dal Senato, riteneva “ non arbitrario, ma anzi plausibile “ che si
fosse ritenuto sussistente il presupposto dell’ insindacabilità, considerando che “ il
parlamentare aveva riferito all' esterno della Commissione, in un convegno pubblico, fatti e
circostanze di cui era venuto a conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni, ed aveva nel
contempo manifestato i punti di vista ed i convincimenti che avevano ispirato o cui avrebbe
inteso in prosieguo ispirare sull'argomento il proprio comportamento in sede parlamentare
”.
Paradossalmente, tuttavia, l’ affermazione principale della Corte si ritrova in un, se
pur frettoloso178, passaggio finale della sentenza, con il quale essa tenta di disegnare in
Testualmente : “ Una volta che, come questa Corte ha affermato (sentenza n. 1150 del 1988 ), la prerogativa
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione riconosce alle Camere il potere di valutare le condizioni
178
- 39 -
modo più preciso il futuro rapporto tra Parlamento e magistratura nella “ gestione “ della
prerogativa costituzionale. I giudici della Consulta riconoscevano, per la prima volta, il “
potere – dovere “ del giudice ordinario di pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni
dell' insindacabilità:“ se il parlamentare la eccepisca in giudizio “ e “ ove manchi ogni
pronuncia della Carnera di appartenenza del parlamentare “; solo nel caso in cui
quest'ultima avesse esercitato il suo potere, “ le sue valutazioni non possono certo essere
condizionate dai criteri elaborati da organi della giurisdizione “, essendo “ inammissibile
ingerenza nella prerogativa parlamentare il pretendere di sovrapporre, ai criteri seguiti
dalla Camera stessa, quelli suggeriti da orientamenti giurisprudenziali ”.
Questo principio finale della sentenza fu salutato con un certo ottimismo, all’ interno
di un sistema in cui, da una parte si affermava la titolarità della Camera di appartenenza
del “ potere di valutare la condotta di un suo membro “179, dall’altra mancava un
meccanismo idoneo a sollecitare una pronuncia in materia di insindacabilità degli organi
parlamentari180. In questo quadro, allora, la sentenza n. 443 del 1993 era
straordinariamente innovativa, perché avrebbe potuto creare un sistema con il quale dare
una “ risposta alle illegittime compressioni del diritto di agire in giudizio operate nei
confronti dei cittadini “181, attraverso il riconoscimento di una posizione di sostanziale
autonomia della magistratura, nel pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni per
l’applicazione dell’ insindacabilità. Ma ad arrestare il quadro che si sarebbe potuto
delineare , ci pensarono sia la riforma dell’ art. 68 della Costituzione, sia soprattutto i
dell'insindacabilità, potendo e dovendo sul punto in specie, se il parlamentare la eccepisca in giudizio, pronunciarsi il
giudice ordinario ove manchi ogni pronuncia della Carnera di appartenenza del parlamentare, nel caso che
quest'ultima si pronunci le sue valutazioni non possono certo essere condizionate dai criteri elaborati da organi della
giurisdizione. Pertanto, quando, come nel la specie, la Camera di appartenenza abbia esercitato in concreto il relativo
potere, soggetto esclusivamente al sindacato di questa Corte e soltanto nei limiti anzidetti, deve considerarsi come
inammissibile ingerenza nella prerogativa parlamentare il pretendere di sovrapporre, ai criteri seguiti dalla Camera
stessa, quelli suggeriti da orientamenti giurisprudenziali; dell'ordine giudiziario, dato che è proprio nei confronti di
questo che è posta dall'art. 68 della Costituzione la prerogativa dell'insindacabilità a tutela dell'indipendenza del
Parlamento ” .
179
C.Cost. n. 1150/88 .
Il problema era stato sollevato dal Tribunale civile di Roma con due distinte ordinanze, che sottoponevano al vaglio
della Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’ art. 18 del Regolamento della Camera dei deputati : il giudice
a quo rilevava che la norma contestata disciplinava esclusivamente la competenza della Giunta, con riferimento alle
sole richieste di autorizzazione a procedere del giudice penale, nulla prevedendo in ordine alle richieste del giudice
civile di verificare la qualificazione funzionale delle opinioni espresse dal parlamentare, in vista dell’applicazione dell’
insindacabilità . Il rischio paventato era, dunque , che la mancanza di una deliberazione dell’ Assemblea, e di un sistema
per sollecitarla , provocasse una illegittima compressione del diritto di difesa del cittadino . La Corte Costituzionale
decise per la manifesta inammissibilità delle questioni, per avere esse ad oggetto atti privi di forza di legge : una
sbrigativa soluzione processuale che non consentì di dare il giusto peso alla problema sollevato.
181
Su tutti OLIVIERO , cit. , p. 449 .
180
- 40 -
diciotto decreti legge di attuazione, che si distinsero per l’ inequivocabile volontà di riporre
nel Parlamento una posizione di indiscussa supremazia.
6.La riforma dell’art. 68 e i decreti legge di attuazione
Il dibattito sulla opportunità di una revisione dell’ art. 68 Cost. prendeva corpo già
negli anni ‘ 80, ma la vera occasione per la riforma della norma costituzionale si ebbe
durante l’ XI legislatura. Questa si aprì, nell’ aprile del 1992, sotto il peso delle domande di
autorizzazione a procedere182: è la stagione di “ tangentopoli “, in Italia dilagano le
indagini giudiziarie sul finanziamento illecito ai partiti e sugli episodi di corruzione e
concussione. Fino ad allora, l’ autorizzazione era stata concessa con estrema
parsimonia183, ma un simile atteggiamento restrittivo divenne un problema politico, proprio
quando il numero di parlamentari sottoposti ad indagine crebbe vertiginosamente,
provocando una crisi di sovraccarico nelle procedure di esercizio della prerogativa. In
questo contesto storico, il rigetto di numerose richieste di autorizzazione a procedere
avanzate soprattutto dalle Procure di Milano, Venezia e Roma, iniziò ad essere percepito
dall’ opinione pubblica come veicolo di impunità per i parlamentari: il conflitto in atto tra la
magistratura ordinaria e il Parlamento arrivò ad acutizzarsi, in una sorta di “ malessere
istituzionale “184, all’ indomani della decisione della Camera dei deputati ( 29 Aprile 1993 )
con la quale si negava la richiesta, avanzata dalla Procura di Milano, nei confronti dell’ On.
Bettino Craxi.
Questo il contesto storico nel quale si muoveva la Commissione speciale istituita
alla Camera, per esaminare le proposte di legge di revisione costituzionale. Se alcune di
queste lasciavano inalterato il tessuto del primo comma dell’ art. 68, altre invece si
diressero nel senso di estenderne la portata: “ sia per esplicitare che tale insindacabilità
riguarda anche la responsabilità amministrativa e civile oltre che quella penale […] sia per
Dall’ inizio della legislatura fino alla riforma dell’ art. 68 Cost. , circa un anno e mezzo , alla Camera dei deputati
pervennero 619 richieste di autorizzazione a procedere ( fra le 228 definite , 111 quelle concesse, 52 quelle negate ) ,
mentre al Senato furono 233 ( 76 concesse , 56 negate ).
183
MIDIRI, La Riforma dell’ immunità parlamentare in Giur. Cost. 1994 , p. 2411 : “ Tanto per esemplificare, nella X
legislatura ( 1987-1992 ) la Camera dei Deputati ha concesso 31 autorizzazioni, negandone 100 e restituendone 10 all’
A.G. in ragione dell’ insindacabilità ex art. 68 Cost. , comma primo; al Senato, 12 le autorizzazioni concesse, 86
negate “ .
184
MIDIRI, cit . , p. 2411
182
- 41 -
ricomprendere accanto ai voti e alle opinioni, anche gli atti compiuti nell’ esercizio delle
funzioni “185.
La legge costituzionale n. 3 del 1993 riformula in questi termini l’art. 68 della
Costituzione: “ I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle
opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento
può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o
altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in
esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’ atto di
commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad
intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di
corrispondenza “.
Da un confronto186 con la precedente disposizione normativa emerge chiaramente,
da una parte il tentativo di riavvicinare la posizione del comune cittadino a quella del
parlamentare: in tal senso, l’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere, per
sottoporre quest’ ultimo a processo penale e per eseguire una sentenza irrevocabile di
condanna. Dall’ altra parte, invece, le garanzie dei parlamentari sono aumentate,
attraverso l’ incremento degli atti di istruzione per i quali l’ autorizzazione è stata
mantenuta.
Per quel che ci interessa, la prerogativa dell’ insindacabilità non è stata oggetto di
modifiche sostanziali: solo nella forma, si registra il passaggio dall’ espressione “
perseguiti “ a quella “ chiamati a rispondere “. La nuova formula, avrebbe dovuto chiarire
che la norma costituzionale esclude qualsiasi responsabilità giuridica, sia penale, che
civile, amministrativa e disciplinare187.
Seduta dell’ 11 giugno 1992, relatore C. Casini .
Riportiamo, al fine di agevolare il confronto , la precedente formulazione :
“I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio delle
funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a
procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione
personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o
l’ ordine di cattura.
Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in
esecuzione di una sentenza anche irrevocabile. “
187
PANIZZA , La disciplina delle immunità parlamentari tra Corte e Legislatore in Giurisprudenza costituzionale –
1994 , p. 601 .
185
186
- 42 -
In conseguenza dell’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere, il
Parlamento si trovò improvvisamente privato di quel filtro istituzionale, che fino ad allora
era stato in grado di assicurargli l’ attivazione per l’ esercizio del potere, riconosciutogli già
dalla Corte Costituzionale nel 1988, consistente nel valutare la condotta addebitata ad un
proprio membro e nell’ inibire una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, quando
le Camere avessero qualificato quella condotta, come esercizio delle funzioni
parlamentari188. Venuto meno, in sostanza, il nesso di consequenzialità tra la delibera
camerale e l’ esercizio dell’azione penale, per cui la Camera di appartenenza conosceva e
valutava l’ insindacabilità attraverso la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal
giudice ordinario, risultava più difficile ricavare solo dal primo comma dell’ art. 68 Cost. un
sistema che non assegnasse in prima istanza alla magistratura, ma al Parlamento, l’
interpretazione e applicazione delle norme attinenti ai presupposti della punibilità e della
procedibilità delle azioni giudiziarie contro i parlamentari189.
Questo dovrebbe spiegare la tempestività con un cui il Governo Ciampi emanò un
decreto-legge190 , mai convertito e reiterato per ben diciotto volte, il quale avrebbe dovuto “
assicurare che la norma costituzionale fosse prontamente accompagnata da disposizioni
atte a disegnarne le modalità operative “191. In realtà, esso tendeva a “ripristinare un
equilibrio che, rottosi improvvisamente sotto la spinta emotiva delle vicende giudiziarie che
avevano segnato la storia politica di quegli anni, era ritenuto ancora indispensabile a
guidare le relazioni tra la magistratura e il Parlamento, nella delicata applicazione della
garanzia costituzionale “192.
Come detto, si pensava193, che l’ordine costituzionale delle competenze chiamate
ad attuare il primo comma dell’ art. 68 Cost., richiedesse che l’ interpretazione e l’
applicazione di norme attinenti ai presupposti della punibilità e della procedibilità, dovesse
rientrare nella giurisdizione piena dell’ autorità giudiziaria; salvo il potere del Parlamento di
tutelare la propria prerogativa, sollevando conflitto di fronte alla Corte Costituzionale,
laddove non condividesse le conclusione operate dalla magistratura. L’alternativa pensata
a questo modello194, portava a riconoscere ai due poteri una pari ordinazione, affidando ad
entrambi la possibilità di valutare la sindacabilità o meno delle opinioni del parlamentare,
188
GRISOLIA, cit. p. 88
ZAGREBELSKY , La riforma dell’ autorizzazione a procedere , in Giur. Cost. 1994 , p. 284 .
190
Contenente “ Disposizioni urgenti per l’ attuazione dell’ art. 68 Cost. “
191
Relazione che accompagnava il relativo disegno di legge di conversione alla Camera.
192
GRISOLIA, cit. , p. 89
193
ZAGREBELSKY, op .ult . cit. , p. 284.
194
Vedi fra tutti PACE, Il nulla osta parlamentare , p. 1134 .
189
- 43 -
fatta salva per l’altro potere la possibilità di attivare l’ intervento della Corte. I decreti legge
che si susseguirono, invece, arrivarono ad una interpretazione diversa dei rapporti tra
Parlamento e magistratura195.
Il decreto legge n. 455/1993, con il quale ebbe inizio la lunga catena, distingueva
due ipotesi. Qualora risultasse “ evidente l’ applicazione del primo comma dell’ art. 68
Cost. “196, il giudice doveva dichiararla d’ ufficio, in ogni stato e grado del procedimento; in
tutti gli altri casi, comprese le ipotesi in cui fosse evidente l’ inapplicabilità di tale norma197,
il giudice doveva sospendere il procedimento e trasmettere gli atti alle Camera
competente, perché fosse questa a deliberare “ se il fatto per il quale si procede concerna
o meno opinioni espresse o voti dati nell’ esercizio delle sue funzioni“198. In questo ultimo
caso, nonostante il silenzio della legge, si ritenne che il giudice potesse sollevare il
conflitto di fronte alla Corte Costituzionale, qualora non avesse condiviso le conclusioni del
Parlamento199.
Le critiche mosse dalla dottrina all’ intervento del Governo furono rivolte, da una
parte all’ opportunità di scegliere il decreto legge, atto normativo di grado inferiore, per l’
attuazione e l’ interpretazione di una norma costituzionale; dall’ altra, si contestava il
meccanismo ideato, perché andava ad attribuire alle Camere una sorta di competenza
giurisdizionale200, neanche immaginabile sotto la vigenza del soppresso istituto della
autorizzazione a procedere, con una sostanziale “ rinascita “ di quest’ ultimo ( anche con
riferimento ai giudizi civili e amministrativi ) 201. Infatti, il Parlamento non si limitava più ad
un controllo sull’ esistenza o meno del fumus persecutionis, controllo prodromico alla
scelta di concedere o meno l’ autorizzazione di cui al vecchio art. 68 Cost., ma si inseriva
nel giudizio che si svolgeva davanti al giudice in maniera più coinvolgente, decidendo esso
stesso se il fatto per cui si procedeva rientrasse o meno nell’ alveo dell’ art. 68 Cost.
Il decreto legge non fu convertito in legge. Sulla spinta delle critiche mosse dalla
dottrina, il Governo lo reiterò, ma con talune modifiche sostanziali 202, che determinarono
un meccanismo di pregiudizialità parlamentare, ad immagine e somiglianza della
195
GRISOLIA , cit. p. 89
Art. 3 , comma primo .
197
PACE, Quaderni Costituzionali – 2000 , p. 286
198
Art. 3 , comma secondo.
199
In tal senso ZAGREBELSKY , op. ult. cit. , p. 284
200
ROMBOLI, La “ pregiudizialità parlamentare ” per le opinioni espresse e i voti dati dai membri delle Camere
nell’ esercizio delle loro funzioni in Foro It. 1994 , p. .999 ; MARTINELLI , cit. , p. 68
201
PACE, op. ult. cit. , p. 286 .
202
E’ il d.l. n. 23 del 1994 .
196
- 44 -
pregiudizialità costituzionale203. Il giudice , qualora risultasse evidente l’ applicazione
dell’art. 68, primo comma, doveva dichiararla d’ ufficio in ogni stato e grado del
procedimento. Negli altri casi, solo se fosse stata “ rilevata la questione “ relativa
all’applicabilità dell’ art. 68, primo comma, della Costituzione, e se non l’avesse ritenuta
“manifestatamene
infondata ”, trasmetteva direttamente gli atti alla Camera, affinché
fosse questa a decidere nel merito204.
In questo quadro, se la questione fosse stata ritenuta manifestamente infondata, il
giudice poteva proseguire nel giudizio, senza investire della stessa la Camera
competente: si poteva ritenere salva, tuttavia, la possibilità che l’ organo parlamentare
sollevasse il conflitto di fronte alla Corte Costituzionale, laddove non condividesse le
conclusioni del giudice ordinario205.
Ritenuta, al contrario, la questione non manifestatamene infondata, e trasmessi
così gli atti alle Camere, il giudice doveva disporre la sospensione del procedimento, sino
alla deliberazione della Camera competente, e comunque, per un tempo non superiore a
novanta giorni. Detto termine , come la lettera della disposizione suggeriva, non andava
certo a frapporre un ostacolo ad una decisone tardiva delle Camere, né ad eventuali
manovre dilatorie, ma solo a fissare la durata massima della sospensione del
procedimento206: nulla impediva, quindi, che le Camere potessero pronunciarsi anche a
distanza di mesi o anni, “ quale che fosse stata la fase e le conclusioni raggiunte dall’
Autorità giudiziaria, con l’ effetto di paralizzarle “207.
Il decreto legge n. 69 del 1995 ebbe ulteriormente a disporre che, quando la
Camera avesse ricevuto dall’ Autorità giudiziaria copia dell’ ordinanza, dichiarante la
manifesta infondatezza della questione relativa all’ applicazione del primo comma dell’ art.
68 Cost., avrebbe potuto richiedere copia degli atti del procedimento: in tal caso il giudice
poteva disporre la sospensione dello stesso, analogamente all’ ipotesi in cui avesse ab
203
Così ROMBOLI, cit. , coll. 995 -1000 .
Si veda, inoltre , il meccanismo con il quale la Corte Costituzionale viene investita della questione di legittimità
costituzionale , negli art. 23 e 24 , legge n. 87 / 1953 .
204
Così il nuovo art. 3 , introdotto dal decreto : “ Quando risulti evidente l’ applicazione dell’art. 68, primo comma, il
giudice la dichiara d’ ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
Il giudice, se non ritiene di dover provvedere a norma del comma primo e sempre che sia rilevata la questione relativa
all’applicabilità dell’ art. 68, primo comma, della Costituzione, pronuncia, sentite le parti, ordinanza non impugnabile.
Con tale provvedimento , qualora non ritenga che la questione sia manifestatamene infondata, il giudice trasmette
direttamente gli atti alla Camera competente perché questa deliberi se il fatto per il quale è in corso il procedimento
concerna o meno opinioni espresse o voti dati da un membro del Parlamento nell’ esercizio delle sue funzioni e dispone
la sospensione del procedimento sino alla deliberazione della camera competente, e comunque, per un tempo non
superiore a novanta giorni (…) . “
205
GRISOLIA, cit. , p. 93
206
Così ROMBOLI, cit. , pagg. 995 e ss.
207
MARTINELLI, cit. , p. 67 .
- 45 -
initio trasmesso gli atti alle Camere. Il decreto legge n. 16 del 1996 completava questo
schema, aggiungendo che quella sospensione sarebbe durata fino alla deliberazione della
Camera e, comunque, non oltre il termine di 90 giorni dalla ricezione degli atti.
Quando la Corte Costituzionale208 mise fine alla consolidata prassi di reiterare i
decreti legge non convertiti nel tempo, la catena dei provvedimenti di attuazione dell’art.
68 Cost. dovette interrompersi necessariamente: l’ ultimo fu il d.l. n. 555 del 1996.
7.Il primo conflitto successivo alla riforma del 1993: la sentenza n. 129 del 1996
La sentenza n. 129 del 1996, prima e unica decisione pronunciata dalla Corte
Costituzionale sotto la vigenza dei decreti legge esaminati, risolveva il conflitto di
attribuzione promosso con ricorso del Senato contro il Tribunale di Palermo209, annullando
l’ ordinanza dei giudici siciliani.
Essa consolida la lettura dell’ art. 68 Cost., comma primo, già suggerita dalla
Corte210, secondo la quale la norma “ attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di
valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia ritenuta
esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia
giudiziale, sempre che il potere sia stato correttamente esercitato. Qualora reputi che la
delibera favorevole all'applicazione dell'art. 68, primo comma, sia il risultato di un esercizio
non corretto del potere - per vizi in procedendo oppure per omessa o erronea valutazione
dei suoi presupposti, in particolare per manifesta estraneità della condotta del
parlamentare al concetto di opinione o di esercizio delle funzioni - , il giudice, al quale si è
rivolta la persona lesa dalle dichiarazioni diffamatorie contestate, può soprassedere alla
208
Sentenza n. 360 del 1996 .
Nel corso di una trasmissione televisiva dedicata a gravi delitti di mafia, il Sen. Mancuso, riferendosi ai soccorsi
prestati all' agente di scorta Lenin Mancuso, morto nell'agguato teso al giudice Cesare Terranova, accusava gravemente
il questore dott. Bruno Contrada : "Contrada fa sì che gli agenti non lo soccorrano, infatti viene soccorso
semplicemente molto tempo dopo, quando era molto più dissanguato: era come se gli mettesse la mano in bocca per
cercare di non farlo respirare ".
Nel corso del procedimento penale, iniziato a seguito della querela del dott. Contrada, il G.I.P. presso il Tribunale di
Palermo dichiarava manifestamente infondata l'eccezione di applicabilità dell'art. 68 Cost. , primo comma, inviando
copia dell’ ordinanza al Presidente del Senato , ai sensi dell'allora vigente d.l. 16 maggio 1994, n. 291. Successivamente
, il Senato deliberava l’ insindacabilità delle opinioni espresse dal Sen. Mancuso . Il Tribunale di Palermo , ciò
nonostante , disponeva la prosecuzione del dibattimento , appellandosi ad una serie di considerazioni di ordine
strettamente processuale.
210
Vedi le sentenze nn. 1150 del 1988 e 443 del 1993 .
209
- 46 -
dichiarazione immediata di applicabilità dell'art. 68 sollevando conflitto di attribuzione
davanti a questa Corte, con effetto sospensivo del giudizio pendente davanti a lui “.
Ciò premesso, la Corte non può che disapprovare la condotta del Tribunale di
Palermo, il quale aveva disposto la prosecuzione del dibattimento, nonostante fosse
intervenuta una deliberazione del Senato, che dichiarava l’ insindacabilità delle opinioni
espresse da un proprio membro: “ quale che sia la dottrina preferibile circa la natura
dell'irresponsabilità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell'esercizio delle
loro funzioni, è certo che alla deliberazione della Camera di appartenenza che la riconosce
è coessenziale l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di
responsabilità, penale o civile per il risarcimento dei danni (…). L'obbligo del giudice quando non ritenga di sollevare conflitto di attribuzione - di dichiarare immediatamente, in
ogni stato e grado del processo, la causa di irresponsabilità dell'imputato, affermata dalla
Camera di appartenenza, discende direttamente dalla norma costituzionale… L 'art. 68
Cost. sacrifica il diritto alla tutela giurisdizionale del cittadino che si ritenga offeso,
nell'onore o in altri beni della vita, da opinioni espresse da un senatore o deputato
nell'esercizio delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del Parlamento, poiché
costituisce, sul piano del diritto sostanziale, una causa di irresponsabilità dell'autore delle
dichiarazioni contestate, comporta, sul piano processuale, l'obbligo per l'autorità giudiziaria
di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti. Il
solo rimedio è dato dalla possibilità di controllo della Corte costituzionale sulla correttezza
della deliberazione: controllo che il giudice può promuovere col mezzo del conflitto di
attribuzione, ancora proponibile nel caso in esame, non essendo previsto alcun termine
dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953 ”.
In definitiva, la Corte ribadisce in modo assoluto che l’ unico strumento a
disposizione dell’ autorità giudiziaria per contestare la deliberazione della Camera di
appartenenza è il conflitto di attribuzioni, non certo la continuazione del processo. La Corte
Costituzionale diviene, per questa via, l’ organo decisivo nell’ individuare i limiti dell’
irresponsabilità dei parlamentari e, di conseguenza, il conflitto di attribuzione si prospetta
come rimedio univoco per verificare le pretese dei giudici e la correttezza delle decisioni
- 47 -
delle Camere, al fine di tutelare il principio di indipendenza ed autonomia del potere
legislativo nei confronti degli altri organi e poteri dello Stato211.
8.La Corte fa il punto sulla propria giurisprudenza: la sentenza n. 265 del 1997
Per meglio comprendere le tappe della vicenda in esame, va premesso che la
Camera dei deputati, su conforme proposta della Giunta, aveva deliberato la restituzione
degli atti all’ autorità giudiziaria212, in risposta ad una richiesta di autorizzazione a
procedere, inoltrata a seguito della querela presentata da un magistrato nei confronti dell’
On. Cafarelli213. Non aveva attribuito “efficacia inibente “ a quella deliberazione il Tribunale
di Foggia, nel pronunciare sentenza di condanna al risarcimento dei danni nei confronti
dello stesso parlamentare, convenuto per le medesime dichiarazioni, ma da un magistrato
diverso.
In relazione a questa sentenza, la Camera dei deputati proponeva conflitto di
attribuzione nei confronti del Tribunale “ per riaffermare - come recita l'atto introduttivo - il (
proprio ) potere di valutare la perseguibilità dei fatti commessi da un proprio membro,
definendo sia la natura del comportamento (espressione di opinioni e voti) sia la
sussistenza o meno della connessione tra lo stesso comportamento, divenuto oggetto del
giudizio civile, e l'esercizio della funzione parlamentare ". Tra l’altro, la Camera ricorrente
contestava al giudice ordinario l’ aver indebitamente disatteso la precedente delibera di
restituzione degli atti, nel presupposto che quella decisione si riferisse, comunque, allo
stesso fatto oggetto del giudizio civile.
211
MARTINELLI, cit. , p. 83
" Trattandosi di ipotesi rientrante nella fattispecie prevista dal primo comma dell'articolo 68 della Costituzione" :
così la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati.
212
213
Le dichiarazioni del deputato questo erano contenute in un esposto ( e poi confermate davanti al C.S.M. ) , con il quale il
parlamentare denunciava gravi irregolarità operate nell’amministrazione della giustizia nel circondario foggiano .
- 48 -
Nel decidere il caso de quo , sentenza n. 265 del 1997, la Corte Costituzionale
sanciva l’ inammissibilità del ricorso per assenza della materia del contendere. E’ utile,
tuttavia, seguire i passaggi che conducono a questa decisione.
Anzitutto, i giudici precisano che il primo comma dell'art. 68 Cost. non attribuisce
alle Camere “ un potere di tipo autorizzativo “, il cui esercizio condizioni l'esplicazione
della funzione giurisdizionale, in ordine alle condotte dei parlamentari alle quali esso si
riferisce; piuttosto, la norma costituzionale ha “ natura sostanziale, limitando la possibilità
di far valere in giudizio una ipotetica responsabilità del parlamentare per le opinioni
espresse nell'esercizio della funzione ”. Questa limitazione, secondo la Corte, vale
egualmente in ordine a qualunque sede giurisdizionale nella quale si pretenda di far valere
una responsabilità del parlamentare, e dunque anche in sede di giudizio civile: “ ciò é ora
fuori discussione, dopo che la legge costituzionale n. 3 del 1993, modificando l'art. 68,
primo comma, della Costituzione, ne ha sostituito l'originaria dizione, con una più
univocamente comprensiva ”.
Fatte queste premesse, la Corte prosegue riaffermando e ricomponendo i principi
espressi nella precedente giurisprudenza, in una logica unitaria in grado di guidare l’
interprete
nell’applicazione
della
guarentigia
costituzionale214.
“
Le
prerogative
parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono
disposte "215, per cui la prerogativa in questione " attribuisce alla Camera di appartenenza
il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro, con l'effetto, qualora sia
qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una
difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, sempre che il potere sia stato
correttamente esercitato "216.
La Corte ricorda che solo in conseguenza dell’ esercizio in concreto, da parte della
Camera di appartenenza del parlamentare, della propria potestà, si produce " l'effetto
inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilità, penale o
civile per il risarcimento dei danni ", discendendo direttamente dalla norma costituzionale "
l'obbligo per l'autorità giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di
adottare le pronunce conseguenti"217. Ma sul punto della sindacabilità può e deve, specie
214
GRISOLIA, cit. , p. 153 .
Sentenze n. 443 del 1993; n. 1150 del 1988 .
216
Sentenze n. 129 del 1996; n. 1150 del 1988.
217
Sentenza n. 129 del 1996.
215
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di fronte alla eccezione sollevata in giudizio, " pronunciarsi il giudice ordinario , ove manchi
ogni pronuncia della Camera di appartenenza del parlamentare "218.
In virtù dei principi enunciati , la Corte ritiene non condivisibile la prospettazione 219,
secondo cui l'autorità giudiziaria, la quale si trovi dinanzi ad una questione di sindacabilità
delle opinioni espresse da un parlamentare, sarebbe carente di giurisdizione senza la
previa deliberazione della Camera di appartenenza; se così non fosse, si arriverebbe “ a
ricostruire impropriamente il sistema nei termini di una sorta di
parlamentare,
pregiudizialità
che si imporrebbe in tutti i giudizi in cui si controverta di ipotetiche
responsabilità di un membro delle Camere, suscettibili di essere ricondotte ad una sua
manifestazione di opinione, collegabile all'esplicazione del mandato; e in definitiva a
configurare nuovamente una specie di
autorizzazione a procedere della Camera di
appartenenza, in assenza della quale non potrebbe essere esercitata la funzione
giurisdizionale ”. Solo dove sia intervenuta la deliberazione della Camera, adottata
nell'esercizio della potestà ad essa spettante, si produce l'effetto di obbligare il giudice ad
adeguarsi alla valutazione dalla stessa compiuta, a meno che egli non ritenga che la
Camera stessa, con la dichiarazione di insindacabilità, abbia illegittimamente esercitato il
proprio potere: per vizi in procedendo, oppure perchè mancavano i presupposti di detta
dichiarazione ( tra i quali , essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con
la funzione parlamentare ), ovvero perchè tali presupposti siano stati arbitrariamente
valutati220. In tal caso “ il giudice non é abilitato a disattendere direttamente la valutazione
dell'organo parlamentare, bensì può solo provocare il controllo della Corte costituzionale
sollevando conflitto di attribuzione ”.
Ecco, dunque, il ruolo della Corte Costituzionale nel bilanciamento delle
competenze della magistratura e del Parlamento: “Il giudice dei conflitti non é chiamato, e
non può esserlo, a pronunciarsi direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione
espressa da un parlamentare … Né la Corte può essere chiamata a rivedere - quasi come
un giudice dell'impugnazione - vuoi le sentenze pronunciate dai giudici, che abbiano fatto
erronea applicazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, vuoi le decisioni delle
Camere che abbiano deliberato in assenza o con erronea o arbitraria valutazione dei
relativi presupposti. Da un lato infatti il controllo delle pronunce dei giudici, anche sotto
questo profilo, spetta ai giudici delle eventuali impugnazioni e in definitiva all'organo di
218
Sentenza n. 443 del 1993.
Nel caso di specie , della ricorrente .
220
Sentenza n. 443 del 1993.
219
- 50 -
nomofilachia; dall'altro lato la deliberazione della Camera di appartenenza del
parlamentare, espressione della sua autonomia costituzionale, non é soggetta ad
impugnazioni, e ad essa il giudice é normalmente vincolato “.
La Corte può essere chiamata ad intervenire, solo quando sorga un contrasto fra la
valutazione espressa dall'organo parlamentare ed il contrario apprezzamento del giudice:
e dunque il giudizio della Corte “ può intervenire solo a posteriori e dall'esterno ”, in
funzione di risoluzione del conflitto in tal modo manifestatosi tra organo parlamentare e
giudice, nella veste di garante dell'equilibrio costituzionale, fra salvaguardia della potestà
autonoma della Camera e tutela della " sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria, su cui
la deliberazione parlamentare viene ad incidere inibendone l'esercizio”221.
Generale fu il consenso espresso dalla dottrina per questa pronuncia, specie
laddove essa bandiva definitivamente meccanismi , quali quelli della c.d. “ pregiudizialità
parlamentare “, che pure avevano contraddistinto la linea politica del Governo, attraverso i
ripetuti decreti legge di attuazione dell’ art. 68 Cost. Lo schema che , invece, si andava
delineando222, era quello di una doppia competenza223, tale per cui il magistrato avrebbe
potuto iniziare un’azione giudiziaria nei confronti del parlamentare, anche in assenza di
una preventiva investitura della Camera di appartenenza; solo laddove questa avesse
esercitato il proprio potere, dichiarando l’ insindacabilità delle opinioni espresse da un
proprio membro, quello stesso magistrato avrebbe avuto l’ obbligo di rispettare tale
221
Ciò premesso , la Corte passa all’ esame della vicenda de quo , valutando l’ammissibilità del ricorso , sotto il profilo
dell’ attualità della materia del contendere . In tal senso, essa non ritiene che il fatto, oggetto del giudizio civile dinanzi
al tribunale di Foggia, sia lo stesso fatto che fu oggetto, a seguito della querela del dott. Baldi, del procedimento penale
presso la Pretura di Roma , in riferimento al quale fu adottata la delibera della Camera. In definitiva, pur espresse nel
medesimo contesto ( esposto al C.S.M. ), le dichiarazioni dell' On. Cafarelli relative al dott. Baldi, e quelle relative al
dott. Picardi, mantengono la loro autonomia . In conclusione , la Corte Costituzionale dichiara inammissibile il conflitto
di attribuzione, dal momento che “ non può dirsi che la Camera abbia dichiarato l'insindacabilità delle opinioni del
parlamentare, che sono oggetto del giudizio civile instaurato davanti al Tribunale di Foggia, “ per cui “ ne discende
che la "materia" del conflitto non si é concretizzata “ .
Ne è conferma la sentenza n. 375 dl 1997 . Così la Corte Costituzionale : “ La Corte non é giudice
dell’impugnazione (…) non può rivalutare la ponderazione compiuta dalle Camere, ma soltanto accertare se vi sia
stato un uso distorto, arbitrario, del potere parlamentare, tale da vulnerare le attribuzioni degli organi della
giurisdizione o da interferire sul loro esercizio (…). Nel sistema delineato dalla norma costituzionale, spetta alle
Camere valutare la sussistenza delle condizioni dell’insindacabilità . E va altresì ricordato che la prerogativa
riconosciuta ai membri del Parlamento é, sul piano del diritto sostanziale, una causa che esonera dalla responsabilità
l’autore delle dichiarazioni contestate; e sul piano processuale vi é l’obbligo per l’autorità giudiziaria di prendere atto
della deliberazione parlamentare, fatta salva la possibilità di provocare il controllo della Corte costituzionale sulla
"correttezza" di essa ” .
222
MALFATTI, La giurisprudenza costituzionale e l’ insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari, in
Giur. Cost. 1997, p. 2449 .
.
223
- 51 -
pronuncia, salva la possibilità di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte
Costituzionale.
9.La funzione parlamentare e il nesso funzionale
Dopo la sentenza n. 1150 del 1988 , la Corte Costituzionale ha sempre limitato il
proprio giudizio su profili preliminari o di carattere procedurale, ciò che le ha permesso di
non entrare nel merito delle singole questioni224; l’ unica occasione in cui la Consulta era
giunta ad esprimere un giudizio sulla valutazione dell’ insindacabilità compiuta dagli organi
parlamentari, era stata la sentenza n. 443 del 1993225. In quella pronuncia, i giudici
costituzionali implicitamente avallavano la c.d. tesi intermedia, già sostenuta
nella
giurisprudenza parlamentare e dalla stessa dottrina , in forza della quale la garanzia
costituzionale include sia le opinioni espresse nelle sedi istituzionali , sia quelle che , pur
esposte fuori dall’ attività parlamentare, risultassero collegate mediante un rapporto di
connessione intensa e reciproca con un'altra opinione sicuramente insindacabile 226. Dopo
questa decisione la Corte ha evitato per molto tempo di tornare sull’ argomento.
La sentenza n. 375 del 1997 viene ricordata come la “ svolta “ nella giurisprudenza
costituzionale227, la quale entra per la prima volta nel merito del caso sottopostole,
affrontando il delicato problema dei limiti del potere delle Camere, nel valutare l’
insindacabilità delle opinioni espresse dai propri membri. Con questa decisione, la Corte
risolveva il conflitto promosso dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma contro la delibera del
Senato, con la quale si dichiaravano insindacabili le opinioni espresse dal Sen. Boso, nella
sala stampa di Palazzo Madama.
A differenza della vicenda esaminata nella sentenza n. 443 del 1993228, i giudici
della Consulta si trovavano, adesso, di fronte a giudizi che, pur prendendo spunto dal
dibattito parlamentare allora in corso, risultavano non collegati ad opinioni espresse dal
Sen. Boso durante i lavori parlamentari229.
Nella sentenza in esame, la Corte ribadisce gli orientamenti emersi dalla sentenza
n. 265 dello stesso anno, tra l’altro ricordando che essa “ non può rivalutare la
224
GRISOLIA, cit. , p. 163 .
Sulla vicenda vedi retro .
226
La ricostruzione è di GRISOLIA, cit. , p. 164 .
227
MARTINELLI, cit. , p. 148
228
Vedi la sentenza n. 443 del 1993, dove la Corte parla di “ fatti e circostanze di cui ( l’ On. Ricci ) era venuto a
conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni” .
229
Era in discussione la conversione di un decreto legge del Governo in materia di immigrazione, e le dichiarazioni del
Sen . Boso contenevano pesanti giudizi contro il coordinatore di un movimento di solidarietà per gli extracomunitari .
225
- 52 -
ponderazione compiuta dalle Camere“,ma soltanto accertare se vi sia stato “ un uso
distorto, arbitrario, del potere parlamentare “ , tale da vulnerare le attribuzioni degli organi
della giurisdizione o da interferire sul loro esercizio. Questa verifica ha per oggetto “ la
regolarità dell’iter procedurale “ e, nei limiti sopra indicati, la “ sussistenza dei presupposti
“ richiesti dal primo comma dell’art. 68, e cioè la “ riferibilità dell’atto alle funzioni
parlamentari “. Essa “ non é chiamata a giudicare sul merito della scelta parlamentare “,
ma solo ad “ accertare se vi sia stato corretto esercizio del potere parlamentare, o se la
valutazione dei presupposti per la sua applicazione risulti inconciliabile con la previsione
costituzionale, determinando invasione o interferenza con le attribuzioni giudiziarie ”.
Naturalmente questi principi ispirarono i giudici costituzionali, nella valutazione della
correttezza della delibera di insindacabilità approvata dal Senato, effettuata attraverso
l’analisi delle ragioni che avevano indotto l‘ Assemblea a disattendere le valutazioni della
Giunta ( che , al contrario , aveva ritenuto sindacabili le opinioni del senatore ). In
particolare la Corte manteneva tre punti fermi: a) le dichiarazioni del Sen. Boso erano
state rese nel periodo in cui si dibatteva sulla conversione di un decreto legge
sugli
immigrati extracomunitari; b) su quei temi, “ il confronto politico era talmente aspro da
impedire l’utile conclusione dei lavori in commissione; c) era vero che le dichiarazioni rese
dal parlamentare non erano “riproduttive degli interventi del senatore Boso in commissione
affari costituzionali, ove si esaminavano numerosi emendamenti, fra i quali ve ne erano
molti presentati dallo stesso Boso “. Ma, per il Senato esse erano “ divulgative di una
scelta politica, che si è tradotta in puntuali atti funzionali “230.
In considerazione di ciò, la Corte ritenne “ non arbitraria “ la valutazione effettuata
dal Senato, escludendo, quindi, che la deliberazione dell’ Assemblea rappresentasse “
esercizio arbitrario del potere parlamentare “, come tale “ invasivo delle attribuzioni degli
organi giurisdizionali “231.
Vedi. gli emendamenti menzionati e il disegno di legge sulla "regolamentazione dell’ingresso e della permanenza
degli extracomunitari nel territorio dello Stato", di iniziativa dei senatori Bedoni, Boso e altri, XII legislatura, n. 1780,
assegnato alla prima commissione congiuntamente al disegno di legge di conversione del citato decreto-legge n. 489 del
1995).
231
Molto critico nei confronti della Corte PETRANGELI , L’ insindacabilità parlamentare : una nuova fase
inaugurata con qualche incertezza , in Giur. Cost. 1997 , p. 3611 . Secondo l’ A. “ è assai arduo rintracciare una
connessione contenutistica tra gli emendamenti presentati dal senatore Boso sul tema dell’ immigrazione e il
comunicato stampa. Per legittimare la valutazione parlamentare la Corte arriva a forzare la ricostruzione del dibattito
svoltosi nell’ aula del Senato. Dalla lettura del resoconto della seduta non sembra , infatti , emergere nessuno di quegli
elementi sui quali la Corte afferma di fondare il proprio controllo di non arbitrarietà “ . Non v’è traccia , in tal senso ,
dell’asprezza del conflitto politico sul tema dell’ immigrazione , ma soprattutto non si fa accenno a quegli atti
230
- 53 -
Il punto di maggior pregio della decisione, come è stato sottolineato, è stato quello
di non limitarsi in negativo a definire la “non arbitrarietà “ delle valutazioni operate dall’
organo parlamentare, ma di motivare in positivo la propria scelta232, prendendo posizione
in modo chiaro nel dibattito relativo alla portata da attribuire alla funzione parlamentare 233.
Dopo aver ripercorso i passaggi principali delle sue precedenti sentenze234, la Corte
precisa: “la funzione parlamentare ha una dimensione peculiare nel sistema. Se essa non
si risolve negli atti tipici, e ricomprende quelli presupposti e consequenziali, non si può
però ricondurvi l’intera attività politica svolta dal deputato o dal senatore: tale
interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale posto dall’art. 68, primo
comma, e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale
“. La Corte Costituzionale accoglie la dottrina del nesso funzionale235: esso rappresenta,
infatti , “ il discrimine fra quell’insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono così
di frequente nell’attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della
particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ”. L’ indirizzo
così espresso dalla Corte sembrava sostanzialmente riconducibile a quello c.d.
intermedio236.
Ma ecco , infine , il monito per il futuro: “ Gli effetti della dichiarazione
d’insindacabilità - non limitata alla durata della legislatura - e i suoi innegabili riflessi
sull’esercizio della giurisdizione pongono, al tempo stesso, l’esigenza che le Camere si
attengano a canoni il più possibile chiari e univoci nell’esplicazione di detto potere ”.
10.I primi annullamenti di delibere di insindacabilità, adottate da un ramo del
Parlamento
funzionali, citati minuziosamente dalla Corte stessa, di cui le dichiarazioni del Sen. Boso avrebbero dovuto costituire
una divulgazione esterna .
Critico anche MARTINELLI, cit. , p. 149 . “ Qui la Corte sembra cadere in un equivoco : il legame intercorre
sicuramente tra la scelta politica e gli atti funzionali, ma non tra questi ultimi e le dichiarazioni lesive della reputazione
di un privato cittadino “ .
232
GRISOLIA, cit . , p. 177 .
233
GUARINI, L‘ ordine delle competenze di Camere e Autorità giudiziaria in materia di insindacabilità parlamentare,
in Rass. Parl. 1998, p. 952 .
234
Vedi nota n. 105
235
MARTINELLI, cit. , p. 148
236
GRISOLIA, cit. , p. 178 . PERTICI, E’ ancora la Camera d’ appartenenza il giudice dell’ insindacabilità dei voti
dati e delle opinioni espresse dai parlamentari , in Giur. Cost. 1997 , p. 3621 .
- 54 -
Il rischio che più facilmente poteva paventarsi, all’ indomani della sentenza n. 375
del 1997, era che la Corte Costituzionale cadesse nello stesso “ vizio “ della
giurisprudenza parlamentare: affermare in via di principio l’ esigenza del nesso funzionale,
ma garantire di fatto una interpretazione estensiva della prerogativa costituzionale237.
Questa impressione viene fugata con forza dalla sentenza n. 289 del 1998. Il
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale viene promosso, con ricorso del Tribunale di
Bergamo per conflitto di attribuzione238. Questo lamenta “ un uso non corretto del potere “,
spettante alla Camera di appartenenza, di decidere in ordine alla sussistenza dei
presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Nella specie, l’ On . Calderoli era stato convenuto davanti al Tribunale ricorrente, a
seguito di dichiarazioni ritenute diffamatorie, rese dal deputato nei riguardi dell’attore239. Il
Tribunale dichiarava, ai sensi del decreto-legge n. 69 del 1995, allora vigente, la manifesta
infondatezza della questione relativa all’applicabilità, eccepita dal convenuto, dell’art. 68,
primo comma, della Costituzione, e disponeva la trasmissione alla Camera dei deputati
dell’ordinanza e degli atti di parte240.
La delibera del gennaio 1996, con la quale la Camera dichiarava l’insindacabilità
delle opinioni espresse dal deputato Calderoli, sposava le considerazioni svolte nella
relazione della Giunta: si osservava che
le affermazioni del parlamentare “ traggono
spunto dalla sua posizione di deputato e di leader locale della Lega Nord “ e che fosse “
evidente
il collegamento tra gli apprezzamenti critici rivolti , tanto nei confronti del Capo
237
MARTINELLI, cit . , p. 151 . Vedi infatti le critiche alla sentenza indicate nella nota n. 114 .
Sorto a seguito della delibera adottata il 31 gennaio 1996 dalla Camera dei deputati , relativamente alla
insindacabilità delle opinioni espresse dall’ On. Calderoli, oggetto del giudizio civile promosso dal dott. Buonanno,
dinanzi al Tribunale di Bergamo .
239
Il dott. Buonanno, all’epoca dei fatti, era sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo e
aveva firmato una informazione di garanzia, ricevuta dal Calderoli l’8 novembre 1993, nella quale si ipotizzava il reato
previsto dall’art. 278 cod. pen., per avere quest’ultimo, nel corso di un comizio, qualificato il Presidente della
Repubblica "sagrestano" e per avere incitato i bergamaschi a fischiare lo stesso Presidente quando, dopo qualche
giorno, sarebbe giunto in visita a Bergamo.
Il dott. Buonanno aveva, successivamente, citato in giudizio il deputato Calderoli per dichiarazioni rese in una serie di
interventi pubblici (una conferenza stampa, una serie di trasmissioni televisive, un comizio), nel corso dei quali, come
espone il Tribunale ricorrente, il convenuto rivolgeva al dott. Buonanno personalmente od estesa alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, l’accusa di fare, anche per ragioni di carriera, un uso strumentale e politico
dell’azione penale, "perdonando alcuni pubblici amministratori o potenti, in forza o in ossequio ai rapporti di amicizia
o sudditanza o peggio ... e perseguendo invece ingiustamente gli esponenti politici appartenenti alla Lega Lombarda".
Il convenuto, si legge ancora nell’atto introduttivo del presente giudizio, muoveva altresì all’attore accuse di incapacità
professionale, ignoranza e inefficienza.
240
Anche il G.i.p. presso il Tribunale penale di Bergamo , dinanzi al quale l’ On. Calderoli veniva chiamato a
rispondere delle offese rivolte al Presidente della Repubblica , riteneva l’ eccezione , ex art. 68 Cost. , manifestatamene
infondata .
238
- 55 -
dello Stato quanto nei confronti della magistratura bergamasca , e l’attività parlamentare
svolta” dal deputato nella sede parlamentare, “ in quanto, tra l’altro, i temi trattati sono tipici
e caratteristici del gruppo parlamentare al quale il deputato appartiene ".
Al Tribunale ricorrente sfuggiva il
diretto collegamento tra gli apprezzamenti
diffamatori formulati nei confronti del dott. Buonanno, con l’attività svolta in sede
parlamentare dall’ On. Calderoli e dal suo Gruppo241.
La Corte costituzionale, come detto, è chiamata a decidere, se la Camera dei
deputati abbia fatto un uso non corretto del potere “ di decidere in ordine alla sussistenza
dei presupposti di applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo
del necessario collegamento delle opinioni espresse dal deputato con le funzioni
parlamentari “ e, conseguentemente, se debba essere annullata la deliberazione di
insindacabilità adottata il 31 gennaio 1996242. La Corte Costituzionale si è trovata in
questa occasione a valutare, per la prima volta, la specifica delibera della Camera,
esaminando gli atti prodromici, al fine di individuare il percorso logico che ha condotto l’
Assemblea a pronunciarsi in senso ostativo all’ accertamento giurisdizionale.
Preme, anzitutto, ai giudici della Consulta ribadire il principio per cui il giudice
costituzionale non é chiamato a riesaminare “ nel merito “ la valutazione compiuta dalla
Camera, ma deve verificare se vi sia stato un “ corretto esercizio del potere “243, riservato
alla Camera di appartenenza, di dichiarare l’insindacabilità del comportamento contestato
al membro del Parlamento, anche sotto il profilo della “ sussistenza e della non arbitraria
valutazione dei presupposti “, alla presenza dei quali il primo comma dell'art. 68
condiziona l'operare della prerogativa di irresponsabilità.
Nell’ ambito del sindacato sul corretto esercizio del potere delle Camere, costituisce
premessa ormai costante il principio per cui l’ insindacabilità “ non si estende a tutti i
Il Tribunale ricorrente osserva che "la sola attività parlamentare pertinente ... é rappresentata dall’interrogazione
presentata dallo stesso On. Calderoli il 22 giugno 1994, dalla quale non può in alcun modo farsi discendere il giudizio
di insindacabilità delle opinioni espresse dal convenuto ... in primo luogo, perchè trattasi di iniziativa assunta ben dopo
i fatti di causa ... ed inoltre perchè, seppure interpellanze ed interrogazioni costituiscano atti tipici del parlamentare
insindacabili ex art. 68 Cost., non altrettanto può dirsi per l’attività extraparlamentare che non si limiti alla diffusione
del contenuto di esse ".
242
Punto n. 1 , Considerando in diritto.
243
Si è osservato ( BONINI , Corriere Giuridico n. 3/1999 , p. 315 ) , che il controllo sul corretto esercizio del potere
riguarderebbe “ non tanto le conclusioni raggiunte nella decisone finale, ma la congruenza e la linearità delle
argomentazioni che a tale risultato hanno condotto, cosicché sarebbe individuabile una sorta di vizio di eccesso di
potere allorquando … dal dibattito dell’ aula…non sia dato modo di comprendere i motivi della sussunzione del caso
concreto nella fattispecie scriminante identificata dalla Costituzione “.
241
- 56 -
comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli funzionali all’esercizio
delle attribuzioni proprie del potere legislativo “. La Corte ricorda , infatti, che “ il nesso
funzionale costituisce il discrimine fra quell’insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che
ricorrono così di frequente nell'attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che
godono della particolare garanzia prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione
“244.
Ciò premesso, la Corte non ravvisa nella vicenda de quo, sia alla luce degli
elementi desumibili dalla delibera di insindacabilità e dalla relazione della Giunta in essa
richiamata, sia dalle deduzioni svolte dalla difesa della Camera, “ un collegamento tra le
espressioni contestate come diffamatorie al deputato e la sua attività parlamentare “. In
particolare, non é possibile “ rintracciare una connessione con atti tipici della funzione, né
risulta possibile individuare un intento divulgativo di una scelta o di un'attività
politico -
parlamentare “. In definitiva, il collegamento dei comportamenti contestati dinanzi al
giudice civile con l’ " attività parlamentare " richiamata nella relazione della Giunta, é “ una
pura affermazione apodittica, non suffragata da alcun puntuale riferimento “245.
Né può bastare, per una lettura in senso contrario, una interrogazione presentata
dal deputato Calderoli nel giugno 1994, in epoca successiva, quindi, al ricevimento
dell’avviso di garanzia all’origine delle dichiarazioni diffamatorie contestate al deputato. La
Corte Costituzionale, infatti, esclude che il collegamento funzionale possa ravvisarsi tra le
ripetute allusioni - pronunciate in occasione di comizi, conferenze stampa e trasmissioni
televisive - a scorrettezze od illeciti compiuti da magistrati, ed una interrogazione
successivamente rivolta al Ministro di grazia e giustizia 246.
244
Sentenza n. 375 del 1997 .
245
Invero, ricorda la Corte, dalla relazione della Giunta si legge semplicemente che " tutte le affermazioni rese dal
deputato Calderoli traggono spunto dalla sua posizione di deputato e di leader locale della Lega Nord " e che " é
apparso evidente alla Giunta il collegamento tra gli apprezzamenti critici ... rivolti, tanto nei confronti del Presidente
della Repubblica quanto nei confronti della magistratura bergamasca, e l’attività ... svolta nella sede parlamentare, in
quanto, tra l’altro, i temi trattati sono tipici e caratteristici del gruppo parlamentare al quale il deputato appartiene".
Esclude , tuttavia, la Corte che l’ asserita omogeneità tematica di tali apprezzamenti all’attività politica del gruppo
parlamentare di appartenenza possa, mancando l’indicazione di qualsiasi elemento di fatto, far derivare “ elementi
idonei a dimostrare la connessione funzionale richiesta come condizione di applicabilità dell’art. 68, primo comma,
della Costituzione ” .
“ per chiedere al medesimo se intenda promuovere attività ispettive volte ad accertare l’effettivo compimento delle
scorrettezze e degli illeciti stessi “ .
246
- 57 -
Le opinioni dell’ On. Calderoli furono preparatorie, e non consequenziali , all’
esercizio di attività istituzionali, e come tali non caratterizzabili per un collegamento
strumentale con quest’ ultime247, se non a costo di attrarre – come precisato in
conclusione dalla Corte - “ con indebita inversione …nell'area dell'insindacabilità la
divulgazione di gravi addebiti ( fatta ) nelle più diverse occasioni pubbliche, ma non nella
sede
parlamentare “. L’ attività preparatoria dovrebbe, a rigore, restare fuori dalla
garanzia costituzionale248, per l’ ovvia ragione, posta in luce ancora nella sentenza, che “
diversamente opinando, qualsiasi affermazione, anche ritenuta gravemente diffamatoria e
- ciò che conta - estranea alla funzione od all'attività parlamentare, potrebbe diventare
insindacabile a seguito della semplice presentazione in data successiva al fatto di
un’interrogazione ad hoc “. Il che , come sostenuto da un’ autorevole voce 249, proprio
perché contraddice quanto dalla Corte stessa ritenuto nella precedente sentenza n. 375
del 1997, e richiamato nella sentenza in esame250, costituisce dal punto di vista dei
principi, il più rilevante contributo alla giurisprudenza costituzionale in materia.
La conclusione che si poteva trarre per il futuro, era che il Parlamento, nel
dichiarare l’ insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, da una parte
avrebbe considerato solo le “specifiche “ funzioni parlamentari ( elettive, legislative e di
controllo) previste in Costituzione e nei regolamenti parlamentari 251; dall’altra, avrebbe
potuto includere nell’alveo della guarentigia prevista dall’art. 68 Cost., le attività “
divulgative “ ( ancorché effettuate fuori dalle Camere ) connesse alla presentazione di
disegni di legge, di emendamenti, di mozioni, di risoluzioni, di interpellanze, di
interrogazioni e di ogni altro atto compiuto in assemblea e nelle commissioni 252, purché tali
attività divulgative fossero conseguenti – e non più anche preparatorie - al compimento di
quegli atti politico – parlamentari253.
Per la
“ palese mancanza
di un nesso funzionale “ intercorrente tra i
comportamenti, di cui l’ On. Calderoli era chiamato a rispondere davanti al Tribunale di
247
GRISOLIA, cit. , p. 183
PACE, L’ insindacabilità parlamentare tra “ libertà della funzione “ e la verifica ( non più soltanto esterna ? ) del
“ corretto esercizio del potere” , in Giur. Cost . 1998 , p. 2218 .
249
PACE, op. ult. cit. , p. 2218 .
250
Vedi , infatti, 5.2 Considerato in diritto : “ Come attività libera nel fine e di natura generale… la funzione
parlamentare non si risolve solo negli atti tipici, ricomprendendo anche quanto di essi sia presupposto o conseguenza.
“ . Sottolinea la contraddizione anche GRISOLIA, cit. , nota 501 , p. 183 .
251
PACE, op. ult. cit. , p. 2218.
252
PACE, op. ult. cit. , p. 2218.
253
GRISOLIA , cit. , p. 185 .
248
- 58 -
Bergamo, e l'esercizio - anteriore o successivo a tali comportamenti - della funzione
parlamentare, la deliberazione di insindacabilità, adottata dalla Camera dei deputati il 31
gennaio 1996, fu giudicata “ lesiva delle attribuzioni del Tribunale stesso ” e annullata
nella parte in cui si riferiva ai fatti oggetto del processo civile.
L’ occasione per consolidare la nuova propensione della Corte Costituzionale ad
entrare nel merito delle questioni che le si ponevano di fronte, si presentò nella vicenda
decisa con la sentenza n. 329 del 1999, con la quale nuovamente veniva annullata una
delibera di insindacabilità della Camera dei deputati.
Nel corso di una intervista rilasciata ad un quotidiano, l’ On. Sgarbi accusava
pesantemente il critico d’ arte Bonito Oliva 254: a seguito di quelle dichiarazioni, il
parlamentare veniva convenuto in giudizio dalla persona offesa , per essere condannato
al risarcimento dei danni. Il giudizio in questione, pendente presso il Tribunale di Ferrara,
veniva sospeso a metà del 1994 in attesa della pronuncia della Camera dei deputati, in
accordo
alle
regole
allora
vigenti255.
La
Camera
dei
Deputati
dichiarava256,
successivamente, l’ insindacabilità delle affermazioni rese dal deputato.
Tuttavia, la successiva mancata conversione dell’ ultimo decreto legge, ingenerava
nel giudice ordinario la convinzione di poter proseguire l’ attività giudiziaria: di
conseguenza, la Camera dei deputati sollevava conflitto di attribuzione contro tale
decisione, con ricorso del gennaio 1998. A sua volta , con ordinanza del luglio 1998, era il
Tribunale di Ferrara a sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla precedente deliberazione, adottata il 14 settembre 1995, con la
quale era stata approvata la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di
dichiarare che i fatti, per cui era in corso il procedimento civile nei confronti dell’On. Sgarbi,
riguardassero opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni, a norma
dell’art. 68, primo comma, Cost. Entrambi i ricorsi venivano riuniti dalla Corte e decisi con
la sentenza in esame257.
Usando parole come “ incapace, animale, bestia , uno degli uomini più ignoranti…”
Decreto legge n. 291 del 1994 .
256
Delibera della Camera dei deputati del 14 settembre 1995 .
257
Dal n. 1 , Considerando in diritto: “ Il primo … é volto ad ottenere che la Corte: dichiari che il Tribunale non poteva
proseguire il giudizio civile di responsabilità dopo che era intervenuta la deliberazione di insindacabilità della
Camera; affermi la competenza esclusiva della Camera a pronunciarsi, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., sulla
sindacabilità delle opinioni espresse dai suoi componenti; annulli tutti gli atti compiuti dal Tribunale civile di Ferrara
dopo la deliberazione di insindacabilità . Il secondo ricorso … é volto ad ottenere che la Corte dichiari che non spetta
254
255
- 59 -
I giudici costituzionali si inseriscono nel solco tracciato dalle pronunce precedenti 258,
per ribadire che la “ connessione funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio delle
attribuzioni proprie del parlamentare ( è ) il presupposto di operatività della prerogativa di
cui all’art. 68, primo comma, Cost. Ancora una volta, si tiene fermo il principio per cui è il
nesso funzionale “ il discrimine fra le varie manifestazioni dell’attività politica di deputati e
senatori e le opinioni che godono della particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo
comma, Cost. ; con la conseguenza che non é possibile ricondurre nella sfera della
funzione parlamentare l’intera attività politica dei membri delle Camere, perchè tale
interpretazione allargata finirebbe per vanificare il requisito stesso del nesso funzionale,
trasformando la prerogativa in un privilegio personale ”.
Ciò premesso, la Corte contesta che nelle valutazioni della Giunta prima, e dell’
Assemblea poi , questi principi non siano stati rispettati. Nella relazione della Giunta si
legge, infatti, che la prerogativa costituzionale "copre" tutti i comportamenti riconducibili
all’attività politica lato sensu intesa del parlamentare, e si precisa, poi, che essa si applica
anche a comportamenti posti in essere fuori della sede parlamentare ( c.d. extra moenia )
e che la sua ricorrenza non é esclusa di fronte a giudizi " oggettivamente pesanti “. Ma ,
osservano i giudici della Consulta, “ l ’interpretazione della Giunta per le autorizzazioni a
procedere, fatta propria dalla Camera, vanifica così il requisito della connessione tra le
opinioni espresse dal parlamentare e le relative funzioni, in palese contrasto con il tenore
e la ratio della norma costituzionale di garanzia; requisito che, come più volte affermato da
questa Corte, costituisce l’indefettibile presupposto di legittimità della deliberazione
parlamentare di insindacabilità. Ricomprendere – come nel caso di specie – qualsiasi
comportamento o attività qualificata come politica nella sfera di insindacabilità assicurata
dall’art. 68, primo comma, Cost. a tutela della libertà e dell’indipendenza del potere
legislativo, prescindendo dal collegamento con l’esercizio della funzione parlamentare,
trasformerebbe, appunto, tale prerogativa in mero privilegio personale “.
Fin troppo facile , dunque , per la Corte statuire che , avendo la Camera dichiarato
l’insindacabilità “ sulla base dell’erroneo presupposto “ che la prerogativa costituzionale si
alla Camera di deliberare, "sulla base di criteri erronei", che i fatti per cui é in corso il giudizio civile di responsabilità
nei confronti del deputato Sgarbi concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, e
conseguentemente annulli la deliberazione di insindacabilità delle dichiarazioni rese dal predetto deputato nei
confronti del prof. Bonito Oliva, adottata dalla Camera in data 14 settembre 1995 a norma dell’art. 68, primo comma,
Cost. “
258
In particolare sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998
- 60 -
estende ad ogni attività politica del membro della Camera, prescindendo dal nesso
funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio del potere parlamentare, è “ illegittima la
deliberazione adottata dalla Camera il 14 settembre 1995 “ , nonché “
lesiva delle
attribuzioni dell’Autorità giudiziaria “.
In definitiva, si andava a delineare un quadro più preciso dell’ambito di applicazione
dell’ art. 68 Cost., tale per cui il parlamentare che agisce in assenza del necessario
collegamento funzionale, e al di fuori della sede istituzionale, non si distingue più dal
privato cittadino e, come tale , può rispondere delle proprie affermazioni; altrimenti , la
libertà di manifestazione del pensiero politico, avulsa dal legame con l’ esercizio delle
funzioni parlamentari, rischia di trasformarsi in una inammissibile libertà d’ offesa259.
11.Un punto a favore del Parlamento
Nel conflitto immediatamente successivo alle due pronunce di annullamento
esaminate, la Corte Costituzionale
sembra compiere un passo indietro. La vicenda
giudiziaria nasce da alcuni giudizi, ritenuti gravemente diffamatori, resi dal deputato
Parenti ad una agenzia di stampa, nei confronti di un magistrato della Procura di Milano, in
merito alla conclusione di una inchiesta, a suo tempo istruita dallo stesso parlamentare
nella veste di Pubblico ministero, con una richiesta di archiviazione260.
La sentenza n. 417 del 1999 risolve il conflitto di attribuzione sorto a seguito della
delibera della Camera dei deputati, del 22 ottobre 1997, con la quale veniva dichiarata
l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’ On. Parenti nei confronti del dott. Ielo. La
Giunta per le autorizzazioni a procedere
riteneva le dichiarazioni del deputato una
legittima “ critica “ nei confronti del potere giudiziario, che in quel lasso di tempo aveva
dato adito a censure, anche in sede parlamentare, circa il corretto uso dei poteri di
FURNO, Insindacabilità parlamentare per opinioni e voti e “ libertà di offesa” nella più recente giurisprudenza
costituzionale , in Giur. Cost. 1999 , p. 1125 .
260
“ Capisco le difficoltà di un pubblico ministero giovane come Ielo di appropriarsi di un’ indagine così complessa, e
infatti le sue giustificazioni evidenziano proprio la sua giovinezza e la sua inesperienza… mi auguro che le
modestissime giustificazioni siano dettate solo dalla giovane età e non dalla malafede, poiché è evidente la loro
risibilità a motivare l’ archiviazione di un procedimento così ampio … “ .
259
- 61 -
indagine, rivolti spesso verso determinate fazioni o partiti politici e senza intaccare altre
aree politiche261.
Premesso, ancora una volta , che il discrimine tra i giudizi e le critiche, che il
parlamentare manifesta nel più esteso ambito dell’attività politica, e per le quali non vale
l’immunità, e le opinioni coperte da tale garanzia è costituito dalla inerenza delle opinioni
all’esercizio delle funzioni parlamentari, la Corte Costituzionale, nel valutare tale inerenza
con riferimento alle dichiarazioni l’On. Parenti, giudica corretta la valutazione fatta dalla
Giunta, e ribadita poi in Assemblea. Una scelta poco felice , se successiva a due pronunce
nelle quali la Corte aveva imboccato con decisione la strada del restringimento
interpretativo del nesso funzionale262.
Nella decisione in esame, infatti, da una parte la Corte mantiene fermo il principio
per cui “ l’atto o le opinioni per le quali non si può essere chiamati a rispondere devono
integrare manifestazioni dell’esercizio di funzioni parlamentari, le quali non si estrinsecano
in ogni attività, sia essa pure politica, del soggetto titolare di quelle funzioni “263; dall’altra
considera “ il complessivo contesto parlamentare ”, nel quale furono manifestate le
espressioni di critica nei confronti del potere giudiziario, nonché “ il dibattito politico “, nel
quale la dichiarazione dell’On. Parenti fu enunciata, per concludere che “ non
irragionevolmente “ le dichiarazioni dell’On. Parenti fossero state ascritte all’ esercizio
delle funzioni proprie della parlamentare.
I giudici costituzionali si accontentano di una estrinsecazione di quel nesso
funzionale talmente estensiva, da garantire l’ insindacabilità per tutte le opinioni
latatamente politiche del parlamentare, con il limite che le dichiarazioni siano rese in un
contesto politico, siano espressione di un dibattito, di un contrasto, di una polemica, di una
tematica cara al loro partito di appartenenza264.
Così la Giunta per le autorizzazioni a procedere : “ La Giunta ha ritenuto che le opinioni espresse dall’ On. Parenti
rientrino in un contesto politico in quanto , a prescindere dall’ esistenza di pregressi atti parlamentari, quali
interrogazioni o interpellanza presentate dall’ On. Parenti, ci troviamo in un preciso esercizio del diritto di critica
espresso da un deputato nei confronti di un potere giudiziario che proprio in quel contesto storico aveva dato adito a
censura circa il corretto uso dei poteri di indagine rivolti verso una determinata fazione o partito politico e che non
aveva intaccato altre aree politiche con quella azione investigativa che prima la Procura di Milano aveva condotto con
una certa incisività “ ( Camera dei Deputati, XIII Leg. , Doc. IV-ter , n. 44-A ) .
262
MARTINELLI, cit. , p. 167
263
Sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998 .
264
MARTINELLI, cit. , p. 168 . Giudizio favorevole su questa pronuncia si trova in GRISOLIA, cit. , p. 189 : “ Non
si può … non sottolineare come la Corte abbia fondato le proprie decisioni, mantenendosi fedele … alla ricostruzione
delle vicende, così come esse risultavano descritte negli atti parlamentari ( e segnatamente nella relazione con la quale
la giunta aveva proposto all’ assemblea la delibera di insindacabilità ) . E ciò ad ulteriore conferma di un criterio
metodologico…fondato sul rigoroso rispetto delle argomentazioni delle Camere, accolte senza mettere in discussione,
con autonome valutazioni, il supporto argomentativo posto a fondamento delle loro scelte “ .
261
- 62 -
12.La Corte Costituzionale mette la parola fine, restringendo l’ambito di operatività
del nesso funzionale
I principi enunciati nella copiosa giurisprudenza costituzionale non si erano mai
rivelati decisivi, né per delineare i confini del comma primo dell’art. 68 Cost. , né per
arginare il proliferare dei conflitti di attribuzione tra Camere e magistratura. Il Parlamento,
dal canto suo, ignorava le indicazioni provenienti dalla Corte sull’ interpretazione della
norma costituzionale, continuando ad applicare la prerogativa in senso estensivo e
alimentando, così , i ricorsi dei giudici ordinari265; la stessa Corte non era esente da colpe,
non mancando decisioni nelle quali il criterio del nesso funzionale era stato “ forzatamente
“ applicato: su tutte le sentenze n. 375 del 1997 e 417 del 1999266.
I casi decisi dai giudici costituzionali, con le “ storiche ” sentenze n. 10 e 11 del
gennaio 2000267, riguardavano esternazioni dell’ On. Sgarbi, con le quali egli aveva
gravemente diffamato l’ onorabilità del dott. Caselli268 e del dott. Di Pietro269.
Con la sentenza n. 10, la Corte disegna con contorni meno sfumati il proprio ruolo
in sede di risoluzione dei conflitti tra Parlamento e magistratura ordinaria, in un giudizio
che verte “ sulla tutela delle rispettive sfere di attribuzioni, ed investe la controversia
265
MARTINELLI, cit. , p. 175 . Per una aggiornata giurisprudenza parlamentare si veda LASORELLA, Le opinione
espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari ex art. 68, primo comma , della Costituzione, tra Camere, giudici e
Corte Costituzionale, in Giur. Cost. 1999, pag. 485 .
266
MARTINELLI, cit. , p. 175 .
267
PACE, L’ art. 68 Cost. e a scolta interpretativa della Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 10 e 11 del 2000 , in
Giur. Cost. 2000 , p. 85 : “ A mia memoria…è la prima volta che la Corte Costituzionale muta la propria
giurisprudenza su un dato problema, delineando il nuovo indirizzo interpretativo non in una, ma in due contemporanee
( starei per dire: contestuali) decisioni, a loro volta redatte non dallo stesso giudice, ma da giudici diversi…E ciò,
quasi a voler ribadire la coralità e l’ importanza del mutamento di rotta “ .
268
La prima vicenda riguardava le dichiarazioni rilasciate a due agenzie di stampa dall’ On. Sgarbi, con le quali il
deputato muoveva al Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo Caselli , l’ accusa di aver
strumentalizzato il processo contro il senatore a vita Andreotti, a fini esclusivamente politici e annunziava che avrebbe
denunciato il Caselli per “truffa aggravata e abuso d’ufficio per aver utilizzato il proprio ruolo per un’azione politica”.
Il Tribunale di Roma, davanti al quale pendeva il procedimento penale a carico del deputato, promuoveva conflitto di
attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione di detta Camera, adottata il 16
settembre 1998, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, con la quale si era dichiarato che i
fatti per i quali è in corso il predetto procedimento penale concernessero opinioni espresse dal deputato nell’esercizio
delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
269
La vicenda riguardava le dichiarazioni rese dal deputato , nel corso del programma televisivo "Sgarbi quotidiani",
con le quali accusava il dott. Di Pietro di aver beneficiato di un appartamento ad un canone di locazione ritenuto esiguo,
sfruttando la propria posizione pubblica . Il Tribunale di Bergamo, presso il quale pendeva il procedimento penale ,
sollevava conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, chiedendo l'annullamento della
deliberazione, adottata dall'Assemblea nella seduta del 17 giugno 1998, con la quale era stata dichiarata l'insindacabilità
delle dichiarazioni rese dal parlamentare .
- 63 -
sull’applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, originata dal contrasto tra la
valutazione della Camera e quella dell’autorità giurisdizionale procedente “.
La Corte ritiene di non potersi limitare a verificare “ la validità o la congruità delle
motivazioni “, con le quali la Camera di appartenenza del parlamentare abbia dichiarato
insindacabile una determinata opinione; va “ precisato e in parte
corretto “ quanto
affermato dalla pregressa giurisprudenza costituzionale, in merito ai caratteri che deve
assumere il controllo sulle deliberazioni delle Camere: i giudici della Consulta non
possono verificare la correttezza di una pronuncia di insindacabilità “ senza verificare se,
nella specie, l’insindacabilità sussista, cioè se l’opinione di cui si discute sia stata espressa
nell’esercizio delle funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si
desume dalla Costituzione ”270. Nella sostanza, la Corte riconosce al proprio controllo, e al
consequenziale giudizio, la potestà di sovrapporsi alla sostanza delle delibere
parlamentari271, rivedendo ufficialmente quanto da essa asserito nelle sentenze
precedenti272.
La Consulta, invece, non smentisce se stessa, nel ribadire che l’ insindacabilità non
copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della propria attività
politica, ma solo “ quelle legate da nesso funzionale con le attività svolte nella qualità di
membro delle Camere “273. Ma la Corte avverte, per la prima volta, l’ esigenza “ di
precisare, rispetto alla precedente giurisprudenza, ed anche in vista di esigenze di
certezza, quando ricorra tale nesso funzionale “, e quindi, in concreto, come stabilire se il
comportamento del parlamentare rientri, o meno, nelle previsioni dell’ art. 68 della
Costituzione274.
Per questa via, “ è pacifico che costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della
funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in
occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera
medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle
Ancora : “ La Corte è chiamata a decidere se le dichiarazioni dell’ On. Sgarbi possano dirsi, ed eventualmente in
quali limiti, rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari ” .
271
VERONESI , Per essere insindacabili fuori dalle Camere occorre “ l’ identità sostanziale” dei contenuti, in
Diritto e Giustizia n. 3/2000 , p. 20 : ” Se nelle precedenti sentenze la Corte tentava, con alterno successo, di
circoscrivere il proprio controllo sulle delibere parlamentari ai soli casi limite…ritenendosi comunque vincolata,
almeno nella forma , ad un controllo rigorosamente esterno e mai di merito, qui essa cambia registro…” .
272
Vedi , ad esempio, la sentenza 265/97 ( n. 6 Considerato in diritto ) : “ Il giudice dei conflitti non é chiamato, e non
può esserlo, a pronunciarsi direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un parlamentare ” .
273
Vedi anche le sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 329 e n. 417 del 1999 .
274
VERONESI , cit. , p. 21
270
- 64 -
facoltà proprie del parlamentare, in quanto membro dell’
assemblea “. Al contrario, l’
attività politica svolta dal parlamentare, al di fuori di questo ambito ( es. interviste,
conferenze stampa, trasmissioni televisive, comizi ) 275 non può automaticamente, “ di per
sé considerarsi esplicazione della funzione parlamentare, nel senso preciso cui si riferisce
l’art. 68, primo comma, della Costituzione “. Infatti, le opinioni che il parlamentare esprima
“ fuori dai compiti e dalle attività proprie delle assemblee ”, rappresentano piuttosto
esercizio della libertà di espressione, comune a tutti i consociati.
“ La linea di confine fra la tutela dell’autonomia e della libertà delle Camere, e, a tal
fine, della libertà di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli
interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall’espressione di opinioni,
dall’altro lato, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell’ambito
della prerogativa. Senza questa delimitazione, l’applicazione della prerogativa la
trasformerebbe in un privilegio personale “276. Ma tale delimitazione verrebbe vanificata ,
se si accettasse “ una definizione della funzione del parlamentare così generica da
ricomprendervi l’attività politica che egli svolga in qualsiasi sede, e nella quale la sua
qualità di membro delle Camere sia irrilevante ”.
Da quanto osservato fino ad ora, discende che non è sufficiente la “ comunanza di
argomento ”, fra la dichiarazione che si pretende lesiva277 e le opinioni espresse dal
deputato o dal senatore in sede parlamentare, per fondare l’estensione alla prima della
immunità che copre le seconde; né può bastare a tal fine la “ ricorrenza di un contesto
genericamente politico “ in cui la dichiarazione si inserisca. Questo tipo di collegamenti
non può riuscire a conferire carattere di attività parlamentare a manifestazioni di opinioni
che sono “oggettivamente “ ad essa estranee. D’altra parte, secondo i giudici della
Consulta, è inevitabile negare che l’espressione di opinioni nelle più diverse sedi pubbliche
costituisca esercizio di funzione parlamentare, per cui sarebbe “ contraddittorio “ dall’altro
lato ammettere che essa acquisti tale carattere, in forza di “ generici collegamenti
contenutistici con attività parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere ”.
Il nesso funzionale tra la dichiarazione e l’attività parlamentare, che deve
riscontrarsi per poter affermare l’insindacabilità, va ricostruito, secondo la Corte, “ non
come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attività parlamentare e
275
VERONESI , cit. , p. 21
Ribadito il principio scolpito nella sentenza n. 375 del 1997 .
277
Nel caso in questione, dichiarazioni rese a due agenzie di stampa .
276
- 65 -
dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa, quale espressione di
attività parlamentare “278.
Sin qui le affermazioni di principio, la cui applicazione avrebbe dovuto governare la
risoluzione del conflitto sollevato dal Tribunale di Roma. Passando alle accuse mosse dall’
On. Sgarbi contro il giudice Caselli, la Corte le ritiene opinioni estranee all’ esercizio delle
funzioni parlamentari. Nonostante fosse vero , come precisato dalla Giunta, che la
questione, oggetto delle esternazioni contro il dott. Caselli, avesse costituito anche
l’argomento di alcune interrogazioni parlamentari presentate dall’ On. Sgarbi, la Corte non
ritiene sufficiente “ il mero collegamento di argomento con atti di sindacato ispettivo ”,
essendo al contrario necessario , perché le dichiarazioni siano coperte dall’ immunità, che
queste siano “ sostanzialmente riproduttive di un’opinione espressa in sede parlamentare
“279.
“ L’ opinione espressa nell’esercizio della funzione non è protetta da immunità solo
nell’occasione specifica in cui viene manifestata nell’ambito parlamentare, ricadendo al di
fuori della sfera della prerogativa se venga riprodotta in sede diversa. L’immunità riguarda
non già solo l’occasione specifica in cui le opinioni sono manifestate nell’ambito
parlamentare, ma il contenuto storico di esse, anche quando ne sia realizzata la diffusione
pubblica, in ogni sede e con ogni mezzo “. La pubblicità, secondo la Corte, è la naturale
destinazione
che caratterizza le attività e gli atti del Parlamento: ciò comporta che “
l’immunità si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l’opinione venga riprodotta, al
di fuori dell’ambito parlamentare “.
Conclude la Corte: “ nel caso di riproduzione all’esterno della sede parlamentare, è
necessario, per ritenere che sussista l’insindacabilità, che si riscontri la identità sostanziale
di contenuto fra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede
esterna ”. Non una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di
contenuti280.
Osserva MARTINELLI, cit. , p. 174 : “ Nella sua precedente giurisprudenza, la Corte aveva avuto modo di
indicare questo elemento come spartiacque tra generiche manifestazioni dell’attività politica e comportamenti
riconducibili alla particolare garanzia di cui all’ art. 68 Cost., primo comma, ma mai ne aveva proposto una
definizione così puntuale e restrittiva “ .
279
A condizione che – precisa GRISOLIA, cit. , p. 197 - le esternazioni risultino “ successive e non antecedenti, a
quelle poste in essere all’ interno delle Camere “ , in omaggio a quanto detto dalla Corte Costituzionale nella sentenza
n. 298 del 1998 .
280
Nel caso di specie, la Corte riteneva irrilevante il richiamo alla interrogazione n. 3/00937,
presentata dall’
On. Sgarbi un anno prima delle dichiarazioni contestate , in quanto l’
“ oggetto e il contenuto di tale atto
ispettivo…non hanno … più che un generico collegamento tematico con il contenuto delle dichiarazioni in questione “.
278
- 66 -
Lo stesso 11 Gennaio 2000, la Corte decideva l’ altro ricorso presentato dal
Tribunale di Bergamo, in merito alle dichiarazioni dell’ On. Sgarbi nei confronti del dott. Di
Pietro. Certa l’ esigenza del collegamento tra la manifestazione dell'opinione e la funzione
parlamentare, “ non sempre agevole – secondo i giudici della Consulta- risulta
l'individuazione in concreto dei criteri identificativi dei comportamenti strettamente
funzionali all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo “.
Ribadita la propria funzione, in sede di risoluzione del conflitto di attribuzione tra
Camere e magistratura281, la Corte Costituzionale conferma un passo molto importante
della sentenza n. 10, e cioè che essa “ non può limitarsi ad esaminare la valutazione o la
congruità delle motivazioni - talvolta neppure espresse - adottate dalla Camera di
appartenenza, ma deve necessariamente, dovendo giudicare sul rapporto tra le rispettive
sfere di attribuzione dei poteri confliggenti, accertare se, in concreto, l'espressione
dell'opinione in questione possa o meno ricondursi a quell' esercizio delle funzioni
parlamentari, il cui ambito, trattandosi di norma costituzionale, spetta alla Corte definire “.
La Corte smentisce il suo passato, con più forza rispetto alla sentenza n. 10, quando
afferma che il proprio controllo “ investe direttamente il merito della controversia
costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo comma…( e in particolare ) si
esplica sull'apprezzamento della Camera di appartenenza in ordine alla sindacabilità delle
dichiarazioni del parlamentare pur sempre … in posizione di terzietà “282.
Sono certamente compiuti nell'esercizio delle funzioni, gli atti svolti all' interno dei
vari organi parlamentari o anche paraparlamentari (quali, ad esempio, i "gruppi" ); tuttavia,
ai fini dell’ estensione dell’ insindacabilità anche “ agli atti compiuti al di fuori dell’ambito
dei lavori dei predetti organi “, è necessario, essendo questa forma di insindacabilità
significativamente circoscritta, nella previsione costituzionale, all'esercizio di funzioni
Rispetto alle interrogazioni n. 3/00009 e n. 3/00010, presentate dall’ On. Sgarbi nei giorni immediatamente successivi
alle dichiarazioni, la Corte conviene “ con la difesa della Camera che, vi è sostanziale contestualità fra le une e le
altre” . Tuttavia, “ le dichiarazioni non possono considerarsi come divulgazione del contenuto delle interrogazioni, in
quanto la sostanziale corrispondenza di contenuto fra le une e le altre è solo parziale “.
Rispetto alle dichiarazioni dell’ On . Sgarbi , la Corte riconosceva una parte “ priva di sostanziale corrispondenza con
il contenuto degli atti ispettivi citati “ , come tale non inquadrabile tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni
parlamentari. In relazione a tale parte, veniva annullata la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei
deputati.
281
Cioè accertare “ se dall'esercizio illegittimo da parte di uno dei poteri confliggenti risulti lesa o menomata una
competenza costituzionalmente spettante all'altro “ e , in particolare , “ se l'esercizio della potestà spettante alla
Camera di appartenenza … abbia determinato, per vizi del procedimento o in ragione dell'insussistenza o
dell'arbitrarietà della valutazione dei presupposti richiesti per esercitare tale potere, la lamentata, illegittima
interferenza nelle attribuzioni dell'autorità giudiziaria ” .
282
Vedi nota n. 153 e 154 .
- 67 -
parlamentari, “verificare , in base a specifici criteri, più complessi rispetto a quello della
mera localizzazione dell'atto “, l'esistenza di un nesso funzionale stretto tra espressione di
opinioni e di voti ed esercizio delle funzioni parlamentari. Ancora una volta, il nesso
funzionale viene inteso dalla Corte, non come " semplice collegamento di argomento o di
contesto fra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità della
dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare"283. Nel caso di
riproduzione all' esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni, già rese da deputati e
senatori nell'esercizio delle proprie funzioni, si può riconoscere l’ insindacabilità “ solo ove
sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare, non
essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche “.
In particolare , nella vicenda in esame , il cui oggetto riguarda dichiarazioni rese dal
deputato Sgarbi nel corso di un programma televisivo, la Corte si muove senza più alcuna
incertezza, nel senso di dover accertare “ la corrispondenza di contenuti con un atto
parlamentare , precedente o sostanzialmente contestuale “ alle dichiarazioni rese dall’ On.
Sgarbi284.
13.Il consolidamento del nuovo orientamento nelle pronunce più recenti
La Corte Costituzionale ha ribadito più volte che l’ individuazione del nesso
funzionale
283
dipende dal collegamento, intercorrente tra gli atti tipici della funzione
Principio mutuato dalla sentenza n. 10
In concreto , la Corte rileva che dalle decisioni della Giunta, e dell’ Assemblea poi , risulta che le dichiarazioni del
deputato Sgarbi erano state pronunciate fuori del Parlamento e non "nel contesto di iniziative parlamentari tipiche". Le
stesse dichiarazioni non si possono neppure considerare connesse con alcuna forma di esercizio di funzioni
parlamentari, giacché “ non è individuabile quale specifico atto parlamentare adottato dal medesimo deputato esse
riproducessero “ , essendo invece soltanto genericamente ricollegabili alla sua "attività politica intesa in senso lato” .
Le dichiarazioni dell' On. Sgarbi “ non possono pertanto, per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio
delle funzioni parlamentari e quindi per esse non è invocabile l'immunità “ .
284
- 68 -
parlamentare e le opinioni espresse al di fuori di questa sede: in questo modo, il baricentro
dell’ interpretazione dell’art. 68 viene individuato in questo nesso, nelle sue caratteristiche
di minore o maggiore correlazione tra l’ atto tipico e l’ espressione esterna. La novità delle
sentenze n. 10 e 11 del 2000 consiste, invece, nello spostare questo baricentro
direttamente sull’atto tipico parlamentare, cui si può aggiungere, nell’ applicazione della
prerogativa, solo la riproduzione o, al più , una divulgazione del contenuto storico dell’atto,
senza ulteriori aggiunte285.
L’analisi delle sentenze, successive a quelle del gennaio 2000, conferma la volontà
della Corte Costituzionale di cambiare decisamente rotta nell’ interpretazione e
nell’applicazione dell’ insindacabilità parlamentare. Si tratta di decisioni chiamate a
risolvere conflitti, nella maggior parte delle ipotesi promossi dalla magistratura ordinaria,
che hanno ad oggetto delibere parlamentari antecedenti alle sentenze nn. 10 e 11; per
questa ragione, la Corte Costituzionale si è trovata di fronte a pronunciamenti degli organi
parlamentari, che non avevano potuto, ancora, “ adeguarsi “ al ( o prendere atto del )
restringimento interpretativo operato dalla Corte. In questo paragrafo verranno citati alcuni
passaggi fondamentali delle sentenze più recenti.
Nella sentenza n. 56 del 2000, la Corte , decidendo il conflitto di attribuzione
sollevato dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno 286, afferma
tra l’altro: “ Questa Corte é chiamata ad accertare se le dichiarazioni rese dal deputato
Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva del 24 gennaio 1995, …possano essere
legittimamente ricomprese nelle funzioni parlamentari, e se l’affermazione della
prerogativa da parte delle Camere rispetti il nesso funzionale tra la dichiarazione e l’attività
parlamentare richiesto dall’art. 68, primo comma. […] Nel normale svolgimento della vita
democratica, le opinioni che il parlamentare espone al di fuori dell’ ambito funzionale
rappresentano esercizio della libertà di espressione comune a tutti i consociati, alle quali
non può quindi estendersi (senza snaturarla) la prerogativa introdotta dall’art. 68, primo
comma, della Costituzione. Non é infatti compatibile con l’impianto della nostra Carta
costituzionale un’accezione della funzione parlamentare che ricomprenda l’attività politica
svolta in qualsiasi sede e nella quale sia irrilevante la qualità di membro delle Camere …
Deve esservi, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e l’attività parlamentare:
285
MARTINELLI, cit . , p. 180 .
A seguito della delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997, relativa alla insindacabilità delle opinioni
espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dottor Luigi Esposito.
286
- 69 -
nesso che può legittimamente essere affermato dalle Camere anche quando le
dichiarazioni
siano
sostanzialmente
riproduttive
dell’opinione
sostenuta
in
sede
parlamentare “287.
Lo stesso giorno, la Corte Costituzionale decideva ( sentenza n. 58 del 2000 ) il
conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Bergamo288, ancora affermando: “
trattandosi, nella specie, di opinioni espresse al di fuori dell'ambito dei lavori parlamentari,
va riscontrata l'esistenza del nesso funzionale … Le dichiarazioni in questione, rese fuori
delle Camere, non riproducono il contenuto di nessuno specifico atto parlamentare,
cosicché non sono identificabili come espressione di attività parlamentare del deputato
Sgarbi . Manca , dunque, ai fini del riconoscimento dell'insindacabilità, il requisito del
nesso funzionale tra opinioni espresse dal parlamentare ed esercizio delle relative funzioni
”289.
Ancora nella sentenza 82 del 2000, con la quale la Corte risolveva il conflitto
sollevato dal Tribunale di Roma290, si legge: ”Con stretto riguardo alla verifica
dell'esistenza di questo nesso funzionale …è sufficiente e decisivo rilevare che le stesse
[dichiarazioni], rese fuori delle Camere, non riproducono né divulgano il contenuto di
alcuno specifico atto di natura parlamentare, cosicché non sono identificabili come
espressione dell'attività del deputato, ma semmai di critica politica”.
La sentenza 320 del 2000 decide il conflitto di attribuzione, sollevato dal G.I.P.
presso il Tribunale di Reggio Calabria 291. Essa merita particolare attenzione, da una parte
perché la Corte, nel ribadire la necessità che la dichiarazione resa da un parlamentare sia
Nel caso esaminato dalla Corte , “ le circostanze in cui ha avuto luogo la dichiarazione dell’onorevole Sgarbi
confermano la sua estraneità all’ambito funzionale: si tratta di valutazioni compiute quale "opinionista" nel corso di una
trasmissione televisiva, senza alcuna specifica connessione con dibattiti parlamentari, interrogazioni, inchieste,
discussioni di progetti di
legge .… Mancando palesemente il nesso funzionale richiesto dall’art. 68, primo
comma, della Costituzione, la delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997 risulta illegittima e deve essere
annullata per invasione dell’ambito di attribuzioni costituzionalmente garantito all’autorità giudiziaria “ .
287
288
A seguito della delibera della Camera dei deputati in data 25 giugno 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni
espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti della dott.sa Gemma Cotti Cometti .
289
“ Per queste ragioni le opinioni espresse, nella fattispecie in esame, dal deputato Sgarbi non possono ritenersi rese
nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi rispetto ad esse non é applicabile l'immunità, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione. La Camera dei deputati, adottando la deliberazione in oggetto ha pertanto
interferito, in modo illegittimo, nella sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria ricorrente e conseguentemente deve
essere disposto l'annullamento della predetta deliberazione ”.
290
A seguito della delibera della Camera dei deputati del 30 settembre 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni
espresse dall' On. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Antonio Abrami.
291
A seguito della delibera del 9 dicembre 1998 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni
espresse dall’On. Amedeo Matacena nei confronti del dott. Vincenzo Macrì.
- 70 -
“espressione di attività parlamentare ”, precisa che ciò avviene “ se e in quanto sussista
una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori
dell'esercizio delle attività parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni già
espresse nell'ambito di queste ultime; dall’altra, essa rappresenta la prima decisone nella
quale la Consulta, avendo riscontrato la corrispondenza sostanziale tra le dichiarazioni
rese dal parlamentare e gli atti compiuti nell'esercizio della funzione292, risolve il giudizio in
favore della Camera dei deputati, confermando la legittimità della contestata delibera di
insindacabilità293.
Nella sentenza n. 137 del 2001, con cui è deciso il conflitto sollevato dalla Corte d’
Appello di Milano294, la Corte si interroga se “le manifestazioni verbali e i comportamenti
materiali tenuti in occasione di una perquisizione nella sede di un partito politico, e
qualificati dall' Autorità giudiziaria come oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oggetto
delle deliberazioni d'insindacabilita' cui si riferisce il presente conflitto, siano identificabili
come espressione di attività parlamentari “. Ancora una volta la Corte, pur confermando
la necessità di una “ sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni e l'atto
parlamentare tipico “, si trova ad annullare la deliberazione della Camera dei deputati: “ La
prerogativa parlamentare non può, infatti, essere estesa sino a comprendere gli insulti - di
cui e' comunque discutibile la qualificazione come opinioni- solo perché collegati con le
battaglie condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche; così
argomentando, il nesso funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra espressioni
Nella specie, “ il contenuto delle dichiarazioni affidate alla stampa dal deputato Matacena corrisponde a quanto
affermato dallo stesso nell’interrogazione parlamentare presentata il 31 luglio 1996”.
292
293
Altre sentenze, in cui i ricorsi sono decisi in favore di un ramo del Parlamento, sono la n. 50 del 2002 ( “ … Il
contenuto del diffuso atto parlamentare presenta … non soltanto aspetti di sostanziale corrispondenza, ma addirittura
… espressioni di pressoché totale identità, rispetto alle dichiarazioni rese alla agenzia di stampa… Tanto basta, quindi,
a rendere pienamente legittima la deliberazione assunta dalla Camera dei deputati in ordine alla insindacabilità, ai
sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’ On. Gasparri “ ) , la n. 79 del 2002 (
“… non vi é dubbio che tra le dichiarazioni … contenute nell'intervista rilasciata al quotidiano "La Repubblica" e le
opinioni espresse nell'intervento dell' On. Pisanu alla Conferenza dei capigruppo vi é non solo sostanziale
corrispondenza, ma testuale e letterale coincidenza…E' dunque ravvisabile piena <<identificabilità>>, anzi totale
coincidenza tra le dichiarazioni rese fuori del Parlamento e il contenuto di un atto parlamentare tipico, quale é
appunto l'intervento dell' On. Pisanu nella seduta della Conferenza dei capigruppo; il che é quanto basta per ritenere
sussistente il nesso con le funzioni parlamentari “ ).
294
Alcuni deputati della Lega nord (Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo Caparini,
Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli) erano stati rinviati a giudizio , e condannati dal Pretore di Milano , per i reati
di resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale avendo essi, durante una perquisizione di polizia effettuata il 18
settembre 1996 presso una sede meneghina del partito - tra l'altro - apostrofato i funzionari e gli agenti di P.G. , con gli
epiteti "fascisti", "mafiosi", "Pinochet". Nel corso del giudizio di secondo grado, intervenuta la delibera d'insindacabilità
adottata dalla Camera nella seduta del 16 marzo 1999, secondo la quale si tratterebbe di opinioni espresse nell'esercizio
delle funzioni parlamentari, la Corte d'appello ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzione con ordinanza dell'8
giugno 1999.
- 71 -
verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con un
contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari
suscettibili di essere concretamente individuate. A maggior ragione la prerogativa
parlamentare di cui all'art. 68 Cost. non può essere riferita ai comportamenti materiali che
sono stati qualificati come resistenza a pubblico ufficiale ”.
La sentenza in esame è stata salutata con estremo favore, da chi aspettava da
tempo che la Corte Costituzionale aggiungesse il tassello mancante, al quel cammino
imboccato verso la normalizzazione dei rapporti tra classe politica e magistratura 295: la
prerogativa dell’ insindacabilità non copre gli insulti, quand’anche siano ricollegabili con le
battaglie condotte dal parlamentare in favore delle sue tesi politiche, né a fortiori può
riferirsi a comportamenti materiali, quali la resistenza a pubblico ufficiale. In definitiva, la
Corte sembra affermare un presupposto di senso comune , secondo cui l’ ingiuria, la
diffamazione
non
dovrebbero
mai
essere
considerate
esercizio
delle
funzioni
parlamentari296.
Ma, soprattutto , la Consulta mette in discussione la possibilità che gli insulti si
possano qualificare “ opinioni “: una affermazione che dovrebbe suonare da monito alle
Camere e ai parlamentari, affinché non pensino di utilizzare lo schermo della garanzia
costituzionale, per ingiuriare impunemente i privati cittadini297.
L’ ultima sentenza che vale la pena menzionare, è la n. 509 del novembre 2002,
che decide il conflitto promosso dal Tribunale di Roma
298.
L’interesse per la decisione
nasce dalla “ novità “ della vicenda, sottoposta alla attenzione della Consulta: si trattava di
opinioni del deputato Mussi, ritenute lesive della propria reputazione dall’ On. Previti,
manifestate dal primo “ nel corso di una conversazione avuta con un altro deputato
all'interno della buvette della Camera dei deputati, utilizzando un tono di voce tale da
rendere percepibile il colloquio ad oltre dieci metri, al punto da essere ascoltato da uno dei
giornalisti presenti, il quale ne riportava il contenuto su un periodico ”.
ZANON, L’ insindacabilità non copre gli insulti anche se collegati a battaglie politiche, in Diritto e Giustizia n.
23/2001 , p. 38 .
296
ZANON, op. ult. cit. , p. 38 .
297
ZANON, op. ult. cit. , p. 38 .
295
298
Contro la Camera dei deputati, relativamente alla delibera del 15 luglio 1998, relativa alla insindacabilità delle
opinioni espresse dal deputato Fabio Mussi nei confronti del deputato Cesare Previti.
- 72 -
Il Tribunale299 contestava la correttezza delle argomentazioni svolte nella relazione
della Giunta, fatte proprie dalla Camera dei deputati, in forza alle quali: a) le dichiarazioni
rese dal deputato Mussi sarebbero insindacabili, in quanto costituirebbero opinioni "
espresse, nell'ambito della Camera, da un parlamentare ad un altro parlamentare su
questioni che in quel torno di tempo, con riferimento all'On. Previti, venivano discusse in
Parlamento e in ogni parte del Paese e che, per le ragioni che tutti sanno, hanno assunto
un marcato rilievo politico ", le quali non perdono " la loro natura per essere espresse ad
un solo collega invece che a tutta l'Assemblea, o per essere state pronunciate in un luogo
piuttosto che in un altro degli edifici parlamentari, magari e proprio per ciò con un
linguaggio meno curiale "; b) " lo scambio di opinioni su questioni che abbiano un rilievo
politico in conversazioni private può contenere considerazioni e giudizi anche crudi che,
proprio per la natura non formale della comunicazione privata, non hanno bisogno di
quella cautela e prudenza che ci si aspetta nelle dichiarazioni formali (...) pertanto le
conversazioni tra parlamentari che riguardino temi politici (...) sono insindacabili ".
Al contrario il Tribunale riteneva che le dichiarazioni rese dal deputato Mussi non
fossero state rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari, non rientrando tra queste " un
colloquio personale, del tutto sganciato da qualsiasi atto, tipico o atipico, di esercizio di
attribuzioni parlamentari ”. Inoltre, secondo il Tribunale, la circostanza che la
conversazione si era svolta all'interno dell'edificio della Camera dei deputati, " peraltro non
in sede istituzionale, ma nella buvette ", al pari dell' eventuale configurabilità delle
dichiarazioni come attività politica , erano insufficienti a far ritenere esistente il nesso di
funzione.
Nel decidere tra le due prospettazioni della vicenda, la Corte si rende conto di
essere di fronte ad “ un quid novi nell’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma ”.
Da una parte, le modalità della vicenda mostrano non già “ dichiarazioni rivolte all'esterno,
ma piuttosto … una comunicazione privata tra due parlamentari, la cui pubblicazione
risulta certo non autorizzata e immediatamente smentita da entrambi, escludendo così
ogni loro presunto animus
divulgandi “. Ciò consente alla Corte di collocare la
vicenda in esame “ al di fuori dell'ipotesi della riproduzione e divulgazione all'esterno di atti
compiuti nell'esercizio di funzioni parlamentari”, tale per cui viene meno la necessità di
299
Vedi Ritenuto in fatto n. 2.1
- 73 -
ricercare ai fini dell'insindacabilità, la corrispondenza sostanziale del contenuto di quella
conversazione con un atto parlamentare.
Invece , la Corte ritiene sia necessario chiedersi “ se quelle stesse opinioni, per le
modalità ed il luogo in cui sono state espresse, possano costituire, di per sé, una forma di
esercizio di funzioni parlamentari, come sostenuto dalla difesa della Camera, per la quale
le espressioni in esame sarebbero insindacabili per il solo fatto di essere state rese intra
moenia da due parlamentari nei riguardi di un terzo parlamentare, per cui il loro nesso
funzionale sarebbe comunque presunto.
La Corte guarda oltre. Essa non ha mai accolto “ il criterio della mera localizzazione
dell'atto, ma si è invece specificato che sono coperti dall'immunità gli atti svolti all'interno
dei vari organi parlamentari, o anche paraparlamentari300, cioè atti che si esplicano
nell'ambito di lavori comunque rientranti nel campo applicativo del diritto parlamentare, in
quanto proprio tale condizione connota l'esercizio di funzioni parlamentari. In base a
questo criterio, dunque, si debbono ritenere coperti dall'insindacabilità gli atti di funzione,
anche se posti in essere extra moenia, mentre invece non si possono ritenere coperti da
tale immunità gli atti non di funzione, anche se compiuti all'interno della sede della Camera
o del Senato. In definitiva, il criterio di delimitazione dell'ambito della prerogativa
dell'immunità è quello funzionale e non già quello spaziale “.
La sede di svolgimento non può pertanto, di per sé sola, conferire carattere di
funzione parlamentare ad una "comunicazione privata" svoltasi tra due parlamentari nella
buvette della Camera. Per questa via, “ la delibera della Camera dei deputati , di
insindacabilità delle opinioni in esame, va quindi annullata “.
14.L’ attuazione dell'articolo 68, comma primo, della Costituzione: la legge 140 del
2003
Nel quadro della legge n. 140 del 2003, entrata in vigore mentre si concludeva
questo lavoro, e recante “ Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione
nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato “, l’ art. 3 ha
inteso disciplinare i problemi connessi all’ applicazione della guarentigia dell’
300
Cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 e n. 79 del 2002 .
- 74 -
insindacabilità, spostando il baricentro della prerogativa costituzionale laddove lo aveva
collocato la giurisprudenza parlamentare.
“ L’ art. 68 , primo comma , della Costituzione si applica in ogni caso
per la
presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e
risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli
altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni
altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di
denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del
Parlamento “ ( comma primo ). Facile intuire che oltre non si poteva andare.
In un procedimento giurisdizionale, l’ applicabilità della norma costituzionale può
essere “ rilevata o eccepita “ ( comma secondo ): nel caso in cui la ritenga applicabile, “ il
giudice provvede con sentenza in ogni stato e grado del processo penale ”301, mentre nella
fase delle indagini preliminari pronuncia decreto di archiviazione
302;
invece, nel processo
civile “ il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla sua definizione “ (
comma terzo ).
Se, al contrario, “ non ritiene di accogliere l’eccezione concernente l’applicabilità
dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, proposta da una delle parti, il giudice
provvede senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia
degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene
o apparteneva al
momento del fatto “ ( comma quarto)303. In questo caso, “ il procedimento é sospeso fino
alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla
ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La Camera interessata può disporre
una proroga del termine non superiore a trenta giorni “ ( comma quinto ).
Molto importante la novità introdotta dal settimo comma: “ La questione
dell’applicabilità dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione può essere sottoposta
alla Camera di appartenenza anche direttamente da chi assume che il fatto per il quale é
in corso un procedimento giurisdizionale di responsabilità nei suoi confronti concerne i casi
301
Si parla del giudice penale, il quale provvede ex art 129 c.p.p.
Ex art. 409 c.p.p.
303
Se la questione é rilevata o eccepita nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero trasmette gli atti al
giudice, perché provveda . Se l’eccezione é sollevata in un processo civile dinanzi al giudice istruttore, questi pronuncia
detta ordinanza nell’udienza o entro cinque giorni .
302
- 75 -
di cui al comma 1. La Camera può chiedere che il giudice sospenda il procedimento, ai
sensi del comma 5 “.
Investita della questione, la Camera trasmette all’autorità giudiziaria la propria
deliberazione; “ se questa é favorevole all’applicazione dell’articolo 68, primo comma,
della Costituzione, il giudice adotta senza ritardo i provvedimenti indicati al comma 3 e il
pubblico ministero formula la richiesta di archiviazione “304.
CAPITOLO III
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
1.Le immunità nel diritto penale. Prerogativa o privilegio?
Conclusa la disamina dei profili attinenti la fenomenologia delle immunità di diritto
penale e, all’ interno di questo sistema, della fattispecie della insindacabilità parlamentare
, possiamo mantenere fermi alcuni punti.
Ferma restando la lettera dell’ art. 3 c.p., la quale ci consegna un’ immagine
sfuocata delle immunità, quali “ eccezioni al principio di obbligatorietà della legge penale “,
abbiamo cercato di dimostrare, dopo una attenta analisi delle singole fattispecie, che la
caratteristica prima del sistema delle immunità di diritto penale è la
l’attitudine a contenere
un complesso di situazioni
eterogeneità,
giuridiche profondamente
disomogenee, per ratio, per fonte, per struttura sostanziale, per natura giuridica ed effetto
finale sulle scelte dei poteri dello Stato.
Duro banco di prova per qualsiasi moderna democrazia, è l’ atteggiamento dei
propri consociati di fronte al riconoscimento, attraverso le norme di diritto pubblico interno
e di diritto internazionale, delle fattispecie di immunità. Non potendo prescindere dal
contesto nel quale le regole giuridiche maturano, l’ interprete attento non avrà particolare
304
Le disposizioni precedenti si applicano, in quanto compatibili, ai procedimenti disciplinari, sostituita al giudice
l’autorità investita del procedimento.
- 76 -
difficoltà a constatare che, secondo una valutazione di tipo socio-politico, e come tale non
giuridica, l’ immunità assume nell’ opinione pubblica i contorni del privilegio, dell’ impunità.
Tali valutazioni sarebbero valide, se si accettasse di cogliere solo il dato
superficiale del problema: l’ effetto finale per il titolare della prerogativa è la sottrazione,
temporanea o definitiva, all’ applicazione della sanzione penale; in astratto, senza
allontanarci troppo, tale effetto potrebbe concretizzare una violazione del principio di
eguaglianza o una ipotesi di diniego di giustizia.
In realtà, l’ interprete deve avere la capacità, e il merito, di stare al di sopra dei
sentimenti e delle reazioni che le norme giuridiche provocano nei consociati. Nel corso di
questo studio, si è cercato di tenere ferma una idea: le immunità non rivestono, e non
devono rivestire, il carattere di posizioni sostanziali di privilegio; esse sono, e devono
essere, prerogative strumentali per un corretto, neutrale e continuo svolgimento di
specifiche funzioni o uffici del nostro sistema democratico. Il privilegio è, al contrario, la
particolare situazione che deriva da nome dettate a favore esclusivo di determinati
individui o classi di individui, chiaramente in contrasto con il principio di eguaglianza; e tal
concetto mal si concilia con il trattamento riservato ai soggetti immuni, in quanto questo
non è motivato da una favorabilitas irrazionale, ma dalla particolare funzione che i soggetti
stessi svolgono e che li pone in una situazione diversa a quella del comune cittadino, si
che gli estremi per denunciare la violazione del principio di eguaglianza mancano.
Più controverso il problema della natura giuridica delle immunità. Se si pone l’
accento sul conflitto di interessi in gioco, le immunità funzionali riconosciute dal diritto
interno rientrano nella fattispecie e nella disciplina dell’ “ esercizio di un diritto o
adempimento di un dovere “ ( art. 51 c.p. ), nell’alveo delle cause di giustificazione, istituto
nel quale è ravvisabile l’ eadem ratio e nel quale la dialettica di un conflitto di interessi
viene risolta in favore dell’ interesse prevalente. Se si pone l’ accento solo sull’ effetto
finale, è possibile identificare un unico comune denominatore rispetto alle immunità
funzionali, di diritto interno e di diritto internazionale: diversa la fonte, non differirebbe la
ratio, trattandosi di prerogative concesse a garanzia del libero esercizio di funzioni
istituzionali. Le immunità funzionali sono, per questa via, cause di esclusione della
sanzione penale.
Le immunità extrafunzionali mirano ad evitare che un soggetto, che agisce in nome
e per conto del suo Stato, abbia a subire un processo da uno Stato straniero, per un fatto
attinente la sfera privata, ma pur sempre commesso nell’arco temporale in cui è in carica:
per ragioni di mera opportunità politica, non sono temporaneamente sindacabili fatti non
- 77 -
riconducibili all’ esercizio delle funzioni dell’ immune, ma il cui accertamento si
risolverebbe inesorabilmente in una parziale limitazione della libertà d’azione, che deve
accompagnare l’assolvimento dell’ ufficio di cui l’ immune è investito.
Rispetto alle immunità funzionali di diritto internazionale, o si ravvisa un elemento
differenziale rispetto alle immunità funzionali di diritto interno - in tal senso, si può pensare
che gli atti compiuti nell’ esercizio delle funzioni, siano direttamente ascrivibili allo Stato
straniero di appartenenza, nel cui interesse l’ immune abbia agito, e per questa via non
possa essere chiamato a risponderne - o , nel solco delle valutazioni fatte in merito alle
immunità di diritto interno, si ritiene che nessuna distinzione possa essere fatta con
queste, ragion per cui anche le immunità funzionali riconosciute dal diritto internazionale,
possono essere ricondotte tra le cause di giustificazione o tra le cause di esclusione della
sanzione penale .
2.L’ insindacabilità parlamentare: il braccio di ferro istituzionale tra Parlamento e
magistratura
All’ interno del sistema delle immunità di diritto penale, si è scelto di affrontare il
delicato problema del significato e dell’ ambito di applicazione della guarentigia
parlamentare dell’ insindacabilità, riconosciuta dall’ art. 68, comma primo , della
Costituzione.
La complessità di questa norma è testimoniata dal profondo contrasto cui questa ha
dato vita negli ultimi venti anni, sotto forma di braccio di ferro istituzionale tra Parlamento e
magistratura, chiamati, se pur nell’ esercizio di poteri differenti, a confrontarsi con i
problemi di applicazione della norma costituzionale: testimone di questo contrasto la Corte
Costituzionale, chiamata a risolvere i conflitti di attribuzione insorti tra i due poteri.
L’ insindacabilità è una fattispecie di immunità funzionale, che esclude la possibilità
che il parlamentare venga chiamato a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati
nell’ esercizio delle proprie funzioni. Una prerogativa, quindi, capace di garantire il
rafforzamento della libertà di espressione e di voto, di assicurare un indipendente
esercizio di funzioni, comunque prodromiche alla rappresentanza degli interessi della
Nazione.
Ma non solo: è la Corte Costituzionale a chiarire, che “ una tale regola di limitazione
della responsabilità é dettata, non solo a tutela della libertà di espressione del singolo
membro delle Camere, ma a tutela, attraverso questa, della piena libertà di discussione e
- 78 -
di deliberazione delle Camere stesse, e in definitiva a
tutela della autonomia delle
istituzioni parlamentari ”.
L’ art. 68 Cost. lascia, a chi si è dovuto confrontare con l’ applicazione ( o
semplicemente con l’ interpretazione ) della prerogativa in esame, numerosi interrogativi:
quali sono le funzioni parlamentari - e quindi le opinioni espresse e i voti dati nell’ esercizio
di queste -, chi tra Parlamento e magistratura ha il potere di valutare la condotta, al fine di
decidere se il comportamento del parlamentare, nel caso concreto, rientri o meno
nell’alveo dell’ art. 68 Cost.
Prima dello storico intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 1150
del 1988, i confini della guarentigia venivano tracciati dalla giurisprudenza parlamentare:
la prassi, come è facile immaginare, era nel senso di attrarre quanto più possibile sotto l’
ombrello della prerogativa costituzionale, e questo , nel totale silenzio della magistratura
ordinaria.
Nel 1988 la Corte Costituzionale irrompe sulla scena, sollecitata dalla Corte d’
Appello di Roma, ponendo una netta linea di demarcazione: le Camere hanno il potere di
valutare la condotta di un proprio membro, inibendo, se qualificata come esercizio delle
funzioni, una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità; il giudice ordinario può
contestare , con lo strumento del conflitto di attribuzione, il “ cattivo uso del potere di
valutazione esercitato dal Parlamento “.
La Corte diventa garante di un nuovo equilibrio istituzionale: il giudice ordinario ha il
potere - dovere di pronunciarsi sulle condizioni dell' insindacabilità, solo in assenza di una
decisone dell’ Assemblea di appartenenza del parlamentare, dovendo essere, altrimenti,
quest’ ultima la voce finale. Ma in questo quadro, la Corte può essere sollecitata,
attraverso il conflitto di attribuzioni, per esercitare una “verifica esterna ” sulle valutazioni di
merito compiute dalle Camere ( sent. n. 443/93 ).
L’ abrogazione dell’ istituto dell’ autorizzazione a procedere nel 1993, si ripercuote
anche sul regime dell’ insindacabilità: nell’ ottica di attribuire, in materia, una necessaria e
preventiva valutazione agli organi parlamentari, vanno letti i diciotto decreti legge di
attuazione dell’ art. 68 Cost. Il Governo impone al giudice di sospendere il procedimento e
trasmettere gli atti alle Camera competente, perché sia questa a deliberare se il fatto, per
il quale si procede, riguardi o meno opinioni espresse o voti dati nell’ esercizio delle
funzioni: un meccanismo di pregiudizialità parlamentare, ad immagine e somiglianza della
pregiudizialità costituzionale. Venuti meno i decreti di attuazione, la Corte Costituzionale
ristabilisce l’ordine: il giudice può ritenersi vincolato alle valutazioni della Camera di
- 79 -
appartenenza del parlamentare, in materia di insindacabilità, solo se ( e quando ) una
pronuncia di questa sia effettivamente intervenuta; in questo caso è salva la possibilità di
ricorrere al conflitto di attribuzione.
La Corte Costituzionale non ritiene ancora ( sentenza n. 265 del 1997 ) di potersi
pronunciare “
direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione espressa da un
parlamentare…“ potendo solo “intervenire dall'esterno ”, senza essere “
chiamata a
giudicare sul merito della scelta parlamentare “ ( sentenza n. 298 /98 ): passaggi, questi,
da tenere a mente. Ma i giudici costituzionali continuano a tacere su un punto nevralgico:
quali sono concretamente gli atti insindacabili?
Finalmente nel 1997, sentenza n. 375, qualche apertura: la funzione parlamentare,
secondo la Corte, non si risolve solo negli atti tipici, ma non può comprendere l’intera
attività politica svolta dal deputato o dal senatore; tale interpretazione finirebbe, invero, “
per vanificare il nesso funzionale “ posto dall’art. 68, primo comma, e comporterebbe il
rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale. Il compito di porre una netta
linea di demarcazione tra le “dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono così di
frequente nell’attività politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della
particolare garanzia introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ”, viene
affidato al nesso funzionale.
Nuovo problema: quando si può parlare di nesso funzionale? Nel 1998, sentenza
n. 298, i giudici della Consulta accennano indirettamente alla necessità di “
un
collegamento tra le espressioni contestate come diffamatorie al deputato e la sua attività
parlamentare “, a “ una connessione con atti tipici della funzione”, ad “ un intento
divulgativo di una scelta o di un'attività politico - parlamentare “.
Ma la svolta definitiva nell’ atteggiamento della Consulta è nell’ aria: è il momento
delle sentenze nn. 10 e 11, del gennaio 2000. La Corte ritiene , adesso, di poter “
verificare se
l’insindacabilità sussista, cioè se l’opinione di cui si discute sia stata
espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari “: non più solo una verifica esterna, non
più ostacoli a pronunciarsi “ direttamente sulla sindacabilità o meno di un'opinione
espressa da un parlamentare…“, la Corte spinge il proprio controllo direttamente sul “
merito della controversia costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo
comma ”.
- 80 -
Per la prima volta, è percepita l’ esigenza “ di precisare, rispetto alla precedente
giurisprudenza, ed anche in vista di esigenze di certezza, quando ricorra il nesso
funzionale “. E, allora, sono certamente compiuti nell'esercizio delle funzioni, gli atti svolti
all' interno dei vari organi parlamentari, mentre , ai fini dell’ estensione dell’ insindacabilità
anche agli atti compiuti al di fuori dell’ambito dei lavori dei predetti organi, è necessario “
verificare , in base a specifici criteri, più complessi rispetto a quello della mera
localizzazione dell'atto “, l'esistenza di un nesso funzionale stretto tra espressione di
opinioni e di voti ed esercizio delle funzioni parlamentari. Siamo alla fine del lungo
cammino, il nesso funzionale viene inteso Corte non come " semplice collegamento di
argomento o di contesto fra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità
della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare ". Nel caso di
riproduzione all' esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni, già rese da deputati e
senatori nell'esercizio delle proprie funzioni, si può riconoscere l’ insindacabilità “ solo ove
sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare, non
essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche “
La crescita esponenziale del numero dei conflitti di attribuzione negli ultimi cinque
anni, la scontata tendenza del Parlamento ad allargare le maglie interpretative dell’ art. 68,
di cui sono prova anche le più recenti deliberazioni in materia, la ontologica difficoltà dell’
autorità giudiziaria ad accettare limiti all’ esercizio della funzione giurisdizionale, la
obiettiva difficoltà di ricostruire la portata e il significato della prerogativa costituzionale, il
difficile bilanciamento tra il principio di eguaglianza e il diritto alla tutela in giudizio dei
propri diritti, da una parte, e la tutela della libertà del singolo parlamentare e delle Camere,
nell’ esercizio delle rispettive funzioni, dall’ altra, sono tutti elementi che aiutano ad
immaginare perché la Corte Costituzionale ad un certo punto, abbandonando il ruolo
decisamente timido ricoperto fino a quel momento, da una “ verifica esterna “ sulle
delibere delle Camere, abbia deciso, a partire dal gennaio 2000, di entrare nel “ merito
della controversia costituzionale sulla portata e l'applicazione dell'art. 68, primo comma ”,
fissando dei paletti oltre i quali non fosse lecito andare.
E’ vero, tuttavia, che i criteri elaborati dalla Corte con le sentenze n. 10 e 11
peccano di rigido formalismo, in una società in rapida evoluzione, in un clima politico che
ha perso la capacità di una dialettica serena, con continui e accessi attacchi reciproci tra
maggioranza e opposizione, con una insanabile crisi istituzionale tra l’organo di
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rappresentanza del popolo e il potere giurisdizionale. Tutto ciò non poteva assolutamente
spingere nella direzione del restringimento interpretativo della portata della prerogativa
costituzionale: e difficilmente il Parlamento avrebbe consentito a lungo, che fosse un altro
organo costituzionale a sancire limiti così penetranti alla libertà di manifestazione
extraparlamentare del pensiero.
Sulla base di queste premesse, va letta l’approvazione definitiva della legge n. 140
del 2003, nella parte recante le disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della
Costituzione.
3.Il “ Lodo Maccanico “, tra polemiche e dubbi di legittimità costituzionale
Guardare la legge n. 140/2003 con occhi equilibrati, imparziali e sereni, è opera
estremamente ardua. Chi scrive è consapevole della difficoltà di giudicare una norma,
prescindendo dal contesto nel quale essa matura: poiché, tuttavia, non è questa la sede
per lanciarsi in considerazioni di tipo politico, che non abbiano alla base ragionamenti di
tipo giuridico, si proverà ad andare oltre l’ infuocato clima che ha visto la nascita del
provvedimento in esame.
La prima particolarità è la “ eterogeneità “ del testo legislativo, almeno da un punto
di vista tematico: l’ art. 1 – il quale introduce, sotto forma di sospensione dei processi alle
più alte cariche istituzionali, una ipotesi di immunità extrafunzionale sconosciuta alla storia
del nostro ordinamento costituzionale - nulla ha a che vedere con le restanti norme, le
quali, invece, contengono la disciplina di attuazione dell’ art. 68 Cost., in materia di
prerogative costituzionali dei membri del Parlamento.
La comunione di norme così diverse non è, in realtà, figlia di un legislatore
irrazionale. E’ pacifica, a torto o a ragione, l’ esigenza “politica “ di approvare, con estrema
celerità305, la disposizione sulla sospensione dei processi alle più alte cariche istituzionali,
per consentire, sempre a torto o a ragione, all’ attuale Presidente del Consiglio di non
Nota , tra l’ altro , che la legge è entrata in vigore senza la vacatio dei 15 giorni , sì da essere applicabile il 25 Giugno
, data in cui il Presidente del Consiglio sarebbe dovuto comparire dinanzi ai giudici milanesi .
305
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essere “ distratto “, durante il semestre italiano di presidenza dell’ UE, dal procedimento
penale pendente, a suo carico, presso il Tribunale di Milano; tale esigenza è stata
soddisfatta ancorando quella norma - mutuata da una proposta di legge del 2002 dell’ On.
Maccanico e ripresa recentemente dalla maggioranza, nella veste di emendamento - al
progetto di legge Boato, recante appunto le disposizioni di attuazione dell’ art. 68 Cost.
Paradossalmente, questo iter
ha avuto l’ effetto di porre in secondo piano l’
attenzione dell’ opinione pubblica e dei giuristi sui restanti otto articoli della legge n. 140;
dall’ altro lato, però, ha avuto il merito di accelerare sensibilmente l’ approvazione della
disciplina di attuazione dell’ art. 68 Cost, che si attendeva da dieci anni.
Noi siamo chiamati a confrontarci solo con i problemi giuridici che la legge propone;
per questa via, non si può tacere dei dubbi di legittimità costituzionale dell’ art. 1 306: il
problema, evidente, è se una legge ordinaria possa introdurre una fattispecie di immunità.
L’ unico precedente, in proposito, riguarda l’ art 5 della legge n. 1 del 1981, concernente i
consiglieri del C.S.M.307. In quel caso, la Consulta ha ritenuto infondata la questione di
legittimità costituzionale, affermando che, “ nel caso di cause specifiche di non punibilità,
stabilite in vista dell’ esercizio di determinate funzioni … le norme abbisognano di un
puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali “;
tuttavia, non è necessario un “ fondamento esplicito “ nelle norme costituzionali, potendo
essere il legislatore ordinario ad introdurle “ purché le scriminanti così stabilite, siano il
frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco ”.
Qualsiasi insegnamento si voglia desumere da questa pronuncia, deve essere
attentamente valutato con riferimento all’ art. 1 della legge n. 140: non siamo più di fronte
a scriminanti o a cause di non punibilità, ma ad una norma che sospende i processi penali,
anche quelli in corso ( sic ! ), “ per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti
l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime “.
Difficile, per l’ interprete, operare il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco,
auspicato dalla Corte Costituzionale: garantire continuità e indipendenza all’ esercizio
delle funzioni, di cui sono titolari le più alte cariche istituzionali, da una parte, il principio di
306
Tanto che , mentre si scrive , è stata eccepita la questione di legittimità costituzionale , dinanzi al Tribunale di
Milano , il quale ha rimesso , con ordinanza del 30 Giugno , gli atti alla Consulta .
307
“ Non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’ oggetto della
discussione “ . Vedi nota n. 16 .
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eguaglianza, della ragionevole durata del processo, dell’ obbligatorietà dell’ azione penale,
il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti, dall’ altra.
Non secondarie sono, poi, alcune incertezze dettate dalla sommarietà della norma.
Da una parte, essa non impedisce di immaginare che, uno dei soggetti indicati dall’ art. 1,
non possa essere sottoposto a processo penale, nonostante sia colto in flagranza di
reato; dall’altra, lascia indefinito il tempo della sospensione, non chiarendo se, una volta
cessata la carica, ed eventualmente rieletto (es. il Presidente della Repubblica ), il
soggetto possa continuare a beneficiare della sospensione.
Se si da per assodata l’ esigenza di introdurre una immunità per le più alte cariche
istituzionali308, la riserva che si può muovere alla legge n. 140, è quella di aver aggirato,
per le esigenze di celerità assunte in premessa, le procedure di modifica costituzionale, di
cui all’ art. 138 Cost.: quelle avrebbero consentito una valutazione più equilibrata da parte
delle Assemblee, una stesura meno approssimativa della norma, avrebbero fugato i dubbi
di legittimità.
Chi scrive avrebbe ritenuto più corretto, oltre che più opportuno, uno sistema meno
“ blindato “, assoluto e indefinito, di quello introdotto dall’ art. 1: attraverso l’ istituto della
autorizzazione a procedere oppure - recependo gli orientamenti votati al Parlamento
Europeo per i propri membri - un meccanismo inverso, per il quale fossero le Assemblee a
chiedere all’ autorità giudiziaria la sospensione del processo.
4.L’ insindacabilità parlamentare, alla luce della legge n. 140/2003
L’ estensione dei comportamenti parlamentari riconducibili all’ art. 68, comma
prima, della Costituzione, contenuta nell’ art. 3 della legge n. 140, disattendendo di fatto i
limiti e i principi imposti dalla Corte Costituzionale a partire dalle sentenze nn. 10 e 11 del
2000, renderà probabilmente molto più difficile il concretizzarsi di fattispecie, nelle quali
deputati e senatori esprimano opinioni non riconducibili all’ interno della sfera protettiva
della guarentigia costituzionale.
Si può legittimamente dubitare che la tutela dell’ autonomia delle Camere e, per
questa via, dell’ indipendenza delle funzioni dei suoi membri, passi da una
onnicomprensiva libertà di manifestazione del pensiero. Così come recentemente
308
Questa , per chi scrive , è una valutazione che può essere fatta , giammai in termini assoluti e definitivi : essa non
può prescindere dal contesto sociale e politico nel quale l’ immunità si trova ad operare , né dall’ assetto costituzionale
dei rapporti tra i poteri dello Stato .
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ricostruita, viene il dubbio, più volte paventato dalla Corte Costituzionale, che l’
insindacabilità tenda sempre di più a perdere le sembianze della prerogativa, per
trasformarsi in un anacronistico privilegio309: altro non si può pensare, di fronte a norme
che escludono una qualsivoglia responsabilità del parlamentare, per opinioni che siano
espressione di una semplice critica o denuncia politica, purché “ connesse “ con la propria
funzione.
Il giudice ordinario non ha alternative: deve adeguarsi alle lettura fatta propria dal
Parlamento, dovendo, in tutti i casi in cui non ritiene sussistente la prerogativa
costituzionale, rimettersi al giudizio della Camera di appartenenza del parlamentare.
Giudizio da ritenere vincolante, come conferma l’ art. 3, salvo ammettere ancora la
possibilità di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale: in effetti ,
non si tratta di una ipotesi remota, atteso che nella sentenza 129 del 1996, l’ unica
emanata dalla Corte Costituzionale sotto la vigenza del decreto legge di attuazione dell’
art. 68 Cost., il cui contenuto non era molto dissimile dalla legge n. 140, si afferma
espressamente che “ qualora reputi che la delibera favorevole all'applicazione dell'art. 68,
primo comma, sia il risultato di un esercizio non corretto del potere - per vizi in procedendo
oppure per omessa o erronea valutazione dei suoi presupposti, in particolare per
manifesta estraneità della condotta del parlamentare al concetto di opinione o di esercizio
delle funzioni
- , il giudice, al quale si è rivolta la persona lesa dalle dichiarazioni
diffamatorie contestate, può soprassedere alla dichiarazione immediata di applicabilità
dell'art. 68 , sollevando conflitto di attribuzione “.
INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE CITATE
309
Il G.I.P. di Milano , in data 2 Luglio 2003 , ha sollevato questione di legittimità costituzionale .
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