di Mariano Bizzarri - Fondazione Diritti Genetici

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Workshop Biomedicina – Test Genetici
LIMITI DELLA PREDITTIVITA’ GENETICA IN ONCOLOGIA.
IL PARADIGMA DELLA IRREVERSIBILITA’ DELLA MALATTIA
NEOPLASTICA
di Mariano Bizzarri
Professore di Biochimica e di Patologia Clinica in Oncologia, Dipartimento di Medicina
Sperimentale e Patologia, Università di Roma “La Sapienza”
Membro Commissione OGM e Consiglio Superiore Tecnico – Scientifico del Ministero
delle Politiche Agricole e Forestali, Roma
Il cancro è generalmente considerato una malattia genetica e cellulare,
dovuta alla incrementata e/o ridotta espressione di alcuni geni e delle proteine
da questi codificate. L’intensa ricerca sulle malattie neoplastiche, condotta
negli ultimi anni lungo il solco tracciato dall’attuale paradigma epigenetico, ha
tuttavia messo in evidenza alcune anomalie e contraddizioni che non possono
essere completamente spiegate all’interno di questa visione riduzionistica. Si è
sempre ritenuto che il primo passo verso lo sviluppo della malattia fosse una
mutazione all’interno di una singola cellula che comportasse poi la trasmissione
dell’alterazione genica alla progenie.Tale “iniziazione” deriva dalla mutazione di
un unico gene o di una serie di geni regolatori (proto-oncogeni) che si attivano
in seguito come oncogeni. Paradossalmente, lo sviluppo tumorale è
ulteriormente spiegato come una sorta di processo darwiniano microevolutivo,
dove le singole cellule mutate proliferano dando vita ad una popolazione di
derivazione clonale. Tuttavia, una singola mutazione non può da sola essere
sufficiente a indurre lo sviluppo di un tumore: per il completo sviluppo della
malattia sono necessarie diverse e graduali alterazioni genetiche (quattro
mutazioni indipendenti in quattro geni diversi).
Invero, tale modello è stato seriamente messo in discussione da numerosi
dati sperimentali, che dimostrano come le cellule umane trasformate siano il
risultato di una ampia instabilità e del genoma e del sistema di comunicazione
intra- ed extracellulare – entrambi capaci di determinare aneuploidia – piuttosto
che la conseguenza di mutazioni puntiformi su specifici geni. La percentuale di
mutazioni delle cellule somatiche, normali o neoplastiche, è molto bassa; è
quindi molto improbabile che all’interno di una singola cellula si verifichino
spontaneamente
quattro
mutazioni
(indotte
sperimentalmente
ed
artificialmente) nella sequenza e nell’ordine previsto. Una stima semplice,
basata sulla percentuale nota di mutazioni delle cellule somatiche (circa 10 -12
per nucleotide per generazione), evidenzia l’impossibilità del graduale
accumulo di quattro mutazioni differenti all’interno di una singola cellula,
durante la vita media di un individuo. Inoltre, non esiste attualmente nessuna
prova che qualcuno dei cosiddetti oncogeni sia maggiormente espresso nei
tumori rispetto a quanto osservato nei corrispondenti tessuti normali: è infatti
decisamente improbabile che l’alterazione di un solo componente cellulare
chiave possa trasformare una cellula normale in tumorale, se non in condizioni
artificiali. Ad ogni modo, se l’inizio della neoplasia fosse davvero dovuto
all’effettivo accumularsi di mutazioni in pochi geni-chiave, allora, una volta
varcata tale soglia, non ci sarebbe più modo di tornare alla normalità. Questa
conclusione non è in accordo con i dati sperimentali, relativi alle regressioni
cliniche spontanee o alla drammatica retrodifferenziazione fenotipica ottenuta
in vitro su colture di cellule neoplastiche. Peraltro, cellule normali, collocate in
un tessuto improprio, degenerano in un tumore, mentre cellule neoplastiche,
inserite in una blastocisti o trattate con citochine embrionali, evolvono verso la
normalità e contribuiscono allo sviluppo di una struttura armoniosamente
organizzata. Pertanto, un comportamento ed un fenotipo normali possono
essere ripristinati sotto l’influenza dei “segnali” appropriati provenienti
dall’ambiente circostante, i.e., restaurando un campo morfogenetico forte e
normale. E’ altamente improbabile che questa retroversione fenotipica possa
essere attribuita alla scomparsa di quelle mutazioni genetiche che vengono
chiamate in causa nella genesi dei tumori. Di fatto, il controllo sulla crescita e
sulla proliferazione cellulare non può essere considerato un problema tutto
interno alla logica della cellula, quando questa è inserita nel contesto di un
organismo complesso. E’ invece probabile che il crollo dell’organizzazione
spazio-temporale - l’entità morfofunzionale nota come “campo morfogenetico”e la conseguente interruzione del normale sistema di comunicazione intra ed
extracellulare, determinino una perdita di coerenza tra cellula ed organismo che
prelude e quindi conduce allo sviluppo della neoplasia.
Pertanto, la comparsa di un tumore potrebbe suggerire che le proprietà
del campo vengono perse gradualmente, una volta che l’organismo vivente si
trova negli stadi avanzati di sviluppo, quando il suo campo morfogenetico si
indebolisce progressivamente. L’ indebolimento e/o la distruzione del campo
morfogenetico originario lasciano spazio all’influenza di “entità pregnanti”
aberranti o artificiali, i.e. forze centrifughe del campo che possono sovrapporsi
o sopraffare il campo originario.
Cambiamenti drammatici dell’ambiente metabolico – connessi a modifiche
alimentari od epigenetiche – così come l’alterata struttura del
neuroimmunoendocrine network, o il riarrangiamento dello “stato di coerenza”
della materia, mediato da i più diversi fattori, potrebbero influenzare
profondamente la struttura fisiologica e la funzionalità genomica di un
organismo vivente. Il cancro, ed qualunque altra trasformazione
dell’organizzazione cellulare, dovrebbero essere considerati come il risultato di
un conflitto tra un sistema morfologicamente organizzato e l’emergere di un
nuovo, imprevedibile teleion, verso cui si orienta il sistema biologico, e che
finalmente esita in uno stato amorfo nuovo ed aberrante. Ne consegue infine
che, considerazioni predittive fondate esclusivamente sul rinvenimento di
mutazioni puntiformi, ben difficilmente possono effettivamente costituire il
marchio di una possibile futura degenerazione della cellula in senso tumorale.
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