Cattedra di DIRITTO PRIVATO COMPARATO Prof. Felice Casucci IL DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO Coordinatrice: Dott.ssa Katia Fiorenza A cura di: Clara Buonocore Fabrizio Del Vecchio Stefania Ferrara Andrè Henriques Gomes Eugenia Manzi Fabiana Nazzaro INDICE Introduzione p. 3 Comunicazione sul diritto contrattuale europeo p. 5 1. Obiettivo p. 5 2. Situazione attuale p. 10 3. Opzioni per iniziative future della CE p. 15 Reazioni alla Comunicazione sul diritto contrattuale europeo p. 21 Un Codice dei contratti per l'Unione Europea: perché e come p. 38 L'aquis comunitario come base per l'elaborazione di principi comuni p. 56 Analisi critica delle soluzioni proposte dalla Commissione p. 64 2 INTRODUZIONE L’Unione Europea è il risultato di un processo di cooperazione e integrazione cominciato nel 1950 e destinato a protrarsi negli anni al fine di coinvolgere tutti gli stati del continente europeo: dopo quasi cinquant’anni e quattro serie di adesioni, l’Unione Europea conta oggi quindici stati e si prepara ad un quinto allargamento, questa volta verso l’Europa orientale e meridionale. Compito essenziale di questo singolare organismo internazionale (fondato su un sistema istituzionale unico al mondo) è quello di “promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di occupazione e protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri” (art.2 Trattato CE). Strumentale alla realizzazione di un simile compito è la creazione di un mercato comune, all’interno del quale sia garantita la libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali. Ai fini di una concreta realizzazione di un tale obiettivo risulta determinante un’armonizzazione del diritto privato sostanziale, in particolare del diritto dei contratti. Negli ultimi anni si è avviato un attento dibattito sul tema alla luce del quale sono state proposte varie soluzioni; la più efficace sembra essere la redazione di un CODICE CIVILE EUROPEO che provveda alla unificazione e armonizzazione delle più importanti branche del diritto privato. 3 Il Consiglio Europeo di Tampere nel 1999 ha formalizzato l’esigenza di un tempestivo intervento comunitario in materia di diritto contrattuale. Il Parlamento Europeo nel 2000 è da ultimo intervenuto sulla questione incaricando la Commissione Europea di effettuare uno studio sulla uniformazione del diritto contrattuale dei diversi Stati membri. Da parte sua il mondo accademico non è potuto rimanere insensibile alle esigenze avvertite a livello istituzionale ed ha coinvolto esponenti di punta in un vivace dibattito sull’armonizzazione di taluni settori del diritto dei contratti. Il lavoro accademico, ancora in itinere, ha elaborato due progetti di Codice dei contratti e di Principi generali di diritto contrattuale europeo. Si deve riconoscere all’Università di Pavia il merito di aver recentemente pubblicato il testo “European contract code – Preliminary draft”, basato sul lavoro dell’Academy of European Private Lawyers . Il codice contiene un corpus di norme e soluzioni basate sugli ordinamenti della Svizzera e degli Stati membri dell’Unione Europea, e concerne aspetti di formazione dei contratti, loro forma e contenuto, interpretazione ed effetti, esecuzione e mancata esecuzione, cessazione ed estinzione, altre anomalie e relativi rimedi giuridici. 4 COMUNICAZIONE SUL DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO 1. Obiettivo All’interno della vivace discussione riguardante il diritto contrattuale europeo, si inserisce la Comunicazione1 della Commissione Europea2 al Consiglio e al Parlamento Europeo dell’11 luglio 2001, n.398. Questa Comunicazione nasce dall’esigenza, sentita a livello europeo, di allargare il dibattito intorno al problema dell’ armonizzazione3 del diritto contrattuale per coinvolgere non solo le istituzioni comunitarie ma anche, e soprattutto, imprese, operatori del diritto, accademici e associazioni di consumatori. Possiamo, innanzitutto, affermare che la Comunicazione della Commissione europea n. 398/2001 può essere considerata sia un punto di partenza sia un punto di arrivo. Un significativo punto di partenza per un viaggio nei principi di 1 La Comunicazione è lo strumento utilizzato dalla Commissione europea per raccogliere una serie di pareri ed opinioni sia tra le istituzioni comunitarie sia tra le imprese, cittadini, operatori giuridici e quant'altri, non solo ai fini di un'intensificazione del dialogo su temi che potrebbero portare all'adozione di atti comunitari (comunicazioni informative), ma anche per far conoscere agli Stati i diritti e gli obblighi derivanti dal diritto comunitario alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali (comunicazioni interpretative). Non meno importanti sono, infine, le comunicazioni decisorie relative a settori nei quali la Commissione dispone di un potere di decisione anche discrezionale (ad es. in materia di concorrenza). 2 Le competenze ed i poteri della Commissione Europea in ambito comunitario sono elencati nell'art. 155 (ora 211) del Trattato istitutivo della Comunità europea (in prosieguo Trattato CE), il quale afferma che :" Al fine di assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune nella Comunità, la Commissione: - vigila sull'applicazione della disposizioni del presente Trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del trattato stesso; - formula raccomandazioni o pareri nei settori definiti dal presente Trattato, quando questo esplicitamente lo preveda ovvero quando la Commissione lo ritenga necessario; - dispone di un proprio potere di decisione e partecipa alla formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento europeo, alle condizioni previste dal presente Trattato; - esercita le competenze che la sono conferite dal Consiglio per l'attuazione delle norme da esso stabilite". 3 Uno degli obiettivi principali a cui tende la Comunità Europea è quella di attuare un'armonizzazione ed un ravvicinamento delle legislazioni e degli ordinamenti dei singoli Stati membri. Questa finalità è individuata dall'art.100 (ora94) del TCE che fa espresso riferimento alle direttive quale strumento per il "ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri". 5 sussidiarietà e di internazionalizzazione; viaggio nel quale si colloca lo sviluppo economico in termini di una più marcata tutela della persona umana. Un punto di arrivo, in quanto esistono da tempo normative comunitarie che disciplinano i contratti (in particolar modo nella materia della responsabilità civile) e forme proprie di un’aggregazione silente del diritto privato sostanziale, con specifico riferimento ai contratti, maturate in un clima di limitata consapevolezza istituzionale e sociale, sia pure con forti accenti operativi di tipo settoriale. E' da tener presente che la Comunicazione si situa in un contesto storico e giuridico determinato che, da oltre cinquant’anni, consolida se stesso in un’Europa dai contorni dinamici. Non può prescindersi, in altre parole, nell’analisi della Comunicazione, dal considerare i principi comuni che informano l'Unione Europea: “basi comuni” per lo sviluppo economico, “fusione degli interessi nazionali essenziali”, “destino ormai condiviso” che già il Trattato CECA del 1951 poneva come riferimento. Ma è stato il Trattato CEE del 1957 ad offrire impulsi normativi concreti ad una pratica scambista tra operatori di diversa nazionalità, “comune” ad essi, “non discriminatoria” e liberista nel senso di “stabilità”, “equilibrio”, “sostenibilità” e “lealtà” delle transazioni4. Tali assunti è necessario intenderli non come vuote parole di facciata, ma veri e propri principi giuridici che la Corte di Giustizia delle Comunità europee e parte della dottrina avrebbero fatto acutamente vivere. 4 La creazione della Comunità economica europea, di sicuro la più importante tra le organizzazioni, muove dall'intendimento di porre le basi per "un'unione sempre più stretta tra i popoli europei" risoluti ad assicurare, mediante un'azione comune, il progresso economico e sociale dei loro Paesi. 6 Allo stesso modo, la Comunicazione, non può non collocarsi accanto a quel punto di partenza, ed al tempo stesso di arrivo, rappresentato dalla “capacità creativa” di ciascun Paese membro affermata nel Trattato Euratom del 1951, da attuare sul piano del raccordo con i nuovi obiettivi di “coesione” normativa tra aree territoriali, per la realizzazione primaria di un mercato comune europeo. Ulteriore scopo della Comunicazione è tendere al miglioramento qualitativo della stesura delle norme comuni, alla semplificazione ma anche all’articolazione della trama normativa generale, allo scopo di vedere riconosciuta maggiore identità ad un diritto complessivamente incerto. La scelta dell’organismo comunitario pone le basi di un dialogo difficile ma irrinunciabile, non statuisce, orienta; in una logica di sistema predilige una tecnica di raffinazione più che d’impatto, allo scopo di offrire alle parti contrattuali strumenti esegetici ed interpretativi maneggevoli, proporzionati alla cura di interessi sempre più eterogenei da tutelare. Nella materia del diritto contrattuale europeo5, la Comunicazione costituisce l’espressione immediata di uno sforzo che coinvolge una varietà di soggetti e che viene da lontano, dall’esigenza di un linguaggio comune del mercato interno 6 e dalla necessità di calare le differenze nella concreta realtà di un procedimento unitario. Il problema dell’armonizzazione del diritto contrattuale, che per primo si rivolge all'attenzione dei destinatari della Comunicazione, coinvolge in prima battuta gli 5 Questa espressione può essere intesa in un duplice significato: essa allude, da un lato, ai diversi interventi normativi assunti dagli organi comunitari nella materia dei contratti; dall'altro, ad una base comune composta da terminologia, nozioni e concetti, principi generali e regole specifiche che costituisce per così dire il "retroterra" nel quale si innestano gli interventi normativi. 6 La nozione di mercato comune non è stata data dal Trattato CE ma dall'Atto unico europeo introducendo il nuovo art. 7A (14) che fornisce la definizione di mercato unico come "la spazio 7 operatori del mercato che, lavorando soprattutto nel commercio transfrontaliero, si trovano a dover risolvere problemi legati alla applicazione dei diritti contrattuali diversi da Paese a Paese. La necessità di un intervento comunitario che tenti di risolvere tale problema nasce dalla considerazione che talvolta un approccio caso per caso risulti non sufficiente a risolvere definitivamente la questione. Il Parlamento e la Commissione, hanno sentito l’esigenza di ricercare una soluzione sistematica ed organica capace di risolvere la questione una volta per tutte. Il Consiglio Europeo di Tampere7 nel 1999 ha formalizzato l’esigenza di un tempestivo intervento comunitario in materia di diritto contrattuale. Il Parlamento Europeo nel 2000 è da ultimo intervenuto sulla questione incaricando la Commissione Europea di effettuare uno studio sulla uniformazione del diritto contrattuale dei diversi Stati membri. Da parte sua il mondo accademico non è potuto rimanere insensibile alle esigenze avvertite a livello istituzionale ed ha coinvolto esponenti di punta in un vivace dibattito sull’armonizzazione di taluni settori del diritto dei contratti. Il lavoro accademico, ancora in itinere, ha elaborato due progetti di Codice dei contratti e di Principi generali di diritto contrattuale europeo. senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali". 7 Nelle conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, al paragrafo 39, si legge: " Per quanto concerna il diritto materiale, occorre procedere ad uno studio globale sulla necessità di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia civile per eliminare gli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili". 8 Si deve riconoscere all’Università di Pavia il merito di aver recentemente pubblicato il testo “European contract code – Preliminary draft”8 basato sul lavoro dell’Academy of European Private Lawyers . Il codice contiene un corpus di norme e soluzioni basate sugli ordinamenti della Svizzera e degli Stati membri dell’Unione Europea e concerne aspetti riguardanti la formazione dei contratti, la forma, il contenuto, l'interpretazione e gli effetti, l'esecuzione e la mancata esecuzione, la cessazione e l'estinzione, nonché altre anomalie e relativi rimedi giuridici. Tutti questi sforzi sia in campo comunitario sia in campo dottrinario hanno spinto la Commissione a redigere la Comunicazione n.398/2001 con lo scopo di valutare e risolvere i problemi che potrebbero nascere per il mercato interno dalle divergenze tra le varie normative nazionali, approfondendo l'azione comunitaria in questo settore. I settori del diritto contrattuale che la Comunicazione intende approfondire, in particolare, comprendono i contratti di vendita e tutti i tipi di contratti di servizi, compresi quelli riguardanti i servizi finanziari concentrando soprattutto l’attenzione su due settori specifici: i possibili problemi riguardanti eventuali difformità fra gli ordinamenti nazionali in materia di contratti; le opzioni aperte per il futuro del diritto contrattuale all’interno della Comunità. 8 Il "Gruppo di Pavia", a cui si deve la redazione del Codice Civile Europeo, ha lavorato sulla scorta dei suggerimenti della commissione promossa da Ole Lando la quale ha individuato una serie di principi comuni per i Paesi della Comunità europea a proposito di formazione, validità, interpretazione e contenuti dei contratti. 9 2. Situazione attuale Prima, però, di andare ad analizzare le soluzioni prospettate dalla Comunicazione è necessario andare a esaminare quali sono i rimedi impiegati dal diritto internazionale e da quello comunitario per risolvere le problematiche connesse con le differenze nel diritto contrattuale dei diversi Paesi. Gli strumenti normativi di internazionalizzazione del diritto contrattuale9 adottati sono molteplici ma utilizzati con la medesima finalità. Un primo rimedio è rappresentato dall’applicazione di norme internazionali uniformi in materia di diritto privato per determinare quale ordinamento sia applicabile al contratto; ricordiamo a riguardo la Convenzione di Roma10 del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e la Convenzione di Bruxelles11 del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Una seconda soluzione potrebbe essere individuata nell’armonizzazione a livello internazionale di norme di diritto sostanziale; ricordiamo la Convenzione delle Nazioni Unite12 del 1980 riguardante i contratti di vendita internazionale di merci (CISG). 9 I contratti internazionali presentano forma scritta nella stragrande maggioranza dei casi. In tale ipotesi, lo schema contrattuale è di solito fortemente semplificato dal punto di vista strutturale, rinviandosi, per ogni specificazione in ordine alla norma applicabile, alle cc.dd. condizioni generali di contratto - regole che la prassi elaborata in un certo ambiente commerciale ha reso "tipo" normativo - ovvero completandosi secondo le integrazioni offerte dalle definizioni o clausole mercantili correnti. 10 Le norme della Convenzione di Roma si applicano agli obblighi contrattuali in ogni situazione che prevede una scelta fra gli ordinamenti dei diversi Paesi e stabiliscono che le parti possano concordare quale disciplina applicare. La Convenzione però limita la scelta dell'ordinamento applicabile e stabilisce quale si applichi nel caso non sia operata alcuna scelta. 11 La Convenzione di Bruxelles del 1968 è parallela a quella di Roma del 1980 e concerne la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; inoltre stabilisce quale sia il foro competente a trattare una determinata causa. 12 La CISG stabilisce norme uniformi per la vendita internazionale di merci applicabili ai contratti di vendita in assenza di decisione diversa delle parti. Alcuni settori sono esclusi dall'ambito della Convenzione, come la vendita di merci acquistate per uso personale, familiare o domestico e la 10 Ancora si può rilevare che in ambito internazionale operano i Principi UNIDROIT13 che possono essere considerati una sorta di esperimento di codificazione di un emergente regime giuridico sovranazionale delle transazioni internazionali. In campo comunitario, invece, troviamo una serie di direttive che hanno la funzione di avviare un’armonizzazione nel campo dei diritto dei contratti: Alcune direttive disciplinano norme specifiche14 sulla conclusione di un contratto, sulla forma e il contenuto di un’offerta e la sua accettazione nonché sull’esecuzione di un contratto e sugli obblighi delle parti contraenti. Altre specificano anche il contenuto delle informazioni15 fornite dalle parti nelle diverse fasi, in particolare nella fase precedente la formazione del contratto. Questa la situazione attuale. Tali strumenti, internazionali e comunitari, non sono, però, stati in grado di risolvere il problema in quanto l’applicazione di norme difformi sui contratti può costituire un ostacolo al funzionamento del mercato transfrontaliero e di quello interno dei singoli Stati membri. vendita di valori mobiliari, effetti commerciali e valute. La Convenzione contiene, inoltre, disposizioni relative alla formazione di un contratto e ai diritti e doveri di venditore e compratore. 13 Essi sono stati elaborati in seno ad UNIDROIT – International Institute for the Unification of Private Law – organizzazione internazionale indipendente. L’obiettivo era quello di individuare i principi comuni alla maggior parte dei sistemi giuridici esistenti e di elaborare una normativa comune applicabile ai contratti internazionali che potesse semplificare i rapporti giuridici che coinvolgono, per loro natura, più ordinamenti che spesso sono molto diversi fra loro. La pubblicazione dei Principi UNIDROIT può ridurre considerevolmente le difficoltà cui si è fatto riferimento e può costituire uno strumento per la ‘denazionalizzazione’ del regime giuridico cui devono essere soggetti gli scambi transnazionali. 14 Un esempio a riguardo è la Direttiva 1999/44/CE sulla vendita di beni di consumo e garanzie associate con la quale si vuole assicurare la protezione dei consumatori e rafforzare la fiducia dei consumatori nelle transazioni commerciali transfrontaliere fissando un gruppo comune di norme di minima valide indipendentemente dal luogo in cui si effettuano gli acquisti; anche la Direttiva 90/314/CEE sui viaggi, vacanze e circuiti “tutto compreso” persegue il medesimo fine con l'ulteriore intento di ravvicinare le disposizioni legislative del settore nel territorio della Comunità. 11 Inoltre, è necessario osservare come la situazione legislativa internazionale e comunitaria delineata, possa condizionare lo sviluppo del mercato interno della CE e lasciare irrisolto il problema dell'armonizzazione del diritto contrattuale dei diversi Stati membri. Il Trattato Ce conferisce alle istituzioni comunitarie il compito di agevolare la costituzione e il funzionamento del mercato interno con particolare riferimento alla libera circolazione di beni, persone merci e capitali. In questo modo la CE è riuscita a ridurre gli ostacoli incontrati dagli operatori economici nei mercati interni ed esterni la Comunità ma non li ha ancora completamente rimossi. Gli sviluppi tecnologici come il commercio elettronico attraverso Internet16 e l’introduzione dell’Euro17, che pure hanno dato un grosso aiuto allo sviluppo dei commerci transfrontalieri, si sono comunque rivelati insufficienti ad una soluzione definitiva del problema. Il mercato comune, inoltre, può essere minato da problemi che riguardano più in particolare la conclusione, l’interpretazione e l’applicazione dei contratti usati nel commercio transfrontaliero. Risulta, infatti, rilevante la previsione da parte degli ordinamenti nazionali del principio della libertà contrattuale18 per cui le parti contraenti sono libere di 15 Cfr. ad es. Direttiva 85/77/CE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali con lo scopo di proteggere i consumatori dalle pratiche commerciali abusive e Direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza che fissa un insieme comune di regole minime in materia. 16 Il commercio elettronico o e-commerce può essere definito come un qualsiasi tipo di transazione tendente a vendere o acquistare un prodotto o servizio, in cui gli attori interagiscono elettronicamente piuttosto che con scambi fisici e contatti diretti. Esso è basato sulle nuove tecnologie e rappresenta un caso emblematico in cui le tecnologie sono usate per rispondere ai bisogni latenti dei consumatori, fornendo nel contempo alle imprese nuovi canali commerciali. 17 L'Euro è, dal 1° gennaio 2002, la moneta comune dei dodici Paesi che compongono l'Unione monetaria europea: Italia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Portogallo. 18 E' quel particolare principio generale dell'ordinamento per il quale le parti possono scegliere liberamente e autonomamente alcuni aspetti del contratto che intendono concludere. Si faccia 12 concordare i termini del proprio contratto nelle parti in cui non siano presenti norme imperative19 che per loro natura sono inderogabili. Problemi ai traffici commerciali possono, quindi, sorgere quando ci troviamo di fronte ad ordinamenti stranieri che prevedano norme imperative differenti e in conflitto. Ancora, la presenza di clausole non previste legislativamente ma inserite all’interno del contratto per via della prassi in uso in un determinato Paese, crea una problematica conclusione di un contratto in quanto può risultare difficile, se non impossibile, per una parte accettare i termini e la condizioni di un contratto tipo qualora questi siano difficilmente accertabili. Tutte le problematiche e gli inconvenienti fin qui esposti possono creare un disincentivo per i traffici e il commercio transfrontaliero soprattutto per i consumatori e le PMI. Infatti, da una parte, i fornitori di beni e servizi potrebbero considerare non vantaggioso dal punto di vista economico offrire i propri prodotti ai consumatori degli altri Paesi; dall’altra, la difformità delle normative nazionali può aumentare i costi delle transizioni e quindi svantaggiare la concorrenza estera nei confronti di quella interna. Per poter parlare di armonizzazione del diritto dei contratti a livello europeo, dobbiamo anzitutto comprendere in che maniera il legislatore comunitario opera riferimento, ad esempio, alla libertà di contrarre, di scegliere il contraente, di determinare il contenuto contrattuale, di creare nuovi tipi contrattuali e di scegliere la struttura negoziale ove possibile. Tali libertà non sono però assolute e trovano il loro limite nell'applicazione di norme imperative che per loro natura sono inderogabili. 19 Per poter definire una norma imperativa è necessario far riferimento alla differenza tra norme derogabili e norme inderogabili. Le prime sono applicabili salvo che la volontà dei privati non disponga diversamente, elaborando una regola diversa. la norma inderogabile non lascia questa libertà di scelta; se essa è violata, spetta al soggetto interessato chiedere al giudice di applicare le 13 per garantire l’applicazione e l’attuazione della normativa vigente in maniera uniforme in tutti gli Stati membri. In questo senso il legislatore comunitario deve garantire l'uniformità nella stesura della legislazione della Comunità in modo che i provvedimenti adottati possano essere coerenti fra loro, interpretati allo stesso modo e produrre gli stessi effetti in tutti gli Stati membri. In particolare nel settore del diritto dei contratti il legislatore europeo ha finora seguito un approccio gradualistico all’armonizzazione che combinato alle mutazioni impreviste del mercato potrebbe essere causa di disomogeneità nell’applicazione del diritto comunitario. In questo settore della legislazione europea, un altro problema potrebbe essere legato alla traduzione di un concetto giuridico per il quale esistono regole diverse nei diversi ordinamenti nazionali; questo si spiega essenzialmente nel fatto che le direttive cercano di risolvere problemi diversi e contrapposti20. In realtà il problema di fronte al quale si trova la Commissione, una volta appurato che l’approccio caso per caso sia insufficiente a risolvere il problema, è quello di stabilire quali siano gli strumenti da utilizzare; in particolare se sia conveniente procedere ad un approccio graduale alla questione o se sia necessario un intervento più incisivo. sanzioni previste. La norma inderogabile è imperativa e la sua violazione provoca la nullità dell'atto salvo che la legge non disponga diversamente. 20 Si ricordi, ad esempio il concetto di "danno" contenuto nelle direttive 85/374/CEE e 86/653/CEE nelle quali viene usato funzionalmente soltanto alla materia di cui tratta la direttiva che lo contiene; differentemente da altre direttive, come ad es. la direttiva 90/314/CE, che fanno uso del termine senza definirlo, creando problemi interpretativi. 14 3. Opzioni per iniziative future della CE Questa Comunicazione, come detto, ha come obiettivo quello di raccogliere proposte per l’armonizzazione del diritto contrattuale attraverso l’individuazione di ostacoli che si frappongono al corretto funzionamento del mercato interno per quanto riguarda le transazioni transfrontaliere. Qualora l’approccio caso per caso non risultasse soddisfacente, è necessario che le istituzioni comunitarie pongano in essere una diversa misura per completare il più possibile, attraverso un’esaustiva armonizzazione, il campo della contrattualistica europea. In ogni caso tutte le misure adottate devono rispondere al criterio di sussidiarietà21 che possa consentire alla Comunità di agire nei limiti dei suoi poteri, da espandere qualora richiesto dalle circostanze, oppure da restringere o interrompere qualora non siano più giustificati, con l’intenzione di garantire un trattamento omogeneo in seno ai sistemi nazionali e di stimolare un’efficace cooperazione tra gli Stati membri. Un alto criterio a cui dovranno rispondere i provvedimenti della Comunità sarà quello di proporzionalità22 nel senso che la legislazione CE, per essere efficace, non dovrà imporre eccessivi vincoli agli Stati membri; in tal modo, le misure adottate dalle istituzioni comunitarie dovranno essere idonee e necessarie per il conseguimento degli scopi della norma. 21 Il principio di sussidiarietà è richiamato dall'art. 5, comma 2 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato CE), il quale recita: "Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario". 22 Secondo il principio di proporzionalità, l'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato. Alla luce dell'art. 5 del 15 Per garantire il rispetto degli obiettivi fissati in termini politici e giuridici, la Commissione si ispira a due criteri: la capacità delle autorità nazionali e regionali, nonché della società civile, di agire per conseguire gli obiettivi definiti da una disposizione comunitaria; la compatibilità o conformità di tali obiettivi con le prassi seguite a livello nazionale e settoriale. Per facilitare l'elaborazione di proposte e pareri da parte dei soggetti interessati, la Commissione ha individuato quattro possibili soluzioni alle problematiche discusse, alle quali ogni soggetto interessato potrà aggiungere le proprie; esse, infatti, non hanno né carattere vincolante né possono essere considerate come un elenco "chiuso". In ogni caso tutte le soluzioni prospettate dovranno avere come requisito imprescindibile la capacità di garantire alle parti contraenti la libertà necessaria per concordare i termini contrattuali più adatti ai loro bisogni specifici. Un altro approccio prospettabile, che qui non viene preso in considerazione, potrebbe essere la negoziazione di un trattato internazionale nel settore del diritto dei contratti, comparabile alla CISG ma con un ambito di applicazione più ampio della sola vendita di merci. Andiamo, ora, ad analizzare nello specifico le opzioni prospettate dalla Commissione: Assenza di un’azione comunitaria La prima opzione prospettata dalla Commissione si ispira al principio secondo il quale la soluzione dei problemi creati dal mercato deve essere lasciata al mercato Trattato CE, quindi, tale principio, pur essendo complementare a quello di sussidiarietà, mantiene una propria autonomia esercitandosi con una propria forza penetrante nei rapporti economici. 16 stesso, in maniera automatica, grazie alla pressione esercitata dai gruppi d’interesse coinvolti o da vari incentivi che gli Stati membri e la organizzazioni professionali potrebbero offrire23. Questa “armonizzazione blanda”, in realtà non verrebbe indotta da norme comunitarie vincolanti, ma sarebbe frutto delle conseguenze delle evoluzioni in campo economico. Promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto dei contratti per arrivare ad una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali. Un'altra ipotesi di soluzione prospettata dalla Commissione, potrebbe essere quella che si può concretizzare nella promozione di una ricerca comparativa e di una cooperazione in materia, per la messa a punto di un corpus di principi comuni negli opportuni settori del diritto nazionale dei contratti. In particolare nel campo dei contratti transnazionali sono immaginabili soluzioni, principi e addirittura complessi di norme comuni. Tali principi avrebbero lo scopo di essere linee guida per gli Stati membri i quali si impegnerebbero a seguirli il più possibile in modo da trasformarli in diritto consuetudinario; è tuttavia necessario che essi siano definiti in modo tale da soddisfare tutti i requisiti legittimi. 23 Due esempi di iniziative nazionali/delle associazioni degli industriali miranti a fornire una soluzione ai problemi transfrontalieri relativi ai contratti mediante accordi volontari istituenti contratti tipo validi in più Paesi: nel 1999 un gruppo composto da sei federazioni industriali tedesche, il cosiddetto gruppo di lavoro dei componenti dell'industria delle forniture, ha concordato un complesso di clausole minime per i contratti transfrontalieri. Tale modello si applica ai contratti transfrontalieri disciplinati esclusivamente dall'ordinamento tedesco e contiene disposizioni relative a prezzi, riservatezza, modelli, attrezzature, diritti di proprietà industriale, garanzie, responsabilità, danni ai prodotti ecc. Anche ORGALIME (Organismo di collegamento delle industrie metalmeccaniche europee) ha definito un modello di "accordo di consorzio" internazionale volto a promuovere la cooperazione transfrontaliera fra le imprese. 17 Ciò potrebbe influenzare o anche cambiare le prassi commerciali in uso nei vari Stati membri suscettibili di costituire ostacoli al pieno funzionamento del mercato interno. Solo la loro applicazione costante, coerente ed uniforme, renderebbe tale opzione valida. Sempre in quest’ottica un’altra soluzione prospettata potrebbe consistere nella standardizzazione di un dato numero di contratti. Detti contratti evitano alle parti di dover contrattare i termini di ogni transazione e conferiscono una certa sicurezza ai contraenti, fino ad acquistare uno status quasi normativo. Per questa ragione spesso risulta difficile concludere un contratto con una controparte residente in uno Stato membro diverso nel momento in cui questa sia abituata , ad esempio, a termini contrattuali diversi, di comune utilizzo nel proprio Paese. Miglioramento qualitativo della legislazione già esistente. Migliorare la legislazione già esistente significa innanzitutto migliorare e modernizzare le tecniche legislative. Questo è possibile farlo solo se ci si inserisce in un ottica di trasparenza e chiarezza in cui anche la presentazione e la terminologia siano rese più coerenti. In questo senso l’intera legislazione europea dovrebbe essere sottoposta ad un’operazione di semplificazione24. Tali procedure di semplificazione avrebbero come scopo quello di migliorare la qualità, ridurre il volume degli strumenti normativi esistenti e nel contempo, 24 Progetto pilota SLIM (semplificare la legislazione per il mercato interno) per migliorare la qualità della legislazione relativa al mercato interno, eliminare la legislazione superflua e limitare i costi connessi con l'attuazione. SLIM cerca di concentrare l'attenzione su problemi specifici e non intende aprire le porte alla deregolamentazione. Le istituzioni comunitarie hanno stabilito che la semplificazione non deve compromettere l'"aquis comunitario". 18 rimediare alle eventuali incoerenze o addirittura contraddizioni tra gli strumenti giuridici. Adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario. Un’ultima opzione prospettata dalla Commissione è quella di adottare un testo complessivo comprendente disposizioni relative ad aspetti generali di diritto contrattuale e di aspetti specifici per ogni singolo contratto. La scelta dello strumento dipende da molti fattori: una direttiva conferirebbe agli Stati membri una certa flessibilità ma questo comporterebbe differenze tra gli Stati che sarebbero a loro volta ostacolo al corretto funzionamento del mercato comune; un regolamento concederebbe minore flessibilità garantendo condizioni più trasparenti e uniformi per gli operatori di mercato; una raccomandazione sarebbe adatta solo se si scegliesse un modello del tutto volontario; Qualunque altra opzione Come detto l'elenco delle possibili soluzioni prospettate dalla Commissione non è completo e ha valore puramente indicativo. D'altra parte lo scopo della Comunicazione è proprio quello di ricercare possibili soluzioni anche innovative rispetto a quelle individuate dalla stessa ma che siano in grado di apportare un utile contributo alla risoluzione del problema. 19 Non è compito della presente Comunicazione individuare quale opzione scegliere; a questa è demandato solo il compito di aprire il dibattito sul tema, in modo da coinvolgere il maggior numero di soggetti, al fine di sollecitare il raggiungimento di una soluzione che sia valida non solo dal punto di vista formale ma anche e soprattutto da quello della sua applicazione sostanziale. 20 REAZIONI ALLA COMUNICAZIONE SUL DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO La Comunicazione della Commissione europea sul diritto contrattuale europeo, ha dato luogo ad una serie di reazioni da parte dei Governi dell’Unione, degli operatori economici, delle associazioni consumeristiche e del mondo accademico, i cui esiti, ampiamente divulgati dalla Commissione, non possono non essere presi in considerazione. Il quadro che emerge è quello di un’Europa ancora divisa in ordine all’opportunità dell’azione normativa e alle modalità di tale intervento; un’Europa, se si vuole, anche indifferente al problema giacché, come evidenzia la Commissione, il maggior numero di contributi è venuto dalla Germania e dal Regno Unito, mentre da alcuni Stati membri non è giunto alcun tipo di apporto25. La lettura dei documenti inviati alla Commissione, senz’altro utile per effettuare una prima, anche se incompleta ricognizione dell’opinione diffusa in Europa in ordine al futuro assetto normativo del diritto contrattuale europeo, induce ad una serie di riflessioni. 25 I vari governi nazionali hanno evidenziato quelle che ritengono le maggiori implicazioni per il mercato interno derivanti dalle diversità esistenti nel diritto contrattuale. Il governo portoghese afferma, per esempio, che i costi derivanti dal conseguimento di informazioni legate ai vari diritti contrattuali nazionali costituiscono un ostacolo alle transazioni tra Stati membri. Il governo del Regno Unito non ritiene la coesistenza di diverse forme di diritto contrattuale nazionale necessariamente negativa in sé per il funzionamento del mercato interno, tuttavia l’ente per i servizi finanziari del Regno Unito riconosce che ciò potrebbe costituire un ostacolo potenziale laddove si considera l’abbattimento di altre barriere, ad esempio con l’introduzione dell’euro. Il governo finlandese afferma l’esistenza di difficoltà nel settore del diritto assicurativo e che le differenze tra disposizioni obbligatorie limitano la volontà delle aziende a partecipare ad attività transftrontaliere. 21 Ancor prima di aderire ad una delle opzioni proposte nel documento (laisser faire all’autonomia privata, elaborazione di princìpi comuni, specifico intervento comunitario) appare indispensabile individuare dei parametri normativi che fungano da riferimento nell’individuazione delle soluzioni giuridiche. Tali parametri debbono essere ricercati all’interno dell’ordinamento comunitario essendo il quesito incentrato sull’opportunità e le modalità di un intervento normativo comunitario. Utili riferimenti paiono costituiti dai due princìpi cardine che governano la Comunità Europea e l’Unione Europea: i princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità. Taluni contributi inviati alla Commissione richiamano questi due princìpi per invitare la stessa a verificarne il rispetto nell’azione in esame26. Del pari richiedono una verifica in ordine alla competenza della Comunità Europea a legiferare uniformemente in tale materia, sostituendo il diritto nazionale con un unico diritto contrattuale europeo, sia il governo polacco sia il governo austriaco. Andando ad analizzare nella specifico il principio di sussidiarietà, ci rendiamo conto come questo informi l'intervento della Comunità in modo tale da renderlo necessario soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e, possono, dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario” (art. 5 TCE e art. 2 TUE). 26 Si fa riferimento, in particolare ai documenti inviati dai Lander tedeschi che, pur prospettando nel medio o lungo termine, l’adozione di uno strumento normativo comunitario, sottolineano l’esigenza che lo stesso sia davvero necessario e chiedono che la questione del fondamento 22 Da ciò emerge che le competenze nazionali sono la regola e quelle comunitarie l’eccezione. Nondimeno le scelte sull’intensità e la natura dell’azione, nonché sulle le misure di intervento devono essere effettuate nel rispetto del principio di proporzionalità ampiamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia già prima della sua consacrazione nell’art. 5 del Trattato CE. Questo principio opera anche quando la competenza è esclusiva e serve a stabilire la conformità dell’azione con gli obiettivi del Trattato. Esso impone alla Comunità di scegliere il mezzo d’azione che lasci maggiore libertà allo Stato e ai singoli e che la disciplina vincolante adottata non si traduca in un eccesso di regolamentazione. Una tale preoccupazione affiora esplicitamente nel contributo inviato alla Commissione dagli operatori del diritto inglesi che, per tale ragione, trovano eccessivo sostenere l’adozione di un diritto contrattuale europeo di tipo obbligatorio, quale potrebbe essere un codice unico europeo in materia contrattuale. E’ pur vero che il recente protocollo addizionale al Trattato di Amsterdam, interamente dedicato al principio di sussidiarietà e di proporzionalità, ha ribadito il carattere dinamico del principio di sussidiarietà, suggerendone una lettura mutevole nel tempo e rapportata alla realizzazione degli obiettivi stabiliti dal Trattato. Ciò non toglie il permanere di un controllo in ordine all’attività normativa comunitaria: secondo il paragrafo 4 del protocollo “Le motivazioni di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la giuridico dell’intervento sia sottoposta alla Conferenza Intergovernativa dei governi europei (c.d. CIG) prevista nel 2004. 23 conformità della proposta ai princìpi di sussidiarietà e proporzionalità”. Non solo, ma è indispensabile che la proposta normativa sia preceduta da una chiara indicazione delle ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio dalla Comunità piuttosto che dagli Stati membri e all’uopo, il paragrafo 4, richiede che queste ragioni siano “confortate da indicatori qualitativi o, ove possibile, quantitativi”. Da più parti sono sorte perplessità in ordine alla necessità di un intervento comunitario che sostituisca il diritto contrattuale dei singoli stati membri con un corpo unitario di norme di tipo obbligatorio, di emanazione comunitaria. Alla luce dei criteri stabiliti dal paragrafo 4 del Protocollo non sembra che, allo stato attuale vi siano indicatori qualitativi o quantitativi tali da far optare per questo tipo di intervento27. E’ indubbio, però, che una pluralità di settori (assicurazioni, vendite negoziate fuori dei locali commerciali, diritto di recesso del consumatore, garanzie post vendita ecc.) necessitino di un intervento comunitario diretto a rendere maggiormente uniforme la legislazione. In tali settori, come è emerso da differenti contributi, spesso si accavallano normative di vario livello e informate a criteri molto differenti. V’è un’esigenza di intervento normativo, anche di tipo comunitario, che realizzi l’uniformità e la certezza del diritto, beni indispensabili per l’attuazione di un mercato comune anche in tali settori. Nell’imminente Libro verde o libro bianco che, secondo le richieste formulate dal Consiglio europeo svoltosi a Tampere il 15 e il 16 novembre 2001, dovrebbe essere varato dalla Commissione entro il prossimo dicembre, si dovrà dar conto dell’attuale concreta mancanza di indicazioni qualitative o quantitative che giustifichino un intervento normativo forte, volto a sostituire il diritto contrattuale dei singoli stati membri con un diritto contrattuale unico di tipo comunitario. 27 24 Al riguardo sembra possibile aderire all’opzione III del documento della Commissione, in quanto, in tali settori, sembra preminente l’esigenza di un miglioramento qualitativo di una legislazione già esistente e, in taluni casi sovrabbondante. Si pensi, a titolo di esempio, alla situazione italiana, dove, in adempimento di Direttive comunitarie, il legislatore nazionale ha disciplinato i contratti di vendita a distanza28, creando in alcuni casi difformità di disciplina in riferimento alle medesime fattispecie. In questi casi, soltanto l’adozione di criteri ermeneutici assiologicamente orientati e adottati in modo da tener conto dell’intero sistema normativo consente al giurista di stabilire quale delle due discipline sia applicabile. Ben vengano, quindi, al riguardo operazioni di snellimento e di semplificazione della normativa comunitaria in questi settori perché troppe sono le antinomie giuridiche e ingente è la mole dei provvedimenti che, nel corso del tempo, sono intervenuti a disciplinare una stessa materia. In questa prospettiva non può che auspicarsi un incremento delle politiche di semplificazione e razionalizzazione della legislazione, già avviate con le azioni SLIM (semplificazione della legislazione per il mercato interno)29 e la task force BEST (Cellula operativa per la semplificazione dell’ambiente commerciale)30. 28 Una vendita effettuata tramite tecniche di comunicazione a distanza risulta astrattamente disciplinata dal d.lg. n. 50 del 1992, il cui art. 9 estende la disciplina dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali alle forme di vendita effettuate attraverso mezzi di comunicazione a distanza e dal d.lg. n. 185 del 1999, in materia di contratti a distanza. 29 Il progetto SLIM è stato in tradotto nel 1996 con lo scopo precipuo di eliminare la legislazione superflua e limitare i costi connessi con l'attuazione. Tuttavia l'opera di semplificazione portata avanti dal progetto SLIM non deve essere considerata un grimaldello per rimettere in discussione l'armonizzazione già raggiunta in settori quali la tutela della salute, la protezione dei lavoratori e dei consumatori, la difesa dell'ambiente e la libertà del commercio. L'idea è che la semplificazione diventi una risorsa che completi il mercato interno, non una fonte del suo smantellamento. 30 Task force BEST è stata istituita nel 1997 dalla Commissione. Nel 1998 la Cellula ha presentato una relazione completa di 19 raccomandazioni, relative agli ambienti commerciali degli Stati membri una vasta gamma di settori: *Piano d'azione per il mercato unico, lanciato nel 1997, indica quattro obiettivi strategici: - rendere più efficaci le norme, - risolvere la distorsioni del mercato, - 25 Esclusa per le ragioni già dette la praticabilità, almeno nel breve periodo, dell’adozione di un codice unico europeo in materia contrattuale che possa uniformare la disciplina dei contratti nei vari Stati membri, pare opportuno soffermarsi su altre possibili modalità di intervento normativo, maggiormente flessibili, pur esse prospettate nel documento e indicate come auspicabili tecniche di intervento normativo nel Libro bianco sulla Governance europea. Si fa riferimento alla possibile adozione di tecniche cc.dd. di soft law, modalità di formazione delle regole giuridiche che i francesi chiamano co-régulation. La coregolamentazione può essere intesa in un duplice significato: una prima definizione è contenuta nel libro bianco sulla Governance e con tale espressione si vuol far riferimento al fenomeno attraverso il quale lo Stato sostituisce la regolamentazione tradizionale o aggiunge alla regolamentazione tradizionale regole che prescindono da una procedura di tipo statale31; la seconda, di matrice dottrinale, intende far riferimento all'adozione di regole attraverso il mero rinvio a codici di condotta. Facendo riferimento alla prima delle due definizioni, si può ipotizzare l’adozione di una direttiva-quadro o di una raccomandazione che enunci princìpi generali in materia di formazione del contratto, informazione pre-contrattuale, modalità rimuovere gli ostacoli all'integrazione del mercato, - garantire un mercato interno utile ai cittadini dell'Unione. *Bilancio della semplificazione nelle relazioni "Legiferare meglio" in cui ogni anno, dal 1995, la Commissione europea pubblica una relazione in cui riferisce del contributo apportato alla semplificazione delle norma europee. *Accordo interistituzionale sulla qualità redazionale, pubblicato nel marzo 1999 a norma del Trattato di Amsterdam e valido per la Commissione, il Consiglio ed il Parlamento europeo. 31 La coregolamentazione, secondo il libro bianco sulla Governance, è possibile soltanto quando testi normativi comprendano obiettivi globali, diritti di base, dispositivi di esecuzione e di ricorso nonché condizioni per il controllo dell’applicazione; è anch’essa governata dai princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità in quanto il legislatore comunitario può farvi ricorso soltanto “quando sia evidente che essa aggiunge valore e serve all’interesse generale”; inoltre, non può prescindere dall’elaborazione di un quadro normativo generale di riferimento che funga da parametro ai suoi contenuti. 26 esecutive ecc. Al riguardo utili riferimenti possono essere costituiti dalle raccolte di princìpi uniformi e dalla normativa elaborata dagli stessi operatori economici che, al riguardo, già da tempo hanno elaborato un corpus regolamentare trnsnazionale, idoneo a risolvere i principali problemi posti dalle transazioni di tipo transfrontaliero. La combinazione di tali princìpi a interventi regolamentari attuativi degli stessi operati dai legislatori nazionali potrebbe costituire un obiettivo agevolmente realizzabile in tempi relativamente brevi. Se, invece, per coregolamentazione si intende prendere come riferimento la seconda definizione, emergono alcune perplessità. Invero, numerosi contributi evidenziano lo scarso successo che un tale tipo di azione normativa potrebbe avere: l’esperienza dimostra che spesso il rinvio a codici deontologici o buone pratiche commerciali non ha portato ad un’efficace regolamentazione dei comportamenti umani32. Non a caso nel libro bianco sulla Governance si esclude che possa farsi ricorso alla coregolamentazione “nelle situazioni in cui è necessario che le norme si applichino in modo uniforme in ogni Stato membro”. Il modello coregolamentare è una realtà sperimentata anche nell’ordinamento italiano e sulla quale è opportuno riflettere. In particolare è utile far riferimento alla legge 467/2001 sulla protezione dei dati personali; secondo tale norma, al Garante sarebbe affidato il compito di promuovere la redazione di codici di deontologia e di buona condotta destinati a quei soggetti, pubblici e privati, interessati al trattamento dei dati personali. 32 Si pensi al riguardo a quanto illustrato dalla stessa Commissione nel Documento di lavoro sull’applicazione della Decisione della Commissione 2000/520/CE del 13.2.2002, laddove viene evidenziata la scarsa adesione da parte degli operatori economici alle regole sulla tutela della riservatezza adottate dall’Unione Europea nei rapporti con gli Stati Uniti e, viene constatato, che la maggior parte dei professionisti che hanno aderito a questa regolamentazione non hanno, di fatto, 27 A riguardo desta perplessità la previsione di una forma di liceità derivante dal mancato rispetto di tali disposizioni di origine non statale. La previsione contenuta nell’art. 20, comma 3 introduce un’illiceità che non deriva da una violazione del contenuto di norme imperative, di ordine pubblico o di buon costume, intese in senso tradizionale, bensì da regole frutto dell’autonomia privata, che, però, in ragione di un espresso rinvio ad esse fatto dalla legge, assurgono a parametro che consente all’interprete la valutazione della liceità. Il rinvio al codice, pur avvallato dal Garante, preoccupa per una serie di ragioni: esso, in astratto, potrebbe risultare squilibrato per una possibile disparità tra le parti che lo hanno negoziato (Associazioni di categoria degli operatori economici e associazioni degli utenti e consumatori). In materia potrebbe riproporsi lo stesso fenomeno di abusività sanzionato a livello individuale dalla normativa sulle clausole vessatorie. L’aspetto che maggiormente rende perplessi è, però, costituito dall’equivoco di fondo che sorregge le tecniche regolamentari.; il libro bianco sulla Governance Europea espressamente stabilisce che il ricorso alla coregolamentazione è opportuno “nei casi in cui non sono in questione i diritti fondamentali o gravi scelte politiche”. L’interrogativo che, a questo punto, occorre porsi è: il diritto contrattuale europeo, può essere varato, senza effettuare alcun collegamento con altre situazioni patrimoniali e, soprattutto con le situazioni esistenziali? Diversi contributi hanno affrontato, anche se indirettamente la questione. rispettato nella loro prassi contrattuale i princìpi di trasparenza e di tutela della privacy che formalmente si erano impegnati a rispettare. 28 Nella stessa “relazione del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia civile”, adottata il 16 novembre 2001, si suggerisce di effettuare un intervento normativo unitario che coinvolga quantomeno gli istituti della proprietà e della responsabilità civile, auspicando, inoltre, una regolamentazione uniforme anche nell’àmbito dei rapporti familiari. Il richiamo alla necessità di affrontare globalmente l’intero settore del diritto patrimoniale emerge da più contributi, nei quali si auspica una normativa che uniformi la regolamentazione non soltanto in materia contrattuale, ma più in generale disciplini le obbligazioni, il risarcimento da fatto illecito, il rimborso per arricchimento senza causa, la proprietà, anche sui beni cc.dd. immateriali, le garanzie, la cessione del credito e i patrimoni fiduciari. Questi interventi, per la maggior parte effettuati da esponenti del mondo accademico europeo, evidenziano l’impossibilità di procedere ad una qualsivoglia forma di normazione uniforme attraverso interventi frammentari che non tengano conto dei nessi tra le fonti dei rapporti patrimoniali e gli effetti da esse prodotti (ad es. contratto e obbligazioni, contratto e trasferimento dei diritti reali ecc.), tra istituti connotati dalla patrimonialità e come tali suscettibili di un diritto patrimoniale comune. A riguardo non possono non richiamarsi i proficui risultati interpretativi perseguibili delineando tratti disciplinari comuni per tutte le situazioni patrimoniali, prescindendo e, talora, superando gli schematismi che impongono una rigida distinzione tra diritti reali e diritti di credito. 29 Ma v’è di più: come si è accennato, nel piano di Governance europeo, l’adozione di tecniche coregolamentari è preclusa quando entrino in gioco diritti fondamentali. La ragione di tale preclusione sembra trovare giustificazione nella necessità di tutelare queste situazioni in modo forte, con strumenti normativi vincolanti, il cui rispetto non sia lasciato alla libera adesione discrezionale delle parti contrattuali. Nel documento della Commissione non v’è traccia di tale preoccupazione, quasi vi fosse una certezza in ordine all’incomunicabilità di interventi normativi sui contratti rispetto a situazioni esistenziali. Sembra, però, che ciò non risponda alla realtà. E’ stato, infatti appurato dalla più moderna dottrina e giurisprudenza che la rilevanza delle situazioni patrimoniali è spesso modulata e parametrata in funzione della realizzazione di situazioni esistenziali. In riferimento a ciò non possono non richiamarsi le pagine scritte dai giuristi italiani che prospettano la depatrimonializzazione del diritto civile o le motivazioni di numerose sentenze, anche di rango costituzionale, nelle quali l'interprete elabora ed individua la disciplina applicabile alle situazioni patrimoniali sulla base di valori esistenziali33. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e indurre ad una qualche cautela nel varo di codici di condotta che, apparentemente riguardano soltanto attività o situazioni patrimoniali, ma che in realtà potrebbero avere dei riflessi anche su situazioni esistenziali34. 33 Si pensi, per tutte, a Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 199, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 1052 c.c., in materia di passaggio coattivo, per ragioni legate alla realizzazione di interessi di carattere esistenziale. 34 Si pensi proprio con riguardo al trattamento dei dati personali alle possibilità offerte dalla tecnologie di schedature che avvengono all’insaputa dell’interessato e che, proprio perché non 30 Del pari criticabile, in questa prospettiva, risulta il generico richiamo ai codici di condotta effettuato dall’art. 31 lettera h della l. comunitaria del 2001. In questa disposizione si auspica la formazione di codici di condotta, elaborati da associazioni o da organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori, che permettano “di evitare violazioni dei diritti” nonché di garantire la protezione dei minori e la salvaguardia della dignità umana. Evidente risulta la necessità di parametrare queste forme di coregolamentazione a standard normativi accettabili e, del resto, ormai delineati nel documento sulla Governance europea. Quel che sorprende è la sostanziale indifferenza del legislatore italiano nei confronti di una tecnica di normazione che non può operare se non in un contesto di gerarchizzazione35 dei valori e dei princìpi. Una maggiore attenzione avrebbe, al riguardo richiesto l’idea di affidare la protezione dei minori o la salvaguardia della dignità umana a modelli normativi di tipo coregolamentare. Al riguardo alcuna liceità potrà essere attribuita a prassi contrattuali che violino tali situazioni esistenziali quantunque tali prassi siano consentite dai codici di condotta; esse senz’altro sarebbero espressione di attività non meritevoli di tutela. Da tutto ciò si evince la necessità di risolvere la questione della normativa uniforme in materia contrattuale tenendo conto dell’unitarietà del sistema giuridico e della gerarchia delle fonti e dei valori in esso presente. palesi, non possono essere seriamente controllate e, quindi, possono essere utilizzate in modo tale da incidere negativamente sulla riservatezza e la dignità personali. 35 Al riguardo v., P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 1992. 31 Il diritto comunitario, ancor oggi, non vive di luce propria, ma richiede un’attuazione da parte di ogni singolo Stato membro. L'intera Comunicazione fornisce una dimostrazione in tal senso, essendo necessario il coinvolgimento di tutti gli operatori del mercato per poter procedere alla soluzione del problema. E’, dunque, impensabile procedere all’elaborazione di princìpi comuni del diritto contrattuale che costituiscano una sorta di compromesso tra i vari princìpi operanti nei singoli ordinamenti nazionali. E’ necessario che tali princìpi si confrontino con i princìpi che governano l’intero settore patrimoniale e che disciplinano le situazioni esistenziali. In una prospettiva attenta a concepire unitariamente il sistema delle fonti comunitarie e quello delle fonti interne, elaborando un sistema italo comunitario delle fonti e dei valori36, il principio destinato ad operare in materia contrattuale dovrà confrontarsi con princìpi che esprimono altri valori. Dovendo analizzare il documento della Commissione pare non esservi consapevolezza di questo problema, che è, invece, molto concreto. Un aiuto non pare giungere nemmeno dalla Corte costituzionale che, al riguardo, come più costituzionalisti hanno denunciato37, ha assunto una posizione di dubbio fondamento giuridico38. La Corte, infatti, si riserva di sindacare gli atti comunitari soltanto qualora questi intacchino i princìpi supremi39 del vigente ordinamento interno. 36 Al riguardo v. P.PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italocomunitario delle fonti, Napoli, 1992, spec. p. 92 ss. 37 In argomento, in tal senso, v. le riflessioni di R. GUASTINI, La primautè du droit communautaire: une rèvision tacite de la Constitution italienne, trad. francese di M. Baudrez, in Chiers du Conseil constitutionnel, n. 9, 2001, p.1 ss. 32 Questa posizione finisce con il legittimare una distinzione tra disposizioni costituzionali di serie A, quelle che esprimono princìpi supremi, come tali inviolabili e disposizioni di serie B, che non esprimendo princìpi supremi possono essere sostanzialmente superate da atti normativi comunitari40. Al di là della ragionevolezza di una tale posizione, sulla cui dubbia costituzionalità autorevoli voci si sono già ampiamente pronunciate41, occorre domandarsi, ai fini del tema in esame, in che modo nel sistema italo comunitario delle fonti si ponga il rapporto tra promozione della persona in tutti i suoi aspetti e tutela dei valori di cui è portatore il mercato, quali la libertà di iniziativa economica. Questo costituisce, senz’altro, il punto di partenza per elaborare princìpi comunitari comuni che siano armonizzati con il sistema giuridico nel quale interagiscono. Al riguardo diversi contributi evidenziano la necessità di individuare non soltanto le norme migliori, ma anche quelle più “giuste”. Si pensi all’art. 3, comma 3 della Direttiva, laddove si stabilisce di far salvo “il livello di tutela, in particolare della sanità pubblica e dei consumatori, garantito dagli strumenti comunitari e dalla 38 Sui rapporti tra diritto costituzionale interno e normativa comunitaria derivata cfr. Corte Costituzionale 6 giugno 1995, n. 232, in Giur. Cost. 1995, 1717. 39 In argomento, in tal senso, cfr. Corte costituzionale 11 aprile 1997, n. 93, in Giur. cost. 1997, 923, con osservazioni di ANZON; in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 1997, 718 con nota di Marzanati; in Cons. Stato 1997,II, 580; in Giur. it. 1997,I, 377 nota di CELOTTO e in Regioni 1997, 690 con nota di BIN. 40 In argomento, in tal senso, cfr. Corte costituzionale 5 maggio 1994, n. 177, in Giur. Cost. 1994, 1583. 41 Avvertono l’esigenza di ancorare le limitazioni alla sovranità statale alle finalità individuate nel testo costituzionale una molteplicità di autori. Considerano operante il principio di legalità costituzionale anche con riferimento alla normativa di matrice comunitaria, P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario delle fonti, cit., p. 101 ss.; L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 442 ss. 33 legislazione nazionale di attuazione, nella misura in cui esso non limita la libertà di fornire servizi della società dell’informazione”. Con questa disposizione il legislatore comunitario introduce una gerarchia tra i valori ponendo in primo piano la salvaguardia del principio di libera erogazione dei servizi, dal momento che la tutela assicurata alla salute e ai consumatori risulta fissata ad un livello che non può essere il massimo possibile in quanto la misura protettiva non può limitare l’esercizio della libertà in parola. L’art. 1, comma 3 della Direttiva sembra costituire l’immagine speculare di un altro articolo, anch’esso fondamentale per il giurista che voglia effettuare un’ermeneutica assiologicamente orientata42. Si fa riferimento all’art. 41 della Costituzione italiana, laddove viene garantita la libertà di iniziativa economica, prevedendo, però, che la stessa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In ordine all’estrinsecazione di quella particolare libertà economica, costituita dall’erogazione di servizi nella società dell’informazione, appare alquanto accentuato il contrasto tra la scala di valori effettuata dalla Direttiva e quella, in via generale, imposta dal personalismo43 alla base della Carta costituzionale. Il principio di libera circolazione dei beni e dei servizi, strumento indispensabile per la realizzazione di un mercato interno comune è un principio che nel diritto comunitario non può non essere considerato fondamentale, ma che, come Sul carattere sistematico ed assiologico dell’interpretazione v., P. PERLINGIERI, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica, il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Scuole, tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, p. 273 ss. 42 34 l’esempio ora fatto evidenzia, deve essere posto in relazione con altri princìpi fondamentali vigenti nell’ordinamento unitariamente inteso. Il nodo da sciogliere, non toccato dal documento della Commissione, è costituito dalla necessità di effettuare un bilanciamento tra valori tutti importanti, ma che in concreto possono collidere. La vigente Carta costituzionale effettua un bilanciamento favorendo nettamente le situazioni esistenziali, espressione di interessi e di valori propri del personalismo. L’ordinamento comunitario, se considerato come entità autonoma e separata dagli ordinamenti nazionali, enuncia esclusivamente i princìpi propri dei settori di sua competenza, pur richiamando la tradizione giuridica costituzionale europea, i suoi princìpi, già espressi nella Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e ora codificati nella Carta dei diritti fondamentali. Se si concepisce unitariamente il sistema normativo, elaborando in una stessa scala gerarchica il ruolo delle fonti44 interne e delle fonti comunitarie, è indubbio che il principio espresso dall’art. 41 Cost. si pone come indispensabile criterio idoneo a vincolare l’interprete o il legislatore, come espressione di un principio immanente al sistema, ineludibile espressione del principio di legalità costituzionale. Tralasciando il ruolo che potrà assumere nella gerarchia delle fonti la carta europea dei diritti fondamentali, resta salvo il principio di salvaguardia del livello 43 Per un approfondito esame delle radici storiche del personalismo posto a fondamento del vigente assetto costituzionale cfr. P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, cit., spec. p. 161 ss. Sul punto v., anche, nello stesso senso A. RUGGERI, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale. I. L’ordinazione in sistema, Torino, 1993, p. 62 ss. 44 35 di protezione sancito dalla stessa carta all’art. 53, il quale assicura circa la permanenza delle Carte costituzionali dei singoli Stati membri. Tale salvaguardia è, del resto, in linea con il principio desumibile dall’art. 1 del TUE, che richiede la tutela delle specificità nazionali, il rispetto dell’identità e delle diversità proprie di ciascuno stato. E’ un principio importante che può giustificare l’emanazione o il mantenimento di una normativa nazionale difforme rispetto alla disciplina comunitaria. Sulla scorta di tale principio la Corte di giustizia ha giustificato il mantenimento di legislazioni nazionali difformi rispetto a quelle comunitarie in ragione delle “peculiarità socio-culturali nazionali o regionali la cui valorizzazione spetta agli stati membri”. L’operare di tale principio è previsto dal recente libro bianco sulla Governance, nel quale si prevede che la Commissione introdurrà “maggiore flessibilità nelle modalità esecutive della normativa comunitaria, in modo da tenere conto delle specificità regionali e locali”. L’Unione deve trovare il giusto equilibrio tra l’imporre un’impostazione uniforme, ove e quando necessario, e consentire maggiore flessibilità nell’attuazione pratica delle norme. Alla luce di tale quadro normativo è ragionevole mantenere operante il bilanciamento tra valori effettuato dall’art. 41 Cost., promuovendone, se del caso, l’adozione nell’intero àmbito comunitario, in ragione dell’esigenza, da più parti avvertita di dar rilievo e protezione, anche nel mercato interno, alla persona tout court, abbandonando prospettive riduttive che riservano tutela soltanto all’homo oeconomicus. 36 Questo appare debba essere l’obiettivo perseguibile dalla nuova Europa disegnata dal Trattato di Nizza, le cui competenze sempre più generali saranno presto delineate dalla Convenzione. 37 UN CODICE DEI CONTRATTI PER L’UNIONE EUROPEA: PERCHÉ E COME. L’idea di redigere un codice dei contratti per l’Unione Europea va inquadrata tra le soluzioni prospettate da dottrina e giurisprudenza in vista di una necessaria uniformazione del diritto contrattuale a livello comunitario. L’impegno che l’ambiente accademico e giurisprudenziale ha dedicato, e sta dedicando, al tema dell’armonizzazione del diritto privato sostanziale, con specifico riguardo alla contrattazione transfrontaliera, si spiega con la considerazione dei risultati sostanzialmente deludenti raggiunti sino ad ora in materia. Gli interventi del legislatore Europeo si sono infatti tradotti in una tecnica ripartita in provvedimenti di natura generale e di natura specifica, effettuati in tempi diversi, senza un iter logico né un progetto complessivo; provvedimenti che ora concernevano singoli settori, ora riguardavano le modalità di conclusione del contratto ora invece si incentravano sulle regole di comportamento delle parti nelle diverse fasi di conclusione, esecuzione e scioglimento del contratto. Qualcuno, esprimendosi in termini particolarmente critici, ha sottolineato come la politica normativa adottata a livello comunitario abbia dato luogo ad una situazione di estrema disorganicità, che rischia di creare conflitti fra i diversi livelli normativi adottati per differenti ambiti dello stesso settore; qualcun altro, ponendosi su posizioni più ottimiste, ha preso atto del fatto che un processo di 38 armonizzazione si è comunque avviato, dal momento che numerose direttive già obbligano gli Stati Membri ad adottare nel diritto interno regole tra loro simili45. È certo però che questo primo livello non basta. Le direttive già approvate e quelle in corso di approvazione presuppongono termini, concetti e principi che riguardano il contratto in generale (e le altre fonti delle obbligazioni) , cioè materie che toccano al cuore il diritto privato e che non sono né intese né disciplinate nello stesso modo nei diversi ordinamenti. Contrariamente a quanto si potrebbe credere infatti , le differenze sul piano normativo sono veramente rilevanti e non riguardano solo e semplicemente la disciplina dei vari istituti ma investono le stesse filosofie di base: la teoria della dichiarazione in Inghilterra è cosa ben diversa sia dalla teoria della volontà in Francia, sia dalle teorie dell’affidamento affermatesi in Germania e in Italia. Anche con riguardo specifico al modus contraendi si registrano profonde differenze: è sufficiente, in proposito, far riferimento alla diversa disciplina prevista per la redazione del contratto nei sistemi di common law e di civil law46, per comprendere come quello dell’uniformazione del diritto contrattuale Europeo sia un problema ancora sostanzialmente irrisolto. 45 Senza voler andare troppo indietro nel tempo, si possono citare, come esempio, le numerose direttive adottate nel settore del diritto dei consumatori nel periodo 1985-1999: direttiva 1999/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, direttiva 93/13/CE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, direttiva 90/314/CE del Consiglio riguardante i viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso, direttiva 85/577/CE del Consiglio per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza. A parte quelle dedicate alla tutela del consumatore, molteplici direttive sono state emanate in altri settori del diritto contrattuale: il legislatore comunitario, ad esempio, è intervenuto in materia di sistemi finanziari, di agenti contrattuali, di appalti pubblici, di commercio elettronico, etc. 46 Le espressioni alludono ai due sistemi giuridici tradizionalmente contrapposti dalla scienza comparatistica ma ben più vicini di quanto potrebbero sembrare: “Common law” è la tradizione giuridica anglosassone la quale, come la lingua inglese, accomuna con qualche variante, l’Inghilterra, l’Irlanda, il Canada, gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda; “civi law” è la tradizione 39 È significativo, a questo proposito, precisare che lo stesso concetto di contratto47 previsto nel common law non coincide totalmente con la nozione elaborata dalla tradizione giuridica di civil law, in quanto molte fattispecie che secondo quest’ultima sono da considerarsi di natura contrattuale, sono invece soggette, in common law, ad una disciplina loro propria48. A parte questa differenza preliminare, nell’ordinamento inglese, affinché il simple contract49 possa ritenersi concluso e vincolante, non sono sufficienti, come nella civil law, una proposta e una accettazione (che formano l’accordo delle parti) e una causa, ma si richiede anche la sussistenza di una consideration. Questa può essere definita come la contropartita, fornita o promessa, per ottenere l’impegno dall’altra parte; essa non costituisce né il corrispettivo ne la causa del contratto e non trova equivalenza nel sistema di civil law. Anche nella fase precontrattuale si riscontrano delle divergenze perché, ad esempio, il diritto inglese prevede una distinzione tra offer e invitation to treat50, giuridica del continente europeo, che affonda le sue radici direttamente nel diritto romano e che accomuna, tra gli altri, Germania, Francia e Italia. 47 La direttiva 90/314/CEE, sui pacchetti viaggio è l’unica a dare una definizione giuridica del termine “contratto”, che viene inteso come l’accordo che lega il consumatore all’organizzatore e/o al venditore (art.2, lett. d) 48 Il riferimento è al contract under seal, espressione, questa, con cui l’ordinamento inglese allude ad una serie di rapporti che, secondo il diritto italiano, sarebbero da collocare nella categoria dei negozi unilaterali o “senza corrispettivo” o a titolo gratuito. Nel contratto under seal il promittente si impegna non già nell’ambito di un contract, che è peculiarmente legato alla figura del bargain (scambio), ma solo in relazione alla particolare forma usata; inoltre non occorre l’accordo della controparte, né è necessaria la presenza della consideration. 49 Il simple contract rappresenta la categoria alternativa a quella del contract under seal; si tratta di un vero contratto, concepito dall’ordinamento inglese come bargain (scambio) di cui la consideration costituisce presupposto essenziale. 50 L’invitation to treat costituisce, come si evince dal tenore letterale, solo un mero invito a negoziare rivolto a persona indeterminata.Ad esempio il semplice invio di dépliant, cataloghi con l’indicazione del prezzo della merce, etc. non costituiscono una offerta al pubblico in senso stretto ma una semplice invitation to treat, di modo che il soggetto al quale questa offerta viene avanzata non ha diritto ad acquistare la cosa al prezzo indicato nel catalogo o nel dépliant. 40 che non trova alcuna corrispondenza negli ordinamenti di civil law, nei quali, almeno tendenzialmente,si prevede solo la proposta a contrarre. Vale la pena sottolineare, in proposito, che la stessa proposta (contrattuale) è disciplinata in modo differente. Secondo il diritto anglo-americano, la proposta consente al destinatario di perfezionare il contratto con l’accettazione; una proposta, una volta ricevuta dal destinatario, resta dunque “accettabile” , fino a quando non scade il termine eventualmente fissato dal proponente o considerato normale secondo le circostanze. Il proponente può però in ogni momento liberamente revocare la sua proposta, finché non sia ancora stata manifestata la volontà di accettare. Anche nel caso in cui il proponente abbia dichiarato di mantenere ferma la proposta per un certo tempo, non esiste alcun rimedio alla revoca ad libitum della stessa prima della scadenza del termine. Negli ordinamenti romanistici la forza vincolante della proposta è ben più evidente. Nel diritto francese ogni proposta può essere revocata fino a quando non sia stata accettata dalla controparte, ma qualora sia stato fissato un termine per l’accettazione, il proponente che revochi la proposta prima del termine ha l’obbligo di risarcimento. Nel diritto italiano si prevede che la proposta provvista di termine non sia revocabile prima del decorso dello stesso; diversamente, la stessa è revocabile fino al momento dell’accettazione. Secondo diritto, tedesco il proponente è vincolato alla sua offerta fino alla decorrenza del termine da lui fissato o – nel caso in cui non sia stato fissato un 41 termine – per un congruo periodo di tempo, e non è ammessa la revoca. Nei sistemi di civil law, dunque, si tende a porre l’accento sul carattere d’irrevocabilità della proposta contrattuale; lo stesso non accade nelle esperienze di common law. Sarebbe impossibile, in questa sede soffermarsi, su tutte le altre differenze che si registrano in materia di diritto contrattuale tra i sistemi di civil e common law, e, nell’ambito degli stessi, tra i vari ordinamenti statali: in alcuni stati il contratto riguarda solo le parti contraenti, in altri può interessare anche i terzi; in alcuni viene interpretato in senso conforme alla volontà individuale delle parti o del soggetto, in altri si ha un’interpretazione oggettiva, letterale; e se l’obbligo non viene adempiuto, in certi paesi si risponde oggettivamente, in altri soltanto a titolo di colpa. Si sostiene da taluni che almeno un sostrato comune esisterebbe in Europa, che vi sarebbe un nucleo di idee base espressive di un livello minimo di civiltà giuridica raggiunto da tutti gli ordinamenti. Si dice, ad esempio che se un contratto è contro la legge non produce effetti; che se il soggetto non adempie, la controparte può ottenere il risarcimento. In realtà simili affermazioni sono prive di riscontro pratico perché se in alcuni stati il contratto nullo non produce effetti, in altri invece, come in Italia e in Germania, esso acquista efficacia51 in senso conforme all’obiettivo perseguito dalle parti. Nell’ordinamento giuridico italiano il recupero del contratto nullo può avvenire con la conversione, che rappresenta un’applicazione del principio di conservazione del negozio. Il contratto nullo “può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma,qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità” (art.1424 c.c.). 51 42 Analoghe considerazioni valgono anche per la risoluzione che risulta infatti variamente disciplinata: le codificazioni romanistiche prevedono, per l’ipotesi che una parte non adempia le obbligazioni che ad essa derivano da un contratto a prestazioni corrispettive, la possibilità per la controparte di agire affinché il contratto venga risolto ovvero di far valere la pretesa all’adempimento, salva, in ogni caso, l’azione per il risarcimento del danno52. Il common law adotta un'impostazione completamente differente: configurando il contratto come una promessa di garanzia, si riconosce al creditore – qualora non si realizzi il risultato promesso dal debitore - solo un’azione per il risarcimento del danno a causa di “beach of contract” , ossia per la mancata osservanza della garanzia contrattuale, ma si mantiene fermo l’obbligo dello stesso di effettuare l’adempimento della prestazione a suo carico. Alla luce di questa sommaria analisi della disciplina contrattuale contemplata dai vari ordinamenti giuridici non si può che pervenire alla conclusione, più propriamente alla conferma di quanto inizialmente affermato, che le differenze sono davvero rilevanti: norme comuni in Europa non esistono o perlomeno se esistono, sono circoscritte solo ad alcuni ordinamenti. Per il contratto annullabile, invece, il legislatore prevede il suo recupero mediante lo strumento della convalida: atto con il quale il legittimato all’impugnazione manifesta l’intento di sanare il contratto invalido rendendolo definitivamente efficace (1444).Ulteriore rimedio è quello della rettifica che interviene sul contratto annullabile per errore e perviene alla stabilizzazione degli effetti attraverso una modifica del contenuto compatibile con l’intento perseguito dal contraente in errore. 52 L’azione per il risarcimento del danno presuppone che il debitore sia stato messo in mora con formale diffida (art.1146 Code Civile, art.1219 c. c ) e che la circostanza che ha impedito il corretto adempimento possa essere imputata al debitore (art.1147 Code Civil, art.1218 c. c ). Disposizioni di questo tipo non si trovano negli ordinamenti di common law nei quali, ad esempio, la pretesa al risarcimento del danno non dipende dalla circostanza che l’inadempimento del contratto configuri o meno una colpa del debitore. 43 D’altra parte di questo si sono pienamente resi conto i compilatori della Convenzione di Vienna del 198053, sulla compravendita internazionale, i quali si sono accorti che non potevano neppure operare col sistema del compromesso. Ma, ancora prima, il problema era stato avvertito in sede di redazione del Trattato di Roma, istitutivo della CEE54, ed aveva indotto i compilatori a porre l’accento sulla necessità di una completa armonizzazione delle normative nazionali, assolutamente strumentale alla realizzazione del mercato unico. Un simile obiettivo appariva assai problematico se non impossibile. Nelle aule accademiche dell’intero continente Europeo si avviò sulla questione uno studio approfondito, destinato a portare all’attenzione delle istituzioni comunitarie diverse possibili soluzioni. Lo studio è ancora in itinere e tuttora vivo è il dibattito sul tema che non ha mancato di coinvolgere anche la giurisprudenza e che da ultimo è stato esteso alle associazioni di consumatori, alle imprese e alle organizzazioni di categoria55. Le soluzione prospettate sono accomunate solo dal fine ma risultano assai eterogenee. 53 La Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci è in vigore tra tutti gli Stati membri della UE, ad eccezione di Regno Unito, Portogallo e Irlanda, e contiene alcune disposizioni concernenti la stesura del contratto (art. 14 – 24). 54 Il processo di integrazione europea ebbe avvio il 9 maggio 1950, giorno in cui la Francia propose ufficialmente di creare “le prime basi concrete di una federazione europea”. Sei Stati (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) vi aderirono fin dagli esordi. Oggi, dopo quattro ondate di adesioni (1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito; 1981: Grecia; 1986:Spagna e Portogallo; 1995: Austria, Finlandia e Svezia), l’Unione Europea conta comprende oggi 15 Stati membri ma si sta preparando ad una nuova estensione, questa volta verso l’Europa centro – orientale e meridionale. 55 La Commissione europea ha adottato una comunicazione, n.368 dell’11/07/01, con il fine precipuo di allagare il dibattito sul diritto europeo dei contratti, coinvolgendo il Parlamento europeo, il Consiglio e le diverse parti interessate: imprese, operatori del diritto, accademici e associazioni dei consumatori. La Commissione europea è interessata a raccogliere informazioni sulla necessità di un’azione comunitaria incisiva nel settore del diritto contrattuale, in particolare considerando che l’approccio caso per caso potrebbe non essere sufficiente per risolvere tutti i problemi che eventualmente si presenteranno. 44 Secondo alcuni la più efficace, ai fini della creazione di uno spazio giuridico uniforme, è la redazione di un “codice modello” che rechi disposizioni uguali per tutti gli stati membri. Così, imprenditori, consumatori, istituzioni pubbliche, professionisti, non dovranno di volta in volta studiare il diritto straniero, perché potranno usare, come da poco fanno per l’euro56, lo stesso diritto. L’enorme risparmio di tempo e costi e il vantaggio in termini di scambio, sono sotto gli occhi di tutti. Convinto sostenitore della validità di questa soluzione è Giuseppe Gandolfi, prof. ordinario all’università di Pavia ed esponente di punta della dottrina italiana. Particolarmente attento al problema della unificazione del diritto contrattuale Europeo, Gandolfi, ha costituito agli inizi degli anni ’90 un Gruppo di Studio, nel quale sono stati coinvolti insigni giuristi provenienti da tutta la Comunità, e ha avviato la redazione di un Codice Civile per l’Unione Europea57. Il lavoro di questo prestigioso gruppo ha già portato alla luce un primo libro del codice, lo European Contract Code – Preliminary draft, che contiene un corpus di norme e soluzioni basate sugli ordinamenti della Svizzera e degli Stati membri dell’Unione Europea e tratta aspetti di formazione dei contratti, loro forma e contenuto, interpretazione ed effetti, esecuzione e mancata esecuzione, cessazione ed estinzione, altre anomalie e relativi rimedi giuridici. Con la completezza, al primo libro sul contratto in generale deve seguire un secondo libro sui singoli In conformità all’obiettivo, fissato dal Trattato di Maastricht (art 102 A – 109 M), di procedere all’instaurazione di un’Unione economica e monetaria, è entrato in vigore l’euro, che dal 1° gennaio 2000, circola in tutto il territorio della comunità quale moneta unica. 57 In proposito è opportuno accennare ad un’altra importante iniziativa accademica, ancora in corso; trattasi del “Gruppo di studio per un Codice Civile europeo” , composto da esperti accademici provenienti dai 15 Stati membri e da alcuni paesi candidati. Il loro lavoro riguarda settori quali “Vendita/servizi/contratti a lungo termine”, “Valori immobiliari”, “Obblighi extracontrattuali”, e “Trasferimenti della proprietà dei beni mobili” e comprende una ricerca 56 45 contratti: se così non fosse il giudice si troverebbe a disporre di un complesso di norme che regolano compiutamente il contratto in generale e poi, con riguardo al contratto specifico, si troverebbe di fronte ad una lacuna e sarebbe portato ad utilizzare le norme del proprio ordinamento; ciò, ovviamente, a tutto discapito della unificazione. A parte l’idea di un Codice Civile Europeo (per la verità poco originale perché già suggerita da altre parti), si deve riconoscere al Gandolfi il merito di una significativa intuizione: egli si è reso conto che il Codice Civile italiano può costituire un quid di mediazione tra l’esperienza Francese e quella Inglese, collocandosi in una posizione mediatrice tra i due sistemi. L’intuizione di Gandolfi è piaciuta molto ai giuristi entrati a far parte del Gruppo di Pavia, i quali si sono avvicinati alla soluzione italiana come la più moderna, come più idonea ad una società industrialmente avanzata rispetto alla norma, pur interessantissima, di un Code Napoleòn nato in periodi di individualismo e di economia agricola. Anche i giuristi inglesi si sono trovati d’accordo con l’idea di Gandolfi: concordavano sulla scelta del codice quale strumento di unificazione di civil law e common law e ciò nonostante la loro lunghissima affezione allo strumento della sentenza58. comparata, con l’obiettivo finale di arrivare ad una proposta finale ben strutturata e commentata nei settori in analisi. 58 La sentenza riveste nell’ordinamento giuridico inglese un ruolo di rilevanza fondamentale, che non trova corrispondenza negli ordinamenti di civil law. Basti ricordare, in questa sede, che il sistema di common law è caratterizzato dal principio dello stare decisis e dalla vincolatività del precedente giudiziario. Come l’espressione stessa suggerisce, in base a questo principio anche una singola decisione ha forza vincolante nei casi successivi: il giudice non può distogliersi dalla stessa, salvo che ritenga che i material facts (fatti essenziali) delle due controversie siano diversi; in questo caso egli non attribuirà alla decisione antecedente il valore di precedente giudiziario vincolante e risolverà il caso successivo in modo autonomo. 46 D’altra parte il favore degli inglesi per lo strumento del codice trovava conferma e testimonianza nel progetto di Contract Code, redatto da Harvey McGregor, che avrebbe dovuto unificare il diritto inglese e il diritto scozzese cioè, appunto, la common law e la civil law. Questo progetto, insieme al quarto libro del Codice Civile italiano, è stato adottato dal Gruppo di Pavia come base sulla quale lavorare per la redazione del Codice Europeo dei contratti. Non sono stati pochi i problemi con i quali gli ambiziosi giuristi hanno dovuto confrontarsi, primo fra tutti quello relativo al metodo: quale linguaggio usare?59 In Inghilterra c’è un linguaggio prolisso, molto esplicativo; sul continente, soprattutto in Germania e in Francia, si tende invece ad adottare un linguaggio astratto, concettuale, la cui comprensione richiede non pochi sforzi. Il problema si pone soprattutto con riguardo ai concetti che esistono solo in alcuni stati e non in altri. Esempio paradigmatico è quello del concetto di obbligazione: negli ordinamenti di civil law l’obligatio costituisce un istituto fondante l’intero diritto civile; nel mondo di common law essa non esiste. 59 Quello della lingua è un problema particolarmente vivo per il comparatista, il quale pensa ed esprime il proprio pensiero in una determinata lingua positiva ma ha costantemente a che fare con testi e parole analizzati ed illustrati in un’altra lingua. Accade spesso che nozioni e parole del diritto di un determinato paese non trovino alcun riscontro nei concetti noti ai giuristi di un altro Paese né nella terminologia presente nella loro lingua. Questa circostanza è particolarmente evidente con riguardo ad alcune categorie di importanza fondamentale per il diritto anglo-americano (equità, equitable interest, dissenting opinion etc.) che non hanno alcun corrispondente nel diritto europeo continentale. Date le differenze fra le norme giuridiche di diversi Paesi, il comparatista si trova di fronte a problemi di traduzione dovuti, ad esempio, al differente significati di parole simili (es.:il francese contract include gli accordi di tipo liberale e quelli volti a trasferire la proprietà, l’inglese contract,solo i secondi) nonché alle diversità delle strutture linguistiche (es.: il francese acte si traduce con due diverse parole tedesche che significano “negozio giuridico” e “atto giuridico semplice” ). 47 Unico modo di risolvere il problema è parso quello di eliminare dal testo del Codice europei dei contratti la parola “obbligazione”: l’obbligazione in Europa non esisterà, o meglio, ne esisteranno tutti gli effetti ma non ne esisterà una definizione. Allo stesso modo non hanno trovato spazio nel nuovo codice tutte quelle nozioni che, lungi dall’essere universali, sono invece circoscritte solo ad alcuni ordinamenti. Tuttavia, in questa necessaria opera di snellimento, i giuristi del Gruppo di Pavia si sono preoccupati di fare il possibile affinché ogni ordinamento conservasse le modalità previste dal diritto nazionale per la produzione degli effetti contrattuali: così ad esempio, posto che in Germania per la vendita di una res non è sufficiente luna compravendita ma occorre un atto successivo, è stato previsto che la vendita possa avvenire mediante il doppio atto, proprio del diritto tedesco, e mediante il principio consensualistico60, di derivazione italo – francese. Analogamente, nella disciplina del debito sono state fatte confluire sia le norme del diritto inglese, che prevedono la previa estinzione e la successive creazione del nuovo debito, sia quelle del diritto italiano che si accontenta, per gli stessi fini, dell’accordo tra le parti. Tutto ciò per fare in modo che gli europei dispongano di un codice non dissimile da quello in vigore nel rispettivo stato di appartenenza. Nel perseguimento di un simile obiettivo gli esperti componenti del Gruppo di Pavia non hanno mai perso di vista quello che deve essere un carattere indefettibile del contratto europeo: l’efficienza. Per realizzare l’unificazione Alla stregua di tale principio, “la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso legittimamente manifestato”, senza che occorra la consegna della cosa (art. 1376 c.c). 60 48 effettiva che, giusto il disposto del Trattato di Maastricht61, è strumentale e assolutamente indispensabile per la creazione di un mercato comune, è necessario che il contratto sia efficiente. Nella stesura del progetto del Codice europeo di diritto contrattuale, sono state pertanto abbandonate quelle alternative che fanno sì che il contratto al primo ostacolo non raggiunga il suo obiettivo: validità – invalidità, adempimento – inadempimento. Sono state previste una serie di misure rivolte a fare in modo che, anche in caso di anomalie, il creditore possa essere soddisfatto e il debitore possa non essere penalizzato: conversione del contratto nullo62, nullità parziale63, mantenimento del contratto annullabile e sua convalida64, riduzione ad equità del contratto rescindibile per lesione65, rinegoziazione. Anche con riguardo all’inadempimento si è intervenuti ad attenuare l’impostazione eccessivamente rigida di alcuni ordinamenti in cui l’inadempimento di una parte legittima la controparte a richiedere la risoluzione Il Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, ha introdotto importanti innovazione al quadro dell’“Europa comunitaria” disegnato dal Trattato di Roma del 1957. Come emerge dalle disposizioni comuni, l’Unione resta fondata sulle Comunità Europee, di cui conserva interamente l’acquis, integrandolo con nuove politiche e con il rafforzamento di politiche già esistenti, nonché con nuove forme di cooperazione. La novità più importante, nell’ambito delle modifiche apportate al Trattato CE, è sicuramente rappresentata dall’obiettivo di procedere all’instaurazione dell’Europa economica e monetaria (artt. 1°2 A – 109 M), obiettivo in parte raggiunto con l’entrata in vigore dell’EURO, a partire dal 1°gennaio 2000. 62 Vedi retro nota 51. 63 La regola legale della nullità parziale costituisce una delle numerose applicazioni del principio di conservazione del negozio giuridico: “la nullità parziale del contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che colpita dalla nullità (art.1418 c. c). Dunque se la clausola colpita da nullità è essenziale per l’economia de contratto, l’invalidità travolge l’intera operazione negoziale; nell’ipotesi contraria il negozio produrrà gli effetti compatibili con una sua riduzione conseguente all’estirpazione della parte invalida. 64 Vedi retro nota 51. 65 Si tratta di un rimedio che incide sullo squilibrio tra le prestazioni delle parti (che costituisce il presupposto per la rescindibilità del contratto): il contraente contro il quale è demandata la 61 49 del contratto, lasciando così il debitore che si è predisposto e che è in ritardo, in un danno che è facilmente immaginabile: è stata prevista la possibilità, per il debitore, di ottenere una proroga, di riparare la cosa fornita, di farsi sostituire, in modo da consentire alle parti di arrivare comunque, e in ogni caso, al risultato che si erano prefissate. Per l’adempimento, poi, il Gruppo di Pavia ha stabilito che l’adempimento in forma specifica costituisca la regola e il risarcimento del danno solo un surrogato, in quanto in un mercato comune quello che occorre è l’approvvigionamento: se un’impresa inglese ha bisogno di un pezzo di ricambio per far funzionare il meccanismo di produzione, non può accontentarsi del risarcimento che gli proviene dall’azienda tedesca; in considerazione di simili esigenze il primo libro dell'European Contract Code prevede, a prescindere dalle ingiunzioni e dalle inibitorie, la possibilità per il creditore di andarsi a prendere personalmente la cosa che gli è stata venduta o fabbricata presso il debitore o presso terzi (ovviamente a condizione che la vendita sia stata legittima). Per garantire la massima speditezza e ridurre al minimo il ricorso al giudice, è stato inoltre stabilito che chi voglia far valere un diritto non deve rivolgersi alla giurisdizione ma deve indirizzare una lettera alla controparte motivando, però, la propria pretesa. E in ultimo, certamente per ordine e non per importanza, il Codice prevede per tutti i contratti una procedura arbitrale che si conclude in sei mesi e che non ha l’effetto di un contratto ma permette di ottenere un'ingiunzione o una inibizione immediatamente esecutiva. rescissione, può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente a ricondurlo ad equità (art. 1450 c. c). 50 Il Gruppo di Pavia ha dunque studiato e disciplinato in modo analitico la figura del contratto in generale, proponendo delle “soluzioni concrete”, e per certi versi sicuramente innovative, ai problemi che l’UE ha in mente di risolvere dal 1957. Non sono ritenuti ugualmente efficienti, dagli insigni redattori dell’ European Contract Code, gli altri strumenti che sono stati suggeriti da varie parti e che la stessa Commissione europea ha incluso tra le “opzioni per iniziative future della CE nel settore del diritto contrattuale66. In particolare, la prima soluzione prospettata è quella di rinunciare ad un’azione comunitaria, per rimettersi in modo esclusivo all’autonomia privata: si dice che l’unificazione potrebbe essere conseguita attraverso la giurisprudenza, la dottrina e le intese fra le organizzazioni imprenditoriali. Questa soluzione convince poco (stiamo sempre riportando la posizione del Gruppo di Pavia, per comprendere il perché della scelta della codificazione europea) per ragioni che sono innanzitutto di tipo formale: i patti comunitari non contengono infatti alcun riferimento alle fonti indirette su indicate, quali strumenti per realizzare l’unificazione. Se a ciò si aggiunge la considerazione della lentezza con cui i privati potrebbero essere in grado di elaborare delle norme comuni, si comprende perché la scelta di rimettersi all’autonomia privata non sia assolutamente da raccomandarsi. Sicuramente condivisibile, in proposito, è anche l’osservazione del prof. Pietro Rescigno, che ha motivato il suo scetticismo verso lo strumento dell’autonomia privata, con particolare riferimento alle intese tra imprenditori, con la giusta considerazione “Varie opzioni possono essere considerate qualora l’approccio caso per caso non risolvesse appieno il problema dell’unificazione del diritto contrattuale. La presente comunicazione esamina in breve quattro possibili scenari: I. assenza di un’azione comunitaria; II. promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto contrattuale per arrivare a una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali; III. miglioramento qualitativo della legislazione già 66 51 che la legge mercatoria, come normativa elaborata dagli operatori economici, non garantisce, ed anzi sicuramente pregiudica la costruzione di un diritto fondato sull’idea della parità delle parti contraenti, idea che dovrebbe invece guidare qualsiasi intervento di tipo normativo. Accanto all’assenza di un’azione comunitaria, l’altra soluzione suggerita67 è quella di elaborare un complesso di principi comuni che favorisca una crescente convergenza degli ordinamenti nazionali. È questa la via seguita dalla Commissione del diritto europeo dei contratti68che, agli inizi dell’anno 2000, ha pubblicato i Principles of European Contract Law, Parts I and II.69 Ed è questa la via tracciata anche dall’International Institute for the Unification of Private Law,70che ha elaborato i Principi UNIDROIT71, pubblicati nel 1994 e da esistente; IV. adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario.” COM (2001) 398 def. , 11.07.2001, p. 13. 67 V. retro nota 56. 68 La Commissione, presieduta da Ole Lando e formata da giuristi provenienti da tutte le nazioni dell’Unione Europea, è stata costituita agli inizi degli anni ’80 per iniziativa dell’intraprendente e fiducioso presidente; essa ha lavorato fino ad oggi e continua a lavorare per portare a termine una Parte III, con la quale finalmente i “Principi” si concluderanno. 69 I “Principi” sono divisi in articoli e si compongono, articolo per articolo, di altre due parti, una di Commento, l’altra di Note. Nel Commento viene fornita la spiegazione della regola/e adottate nel singolo articolo, con una sorta di interpretazione autentica spesso arricchita di esempi applicativi. Le Note contengono un panorama delle derivazioni dei singoli articoli dai sistemi giuridici di riferimento o, più spesso, le regole che nella materia toccata si ritrovano negli ordinamenti nazionali europei, perché ciascuno ne possa verificare l’identità, la vicinanza o la differenza a seconda dei casi. 70 Si tratta di un’organizzazione internazionale indipendente, il cui primo progetto, “Progressiva Codificazione del Commercio Internazionale”, risale al 1968. L’obiettivo era quello di individuare i principi comuni alla maggior parte dei sistemi giuridici esistenti e di elaborare una normativa comune applicabile ai contratti internazionali, che potesse semplificare i rapporti giuridici che coinvolgono, per loro natura, più ordinamenti e che sono spesso molto diversi tra loro. 71 I Principi UNIDROIT si prestano per la loro natura a diversi usi. In primo luogo possono essere considerati un modello di riferimento per il legislatore nazionale, nella elaborazione della normativa che regola i contratti in generale o taluni tipi di transazioni. Inoltre i Principi possono essere utilizzati come guida nella stesura dei contratti commerciali internazionali, di modo che l’uso dei termini adottati dagli stessi costringa le parti a dialogare in una lingua neutrale con delle definizioni uniformi. Infine i Principi si prestano a regolare svariati tipi di contratti commerciali, purché questi soddisfino il requisito della internazionalità. Il Preambolo dei Principi, in particolare, sancisce che essi si applicano quando le parti stabiliscono espressamente che il loro contratto debba essere regolato dagli stessi. 52 molti proposti come una sorta di codificazione di un emergente regime giuridico sovranazionale delle transazioni transfrontaliere. Anche lo strumento dei Principi non è stato ritenuto efficace dai compilatori dell’European Contract Code, i quali sono convinti che con gli stessi non si arrivi all’unificazione se non in base ad un ulteriore stadio: i principi, si osserva, esigono comunque un intervento “perfezionatore” del legislatore, nazionale o comunitario, che dia loro attuazione e concretizzazione con specifiche norme. Il rischio implicito in un simile modus operandi è dunque che ogni stato segua la tendenza che gli deriva dalla propria tradizione giuridica lasciando così irrisolto il problema dell’unificazione, se non, addirittura accentuandolo. Analoghe considerazioni devono farsi con riguardo all’ipotesi, pure suggerita, di principi che siano rimessi alla scelta discrezionale degli Stati membri: anche in questo caso l’unificazione non potrebbe essere realizzata perché ne resterebbero esclusi quegli Stati che hanno preferito non “riconoscere” i principi elaborati a livello comunitario. Qualcuno ha suggerito di seguire la via dell’elaborazione di principi generali ma di riservare la scelta sulla applicazione degli stessi ai privati. L’inefficienza di questa soluzione si coglie facilmente con un esempio pratico: è sufficiente ricordare, infatti, che l’Inghilterra ha recepito la CISG 72 del 1980 con la condizione che fossero i contraenti a sceglierla e che non si può citare neanche un caso di cittadini che abbiano scelto di applicare la Convenzione nei propri rapporti. 72 Vedi retro nota 53. 53 Ancora più criticamente è stata accolta (dal Gruppo di Pavia), l’idea di consentire l’utilizzazione dei principi sovranazionali da parte dei giudici e degli arbitri, nel caso in cui manchi o sia lacunosa una norma. La considerazione da cui si muove è che molti ordinamenti prevedono già una disciplina specifica per simili ipotesi: di fronte ad una “norma lacunosa” il giudice non deve scegliere un’altra regola estrinseca ma deve operare con i canoni ermeneutici; quando la norma sia del tutto mancante, deve invece procedere applicando l’instrumentum legis, vale a dire l’analogia, o legis o iuris. Consigliare di utilizzare i principi affinché se ne servano giudici ed arbitri significherebbe quindi andare incontro ad un’infinità d’impugnazioni. Sono queste, sommariamente indicate, le ragioni che hanno indotto Gandolfi e gli altri esperti giuristi del Gruppo di Pavia a prediligere la via del Codice, quale unico strumento in grado di realizzare quell’unificazione effettiva rigorosamente strumentale alla creazione di un mercato comune: i principi, si sostiene, hanno un senso solo se dagli stessi si ricavino delle regole. Ed è questo che hanno fatto i compilatori del Codice Europeo dei contratti, i quali hanno incluso sia i Principi UNIDROIT, sia quelli della Commissione Lando nel già vasto materiale su cui lavorare per la codificazione del diritto contrattuale europeo. Obiettivo finale: la redazione di un Codice che detti regole efficienti, stese in uno stile accettabile, che tengano conto il più possibile delle abitudini dei cittadini europei e tutte le contemplino, con pari risultato, naturalmente senza ignorare quelle che sono le esigenze socio – economiche del terzo millennio. 54 Allo stato attuale l’European Contract Code del Gruppo di Pavia non è vincolante ma si pone semplicemente come una proposta al pubblico, a quel pubblico, più precisamente, che disponga delle competenze e dei poteri tali da tradurre quello che è ancora un progetto in una stabile fonte di produzione per la disciplina di un diritto contrattuale Europeo. 55 L’ACQUIS COMUNITARIO COME BASE PER L’ELABORAZIONE DI PRINCIPI COMUNI. Tra le opzioni prospettate dalla Commissione Europea nella Comunicazione dell’11 luglio 2001, n. 398, di particolare interesse sembra quella inerente all’adozione di un codice comunitario dei contratti. Tale opzione, sebbene sollevi dei problemi sulla competenza delle istituzioni comunitarie in ordine all’emanazione di un codice generale dei contratti, rappresenta senz’altro un obiettivo conseguibile, anche se solamente nel lungo termine. Ciò non impedisce, tuttavia, che si possa pensare ad una codificazione di alcuni settori del diritto dei contratti, come ad esempio il settore delle obbligazioni pecuniarie o della compravendita, su cui già può dirsi che sia matura una riflessione comune ed una unanimità di consensi su alcune soluzioni degli ordinamenti europei.. Nella prospettiva secondo cui l’elaborazione del suddetto codice possa essere un obiettivo a lungo termine, le altre due opzioni, quella del restatement e quella rappresentata dal perfezionamento del diritto comunitario, vanno viste non come alternative rispetto alla prima, ma come sue fasi preliminari, necessarie per procedere in un momento successivo alla formazione di un diritto uniforme dei contratti. Le suddette opzioni devono procedere parallelamente, ed essere tra loro collegate dal punto di vista sostanziale. L’elaborazione di principi comuni nelle forme del restatement deve però partire da una base concreta, perché soltanto in tal modo può pensarsi realisticamente di poter individuare ed elaborare un insieme di principi comuni e comunemente condivisi. La base da cui partire dovrebbe essere proprio l’aquis comunitario, vale a dire quell’insieme di regole, norme e 56 principi comuni dell’attuale diritto comunitario derivato e delle norme interne di recepimento delle direttive comunitarie73 armonizzate. L’idea che può essere perseguita è quella secondo cui l’acquis comunitario possa e debba rappresentare la base privilegiata per l’elaborazione di un insieme di principi comuni del diritto contrattuale. Allo stato attuale moltissime siano le differenze tra gli ordinamenti degli Stati membri in merito alla disciplina del diritto dei contratti. Parte della dottrina sostiene, infatti, che il rischio di una elaborazione di principi basata esclusivamente sulla comparazione degli ordinamenti nazionali è proprio quello di trovarsi davanti un ostacolo rappresentato dalle impossibilità di individuare dei principi comuni. L’acquis comunitario rappresenta, tuttavia, un corpo di norme di diritto positivo armonizzate e comuni a tutti gli ordinamenti e per quanto frammentario, incompleto ed imperfetto, esso rappresenta pur sempre un minimo comune denominatore da cui prendere le mosse per l’elaborazione di principi comuni. Ricostruire i principi che sono alla base dell’acquis comunitario significa dare contenuto ad un nucleo essenziale di principi comuni, su cui si è già realizzata una convergenza tra gli ordinamenti degli Stati membri; tale soluzione potrebbe rendere più agevole l’accettazione futura di iniziative legislative dell’Unione europea basata su questi principi. Inoltre, si eliminerebbero alcune differenze che esistono nell’applicazione di principi ben noti al diritto dei contratti dei diversi ordinamenti: si pensi al principio di buona fede74, vigente in molti ordinamenti ma è sconosciuto in altri quali quelli di Common law. Non si può, 73 La direttiva è un atto vincolante delle istituzioni comunitarie previsto dall'art.249 del Trattato istitutivo della Comunità europea il quale stabilisce che le direttive vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Requisiti formali della direttiva sono: la portata individuale, l'obbligatorietà di risultato e la motivazione. 74 Nell'ordinamento italiano il principio di buona fede in tema di esecuzione del contratto è sancito dall'art. 1375 c.c. che recita: "Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede". La buona 57 tuttavia, disconoscere che il principio in parola esiste ed è ricompresso tra i principi del diritto comunitario dei contratti. Inoltre, i principi del diritto comunitario devono costituire il parametro di riferimento nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme di recepimento, che devono essere interpretate anche alla luce delle direttive comunitarie di cui costituiscono attuazione. L’enucleazione dei principi su cui le direttive si fondano consente di ridurre il rischio di una interpretazione ed applicazione difforme delle norme di recepimento da uno stato all’altro. Inoltre, l’elaborazione di principi comuni dell’attuale acquis comunitario consentirà di comprendere meglio quali implicazioni il diritto comunitario abbia avuto fino ad oggi e possa avere anche in futuro sul sistema del diritto generale dei contratti nei singoli ordinamenti nazionali. Infine, se è vero che il diritto comunitario spesso attinge dai principi generali degli ordinamenti nazionali, è anche vero che questi principi non sono sempre adatti a porsi come principi generali del diritto comunitario. Talora essi possono costituire un ostacolo rispetto alla realizzazione e al perseguimento degli specifici fini della comunità, tra i quali in primo luogo l’integrazione del mercato. Da qui l’esigenza di ricostruire i principi su cui si basa l’attuale diritto comunitario anche in chiave autonoma, cioè alla luce dell’intero impianto normativo, non solo delle direttive e dei regolamenti, ma anche dei trattati. E’ possibile, infatti, che il principio che si desume dall’attuale diritto comunitario abbia un contenuto e un significato dal punto di vista terminologico, diverso rispetto al corrispondente principio del diritto interno. È possibile ad esempio che il principio di buona fede comunitario debba intendersi in modo parzialmente fede si atteggia come un impegno o obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. 58 diverso da come viene inteso in alcuni degli ordinamenti degli Stati membri. Tuttavia, l’adozione dell’acquis comunitario come base privilegiata per l’elaborazione di principi comuni del diritto europeo dei contratti deve però fare i conti con due limiti: in primo luogo non tutte le regole del diritto comunitario derivato sono generalizzabili come principi comuni del diritto dei contratti, non si prestano cioè ad essere elevate a principi del diritto generale dei contratti per l’evidente ragione che l’intervento del legislatore comunitario è stato fino ad oggi un intervento per lo più settoriale, mirato a rimuovere quelle alterazioni o distorsioni del mercato che ne impediscono il corretto funzionamento. Questo limite tuttavia non va neanche sopravvalutato poiché anche da norme settoriali, per la funzione che si pongono, possono desumersi principi di carattere generale, si pensi ad esempio come dall’insieme degli interventi comunitari può desumersi un principio di generale tutela del contraente debole che normalmente viene individuato, dalle direttive comunitarie, nel consumatore. Altro limite è dato da una caratteristica intrinseca del diritto comunitario, cioè il suo carattere frammentario. Il diritto comunitario non solo è frammentario ed affetto da incoerenza al suo interno, ma è anche lacunoso; vi sono cioè, anche negli specifici settori regolati aspetti della disciplina del rapporto contrattuale che mancano. Non tutti i principi del diritto europeo dei contratti possono essere desunti dal diritto comunitario esistente; in questo senso rimane sempre valida l’impostazione che persegue un’elaborazione di principi basati sulla comparazione degli ordinamenti nazionali e sullo studio delle comuni radici che storicamente li uniscono, facendo in particolare riferimento ai principi della commissione Lando. Questa azione di elaborazione di principi comuni deve procedere però di pari passo con quella che 59 individua come punto di partenza l’attuale diritto comunitario. Infatti, data la frammentarietà del diritto comunitario, l’elaborazione dei principi comuni su cui il diritto comunitario si basa non può andare disgiunta da un’opera preventiva di sistemazione e perfezionamento complessivo della legislazione comunitaria. Alla luce di quanto detto è evidente che le opzioni analizzate non possono essere intese come alternative, come del resto anche nella comunicazione si precisa, ma devono procedere insieme in quanto rappresentano un primo passo per poi proseguire lungo la via dell’integrazione e della uniformazione del diritto comunitario. E’ bene soffermarsi ad esempio sulla disciplina della conclusione dell’accordo nelle direttive comunitarie. Numerose sono le direttive che si occupano della formazione dell’accordo, e questo perché in tale fase emergono quelle distorsioni del corretto funzionamento del mercato che le direttive cercano di rimuovere. Tuttavia, l’attenzione del legislatore comunitario è quasi sempre stata dedicata esclusivamente alla definizione dettagliata dei doveri generali di condotta delle parti nella fase di formazione dell’accordo, ed in specie alla definizione delle conseguenze che la violazione di questi doveri di formazione può avere sull’efficacia e sulla validità del contenuto del contratto: si pensi alla disciplina delle clausole vessatorie, al diritto di recesso o di pentimento75. Quasi mai invece troviamo nelle direttive comunitarie disposizioni riguardanti il modo in cui tecnicamente si perfeziona il consenso, il tempo ed il luogo di conclusione dell’accordo o il problema della revocabilità o irrevocabilità della proposta e dell’accettazione, l’efficacia della revoca di tali dichiarazioni prenegoziali. Quindi da questo punto di vista si è di fronte ad una carenza del diritto comunitario, una 75 Strumento di tutela del consumatore che si trova in una situazione di debolezza indotta dalle particolarità della contrattazione. V., ancora, G. CRISCUOLI, Il contratto, Padova, 1992. 60 lacuna che non può non sorprendere se si considera che il profilo della conclusione dell’accordo, ed in particolare l’indicazione del tempo e del luogo di conclusione del contratto, è problema centrale di molte delle forme di contrattazione ”sensibile” prese di mira dal legislatore comunitario, come ad esempio i contratti negoziati fuori dai locali commerciali, i contratti a distanza, i contratti del commercio elettronico. Proprio in materia di commercio elettronico la direttiva n. 31 del 200076 è assai eloquente da questo punto di vista perché fa capire come l’assenza di disciplina di questi profili sia in realtà voluta coscientemente dal legislatore almeno in alcuni casi. L’art. 11 della suddetta direttiva era stato pensato proprio come norma diretta alla definizione ed individuazione del momento di conclusione del contratto; soggetto a numerose critiche è stato poi sostanzialmente modificato ridimensionando fortemente la portata innovativa di questa disposizione. Oggi l’art. 11 nella versione definitiva della direttiva si limita a prevedere l’obbligo del prestatore di servizio di “accusare ricevuta dell’ordine del destinatario del servizio senza ingiustificato ritardo e per via elettronica”, e altresì prevede che “l’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti cui sono indirizzate hanno la possibilità di accedervi”. Sembra che questa disposizione non possa più essere intesa come la corrispondente formulazione dell’art. 11 della proposta di direttiva, ossia come una norma diretta ad individuare il momento di conclusione del contratto ed in particolare come norma che introduce, quale regola uniforme del commercio elettronico, il principio della ricezione, regola secondo cui il contratto elettronico debba intendersi concluso quando l’ordine perviene al destinatario come 76 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa ad alcuni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel 61 accettazione della proposta di quest’ultimo. Questa è certamente una norma che spiega come debba intendersi il significato del termine “ricezione”, ma che al tempo stesso lascia aperto il problema dell’individuazione del momento di conclusione del contratto almeno per quegli ordinamenti in cui non vige, per queste tipologie di contrattazione, il principio di ricezione. L’assenza di disciplina di questo profilo è, tuttavia, soprattutto in questo settore, foriera di gravi incertezze, soprattutto se si considera che la larga parte delle transazioni telematiche è transnazionale e quindi non vi è certezza su quale possa essere il momento ed il luogo di conclusione del contratto, con tutte le conseguenze che da ciò derivano. Inoltre senza la disciplina di questo profilo si creano incertezze anche sotto un altro aspetto, perché è ben noto che le regole in materia di individuazione del momento e del luogo di conclusione del contratto, come le altre sulla revocabilità o meno delle dichiarazioni prenegoziali non sono semplicemente regole tecniche o neutre ma individuano un preciso punto di contemperamento degli interessi delle parti, a favore dell’una o dell’altra parte, del proponente o dell’accettante. Quindi, se obiettivo dell’intervento comunitario è quello di tutelare il contraente debole, questo risultato può essere realizzato a pieno soltanto se si interviene in maniera uniforme anche sull’individuazione del momento e del luogo del contratto con una regola che tuteli adeguatamente il consumatore. Questo è quindi un esempio del limite dell’approccio basato sull’elaborazione di principi fondanti esclusivamente sul diritto comunitario perché la regola mancante in questo caso specifico, cioè quella sulla conclusione del contratto dovrà essere colmata attraverso un’opera di ulteriore intervento del mercato interno. 62 legislatore diretta a perfezionare e ad integrare il diritto già esistente. Tale limite non esclude tuttavia la necessità e l’importanza dell’elaborazione dei principi su cui si fonda il diritto comunitario esistente essendo necessario che la regola mancante venga ricostruita anche avendo riguardo alla logica complessiva dell’intervento comunitario. In conclusione si può rilevare come un limite intrinseco all’approccio basato sull’acquis comunitario sta nel fatto che l’armonizzazione portata avanti dal legislatore comunitario è stata fino ad oggi un’armonizzazione settoriale anche se riguardante settori di grandissima diffusione. Il limite dell’armonizzazione parziale è rappresentato indubbiamente dal fatto che dove si armonizza in un singolo settore si rischia di creare distorsioni in altri settori. Quindi l’elaborazione di principi su cui si basa l’attuale diritto comunitario esistente è soltanto un primo passo per una più ampia opera di elaborazione di principi la quale a sua volta dovrà anticipare la redazione di un testo comunitario uniforme sul diritto dei contratti. 63 ANALISI CRITICA DELLE SOLUZIONI PROPOSTE DALLA COMMISSIONE Come evidenziato da autorevole dottrina, bisognerebbe studiare con maggiore attenzione le rilevanti differenze non solo di ordine tecnico, ma anche di valori e di principi esistenti fra gli ordinamenti europei. Le maggiori differenze di ordine tecnico si riscontrano nella materia contrattuale. Al riguardo si sottolinea l'opportunità di dare più importanza ad una soluzione omogenea e uniforme sul principio consensualistico o sul principio non consensualistico, approfondendo in particolare le diversità esistenti tra i due: diversità talmente rilevanti da rendere utopica l'idea di realizzare una “codificazione europea”. Ad esempio, si pensi ad un tema poco studiato ma che rappresenta un aspetto importante: il regime delle pubblicità non solo immobiliari, ma anche commerciali e di tutte le forme di pubblicità troppo diverse nei vari sistemi europei. Ci sono forti differenze tecniche sulle quali occorrerebbe studiare e vedere quali di queste sarebbe più opportuno adottare; ma ci sono soprattutto differenze assiologiche. Infatti, i riferimenti al costituzionalismo europeo, contenuti non solo nella Carta europea dei diritti fondamentali dell'Unione Europea77 ma anche nelle decisioni della Corte di giustizia, rimangono per natura ambigui. In primo luogo in quanto il costituzionalismo, nei diversi Paesi europei svolge un ruolo diverso e in secondo luogo, poiché i valori che costituiscono i patti costituzionali scritti o meno 77 Proclamata dai presidenti di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione in occasione del Consiglio di Nizza del 7 dicembre 2000, tale Carta riprende in un unico testo, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, i diritti civili, politici, economici e sociali nonché di tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione. Tali diritti sono suddivisi in 6 capitoli: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Si fondano sui diritti e sulle libertà fondamentali riconosciute dalla Convenzione Europea del Consiglio d’Europa, sulla Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, nonché su altre convenzioni internazionali alle quali aderiscono l’Unione Europea e i singoli Stati membri. E’ tuttora discussa 64 esistenti nei vari Paesi si fondano su filosofie diverse della vita. A titolo esemplificativo si pensi all'ordinamento tedesco, il quale, al contrario del nostro ordinamento inserisce tra i diritti fondamentali la proprietà. Pertanto, risulta assolutamente necessario fare un lungo lavoro preparatorio culturale che esige un impegno costante delle Università e degli operatori giuridici al fine, appunto, di dibattere su questi argomenti per realizzare quello che manca nella nostra Comunità. La Comunità Europea è, infatti, caratterizzata da un forte deficit democratico, sottolineato con forza anche dalla Corte costituzionale. Il deficit democratico si manifesta soprattutto nel fatto che le riforme o l'attività normativa della Comunità Europea non è un'attività che risponde al principio della partecipazione popolare e al principio di democraticità. Tutto ciò, deve portare ad una maggiore attenzione all'idea di svuotare di colpo il potere dei parlamenti nazionali - espressione della sovranità popolare e della partecipazione diretta e democratica del popolo alla decisione - a favore di un sistema, quale è quello comunitario, che ancora oggi è, in realtà, un'Europa dei governi e non dei cittadini. Particolare attenzione va posta alle tendenze favorevoli ad una riforma del codice, degli istituti civilistici, della famiglia e delle problematiche matrimoniali come l'inseminazione artificiale: si pone un problema di deficit democratico, perché se non si copre questo deficit sarebbe opportuno sottrarre tali materie alla competenza della Comunità Europea. Un altro dato da considerare è la consapevolezza che il diritto comunitario in sè non esiste: il diritto comunitario è un diritto in funzione dell'ordinamento statale, in quanto svolge un ruolo importante nell'ordinamento interno dello Stato, lo in dottrina la questione sullo status giuridico della Carta, ossia sul suo carattere giuridicamente vincolante o meno. Sul punto cfr. G. Tesauro, Diritto Comunitario, 2001. 65 integra, semmai in maniera prevalente, ma non vive di luce autonoma nell'attuale sistema costituzionale dell'Unione europea78. Non si deve, dunque, adattare o individuare i principi di diritto comunitario come se questi potessero vivere da soli, primari o derivati: tali principi possono vivere soltanto se calati nell’ordinamento di un Paese membro. Il nostro sistema è un sistema italocomunitario, di conseguenza l'ordinamento si presenta unitario. Questo la Corte Costituzionale ha finito per riconoscerlo ed anche la dottrina costituzionalistica sembra orientata in questo senso, pertanto, i principi dell'ordinamento sono gli stessi nell'ambito di quello italo-comunitario: c'è la gerarchia, la competenza e la sussidiarietà. Complicazione enorme del nostro discorso è la modifica ultima della Carta costituzionale agli artt. 117 e 118, non solo perché si è introdotta una sussidiarietà ancora più impegnativa, ma anche perché con l'introduzione del nuovo art. 11779, la competenza generale ad attuare le direttive, spetta non più allo Stato ma alle regioni, a tutto discapito della auspicata armonizzazione. Numerosissimi settori del diritto civile e commerciale, saranno di competenza delle regioni, prive della preparazione necessaria in materia legislativa. L'armonizzazione sarà certamente messa in crisi dalle regioni che avranno competenza generale nelle materie privatistiche e civilistiche che, come già detto, dovranno attuare le direttive. L’Unione Europea, delineata nel Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrata in vigore il 1°novembre 1993, rappresenta un’organizzazione internazionale che si aggiunge alle tre Comunità Europee preesistenti. Dispone di un quadro istituzionale unico, che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi. L’assetto istituzionale a cui si deve far riferimento, l’unico esistente al momento, è quello comunitario. Il Trattato di Maastricht non dà una vera definizione di Unione Europea, limitandosi a registrare che si è segnata una nuova tappa nel processi di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più possibile vicino al cittadino. 79 La nuova formulazione dell’art.117 introdotta dall’art.3 della l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 prevede, al 1°comma, che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel 78 66 Ma c'è un altro aspetto preliminare che deve far riflettere: si parla di un sistema comunitario in tutto e per tutto analogo a quello dei Paesi europei continentali. Però non è così: il fatto che la Corte di Giustizia della Comunità Europea somigli di più ad una corte di common law80 che a una di civil law, fa sì che le fonti del diritto comunitario non possano esaurirsi nei testi dei regolamenti, delle direttive, e dei trattati, ma in via principale siano rappresentati dalle decisioni della Corte di Giustizia, in molti casi anticipatrici sia delle direttive che dei regolamenti comunitari. Dunque ci si trova di fronte a una situazione molto più complicata: l'armonizzazione, di cui si è parlato, non potrà essere realizzata sul piano delle fonti classiche e tradizionalmente intese in chiave continentale, ma solo attraverso l'opera della Giurisprudenza e della Corte di Giustizia, finora sottovalutata. Tutto questo richiede non solo il superamento del deficit democratico dell'Unione Europea, ma un'architettura dell'Unione Europea garantista, cioè una Costituzione Europea. Quando si parla di Costituzione Europea, si fa riferimento ai principi fondamentali dell'ordinamento dell'Unione Europea, principi fondamentali e superiori a quelli esistenti negli ordinamenti dei singoli Stati. A tal proposito, sarebbe necessaria sia una Costituzione rigida, sia una Corte Costituzionale Europea, in quanto sarebbe impensabile una costituzione rigida garantita soltanto dalla Corte di Giustizia, la quale non ha né i meccanismi, né ha la funzione per rispetto della Costituzione nonché dai vincoli derivati dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 80 Il sistema di common law è caratterizzato dal principio dello stare decisis e della vincolatività del precedente giudiziario. La vincolatività di un precedente è strettamente condizionata dalla posizione che l’organo giudicante occupa nella “gerarchia delle corti”, cioè in quel sistema a struttura rigidamente piramidale in cui è organizzata la magistratura britannica. L’efficacia obbligatoria di un precedente si muove dall’alto verso il basso, ossia delle Superior Courts alle Inferior Courts: è escluso che possa operare in senso inverso. Il ruolo che il precedente giudiziario riveste nei sistemi di common law non è paragonabile a quello riconosciutogli dalle esperienze di civil law, anche se, negli ultimi tempi, la dottrina ha evidenziato che le differenze tra i due sistemi sono in realtà meno nette di quanto ritenuto in passato. 67 poter svolgere un tale controllo. Leggendo il preambolo della Carta Europea dei Diritti, si scorgono passi indietro rispetto alle Costituzioni dei singoli paesi europei. Sono presenti anche elementi nuovi, in particolare nel punto in cui si dice, ad esempio, che l'atto amministrativo, e quindi la sua decisione, deve essere sempre motivata, cosa che i nostri amministrativisti non avevano compreso. A parte questi spunti innovativi l'articolato della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è pessimo rispetto al livello delle singole Carte Costituzionali, in quanto ciò che viene preannunciato nel preambolo non si ritrova poi nell'articolato. La Carta Europea dei Diritti, benché non abbia nessuna rilevanza giuridica dal punto di vista ufficiale e formale, è già stata richiamata in varie sentenze della Cassazione italiana come parametro di valutazione. Tale richiamo rappresenta una citazione ultronea, in quanto se è vero che nel preambolo la dignità umana, la persona umana, sono poste a fondamento dell'ordinamento comunitario, è anche vero che tale principio è a fondamento anche nella nostra Costituzione. Si riafferma l'esigenza che la nostra Corte richiami prima le norme costituzionali interne e soltanto successivamente le fonti private esterne. Ancora più importante è che la Corte di Giustizia dal punto di vista politico sarà impegnata a decidere in tale ambito, avendo sempre come riferimento valutativo la carta dei diritti d'Europa. Ma facendo questo si potrebbe arrivare a decisioni retrograde rispetto a quelle che si avrebbero se fossero rispettati i principi costituzionali, aprendosi un nuovo confronto tra una Corte di Giustizia che amplia sempre più i limiti del proprio controllo e le Corti dei singoli paesi europei, gelose della propria autonomia. Se la Corte di giustizia considera legittimo un regolamento 68 comunitario, alla luce della Carta dei Diritti, e quest'ultima è in posizione meno avanzata rispetto alla Carta Costituzionale, la nostra Corte dovrà verificare in primo luogo che il regolamento comunitario sia rispondente al parametro assiologico della Carta Costituzionale. Prima di fare tutto questo appare necessario avere senso di responsabilità, modificare prima le istituzioni in maniera adeguata, eliminare il deficit democratico, fare una Carta Costituzionale rigida per realizzare una Corte Costituzionale Europea. In caso contrario si correrebbero seri rischi non solo di conflitto tra le Corti, ma anche di problematiche politiche. Parte della dottrina, rifacendosi all'acquis comunitario81 non specifica cosa si intenda con tale termine: è stato già detto che il diritto comunitario in senso stretto non esiste, e non è sufficiente, e allora bisogna rifarsi alla cultura europea fatta di diversità oltre che di punti di confronto. Infatti, ogni processo che abbia tentato di uniformare tutto si è rivelato un fallimento nella storia (come ad esempio è accaduto alle codificazioni di territori molto vasti, in cui poi alla fine ogni giudice decideva a proprio modo). L'acquis comunitario di norme derivate e di norme primarie certo è importante, ma il vero problema è che non si pur continuare con altre direttive, scoordinate tra loro, che su situazioni analoghe danno soluzioni diverse, su situazioni diverse danno soluzioni identiche. E' violato proprio il principio di uguaglianza che è un principio fondamentale anche nel L’acquis corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincola l’insieme degli Stati membri nel contesto dell’Unione europea. Si tratta di un concetto in costante evoluzione che è costituito principalmente: 1) dai principi, dagli obiettivi politici e dal dispositivo dei trattati; 2) dalla legislazione adottata in applicazione dei trattati e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; 3) dalle dichiarazioni e dalle risoluzioni adottate nell’ambito dell’Unione; 4) dagli atti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune, nel contesto della giustizia e degli affari interni; 5) dagli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e da quelli conclusi dai singoli Stati membri tra essi nei settori di competenza dell’Unione. 81 69 diritto comunitario. Le direttive sono state attuate in maniera diversa da ogni singolo Paese, in quanto esse impongono soltanto un obbligo di risultato e non di modalità. Questo ha creato una disarmonia che bisogna eliminare , non utilizzando più ad ogni pie sospinto lo strumento della direttiva, ma utilizzando lo strumento del regolamento, sempre e solo quando sarà superato il deficit democratico. Utilizzare il regolamento significa che il Parlamento Europeo dovrà, quando avrà la legittimazione a farlo, mettere insieme tutto quello che aveva detto in chiave di direttiva, coordinandolo, rendendolo accessibile e coerente, esprimendo principi, evitando ripetizioni, sovrabbondanze, incongruenze. La soluzione prospettata rappresenta la strada preferibile per tre motivi: 1) perché i regolamenti comunitari sono sottoposti al controllo di legittimità costituzionale; 2) perché i regolamenti comunitari, avendo forza di legge maggiore della legge nazionale possono addirittura coprire le riserve di legge presenti in Carta costituzionale; 3) perché, attraverso questa soluzione, si superano le disarmonie fra i singoli paesi dell'Europa mediante i regolamenti comunitari che dovranno essere prevalentemente applicati ed eseguiti rispetto alle leggi nazionali. Si tratta di una soluzione necessaria al fine di pervenire ad un diritto dei contratti uniforme, anche se potrebbero presentarsi problemi politici. Non si pur fare la disciplina generale dei contratti senza i contratti tipici, come sottolineato da tempo. La disciplina del contratto in generale deve essere necessariamente completata da quella sui contratti tipici, ma pur non essere completata dalle obbligazioni. E' per questo che c'è da fare un'impostazione non limitata solo ai 70 singoli contratti o al contratto in generale, ma che abbia un respiro più ampio, che non trascuri la tematica delle situazioni patrimoniali, parte essenziale di questo discorso e quindi ovviamente anche quella della responsabilità. Se si è convinti che sulla disciplina del contratto incidono profondamente aspetti che patrimoniali non sono, non bisogna escludere da questa riforma valori e principi che si ispirano a valori esistenziali e al valore della persona umana. Appare possibile realizzare tutto ciò solo gradatamente, evitando concetti e dogmatismi inutili. Ai fini di tale armonizzazione non bisogna trovare esclusivamente soluzioni tecniche, in quanto il giurista dimostra di essere tale non solo se interpreta il diritto positivo, ma se, sulla base di tale diritto, é capace di proporre validi modelli interpretativi. Come sottolinea il Gandolfi, l'autonomia privata82 e la prassi da sole non arriveranno mai all'armonizzazione, in quanto, in alcuni casi, sono proprio esse stesse la causa di crisi dell'armonizzazione. A proposito della prassi, emerge la sua pericolosità in quanto non può dirsi che la consuetudine nasce spontaneamente, essa è sempre imposta dal potere più forte; evidenti, quindi, sono i rischi insiti nell’idea di rimettersi alla prassi per ottenere l’armonizzazione delle fonti. Per quanto riguarda la questione relativa ai principi comuni, la nostra dottrina civilistica non si è occupata a fondo del principio della ragionevolezza, al contrario di quanto hanno fatto i costituzionalisti italiani e tedeschi, nonostante numerose leggi prevedano l'uso di tale principio a livello comunitario. Anche riguardo al principio di proporzionalità troppo poco si è detto e scritto e ancora 82 L'autonomia privata è da sempre considerata un dogma della dottrina civilistica. Sul presupposto che ciascuno è il miglior giudice dei propri interessi, essa rappresenta per i contraenti innanzitutto autodeterminazione, autoregolamentazione, potere di volontà. Secondo la tesi del prof. Perlingieri, sarebbe più corretto parlare di iniziativa privata e non di autonomia privata, quale sintesi di autonomia ed eteronomia, ossia di effetti liberamente scelti dai contraenti e di effetti posti da fonti esterne rispetto al regolamento contrattuale. 71 oggi c'è chi sostiene che le prestazioni devono essere equivalenti. E’ necessario quindi uno specifico intervento comunitario che chiarisca il senso di tali principi. L'armonizzazione deve essere realizzata non solo sul piano del diritto sostanziale ma anche, e soprattutto, a livello del diritto processuale. La nostra tradizione giuridica è da sempre convinta che il diritto processuale sia una mera scienza dei termini, totalmente distinta dal diritto sostanziale, soprattutto a causa delle lungaggini che opprimono il nostro sistema giudiziario. Il diritto comunitario si sta spostando da una logica meramente mercantile a una logica più sociale, più solidaristica, più attenta ai diritti fondamentali dell'uomo: questo spostamento non potrà non avere i suoi riflessi anche sull'armonizzazione delle obbligazioni e dei contratti. In conclusione, il giusto modo per dare un contributo all'armonizzazione del diritto, è quello di partire non dai concetti, ma dai problemi e dalle soluzioni, tralasciando i concetti, le tecniche e gli inutili dogmatismi che fino ad oggi hanno condizionato la vita del diritto. 72