Levet Cristina 4b Soleri, Saluzzo

Cristina Levet, Classe 4B
Soleri Bertoni
LA BEO', SPECCHIO D'UNA SOCIETA' ALPINA
A Bellino, un piccolo paese che sorge sulle montagne della Valle Varaita (CN), da tempi immemorabili si
festeggia la Beò. Questa festa, che si svolge l'ultima domenica di carnevale e il martedì grasso, potrebbe
sembrare a prima vista una semplice manifestazione folkloristica resistita al logoramento del tempo ed oggi
ormai ad esclusivo vantaggio dei turisti. Tuttavia, scavando con attenzione alle radici di questa tradizione, si
possono individuare ed analizzare molte peculiarità sociali e culturali della comunità alpina bellinese che ha
mantenuto vive molte sue caratteristiche originali, anche grazie alla posizione poco trafficata di vallone
trasversale senza sbocchi rispetto alla restante parte della valle.
La Beò è innanzitutto una sfilata in costume che, passando di borgata in borgata, dà vita a "scenette"
consacrate dalla tradizione, ma che lasciano spazio notevole all'improvvisazione e alla creatività sia dei
personaggi, sia del pubblico. Alle varie "barriere", costituite da grandi tronchi posti sulla strada, si formano
luoghi d'incontro in cui avviene uno scambio di battute satiriche, aventi come bersaglio i vari membri della
comunità, tra il capo del corteo e la famiglia che in precedenza aveva preparato alla barriera. Quest'incontro
diventa anche motivo di "abbuffata" grazie al cibo offerto dalla famiglia in questione. Quindi si può
individuare un'espressione diretta di prestigio economico e di potere sociale; erano solo i più abbienti, infatti,
ad avere la possibilità di offrire cibo oltre al proprio fabbisogno personale.
Anche nella Beò, come la tradizione carnevalesca impone, compaiono dei "tipi fissi", con abbigliamento,
ruoli e connotati tipici e costanti; s'individuano ad esempio le figure dei boscaioli ("i Sapeur", in dialetto), alti
e aitanti che hanno il compito di liberare la strada dalle barriere, l'arlecchino ("l'Arlequin") e "lou Gingolo"
che, spaventando gli spettatori per farli indietreggiare, svolge una funzione di controllo sociale, il soldato
("lou Soudà") che con il suo abbigliamento semplice e montano rappresenta la sintesi tra vecchia e nuova
società, i signori ("lou Mounsù e la Damo") che indossando abiti dell''800 rappresentano la borghesia, e
molte altre maschere deindividualizzanti ancora. Il corteo è quindi una grande famiglia ed è guidata dal
vecchio ("lou Vièi"), il capostipite che apre le fila con la moglie. Pertanto esso costituisce un affresco
sommario della società di un tempo che presentava un nucleo familiare di tipico stampo patriarcale ed
allargato; l'uomo più anziano ha un ruolo preminente, decisionale e ha un'autorità indiscussa in ogni
situazione e la famiglia è composta da un elevato numero di membri, di figli, nonostante l'alto tasso di
mortalità infantile che gravava sulla popolazione a causa della povera e monotona alimentazione che la
rendeva debole di fronte alle malattie.
Nei tempi recenti, a causa della diminuzione drastica degli abitanti nel paese, il corteo è composto anche da
donne, ma un tempo, quando c'era una maggiore disponibilità di figuranti, tutti i ruoli, sia maschili, sia
femminili, venivano interpretati unicamente da uomini. La cultura montana era quindi improntata da un forte
maschilismo che consentiva, al massimo, di affidare alle donne un ruolo secondario, "dietro le quinte".
I valori della religione cattolica permeavano notevolmente nella vita della comunità bellinese, composta
quasi esclusivamente da contadini. Tra i vari personaggi del corteo c'è anche "lou Turc", il turco, un barbaro
pagano che balbetta suoni privi di senso e che rifiuta ogni elemento della cristianità: tutti si sentono investiti
nella missione di riuscire a farlo battezzare ed integrarlo così nel tessuto sociale. Alcune interpretazioni
sostengono che questa festa sia nata dalla cacciata dei Saraceni; tuttavia è probabile che risalga a tempi
molto più antichi. La Beò, infatti, è frutto anche di un'altra componente che caratterizza decisamente
l'identità della comunità contadina, ossia il rispetto per la natura, madre il cui ciclo determina le attività
dell'uomo. Quest'antico costume potrebbe essere inteso quindi come un rito di purificazione, di
propiziazione per l'inizio della primavera con cui la vita a Bellino si risveglia dopo il lungo torpore invernale.
A sostegno di questa tesi è il "Ciciu", il pupazzo fatti di paglia e stracci che rappresenta l'anno vecchio e che
viene bruciato la sera del martedì grasso. Ad ogni stagione l'uomo aveva un rapporto differente con la
natura: la primavera e l'autunno erano fasi di transizione, l'estate, molto breve, era satura del lavoro nella
campagna e l'inverno era il periodo molto lungo in cui non si poteva fare altro che dedicare il proprio tempio
ai lavori do casa e alla socializzazione. Nelle sere della stagione fredda ci si incontrava nelle stalle per le
veglie che erano propriamente gli eventi mondani della società contadina in cui si stabilivano le relazioni, i
vincoli affettivi per la nascita di nuove famiglie e momenti di educazione informale per i bambini. Anche la
Beò può essere considerato come mezzo di socializzazione poiché le persone avevano un'occasione per
riunirsi in comunità e per rafforzare il senso di appartenenza e i legami sociali, politici ed economici. Tuttavia
si approfittava di questo momento festoso anche per dare inizio ad episodi di contrasto; si dava libero sfogo
alle incomprensioni e ai rancori accumulati e i giovani, solitamente divisi in due gruppi a seconda del
quartiere di appartenenza ("Cartier d'amoun" e "Cartier d'aval"), davano vita a vere e proprie zuffe
alimentate da un forte antagonismo peraltro mai giustificato, essendo Bellino un paese molto piccolo.
Una comunità è un insieme d'individui che condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, formando un
gruppo riconoscibile unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni.
Pertanto la Beò, rituale di fascino ancestrale, sa essere la perfetta sintesi di una piccola comunità che nel
tempo ha saputo abilmente dipingere un autoritratto fatto di colori, sapori e odori con l'entusiasmo che la fa
rispondere ogni anno con rinnovato entusiasmo al richiamo del vecchio: "Venè, venè Meinà!".