Il Kuwait vara il fisco soft per attrarre imprese straniere e
diventare un centro finanziario d’eccellenza
Fisco soft per gli stranieri e petrolio in abbondanza nell’Emirato del Kuwait. È questo il
nuovo credo fiscal-finanziario adottato dalle autorità, con la decisione di tagliare, a
decorrere dal 2008, l’imposta sui redditi delle imprese straniere dall’attuale 55 fino al 15%.
Anche questa decisione fa parte di una strategia dell’Emiro Sheik Sabah, che è all’origine
del mutamento intrapreso in anni recenti dalla politica e dall’economia del Kuwait, un
Emirato che ha 250 miliardi di dollari di capitali da investire.
Kuwait-City, da regno del Welfare a monarchia offshore, dunque.
Obiettivo della nuova politica, di cui il taglio delle imposte sui profitti degli operatori e degli
investitori esteri costituisce un tassello fondamentale, è di giungere in tempi brevi alla
rifondazione dell’Emirato, possibilmente trasformandolo in una sorta di centro finanziario
d’eccellenza. Insomma, una vera e propria piazza offshore, capace di competere con la
vicina Dubai e, naturalmente, con New York, Londra, Hong Kong e Singapore. A questo
riguardo c’è da sottolineare come gli imprenditori e i lavoratori dipendenti di nazionalità
kuwaitiana, ma anche stranieri, già da tempo non versano l’imposta ordinaria sui redditi
delle persone fisiche.
Infatti, l’unica imposta ancora fonte di risorse per l’erario dell’Emirato è costituita da quella
che si applica sui profitti e sui bilanci delle aziende estere, la cui aliquota, appunto, sarà
ridotta da quest’anno.
Il 2008, oltre a sancire l’addio definitivo tra Kuwait-City e il Fisco, vedrà anche impegnato
l’Emirato in una politica di accelerazione delle privatizzazioni e dell’apertura del mercato
interno nei confronti degli investitori esteri. Rispetto alle privatizzazioni, la prima grande
società che si affrancherà dalla mano pubblica sarà la Kuwait Airways, ovvero la
compagnia aerea che gestisce i collegamenti via cielo tra le sabbie e i pozzi petroliferi del
Kuwait e il resto del Pianeta. Un passaggio, questo, salutato come epocale da esperti e
analisti internazionali. Riguardo invece alla Borsa, dopo il lancio della Kuwait Stock
Exchange, inizialmente chiusa agli stranieri, oggi il mercato azionario di Kuwait City è
aperto agli investitori esteri ed è oramai prodigo di generosi incentivi come, per esempio, i
dieci anni di vacanza che il Fisco si prende nei confronti degli operatori che scelgono di
portare sulla piazza finanziaria dell’Emirato le loro fortune o una quota di esse.
I mutamenti significativi in atto nell’Emirato non sono né casuali né originati da ansie
etiche. Piuttosto si tratta di meri turbamenti contabili. Il primo è riconducibile al fatto che
mentre a Kuwait City gli investitori esteri fanno arrivare soltanto 300 milioni di dollari
l’anno, e questo nonostante vi siano riserve petrolifere di circa 100 miliardi di barili di
petrolio, i flussi d’investimento che atterrano a Dubai corrono invece oltre i 18 miliardi di
dollari. Si tratta di un differenziale enorme, che le autorità kuwaitiane hanno però deciso di
ricondurre in equilibrio. Il taglio dell’imposta sui profitti delle società estere secondo gli
intendimenti dovrebbe proprio aiutare l’economia kuwaitiana nell’impresa di riallineare le
proprie performance con quelle dei vicini.
Maurizio Scuccato