Consiglio di Stato, Sez. V, Ordinanza 6 maggio 2002, n. 2406, Pres. Quaranta, Est. Lipari Comune di Aversa c. Zecchina Costruzioni s.p.a. e Impresa di costruzioni Ing. Eugenio Marino & C. S.p.a. (omissis) FATTO La sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto dalla società Zecchina Costruzioni s.p.a., in qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I. formata con la società Ing. Della Gatta S.p.A., ha annullato: - la delibera della giunta municipale del comune di Aversa, n. 746 del 27 settembre 1993, recante l’aggiudicazione all’A.T.I. capeggiata dalla società ing. Eugenio Marino & C. s.p.A., dell’appalto per l’esecuzione dei lavori di sistemazione dell’emissario "lo Spierto"; - l bando di gara e la lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991; - gli altri atti del procedimento. Il Comune appellante sostiene l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso di primo grado. La Società Zecchina resiste al gravame, mente le altre parti intimate non si sono costituite in giudizio. DIRITTO Con deliberazione n. 206 del 21 marzo 1991, il consiglio comunale di Aversa approvava il progetto dell’opera pubblica concernente la sistemazione dell’emissario delle acque dei comuni di Parete, Lusciano, Aversa-ovest, Trentola-Ducenta e Frignano. Con il successivo bando di gara, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 14 agosto 1991, l’amministrazione indiceva la gara per l’aggiudicazione dell’appalto, per un valore, a base d’asta, di complessive lire 31.150.000.000, stabilendo le prescrizioni di svolgimento della procedura selettiva. Con lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991, venivano dettate le ulteriori prescrizioni della lex specialis di gara, le quali stabilivano, fra l’altro, che: - l’aggiudicazione sarebbe avvenuta, con esclusione delle offerte in aumento, in favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto, in ordine di importanza, dei seguenti elementi: 1) valore tecnico dell’opera (fino a punti 50); 2) prezzo complessivo (punti 33); tempo di esecuzione (punti 17); - il concorrente, in variante al progetto dell’amministrazione avrebbe potuto redigere un altro progetto contenuto nell’importo a base d’asta; - "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai valori di 7%." Alla gara venivano ammesse quattro imprese. La commissione tecnico amministrativa, dopo aver vagliato i progetti, procedeva all’esame delle offerte economiche, ai fini della valutazione di anomalia e dell’assegnazione dei punteggi. In tale contesto, l’offerta dell’ATI Zecchina, che aveva presentato un ribasso del 14,38 %, veniva giudicata anormalmente bassa Quindi, con delibera della giunta municipale 27 settembre 1993, il comune approvava definitivamente gli atti di gara, aggiudicando l’appalto all’ATI Marino-IcarBrancaccio, classificata al primo posto della graduatoria. La sentenza impugnata, disattendendo le eccezioni di improcedibilità (per intervenuta esecuzione dell’opera oggetto dell’appalto) e di irricevibilità (per tardiva impugnazione del bando di gara e della lettera di invito), ha accolto il ricorso proposto dall’ATI Zecchina ed ha annullato "i provvedimenti impugnati". Secondo il tribunale, l’esclusione automatica delle offerte anomale non poteva essere disposta in presenza di sole quattro offerte valide, in quanto il decreto legge 2 marzo 1989 n. 65, applicabile ratione temporis alla vicenda in contestazione, prevedeva tale possibilità, in via transitoria, ma solo in presenza di almeno quindici offerte valide. Il comune appellante contesta, nel merito, la pronuncia del tribunale, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado, la commissione ha compiuto una effettiva valutazione dell’anomalia dell’offerta, senza alcun automatismo, e ribadisce le eccezioni preliminari disattese dalla sentenza. La Sezione ritiene che entrambe le censure preliminari, articolate dal comune appellante, concernono questioni di massima, che rendono opportuno, per motivi diversi, l’intervento dell’Adunanza Plenaria. La prima questione riguarda la rilevanza dell’intervenuta esecuzione dell’opera pubblica, ai fini della ammissibilità o della procedibilità del ricorso proposto contro l’aggiudicazione dell’appalto e contro i connessi atti del procedimento. Il Collegio ritiene preferibile la tesi secondo cui l'integrale esecuzione di un appalto oggetto di una gara indetta da una pubblica amministrazione. non determina il venire meno dell'interesse a ricorrere, in capo al partecipante non aggiudicatario, avverso gli atti della procedura; e ciò non solo per la persistenza di un interesse morale all'accertamento della eventuale illegittimità degli stessi, ma anche in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio diretto a ristorare il ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale (Cons. Stato, sez. VI, 20-12-1999, n. 2117). Tuttavia, in altra occasione, si è affermato che è improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un contratto d'appalto di opere pubbliche se, nelle more del giudizio, esse siano state interamente realizzate e non venga provata l'esistenza di alcuno specifico interesse di carattere morale in ordine all'annullamento della impugnata aggiudicazione (C. Stato, sez. IV, 11-12-1998, n. 1627). Il Collegio ritiene opportuno che il contrasto di giurisprudenza sia risolto dall’Adunanza Plenaria, anche per un'altra ragione, strettamente connessa alla questione, più generale, del rapporto processuale tra l’azione di annullamento e la domanda di risarcimento del danno ("pregiudiziale amministrativa"), già rimessa all’Adunanza Plenaria dal Consiglio della Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana. Si tratta di stabilire, nel quadro delineato dal decreto legislativo n. 80/1998 e dall’articolo 7 della legge n. 205/2000, se la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo, che si assume lesivo dell’interessato costituisca, o meno, presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria e se l’accertamento della illegittimità del provvedimento rappresenti un elemento indispensabile dell’eventuale responsabilità dell’amministrazione. La Sezione aderisce all’opinione secondo cui: - la tempestiva azione di annullamento costituisce, di regola, requisito di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno; - l’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato (ove occorra accompagnato dalla statuizione di annullamento) resta un presupposto necessario (ancorché non sufficiente) per affermare la responsabilità risarcitoria dell’amministrazione. In questa prospettiva, ne dovrebbe conseguire che l’esecuzione integrale dell’appalto non rende affatto improcedibile il ricorso proposto contro il provvedimento, perché la decisione sulla dedotta illegittimità dell’atto contestato rappresenta il passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell’amministrazione. Peraltro, si deve segnalare la presenza di un diverso indirizzo interpretativo, diffuso in settori della dottrina e collegato ad alcune affermazioni racchiuse nella sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo la quale l’azione risarcitoria, pur connessa alla contestazione dell’esercizio di poteri amministrativi, resterebbe autonoma dalla domanda di annullamento, basandosi su presupposti sostanziali di altro contenuto. Ne deriverebbe, fra l’altro, l’assenza di un onere di immediata e tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo, qualora l’interessato intenda avvalersi della sola tutela risarcitoria, senza chiedere anche l’annullamento dell’atto. Ulteriore conseguenza, poi, riguarderebbe gli effetti processuali dell’esecuzione integrale dell’appalto sul ricorso proposto per l’annullamento dell’aggiudicazione. In tale eventualità, poiché potrebbe diventare impossibile (od eccessivamente oneroso, in relazione ai principi dell’art. 2058 del cod. civ.) rimuovere gli effetti giuridici e materiali del provvedimento illegittimo, il pregiudizio lamentato dall’interessato potrebbe essere riparato esclusivamente mediante una diversa azione risarcitoria, con la conseguente improcedibilità del (solo) ricorso di annullamento. La rilevanza pratica della questione (e la sua complessità giuridica) rende opportuno l’intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria, anche allo scopo di assicurare l’applicazione di orientamenti interpretativi omogenei. La seconda questione riguarda l’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l’immediata impugnazione del bando di gara o di concorso (o della lettera di invito ad una procedura selettiva), senza attendere l’adozione di ulteriori atti applicativi (provvedimenti di esclusione, di aggiudicazione, ecc.), che segnano la conclusione dell’iter o determinano, per la parte interessata, il definitivo arresto procedimentale. Per impostare correttamente il problema giuridico in esame è necessario svolgere una precisazione di carattere processuale. Il tribunale ha respinto l’eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis di gara, in base a due argomenti, l’uno di carattere essenzialmente fattuale (attinente all’interpretazione del bando), e l’altro di carattere giuridico (concernente la natura del bando di gara e della lettera di invito, i loro contenuti e l’individuazione dell’interesse al ricorso): "l’invocata clausola della lex specialis non può neppure definirsi immediatamente applicativa alla gara de qua del principio di esclusione automatica, in quando, essendo tale operatività subordinata alla presenza di un numero minimo di concorrenti, essa ben poteva – come sostiene la ricorrente – reputarsi sospensivamente condizionata alla sussistenza di tale presupposto fattuale." "le prescrizioni illegittime non attinenti all’ammissione dei singoli concorrenti manifestano la loro valenza lesiva solo nel momento in cui esse operino negativamente per i partecipanti e non prima: ciò avviene quando si verifica in concreto il pregiudizio e quindi con l’esclusione del concorrente dall’aggiudicazione, che attualizza a quel momento l’interesse all’impugnativa. Fino al momento in cui l’esclusione del soggetto non viene disposta, né emergono elementi che tale effetto rendono certo non si verifica la lesione dell’interesse sostanziale della ditta ritualmente ammessa alla gara, interesse da identificarsi nell’aspirazione all’aggiudicazione dell’appalto – e pertanto non può considerarsi neppure nato l’interesse processuale ad agire in giudizio". Il collegio non condivide il primo argomento sviluppato dalla sentenza impugnata, pur rimettendone la definitiva soluzione all’Adunanza Plenaria. In linea di fatto, la lettera di invito prevede, senza condizioni o limitazioni particolari, l’esclusione automatica delle offerte anomale: "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai valori di 7%." Non vi è alcun richiamo alla normativa vigente e la formulazione letterale della clausola induce a ritenere che essa riguardi tutte le evenienze, indipendentemente dall’effettivo numero delle offerte ammesse alla gara. L’affermata prevalenza della disciplina racchiusa nell’articolo 2 bis, comma 3, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989 n. 155, se ritenuta corretta, comporterebbe non già l’integrazione o la correzione del bando di gara, ma, piuttosto, il riconoscimento della sua illegittimità. Infatti, nel caso di specie, non può trovare applicazione il principio, talvolta affermato dalla giurisprudenza, in materia di norme autoesecutive, applicabili alle procedure di gara, anche in mancanza di un esplicito richiamo nel bando. Tale possibilità potrebbe ammettersi solo in casi particolari e tassativi. Tra questi si segnala l’ipotesi in cui le norme di rango legislativo o regolamentare riguardano profili non contemplati, nemmeno in modo indiretto, dal bando di gara (per esempio in materia di riserva di posti nei concorsi pubblici). Si potrebbe considerare, ancora, il caso in cui la norma prevalente sul bando in modo automatico sia costruita con la struttura del divieto, imposto alle amministrazioni, di adottare determinati comportamenti nel corso delle procedure selettive. Nella presente vicenda, al contrario, la clausola del bando, disciplinando i criteri di determinazione delle offerte anomale ed il procedimento di valutazione, non lascia aperte lacune colmabili dalla disciplina legislativa, ma fa emergere, semmai, l’illegittimità dell’atto. Resta aperto, tuttavia, l’ulteriore problema (meglio illustrato nei numeri seguenti), concernente le conseguenze derivanti dalla prevalenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi adottati in difformità da tale parametro normativo. In relazione all’altro argomento sviluppato dal tribunale, si pone, invece una questione della massima importanza, sulle quali si sono registrati orientamenti contrastanti. Si tratta di stabilire l’esatta delimitazione dell’ambito oggettivo dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara (o di concorso). Al riguardo, la tesi tradizionale, ripetutamente affermata dalla giurisprudenza del Consiglio (e ribadita, comunque, anche da decisioni recentissime, fra cui si segnalano, sin d’ora, Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2001, n. 192; VI, 18 dicembre 2001 n. 6260; V Sez. 27 giugno 2001, n. 3507), afferma il principio secondo cui il bando di gara (e la lettera di invito) per l'aggiudicazione di un contratto della pubblica amministrazione (così come il bando di concorso a posti di pubblico impiego) è immediatamente impugnabile solo se contiene clausole impeditive dell'ammissione dell’interessato alla selezione, e non anche con riferimento alle clausole che individuano i criteri che saranno adottati per l'aggiudicazione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione dell'offerta non costituiscono acquiescenza e non impediscono, quindi, la proposizione di un eventuale gravame (C. Stato, sez. VI, 06-10-1999, n. 1326). Infatti, secondo questa linea ermeneutica, l'interesse all'impugnazione degli atti relativi alla scelta dell'aggiudicatario sorge soltanto all'esito della procedura di selezione, atteso che l'onere di immediata impugnazione degli atti relativi alla fissazione della lex specialis di gara è ipotizzabile solo quando il bando o la lettera di invito contengono prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell'interessato al procedimento concorsuale (C. Stato, sez. V, 29-01-1999, n. 90). Peraltro, l'impugnazione del bando differita al momento dell'impugnazione del provvedimento di esclusione è ritenuta comunque ammissibile quando la clausola del bando appaia ambigua e tale da prestarsi a differenti interpretazioni da parte dell'amministrazione in sede di ammissione degli aspiranti al concorso (C. Stato, sez. VI, 10-08-1999, n. 1020). Inoltre, il differimento dell’impugnazione della clausola di esclusione viene affermato quando lo stesso accertamento del requisito di partecipazione presenti, in fatto, qualche profilo di complessità tecnica (Cons. Stato, V, 6 marzo 2002, n. 1342). A fronte di questo indirizzo interpretativo, consolidato, e definito, per comodità espositiva, "tradizionale", si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e contraddittorio: da una parte si collocano le tesi dirette a ridurre (o addirittura eliminare) l’onere di immediata impugnazione del bando; dall’altra parte si situano le opinioni giurisprudenziali che sostengono l’ampliamento dei casi di immediata impugnabilità delle clausole della lex specialis di gara. Si è prospettato, intanto, un indirizzo volto a spostare in avanti il termine per l’impugnazione degli atti applicativi delle clausole del bando, pure nelle eventualità in cui esse siano assolutamente vincolanti ed a contenuto univoco, e riguardino gli stessi requisiti di partecipazione alla procedura selettiva (Cons Stato, IV, ord. 10 aprile 1998, n. 582). Non solo, ma un indirizzo affermato da alcuni giudici di primo grado sostiene che in ipotesi di ricorsi proposti contro i provvedimenti intervenuti nel corso della procedura concorsuale (di esclusione o di aggiudicazione) esecutivi delle prescrizioni contenute nella lex specialis di gara, non è più necessaria la preventiva o la contestuale impugnazione del bando: questo, se illegittimo, va disapplicato dal giudice amministrativo (TAR Lombardia, III Sez., 5 maggio 1998, n. 922; 2 aprile 1997, n. 354). La tesi indicata per ultima, tuttavia, non pare condivisibile: il potere di disapplicazione del giudice amministrativo va circoscritto solo agli atti amministrativi a contenuto propriamente normativo; pertanto esso non può operare in relazione al bando di gara, che è riconducibile a manifestazione di volontà provvedimentale e non ad atto regolamentare (C. Stato, sez. IV, 27-08-1998, n. 568). Peraltro, l’Adunanza Plenaria deve valutare anche la questione prospettata da alcuni giudici di primo grado (fra questi Tar Lombardia, III Sez. 8 agosto 2000, n. 234), secondo cui il bando deve essere disapplicato almeno nelle ipotesi in cui l’illegittimità riscontrata derivi dal contrasto con la normativa comunitaria. Il punto presenta una diretta rilevanza nella presente fattispecie, in quanto il ricorrente di primo grado ha prospettato anche il contrasto del bando con le prescrizioni del diritto comunitario riguardanti il giusto procedimento nella valutazione, in contraddittorio con l’impresa, dell’anomalia dell’offerta. La tesi interpretativa che ritiene doverosa la disapplicazione in questo caso sostiene che l’invalidità del provvedimento in contrasto con il diritto comunitario rientra nella categoria della nullità. Ad analoga conclusione si perviene affermando che la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, anche di rango legislativo, comporta, a maggiore ragione, la diretta ed immediata operatività della normativa comunitaria, che sostituisce le difformi prescrizioni del bando. L’opposta soluzione interpretativa sostiene invece che la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno e la sua vincolatività per le amministrazioni e per il giudice attiene alla individuazione del parametro normativo di valutazione del provvedimento amministrativo, fermo restando che tale apprezzamento va compiuto secondo la consueta categoria della illegittimità, definita dal diritto interno. Questa impostazione è ora seguita dal disegno di legge recante modifiche e integrazioni della legge 7 agosto 1990 n. 241, approvato dal Consiglio dei ministri il 7 marzo 2002, il quale, all’articolo 13sexies, stabilisce che è annullabile il provvedimento "viziato da violazione di leggi o regolamenti, di disposizioni di fonte comunitaria". Resta però da verificare se i principi comunitari in materia di garanzia della tutela giurisdizionale non rappresentino un utile criterio interpretativo per ridurre l’area delle ipotesi in cui il bando è soggetto ad immediata impugnazione in un breve termine decadenziale. Meritevole di maggiore attenzione è l’altro orientamento, in forza del quale l’impugnazione del bando è sempre necessaria, ma può essere generalmente differita all’atto di proposizione del ricorso contro l’atto applicativo. Secondo tale indirizzo: il bando è un atto generale che, non rivolgendosi a destinatari determinati, non comporta, di per sé solo, alcuna immediata lesione, la quale si concretizza e attualizza solo con l’emanazione degli specifici provvedimenti di esclusione; non può escludersi la possibilità per l’amministrazione di non dare applicazione a clausole del bando illegittime, o di dare alle clausole del bando un’interpretazione conforme alla legge; l’impugnazione del bando, anche in relazione alle clausole che fissano requisiti di partecipazione, è mera facoltà dell’interessato e non già un onere imposto a pena di decadenza. Peraltro, l’Adunanza Plenaria, con ordinanza 4 dicembre 1998, n. 1, ha ribadito l’orientamento più tradizionale e consolidato, in forza del quale il bando di un pubblico concorso contenente clausole direttamente lesive dell'interesse dei candidati, che fissano i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, deve essere autonomamente ed immediatamente impugnato. La pronuncia dell’Adunanza Plenaria esclude, quindi, che il termine per l’impugnazione del bando possa essere posticipato al momento in cui viene adottato il provvedimento applicativo. La decisione non prende posizione, invece, sul problema della individuazione degli ulteriori casi in cui l’interessato ha l’onere di impugnare immediatamente il bando. Secondo alcuni più recenti indirizzi della giurisprudenza, volti ad ampliare i casi di immediata impugnabilità della lex specialis di gara (o di concorso), occorre considerare la natura giuridica del bando e la sua funzione, tenendo conto dei seguenti aspetti: mediante l’adozione del bando, l’amministrazione consuma il proprio potere discrezionale e la successiva attività procedimentale è vincolata all’attuazione delle prescrizioni inderogabili fissate dalla lex specialis di gara; la lesione provocata dal bando di gara alla posizione di interesse dei partecipanti è immediata, perché attiene, direttamente, alla loro stessa condizione di concorrenti alla selezione; l’interesse differenziato, che giustifica il ricorso, riguarda la pretesa autonoma alla legittimità delle regole e delle operazioni di gara, ritenuta distinta dall’aspettativa di aggiudicazione del contratto. Sulla base di queste premesse, si è affermato, a partire dalla decisione della Sez. IV, 11 febbraio 1998, n. 261, il principio secondo cui "in materia di procedure di aggiudicazione di servizi pubblici, i criteri da osservare ai fini della scelta del contraente, una volta inseriti nel bando di gara, vincolano l'amministrazione, che non può esimersi dal rispettarli, dovendo garantire la par condicio di tutti i concorrenti; ne consegue che le eventuali censure non possono essere mosse, attendendo che la gara sia conclusa sfavorevolmente, a carico dei provvedimenti che ne fanno puntuale applicazione, ma unicamente nei confronti dell'atto (bando di gara) immediatamente lesivo, in cui la regola è contenuta, e nel termine decadenziale". Il nuovo filone interpretativo sostiene che resta fermo il tradizionale principio di carattere generale in forza del quale il bando di gara non è immediatamente lesivo e, quindi, non è impugnabile se non unitamente ai provvedimenti, concreti, che ne fanno applicazione. Tuttavia, secondo gli indirizzi in esame, tale regola soffre di alcune eccezioni, di portata assai ampia ed in costante espansione. La prima, conforme ad una consolidata linea ermeneutica, riguarda l’ipotesi delle clausole del bando che impediscono la partecipazione alla gara, fissando particolari requisiti soggettivi dei concorrenti; in tale eventualità sussiste l’onere della parte interessata di impugnare tempestivamente l’atto. Detta tesi assume, peraltro, una particolare connotazione di novità, nella parte in cui prende le distanze dall’opposto indirizzo (illustrato in precedenza), che ritiene insussistente l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando, anche se esse riguardano i requisiti di partecipazione alla selezione. La seconda eccezione, enucleata dalla giurisprudenza più recente della Sezione, riguarda le ipotesi di clausole che, fissando i criteri di aggiudicazione dell’appalto, influiscono in modo diretto sulla stessa determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della proposta economica o tecnica racchiusa nell’offerta. Detto indirizzo si è riferito, in particolare, all’onere di immediata impugnazione di calusole asseritamente irragionevoli, tali da non consentire la formulazione dell’offerta, dal momento che le prescrizioni ivi previste rendono effettivamente impossibile quel calcolo di convenienza tecnica ed economica che ogni impresa deve essere in condizione di potere effettuare all’atto in cui valuta se partecipare o no ad una gara pubblica. In detta categoria rientrano tutte le prescrizioni che, producendo effetti distorsivi della concorrenza, incidono sulla sfera giuridica del soggetto economico che partecipa alla gara in un momento precedente quello della mancata aggiudicazione ed indipendentemente da questa. Pertanto, l'impresa che ritenga illogica una clausola del bando deve impugnarla prima della presentazione dell'offerta e non all'esito della gara, ponendosi essa come obiettivo ostacolo alla formulazione di quest'ultima sulla base di elementi prevedibili, e non assolutamente aleatori: nella specie, in un concorso di progettazione di opera pubblica si prevedeva il maggior punteggio al progetto il cui costo si fosse avvicinato di più alla media aritmetica dell'insieme di tutti i progetti presentati (C. Stato, sez. V, 11-01-1999, n. 1757/98). In tale ordine di idee si inscrive anche la decisione 23 maggio 2000, n. 2990, secondo la quale deve essere immediatamente impugnato il bando, nella parte in cui fissa i criteri di determinazione della soglia di anomalia delle offerte anomale (nella specie: clausola concernente il calcolo della soglia di anomalia dell’offerta previa considerazione, per la determinazione dello scarto aritmetico, di tutte le offerte superiori alla media, comprese quelle escluse per la determinazione della media stessa). Secondo tale orientamento, nei pubblici appalti, la lesività delle norme del bando relative ai criteri di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento della gara non si manifesta per la prima volta con l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale sono assunte come regole con le quali l'amministrazione autolimita la propria libertà di apprezzamento, con conseguente onere di tempestiva impugnazione in capo alle imprese partecipanti (C. Stato, sez. V, 22-03-1999, n. 302). Nello stesso ambito si inserisce l’affermazione secondo cui le prescrizioni del bando di gara che incidono direttamente sulle posizioni dei concorrenti alla gara di appalto sono immediatamente ed autonomamente lesive per cui devono essere impugnate nei termini di rito, decorrenti dal momento della loro conoscenza, senza attendere il conseguente atto di esclusione: nella specie, è stata ritenuta immediatamente lesiva la clausola del bando che prescriveva l'esclusione automatica delle offerte anomale (C. Stato, sez. IV, 05-07-1999, n. 1158). Si tratta, quindi, di fattispecie analoghe a quella oggetto del presente giudizio, nel quale è contestata la prescrizione del bando relativa alla esclusione automatica delle offerte anomale, indipendentemente dal numero delle offerte valide. Peraltro, all’interno della stessa Quinta Sezione, si manifestano indirizzi di segno contrario: l’interesse ad impugnare le clausole del bando contenenti i criteri di valutazione delle prove è sorto solo in seguito all’esito negativo della procedura selettiva e pertanto non può configurarsi alcun onere di proporre immediatamente ricorso. E’ infatti evidente che i criteri, così come astrattamente posti dal bando, non sono suscettibili di ledere l’interesse dei concorrenti in modo certo ed immediato: la lesione diverrà concreta solo alla fine delle prove (V Sez. n. 2230/2000). Una terza ipotesi, individuata dalla giurisprudenza, riguarda le prescrizioni del bando che impongono determinati oneri formali dell’offerta, a pena di esclusione, alle imprese partecipanti: in un appalto pubblico, si deve intendere immediatamente lesiva e, quindi, autonomamente impugnabile quella clausola del bando di gara o della lettera d'invito che prescriva, a pena d'esclusione, l'esibizione di un documento o di un attestato (nella specie, il certificato dei carichi pendenti) che la stazione appaltante potrebbe acquisire d'ufficio, posto che, in tal caso, l'inutile aggravio del procedimento amministrativo consiste non già nella mera presentazione di detto certificato - il cui reperimento potrebbe anche non essere di per sé gravoso - bensì nella gratuita costrizione dell'impresa a rendere di pubblico dominio vicende private che essa potrebbe voler non divulgare e nella circostanza che, ove queste ultime vengano rese note, potrebbero esporla ad un giudizio d'inaffidabilità fondato su vicende penali in cui essa potrebbe essere stata incolpevolmente coinvolta (C. Stato, sez. V, 11-05-1998, n. 225). Lo stesso orientamento si è poi affermato, talvolta, in relazione alle clausole riguardanti le modalità di presentazione dell’offerta (Sez. V, 4 aprile 2002, n. 1857). La decisione si è motivatamente discostata dall’indirizzo secondo cui che le prescrizioni del bando riferite non già ai requisiti di ammissione ma alle modalità di presentazione delle offerte non devono essere impugnate immediatamente, ma solo congiuntamente all’atto applicativo adottato dall’amministrazione. In tal senso, si è affermato che la clausola della lettera d'invito circa il luogo e il termine massimo di presentazione delle domande di partecipazione ad una gara per l'aggiudicazione di un contratto attiene a formalità che in via di principio non incidono direttamente e immediatamente sulla sfera giuridica dei concorrenti; pertanto, tale clausola è impugnabile solo unitamente al provvedimento di esclusione dalla gara, in quanto solo in quel momento la lesione diviene concreta ed effettiva (C. Stato, sez. IV, 20-10-1998, n. 888). In tali eventualità, si manifesta una maggiore vicinanza con l’indirizzo tradizionale, in quanto le clausole oggetto di immediata impugnazione riguardano i requisiti di partecipazione delle imprese concorrenti, considerati, però, non già nella loro dimensione strettamente soggettiva, ma nel profilo oggettivo, riguardante le modalità di presentazione della domanda di ammissione. Una quarta ipotesi (delineata dalla pronuncia della Quinta Sezione n. 2884/2000) concerne le clausole del bando relative al "modus operandi" fissato per il funzionamento della commissione giudicatrice. In particolare, la pronuncia afferma l’onere di immediata impugnazione della clausola del bando che individua le operazioni da svolgere, rispettivamente, in seduta pubblica od in riunione segreta. In tali casi, secondo questa giurisprudenza, la lesione della posizione di interesse dell’impresa è immediata, afferendo alla stessa condizione di partecipazione alla gara, ed alla libertà di scelta in ordine alle determinazioni negoziali assunte dal soggetto economico nell’ambito del procedimento di individuazione del contraente privato. Analogamente, si è affermato l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando concernenti il funzionamento della commissione giudicatrice di un appalto-concorso comunale con la presenza della maggioranza e non del plenum dei componenti (Sez. V, 22 marzo 1999, n. 302). Nello stesso ordine di idee si colloca la pronuncia della Quinta Sezione, 11 luglio 2001, n. 3852, secondo la quale anche gli atti intermedi della procedura, correlati alle modalità operative della commissione, ancorché non riferiti al bando di gara, vanno tempestivamente contestati, senza attendere l’esito della procedura. In particolare, secondo la pronuncia citata, la delibera di nomina della commissione giudicatrice deve essere immediatamente impugnata, "quanto meno dal momento del ricevimento della lettera di invito" (se la lex specialis di gara è pubblicata dopo la nomina del collegio), o comunque dal momento delle prime determinazioni procedimentali assunte dalla commissione. Non si deve trascurare, in analogo ordine di idee, l’affermazione di un indirizzo interpretativo diretto ad individuare nell’aggiudicazione provvisoria (e non nell’aggiudicazione definitiva) l’atto lesivo dell’interesse del concorrente: è immediatamente impugnabile l’atto di aggiudicazione provvisoria di una gara d’appalto, atteso che se è indubbio che il soggetto dichiarato provvisoriamente aggiudicatario di un appalto non può vantare alcuna posizione giuridicamente tutelata al provvedimento di aggiudicazione definitiva (trattandosi di una mera aspettativa), diversa è la posizione degli altri concorrenti, nei confronti dei quali la proposta di aggiudicazione provvisoria preclude qualsiasi ulteriore partecipazione alla gara e determina quindi un effetto autonomo, definitivo ed immediatamente lesivo che ne legittima l’impugnazione (Cons. Stato, IV Sez. 27 dicembre 2001, n. 6420). Detto orientamento, pur discostandosi dall’interpretazione più risalente, sembra, allo stato, individuare la facoltà (e non l’onere) dell’interessato di impugnare l’aggiudicazione provvisoria. Secondo la decisione della Sezione, 24 dicembre 2001, n. 6386, poi, l’effetto lesivo direttamente emergente dai criteri di valutazione delle offerte stabiliti nel bando di gara ha carattere di immediatezza e deve essere fatto valere nel termine di decadenza con l’impugnazione diretta del bando stesso. Analoga posizione è espressa da una parte della giurisprudenza dei TAR (TAR Lombardia Sezione di Brescia - Sentenza 3 aprile 2001 n. 153), secondo cui le previsioni di un bando di gara, riguardanti i criteri per l'attribuzione dei punteggi per la scelta della società aggiudicataria, sono lesive in via immediata ed autonoma e, come tali, immediatamente impugnabili nel termine decadenziale di legge (nella specie, licitazione privata ex D.L.gs 157/95 cosi come modificato dal D.L. 65/00, per l'affidamento del servizio di Tesoreria del Comune, per la quale, pur essendo stato scelto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, si attribuisce al parametro economico dell'offerta, un coefficiente numerico pari al 30 % della valutazione complessiva a fronte del 70 % attribuito agli aspetti tecnico-qualitativi). In relazione a tale particolare profilo, tuttavia, si è manifestato anche un indirizzo di segno opposto, in forza del quale, l'interesse ad impugnare le clausole del bando di concorso contenenti i criteri di valutazione delle prove sorge solo in seguito all'esito negativo della procedura selettiva, per cui non è configurabile alcun onere di proporre immediatamente ricorso (C. Stato, sez. V, 14-04-2000, n. 223). Altra decisione ancora, pur non affermando l’esistenza di un onere di immediata impugnazione, afferma che "l’interesse dell’impresa a veder limitato il numero delle ditte che possono partecipare alla gara per l’aggiudicazione di un appalto ha carattere strumentale ed è di per sé idoneo e sufficiente a legittimare l’immediata impugnativa delle clausole del bando ritenute lesive di tale interesse" (C.G.A.R.S., 3 dicembre 2001, n. 627). I nuovi indirizzi interpretativi diretti, in varia misura, ad ampliare l’onere di immediata impugnazione delle clausole di bando non risultano ancora consolidati, prospettandosi oscillazioni tra pronunce fedeli all’orientamento "tradizionale", decisioni che sembrano generalizzare l’onere di immediata impugnazione e sentenze che fissano criteri selettivi più elaborati, idonei a circoscrivere notevolmente la portata dell’orientamento. Le tesi innovative, che hanno formato oggetto di articolate critiche da parte di importanti settori della dottrina, almeno con riferimento ad alcune delle ipotesi indicate, intende valorizzare l’esigenza di una rapida inoppugnabilità di determinate regole speciali della gara, in certo senso "accettate" dai partecipanti al procedimento. Al tempo stesso, tale indirizzo pone in luce la sostanziale autonomia dell’interesse dell’impresa alla preventiva definizione dei parametri di valutazione delle offerte (nella parte in cui esse risultano direttamente incidenti sull’espressione del loro contenuto) e delle modalità (estrinseche), o meramente procedimentali, di svolgimento della gara. In questo senso, la decisione n. 2990/2000 prospetta, fra l’altro, "l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, cui si ricollega il regime di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, che sarebbe ingiustificatamente elusa se fosse consentito alle imprese di partecipare alla gara rimanendo inerti di fronte a prescrizioni inidonee a garantire il corretto operare delle regole di concorrenza, per poi impugnare il bando, al quale hanno prestato adesione in modo univoco e concludente, una volta conosciuto l’esito sfavorevole del procedimento". Lo specifico rilievo dell’interesse al ricorso è poi sottolineato da quelle pronunce secondo cui, l’interesse al quale l’ordinamento garantisce la tutela giudiziaria non è quello di ottenere, comunque, un risultato vantaggioso a conclusione del procedimento di gara, ma solo quello a che la scelta del contraente sia effettuata nel rispetto delle norme che impongono all’amministrazione comportamenti obbligati nel disciplinare, a mezzo del bando, il relativo procedimento" (Sez. V, 22 marzo 1999, n. 302). Si afferma, al riguardo, che, "in linea teorica, in casi come quello esaminato non può escludersi l’esistenza di un interesse attuale a ricorrere, identificabile nell’interesse personale del ricorrente a partecipare ad una gara le cui regole siano legittime, costituendo la legittimità della procedura condizione di trasparenza e garanzia di certezza del corretto svolgimento delle operazioni. Si tratta di un interesse che si collega alle scelte dell’impresa,garantita dall’art. 41 Cost., e che si sostanzia nell’utilità che discende dalla salvaguardia della libertà negoziale, in breve, nell’interesse a non vedersi coinvolta nella partecipazione a procedure di gara governate da regole illegittime"; "la censura…è stata fin da principio rivolta alla tutela di un valore meramente procedimentale, connesso alle forme di pubblicità della procedura" (Sez. V, 17 maggio 2000, n. 2884). La dottrina evidenzia come tale atteggiamento interpretativo è, in qualche misura, ispirato dall’esigenza di reagire ad una eccessiva proliferazione dei ricorsi, stigmatizzando le condotte "poco leali" di determinati concorrenti, i quali partecipano alla gara, con una sorta di "riserva mentale", sciolta soltanto nel caso di esito sfavorevole del procedimento. L’autonomia dell’interesse sembra manifestarsi, in particolare, tutte le volte in cui le prescrizioni del bando fissano regole che segnano un’incidenza, diretta od indiretta (ma sempre determinante) sulle condotte delle imprese concorrenti, già rilevanti all’interno dello svolgimento della gara. La rilevanza diretta si manifesta in relazione a quelle prescrizioni che impongono ai partecipanti determinati oneri formali, prescritti a pena di esclusione e contestuali all’offerta, quali la produzione di documenti o la redazione dell’offerta secondo specifiche modalità estrinseche. Il risalto indiretto, ma pure decisivo (e comportante l’onere di immediata impugnazione della lex specialis di gara), potrebbe riguardare, invece le clausole del bando che, stabilendo, in modo puntuale e vincolante, determinati criteri di valutazione dell’offerta, ne condizionano la stessa composizione interna. Tuttavia, l’atteggiamento della dottrina nei riguardi di questo percorso motivazionale è tendenzialmente molto critico, rilevandosi che, in tal modo, si elevano al rango di interessi protetti i cosiddetti interessi procedimentali, quelle situazioni, cioè, aventi ad oggetto non beni della vita ma atti del procedimento, frammentando l’unitario interesse protetto del partecipante in un fascio di situazioni soggettive a "protezione anticipata". Si è anche prospettato il rischio che l’anticipata protezione della posizione giuridica dei concorrenti colleghi l’interesse al ricorso ad una lesione potenziale, anziché effettiva della posizione giuridica tutelata. Si afferma, al riguardo, che oggetto dell’interesse protetto non è la legittimità del comportamento dell’amministrazione (che sostituisce, semmai, il limite della protezione) ma invece l’assetto di interessi che il provvedimento amministrativo realizza. L’interesse protetto è leso non dall’astratto contenuto programmatico del bando – salvo che non determini un arresto procedimentale – ma dal concreto regolamento di interessi del provvedimento finale, vale a dire dall’aggiudicazione. In secondo luogo, si osserva che se il procedimento di evidenza pubblica è in funzione della legalità e del buon andamento della scelta del contraente privato, non è dato comprendere come i partecipanti alla gara possano avere un interesse protetto alla regolarità del procedimento autonomo da quello all’aggiudicazione, piuttosto che un interesse all’aggiudicazione protetto dall’ordinamento nei limiti della legittimità del procedimento di gara. Né assumerebbe rilievo la struttura vincolata o discrezionale della clausola: la lesione dell’interesse protetto non si determina che con l’aggiudicazione e ciò non solo per ragioni di imputazione formale degli effetti, ma perché, per vincolata che sia la clausola, ne è possibile la disapplicazione o la diversa interpretazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o l’inapplicabilità per situazioni sopravvenute determinate dal fatto di terzi. La giurisprudenza richiamata in precedenza, favorevole ad un ampliamento (più o meno esteso) dell’onere di impugnativa del bando di tali ipotesi, non afferma sempre la generalizzata anticipazione, ma individua diversi parametri interpretativi, volti a delimitare (cumulativamente od alternativamente) l’operatività dell’onere. In particolare, l’onere di immediata impugnazione del bando è talvolta subordinato ad un’accurata analisi della singola fattispecie, che metta in luce, fra l’altro, i seguenti aspetti: il contenuto della clausola del bando sospetta di illegittimità; il tipo di vizio dedotto dalla parte ricorrente; l’interesse concretamente manifestato dall’impresa; l’attitudine della partecipazione alla procedura selettiva a manifestare univocamente l’acquiescenza alle regole della gara; l’influenza della regola fissata dal bando sui comportamenti dei concorrenti e sulla condotta della stazione appaltante; l’incidenza della clausola sullo svolgimento concreto della gara e sui suoi esiti. La ricerca di adeguati criteri selettivi, pur nell’ottica di un marcato ampliamento delle ipotesi di immediata impugnabilità del bando, deriva anche da un’altra considerazione, puntualmente sottolineata dalla dottrina. Sostenere che tutte le clausole del bando regolanti le modalità procedurali della gara devono essere immediatamente impugnate, perché lesive di un interesse generale alla legittimità dell’azione amministrativa, significherebbe minare la concezione del processo amministrativo come giurisdizione di tipo subiettivo (per la protezione di posizioni sostanziali autonome e differenziate), in favore di una tutela oggettiva dell’interesse pubblico alla legittimità dell’atto amministrativo. La stessa preoccupazione di ordine sistematico, che conduce ad una articolata nuova proposizione dell’indirizzo tradizionale, è compiutamente sviluppata da una recentissima decisione della VI Sezione (22 gennaio 2001, n. 192/2001), secondo la quale "il ricorso amministrativo non è rimedio dato nell’esclusivo interesse oggettivo della giustizia, ma principalmente per tutelare posizioni dei singoli, i quali non sono tenuti a denunciare l’illegittimità degli atti, della quale, pure, abbiano conoscenza, se non nei limiti e nel momento in cui tale illegittimità si traduca concretamente in una lesione ai propri interessi". Detta pronuncia, in particolare, ha ritenuto che non vi è onere di immediata impugnazione della clausola del bando che prescrive l’inclusione in un’unica busta dell’offerta tecnica e di quella economica. La decisione confuta la tesi secondo cui l’onere di immediata impugnazione deriverebbe anche da un "obbligo di leale cooperazione" del privato. Tale dovere non opera nei casi in cui il procedimento sia "condotto unilateralmente dall’amministrazione", essendo, "per contro, onere esclusivo di quest’ultima adoperarsi perché la propria attività si svolga in conformità alla legge". Secondo tale pronuncia, poi, l’onere di immediata impugnazione non svolgerebbe alcuna utile funzione deflattiva del contenzioso: al contrario "si determinerebbe il proliferare di giudizi preventivi, instaurati tuzioristicamente dai partecipanti ad una gara, non solo con il sovvertimento dei principi in tema di concretezza e attualità della titolarità dell’interesse all’azione, ma anche con grave intralcio all’ordinato svolgimento dell’attività amministrativa". Analoga posizione critica nei confronti dei nuovi indirizzi, e in sostanza più vicina alla tesi tradizionale, è espressa dalla decisione del Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 3 dicembre 2001, n. 635, secondo la quale il bando di gara d’appalto di lavori e la lettera di invito devono essere necessariamente impugnati immediatamente solo qualora il concorrente subisca, per effetto della calusola ritenuta illegittima, un pregiudizio diretto ed attuale, come nella ipotesi in cui vengano introdotti nella procedura limiti e vincoli tali da precludere al concorrente, di per sé, ed ex ante, la possibilità di partecipare o di aggiudicarsi la gara (ad esempio, quando si prescrivono requisiti di ammissione), mentre quando non si verifichi questo pregiudizio immediato la singola clausola ritenuta illegittima va impugnata unitamente al provvedimento che, in attuazione della stessa, determini un pregiudizio attuale e diretto: nella specie non è stata considerata immediatamente lesiva la clausola che imponeva ai concorrenti che avessero voluto, in caso si aggiudicazione, associarsi in ATI, di specificare tale volontà nella delega). Ciò posto, è necessario analizzare le diverse ipotesi concrete in cui la giurisprudenza più recente ha affermato l’onere di immediata impugnazione del bando di gara. I casi riguardano aspetti particolari della procedura selettiva, idonei ad evidenziare una peculiare rilevanza immediata dell’interesse al ricorso e della correlata lesione della posizione giuridica tutelata. Si consideri, in primo luogo, il caso di vizi del bando di gara incidenti sulla stessa possibilità di formulare una adeguata offerta. In tali eventualità, l’onere di immediata impugnazione mira ad evitare che il concorrente, solo perché non aggiudicatario, possa rimettere in discussione l’intero procedimento contrattuale, al quale ha pure partecipato senza esprimere riserve. Il pregiudizio lamentato, attenendo alla libertà di autodeterminazione negoziale, si palesa, immediatamente, già al momento della formulazione dell’offerta economica. La mancata aggiudicazione del contratto determina solo l’aggravamento e la definitiva cristallizzazione della lesione, ma non comporta l’autonoma insorgenza dell’interesse al gravame. Ma anche nell’ipotesi in cui il bando evidenzi illegittimità di carattere formale o procedimentale, attinenti alla composizione del seggio di gara, oppure alla disciplina della sua attività (in seduta pubblica o segreta), si afferma che l’interesse all’impugnativa si manifesta immediatamente, perché il ricorso mira a denunciare dei vizi estrinseci del procedimento. In questa prospettiva, il gravame non è condizionato, in modo apprezzabile, dal concreto svolgimento dell’iter, o dalla sua conclusione. In tale eventualità, semmai, il concorrente intende proteggere l’interesse alla trasparente dialettica con il seggio di gara: la posizione differenziata e strumentale al corretto svolgimento della selezione si connette strettamente alla libertà negoziale ed alla tutela del fisiologico confronto concorrenziale con le altre imprese. Ammettendosi l’impugnazione del bando differita e contestuale alla proposizione del ricorso contro l’aggiudicazione, si permetterebbe a tutti i concorrenti, diversi dall’aggiudicatario, di vanificare in radice l’attività compiuta. In questo ambito concettuale si situano alcune pronunce cautelari (V, 20 settembre 2000 e 12 dicembre 2000, n. 6356), che hanno affermato l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando riguardanti la fissazione della durata delle prove concorsuali: in detta eventualità appare evidente il carattere meramente strumentale dell’interesse fatto valere, del tutto insensibile alle vicende conclusive del procedimento. In tali casi, si afferma che manca la possibilità di una lesione rinnovata al momento della chiusura del procedimento ad evidenza pubblica. Infatti, la clausola riguardante le modalità formali di svolgimento della gara, se non fosse immediatamente lesiva, non lo sarebbe nemmeno in un momento successivo. Poiché la prescrizione del bando ha per oggetto la protezione di un mero interesse procedimentale, non sarebbe neppure configurabile una posizione di interesse legittimo tutelabile. Pertanto, la giurisprudenza della Quinta Sezione, pur condividendo, in astratto, l’assunto dell’ampliamento dei casi di immediata impugnazione del bando di gara, ha spesso escluso, in concreto, la sussistenza dell’onere, quando la clausola del bando non incide in modo diretto e definito sull’interesse strumentale del concorrente. In quest’ordine di idee la Sezione (decisione 15 giugno 2001, n. 3187) ha escluso la sussistenza dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara per l’affidamento di un incarico di progettazione, il quale prevedeva lo svolgimento di due distinte fasi selettive, attribuendo un punteggio ad elementi considerati anche quali requisiti di ammissione alla gara. Secondo detta decisione non vi è onere di immediata impugnazione, in quanto: - la dedotta illegittimità del bando non tocca la composizione dell’offerta, nei suoi aspetti economici e tecnici; - i vizi prospettati non riguardano nemmeno i profili meramente formali ed estrinseci dello sviluppo procedimentale della selezione contrattuale; - nella vicenda in giudizio, le censure proposte dall’interessato riguardano i contenuti sostanziali della procedura svolta, in relazione alle sue concrete applicazioni. In altri termini, la pronuncia afferma che l’onere di immediata impugnazione del bando, per quanto dilatato, non può estendersi alle ipotesi in cui l’impugnazione assume ad oggetto una clausola idonea ad incidere sulla concreta valutazione delle offerte e dei requisiti soggettivi dei concorrenti, collegata, dunque, ad una successiva manifestazione di volontà discrezionale (la quale attribuisce rilevanza anche ai vari profili strettamente tecnici, insiti nell’apprezzamento specialistico riservato alla "giuria"), compiutamente espressa solo in sede di attuazione della clausola. Allo stato, quindi, emergono, in giurisprudenza, diverse posizioni interpretative, sintetizzabili nel seguente modo: a) tesi tradizionale: l’impugnazione immediata del bando è circoscritta alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva; b) tesi della lesione necessariamente rinviata alla conclusione della procedura selettiva: il bando è impugnabile insieme all’atto concretamente lesivo (esclusione; aggiudicazione in favore di un altro concorrente); c) tesi della disapplicazione del bando contrastante con norme inderogabili, quanto meno nelle ipotesi in cui esse sono di derivazione comunitaria; d) tesi della necessaria impugnazione immediata di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti sulla definizione della lex specialis di gara; e) tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole clausole vincolanti per l’amministrazione o per i concorrenti; f) tesi che amplia l’onere dell’immediata impugnazione alle sole clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione (quali le modalità di presentazione dell’offerta); g) tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole prescrizioni del bando che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica (fra cui quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia); h) tesi che impone l’onere di immediata impugnazione delle clausole riguardanti la composizione, il funzionamento del seggio di gara, in quanto incidenti sull’autonomo interesse del concorrente. La Sezione ritiene che la soluzione tradizionale (indicata alla lettera A) ha il pregio di offrire, tuttora, un criterio certo, uniforme e, normalmente di facile applicazione, utile ad individuare i casi in cui le parti interessate hanno l’onere di immediata impugnazione del bando di gara. Detta conclusione appare, poi, in maggiore sintonia con i principi che governano il processo amministrativo e definiscono il requisito dell’interesse al ricorso. Peraltro, la Sezione è dell’avviso che gli stessi principi generali possano imporre un parziale ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare (ed esclusivo) riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara. Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura selettiva. Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo, ferma restando la facoltà (e non l’onere di proporre ricorso immediato contro il bando di gara). In definitiva, quindi, costituiscono questioni di massima importanza, e se ne rimette l’esame all’Adunanza Plenaria, quelle se: l’intervenuta esecuzione integrale dell’appalto rende inammissibile od improcedibile il ricorso per l’annullamento dell’aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la procedibilità dell’azione risarcitoria; le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale o se possano essere impugnate contestualmente all’atto applicativo, che conclude, per l’interessato, la procedura selettiva; le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate dal giudice in caso di contrasto con il diritto comunitario. Le statuizioni sulle spese sono riservate alla decisione definitiva. Per Questi Motivi Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rimette all’Adunanza Plenaria la decisione dell’appello; ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. (omissis)