CONSIGLIO DI STATO, SEZ - Dipartimento Facoltà di Giurisprudenza

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Consiglio di Stato, Sez. V, Ordinanza 6 maggio 2002, n. 2406, Pres. Quaranta, Est. Lipari Comune di Aversa c. Zecchina Costruzioni s.p.a. e Impresa di costruzioni Ing. Eugenio
Marino & C. S.p.a.
(omissis)
FATTO
La sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto dalla società Zecchina Costruzioni s.p.a., in
qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I. formata con la società Ing. Della Gatta S.p.A., ha
annullato:
- la delibera della giunta municipale del comune di Aversa, n. 746 del 27 settembre 1993, recante
l’aggiudicazione all’A.T.I. capeggiata dalla società ing. Eugenio Marino & C. s.p.A., dell’appalto
per l’esecuzione dei lavori di sistemazione dell’emissario "lo Spierto";
- l bando di gara e la lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991;
- gli altri atti del procedimento.
Il Comune appellante sostiene l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso di
primo grado.
La Società Zecchina resiste al gravame, mente le altre parti intimate non si sono costituite in
giudizio.
DIRITTO
Con deliberazione n. 206 del 21 marzo 1991, il consiglio comunale di Aversa approvava il progetto
dell’opera pubblica concernente la sistemazione dell’emissario delle acque dei comuni di Parete,
Lusciano, Aversa-ovest, Trentola-Ducenta e Frignano.
Con il successivo bando di gara, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 14 agosto 1991,
l’amministrazione indiceva la gara per l’aggiudicazione dell’appalto, per un valore, a base d’asta, di
complessive lire 31.150.000.000, stabilendo le prescrizioni di svolgimento della procedura selettiva.
Con lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991, venivano dettate le ulteriori prescrizioni della
lex specialis di gara, le quali stabilivano, fra l’altro, che:
- l’aggiudicazione sarebbe avvenuta, con esclusione delle offerte in aumento, in favore dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, tenendo conto, in ordine di importanza, dei seguenti elementi: 1)
valore tecnico dell’opera (fino a punti 50); 2) prezzo complessivo (punti 33); tempo di esecuzione
(punti 17);
- il concorrente, in variante al progetto dell’amministrazione avrebbe potuto redigere un altro
progetto contenuto nell’importo a base d’asta;
- "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore
alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai valori di 7%."
Alla gara venivano ammesse quattro imprese. La commissione tecnico amministrativa, dopo aver
vagliato i progetti, procedeva all’esame delle offerte economiche, ai fini della valutazione di
anomalia e dell’assegnazione dei punteggi.
In tale contesto, l’offerta dell’ATI Zecchina, che aveva presentato un ribasso del 14,38 %, veniva
giudicata anormalmente bassa Quindi, con delibera della giunta municipale 27 settembre 1993, il
comune approvava definitivamente gli atti di gara, aggiudicando l’appalto all’ATI Marino-IcarBrancaccio, classificata al primo posto della graduatoria.
La sentenza impugnata, disattendendo le eccezioni di improcedibilità (per intervenuta esecuzione
dell’opera oggetto dell’appalto) e di irricevibilità (per tardiva impugnazione del bando di gara e
della lettera di invito), ha accolto il ricorso proposto dall’ATI Zecchina ed ha annullato "i
provvedimenti impugnati".
Secondo il tribunale, l’esclusione automatica delle offerte anomale non poteva essere disposta in
presenza di sole quattro offerte valide, in quanto il decreto legge 2 marzo 1989 n. 65, applicabile
ratione temporis alla vicenda in contestazione, prevedeva tale possibilità, in via transitoria, ma solo
in presenza di almeno quindici offerte valide.
Il comune appellante contesta, nel merito, la pronuncia del tribunale, sostenendo che,
contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado, la commissione ha compiuto una
effettiva valutazione dell’anomalia dell’offerta, senza alcun automatismo, e ribadisce le eccezioni
preliminari disattese dalla sentenza.
La Sezione ritiene che entrambe le censure preliminari, articolate dal comune appellante,
concernono questioni di massima, che rendono opportuno, per motivi diversi, l’intervento
dell’Adunanza Plenaria.
La prima questione riguarda la rilevanza dell’intervenuta esecuzione dell’opera pubblica, ai fini
della ammissibilità o della procedibilità del ricorso proposto contro l’aggiudicazione dell’appalto e
contro i connessi atti del procedimento.
Il Collegio ritiene preferibile la tesi secondo cui l'integrale esecuzione di un appalto oggetto di una
gara indetta da una pubblica amministrazione. non determina il venire meno dell'interesse a
ricorrere, in capo al partecipante non aggiudicatario, avverso gli atti della procedura; e ciò non solo
per la persistenza di un interesse morale all'accertamento della eventuale illegittimità degli stessi,
ma anche in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio diretto a ristorare il ricorrente dal
pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale (Cons. Stato, sez. VI, 20-12-1999, n.
2117).
Tuttavia, in altra occasione, si è affermato che è improcedibile, per sopravvenuta carenza
d'interesse, il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un contratto d'appalto di opere pubbliche
se, nelle more del giudizio, esse siano state interamente realizzate e non venga provata l'esistenza di
alcuno specifico interesse di carattere morale in ordine all'annullamento della impugnata
aggiudicazione (C. Stato, sez. IV, 11-12-1998, n. 1627).
Il Collegio ritiene opportuno che il contrasto di giurisprudenza sia risolto dall’Adunanza Plenaria,
anche per un'altra ragione, strettamente connessa alla questione, più generale, del rapporto
processuale tra l’azione di annullamento e la domanda di risarcimento del danno ("pregiudiziale
amministrativa"), già rimessa all’Adunanza Plenaria dal Consiglio della Giustizia Amministrativa
della Regione Siciliana.
Si tratta di stabilire, nel quadro delineato dal decreto legislativo n. 80/1998 e dall’articolo 7 della
legge n. 205/2000, se la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo,
che si assume lesivo dell’interessato costituisca, o meno, presupposto di ammissibilità della
domanda risarcitoria e se l’accertamento della illegittimità del provvedimento rappresenti un
elemento indispensabile dell’eventuale responsabilità dell’amministrazione.
La Sezione aderisce all’opinione secondo cui:
- la tempestiva azione di annullamento costituisce, di regola, requisito di ammissibilità della
domanda di risarcimento del danno;
- l’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato (ove occorra accompagnato dalla statuizione
di annullamento) resta un presupposto necessario (ancorché non sufficiente) per affermare la
responsabilità risarcitoria dell’amministrazione.
In questa prospettiva, ne dovrebbe conseguire che l’esecuzione integrale dell’appalto non rende
affatto improcedibile il ricorso proposto contro il provvedimento, perché la decisione sulla dedotta
illegittimità dell’atto contestato rappresenta il passaggio obbligato per affermare la responsabilità
dell’amministrazione.
Peraltro, si deve segnalare la presenza di un diverso indirizzo interpretativo, diffuso in settori della
dottrina e collegato ad alcune affermazioni racchiuse nella sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite
della Cassazione, secondo la quale l’azione risarcitoria, pur connessa alla contestazione
dell’esercizio di poteri amministrativi, resterebbe autonoma dalla domanda di annullamento,
basandosi su presupposti sostanziali di altro contenuto. Ne deriverebbe, fra l’altro, l’assenza di un
onere di immediata e tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo, qualora l’interessato
intenda avvalersi della sola tutela risarcitoria, senza chiedere anche l’annullamento dell’atto.
Ulteriore conseguenza, poi, riguarderebbe gli effetti processuali dell’esecuzione integrale
dell’appalto sul ricorso proposto per l’annullamento dell’aggiudicazione.
In tale eventualità, poiché potrebbe diventare impossibile (od eccessivamente oneroso, in relazione
ai principi dell’art. 2058 del cod. civ.) rimuovere gli effetti giuridici e materiali del provvedimento
illegittimo, il pregiudizio lamentato dall’interessato potrebbe essere riparato esclusivamente
mediante una diversa azione risarcitoria, con la conseguente improcedibilità del (solo) ricorso di
annullamento.
La rilevanza pratica della questione (e la sua complessità giuridica) rende opportuno l’intervento
chiarificatore dell’Adunanza Plenaria, anche allo scopo di assicurare l’applicazione di orientamenti
interpretativi omogenei.
La seconda questione riguarda l’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di
decadenza, l’immediata impugnazione del bando di gara o di concorso (o della lettera di invito ad
una procedura selettiva), senza attendere l’adozione di ulteriori atti applicativi (provvedimenti di
esclusione, di aggiudicazione, ecc.), che segnano la conclusione dell’iter o determinano, per la parte
interessata, il definitivo arresto procedimentale.
Per impostare correttamente il problema giuridico in esame è necessario svolgere una precisazione
di carattere processuale.
Il tribunale ha respinto l’eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis di gara,
in base a due argomenti, l’uno di carattere essenzialmente fattuale (attinente all’interpretazione del
bando), e l’altro di carattere giuridico (concernente la natura del bando di gara e della lettera di
invito, i loro contenuti e l’individuazione dell’interesse al ricorso):
"l’invocata clausola della lex specialis non può neppure definirsi immediatamente applicativa alla
gara de qua del principio di esclusione automatica, in quando, essendo tale operatività subordinata
alla presenza di un numero minimo di concorrenti, essa ben poteva – come sostiene la ricorrente –
reputarsi sospensivamente condizionata alla sussistenza di tale presupposto fattuale."
"le prescrizioni illegittime non attinenti all’ammissione dei singoli concorrenti manifestano la loro
valenza lesiva solo nel momento in cui esse operino negativamente per i partecipanti e non prima:
ciò avviene quando si verifica in concreto il pregiudizio e quindi con l’esclusione del concorrente
dall’aggiudicazione, che attualizza a quel momento l’interesse all’impugnativa. Fino al momento in
cui l’esclusione del soggetto non viene disposta, né emergono elementi che tale effetto rendono
certo non si verifica la lesione dell’interesse sostanziale della ditta ritualmente ammessa alla gara,
interesse da identificarsi nell’aspirazione all’aggiudicazione dell’appalto – e pertanto non può
considerarsi neppure nato l’interesse processuale ad agire in giudizio".
Il collegio non condivide il primo argomento sviluppato dalla sentenza impugnata, pur rimettendone
la definitiva soluzione all’Adunanza Plenaria.
In linea di fatto, la lettera di invito prevede, senza condizioni o limitazioni particolari, l’esclusione
automatica delle offerte anomale: "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una
percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai
valori di 7%."
Non vi è alcun richiamo alla normativa vigente e la formulazione letterale della clausola induce a
ritenere che essa riguardi tutte le evenienze, indipendentemente dall’effettivo numero delle offerte
ammesse alla gara.
L’affermata prevalenza della disciplina racchiusa nell’articolo 2 bis, comma 3, del decreto legge 2
marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989 n. 155, se ritenuta
corretta, comporterebbe non già l’integrazione o la correzione del bando di gara, ma, piuttosto, il
riconoscimento della sua illegittimità.
Infatti, nel caso di specie, non può trovare applicazione il principio, talvolta affermato dalla
giurisprudenza, in materia di norme autoesecutive, applicabili alle procedure di gara, anche in
mancanza di un esplicito richiamo nel bando.
Tale possibilità potrebbe ammettersi solo in casi particolari e tassativi. Tra questi si segnala l’ipotesi
in cui le norme di rango legislativo o regolamentare riguardano profili non contemplati, nemmeno
in modo indiretto, dal bando di gara (per esempio in materia di riserva di posti nei concorsi
pubblici).
Si potrebbe considerare, ancora, il caso in cui la norma prevalente sul bando in modo automatico sia
costruita con la struttura del divieto, imposto alle amministrazioni, di adottare determinati
comportamenti nel corso delle procedure selettive.
Nella presente vicenda, al contrario, la clausola del bando, disciplinando i criteri di determinazione
delle offerte anomale ed il procedimento di valutazione, non lascia aperte lacune colmabili dalla
disciplina legislativa, ma fa emergere, semmai, l’illegittimità dell’atto.
Resta aperto, tuttavia, l’ulteriore problema (meglio illustrato nei numeri seguenti), concernente le
conseguenze derivanti dalla prevalenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi adottati in
difformità da tale parametro normativo.
In relazione all’altro argomento sviluppato dal tribunale, si pone, invece una questione della
massima importanza, sulle quali si sono registrati orientamenti contrastanti.
Si tratta di stabilire l’esatta delimitazione dell’ambito oggettivo dell’onere di immediata
impugnazione del bando di gara (o di concorso).
Al riguardo, la tesi tradizionale, ripetutamente affermata dalla giurisprudenza del Consiglio (e
ribadita, comunque, anche da decisioni recentissime, fra cui si segnalano, sin d’ora, Cons. Stato, VI,
22 gennaio 2001, n. 192; VI, 18 dicembre 2001 n. 6260; V Sez. 27 giugno 2001, n. 3507), afferma
il principio secondo cui il bando di gara (e la lettera di invito) per l'aggiudicazione di un contratto
della pubblica amministrazione (così come il bando di concorso a posti di pubblico impiego) è
immediatamente impugnabile solo se contiene clausole impeditive dell'ammissione dell’interessato
alla selezione, e non anche con riferimento alle clausole che individuano i criteri che saranno
adottati per l'aggiudicazione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione
dell'offerta non costituiscono acquiescenza e non impediscono, quindi, la proposizione di un
eventuale gravame (C. Stato, sez. VI, 06-10-1999, n. 1326).
Infatti, secondo questa linea ermeneutica, l'interesse all'impugnazione degli atti relativi alla scelta
dell'aggiudicatario sorge soltanto all'esito della procedura di selezione, atteso che l'onere di
immediata impugnazione degli atti relativi alla fissazione della lex specialis di gara è ipotizzabile
solo quando il bando o la lettera di invito contengono prescrizioni dirette a precludere la stessa
partecipazione dell'interessato al procedimento concorsuale (C. Stato, sez. V, 29-01-1999, n. 90).
Peraltro, l'impugnazione del bando differita al momento dell'impugnazione del provvedimento di
esclusione è ritenuta comunque ammissibile quando la clausola del bando appaia ambigua e tale da
prestarsi a differenti interpretazioni da parte dell'amministrazione in sede di ammissione degli
aspiranti al concorso (C. Stato, sez. VI, 10-08-1999, n. 1020).
Inoltre, il differimento dell’impugnazione della clausola di esclusione viene affermato quando lo
stesso accertamento del requisito di partecipazione presenti, in fatto, qualche profilo di complessità
tecnica (Cons. Stato, V, 6 marzo 2002, n. 1342).
A fronte di questo indirizzo interpretativo, consolidato, e definito, per comodità espositiva,
"tradizionale", si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e contraddittorio:
da una parte si collocano le tesi dirette a ridurre (o addirittura eliminare) l’onere di immediata
impugnazione del bando;
dall’altra parte si situano le opinioni giurisprudenziali che sostengono l’ampliamento dei casi di
immediata impugnabilità delle clausole della lex specialis di gara.
Si è prospettato, intanto, un indirizzo volto a spostare in avanti il termine per l’impugnazione degli
atti applicativi delle clausole del bando, pure nelle eventualità in cui esse siano assolutamente
vincolanti ed a contenuto univoco, e riguardino gli stessi requisiti di partecipazione alla procedura
selettiva (Cons Stato, IV, ord. 10 aprile 1998, n. 582).
Non solo, ma un indirizzo affermato da alcuni giudici di primo grado sostiene che in ipotesi di
ricorsi proposti contro i provvedimenti intervenuti nel corso della procedura concorsuale (di
esclusione o di aggiudicazione) esecutivi delle prescrizioni contenute nella lex specialis di gara, non
è più necessaria la preventiva o la contestuale impugnazione del bando: questo, se illegittimo, va
disapplicato dal giudice amministrativo (TAR Lombardia, III Sez., 5 maggio 1998, n. 922; 2 aprile
1997, n. 354).
La tesi indicata per ultima, tuttavia, non pare condivisibile: il potere di disapplicazione del giudice
amministrativo va circoscritto solo agli atti amministrativi a contenuto propriamente normativo;
pertanto esso non può operare in relazione al bando di gara, che è riconducibile a manifestazione di
volontà provvedimentale e non ad atto regolamentare (C. Stato, sez. IV, 27-08-1998, n. 568).
Peraltro, l’Adunanza Plenaria deve valutare anche la questione prospettata da alcuni giudici di
primo grado (fra questi Tar Lombardia, III Sez. 8 agosto 2000, n. 234), secondo cui il bando deve
essere disapplicato almeno nelle ipotesi in cui l’illegittimità riscontrata derivi dal contrasto con la
normativa comunitaria.
Il punto presenta una diretta rilevanza nella presente fattispecie, in quanto il ricorrente di primo
grado ha prospettato anche il contrasto del bando con le prescrizioni del diritto comunitario
riguardanti il giusto procedimento nella valutazione, in contraddittorio con l’impresa, dell’anomalia
dell’offerta.
La tesi interpretativa che ritiene doverosa la disapplicazione in questo caso sostiene che l’invalidità
del provvedimento in contrasto con il diritto comunitario rientra nella categoria della nullità.
Ad analoga conclusione si perviene affermando che la prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno, anche di rango legislativo, comporta, a maggiore ragione, la diretta ed immediata
operatività della normativa comunitaria, che sostituisce le difformi prescrizioni del bando.
L’opposta soluzione interpretativa sostiene invece che la prevalenza del diritto comunitario sul
diritto interno e la sua vincolatività per le amministrazioni e per il giudice attiene alla
individuazione del parametro normativo di valutazione del provvedimento amministrativo, fermo
restando che tale apprezzamento va compiuto secondo la consueta categoria della illegittimità,
definita dal diritto interno.
Questa impostazione è ora seguita dal disegno di legge recante modifiche e integrazioni della legge
7 agosto 1990 n. 241, approvato dal Consiglio dei ministri il 7 marzo 2002, il quale, all’articolo 13sexies, stabilisce che è annullabile il provvedimento "viziato da violazione di leggi o regolamenti, di
disposizioni di fonte comunitaria".
Resta però da verificare se i principi comunitari in materia di garanzia della tutela giurisdizionale
non rappresentino un utile criterio interpretativo per ridurre l’area delle ipotesi in cui il bando è
soggetto ad immediata impugnazione in un breve termine decadenziale.
Meritevole di maggiore attenzione è l’altro orientamento, in forza del quale l’impugnazione del
bando è sempre necessaria, ma può essere generalmente differita all’atto di proposizione del ricorso
contro l’atto applicativo.
Secondo tale indirizzo:
il bando è un atto generale che, non rivolgendosi a destinatari determinati, non comporta, di per sé
solo, alcuna immediata lesione, la quale si concretizza e attualizza solo con l’emanazione degli
specifici provvedimenti di esclusione;
non può escludersi la possibilità per l’amministrazione di non dare applicazione a clausole del
bando illegittime, o di dare alle clausole del bando un’interpretazione conforme alla legge;
l’impugnazione del bando, anche in relazione alle clausole che fissano requisiti di partecipazione, è
mera facoltà dell’interessato e non già un onere imposto a pena di decadenza.
Peraltro, l’Adunanza Plenaria, con ordinanza 4 dicembre 1998, n. 1, ha ribadito l’orientamento più
tradizionale e consolidato, in forza del quale il bando di un pubblico concorso contenente clausole
direttamente lesive dell'interesse dei candidati, che fissano i requisiti di partecipazione alla
procedura selettiva, deve essere autonomamente ed immediatamente impugnato.
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria esclude, quindi, che il termine per l’impugnazione del bando
possa essere posticipato al momento in cui viene adottato il provvedimento applicativo. La
decisione non prende posizione, invece, sul problema della individuazione degli ulteriori casi in cui
l’interessato ha l’onere di impugnare immediatamente il bando.
Secondo alcuni più recenti indirizzi della giurisprudenza, volti ad ampliare i casi di immediata
impugnabilità della lex specialis di gara (o di concorso), occorre considerare la natura giuridica del
bando e la sua funzione, tenendo conto dei seguenti aspetti:
mediante l’adozione del bando, l’amministrazione consuma il proprio potere discrezionale e la
successiva attività procedimentale è vincolata all’attuazione delle prescrizioni inderogabili fissate
dalla lex specialis di gara;
la lesione provocata dal bando di gara alla posizione di interesse dei partecipanti è immediata,
perché attiene, direttamente, alla loro stessa condizione di concorrenti alla selezione;
l’interesse differenziato, che giustifica il ricorso, riguarda la pretesa autonoma alla legittimità delle
regole e delle operazioni di gara, ritenuta distinta dall’aspettativa di aggiudicazione del contratto.
Sulla base di queste premesse, si è affermato, a partire dalla decisione della Sez. IV, 11 febbraio
1998, n. 261, il principio secondo cui "in materia di procedure di aggiudicazione di servizi pubblici,
i criteri da osservare ai fini della scelta del contraente, una volta inseriti nel bando di gara,
vincolano l'amministrazione, che non può esimersi dal rispettarli, dovendo garantire la par condicio
di tutti i concorrenti; ne consegue che le eventuali censure non possono essere mosse, attendendo
che la gara sia conclusa sfavorevolmente, a carico dei provvedimenti che ne fanno puntuale
applicazione, ma unicamente nei confronti dell'atto (bando di gara) immediatamente lesivo, in cui la
regola è contenuta, e nel termine decadenziale".
Il nuovo filone interpretativo sostiene che resta fermo il tradizionale principio di carattere generale
in forza del quale il bando di gara non è immediatamente lesivo e, quindi, non è impugnabile se non
unitamente ai provvedimenti, concreti, che ne fanno applicazione. Tuttavia, secondo gli indirizzi in
esame, tale regola soffre di alcune eccezioni, di portata assai ampia ed in costante espansione.
La prima, conforme ad una consolidata linea ermeneutica, riguarda l’ipotesi delle clausole del
bando che impediscono la partecipazione alla gara, fissando particolari requisiti soggettivi dei
concorrenti; in tale eventualità sussiste l’onere della parte interessata di impugnare tempestivamente
l’atto.
Detta tesi assume, peraltro, una particolare connotazione di novità, nella parte in cui prende le
distanze dall’opposto indirizzo (illustrato in precedenza), che ritiene insussistente l’onere di
immediata impugnazione delle clausole del bando, anche se esse riguardano i requisiti di
partecipazione alla selezione.
La seconda eccezione, enucleata dalla giurisprudenza più recente della Sezione, riguarda le ipotesi
di clausole che, fissando i criteri di aggiudicazione dell’appalto, influiscono in modo diretto sulla
stessa determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della proposta economica o tecnica
racchiusa nell’offerta.
Detto indirizzo si è riferito, in particolare, all’onere di immediata impugnazione di calusole
asseritamente irragionevoli, tali da non consentire la formulazione dell’offerta, dal momento che le
prescrizioni ivi previste rendono effettivamente impossibile quel calcolo di convenienza tecnica ed
economica che ogni impresa deve essere in condizione di potere effettuare all’atto in cui valuta se
partecipare o no ad una gara pubblica. In detta categoria rientrano tutte le prescrizioni che,
producendo effetti distorsivi della concorrenza, incidono sulla sfera giuridica del soggetto
economico che partecipa alla gara in un momento precedente quello della mancata aggiudicazione
ed indipendentemente da questa.
Pertanto, l'impresa che ritenga illogica una clausola del bando deve impugnarla prima della
presentazione dell'offerta e non all'esito della gara, ponendosi essa come obiettivo ostacolo alla
formulazione di quest'ultima sulla base di elementi prevedibili, e non assolutamente aleatori: nella
specie, in un concorso di progettazione di opera pubblica si prevedeva il maggior punteggio al
progetto il cui costo si fosse avvicinato di più alla media aritmetica dell'insieme di tutti i progetti
presentati (C. Stato, sez. V, 11-01-1999, n. 1757/98).
In tale ordine di idee si inscrive anche la decisione 23 maggio 2000, n. 2990, secondo la quale deve
essere immediatamente impugnato il bando, nella parte in cui fissa i criteri di determinazione della
soglia di anomalia delle offerte anomale (nella specie: clausola concernente il calcolo della soglia di
anomalia dell’offerta previa considerazione, per la determinazione dello scarto aritmetico, di tutte le
offerte superiori alla media, comprese quelle escluse per la determinazione della media stessa).
Secondo tale orientamento, nei pubblici appalti, la lesività delle norme del bando relative ai criteri
di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento della gara non si manifesta per la prima volta con
l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale sono assunte come regole con le quali
l'amministrazione autolimita la propria libertà di apprezzamento, con conseguente onere di
tempestiva impugnazione in capo alle imprese partecipanti (C. Stato, sez. V, 22-03-1999, n. 302).
Nello stesso ambito si inserisce l’affermazione secondo cui le prescrizioni del bando di gara che
incidono direttamente sulle posizioni dei concorrenti alla gara di appalto sono immediatamente ed
autonomamente lesive per cui devono essere impugnate nei termini di rito, decorrenti dal momento
della loro conoscenza, senza attendere il conseguente atto di esclusione: nella specie, è stata ritenuta
immediatamente lesiva la clausola del bando che prescriveva l'esclusione automatica delle offerte
anomale (C. Stato, sez. IV, 05-07-1999, n. 1158).
Si tratta, quindi, di fattispecie analoghe a quella oggetto del presente giudizio, nel quale è contestata
la prescrizione del bando relativa alla esclusione automatica delle offerte anomale,
indipendentemente dal numero delle offerte valide.
Peraltro, all’interno della stessa Quinta Sezione, si manifestano indirizzi di segno contrario:
l’interesse ad impugnare le clausole del bando contenenti i criteri di valutazione delle prove è sorto
solo in seguito all’esito negativo della procedura selettiva e pertanto non può configurarsi alcun
onere di proporre immediatamente ricorso. E’ infatti evidente che i criteri, così come astrattamente
posti dal bando, non sono suscettibili di ledere l’interesse dei concorrenti in modo certo ed
immediato: la lesione diverrà concreta solo alla fine delle prove (V Sez. n. 2230/2000).
Una terza ipotesi, individuata dalla giurisprudenza, riguarda le prescrizioni del bando che
impongono determinati oneri formali dell’offerta, a pena di esclusione, alle imprese partecipanti: in
un appalto pubblico, si deve intendere immediatamente lesiva e, quindi, autonomamente
impugnabile quella clausola del bando di gara o della lettera d'invito che prescriva, a pena
d'esclusione, l'esibizione di un documento o di un attestato (nella specie, il certificato dei carichi
pendenti) che la stazione appaltante potrebbe acquisire d'ufficio, posto che, in tal caso, l'inutile
aggravio del procedimento amministrativo consiste non già nella mera presentazione di detto
certificato - il cui reperimento potrebbe anche non essere di per sé gravoso - bensì nella gratuita
costrizione dell'impresa a rendere di pubblico dominio vicende private che essa potrebbe voler non
divulgare e nella circostanza che, ove queste ultime vengano rese note, potrebbero esporla ad un
giudizio d'inaffidabilità fondato su vicende penali in cui essa potrebbe essere stata incolpevolmente
coinvolta (C. Stato, sez. V, 11-05-1998, n. 225).
Lo stesso orientamento si è poi affermato, talvolta, in relazione alle clausole riguardanti le modalità
di presentazione dell’offerta (Sez. V, 4 aprile 2002, n. 1857).
La decisione si è motivatamente discostata dall’indirizzo secondo cui che le prescrizioni del bando
riferite non già ai requisiti di ammissione ma alle modalità di presentazione delle offerte non
devono essere impugnate immediatamente, ma solo congiuntamente all’atto applicativo adottato
dall’amministrazione. In tal senso, si è affermato che la clausola della lettera d'invito circa il luogo e
il termine massimo di presentazione delle domande di partecipazione ad una gara per
l'aggiudicazione di un contratto attiene a formalità che in via di principio non incidono direttamente
e immediatamente sulla sfera giuridica dei concorrenti; pertanto, tale clausola è impugnabile solo
unitamente al provvedimento di esclusione dalla gara, in quanto solo in quel momento la lesione
diviene concreta ed effettiva (C. Stato, sez. IV, 20-10-1998, n. 888).
In tali eventualità, si manifesta una maggiore vicinanza con l’indirizzo tradizionale, in quanto le
clausole oggetto di immediata impugnazione riguardano i requisiti di partecipazione delle imprese
concorrenti, considerati, però, non già nella loro dimensione strettamente soggettiva, ma nel profilo
oggettivo, riguardante le modalità di presentazione della domanda di ammissione.
Una quarta ipotesi (delineata dalla pronuncia della Quinta Sezione n. 2884/2000) concerne le
clausole del bando relative al "modus operandi" fissato per il funzionamento della commissione
giudicatrice. In particolare, la pronuncia afferma l’onere di immediata impugnazione della clausola
del bando che individua le operazioni da svolgere, rispettivamente, in seduta pubblica od in riunione
segreta. In tali casi, secondo questa giurisprudenza, la lesione della posizione di interesse
dell’impresa è immediata, afferendo alla stessa condizione di partecipazione alla gara, ed alla libertà
di scelta in ordine alle determinazioni negoziali assunte dal soggetto economico nell’ambito del
procedimento di individuazione del contraente privato.
Analogamente, si è affermato l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando
concernenti il funzionamento della commissione giudicatrice di un appalto-concorso comunale con
la presenza della maggioranza e non del plenum dei componenti (Sez. V, 22 marzo 1999, n. 302).
Nello stesso ordine di idee si colloca la pronuncia della Quinta Sezione, 11 luglio 2001, n. 3852,
secondo la quale anche gli atti intermedi della procedura, correlati alle modalità operative della
commissione, ancorché non riferiti al bando di gara, vanno tempestivamente contestati, senza
attendere l’esito della procedura.
In particolare, secondo la pronuncia citata, la delibera di nomina della commissione giudicatrice
deve essere immediatamente impugnata, "quanto meno dal momento del ricevimento della lettera di
invito" (se la lex specialis di gara è pubblicata dopo la nomina del collegio), o comunque dal
momento delle prime determinazioni procedimentali assunte dalla commissione.
Non si deve trascurare, in analogo ordine di idee, l’affermazione di un indirizzo interpretativo
diretto ad individuare nell’aggiudicazione provvisoria (e non nell’aggiudicazione definitiva) l’atto
lesivo dell’interesse del concorrente: è immediatamente impugnabile l’atto di aggiudicazione
provvisoria di una gara d’appalto, atteso che se è indubbio che il soggetto dichiarato
provvisoriamente aggiudicatario di un appalto non può vantare alcuna posizione giuridicamente
tutelata al provvedimento di aggiudicazione definitiva (trattandosi di una mera aspettativa), diversa
è la posizione degli altri concorrenti, nei confronti dei quali la proposta di aggiudicazione
provvisoria preclude qualsiasi ulteriore partecipazione alla gara e determina quindi un effetto
autonomo, definitivo ed immediatamente lesivo che ne legittima l’impugnazione (Cons. Stato, IV
Sez. 27 dicembre 2001, n. 6420).
Detto orientamento, pur discostandosi dall’interpretazione più risalente, sembra, allo stato,
individuare la facoltà (e non l’onere) dell’interessato di impugnare l’aggiudicazione provvisoria.
Secondo la decisione della Sezione, 24 dicembre 2001, n. 6386, poi, l’effetto lesivo direttamente
emergente dai criteri di valutazione delle offerte stabiliti nel bando di gara ha carattere di
immediatezza e deve essere fatto valere nel termine di decadenza con l’impugnazione diretta del
bando stesso.
Analoga posizione è espressa da una parte della giurisprudenza dei TAR (TAR Lombardia Sezione di Brescia - Sentenza 3 aprile 2001 n. 153), secondo cui le previsioni di un bando di gara,
riguardanti i criteri per l'attribuzione dei punteggi per la scelta della società aggiudicataria, sono
lesive in via immediata ed autonoma e, come tali, immediatamente impugnabili nel termine
decadenziale di legge (nella specie, licitazione privata ex D.L.gs 157/95 cosi come modificato dal
D.L. 65/00, per l'affidamento del servizio di Tesoreria del Comune, per la quale, pur essendo stato
scelto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, si attribuisce al parametro economico
dell'offerta, un coefficiente numerico pari al 30 % della valutazione complessiva a fronte del 70 %
attribuito agli aspetti tecnico-qualitativi).
In relazione a tale particolare profilo, tuttavia, si è manifestato anche un indirizzo di segno opposto,
in forza del quale, l'interesse ad impugnare le clausole del bando di concorso contenenti i criteri di
valutazione delle prove sorge solo in seguito all'esito negativo della procedura selettiva, per cui non
è configurabile alcun onere di proporre immediatamente ricorso (C. Stato, sez. V, 14-04-2000, n.
223).
Altra decisione ancora, pur non affermando l’esistenza di un onere di immediata impugnazione,
afferma che "l’interesse dell’impresa a veder limitato il numero delle ditte che possono partecipare
alla gara per l’aggiudicazione di un appalto ha carattere strumentale ed è di per sé idoneo e
sufficiente a legittimare l’immediata impugnativa delle clausole del bando ritenute lesive di tale
interesse" (C.G.A.R.S., 3 dicembre 2001, n. 627).
I nuovi indirizzi interpretativi diretti, in varia misura, ad ampliare l’onere di immediata
impugnazione delle clausole di bando non risultano ancora consolidati, prospettandosi oscillazioni
tra pronunce fedeli all’orientamento "tradizionale", decisioni che sembrano generalizzare l’onere di
immediata impugnazione e sentenze che fissano criteri selettivi più elaborati, idonei a circoscrivere
notevolmente la portata dell’orientamento.
Le tesi innovative, che hanno formato oggetto di articolate critiche da parte di importanti settori
della dottrina, almeno con riferimento ad alcune delle ipotesi indicate, intende valorizzare
l’esigenza di una rapida inoppugnabilità di determinate regole speciali della gara, in certo senso
"accettate" dai partecipanti al procedimento.
Al tempo stesso, tale indirizzo pone in luce la sostanziale autonomia dell’interesse dell’impresa alla
preventiva definizione dei parametri di valutazione delle offerte (nella parte in cui esse risultano
direttamente incidenti sull’espressione del loro contenuto) e delle modalità (estrinseche), o
meramente procedimentali, di svolgimento della gara.
In questo senso, la decisione n. 2990/2000 prospetta, fra l’altro, "l’esigenza di certezza dei rapporti
giuridici, cui si ricollega il regime di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, che sarebbe
ingiustificatamente elusa se fosse consentito alle imprese di partecipare alla gara rimanendo inerti di
fronte a prescrizioni inidonee a garantire il corretto operare delle regole di concorrenza, per poi
impugnare il bando, al quale hanno prestato adesione in modo univoco e concludente, una volta
conosciuto l’esito sfavorevole del procedimento".
Lo specifico rilievo dell’interesse al ricorso è poi sottolineato da quelle pronunce secondo cui,
l’interesse al quale l’ordinamento garantisce la tutela giudiziaria non è quello di ottenere,
comunque, un risultato vantaggioso a conclusione del procedimento di gara, ma solo quello a che la
scelta del contraente sia effettuata nel rispetto delle norme che impongono all’amministrazione
comportamenti obbligati nel disciplinare, a mezzo del bando, il relativo procedimento" (Sez. V, 22
marzo 1999, n. 302).
Si afferma, al riguardo, che, "in linea teorica, in casi come quello esaminato non può escludersi
l’esistenza di un interesse attuale a ricorrere, identificabile nell’interesse personale del ricorrente a
partecipare ad una gara le cui regole siano legittime, costituendo la legittimità della procedura
condizione di trasparenza e garanzia di certezza del corretto svolgimento delle operazioni. Si tratta
di un interesse che si collega alle scelte dell’impresa,garantita dall’art. 41 Cost., e che si sostanzia
nell’utilità che discende dalla salvaguardia della libertà negoziale, in breve, nell’interesse a non
vedersi coinvolta nella partecipazione a procedure di gara governate da regole illegittime"; "la
censura…è stata fin da principio rivolta alla tutela di un valore meramente procedimentale,
connesso alle forme di pubblicità della procedura" (Sez. V, 17 maggio 2000, n. 2884).
La dottrina evidenzia come tale atteggiamento interpretativo è, in qualche misura, ispirato
dall’esigenza di reagire ad una eccessiva proliferazione dei ricorsi, stigmatizzando le condotte
"poco leali" di determinati concorrenti, i quali partecipano alla gara, con una sorta di "riserva
mentale", sciolta soltanto nel caso di esito sfavorevole del procedimento.
L’autonomia dell’interesse sembra manifestarsi, in particolare, tutte le volte in cui le prescrizioni
del bando fissano regole che segnano un’incidenza, diretta od indiretta (ma sempre determinante)
sulle condotte delle imprese concorrenti, già rilevanti all’interno dello svolgimento della gara.
La rilevanza diretta si manifesta in relazione a quelle prescrizioni che impongono ai partecipanti
determinati oneri formali, prescritti a pena di esclusione e contestuali all’offerta, quali la produzione
di documenti o la redazione dell’offerta secondo specifiche modalità estrinseche.
Il risalto indiretto, ma pure decisivo (e comportante l’onere di immediata impugnazione della lex
specialis di gara), potrebbe riguardare, invece le clausole del bando che, stabilendo, in modo
puntuale e vincolante, determinati criteri di valutazione dell’offerta, ne condizionano la stessa
composizione interna.
Tuttavia, l’atteggiamento della dottrina nei riguardi di questo percorso motivazionale è
tendenzialmente molto critico, rilevandosi che, in tal modo, si elevano al rango di interessi protetti i
cosiddetti interessi procedimentali, quelle situazioni, cioè, aventi ad oggetto non beni della vita ma
atti del procedimento, frammentando l’unitario interesse protetto del partecipante in un fascio di
situazioni soggettive a "protezione anticipata".
Si è anche prospettato il rischio che l’anticipata protezione della posizione giuridica dei concorrenti
colleghi l’interesse al ricorso ad una lesione potenziale, anziché effettiva della posizione giuridica
tutelata.
Si afferma, al riguardo, che oggetto dell’interesse protetto non è la legittimità del comportamento
dell’amministrazione (che sostituisce, semmai, il limite della protezione) ma invece l’assetto di
interessi che il provvedimento amministrativo realizza. L’interesse protetto è leso non dall’astratto
contenuto programmatico del bando – salvo che non determini un arresto procedimentale – ma dal
concreto regolamento di interessi del provvedimento finale, vale a dire dall’aggiudicazione.
In secondo luogo, si osserva che se il procedimento di evidenza pubblica è in funzione della legalità
e del buon andamento della scelta del contraente privato, non è dato comprendere come i
partecipanti alla gara possano avere un interesse protetto alla regolarità del procedimento autonomo
da quello all’aggiudicazione, piuttosto che un interesse all’aggiudicazione protetto dall’ordinamento
nei limiti della legittimità del procedimento di gara.
Né assumerebbe rilievo la struttura vincolata o discrezionale della clausola: la lesione dell’interesse
protetto non si determina che con l’aggiudicazione e ciò non solo per ragioni di imputazione
formale degli effetti, ma perché, per vincolata che sia la clausola, ne è possibile la disapplicazione o
la diversa interpretazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o l’inapplicabilità per
situazioni sopravvenute determinate dal fatto di terzi.
La giurisprudenza richiamata in precedenza, favorevole ad un ampliamento (più o meno esteso)
dell’onere di impugnativa del bando di tali ipotesi, non afferma sempre la generalizzata
anticipazione, ma individua diversi parametri interpretativi, volti a delimitare (cumulativamente od
alternativamente) l’operatività dell’onere.
In particolare, l’onere di immediata impugnazione del bando è talvolta subordinato ad un’accurata
analisi della singola fattispecie, che metta in luce, fra l’altro, i seguenti aspetti:
il contenuto della clausola del bando sospetta di illegittimità;
il tipo di vizio dedotto dalla parte ricorrente;
l’interesse concretamente manifestato dall’impresa;
l’attitudine della partecipazione alla procedura selettiva a manifestare univocamente l’acquiescenza
alle regole della gara;
l’influenza della regola fissata dal bando sui comportamenti dei concorrenti e sulla condotta della
stazione appaltante;
l’incidenza della clausola sullo svolgimento concreto della gara e sui suoi esiti.
La ricerca di adeguati criteri selettivi, pur nell’ottica di un marcato ampliamento delle ipotesi di
immediata impugnabilità del bando, deriva anche da un’altra considerazione, puntualmente
sottolineata dalla dottrina. Sostenere che tutte le clausole del bando regolanti le modalità
procedurali della gara devono essere immediatamente impugnate, perché lesive di un interesse
generale alla legittimità dell’azione amministrativa, significherebbe minare la concezione del
processo amministrativo come giurisdizione di tipo subiettivo (per la protezione di posizioni
sostanziali autonome e differenziate), in favore di una tutela oggettiva dell’interesse pubblico alla
legittimità dell’atto amministrativo.
La stessa preoccupazione di ordine sistematico, che conduce ad una articolata nuova proposizione
dell’indirizzo tradizionale, è compiutamente sviluppata da una recentissima decisione della VI
Sezione (22 gennaio 2001, n. 192/2001), secondo la quale "il ricorso amministrativo non è rimedio
dato nell’esclusivo interesse oggettivo della giustizia, ma principalmente per tutelare posizioni dei
singoli, i quali non sono tenuti a denunciare l’illegittimità degli atti, della quale, pure, abbiano
conoscenza, se non nei limiti e nel momento in cui tale illegittimità si traduca concretamente in una
lesione ai propri interessi".
Detta pronuncia, in particolare, ha ritenuto che non vi è onere di immediata impugnazione della
clausola del bando che prescrive l’inclusione in un’unica busta dell’offerta tecnica e di quella
economica.
La decisione confuta la tesi secondo cui l’onere di immediata impugnazione deriverebbe anche da
un "obbligo di leale cooperazione" del privato. Tale dovere non opera nei casi in cui il
procedimento sia "condotto unilateralmente dall’amministrazione", essendo, "per contro, onere
esclusivo di quest’ultima adoperarsi perché la propria attività si svolga in conformità alla legge".
Secondo tale pronuncia, poi, l’onere di immediata impugnazione non svolgerebbe alcuna utile
funzione deflattiva del contenzioso: al contrario "si determinerebbe il proliferare di giudizi
preventivi, instaurati tuzioristicamente dai partecipanti ad una gara, non solo con il sovvertimento
dei principi in tema di concretezza e attualità della titolarità dell’interesse all’azione, ma anche con
grave intralcio all’ordinato svolgimento dell’attività amministrativa".
Analoga posizione critica nei confronti dei nuovi indirizzi, e in sostanza più vicina alla tesi
tradizionale, è espressa dalla decisione del Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 3 dicembre 2001, n. 635,
secondo la quale il bando di gara d’appalto di lavori e la lettera di invito devono essere
necessariamente impugnati immediatamente solo qualora il concorrente subisca, per effetto della
calusola ritenuta illegittima, un pregiudizio diretto ed attuale, come nella ipotesi in cui vengano
introdotti nella procedura limiti e vincoli tali da precludere al concorrente, di per sé, ed ex ante, la
possibilità di partecipare o di aggiudicarsi la gara (ad esempio, quando si prescrivono requisiti di
ammissione), mentre quando non si verifichi questo pregiudizio immediato la singola clausola
ritenuta illegittima va impugnata unitamente al provvedimento che, in attuazione della stessa,
determini un pregiudizio attuale e diretto: nella specie non è stata considerata immediatamente
lesiva la clausola che imponeva ai concorrenti che avessero voluto, in caso si aggiudicazione,
associarsi in ATI, di specificare tale volontà nella delega).
Ciò posto, è necessario analizzare le diverse ipotesi concrete in cui la giurisprudenza più recente ha
affermato l’onere di immediata impugnazione del bando di gara. I casi riguardano aspetti particolari
della procedura selettiva, idonei ad evidenziare una peculiare rilevanza immediata dell’interesse al
ricorso e della correlata lesione della posizione giuridica tutelata.
Si consideri, in primo luogo, il caso di vizi del bando di gara incidenti sulla stessa possibilità di
formulare una adeguata offerta. In tali eventualità, l’onere di immediata impugnazione mira ad
evitare che il concorrente, solo perché non aggiudicatario, possa rimettere in discussione l’intero
procedimento contrattuale, al quale ha pure partecipato senza esprimere riserve.
Il pregiudizio lamentato, attenendo alla libertà di autodeterminazione negoziale, si palesa,
immediatamente, già al momento della formulazione dell’offerta economica. La mancata
aggiudicazione del contratto determina solo l’aggravamento e la definitiva cristallizzazione della
lesione, ma non comporta l’autonoma insorgenza dell’interesse al gravame.
Ma anche nell’ipotesi in cui il bando evidenzi illegittimità di carattere formale o procedimentale,
attinenti alla composizione del seggio di gara, oppure alla disciplina della sua attività (in seduta
pubblica o segreta), si afferma che l’interesse all’impugnativa si manifesta immediatamente, perché
il ricorso mira a denunciare dei vizi estrinseci del procedimento. In questa prospettiva, il gravame
non è condizionato, in modo apprezzabile, dal concreto svolgimento dell’iter, o dalla sua
conclusione. In tale eventualità, semmai, il concorrente intende proteggere l’interesse alla
trasparente dialettica con il seggio di gara: la posizione differenziata e strumentale al corretto
svolgimento della selezione si connette strettamente alla libertà negoziale ed alla tutela del
fisiologico confronto concorrenziale con le altre imprese.
Ammettendosi l’impugnazione del bando differita e contestuale alla proposizione del ricorso contro
l’aggiudicazione, si permetterebbe a tutti i concorrenti, diversi dall’aggiudicatario, di vanificare in
radice l’attività compiuta.
In questo ambito concettuale si situano alcune pronunce cautelari (V, 20 settembre 2000 e 12
dicembre 2000, n. 6356), che hanno affermato l’onere di immediata impugnazione delle clausole
del bando riguardanti la fissazione della durata delle prove concorsuali: in detta eventualità appare
evidente il carattere meramente strumentale dell’interesse fatto valere, del tutto insensibile alle
vicende conclusive del procedimento.
In tali casi, si afferma che manca la possibilità di una lesione rinnovata al momento della chiusura
del procedimento ad evidenza pubblica. Infatti, la clausola riguardante le modalità formali di
svolgimento della gara, se non fosse immediatamente lesiva, non lo sarebbe nemmeno in un
momento successivo. Poiché la prescrizione del bando ha per oggetto la protezione di un mero
interesse procedimentale, non sarebbe neppure configurabile una posizione di interesse legittimo
tutelabile.
Pertanto, la giurisprudenza della Quinta Sezione, pur condividendo, in astratto, l’assunto
dell’ampliamento dei casi di immediata impugnazione del bando di gara, ha spesso escluso, in
concreto, la sussistenza dell’onere, quando la clausola del bando non incide in modo diretto e
definito sull’interesse strumentale del concorrente.
In quest’ordine di idee la Sezione (decisione 15 giugno 2001, n. 3187) ha escluso la sussistenza
dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara per l’affidamento di un incarico di
progettazione, il quale prevedeva lo svolgimento di due distinte fasi selettive, attribuendo un
punteggio ad elementi considerati anche quali requisiti di ammissione alla gara. Secondo detta
decisione non vi è onere di immediata impugnazione, in quanto:
- la dedotta illegittimità del bando non tocca la composizione dell’offerta, nei suoi aspetti economici
e tecnici;
- i vizi prospettati non riguardano nemmeno i profili meramente formali ed estrinseci dello sviluppo
procedimentale della selezione contrattuale;
- nella vicenda in giudizio, le censure proposte dall’interessato riguardano i contenuti sostanziali
della procedura svolta, in relazione alle sue concrete applicazioni.
In altri termini, la pronuncia afferma che l’onere di immediata impugnazione del bando, per quanto
dilatato, non può estendersi alle ipotesi in cui l’impugnazione assume ad oggetto una clausola
idonea ad incidere sulla concreta valutazione delle offerte e dei requisiti soggettivi dei concorrenti,
collegata, dunque, ad una successiva manifestazione di volontà discrezionale (la quale attribuisce
rilevanza anche ai vari profili strettamente tecnici, insiti nell’apprezzamento specialistico riservato
alla "giuria"), compiutamente espressa solo in sede di attuazione della clausola.
Allo stato, quindi, emergono, in giurisprudenza, diverse posizioni interpretative, sintetizzabili nel
seguente modo:
a) tesi tradizionale: l’impugnazione immediata del bando è circoscritta alle sole clausole riguardanti
i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva;
b) tesi della lesione necessariamente rinviata alla conclusione della procedura selettiva: il bando è
impugnabile insieme all’atto concretamente lesivo (esclusione; aggiudicazione in favore di un altro
concorrente);
c) tesi della disapplicazione del bando contrastante con norme inderogabili, quanto meno nelle
ipotesi in cui esse sono di derivazione comunitaria;
d) tesi della necessaria impugnazione immediata di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti
sulla definizione della lex specialis di gara;
e) tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole clausole vincolanti per l’amministrazione o per
i concorrenti;
f) tesi che amplia l’onere dell’immediata impugnazione alle sole clausole che definiscono gli oneri
formali ed oggettivi di partecipazione (quali le modalità di presentazione dell’offerta);
g) tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole prescrizioni del bando che condizionano,
anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica (fra cui quelle riguardanti il metodo di
gara e la valutazione dell’anomalia);
h) tesi che impone l’onere di immediata impugnazione delle clausole riguardanti la composizione, il
funzionamento del seggio di gara, in quanto incidenti sull’autonomo interesse del concorrente.
La Sezione ritiene che la soluzione tradizionale (indicata alla lettera A) ha il pregio di offrire,
tuttora, un criterio certo, uniforme e, normalmente di facile applicazione, utile ad individuare i casi
in cui le parti interessate hanno l’onere di immediata impugnazione del bando di gara.
Detta conclusione appare, poi, in maggiore sintonia con i principi che governano il processo
amministrativo e definiscono il requisito dell’interesse al ricorso.
Peraltro, la Sezione è dell’avviso che gli stessi principi generali possano imporre un parziale
ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare (ed esclusivo) riguardo alle
clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara.
Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto
procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità
di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla
domanda di partecipazione alla procedura selettiva.
Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta
all’atto applicativo, ferma restando la facoltà (e non l’onere di proporre ricorso immediato contro il
bando di gara).
In definitiva, quindi, costituiscono questioni di massima importanza, e se ne rimette l’esame
all’Adunanza Plenaria, quelle se:
l’intervenuta esecuzione integrale dell’appalto rende inammissibile od improcedibile il ricorso per
l’annullamento dell’aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la procedibilità dell’azione
risarcitoria;
le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i
requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, debbano essere impugnate entro il termine
decorrente dalla loro conoscenza legale o se possano essere impugnate contestualmente all’atto
applicativo, che conclude, per l’interessato, la procedura selettiva;
le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate dal
giudice in caso di contrasto con il diritto comunitario.
Le statuizioni sulle spese sono riservate alla decisione definitiva.
Per Questi Motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rimette all’Adunanza Plenaria la
decisione dell’appello;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
(omissis)
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