Suggerimenti e criteri per l’elaborazione delle testimonianze
in vista dell’Assemblea ecclesiale del 10 aprile 2005
1. Che cos’è una testimonianza?
Testimonianza è un termine su cui è necessario far molta chiarezza. La testimonianza infatti è la
categoria decisiva dell’esperienza di ogni uomo perché descrive la modalità di rapporto di ognuno
di noi con la realtà. Quando conosco una realtà (ad esempio una cosa, un tramonto, una persona) di
fatto testimonio, cioè do atto all’essere che esiste. Se dico “c’è un bel tramonto” (è, voce del verbo
essere) riconosco l’essere. Gesù svela il significato compiuto della testimonianza perché rivela il
nome proprio dell’essere. Questo nome è Dio Uno e Trino. Dio crea e mantiene in vita ogni realtà.
La testimonianza implica quindi l’«esposizione» del soggetto. A ben vedere la testimonianza
descrive il necessario esporsi del soggetto (persona e comunità) per conoscere la realtà. Il testimone
è un soggetto che parla in “prima persona”, non in “terza persona”. Dice ad esempio: “Io (prima
persona) nella comunità faccio fatica perché…” non “la comunità (terza persona) non va bene
perché…”. Il testimone non fa un discorso neutro. Non mette l’associazione, la parrocchia, la
diocesi o la Chiesa su un piatto, come se lui fosse fuori e non c’entrasse, per dire tutto ciò che va
bene e tutto ciò che va male. Il testimone dice e fa questo a partire da sé. Infatti, etimologicamente
testimone vuol dire “il terzo che sta fra i due”. Per noi cristiani terzo è colui che mette in
comunicazione il Risorto e l’interlocutore in cui si imbatte, ogni uomo e ogni donna che
incontra. Allora questo “terzo” si deve vedere. E perché si veda deve esporsi.
La testimonianza ha bisogno di una garanzia: che il soggetto parta dalla comunione. Per questo la
Chiesa che è in Venezia ha fornito dei binari: Lieti nella speranza, Il volto missionario della
parrocchia, Se vuoi essere compiuto (Mt 19,21).
Quindi per preparare una testimonianza in vista dell’Assemblea ecclesiale, io singolo/comunità,
cercherò di esprimere sobriamente quello che mi sta più a cuore comunicare perché
l’avvenimento di Cristo risorto, speranza per il mondo, sia meglio conosciuto, capito e vissuto
da me e, di conseguenza, comunicato, anche attraverso di me, ai miei fratelli, a tutti battezzati,
a tutti gli uomini di buona volontà «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio,
e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3-4)».
Così intesa la testimonianza può assumere diverse forme espressive.
Può essere una testimonianza di racconto come si legge in Atti (2,1-11) a proposito degli apostoli
che parlavano in lingue. Raccontavano le meraviglie operate da Dio, i magnalia Dei. Una persona o
un gruppo può raccontare i magnalia Dei avvenuti nella parrocchia o nell’associazione, comunicare
qualcosa che ha cambiato una realtà (per es.: “nella mia parrocchia non ci eravamo mai occupati in
modo organico di chi era nel bisogno, da quando è nata la Caritas ho notato che è cambiato questo e
quest’altro”). Può essere anche una testimonianza “critica”: “Io ed i miei tre amici che lavoriamo
nella tale azienda e cerchiamo di testimoniare la bellezza di essere cristiani siamo addolorati perché
nella associazione e nella comunità cui apparteniamo non ci sentiamo accompagnati a vivere questa
testimonianza nell’ambiente…”). La parola “testimonianza” se è utilizzata nella sua pienezza e se si
colloca in un alveo preciso (vedi i tre documenti sopra citati) è capace di comunicare tutte le forme
di esperienza possibili, purché il soggetto sia coinvolto1.
2. Due stili di esperienza cristiana che determinano due modi diversi di
raccontare (testimoniare): Lettere di Paolo e Vangelo di Giovanni
-
“Saulo, sulla via di Damasco, è travolto dalla voce dal cielo in modo che tutta la sua vita ne
è determinata (cfr At 9; Gal 2,11ss).
-
Giovanni, da parte sua, è totalmente definito dal primo incontro presso il Giordano: «Venite
e vedrete», di cui ricorderà perfino l’ora (cfr Gv 1,35).
-
Se l’iniziativa di Dio afferra Paolo con quell’irruenza travolgente che caratterizzerà sempre
il suo agire, l’immedesimazione con Cristo di Giovanni appare più progressiva e pacifica: il
suo amore si qualificherà come un rimanere, un riposare in Gesù (cfr Gv 13,23-25).
-
Tra i due, nella radicale differenza degli stili di testimonianza - che si vede chiaramente
nelle Lettere di Paolo e nel Vangelo di Giovanni - c’è però perfetta coincidenza nella
sostanza. Entrambi concepiscono “la propria vita come risposta totalizzante alla promessa
che il Signore Gesù ha fatto loro. Essi non la donano solo per l’uno o l’altro valore pur
importante, ma per Gesù stesso. Allo stesso modo anche Cristo non imprime in loro solo
uno dei suoi tratti, ma la sua immagine indivisibile, per quanto essa si manifesti in ciascuno
secondo tutte le differenze personali e carismatiche)”2.
3. Tratti distintivi dell’esperienza cristiana
Quando parliamo di esperienza cristiana indichiamo una realtà che si può sinteticamente descrivere
nel modo seguente:
-
il Cristo Risorto “avviene” nella vita di una persona. La “incontra”, come succede
normalmente tra persone;
-
che l’incontro è avvenuto si vede dal fatto che nel cristiano cambia il modo di giudicare, di
amare e di agire;
1
Dalla riflessione del Patriarca Card. Angelo Scola ai Vicari foranei e ai direttori degli uffici pastorali nella riunione del
25 maggio 2004.
2
SCOLA A., La persona umana. Antropologia Teologica, Jaka Book, Milano 2000, pp. 322-323.
-
la persona è trasformata al punto che può giungere a dire con Paolo: «Non sono più io che
vivo ma Cristo vive in me». Gli affetti, il lavoro ed il riposo (sequela di Cristo) sono a partire
da questo Gesù, Persona vivente che ha impresso alla sua esistenza una direzione
totalmente nuova;
-
gli è donata nella Chiesa una nuova parentela, una “nuova famiglia”;
-
il soggetto è in grado di comprendere quanto gli è accaduto e di esprimerlo;
-
è grato e lieto per il suo essere uomo nuovo al punto che è per lui spontaneo comunicare
(testimoniare) quanto gli è accaduto. Un esempio celebre di testimonianza sono le
Confessioni di Sant’Agostino in cui il santo dottore narra ciò che la grazia ha operato nella
sua vita;
-
l’esperienza può essere “positiva”, nel senso che diamo comunemente a questo termine, ma
può essere “sofferta” oppure “critica”.
Ne consegue che la testimonianza che esprime l’esperienza, in quanto è la documentazione della
vita in atto tra noi, è fatta di luci e di ombre. Ciò che conta è che sia comunicazione che nasce
dall’incontro avvenuto nella fede fra il soggetto e il Signore Risorto «Ho creduto perciò ho
parlato» (2 Cor 4,13).
4.
Alcune
indicazioni
concrete
per
elaborare
le
testimonianze
in
vista
dell’Assemblea Ecclesiale
1. Aver desiderio e cura di esporsi in prima persona in rapporto a Cristo e all’interlocutore.
2. Cercare la garanzia del giudizio comune. Paragonarsi con le proposte che la nostra Chiesa
ha elaborato in questi anni: Lieti nella speranza (2002), Il volto missionario della
parrocchia (2004), Se vuoi essere compiuto (2004) che a loro volta si radicano nel cammino
che va dal Granello di senape all’Anno marciano e a quello giubilare.
3. La testimonianza può essere di un singolo o di un gruppo.
4. Perché sia espressione oggettiva di vita ecclesiale, al tempo stesso personale e comunitaria,
richiede un giudizio di fede comunitario. Pertanto se un singolo desidera proporre una
testimonianza per l’Assemblea ecclesiale deve prima dialogarla con la sua comunità di
appartenenza.
5. La lunghezza del testo non deve superare le 4000 battute.
6. I testi delle testimonianze devono pervenire al Comitato organizzativo entro il 30 novembre
2004.
7. Occorre che le comunità si mobilitino fin da ora, valorizzando al meglio il tempo estivo, per
riflettere sul volto del Risorto nella loro vita così che si giunga a delineare uno schizzo
dell’esperienza di fede in atto nel nostro Patriarcato.
8. Da Natale fino all’Assemblea ecclesiale del 10 aprile 2005, le testimonianze, pubblicate in
un libro, ritorneranno nelle varie comunità per essere lette, commentate e permetterci così di
giungere all’Assemblea ecclesiale con una conoscenza più realistica del volto del Patriarcato
di Venezia.
N.B.
In questo lavoro di elaborazione delle testimonianze, compiuto con umile verità da parrocchie,
associazioni, movimenti, aggregazioni, gruppi, famiglie, singoli, ecc. la “partecipazione” di tutto il
popolo di Dio all’Assemblea ecclesiale troverà la sua forma più intensa ed elevata.