VOL. 1
Il Rinascimento in Italia
Il Rinascimento in Italia
Tra Bramante e Leonardo
Che cos’è una bottega
L’ambiente milanese
Il titanico Michelangelo
Raffaello, il pittore della grazia
La bottega di Raffaello
Gli oggetti, gli animali e le piante
Classicismo e Manierismo in Toscana
Giorgione e Tiziano
L’ambiente veneziano
Il Manierismo veneto da Tintoretto a Veronese
L’area emiliana
I grandi capolavori
Il Cenacolo di Leonardo
La Cappella Sistina di Michelangelo
Le Stanze Vaticane di Raffaello
Il gioiello dimenticato
La Crocifissione del Bramantino
Architettura virtuale
Leonardo, progetti di chiese a pianta centrale
Allo scoccare del Cinquecento, il Rinascimento ha già imboccato una strada nuova, più difficile e
insieme più fastosa del naturalismo quattrocentesco. Se infatti le scoperte scientifiche del secolo
precedente – dagli studi sulla prospettiva a quelli anatomici, botanici e geologici, per fare degli esempi
– hanno gettato un nuovo sguardo sulla natura, con il nuovo secolo il naturalismo si afferma in tutta la
sua potenza solo per estremizzarsi. Dal pennello di questi artisti scaturisce un paesaggio che non è mai
stato così realistico oppure tanto astratto, rarefatto. Mai i personaggi sono stati così vivi e credibili,
come nella accuratezza fisiognomica leonardesca, eppure mai sono stati meno umani, come nel
“metafisico” Bramantino.
L’arte ha un grandissimo impulso, i suoi protagonisti studiano il passato e i contemporanei, si spostano
e si influenzano senza fine in una rete di enorme fermento, dagli strabilianti risultati. Da Firenze
partono l’architetto Bramante e Leonardo da Vinci, il genio rinascimentale per antonomasia, che danno
la loro impronta alla fucina milanese, mentre a Roma approdano il titanico Michelangelo e il serafico
Raffaello. Intanto, a Venezia nasce la pittura tonale di Giorgione e Tiziano, e tra l’Emilia e la Toscana
sboccia il raffinato manierismo del Correggio, di Pontormo e del Rosso Fiorentino.
Filosofia e mitologia, raffinatezze cortigiane e nevrosi personali, velleità imperialistiche papali e
fermenti riformisti, la Storia e le storie, tutto si mescola in un crogiolo ribollente in cui si recupera la
classicità per superarla, si accoglie la lezione dei maestri per spostarne sempre più in là i confini.
Dal Classicismo si riprende il concetto basilare della bellezza come armonia, ma è una bellezza che in
realtà rispecchia le tendenze conservatrici di una civiltà in cui la borghesia ha già avuto le sue
affermazioni e ora vuole consolidarle, di un papato che ha guadagnato una posizione di predominio
politico e ora vuole autocelebrarsi o, come diremmo oggi, farsi pubblicità. Questo conservatorismo si
riflette, in pittura e scultura, nell’equilibrio compositivo del Classicismo, con le sue strutture a
triangolo, le sue simmetrie, le gerarchie. Alla bellezza spirituale deve per forza corrispondere quella
fisica, le figure diventano possenti, i volti nobili.
Al Classicismo si contrappone la “maniera moderna” che, derivata dai tre giganti del secolo –
Leonardo, Raffaello e Michelangelo –, viene considerata superiore sia all’arte antica sia alla natura
stessa. Considerato a lungo dalla critica sterile virtuosismo, ricerca della bizzarria fine a se stessa, il
manierismo è stato ormai riabilitato grazie a risultati di indiscutibile valore, che hanno aperto la strada
a tutta l’arte successiva, dal Barocco a quella contemporanea.
L’arte cinquecentesca non è più, infatti, contemplazione o restaurazione di un ordine impossibile, ma è
ricerca, studio, sperimentazione, anticonformismo. Per Leonardo la natura è un mistero oscuro e
sfaccettato; la sua arte, quindi, procede in parallelo con lo studio scientifico della natura stessa. Per
Michelangelo è la tragica tensione dell’individuo solo di fronte a Dio; per molti manieristi, infine, è
tormento esistenziale. E mentre in Europa si scatenano pestilenze devastanti, guerre senza frontiere e
scismi religiosi, si creano nuovi equilibri, nuovi sistemi di pensiero, nuove sensibilità.
VOL. 2
Il Quattrocento in Italia
Il Quattrocento in Italia
L’invenzione della prospettiva
La cupola di Santa Maria del Fiore
La pittura prospettica di Masaccio
Donatello e la rinascita della scultura
La Firenze medicea e gli artisti di mediazione
Ghiberti e le porte del battistero di Firenze
Beato Angelico, Filippo Lippi e Paolo Uccello
Leon Battista Alberti
Piero della Francesca
Il secondo Quattrocento a Firenze
Verrocchio, Botticelli e Signorelli
Melozzo, Perugino e Pinturicchio
Il regno di Napoli e Antonello da Messina
La cultura a Padova e Mantegna
La corte estense a Ferrara
Milano sforzesca e l’architettura
Venezia e Bellini
I grandi capolavori
La Cappella Brancacci di Masaccio e Masolino
Le Storie della Croce di Piero della Francesca
La Pietà di Giovanni Bellini
Il gioiello dimenticato
La Cantoria di Donatello
Architettura virtuale
Brunelleschi, Santa Maria degli Angeli
Facciamo un salto indietro nel tempo e cerchiamo di immaginare come doveva essere Firenze all’inizio
del Quattrocento. Mercanti, dame e nobili a passeggio, un gran fervore di uomini e merci e molti,
moltissimi cantieri aperti, in cui stavano prendendo forma alcune delle più belle opere d’arte della
storia. Ciò che stava avvenendo era una autentica rivoluzione culturale, in cui il modello più alto,
rappresentato dall’antichità greca e romana, veniva non solo raggiunto ma persino superato. Da questa
ondata di ottimismo vennero contagiati in breve tutti i campi del sapere, dall’arte alla letteratura, dalle
scienze alla politica, in un turbinio di novità e scoperte che aveva come unico punto di riferimento
l’uomo e le sue capacità e che, per questo, prese il nome di Umanesimo.
Come mai tutto questo accadde proprio a Firenze? Un regime comunale democratico garantiva
ricchezza, libertà e cultura, tre condizioni che rendevano la città il luogo ideale per sperimentare e
proporre nuove forme nell’arte e nell’architettura. Per questo scelsero di viverci e lavorarvi tutti i
grandi artisti dell’epoca, da Masaccio a Filippo Lippi, da Donatello a Leon Battista Alberti.
I temi e i soggetti legati alla sfera del sacro dominarono la produzione pittorica: venivano però
interpretati tentando di dare alle raffigurazioni un tono più realistico, attraverso l’indagine della realtà e
lo studio di strumenti (come la prospettiva) che aiutassero gli artisti a rendere più verosimile la scena
dipinta. Una visione religiosa che, ben lontana dall’essere profana, oggi potremmo definire laica.
Il Quattrocento è ricordato soprattutto come un secolo di pace, un lungo periodo di prosperità in cui
non vi furono invasioni straniere. Proprio questa lunga tregua contribuì a favorire uno sviluppo delle
arti che, partendo da Firenze, coinvolse tutta la penisola.
Le grandi corti dell’Italia centrale furono le prime a recepire le novità fiorentine. A dominare su queste
terre era la Chiesa, che aveva appena riportato a Roma la propria sede dopo le tormentate vicende
seguite allo scisma d’Occidente; ma il prestigio del papato non era mai stato così basso e urgevano
misure drastiche per riportate la Chiesa agli antichi splendori. Nel corso del secolo venne messa in atto
una politica economica e culturale che richiese molti anni di lavoro e che avrebbe riportato Roma al
centro della scena artistica solo nel secolo successivo.
Così, nei trent’anni a cavallo della metà del Quattrocento, due piccoli ducati presero il posto di Roma e
Firenze come capitali italiane della cultura: la Romagna dei Malatesta e Urbino, ducato dei
Montefeltro. Proprio in queste ricche corti dell’Italia centrale mosse i suoi primi passi l’artista più
importante del secolo, Piero della Francesca.
A partire dal 1450 la rivoluzione culturale e artistica iniziata con l’Umanesimo si estese a tutta l’Italia,
portando alla ribalta il regno di Napoli, la dotta città di Padova, la corte estense di Ferrara, quella
sforzesca di Milano e la nuova signoria che la famiglia de’ Medici aveva istituito a Firenze. Alla fine
del Quattrocento la stella più luminosa era però Venezia, dove si imposero un nuovo stile e nuovi ideali
che chiudevano definitivamente la grande stagione dell’Umanesimo. Il processo di evoluzione umana
aveva fatto un altro passo avanti e i popoli dell’Europa occidentale stavano entrando in quell’epoca che
noi oggi definiamo Rinascimento.
VOL. 3
Il Gotico in Italia
Il Gotico in Italia
Le grandi abbazie
Chiese francescane e domenicane
Le cattedrali, simboli del potere comunale
I Misteri della Passione
La scultura e il ritorno al Classicismo
La scuola scultorea pisana
Le arti “minori”
Un nuovo concetto del bello, la pittura gotica
Cimabue e la scuola fiorentina
Immagini del divino nell’uomo
Il genio di Giotto
I seguaci di Giotto
La scuola senese, Duccio, Simone Martini, i Lorenzetti
La Maestà di Duccio di Buoninsegna
La scuola romana, Pietro Cavallini, Jacopo Torriti, Filippo Rusuti
Il Gotico internazionale, Pisanello e Gentile da Fabriano
I grandi capolavori
Il Duomo di Orvieto
Il Pulpito di Nicola Pisano nel Duomo di Siena
Gli affreschi di Giotto ad Assisi
Il gioiello dimenticato
I mosaici gotici romani
Architettura virtuale
L’abbazia di San Galgano
Fra il Duecento e il Trecento grandi cattedrali, più spaziose e luminose, si innalzano con maggiore
slancio verso l’alto, la cui verticalità diventa simbolo dell’aspirazione religiosa dell’uomo nei confronti
del cielo, del divino. All’interno delle chiese, le pareti accolgono cicli di affreschi che illustrano come
grandi poster la Passione di Gesù, le vite dei santi e il Giudizio finale a insegnamento e monito del
comportamento da tenere in vita. La luce filtra copiosa dal rosone della facciata e dalle vetrate
policrome delle finestre, creando un’atmosfera mistica e serena adatta alla preghiera.
La scultura, tornata al Classicismo con grandi artisti quali Nicola e Giovanni Pisano e Arnolfo di
Cambio, riveste le facciate delle chiese imponendosi spesso sull’architettura e modifica all’interno
posizione, struttura e decorazione dei pulpiti, le cui figure s’infittiscono secondo un linguaggio
omogeneo e continuo fatto di solennità e di drammaticità, attraverso rilievi dai volumi netti e dai
significati allegorici. Grandi sono le innovazioni nel campo della pittura, con le realistiche forme della
natura introdotte da Giotto e con i cicli di affreschi, nei quali s’inaugura un nuovo rapporto fra l’umano
e il trascendente, con il trionfo della luce e del colore nelle composizioni.
Il Gotico afferma un nuovo concetto del bello e della forma e nuove strade per conseguirlo: l’opera
pittorica deve poter colpire la sensibilità dell’osservatore e suscitare sentimenti profondi. L’uomo fatto
a immagine e somiglianza di Dio, e Dio vissuto e morto come un uomo, diventano i protagonisti della
nuova pittura, che riesce a ottenere con realismo un nuovo equilibrio tra corpo e spirito nelle figure,
impensabile fino a poco tempo prima. Elementi fondamentali delle raffigurazioni oltre la luce e il
colore sono la linea curva, il dinamismo dei personaggi che esprimono emozioni forti, una spiritualità
semplice e sincera ben rappresentata da san Francesco d’Assisi e dal suo amore per la natura, che
Giotto interpreta genialmente.
Ma il Gotico è anche l’età in cui si manifestano la pienezza e la decadenza del mondo feudale, del
potere dei banchieri, dello sviluppo del commercio internazionale (basti pensare al viaggio di Marco
Polo) e specialmente dell’organizzazione dei mestieri nelle Corporazioni. Due fallimentari crociate di
san Luigi re di Francia, che coinvolgono i paesi affacciati sul Mediterraneo, e le lotte fra Guelfi e
Ghibellini segnano con la violenza questo periodo. Ai conflitti fa da contrappeso la fioritura di una
nuova, intensa spiritualità, incarnata da san Domenico, da san Francesco, da san Tommaso d’Aquino,
da san Bonaventura: il pensiero cristiano si evolve in direzione di un nuovo e più stretto legame fra
l’uomo e Cristo, morto per lui sulla croce. Nasce la letteratura in volgare di Dante, Boccaccio e
Petrarca; la Legenda aurea di Jacopo da Varagine con le sue vite dei santi indirizza la produzione
artistica del tempo e dei secoli seguenti, mentre la diffusione dei libri anche al di fuori dei monasteri ha
fatto crescere la cultura.
In ultima analisi questi due secoli, con persistenze significative anche in piena epoca rinascimentale,
hanno rappresentato un profondo cambiamento della società dell’ultimo Medioevo e hanno reso l’uomo
consapevole del proprio ruolo in una nuova realtà, che si è manifestata innanzi tutto nell’arte. E proprio
grazie all’arte è stato preparato il terreno per la successiva grande svolta dell’Umanesimo e del
Rinascimento.
VOL. 4
L’Arte bizantina
L’Arte bizantina
Le origini
Simboli dell’arte paleocristiana
L’era di Costantino e le grandi basiliche romane
L’arte a Ravenna nel v secolo
L’età d’oro dell’arte bizantina
Santa Sofia di Istanbul
I Bizantini in Italia
Sant’Apollinare in Classe, un linguaggio nuovo
Gli avori
Le più antiche icone
Dall’iconoclastia alla rinascenza macedone
Il Santo Volto
Hòsios Lukàs e Daphnì
Dal tèmplon all’iconostasi
Il Manierismo comneno
Normanni e Bizantini a Palermo e Cefalù
Ultimi bagliori nell’età dei Paleologi
Da Teofane a Rublëv
I grandi capolavori
La Basilica di San Vitale
I mosaici di Monreale
La Basilica di San Marco
Il gioiello dimenticato
Il mosaico absidale di Santa Pudenziana
Architettura virtuale
L’antica Basilica di San Pietro
La prima diffusione del Cristianesimo in Occidente è legata alle classi sociali più deboli: frotte di umili,
senza prospettive certe in questa vita terrena, presto abbracciano il messaggio propagato dai primi
testimoni della nuova fede. Tuttavia già con il i secolo, sotto Nerone e Domiziano, hanno inizio le
persecuzioni dei seguaci di Cristo, condotti al martirio nel circo, dati in pasto alle belve, crocefissi o
arsi vivi. E così ancora nel ii e iii secolo.
In questo clima non è facile esprimersi liberamente e l’arte stessa, che negli ambienti pagani vive un
periodo di grande fioritura, si ritaglia uno spazio discreto nell’oscurità delle catacombe.
La situazione cambia con l’avvento al potere di Costantino che, con l’Editto di tolleranza del 313,
concede libertà di culto ai cristiani e si fa egli stesso paladino della fede. Al di là dell’intenso
programma di costruzione di chiese portato avanti da lui e dalla madre Elena, è significativo lo
spostamento della capitale dell’impero a Bisanzio, che da quel momento viene ribattezzata
Costantinopoli, la “città di Costantino”. In breve diventa la fucina e il centro propulsore di una nuova
arte che toccherà la vetta due secoli dopo: l’arte cristiana inizia a sfolgorare libera con il sostegno del
potere imperiale.
Il vi secolo è il protagonista assoluto di tale fioritura: con Giustiniano si colgono i frutti maturi di un
linguaggio artistico e architettonico maturato lentamente nei secoli; è l’età d’oro dell’arte bizantina.
Questa viene esportata in tutto il Mediterraneo e giunge anche in Italia, che fino a quel momento aveva
portato avanti la nobile tradizione romana: a poco a poco il linguaggio artistico muta fino a raggiungere
gli esiti fastosi dei monumenti ravennati.
Il periodo dell’iconoclastia, a cavallo fra viii e ix secolo, sembra segnare una battuta d’arresto allo
sviluppo delle arti figurative. Ma viene ben presto superato e sotto la dinastia imperiale macedone si
assiste a una nuova esplosione del fenomeno. È questo un periodo di notevole fermento politico,
culturale ed artistico. Grande è la fama dei maestri bizantini e delle botteghe costantinopolitane. Le
tecniche di produzione, l’iconografia elaborata dai dotti teologi bizantini prendono piede un po’
ovunque.
Alla capitale bizantina guardano con ammirazione la Sicilia normanna e Venezia che, fra l’xi e il xiii
secolo, erigono monumenti che si pongono in competizione con il modello. I Balcani e la terra russa,
dopo la conversione al Cristianesimo, diventano importanti centri produttori d’arte, lasciando a
testimonianza grandi cicli di affreschi all’interno delle chiese o le icone che adornavano le imponenti
iconostasi. In Russia giunge Teofane che, attraverso la sua opera, fa scuola a una generazione di
giovani talenti, come Andrej Rublëv: con lui l’arte di tradizione bizantina muta presto linguaggio
assumendo caratteri marcatamente russi. Fondamentale è il ruolo di queste regioni apparentemente
periferiche – come anche la Serbia e l’isola di Creta – che, pur innovando, mantengono viva un’arte
che lega inscindibilmente forma e concetto teologico.
Intanto Costantinopoli vive l’ultima stagione del suo splendore in cui la figura sacra si fa sempre più
umana e vicina all’esperienza quotidiana. Nel 1453 la città viene conquistata dagli Ottomani, un evento
che segna la fine di un’epoca straordinaria che ha lasciato una traccia indelebile nella cultura artistica
europea.
VOL. 5
Il Barocco in Italia
Il Barocco in Italia
Roma caput mundi
Caravaggio
I Carracci e i carracceschi
Bernini e Borromini, gli architetti delle meraviglie
L’Italia centro-settentrionale
I soffitti illusionistici
Napoli e la Sicilia
Venezia e il Settecento
La santità al femminile
I grandi capolavori
La Cappella Contarelli del Caravaggio
Il San Pietro del Bernini
L’Arcivescovado di Udine del Tiepolo
Il gioiello dimenticato
Il Sacro Monte di Varallo
Il Barocco è un movimento artistico vasto e sfaccettato, che affonda le radici nel Cinquecento e proietta
i suoi rami nel Settecento, che comprende personaggi diversissimi tra loro come il Caravaggio, il
Bernini e il Tiepolo e che, irradiandosi da una Roma risorta dopo il sacco imperiale del secolo
precedente, acquista connotazioni del tutto peculiari a seconda che raggiunga la sobria Milano dei
cardinali Borromeo o la vivace Napoli dei Borbone.
Roma stessa non si limita a riparare i danni politici, economici o architettonici causati dalla calata dei
lanzichenecchi, ma, forte del nuovo potere conferito al papato dalla controriforma cattolica sancita dal
concilio tridentino, investe tutte le sue forze per divulgare al mondo l’immagine di una Chiesa
trionfante. Un progetto imponente, cui partecipano tanto i pontefici quanto gli ordini religiosi e le
famiglie patrizie per ridare alla città il suo ruolo di capitale della cristianità. E il compito è arduo, basti
pensare che bisogna superare un modello artistico già altissimo come quello rinascimentale, che si è
ulteriormente evoluto nell’aulico Classicismo e nel sofisticato Manierismo. L’unica soluzione è
spingersi oltre, nell’intentato, nell’impossibile.
Disprezzato a lungo dalla critica in quanto fase di decadenza dell’arte dalla perfezione rinascimentale
per le sue connotazioni bizzarre, grottesche – alcuni fanno infatti derivare il termine dallo spagnolo
barrueco, un tipo di perla anomala, irregolare –, in realtà il Barocco è un fenomeno raffinato e
complesso, che coincide con un enorme sviluppo tanto teorico quanto pratico nell’architettura e nella
scenografia. Fervono infatti in questo periodo gli studi sulla prospettiva, la meccanica, l’ottica e
l’acustica applicati all’allestimento scenico, con il risultato che il teatro acquista un posto di rilievo
nella vita e nell’immaginario collettivo. Di conseguenza anche la pittura, la scultura e l’architettura,
così come le arti minori, si spettacolarizzano, puntando a ottenere come mai prima un impatto emotivo
forte sullo spettatore. Gli effetti macroscopici di tale atteggiamento si vedono in primo luogo
nell’architettura religiosa (anche perché spesso i teorici della prospettiva e gli ingegneri teatrali sono gli
stessi progettisti degli edifici di culto, come Andrea Pozzo e Filippo Juvara), caratterizzata da un
estremo virtuosismo tecnico che ondula le facciate delle chiese, attorciglia il marmo e fa sposare tra
loro i materiali più inconsueti, arrivando alle pure acrobazie architettoniche del Borromini. Dentro
cappelle, certose e cattedrali, poi, esplode il feroce verismo del Caravaggio, si spalancano cieli infiniti
nei soffitti illusionistici di Pietro da Cortona, volano i mille angeli del Tiepolo...
Il risultato è un’arte sontuosa e insieme divulgativa, che mira a catturare l’osservatore affascinandolo
tanto attraverso composizioni e gesti che sembrano strappati al palcoscenico quanto mediante la malia
pittorica del trompe l’oeil, con personaggi che sembrano muoversi nei loro panneggi turbinanti, con
marmi che sembrano broccati, stucchi che sembrano marmi, materiali che la perizia umana rende più
preziosi dell’oro. E, dietro tutto, il riverbero delle scoperte di Galileo, l’eco di spazi infiniti, di un
ingranaggio cosmico che l’uomo inizia a credere di poter, un giorno, capire. Tutto un mondo che c’è,
eppure non si vede né si tocca. Ecco allora la nuova passione per tutto ciò che genera l’illusione. Ecco
allora un’arte che stupisce, inganna i sensi, li eccita. Un’arte che è, secondo l’aggettivo più usato per
definire il Barocco, “meravigliosa”.
VOL. 7
Il Gotico in Europa
Il Gotico in Europa
L’arte delle cattedrali in Francia
I principi costruttivi della cattedrale gotica
Il cantiere della cattedrale
Villard de Honnecourt, maestro d’opera
Le vetrate gotiche
Il Gotico in Inghilterra: un’interpretazione originale
L’architettura spagnola: le cattedrali di Burgos e Toledo
La diffusione nelle terre tedesche
La miniatura
La pittura gotica, da Fouquet a Bosch
La pittura a olio
I grandi capolavori
Notre Dame di Parigi
L’Abbazia di Mont Saint Michel
Il giardino delle delizie di Bosch
Il gioiello dimenticato
Il Giudizio finale di Rogier van der Weyden
Architettura virtuale
L’Abbazia di Beauport
I greci non chiamavano se stessi “greci”, ma “elleni”: il termine “greco” è successivo di secoli alla
grande fioritura di questa civiltà e ha una sfumatura spregiativa, voluta dai vincitori romani che hanno
coniato il termine. Identico destino per il termine “gotico”, che appare un secolo dopo l’estinzione di
quel periodo artistico: fu inventato dai teorici del Rinascimento, che intendevano marcare, in senso
negativo, una forte differenza tra la “maniera tedesca” dei goti, cioè “barbari” e quindi lontanissimi
dalla civiltà classica, e l’arte della rinascenza, che ai valori classici si ispira.
In realtà noi oggi chiamiamo gotico uno stile che ha varie manifestazioni (architettura, scultura,
pittura), una diffusione in tutta l’Europa medievale, grosso modo dagli inizi del 1100 alla metà del
1400, e un luogo di nascita: la Francia.
L’arte gotica rispecchia il fenomeno contemporaneo della nascita e affermazione delle lingue e quindi
dei caratteri nazionali nell’Europa occidentale: si segmenta infatti in manifestazioni artistiche regionali,
con caratteri propri. Si afferma più facilmente là dove il processo di creazione dell’identità nazionale è
più rapido, in Francia, Inghilterra e Spagna; meno rapidamente dove questo processo incontra difficoltà
e involuzioni, come in Germania e Italia.
È l’architettura il punto d’origine del nuovo stile, grazie alla costruzione delle grandi cattedrali. Ed è un
messaggio fortemente religioso che viene diffuso insieme al nuovo linguaggio gotico. Un esempio fra
tutti, quello dei monaci cistercensi: «Il grande albero di Citeaux si espanse prodigiosamente: in meno di
un secolo le sue ramificazioni raggiunsero i confini estremi della Cristianità». Nell’abbazia benedettina
di Citeaux in Borgogna vengono elaborati i princìpi della nuova regola; essi vengono poi diffusi in tutto
l’Occidente medievale insieme all’architettura delle abbazie, che sposa la leggerezza, l’elevazione e la
luminosità tipica del nuovo stile, ma non l’esuberanza della decorazione, in omaggio ai canoni di
austerità e rigore della regola monastica.
La nascita e lo sviluppo tumultuoso dell’arte delle cattedrali avviene anche grazie alla nuova civiltà
urbana. È alla città che fanno capo le confraternite religiose e le corporazioni delle arti e dei mestieri; la
città è sede della cattedra del vescovo a cui la cattedrale fa riferimento: alla sua costruzione partecipa
l’intera città.
Emerge una nuova figura, l’architetto, allora chiamato “maestro d’opera”, che a poco a poco si
distingue dalle squadre di artigiani, che animavano il cantiere delle chiese.
La scultura del periodo è intimamente collegata all’architettura: gli esempi più straordinari sono le
statue che ornano le gallerie delle facciate, gli imponenti portali e le tombe dei re, che vengono
addossate ai grandi pilastri di sostegno delle cattedrali.
Diverso è il caso dell’arte figurativa: le tecniche qui sono le più varie, dalla miniatura alla vetrata,
dall’affresco alla pittura su tavole e pannelli, anche di grandi dimensioni, come le pale d’altare spesso
ripiegabili in più parti, fino alla pittura su cavalletto che fa la sua comparsa intorno alla metà del
Trecento.
Il cammino della pittura è molto lungo: alla fine del Quattrocento, ormai alle soglie del Rinascimento,
essa ha conquistato la rappresentazione tridimensionale degli oggetti e dello spazio, il paesaggio come
elemento non secondario della rappresentazione, la naturalezza della figura umana.
VOL. 8
Il Romanico in Italia
Il Romanico in Italia
Un’età in movimento
L’architettura romanica nel Nord Italia
Lo spazio sacro
L’opera di Benedetto Antelami
Le miniature
I telamoni
La scultura lignea
La pittura nell’Italia settentrionale
Il recupero dell’antico nell’Italia centrale
La scultura in bronzo
Continuità bizantine a Roma
Il Romanico nell’italia del Sud
L’arte arabo-normanna
I grandi capolavori
La Basilica di Sant’Ambrogio
Il Campo dei Miracoli di Pisa
Il mosaico pavimentale di Otranto
Il gioiello dimenticato
Il Romanico lariano lungo la via Regina
«Verso il terzo anno dopo l’anno Mille, su quasi tutta la terra, soprattutto in Italia e in Gallia, si
ricominciarono a ricostruire le basiliche. Benché la maggior parte fosse ben costruita e non avesse
bisogno, una certa emulazione spingeva ogni comunità cristiana ad averne una più sontuosa delle altre.
Si sarebbe detto che il mondo stesso si scuotesse per gettare le spoglie della vecchiezza e si rivestisse
dovunque di un bianco mantello di chiese».
Così scrive nelle sue Storie del mondo Rodolfo il Glabro intorno all’anno 1040; alla fine del lungo
inverno di timori e travagli che caratterizza gli ultimi anni del x secolo, le nuove chiese ricoprono
l’Europa cristiana, segno di risveglio e di rinascita.
Nuovo è anche lo stile, il Romanico. Il nome, coniato nel xix secolo da un archeologo francese,
contiene un riferimento alla grande tradizione classica dell’impero romano.
Stile complesso, il primo che si può definire genuinamente europeo, diffuso non solo nei paesi di lingua
“romanza”, ma anche nei paesi germanici, nelle isole britanniche, nel Nord e nell’Est dell’Europa, che
si applica in prevalenza agli edifici religiosi.
La chiesa romanica è spesso la prima costruzione realizzata in muratura al centro di una cittadina dalle
costruzioni in legno. L’edificio sacro è soprattutto, un grande specchio simbolico che riflette le
credenze, le paure, l’intero universo mentale dell’uomo medievale, che possiamo agevolmente leggere
nelle decorazioni dei capitelli e dei portali. È un luogo “abitato”: sempre animate, piene di pellegrini in
raccoglimento davanti alle reliquie del patrono e di fedeli che seguono i servizi liturgici. È anche
un’istituzione “mondana”: spesso il committente è un potentato laico, un signore feudale, un re o un
imperatore, che ha addirittura il potere di nominare il vescovo, cosa che è all’origine della lotta delle
investiture. Certi ambienti, soprattutto gli atri, fungono da aule per la giustizia o altri atti pubblici; le
torri servono di vedetta contro gli attacchi nemici e gli incendi. La chiesa può trasformarsi in rifugio e
fortezza, grazie ai muri spessi e persino ai cammini di ronda.
Soprattutto la chiesa romanica è un edificio colmo di significato religioso: le colonne spesso sono
dodici, a rappresentare gli apostoli, i sostegni della chiesa; la pianta cruciforme rappresenta la croce di
Cristo; l’asse longitudinale leggermente piegato è una figura della testa di Gesù inclinata sulla croce.
Il mondo romanico si confronta con due grandi tradizioni: Bisanzio e l’Islam. L’Occidente medievale è
una regione piuttosto piccola se confrontata con il territorio posto sotto il controllo arabo, dalla Spagna
all’Africa mediterranea fino al Caucaso e alla sponda dell’Indo. A un viaggiatore musulmano l’Europa
appariva, attorno al Mille, «barbara e infedele»: niente di paragonabile al fervore intellettuale arabo. La
biblioteca del califfo di Cordova contava più di quattrocentomila volumi quando le più grandi
biblioteche d’Europa non arrivavano a quattrocento.
E dalla Spagna irradiano i maggiori influssi sull’Italia, il più variegato mosaico di culture e tradizioni in
Europa, dove la Sicilia è ancora araba e il Sud bizantino: la somma di questi influssi determinano uno
stile dalle caratteristiche assolutamente originali rispetto al resto d’Europa.
volume 9
Il Barocco in Europa
I caravaggeschi del Nord
Rembrandt e l’Olanda protestante
Rubens e Van Dyck nelle Fiandre cattoliche
La santità al maschile
I lorenesi: Lorrain e de La Tour
La Francia tra Poussin e Le Brun
La Spagna di Velázquez e Murillo
Il resto d’Europa tra Sei e Settecento
Il paesaggio sacro
I grandi capolavori
La Passione di Rembrandt
I Sette sacramenti di Poussin
Il ciclo di Santa Maria la Blanca di Murillo
Il gioiello dimenticato
Il San Sebastiano curato da Irene di Georges de La Tour
Il panorama artistico dell’Europa all’apertura del Seicento vede due grandi blocchi contrapposti. Da un
lato troviamo i Paesi cattolici controriformisti, in cui l’arte sacra prende un nuovo, potente impulso che
si traduce nella rinascita fiamminga e nel siglo de oro spagnolo. Dall’altra ci sono i Paesi protestanti,
dove invece predominano i generi laici come il ritratto, la scena di genere, il paesaggio o la natura
morta. Fa eccezione la Francia, che resta cattolica ma dove a dettare legge è il re, che assoggetta pittori,
scultori e architetti alle esigenze della corte. A questo si deve aggiungere che ogni realtà geografica ha
una specifica committenza: nella cattolicissima Spagna, per esempio, sono perlopiù gli ordini religiosi,
in Inghilterra la nobiltà, in Francia il sovrano e in Olanda la borghesia urbana.
Ovviamente, queste linee di tendenza non sono rigide, tanto che possiamo trovare la splendida
eccezione di un Rembrandt che, in un mercato prettamente borghese come quello delle Province Unite,
in cui la richiesta è monopolizzata dalle scene di vita domestica, dai ritratti autocelebrativi della ricca
classe mercantile o dalle vedute di polder e mulini a vento, riesce a imporre la propria sofferta
spiritualità attingendo direttamente alle fonti bibliche.
L’Italia viene sempre considerata la culla delle arti e, come la formazione di un gentiluomo prevede il
grand tour nella penisola, così ogni pittore che voglia fare il salto di qualità deve studiare sul campo il
colorismo veneto, il naturalismo caravaggesco o il classicismo carraccesco, deve visitare le corti del
Nord dalle illustri collezioni, o soggiornare nei crogioli artistici di Napoli e Genova. Ed esiste un flusso
migratorio di arte italiana – quadri che si spostano nelle numerose collezioni oltrefrontiera e artisti
chiamati dalle varie corti – che investe tutto il continente, influenzandolo in profondità. Una realtà in
pieno fermento, che partorisce artisti del calibro di Velázquez e Van Dyck, de La Tour e Murillo,
un’arte sacra che spazia dalla fastosa carnalità di Rubens al classicismo di Poussin, che sperimenta il
drammatico luminismo caravaggesco o si addolcisce in delicate madonne raffaellesche. Un’arte che
spesso riprende paradigmi consolidati, ma che è anche capace di coniugare i generi in nuove forme,
come il paesaggio religioso di Lorrain, o di rivisitare i temi religiosi in chiave domestica, borghese,
come la scuola di Utrecht. E anche se ogni entità politico-geografica manifesta le proprie spiccate
peculiarità, è impossibile non riconoscere la lezione di Tiziano in un martirio fiammingo, una natura
morta olandese in una Cena in Emmaus napoletana, la tradizione della ritrattistica romana in un prelato
francese o gli studi leonardeschi sulla fisiognomica in un santo spagnolo. Così, se in Inghilterra l’arte
religiosa si atrofizza, nelle colonie spagnole oltreoceano si estremizza in forme sempre più ipertrofiche,
mentre la Francia si avvia alla grazia un po’ leziosa del Rococò e poi alla reazione neoclassica o la
Germania al ciclone del Romanticismo. Tutte correnti posteriori al Barocco, certo, ma che ne sono in
un certo senso generate, che non ne possono in alcun modo prescindere.
Prima ci sono state le guerre di religione, la Riforma e la Controriforma, poi verrà la rivoluzione
francese a sostituire lo Stato alla Chiesa, ma intanto i collezionisti allargano lo sguardo oltre le frontiere
del tempo e dello spazio. I semi dell’arte otto-novecentesca sono già piantati e, nel buio della terra, le
radici si stanno già diramando.
VOL. 12
L’Arte moderna
L’Arte moderna
Il Romanticismo
Gauguin, Van Gogh e la pittura dello spirito
L’Espressionismo, da Ensor a Munch
Rouault: la guerra, la religione e l’arte
La pittura religiosa in Italia: Carrà, Cassinari, Sassu
Gli anni Cinquanta
L’architettura
Le prime sperimentazioni
Le ultime tendenze
Lo sperimentalismo di Rodin
I grandi italiani: Fontana, Manzù, Martini, Marini
Le porte del duomo di Milano
I grandi capolavori
La Crocifissione di Picasso
La Sagrada Familia di Gaudí
Le vetrate di Chagall
Il gioiello dimenticato
The Last Supper: l’Ultima cena secondo Andy Warhol
Nel corso dell’Ottocento l’arte sacra ha subìto la più brusca delle svolte. Il mondo ha messo in
discussione i valori religiosi che fino a quel momento avevano governato i rapporti tra Chiesa ed
espressione artistica. Soprattutto in Europa le due grandi guerre del xx secolo hanno portato gli uomini
a considerare il mondo in maniera diversa. In quei tristi momenti della nostra storia, l’immagine di un
Cristo regale sarebbe apparsa incongrua rispetto alle sofferenze che stavano patendo milioni di uomini.
La crocifissione diventa così uno dei temi più raffigurati, anche se all’antica rappresentazione del
Cristo redentore che si sacrifica per l’umanità viene sostituita una nuova visione, più cupa e negativa.
Gli artisti del xx secolo inventano nuovi modi di interpretare la morte di Gesù, investendo le
rappresentazioni di significati simbolici, legati alla violenza dei genocidi, alle ingiustizie, alla violenza
dell’uomo contro l’uomo. I temi legati alla sfera del sacro vengono così reinterpretati, soprattutto in
seguito agli avvenimenti drammatici che travolgono l’Europa, come l’avvento del nazismo e la seconda
guerra mondiale. L’antisemitismo e le persecuzioni vengono denunciate da alcuni artisti attraverso le
loro opere, in cui la raffigurazione di Gesù quale re dei giudei diventa emblematica di ben altri
sacrifici.
Lungo tutto l’arco del Novecento sono nate nuove iconografie religiose. I colori, le figure e le forme
acquistano significati inediti, dando inizio a un modo di vedere le cose che va oltre la realtà che i nostri
sensi possono percepire. Da queste intuizioni derivano i grandi movimenti artistici a cavallo tra
Ottocento e Novecento: il Romanticismo, il Simbolismo, l’Espressionismo, che trovano nei grandi temi
sacri lo spunto ideale per mettere alla prova la nuova capacità di rappresentare quella sfera misteriosa
dell’animo umano da cui nasce anche la sensibilità religiosa.
Con la fine della guerra e il boom economico degli anni Sessanta, le cose sono nuovamente cambiate.
Dopo decenni di immobilismo, un linguaggio moderno viene applicato anche alla costruzione di chiese
e santuari. Il dopoguerra ha visto trionfare l’architettura razionalista, economica e fredda, che per
l’epoca rappresentava la volontà della Chiesa di riavvicinarsi alle esigenze e ai modi di vivere
dell’uomo contemporaneo.
Anche la scultura si è liberata dagli schemi del realismo che per secoli ne avevano imprigionato le
forme, riuscendo finalmente a rappresentare ciò che di più spirituale gli artisti sentivano. Un
cambiamento che ha visto dominare molti italiani, da Manzù a Martini, coinvolti nelle più prestigiose
committenze papali.
Il xx secolo ha lasciato un’impronta fondamentale anche nel campo delle arti decorative, elevando a
opera d’arte – come avveniva nel passato – anche gli oggetti d’uso liturgico e le vetrate, in cui artisti
come Chagall hanno dato sfogo al loro estro. Nelle arti figurative si è assistito a un riavvicinamento
degli artisti ai valori della fede in un senso che può essere definito laico. L’uso di allegorie e simboli,
che da sempre ha accompagnato l’espressione artistica religiosa, si è in un certo senso impadronito del
linguaggio figurativo contemporaneo. Ma è proprio grazie all’arte astratta, simbolista, d’avanguardia e
agli innumerevoli nuovi mezzi espressivi che, in qualche modo, l’uomo ha tentato nuovamente di
rappresentare ciò che da sempre insegue: il mistero divino.