Rodotà - Liceo "Jacopone da Todi"

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RODOTA’: L’AMORE SI LIBERA DAL PREDOMINIO DEL DIRITTO
Laura Solieri, Gazzetta di Modena 15/9/13
Sono compatibili, sono pronunciabili nella stessa frase le parole "diritto" e "amore" oppure
appartengono a logiche conflittuali? Il diritto fin dal passato è stato usato come strumento di
neutralizzazione dell'amore nella sua presenza sociale. «Nell'esperienza storica il diritto si è
fortemente impadronito dell'amore - ha spiegato il professor Stefano Rodotà nella lezione
magistrale “Diritto d'amore” che ha tenuto ieri mattina in Piazza Grande a Modena - Con
l'istituzione del matrimonio l'amore è stato recintato in un perimetro all'interno del quale è stata
operata una seconda riduzione di esso: il rapporto tra coniugi è stato ricondotto a una schema tipico
di rapporto patrimoniale, in cui vige la logica del cosiddetto "debito coniugale" di natura sia
economica che sessuale, che sancisce una sorta di diritto di proprietà nei confronti dell'altro». Fu il
giurista Filippo Vassalli, negli anni Quaranta, a rivendicare l'aridità dimostrata fino ad allora
sull'argomento dai giuristi, spezzando questa concezione che durava da secoli, nella convinzione
che la logica proprietaria non aiuti a capire la logica degli affetti. Arturo Carlo Jemolo parlerà della
famiglia dicendo che è un'isola che il diritto può appena lambire. «Il matrimonio ha una storia molto
lunga, le cui varie declinazioni lo hanno allontanato nella pratica sociale dagli affetti - prosegue il
professor Rodotà - Oggi la stipula dei contratti matrimoniali che avviene negli Stati Uniti testimonia
come la dimensione patrimoniale del matrimonio non sia affatto scomparsa. I contratti matrimoniali
americani palesano l'idea della rottura, della fragilità del legame, non dell'amore. Non c'è traccia di
affetto ma solo la preoccupazione economica che da per scontato che si è di fronte a un legame che
non è destinato a durare». È nella Prima lettera ai Corinzi dell'apostolo Paolo che emerge il tema
dell'eguaglianza tra coniugi, quando Paolo scrive che la moglie non ha potere sul suo corpo ma lo
ha il marito e, viceversa, la stessa cosa vale per il marito. Paolo in quel momento predicava in un
ambiente che non riconosceva questo idea di eguaglianza, idea che da allora entra profondamente
nella discussione giuridica, teologica, filosofica degli anni a venire, e che mostrerà numerose
analogie con quella che si svolgerà sul tema della sovranità, accompagnando per secoli il discorso
tra matrimonio e amore. «L'idea di sovranità affermata dallo Stato diventa un connotato trasferito
nella sfera personale degli individui: come lo Stato deve avere un capo, così deve essere anche per
la famiglia. È con l'avvento del codice civile francese - afferma Rodotà - che si ha la laicizzazione
del matrimonio. E con la riforma del diritto di famiglia moglie e marito nel contrarre il matrimonio
acquisiscono gli stessi diritti e doveri - conclude il professor Rodotà - Oggi viviamo un
cambiamento molto forte dell'antropologia legata agli affetti. Al cospetto della ritirata del diritto che
giustamente ha rinunciato ad impadronirsi delle persone, ci troviamo di fronte a un amore a bassa
istituzionalizzazione. Viviamo però in un mondo incerto dove manca all'amore una cornice sociale
che lo confermi e lo stabilizzi, senza stigma della parola "altro", nella necessità di dare
riconoscimento alle unioni di fatto, di allontanarsi dalla politica del disgusto che si esercita verso gli
omosessuali. Il cambiamento di antropologia lo ravvisiamo anche nel cambiamento di linguaggio:
oggi si parla molto di più di "coppie" a prescindere dal matrimonio, dal sesso, dall'ambiente in cui si
collocano».
RODOTÀ: «AL DIRITTO IL COMPITO DI FAR AMARE LIBERAMENTE»
Chiara Bazzani, Gazzetta di Modena 13/9/2013
Stefano Rodotà, professore emerito di Diritto civile presso l'Università di Roma La Sapienza, sarà
in Piazza Grande a Modena, domani mattina alle 11.30 per presentare la sua lezione magistrale
dal titolo “Diritti d'amore”.
Prof. Rodotà, amare è un diritto?
«Il diritto non deve pretendere di stabilire che cosa sia l'amore e definirlo. Il diritto deve fare
un'altra cosa, cioè creare le condizioni affinchè possa essere liberamente vissuto, perché l'amore è
qualcosa che non può essere definito in astratto, ma ciascuno di noi lo ridefinisce continuamente
attraverso i propri comportamenti, le proprie scelte e le proprie passioni. Quindi il titolo della mia
lezione “I diritti d'amore” evidenzia che non si parla solo di un singolo diritto riconosciuto, ma della
necessità che il diritto non diventi un ostacolo e non venga adoperato come strumento per limitare la
possibilità di amare da parte delle persone».
Qual è la traiettoria storica sulla quale si è mosso il diritto?
«La traiettoria storica che è molto lunga. Per lungo tempo l'unico amore legittimo, cioè riconosciuto
dal diritto, è stato quello che si svolgeva all'interno del rapporto coniugale ufficiale, tutto il resto era
estraneo e in qualche misura il peccato di chi amava fuori dal matrimonio trovava anche una
sanzione giuridica. Per esempio i figli nati al di fuori del matrimonio sono stati per lungo tempo
privi di diritto. Per lungo tempo, quindi, il diritto ha avuto la funzione storica di legittimare soltanto
l'amore all'interno del rapporto coniugale. Ma anche lì con molte limitazioni e con molti riflessi
legati a un'organizzazione “gerarchica” della famiglia che penalizzava la donna».
Come stanno cambiando le cose più recentemente?
«Ci si è incamminati nella direzione che io ho indicato, cioè di una presenza molto più sobria e non
invasiva del diritto. Per esempio già con la riforma del diritto di famiglia del '75 l'organizzazione
familiare non è stata più affidata alla gerarchia. Nel codice fino a quel momento l'articolo chiave
cominciava con le parole “il marito è il capo della famiglia”. Inoltre, altro punto molto importante la
famiglia è stata ordinata sulla costruzione degli affetti, e non più soltanto sulla parità dei coniugi e i
diritti dei figli. Da qui, progressivamente sono scomparse tutta una serie di forme di
stigmatizzazione o di punizione, pensiamo in particolare al diritto che viene progressivamente
riconosciuto da parte di persone dello stesso sesso di avere delle relazioni giuridicamente
riconosciute».
Quanto ha influito la religione?
«Certamente la maniera in cui le religioni hanno affrontato questo tema ha sempre influenzato
fortemente le scelte dei legislatori, e non solo in Italia. Tutte le religioni hanno più o meno
intensamente cercato di ridefinire l'ambito della libera manifestazione degli affetti. Le religioni sono
state, da questo punto di vista, sempre molto costrittive con una considerazione non eguale delle
figure nella coppia. Anche se c'è un documento importante come “La lettera ai Corinzi di S. Paolo”,
che era per la piena eguaglianza, e diceva che gli stessi diritti dell'uomo sul corpo della donna ce li
aveva la donna sul corpo dell'uomo, poi, tutto questo è stato variamente reinterpretato in senso
restrittivo, anche da parte di tutta una storia di diritto canonico che ha limitato questa pienezza di
eguaglianza».
DIRITTO D’AMORE
Stefano Rodotà affronta al Festival Filosofia il rapporto tra leggi e passioni. Estratto della lectio
magistralis che Rodotà terrà oggi a Modena durante il festival di filosofia, dedicato quest’anno alla
parola “Amore”. (Repubblica 14/9/13)
“”Nel 1943, nella Roma occupata dai tedeschi, uno dei maggiori giuristi del tempo, Filippo
Vassalli, distoglie per un momento lo sguardo dal “tramonto sanguigno della nostra civiltà” e si
dedica a un piccolo e raffinato libro nel cui titolo, inattesa, compare la parola “amore”. Inattesa,
perché rompe la sequenza dei riferimenti a categorie giuridiche che vogliono ridurre il rapporto
amoroso a un potere proprietario sul corpo del coniuge. E perché impone l’attenzione per quella che
può apparire come una relazione impossibile – quella tra amore e diritto.
Nel definire la vita, Michel de Montaigne ne aveva parlato come di “un movimento ineguale,
irregolare, multiforme”. Qualcosa, dunque, che per la sua intima natura si presenta irriducibile alle
esigenze di un diritto che parla invece di eguaglianza, regolarità, uniformità, dunque di astrazioni
che non tollerano l’imprevedibile, il volubile, la sorpresa. Lo stesso può dirsi dell’amore, che
consegna alla vita il massimo di soggettività, la immerge nelle passioni, nell’intimo di motivi che la
regola giuridica non può e non vuole cogliere, perché intende parlare il linguaggio della ragione e
non dei sentimenti. Ancora una volta le ragioni del cuore che la ragione non può comprendere?
Forse il tentativo più intenso di sfuggire a questa logica conflittuale può essere cercato in un poema
di W. H. Auden, Law Like Love, dove un tratto comune è ritrovato nel fatto che, quando il diritto
viene considerato dal punto di vista della singola persona, diviene anch’esso legato ad una vita che
lo rende indefinibile in termini astratti, appunto come l’amore. Un paradosso poetico o una
indicazione di cui profittare?
Nell’esperienza storica, il diritto ha variamente definito un perimetro chiuso, l’unico all’interno del
quale l’amore può essere considerato giuridicamente legittimo – il rapporto coniugale. In questo
perimetro viene poi operata una seconda riduzione, riportando il rapporto tra i coniugi a uno schema
patrimoniale, che vede il coniuge proprietario del corpo dell’altro coniuge o creditore di prestazioni
sessuali.
Viene così costruito uno spazio giuridico recintato, governato dalla ragion pubblica e dall’autorità
maschile, nel quale l’amore è sostituito dalla gerarchia, con il marito “capo della famiglia”. Si
perdeva così il senso delle parole di Paolo nella prima Lettera ai Corinzi: «la moglie non ha potere
sul suo corpo, ma il marito. Allo stesso modo non è il marito ad avere potere sul proprio corpo, ma
la moglie». In questo reciproco possesso era fondata l’eguaglianza tra i coniugi, che morale
religiosa e regola giuridica poi tenacemente contrasteranno, in un contesto fatto di diffidenze, se
non di ostilità, di limiti imposti dal buon costume e dall’ordine pubblico, con barriere invalicabili
per un diritto riconducibile all’amore. Sul testo più rappresentativo della modernità giuridica, il
codice civile francese del 1804, non soffia lo spirito di Olympe de Gouges e della sua Dichiarazione
dei diritti delle donne e delle cittadine che, in nome del “sesso superiore per bellezza e coraggio”, si
apre proclamando che “la donna nasce libera e rimane eguale all’uomo per quanto riguarda i diritti”.
Al contrario, in quel codice il diritto di famiglia è impregnato delle “turcherie” di Napoleone che,
all’epoca della campagna d’Egitto, era stato colpito dal modo in cui il diritto islamico regolava i
rapporti tra donna e uomo. E il linguaggio del suo codice non potrebbe essere più eloquente: «il
marito ha il dovere di proteggere la moglie, la moglie di obbedire al marito». Un modello che si
diffonderà oltre i confini francesi, troverà accoglienza nella legislazione italiana, con una minuzia di
prescrizioni che allargherà ancora di più il fossato tra amore e diritto.
Obbedienza e subordinazione, logica autoritaria e patrimonialistica, senza spazio per gli affetti.
Certo, le donne non perdono il potere domestico, “il potere delle chiavi”, a condizione di rimanere
nel triangolo che la tradizione tedesca indica con le tre K di “Kinder, Kuche, Kirche” (bambini,
cucina, chiesa). E rimane il potere di influire sulla sfera pubblica grazie a quella che, sempre
Olympe de Gouges, ha chiamato «l’administration nocturne des femmes ».
Oltre questi confini il diritto fa comparire l’amore con i segni della stigmatizzazione sociale e della
sanzione penale. Reato l’adulterio; “figli della colpa” quelli nati fuori del matrimonio; repressione
della sessualità femminile; negazione dell’identità omosessuale; irrilevanza delle unioni di fatto. Ci
imbattiamo così in un “amore fuori legge”..
Sono queste le ripide mura da scalare per costruire una cittadinanza giuridica per l’amore. Per ciò il
diritto deve ritirarsi progressivamente da molti degli spazi che aveva occupato. E quindi: libertà
attraverso il divorzio al posto del matrimonio indissolubile; eliminazione dell’adulterio come reato;
riconoscimento della libertà sessuale attraverso il legittimo ricorso alle tecniche anticoncezionali e
alla interruzione della gravidanza; e, soprattutto, riforma del diritto di famiglia, che nel 1975
sostituisce il modello gerarchico con quello paritario, fondato sugli affetti, e riconosce i diritti dei
figli nati fuori del matrimonio. Al posto della norma costrittiva troviamo la volontà delle persone,
libere di costruire la loro vita e l’insieme delle relazioni, non più chiuse nel perimetro obbligato del
matrimonio. Scompaiono l’impropria identificazione tra peccato e reato e il peso di una morale di
cui il diritto si faceva custode, in una visione pubblicistica che vincolava le persone non alla
realizzazione dei sentimenti, ma alla stabilità sociale e alla continuazione della specie.
A fondamento di questo rinnovato modo di guardare alle persone troviamo il riconoscimento
dell’eguaglianza, la logica dei diritti fondamentali, la scoperta del corpo. Qui è visibile l’influenza
dal pensiero femminista, ineliminabile presenza critica. La centralità del corpo ridisegna il tema
dall’identità, propizia la rilevanza costituzionale del riferimento alle “tendenze sessuali”. L’amore
non è sciolto da tutti i vincoli, non è “il libero amore” associato ai momenti rivoluzionari. Ma l’aver
liberato la vita affettiva da una serie di obblighi coatti, l’aver attribuito un ruolo centrale alla
volontà delle persone, l’aver messo al centro dell’attenzione i dati di realtà e non solo le categorie
giuridiche, sono i fondamenti di un diverso rapporto tra amore e diritti.
Non siamo approdati ad una situazione pacificata. Forse la questione che meglio esprime tensioni e
opportunità è quella del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ormai centrale nel dibattito
pubblico e nella legislazione di un numero crescente di paesi, con una Italia che arranca, prigioniera
ancora di quella che Martha Nussbaum ha definito “la politica del disgusto”. Ma dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea viene una indicazione ineludibile: matrimonio e altre
forme di convivenza sono messe sullo stesso piano, e scompare il riferimento alla diversità di sesso.
Resi sempre meno costrittivi i vincoli giuridici, e accresciuta la possibilità per le persone di
utilizzare modelli diversi nei quali riversare il loro desiderio d’amare, possiamo dire che siamo di
fronte ad un amore “a bassa istituzionalizzazione”. Questo non fa certo scomparire un riferirsi
all’amore come travestimento del narcisismo, addirittura come giustificazione della pretesa violenta
di mantenere il possesso del corpo del partner. Ed è pure vero, come sottolinea Silvia Vegetti Finzi,
che «in un mondo incerto manca all’amore una cornice sociale che lo confermi e lo stabilizzi».
Sociale, appunto, sì che sarebbe un vano e pericoloso rifugiarsi nel passato esigere di nuovo un
diritto che si impadronisca della vita delle persone.”"
MATRIMONIO OMOSESSUALE, RODOTA’ STIMOLA IL DIBATTITO
Davide Miserendino, Resto del Carlino 15/9/2013
«Da questo punto di vista c'è grande arretratezza in Italia: sembra che la discussione non si possa
neanche aprire». Parliamo di matrimonio omosessuale, uno dei temi caldi del dibattito politico degli
ultimi mesi. Le parole sono del professar Stefano Rodotà, il giurista che, dopo le ultime elezioni,
sembrava avere tutte le carte in regole per diventare presidente della Repubblica.
Ieri, seconda giornata del Festival Filosofia, era uno degli ospiti più attesi. In piazza Grande ha
tenuto una lezione dal titolo “Diritto d'amore”: una lucida analisi sulle unioni contemporanee. Sui
ciottoli c'era il pubblico delle grandi occasioni; un fiume di pensatori che ha attraversato le strade
del centro, in una mano l'inconfondibile libretto rosso della kermesse, nell'altra — intorno all'ora di
pranzo — il sacchetto spartano della razion sufficiente, il pranzo filosofico a buon mercato.
Tornando a Rodotà, i suoi cavalli di battaglia sono stati due: il matrimonio omosessuale e il
femminicidio. Dice: «L'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non parla
di forme di matrimonio sovraordinate ad altre e non fà riferimento al sesso, maschile o femminile.
Si è scelto quindi di andare oltre il sesso come condizione di legittimità. Noi, in Italia, non abbiamo
nemmeno aperto questo dibattito, e questo è sintomo di grande arretratezza».
Secondo Rodotà la parificazione delle forme di matrimonio da parte del legislatore assume
un valore enorme perché il diritto ha un forte peso simbolico: «La filosofa Martha Nussbaum parla
di politica del disgusto. E' l'ostilità che si prova nei confronti di alcuni gruppi sociali (ad. esempio
gli omosessuali, ndr). Ecco, bisognerebbe passare dalla politica del disgusto alla politica
dell'umano. L'amore è legato all'umanità, e come diceva Hannah Arendt certi diritti dovrebbero
essere garantiti dall'umanità stessa».
Il giurista ha parlato anche di femminicidio, ricordando che «non si tratta certo di una novità. E' il
frutto di un atteggiamento proprietario dell'uomo nei confronti della donna. Quante volte avete
sentito dire i diritti dell'uomo e gli obblighi della donna?».
Un altro aspetto fondamentale dell'esperienza dell'amore è stato analizzato dall'antropologo Franco
La Cecla, che ha affrontato il doloroso tema dei “congedi”. «Lo
sanno tutti, è più facile essere lasciati piuttosto che lasciare — ha detto — C’è infatti, chi è talmente
abile che riesce a farsi lasciare. Le donne sono più brave a giustificare il lasciamento degli uomini,
anche questo è noto. In fondo sono professioniste delle emozioni». La Cecla ha anche messo in
guardia dai giudizi sulle identità sessuali: «Sono costruzioni culturali, non si può dire cosa è bene e
cosa è male».
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