effetti economici delle imposte

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SCIENZA DELLE FINANZE
GLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE
EFFETTI MACROECONOMICI (Musgrave):
• sono determinati dalla pressione fiscale complessiva;
• si riferiscono all'equilibrio economico globale e, quindi, alla domanda globale, all'offerta
globale, al livello generale dei prezzi, alla distribuzione del reddito nazionale, all'allocazione
delle risorse;
• non possono essere separati dagli effetti della spesa pubblica.
EFFETTI MICROECONOMICI (Marshall):
• sono determinati dalle singole imposte;
• si riferiscono al settore colpito o a quelli collegati;
• derivano dalle reazioni del contribuente e cioè: evasione, elusione, rimozione (positiva o
negativa), traslazione, ammortamento, diffusione.
Dunque, di fronte all'imposizione fiscale, le possibili reazioni sono le seguenti:
EVASIONE: si concreta nella violazione dell'obbligo tributario mediante l'occultamento totale o
parziale della materia imponibile. Esempio: un particolare tipo di evasione dell'imposta è
costituito dal contrabbando che consiste nell'importazione di merci senza il pagamento del
dazio dovuto.
Evasione totale > l'evasore non fornisce agli uffici fiscali le dichiarazioni o le notizie a cui per
legge è tenuto sottraendosi, così, all'imposta dovuta per il suo reddito o per il suo patrimonio.
Frode fiscale > è una attività fraudolenta diretta a trarre in inganno l'amministrazione finanziaria:
alterazione di scritture, falsificazione o distruzione di documenti...
Evasione parziale > l'evasore non omette le dichiarazioni fiscali ma rivela solo una parte della
materia imponibile e paga le imposte solo per la parte dichiarata.
Conseguenze economiche > l'evasione provoca una diminuzione del gettito e altera la distribuzione
del carico tributario; ne consegue, nel lungo periodo, un aumento della pressione fiscale sulle
categorie dei contribuenti onesti. Inoltre, l'evasione provoca distorsioni nella concorrenza sul
mercato: le imprese che evadono possono praticare prezzi più competitivi rispetto a quelle che
pagano le imposte dovute.
Conseguenze giuridiche > per combattere l'evasione fiscale gli Stati adottano sanzioni
amministrative e penali ma tali misure hanno scarsa efficacia se i sistemi di accertamento e di
riscossione non funzionano in modo efficiente.
ELUSIONE: si configura quando il soggetto pone in essere operazioni o atti che, pur non essendo di
per sé illeciti, non hanno alcuna valida giustificazione economica e sono diretti, esclusivamente, ad
aggirare (eludere) obblighi o divieti previsti dalle leggi fiscali in modo da ottenere una indebita
riduzione del carico tributario. Es. una società attiva ne incorpora un'altra, gravemente
dissestata, al solo scopo di imputarne le perdite al proprio bilancio e ridurre, così, l'utile
imponibile. La possibilità di elusione è tanto più ampia quanto più le norme fiscali sono
tecnicamente imperfette o scarsamente coordinate tra loro: è, infatti, facile approfittare delle lacune
della legislazione o dei dubbi interpretativi; comunque, al fine di eliminare situazioni di incertezza, i
contribuenti possono rivolgersi all'Agenzia delle Entrate per un parere (istanza di interpello).
EROSIONE: consiste nel minore gettito dell'imposta causato da sgravi fiscali o deduzioni
dell'imponibile previsti dalla legge; si tratta di un fenomeno perfettamente lecito perchè
specificamente previsto dalla legge. L'erosione può anche dipendere dal fatto che determinati redditi
sono tassati in base ad aliquote più favorevoli; si pensi agli interessi maturati dai titoli di Stato.
RIMOZIONE: si ha quando il contribuente modifica le sue scelte rinunciando a svolgere, in tutto o
in parte, l'attività economica che potrebbe dar luogo all'applicabilità dell'imposta oppure evita, nello
svolgimento dei propri affari, le forme organizzative che sono colpite dalle imposte più gravose. Es.
rinuncia ad acquistare beni che vengono gravati da imposte di consumo; sceglie forme
contrattuali che ricevono un trattamento fiscale agevolato. Si pensi al consumatore che
acquista un'automobile di bassa cilindrata per evitare di pagare la forte imposta che grava
sugli autoveicoli di cilindrata superiore.
Rimozione negativa > è il comportamento diretto a ridurre il livello di attività nel campo colpito
dall'imposta; se diffuso, tale fenomeno comporta per il fisco una riduzione del gettito e, per il
sistema economico, un ristagno della produzione o della circolazione dei beni nel settore colpito.
Rimozione positiva > è il comportamento del contribuente che reagisce positivamente
all'imposizione cercando di lavorare di più per compensare, con un reddito più alto, il peso del
prelievo; tale fenomeno si verifica quando il contribuente ha un reddito e un tenore di vita molto
bassi.
DIFFUSIONE: è il processo di propagazione degli effetti dell'imposta nel circuito dell'economia;
un'imposta colpisce certi soggetti o un dato settore dell'economia > questi soggetti reagiscono
all'imposta con comportamenti che si ripercuotono su altri soggetti che reagiscono a loro volta.
AMMORTAMENTO (O CONSOLIDAMENTO O CAPITALIZZAZIONE): è il fenomeno per cui
l'introduzione o l'aumento di un'imposta sul reddito di un terreno o di un fabbricato determina una
diminuzione del valore patrimoniale cioè del prezzo di mercato di quel terreno o fabbricato.
TRASLAZIONE: il contribuente che ha subito un prelievo riesce a trasferire l'onere economico su
altri soggetti mediante un aumento del prezzo del bene o del servizio cui il tributo si riferisce.
Contribuente di diritto > è il soggetto che subisce l'imposta: è a lui che si riferisce, sul piano
giuridico, il rapporto con l'ente impositore.
Contribuente di fatto > è il soggetto su cui ricade economicamente il peso dell'imposta.
Fasi > percussione, con cui viene individuato il soggetto percosso; traslazione, con cui il
contribuente percosso tenta di trasferire su altri l'onere dell'imposta; incidenza, con cui viene
individuato il soggetto che, di fatto, sopporta l'onere dell'imposta.
Direzione della traslazione > traslazione in avanti (è il caso più frequente): l'imposta colpisce il
produttore o colui che offre un bene o un servizio e questi, mediante un aumento del prezzo, ne
trasferisce il peso sugli acquirenti o sugli utenti.
Traslazione all'indietro : l'imposta si applica direttamente sui consumatori o sugli acquirenti di un
bene o di un servizio e determina, come reazione, una contrazione della domanda o una riduzione
del prezzo riducendo il profitto del venditore che, di fatto, rimane inciso dall'imposta. Può anche
verificarsi il caso del produttore che chieda al fornitore una riduzione sul prezzo delle materie
prime; il produttore lascerà, così, invariato in prezzo di vendita di ogni unità del bene venduto e
traslerà il peso dell'imposta sul fornitore.
Traslazione laterale o obliqua : consiste nel trasferire l'onere dell'imposta, attraverso un aumento o
una riduzione del prezzo, sul venditore o sull'acquirente di beni o servizi diversi da quelli colpiti
dall'imposta (si pensi al caso in cui la produzione della benzina venga assoggettata ad un aumento
di imposta: i produttori possono lasciarne inalterato il prezzo e aumentare, invece, il prezzo del
gasolio che, comunque, è un prodotto che si ottiene dallo stesso processo di raffinazione del
greggio).
Presupposti della traslazione > la traslazione si verifica quando vi sono due condizioni:
• destinazione allo scambio > l'imposta deve avere come oggetto beni o servizi destinati allo
scambio; infatti, la traslazione opera nel campo delle imposte indirette sui consumi e sugli
affari che si riferiscono a scambi di merci e ad operazioni economiche. Anche le imposte
dirette possono dare luogo a traslazione quando hanno carattere reale e si applicano in modo
specifico su determinate categorie di redditi come salari, interessi, rendite, profitti. Così, se
l'imposta colpisce i redditi di lavoro, i lavoratori potranno rifarsi chiedendo ai datori di
lavoro un retribuzione più elevata; se colpisce il reddito dei fabbricati, i proprietari
tenderanno a scaricare il relativo onere sugli inquilini mediante un aumento dei canoni di
locazione. Non sono suscettibili di traslazione le imposte personali perchè queste colpiscono
globalmente l'intera ricchezza posseduta dal contribuente che non è oggetto di scambio né
dà luogo alla formazione di un prezzo;
•
modificabilità del prezzo > la traslazione non può attuarsi quando i prezzi sono rigidi e
immodificabili come accade quando non si formano sul mercato ma sono fissati da norme di
legge inderogabili.
A prescindere dalla sussistenza o meno delle condizioni sopra descritte, la traslazione può essere
agevolata oppure ostacolata da vari fattori come le caratteristiche dell'imposta, l'elasticità della
domanda, la mobilità dei capitali, l'andamento dei costi, il regime di mercato; in ragione di ciò la
tematica della traslazione viene studiata con riferimento ai due modelli teorici della concorrenza
perfetta e del monopolio assoluto e, quindi, riferita ai regimi intermedi di mercato che si riscontrano
nella realtà economica.
Il fenomeno della traslazione viene studiato nell'ambito della teoria dell'incidenza dell'imposta:
noi sappiamo che ogni imposta grava su di un soggetto passivo, obbligato a pagarla, ma non
sempre il contribuente di diritto è, effettivamente, colui che paga l'imposta. Come affermato
all'inizio di questo paragrafo, l'introduzione dell'imposta determina significativi cambiamenti
nel comportamento dei soggetti che, in alcuni casi, cercano di trasferirne l'onere, in tutto o in
parte, su soggetti diversi che possiamo definire contribuenti di fatto. La teoria dell'incidenza di
imposta studia i cambiamenti nella distribuzione del reddito che intervengono quando
l'imposta viene pagata da un soggetto diverso dal contribuente di diritto.
LE CRITICHE AL PRINCIPIO DELLA PROGRESSIVITA'
Secondo alcuni autori (tra cui Mill, sostenitore della teoria del sacrificio uguale) il criterio della
progressività genera un eccesso di pressione che penalizza, in modo particolare, le persone che
producono di più. (Mill, infatti, riteneva che un'imposta proporzionale fosse equa, in quanto
realizzava l'uguaglianza dei sacrifici.
Supply side economics o “economia dell'offerta” è una corrente di pensiero che, verso la fine degli
anni 70, critica fortemente la tassazione progressiva. Secondo tale teoria, una progressività
esasperata diminuisce l'incentivo a lavorare e aumenta quei fenomeni economici dannosi come
l'evasione e la rimozione dell'imposta. Il suo esponente più illustre è Arthur Laffer, un economista
californiano che, nel 1979, in un rapporto diretto al Congresso americano, sostiene che una
riduzione delle aliquote dell'imposta progressiva avrebbe aumentato il gettito dell'imposta sul
reddito. Si racconta che, durante una discussione tra amici, in un bar, Laffer abbia sintetizzato la sua
idea mediante una rappresentazione grafica tracciata su di un tovagliolo di carta, giunta fino a noi
col nome di “curva di Laffer”. L'economista osserva che il gettito tributario di una nazione è pari a
0 non solo quando l'aliquota dell'imposta è 0 ma anche quando l'aliquota è del 100%: infatti,
nessuno produrrebbe un reddito sapendo che dovrà versarlo interamente allo Stato!
Negli anni 80, queste considerazioni ispirarono le scelte di politica fiscale di alcuni Paesi; in
particolare, i governi conservatori di Margaret Thatcher in Inghilterra e di Ronald Reagan negli
Stati Uniti, sostenitori del liberismo economico, abbandonarono o attenuarono l'imposta progressiva
per adottare la flat rate tax > un'imposta basata su due soli scaglioni di reddito cui corrispondono
due aliquote piuttosto basse e poco distanti l'una dall'altra (si tratta, in pratica, di imposte quasi
proporzionali). Occorre, però rilevare che la politica di diminuzione del carico fiscale, adottata da
Reagan nei primi anni 80 del 900, non ha sortito i risultati ipotizzati da Laffer, anzi ha costretto le
Amministrazioni successive (da quella repubblicana di Bush senior a quella democratica di Clinton
ad aumentare nuovamente le tasse per far fronte al deficit che si era creato.
EFFETTI DELLE IMPOSTE SULLA PROPENSIONE AL RISPARMIO
La tassazione modifica le scelte tra consumo e risparmio: vediamo come.
L’imposta generale sui redditi (tutti i redditi, anche le rendite da risparmio investito) comporta una
doppia tassazione del risparmio: nel presente, come parte del reddito effettivamente prodotto; nel
futuro, perché colpisce anche gli interessi maturati. Tale imposta riduce il valore effettivo degli
interessi percepiti e costituisce un freno al risparmio > il contribuente preferirà il consumo presente
al consumo futuro (basato sul risparmio). Si pensi, poi, che gli attuali sistemi di tassazione
colpiscono l’interesse nominale e non quello reale, determinando un ulteriore eccesso di pressione
sul risparmio che viene, perciò, disincentivato.
Viceversa un’imposta sui consumi certamente incentiva la propensione al risparmio ma è anche
vero che essa finisce per colpire i soli redditi da attività lavorative che costituiscono la fonte con cui
si effettuano i consumi, rimarrebbero esenti i redditi da capitale aprendo, così, indubbi problemi di
equità. È noto, infatti, che la propensione al consumo è più elevata per coloro che dispongono di un
reddito basso, sul quale finirebbe per gravare il peso dell’imposta che avrebbe, quindi,
caratteristiche regressive.
Infine, se analizziamo la questione in termini macroeconomici, possiamo affermare che la riduzione
del reddito, conseguente all’imposta sui consumi, può ridurre il risparmio aggregato più di quanto
farebbe un’imposta generale sui redditi prodotti. Quest’ultima, infatti, a parità di gettito, può
utilizzare un’aliquota inferiore perché la base imponibile è più vasta.
Insomma, la scelta rimane problematica e non vi sono soluzioni univoche!
EFFETTI DELLE IMPOSTE SUI PROFITTI
Il sistema fiscale influenza l’imprenditore nella scelta dei fattori produttivi > già negli anni scorsi
abbiamo studiato che, nei mercati concorrenziali, le imprese perseguono l’obiettivo del massimo
profitto e, quindi, impiegano i fattori produttivi (lavoro e capitale) fino al punto in cui le loro
produttività marginali sono uguali ai rispettivi costi. Le imposte che gravano sull’impresa
condizionano le scelte dell’imprenditore che, in alcuni casi, sarà portato ad allontanarsi dalle
condizioni di efficienza; un esempio importante è dato dal cuneo fiscale. Si definisce cuneo fiscale
la somma delle imposte che pesano sul costo del lavoro: è la differenza tra quanto un dipendente
costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente trova in busta paga; in Italia questa differenza è
molto alta. Per comprendere l’entità del cuneo fiscale si fa riferimento sia agli studi dell’ISTAT
(Istituto nazionale di statistica) sia all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico); in particolare il rapporto OCSE stabilisce che il cuneo fiscale italiano, nel 2012, è stato
pari al 47,6%: per ogni 100 euro di stipendio lordo, un datore di lavoro versa 32 euro allo Stato
(24,3% del totale) mentre il dipendente contribuisce con 31 euro (23,3%); su 132 euro spesi
dall’impresa la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è di 69 euro.
Nel rapporto OCSE, l’Italia si trova al sesto posto nella classifica dei Paesi europei per maggiore
costo del lavoro, inoltre l’Italia ha una delle tassazioni sul reddito più alte in assoluto: solo Belgio,
Finlandia e Danimarca hanno una tassazione più alta ma con ben altri servizi.
Secondo il Sole 24 Ore, la riduzione del cuneo fiscale è il modo più efficace per riacquistare
competitività, beneficiare della crescita della domanda estera, aumentare il potere di acquisto delle
famiglie il che, nel medio periodo, porterebbe ad una crescita della domanda interna; senza contare
che le assunzioni meno onerose farebbero aumentare le opportunità per chi cerca lavoro.
Il sistema tributario influenza l’imprenditore nelle scelte di finanziamento > normalmente
l’imprenditore sceglie tra l’indebitamento e l’uso di capitale proprio e, come sappiamo, tale scelta
dipende dal rapporto tra il tasso di interesse di mercato e il saggio di rendimento che l’investimento
è in grado di offrire perciò un investimento gravato da un’imposta si fa solo se il suo rendimento
riesce ad annullare l’effetto dell’imposta.
Possiamo perciò concludere che l’imposta sui profitti condiziona l’imprenditore facendogli preferire
il ricorso all’indebitamento (quando il guadagno ottenuto con l’investimento è tale da coprire gli
interessi passivi); viceversa se l’impresa si finanzia con capitale proprio il profitto tassato finisce
con l’essere inferiore alla produttività marginale del capitale e l’impresa è costretta a ridurre il
volume degli investimenti al di sotto del livello ottimale.
EFFETTI DELLE IMPOSTE SULLA PROPENSIONE AL RISCHIO
L’imposta sui capital gain è l’imposta sui guadagni in Borsa > secondo l’economista Musgrave,
l’unica imposta in grado di incrementare la propensione al rischio è l’imposta sulle plusvalenze
nette che permette di portare a deduzione dell’imponibile le perdite eventualmente registrate su
alcuni titoli in portafoglio. Ciò permette di realizzare un regime fiscale che garantisce un
incremento di gettito per lo Stato e un aumento della propensione al rischio; ma per ottenere tale
risultato sarebbe necessario che le aliquote fossero identiche su tutti i titoli in contrattazione cosa
che non avviene: infatti, nel nostro Paese, i titoli di Stato sono soggetti ad aliquote inferiori rispetto
ai titoli azionari, inoltre le persone fisiche sono assoggettate ad un regime diverso rispetto alle
persone giuridiche.
Infine, un’osservazione sull’imposta sulle transazioni che è commisurata al numero delle
transazioni di titoli quindi al numero degli scambi non alle pusvalenze: essa provoca un effetto
immobilizzo perché spinge gli operatori a realizzare le transazioni solo se le relative plusvalenze
coprono l’onere dell’imposta.
GLI EFFETTI MACROECONOMICI DELLE IMPOSTE
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