Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 22/6/2000 Giancarlo Magnani in proprio e quale tutore di Magnani Alessandra, Rosangela Mainardi e Mara Magnani convenivano in giudizio gli Istituti Clinici di Perfezionamento per sentire dichiarare la loro responsabilità in relazione alla produzione delle gravissime lesioni riportate dalla congiunta, rispettivamente figlia e sorella , Magnani Alessandra, a seguito dell’ intervento chirurgico subito in data 24/9/1998 . Si costituiva l’ ente citato contestando la propria responsabilità e chiamando in garanzia la RAS spa e le altre compagnie coassicuratrici per la responsabilità civile. Ritualmente citate, si costituivano tutte le compagnie assicuratrici RASspa, Nuova MAA Ass.ni spa, C.I.R.A. spa, S.I.A.T. spa, LLOYD Adriatico spa, AXA spa dando atto di avere versato agli attori la somma di L. 400.000.000 e chiedendo il rigetto della domanda . In istruttoria veniva disposta ctu medica affidata ad un collegio peritale di tre esperti ( medico legale-neurologo, medico chirurgo e medico anestesista) sulla persona di Magnani Alessandra. Nelle more del giudizio, in data 19/12/2002, Alessandra decedeva e gli attori si costituivano quali eredi della stessa, modificando conseguentemente le proprie domande risacitorie. Intanto le compagnie assicuratrici della convenuta avevano versato agli attori nel giugno 2001 l’ ulteriore somma di L. 2.000.000.000 Con separato atto di citazione notificato il 28/7/2003 gli attori convenivano in giudizio gli Istituti Clinici di Perfezionamento per chiedere il risarcimento del danno esistenziale che assumevano patito in relazione alla tragica vicenda che aveva coinvolto l’ intero nucleo familiare Costituitosi regolarmente il contraddittorio, e chiamate in causa le compagnie di assicurazione, le due cause venivano riunite stante l’ evidente connessione oggettiva e soggettiva, dopo di che, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe, il G.I. tratteneva la causa in decisione Motivi della decisione La ricostruzione della storia clinica di Alessandra Magnani costituisce premessa indispensabile per la decisione, a tal fine verranno utilizzate le risultanze delle consulenze tecniche esperite in questa sede ed in sede penale e prodotte dalle parti . La paziente, a seguito di accertamenti clinici che ponevano il sospetto di una patologia neoplastica a carico dell’ apparato riproduttivo, risulta essere stata sottoposta in data 24/9/1998 ad un complesso intervento di Laparoscopia diagnostica. Laparoisteroannessiectomia bilaterale. Omentectomia. Appendicectomia. Linfoadenectomia iliaca bilaterale.Biopsie multiple. Sui pezzi operatori inviati all’ esame istologico fu formulata la seguente diagnosi: Cisotadenocarcinoma sieroso papillifero ben differenziato,grado 1 su 3 FIGO con estese aree di psammocarcinoma con metastasi diffuse. L’ intervento chirurgico, condotto regolarmente e senza alcuna anomalia, ebbe inizio alle h.11,40 e termine alle h.14,50 allorchè in cartella clinica risulta effettuata l’ estubazione ed il trasferimento in sala di risveglio prima del trasporto in reparto . E’ pacifico ( perché non contestato dall’ ospedale convenuto e perché ammesso dall’ anestesista dr.Degradi nel processo penale che l’ ha vista imputata e condannata ) che fino a questo momento la paziente è stata assistita dall’ anestesista che l’ ha accompagnata fuori dalla sala operatoria e che, subito dopo, si è allontanata per recarsi in altro padiglione per una chiamata d’urgenza, affidando la Magnani alla collega Cardani, anestesista specializzanda e già impegnata in altra sala operatoria, la quale, per di più, in quel momento sembra stesse parlando al telefono . E’ da questo momento che le condizioni della Magnani precipitano: alle 15,00 il diario clinico la descrive “ soporosa con respiro spontaneo. Si pone maschera con O2” ma subito dopo viene altresì indicata “cianosi labiale, brachicardia sinusale. Arresto cardiaco” Si interviene con massaggio cardiaco ventilazione, intubazione e tutte le manovre di rianimazione intensiva necessarie fino ad ottenere alle h. 15,20 la ripresa del ritmo cardiaco e di una discreta respirazione spontanea, ma non la coscienza, che la paziente non recupererà mai più. I successivi periodi di degenza in reparto di rianimazione e di terapia intensiva e le terapie riabilitative domiciliari eseguite (analiticamente descritte dai ctu alle pagg. 5-6-7 della relazione) non hanno migliorato la situazione che, all’ atto delle dimissioni definitive della Magnani era la seguente “ Stato vegetativo persistente: nessun contatto verbale o visivo, tatraparesi spastica, paralisi pseudobulbare, deficit del 3° n.c. di sinistra.” Tale stato non è sostanzialmente variato nel tempo: alla data di visita (5/10/99) del consulente del P.M. la paziente appariva in stato di coma apallico permanente, probabilmente irreversibile con mancanza di contenuto di coscienza, totale afasia, aprassia, agnosia ( cfr. relazione dr. Motta- prof. Bortoluzzi in atti ) alla data di visita (26/10/2002) dei ctu gli stessi hanno confermato la totale assenza di funzioni cognitive, nessuna relazione cosciente, relazioni con l’ ambiente limitate ai soli fenomeni riflessi. Tale stato vegetativo è stato causato, come hanno spiegato i ctu, da una grave sofferenza encefalica diffusa, cortico-sottocorticale, di tipo anosso-anemico–ischemico, insorta durante il periodo di risveglio dall’ anestesia L’ anossia anossica ( insufficienza respiratoria) dipende, dall’ effetto,non adeguatamente controllato, del curaro ( coda curarina) unitamente agli effetti della ipokaliemia sulla muscolatura diaframmatica e respiratoria accessoria che, paralizzata, non può espandere la gabbia toracica e consentire l’ ossigenazione . L’ anossia anemica deriva dalla rilevante perdita ematica verificatasi durante l’ intervento e l’ anossia ischemica dalla insufficienza della pompa cardiaca, ma questi ultimi, hanno precisato i ctu, hanno rivestito un ruolo secondario rispetto al fattore eziopatogenico principale, cioè l’ anossia anossica . La cianosi labiale malgrado l’ applicazione di maschera do O2 denunciava un quadro di insufficienza respiratoria acuta ed avrebbe richiesto secondo gli esperti l’immediata applicazione di ventilazione artificiale, cosa che non è avvenuta, la protratta anossia ha poi determinato la bradicardia ed il successivo arresto cardiocircolatorio. Non è desumibile dalla cartella clinica il tempo per cui tale arresto si è protratto, ma è evidente con un giudizio ex post, che lo stesso si è protratto oltre i limiti di un possibile recupero della funzione cerebrale . Se, com’ è nozione di comune esperienza, il tempo fisiologico di arresto del respiro e di mancata ossigenazione è di circa tre minuti, è evidente che nella fattispecie, tale situazione si è protratta per un tempo superiore, conclusione che è del tutto compatibile con le indicazioni della cartella clinica, che registrano un primo intervento con applicazione di maschera dopo dieci minuti dalla estubazione ( alle h. 15,00 ) dopo di che sono verosimilmente trascorsi altri minuti prima che fosse compresa la gravità della situazione ed iniziassero le manovre varie (atropina,massaggio cardiaco esterno, ventilazione,adrenalina, incannulazione ) che conducevano alle h. 15,20 alla ripresa della respirazione spontanea. In altre parole se la paziente fosse stata adeguatamente sorvegliata da personale esperto nei momenti immediatamente successivi all’uscita dalla sala operatoria, in particolare dalle h. 14,50 alle 15 e tra le h. 15 – 15,20 sarebbe apparsa la difficoltà respiratoria e sarebbero immediatamente state adottate le misure adeguate che, verosimilmente, non consistevano nel semplice ricorso alla maschera di O2, che è la prima indicazione contenuta nella cartella clinica, peraltro segnata alle h. 15,00, quando la difficoltà respiratoria era già in atto. Invece l’anestesista che aveva assistito all’ intervento si era allontanata affidando con un cenno la paziente alla collega specializzanda, come pure è risultato essersi allontanata dalla sala risveglio anche altro componente dell’equipe di turno ( l’ infermiera professionale De Marco), così che per alcuni minuti, pochi ma decisivi, la paziente è rimasta priva di assistenza e sorveglianza. Pertanto i consulenti tecnici d’ ufficio hanno concluso riconoscendo la condotta colposa dei sanitari convenuti, sia per non avere adeguatamente assistito la paziente nella fase del risveglio dall’ anestesia, ritardando la reintubazione, che per non avere adeguatamente corretto nel corso dell’ intervento l’anemia e l’ ipokaliemia ( causate dalle considerevoli perdite ematiche veificatesi), introducendo così un ulteriore fattore di insufficienza respiratoria. Il convenuto ha vivamente censurato le conclusioni fin qui illustrate sollecitando una integrazione della indagine peritale che però si è conclusa con la sostanziale conferma delle conclusioni già rassegnate dai ctu. In particolare il convenuto e le terze chiamate hanno eccepito : 1) che non esistono elementi per sostenere che ci sarebbe stato un grave ritardo nel trattamento rianimatorio sia perchè non è emerso per quanto tempo la mancata assistenza si sarebbe protratta, sia perché i ctu non hanno affermato che in caso di tempestivo trattamento le conseguenze non si sarebbero sicuramente verificate, sia infine perché l’ insufficienza respiratoria si è manifestata solo nell’ area di risveglio come evento imprevisto ed imprevedibile, occorso dopo una iniziale, regolare ripresa della respirazione 2) che l’indicazione della percentuale di invalidità nel 98% (la relazione peritale si è infatti conclusa con la quantificazione del danno biologico della perizianda in tale misura) sarebbe errata perché non tiene conto della grave patologia tumorale di cui soffriva la Magnani e che incideva di per sé per il 50% sulla efficienza psicofisica della stessa. 3) che va escluso nesso di causalità fra il decesso e l’ incidente verificatosi nel post operatorio, dovendosi ascrivere la morte della Magnani alla patologia tumorale Tali rilievi risultano sottoposti all’ esame dei consulenti d’ ufficio .i quali nel supplemento di relazione peritale hanno ribadito che all’ uscita della sala operatoria la paziente non aveva acquistato una completa e definitiva autonomia respiratoria e che è esperienza comune anestesiologica che pazienti che riprendono una parziale attività respiratoria, dopo 5-10 minuti possono smettere di respirare per esauriibilità muscolare da coda curarica. A ciò va aggiunto che, anche dalle perizie tecniche esperite in sede penale emerge che allorché la paziente venne estubata non aveva ripreso la vigilanza ed aveva un respiro appena sufficiente. immediatamente era apparsa soporosa e questo aspetto avrebbe dovuto essere recepito come un segnale d’ allarme ed adeguatamente trattato.. Dagli accertamenti tecnici –molto più accurati invero – effettuati in sede penale è emerso che la sala risveglio non era attrezzata con un saturimetro , strumento in grado di misurare la saturazione dell’ ossigeno nel sangue grazie al quale sarebbe stato possibile verificare immediatamente la regolarità del respiro, e dunque, tale carenza imponeva un maggiore e costante livello di attenzione da parte del personale sanitario con una rilevazione costante dei parametri : polso pressione respiro, giacchè un respiro superficiale o un aumento della frequenza cardiaca sono sintomi di una insufficienza respiratoria. La cartelle clinica nulla dice di quanto avvenuto nel lasso di tempo tra le h. 14,50 e le h. 15,00. e si tratta di un tempo, come si è in precedenza detto, del tutto compatibile con il verificarsi di un arresto cardiaco di durata tale da provocare le conseguenze irreversibili poi constatate sulla persona della Magnani. Quanto poi alla tesi che l’ arresto circolatorio sarebbe stato un evento imprevisto ed imprevedibile – tesi sostenuta anche nel processo penale dal ct dell’ anestesista imputata dr. Degradi - deve rilevarsi che lo stesso ct ha ipotizzato un evento del genere “ effetto rebound” (= ripresa di effetto dei farmaci neurolettici utilizzati con funzione sedativa) ammettendo che è raro, ma conosciuto in letteratura. Pertanto, a maggior ragione, proprio in considerazione di tali possibili e conosciute evenienze un’ assistenza e vigilanza continue e costanti sarebbero state nella fattispecie non solo opportune, ma indispensabili per fronteggiare eventi noti e prevedibili . Quanto alle conseguenze della mancata, tempestiva adozione di misure adeguate, pur ricavandosi le stesse implicitamente dalle conclusioni della ctu esperita in questa sede, sono desumibili dalla relazione tecnica del perito del P.M. che così si conclude “ un tempestivo rilievo dello stato di anossia ed un suo immediato ed idoneo trattamento ( tanto più possibile in quanto la paziente era allocata in sala di risveglio) avrebbero potuto e dovuto impedire il devastante danno cerebrale nella fattispecie prodottosi. Venendo ora a trattare della rilevante questione del nesso di causalità fra condotta colposa del convenuto e decesso, dalla sentenza penale si rileva che una perizia tecnica lo aveva escluso, ma si ignora con quali motivazioni, non essendo stato prodotta la relazione peritale. In questa sede non sono stati effettuati accertamenti tecnici specifici sul punto, i ctu , visitata la perizianda il 26/10/02, avevano rilevato come allo stato vegetativo persistente si associasse una grave patologia neoplastica maligna metastatica, (evidenziata da presenza di noduli di consistenza duro-elastica intraadominali, fissi alla parete, di dimensioni variabili, verosimilmente riferibili a ripetizioni metastatiche) costituente di per sè fattore prognostico negativo. I ctu avevano quindi formulato una previsione di sopravvivenza di 12 mesi ( la Magnani è infatti deceduta due mesi dopo la visita dei periti) tenendo conto della combinazione delle due condizioni patologiche non senza prima precisare però che, sulla base della letteratura scientifica, anche in ipotesi ottimali di cura, la sopravvivenza massima dei pazienti in stato vegetativo persistente non è superiore ai dieci anni . In altre parole, lo stato vegetativo avrebbe comunque provocato la morte, probabilmente in un tempo più lungo, la patologia tumorale l’ ha solo eventualmente accelerata. Pertanto, ai fini della responsabilità civile di cui qui si discute l’ accertamento in concreto di quale sia stata la causa del decesso è irrilevante, essendo certo che la Magnani, anche in assenza della malattia tumorale, era destinata a morte sicura per effetto del coma vegetativo persistente ed irreversibile causato dalla negligenza dell’ ospedale convenuto . Si trattava di una condanna a morte già pronunciata, di un evento certo ed ineludibile, di un’agonia cui la malattia tumorale ha forse pietosamente posto fine in via anticipata Il decesso si poneva come conseguenza certa, immediata e diretta delle lesioni subite dalla sfortunata Magnani, così come prevede l’ art. 1223 cc., non vi è prova invece ( di cui era onerata la convenuta ex art. 1218 cc.) che la concomitante malattia tumorale fosse destinata ad evolvere negativamente nel tempo breve ( anzi, le statistiche delle sopravvivenze dei tumori all’ ovaio allegate alla ctu indicano in molti casi possibilità di sopravvivenza in percentuale elevata), né che in concreto sia stata nella fattispecie causa unica ed esclusiva dell’ evento letale, si da interrompere il nesso di causalità con l’ azione dannosa dei sanitari dell’ ospedale convenuto. In conclusione in mancanza di prova certa della causa del decesso, non si può escluderne una e privilegiare l’ altra e deve concludersi – come indicato dai ctu - che lo stesso sia stato effetto della combinazione delle due condizioni patologiche, entrambe costituenti perciò concause parimenti efficienti del determinismo letale. Richiamando i principi generali di cui all’ art. 41 cp., deve ricordarsi che il concorso di cause preesistenti, concomitanti o sopravvenute, anche se indipendenti dall’ azione o omissione del colpevole, non è di per sé idoneo ad escludere il rapporto di causalità fra azione/omissione ed evento. Accertata la responsabilità della convenuta, ed il suo obbligo risarcitorio che si fonda sia su uno specifico inadempimento contrattuale al dovere di diligenza richiesto nella situazione concreta, sia su una condotta illecita dalle quale sono derivati ad Alessandra Magnani un pregiudizio alla salute protrattosi per quattro anni vissuti in stato di coma vegetativo e successivamente la morte , deve ora affrontarsi l’ ulteriore eccezione del convenuto e terzi chiamati relativa all’ entità del danno biologico. La valutazione dei ctu del 98% tiene conto della malattia tumorale sofferta dalla Magnani, ha ben chiaro che il coma vegetativo è stato effetto esclusivo della condotta del convenuto . Infatti non si tratta nella fattispecie di calcolare un danno differenziale, ossia un aggravamento di una patologia preesistente – come indicato dalle terze chiamate – perché la totale incapacità fisica e mentale della Magnani è stata determinata esclusivamente dallo stato di coma vegetativo, essendo tipica manifestazione di tale stato, e non dalla malattia tumorale ( che da sola avrebbe caratterizzato diversamente l’evoluzione della malattia, risultando peraltro positivamente condotto l’ intervento di asportazione delle masse tumorali). Escludendo ipoteticamente il coma vegetativo, la Magnani avrebbe potuto condurre – se pure, forse, per un tempo limitato - la vita normale di una venticinquenne, parlare, camminare, mangiare, percepire i colori, gli odori, il mondo circostante, ed altresì curarsi adeguatamente il tumore. Di tutto questo è stata privata definitivamente dal coma e poi da una morte liberatrice. Pertanto se da un lato non è certamente condivisibile il criterio di liquidazione del danno biologico indicato dalla compagnie di assicurazione, dall’ altro appare equa la valutazione dei ctu motivata dalla constatazione che al verificarsi del coma la integrità fisica della ragazza era comunque già intaccata dalla perdita dell’ apparato genitale ( avendo subito l’ asportazione dell’ utero) e dalle incognite connesse all’ evoluzione del processo tumorale. Va altresì rilevato che la situazione di gravissima menomazione psicofisica e si è protratta per oltre quattro anni in una condizione estremamente penosa (ritmo sonno –veglia disturbato con reiterazione di grida e lamenti, nutrizione attraverso gastrostomia essendo impossibile l’ alimentazione per bocca spasticamente serrata, arti superiori flessi spasticamente ai gomiti, marcata tetraparesi spastica gli arti inferiori, capo incontrollato con assenza di qualsiasi opposività, saltuaria apertura degli occhi, nessuna esecuzione di ordini anche semplici, impossibilità di mantenere la posizione seduta, difficoltà respiratorie in un primo tempo risolte con tracheotomia e poi superate, cui sono però conseguite infezioni e complicanze laringee con prolungamento dei tempi di chiusura dello stoma e reiterati episodi di tracheo bronchite batterica, cfr. relazione peritale di parte doc.12 fasc. attori). Tali condizioni hanno altresì determinato l’ulteriore umiliazione della sottoposizione della ragazza al provvedimento di interdizione giudiziale ( cfr. sentenza del Tribunale di Milano 13/1/2000) La peculiarità della fattispecie impone perciò l’ abbandono dei rigidi criteri tabellari che appaiono inadeguati ad interpretare – purtroppo nella solo forma che qui è possibile, che è quella monetaria – un tale insulto alla persona ed alla sua dignità, e consigliano il ricorso all’ equità.. Come ribadito anche recentemente dalla Corte di Cassazione, la giustificazione del ricorso al criterio equitativo è insita nella natura del danno biologico e del danno morale (danni privi della caratteristica della patrimonialità) e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro che non reintegra una diminuzione patrimoniale, ma compensa di una pregiudizio, di una privazione ( cfr. Cass.20/10/05 n.203320) nella fattispecie , può affermarsi, di una mortificazione e di una sofferenza oltre ogni limite . Pertanto, tenuto conto dell’ età della danneggiata, della durata dello stato vegetativo ( quattro anni) e delle conseguenze sopra descritte, appare equo riconoscere per tale voce di danno la somma di E.500.000,00 I convenuti hanno altresì contestato il diritto al danno morale escludendo che lo stato della danneggiata potesse consentirle percezioni e sofferenze psichiche . In proposito appaiono significativi ed esaustivi alcuni passi delle relazioni dei medici che hanno tenuto in cura ed osservazione la paziente negli anni del coma : “ ….alla mia ultima visita Alessandra appare più tranquilla , non piange.. e se accenna a piangere innanzitutto piange ora “da essere umano” e poi cessa subito” relazione marzo 2000 ; “ il ritmo sonno veglia è gravemente disturbato con reiterazione di grida e lamenti anche in assenza di stimolazioni esogene…..” relazione marzo 1999; “ le espressioni del viso denunciano rabbia e opposività, non si interessa a nulla, ma è sempre molto attenta ai rumori “ relazione gennaio 2001. Alessandra Magnani ha vissuto ancora un anno in questo stato senza sostanziali variazioni ed è deceduta il 17/12/2002. Per tutta questa sofferenza muta, ma percettibile, va riconosciuto alla danneggiata a titolo di danno morale l’ importo corrispondente alla metà del danno biologico di E. 250.000,00. Infine gli attori hanno chiesto a nome della defunta anche il risarcimento del danno alla vita di relazione e la convenuta ed i terzi chiamati hanno eccepito che si tratterebbe di un pregiudizio concettualmente identico al danno biologico. Le due recenti sentenze della Corte di Cassazione ( Sez. Un. n. 6572 del 24/3/06 e Cass. n.13546 del 12/6/06) , ma già le molte altre di legittimità e di merito che le hanno precedute nel corso di questi anni ed hanno affrontato la problematica del riconoscimento del danno esistenziale in favore della vittima dell’ illecito, non sembrano affatto, invero, avvalorare questa tesi, anzi, si sforzano di definire l’ambito di pertinenza del pregiudizio attraverso un argomentare in negativo, enucleando cioè quello che il danno esistenziale non è , in modo che, eliminato tutto quello che non fa parte della sua natura, emergano finalmente quei connotati di originalità, quelle finalità peculiari che lo rendono altro rispetto a categorie di danno che hanno ormai trovato una sicura e condivisa collocazione nel panorama risarcitorio non patrimoniale e che sono proprio il danno biologico ed il danno morale. Già da tempo la giurisprudenza ha dimostrato di avere ben chiara questa distinzione nell’ affermare che il risarcimento del danno esistenziale in aggiunta al danno biologico e morale non costituisce una duplicazione in quanto il danno esistenziale differisce dal danno morale traducendosi nell’ impossibilità di svolgere precedenti attività quotidiane realizzatrici della personalità, mentre il danno morale attiene alle sofferenze connesse a cagione dell’ altrui comportamento illecito ed il danno biologico concerne le sole lesioni dell’ integrità psico fisica suscettibili di accertamento medico legale, e di ritenere del tutto svincolata la sussistenza del pregiudizio alla qualità della vita ed alla personalità dalla verificazione in concreto di un danno biologico (cfr. in tal senso Trib.Milano 15/6/2000, Trib.Monza 22/4/2003, Trib.Bergamo 24/2/2003), al punto tale da estendere la risarcibilità di tale danno anche ad ipotesi di inadempimento contrattuale che non si risolvono in pregiudizi alla salute ( cfr. Giudice di Pace Verona 16/3/2000, Giudice di Pace Milano 18/12/2000 in tema di ritardata attivazione del servizio telefonico). Le due recenti pronunce della Suprema Corte si pongono in piena assonanza con questa configurazione del danno esistenziale come conseguenza diversa, ulteriore ed eventuale rispetto al danno biologico, che viene ad assumere rilevanza giuridica solo se ed in quanto dedotta e dimostrata dal danneggiato sul quale incombe l’ onere di specificarne l’ incidenza negativa sulla sua vita e personalità. Se il danno esistenziale rappresenta un’elaborazione, uno sviluppo concettuale del danno biologico, oggi per effetto delle concrete modalità applicative della giurisprudenza ed in conseguenza della rilettura costituzionalmente orientata dell’ art. 2059 c.c. è divenuta una figura del tutto autonoma collocata a pieno titolo nella categoria del danno non patrimoniale, i cui contorni cominciano a delinearsi con sempre maggiore chiarezza. La sentenza della Corte di Cassazione n.13546/06 muove proprio dalla negazione della riconducibilità del danno esistenziale all’ interno del danno biologico operata dal giudice di merito e, ripercorrendo le tappe della evoluzione della disciplina post-codicistica in tema di risarcimento del danno alla persona, perviene alla conclusione che nell’ambito dell’ ampia categoria del danno non patrimoniale il danno biologico assume la più ristretta accezione di patologia scientificamente riscontrabile, mentre la sintesi verbale di danno esistenziale racchiude una molteplicità di situazioni negative corrispondenti ai più diversi tipi di reazione soggettiva all’evento dannoso ed unificate dal comune denominatore di rappresentare tutte, con differenti manifestazioni ed intensità, lesione di interessi costituzionalmente garantiti come diritti inviolabili della persona. Categoria autonoma, dunque, ma non automatica, avendo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione inequivocabilmente chiarito con la sentenza del 24/3/2006 non solo l’ ambito di operatività del pregiudizio,ma anche i criteri di ripartizione dell’onere probatorio. Hanno precisato le Sezioni Unite che il pregiudizio esistenziale ha natura oggettiva, dunque accertabile attraverso la allegazione e dimostrazione di avere effettuato scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate in assenza del fatto lesivo, si tratta cioè in altre parole di fatti tangibili, mutamenti di vita, di assetti relazionali, aspirazioni negate, diversamente dal danno morale avente natura emotiva ed interiore e diversamente dal danno biologico, che attiene alla integrità psico fisica del danneggiato ed il cui accertamento è affidato all’ indagine medico legale. Il pregiudizio esistenziale è configurato come legato indissolubilmente alla persona, non passibile di determinazione secondo il sistema tabellare allegazioni che solo il danneggiato per cui necessita di precise può fornire e dimostrare, perché attengono ad alterazioni proprie delle sue peculiari abitudini di vita . Nella fattispecie la compromissione assoluta della integrità fisica e mentale si è prodotta in un momento in cui le aspettative di vita erano massime, avendo l’attrice solo venticinque anni, per cui non può dubitarsi che Alessandra Magnani sia stata privata della possibilità di svolgere qualsiasi genere di attività. Come tutte le ragazze della sua età avrebbe dovuto studiare, lavorare, uscire, viaggiare, leggere, frequentare coetanei, ridere, sognare, invece ha vissuto in stato vegetativo per oltre quattro anni ed ha concluso in tale stato la sua vita : qualsiasi somma di denaro apparirebbe inadeguata a compensare una privazione di tal genere, ma dovendo comunque effettuare una quantificazione, si ritiene di liquidare questo pregiudizio in E. 50.000.00, determinato con riferimento percentuale all’ entità del danno biologico ( che rappresenta l’ entità della limitazione) ed alla durata temporale della malattia.. In definitiva spetta alla danneggiata, e per essa agli eredi attori pro quota sulla base delle norme sulla successione legittima, la complessiva somma di E.800.000,00 oltre interessi legali dal 24/9/98 al tasso medio ponderato del 2,5%, dal 24/9/1998 all’ epoca in cui è stato effettuato il pagamento da parte delle compagnie assicuratrici terze chiamate. Passando ad esaminare il danno subito dai familiari di Alessandra Magnani, va innanzitutto riconosciuto il danno patrimoniale per tutte le spese resesi necessarie in conseguenza dello stato della congiunta con ciò comprendendo le spese mediche, le spese di cura ed assistenza, le spese connesse ai trasferimenti e soggiorni presso le strutture ospedaliere specializzate . Esborsi tutti direttamente causati dalla tragedia che ha investito Alessandra e la sua famiglia e documentati in fascicolo di parte , ammontanti ad E. 228.122,00 Nessun danno patrimoniale può essere liquidato in favore di Magnani Giancarlo in assenza di prova circa la effettiva necessità di assumere la decisione di presentare domanda anticipata di pensionamento, dopo infatti i primi tempi in cui la figlia doveva essere accompagnata in strutture specializzate per il tentativo di riabilitazione e soggiornava fuori dalla casa di abitazione richiedendo la presenza dei genitori, la situazione si è stabilizzata, con esigenze di assistenza e cura che, per ammissione degli stessi attori, venivano distribuite tra tutti i componenti del nucleo familiare, per cui, pur non conoscendosi le esatte competenze professionali, non sembra che l’impegno del Magnani – lavoratore dipendente fosse così pressante da ostacolare definitivamente l’ espletamento di una attività lavorativa. Neppure si è in grado di apprezzare l’ ulteriore pregiudizio lamentato dal Magnani relativo ad una compressione della sua capacità reddituale, mancando in proposito qualsiasi prova da cui desumere il nesso di causalità tra la diminuzione del reddito e le condizioni della figlia . Parimenti non può essere accordato il danno biologico a Magnani Mara in assenza di prova in ordine alla compromissione della integrità fisio psichica della ragazza. Spetta sicuramente invece ai familiari il risarcimento del danno morale: la sofferenza di assistere impotenti al disfacimento fisico e psichico della loro figlia e di perderla in un modo così tragico e nello stesso tempo così ingiusto ed inaccettabile deve trovare una compensazione almeno monetaria che appare equo determinare nella seguente misura : E.150.000,00 per ciascun genitore ed E. 100.000,00 per la sorella Mara. Spetta altresì il risarcimento del danno esistenziale : il lungo calvario di Alessandra, l’ accudimento e l’ assistenza di una inferma così grave per oltre quattro anni hanno comprensibilmente travolto l’ equilibrio familiare, i rapporti, le consuetudini di vita, le priorità. Tutti i componenti della famiglia si sono impegnati personalmente ad alleviare, per quanto possibile, le sofferenze della congiunta ( non sono infatti state esposte spese di personale estraneo, benché lo stato di Alessandra richiedesse una presenza di almeno due persone per tutta la durata della giornata)) e dunque ciascuno ha dovuto sacrificare i propri desideri, i progetti , le aspirazioni , modificare il proprio stile di vita, le abitudini pregresse, privandosi della possibilità di uscire, viaggiare insieme (si pensi alla penalizzazione dei rapporti coniugali e genitoriali) ricevere amici, coltivare hobbies ed interessi, dedicandosi a cure ed assistenza che avevano il solo scopo di accompagnare Alessandra verso la fine . Tali sconvolgimenti inevitabili dello stile di vita, con tutto il disagio e la sofferenza connesse, il pregiudizio alla vita di relazione, il sacrificio dei sentimenti più profondi. non possono che essere risarciti con il ricorso a criteri equitativi: che tengono conto della gravità della situazione che gli attori hanno dovuto fronteggiare e poi della perdita definitiva di una relazione familiare intensa e profonda in considerazione dello stretto vincolo di parentela con la defunta Si ritiene pertanto di riconoscere per tale voce di danno l’ importo di E. 60.000 a ciascuno dei componenti del nucleo familiare, genitori e sorella convivente. Così, in definitiva spettano -a Giancarlo Magnani e Mainardi Rosangela E. 210.000,00 ciascuno + E. 228.122,00 ( a titolo di rimborso delle spese sostenute) = E 648.122,00 oltre interessi legali dal 24/9/1998 al tasso medio ponderato del 2,5% -a Magnani Mara E. 160.000,00 oltre interessi legali dal 24/9/1998 al tasso medio ponderato del 2,5% In definitiva la convenuta deve corrispondere agli attori E.800.000,00 oltre interessi legali quale risarcimento spettante ad Alessandra Magnani ed acquisito dagli stessi iure hereditatis ( e dunque da suddividersi tra gli aventi diritto sulla base delle norme sulla successione legittima) ed E. 808.122,00 oltre interessi legali quale risarcimento spettante iure proprio ( suddiviso come sopraspecificato) E così in totale E.1.608.122,00 oltre interessi legali al tasso medio ponderato del 2,5% Avendo le terze chiamate corrisposto in due soluzioni ed in epoche diverse l’ importo di E.1.239.496,56, il risarcimento spettante ad Alessandra Magnani per capitale ed interessi (da calcolarsi dal 24 settembre 1998 all’ agosto 2000 su E.206.582,76 e dal 24 settembre 1998 al giugno 2001 sulla differenza) deve ritenersi già effettuato, pertanto l’ importo ulteriore andrà imputato a quanto dovuto a titolo di risarcimento iure proprio agli attori per capitale ed interessi (da calcolarsi a decorrere dal 24 settembre 1998 al giugno 2001 e dal giugno 2001 al saldo sulla differenza non coperta dall’ acconto) Le spese di causa seguono la soccombenza ( che deve ritenersi totale, atteso che il primo acconto risulta corrisposto agli attori solamente dopo l’ introduzione del giudizio, mentre il secondo acconto risulta pagato nel 2001 e non è risultato esaustivo) e si liquidano come in dispositivo P.Q.M. il Tribunale,definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data 22/6/2000 da Giancarlo Magnani in proprio e quale tutore di Magnani Alessandra, Rosangela Mainardi e Mara Magnani e sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 28/7/2003 da Giancarlo Magnani, Rosangela Mainardi e Mara Magnani, nei confronti dell’ Azienda ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, con l’ intervento di RAS spa,Nuova MAA Assicurazioni spa,CIRA spa,Siat spa,Lloyd Adriatico spa,AXA Assicurazioni spa, così provvede: dichiara la responsabilità dell’ azienda ospedaliera convenuta per i danni subiti da Alessandra Magnani come rappresentata e per i danni subiti dagli attori in proprio e la condanna al risarcimento ammontante alla complessiva somma di E.1.608.122,00 , importo già calcolato ai valori attuali e liquidato quanto ad E. 800.000,00 a favore di Alessandra Magnani (e dunque da suddividersi tra gli aventi diritto in base alle norme sulla successione) e quanto ad E. 808.122,00 a favore degli attori ( così suddiviso : E. 160.000,00 a favore di Magnani Mara, E, 648.122,00 a favore di Mainardi Rosangela e di Magnani Giancarlo in parti uguali) oltre interessi legali al tasso medio ponderato del 2,5% decorrenti dal 24 settembre 1998 e da calcolarsi come specificato in parte motiva, oltre al pagamento delle spese di ctu e delle ulteriori spese processuali liquidate in E.37.000,00 di cui E.9.000,00 per spese e diritti ed E. 28.000,00 per onorari, oltre maggiorazioni di legge; condanna spa RAS,Nuova MAA Assicurazioni spa,CIRA spa,Siat spa,Lloyd Adriatico spa,AXA Assicurazioni spa pro quota a manlevare la propria assicurata – con pagamento diretto agli aventi diritto - di quanto la stessa sarà tenuta a corrispondere in esecuzione della presente sentenza, oltre al pagamento delle spese processuali dell’ospedale convenuto per la chiamata ex art. 269 cpc, che liquida ( tenuto conto della sostanziale identità di argomentazioni ed attività difensive della convenuta e delle terze chiamate) in E. 10.000,00 di cui E. 5.000,00 per spese e diritti ed E. 5.000,00 per onorari , oltre maggiorazioni di legge Milano,25/8/2006 Il Giudice Unico (M.Jole Fontanella)